Kant_seconda e terza critica

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CRITICA DELLA RAGIONE PRATICA (1788)
La ragione pura (cioè in quanto opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità):
a) nel suo uso teoretico ➔ ha bisogno di essere criticata e sottoposta a esame perché oltrepassando i limiti
dell’esperienza si comporta in modo illegittimo
b) nel suo uso pratico ➔ non ha bisogno di critica, perché si comporta in modo perfettamente legittimo quando
determina la volontà a prescindere dall’esperienza e da ogni impulso sensibile sulla base di una legge universale e
necessaria (→ la ragion pratica si comporta in maniera illegittima quando pretende di determinare la volontà in
concorso con l’esperienza, cioè in maniera empirica → i princìpi dell’agire derivati dall’esperienza infatti non hanno
valore morale perché non sono incondizionati)
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Legge morale = “è un fatto della ragion pura, di cui abbiamo consapevolezza a priori e di cui siamo
apoditticamente certi” ➜ la ragione, in quanto pratica, è capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili
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N.B.: in quanto esseri anche sensibili, l’agire morale assume per l’uomo sempre la forma di un dovere,
perché contrasta ed è in lotta con gli impulsi sensibili egoistici
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I princìpi pratici (ossia le regole che disciplinano la nostra volontà) si distinguono in:
a) massime (regole che il soggetto considera valide solo per la propria volontà)
b) imperativi (prescrizioni oggettive, valide per tutti i soggetti razionali), che possono essere:
1) ipotetici = comandano un’azione come un mezzo in vista di un fine (regole di abilità o consigli di
prudenza → sono precetti, non leggi)
2) categorici = comandano un’azione in modo incondizionato, a prescindere da qualsiasi interesse o
situazione particolare → [la legge morale può avere la forma solo di un imperativo categorico!]
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Formulazioni dell’imperativo categorico:
1) agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che diventi una legge
universale (della natura) ➜ una massima è morale solo se universalizzabile = la mia massima potrebbe dar luogo
a un ordine universale nel quale poter vivere senza contraddizione?
2) Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro uomo, sempre
anche come fine e mai semplicemente come mezzo ➜ gli esseri umani sono persone, in quanto sono fini in sé,
ossia qualcosa che non può essere impiegato come mezzo per altri fini (non posso obbedire alla legge morale, che
costituisce la mia umanità, senza rispettare l’umanità in me stesso e negli altri → le persone hanno una dignità, cioè
non hanno prezzo!) → l’insieme degli esseri ragionevoli, in quanto obbediscono alla legge morale, costituiscono una
comunità ideale, il regno dei fini, nel quale ogni membro è allo stesso tempo legislatore e suddito
3) agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se
stessa come universalmente legislatrice ➜ il comando morale non è un imperativo esterno, ma il frutto
spontaneo della volontà, che è autolegislatrice (obbedendo alla legge morale obbediamo a noi stessi!)
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L’etica kantiana è:
๏ formale ➔ non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo farlo (nessuna materia dell’agire può
avere portata universale) → non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa (l’unica cosa
incondizionatamente buona è la volontà stessa!) → l’unico sentimento che abbia un significato morale è
il rispetto per la legge morale, cioè per la nostra dignità di persone, di esseri razionali e liberi
๏ autonoma ➔ l’uomo, attraverso la ragione, dà a se stesso la propria legge → ogni morale che ponga il
fondamento del dovere in fattori esterni alla volontà dell’uomo (educazione/governo/sentimento fisico o morale/
perfezione/volontà di Dio) è eteronoma e contrasta col carattere universale e incondizionato della legge
Oggetto completo e perfetto dell’agire morale è il Sommo bene, che è dato dall’unione di:
1. virtù = conformità della volontà alla legge morale
2. felicità = conformità del mondo della natura ai comandi della volontà
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Antinomia della ragion pratica ➜ in questo mondo non si realizza mai l’unione perfetta di virtù e felicità, in
quanto la felicità non può essere il movente dell’agire morale e una perfetta virtù è irraggiungibile (egoismo)
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Per uscire dall’antinomia ➔ Postulati della ragion pratica:
1) immortalità dell’anima ➜ garantisce la santità come possibilità di un progresso morale infinito
2) esistenza di Dio ➜ garantisce una causa intelligente del mondo che faccia corrispondere la felicità al
merito, armonizzando la natura con l’intenzione morale
3) libertà ➜ è la ratio essendi della moralità, mentre la legge morale è la ratio cognoscendi della libertà
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Primato della ragion pratica = la ragione, in quanto pratica, ammette proposizioni che non potrebbe
ammettere nel suo uso teoretico → i postulati non hanno validità teoretica, ma solo pratica, vanno ammessi
esclusivamente per un interesse pratico della ragione e sono oggetto di “fede razionale” (sono moralmente
obbligato ad ammettere l’esistenza di Dio e l'immortalità dell’anima, pena il non-senso dell’agire morale!)
CRITICA DELLA CAPACITÀ DI GIUDIZIO (1790)
I) Filosofia teoretica → mondo naturale dei fenomeni governato dalle leggi della necessità deterministica
II) Filosofia pratica → mondo morale dei noumeni governato dalle leggi della libertà
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ci deve essere un principio che stabilisca l’unità fra il concetto della natura e quello della libertà, un principio
che permetta di pensare la natura in modo che l’ordine delle sue leggi si accordino con le leggi della libertà
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Kant rintraccia tale principio nella facoltà del Giudizio, che si esercita nell’ambito del sentimento
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✓ Giudizio determinante: giudizio conoscitivo e scientifico che “determina” teoreticamente il proprio
oggetto attraverso la sussunzione del molteplice empirico sotto l’universale (già dato) delle categorie
≠
✓ Giudizio riflettente: giudizio sentimentale che “riflette” sulla natura interpretandola attraverso le
nostre esigenze di finalità e armonia (qui l’universale non è dato dall’intelletto)
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principio di finalità = principio a priori dei giudizi riflettenti ➜ non ha valore conoscitivo, ma possiede
un carattere universale perché risponde a un’esigenza presente a priori nel soggetto
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ci fa provare un sentimento di piacere (universale e disinteressato), come se la natura si accordasse
alle esigenze della nostra facoltà di conoscere (anche se è l’espressione di un punto di vista del soggetto)
1. Il giudizio estetico = la finalità si riferisce al rapporto tra il soggetto e la rappresentazione dell’oggetto,
in modo da provare il sentimento dell’accordo tra di essi (finalità soggettiva)
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La facoltà di pronunciare giudizi estetici è il gusto, ossia la facoltà di provare piacere nel rappresentarsi un
determinato oggetto
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L’oggetto del giudizio estetico è:
A) il bello ➜ sentimento che scaturisce dal libero accordo delle nostre facoltà, cioè dall’accodo spontaneo tra
l’immaginazione e l’intelletto, che trova nell’attività immaginativa un ordine che gli consente di
rinvenire in essa un accordo “libero” (perché fuori dalle proprie leggi) con i propri concetti. Bello è:
✓ ciò che ha la forma della finalità senza la rappresentazione di uno scopo
✓ ciò che piace senza interesse → (il bello è simbolo della moralità)
✓ ciò che piace universalmente senza concetto
B) il sublime ➜ sentimento di dispiacere per la constatazione dei propri limiti e della propria impotenza,
unitamente a un sentimento di piacere derivante dalla consapevolezza della propria dignità e superiorità
nei confronti della natura:
1) matematico (esperienza della grandezza della natura)
2) dinamico (esperienza della potenza della natura)
2. Il giudizio teleologico = la finalità si riferisce a rapporti interni all’oggetto, in modo da cogliere l’ordine
finalistico che vige all’interno della natura (finalità oggettiva)
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a) finalità interna ai singoli fenomeni ➜ l’organismo naturale non è un composto meccanico, ma una
totalità inscindibile di organi in cui l’interazione reciproca tra parti e tutto obbedisce a un principio
interno irriducibile a una spiegazione meccanicistico-causale
b) finalità esterna → totalità della natura come “sistema di fini” che ha come scopo finale l’uomo e la
sua libertà, dunque la realizzazione della legge morale
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il principio di finalità non ha valore conoscitivo, ma regolativo, non produce nuove conoscenze, ma
serve a ordinare conoscenze già acquisite e indica la via lungo la quale procedere per acquisirne di nuove
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per la particolare struttura della mia facoltà conoscitiva, io non posso fare a meno di rappresentarmi la
natura come se fosse l’opera di un’intelligenza divina che l’abbia ordinata in senso finalistico
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione sempre nuova e crescente,
quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si sofferma:
il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”
Immanuel Kant
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