allegato b - 2013 enzo biemmi e manicardi

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Allegato B – Biemmi / Manicardi
Un work in progress sul linguaggio della fede e sul (o “nel”?) linguaggio
dei media – Alcune questioni pertinenti e preliminari
Conclusioni all’inizio. In questa relazione verranno proposte, più come work in progress che come
un lavoro definitivo, una ipotesi di base e tre diverse sfide che vengono dal confronto tra il
linguaggio della fede e quello dei media. Verranno dati anche alcuni strumenti che potrebbero
rivelarsi utili nel formulare una strategia.
Ipotesi di base. Non si dovrebbe parlare del “linguaggio della fede e del linguaggio dei
media”. Dovremmo, in realtà potremmo, solo parlare del linguaggio della fede nel linguaggio dei
media, poiché il linguaggio della fede esiste solo nel linguaggio dei media.
La sfida tecnologica. Il linguaggio dei media non riveste il linguaggio della fede alla stessa
maniera con cui un vestito si adatta a un corpo; dato che esso assume le caratteristiche delle
tecnologie comunicative usate e sa che queste cambiano ogni volta che il mezzo di comunicazione
dominante in una certa cultura viene modificato.
La sfida organizzativa. Quando la tecnologia comunicativa usata è di proprietà di
un’organizzazione, il linguaggio dei media assume le caratteristiche dell’ethos di
quell’organizzazione. Anche questo ha un effetto sul contenuto del linguaggio della fede che
potrebbe essere comunicato dal linguaggio dei media.
La sfida della “religione alternativa”. I media non rivestono il linguaggio della fede con le
caratteristiche della loro tecnologia e delle loro strutture, ma propongono la loro fede alternativa;
in tal modo a fianco della religione comunicata dai media, si ha la religione creata dai media.
Elementi di una strategia. Di seguito qualche “quasi-casuale” suggerimento che potrebbe
aiutare nella costruzione di una strategia.
Introduzione: ci sono due possibili interfacce? Come dice Tom Allen della Allied Faith and Family,
un’agenzia di marketing che sta cecando di promuovere shows come Sister Act, “C’è un Godmoment (memento per/di Dio) che irrompe nella cultura del divertimento, in parte guidata dalla
domanda mai soddisfatta dell’uomo di un significato trascendente”. Tom Allen si riferisce a una
serie di spettacoli di Broadway, tra cui Leap of Fait, che tratta i temi della redenzione e della
salvezza.
Questi spettacoli sono buoni esempi di come il linguaggio della fede può essere comunicato nel
linguaggio dei media? O sarebbe meglio chiedersi se il linguaggio della fede non sia distorto e
pervertito dal linguaggio dei media? I media non affermano forse che la più profonda richiesta di
felicità dell’uomo è soddisfatta dal consumismo? I media non stanno cercando di soddisfare il
bisogno dell’uomo di compagnia degli altri, di sesso e di relax con un intrattenimento a poco
prezzo che comprende un diluvio di pornografia? Essi non sostituiscono la mitezza con la violenza,
il servizio con il dominio, la solidarietà con l’esaltazione dell’io? Non è questa una grande quantità
di dati che richiede cautela?
Alla convinzione che il linguaggio della fede sia pervertito dal linguaggio dei media, alcuni
attribuiscono un aspetto molto più radicale, sostenendo che il linguaggio dei media non sia in
grado di comunicare il linguaggio della fede.
Così M. Muggeridge (1977), un produttore della BBC, molto famoso per il suo documentario su
Madre Teresa Qualcosa di bello per Dio, propone questo interessante scenario: “Immaginate un
importante impresario di media che possiede un network satellitare tv al tempo dell’impero
romano. Durante una visita in Galilea, l’impresario è impressionato da questo uomo chiamato
Gesù che combatte con le autorità, fa risorgere i morti, nutre le moltitudini e parla della felicità
che può venire dalla povertà. Il magnate tv è convinto che Gesù potrebbe diventare un
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protagonista, un argomento molto interessante per la televisione. Di conseguenza, egli offre a
Gesù uno spettacolo in prima serata sulla sua rete televisiva”. Cosa risponderebbe Gesù? Secondo
Muggeridge, Gesù rifiuterebbe la proposta. Muggeridge ritiene, infatti, che la tv sia un mezzo
superficiale e di conseguenza non riesca a comunicare il linguaggio della fede.
Questi due modi di guardare al rapporto fra linguaggio della fede e linguaggio dei media hanno
caratterizzato la reazione della comunità cattolica neo confronti dei media.
In un certo senso la posizione di Allien riflette Agostino, mentre quella di Muggeridge riflette
Tertulliano.
Tertulliano evita sia l’alta cultura del suo tempo: “Che cosa ha davvero a che fare Atene con
Gerusalemme? Che accordo c’è fra l’Accademia e la Chiesa?”, sia la bassa cultura: “Le leggi del
discepolo cristiano, fra gli altri peccati del mondo, proibiscono i piaceri dei pubblici spettacoli”.
Dall’altra parte la teologia di Agostino incorpora l’idea che i segni culturali siano in grado di
facilitare il nostro godimento di Dio. Egli riconosce una risorsa custodita in tutte le cose finite
chiamandole “benedizioni di Dio”, ritenendo che “la piccola scintilla della ragione, che era
l’immagine di Dio nell’uomo, non è stata spenta”.
Ipotesi di base: è “in”, non “e”. Queste due posizioni hanno dei limiti perché esse fondano il
rapporto del, linguaggio della fede e del linguaggio dei media sulla congiunzione “e”.
E’ così comune parlare del linguaggio della fede e del linguaggio dei media che è quasi divenuto
un’ovvietà.
Questo modo di esprimersi evoca però l’immagine di due realtà separate; prova ne sia il manifesto
pubblicitario di un recente seminario tenutosi a Malta su un tema simile. Il poster mostra la “fede”
su un lato di un burrone e la “cultura” sul lato opposto con un microfono che fa da ponte. Anche
nel nostro caso si dovrebbe parlare di un burrone, su un lato del quale si trova il linguaggio della
fede, mentre sull’altro vi è il linguaggio dei media. In questa prospettiva il compito sarebbe quello
di costruire un ponte per collegare i due lati così da poter passare facilmente da uno all’altro. A
questo punto ci si aspetterebbe che venissero elencate le caratteristiche di entrambi i linguaggi
nella speranza di trovare alcuni elementi comuni, ma ciò risulta alquanto difficile poiché
persistono posizioni diametralmente opposte. Tale approccio duplice e opposto evidenzia una
credenza e un fraintendimento molto pericolosi, e cioè che il linguaggio della fede esista per se
stesso e separatamente dal linguaggio dei media.
Ciò non è corretto dato che si può guardare al linguaggio nel momento in cui il testo è in fase di
codifica/trasmissione, attraverso un particolare mezzo o piattaforma (per esempio il parlato, lo
scritto, la radio, la tv), oppure si può considerarlo nel momento della sua decodifica/ricezione da
parte del destinatario.
Codifica/Trasmissione. Al momento della codifica/trasmissione, il linguaggio della fede non
è soltanto immerso nel linguaggio dei media, ma esiste solo attraverso la sua incarnazione nel
linguaggio di qualche particolare mezzo di comunicazione. In definitiva non si può fare riferimento
al “linguaggio della fede” e al “linguaggio dei media” separatamente.
La codifica/trasmissione di un messaggio non è come indossare un abito invece di un altro; si
tratta di un processo più radicale che riflette le principali caratteristiche cella tecnologia
comunicativa usata. E’ possibile, quindi, comunicare (e magari comunicare bene) solo ciò che può
essere meglio comunicato dal linguaggio di un particolare mezzo, e ciò che può essere meglio
comunicato attraverso un mezzo è determinato dalla epistemologia di quel mezzo stesso. Questo
processo, che avviene attraverso un mezzo di comunicazione di massa, non è soltanto
un’interazione personale fra l’emittente e il destinatario. Le qualità tecniche del mezzo, che non
trasmettono soltanto il messaggio ma lo trasformano, determinano le caratteristiche della cultura
all’interno della quale esse operano e dominano. La codifica/trasmissione e la decodifica/ricezione
avvengono all’interno di una particolare cultura che è stata plasmata a immagine e somiglianza
delle caratteristiche del mezzo di comunicazione dominante.
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Ricezione/Decodifica. Qualcosa di simile avviene nella ricezione/decodifica. Anche in
questa fase il linguaggio della fede, rivestito nel linguaggio dei media, viene ricevuto e
decodificato, accettato o rifiutato e la ricezione /decodifica avviene in un ambiente saturo e
influenzato da un mezzo di comunicazione dominante. I riceventi non sono carte assorbenti, ma
agenti attivi in grado di recepire e accettare il significato principale del messaggio, darne uno
mediato o addirittura opposto. Tale lettura non è semplicemente una lettura personale, ma è
anche influenzata dall’appartenenza a un gruppo socio-economico ben definito e a una particolare
sub-cultura.
La sfida tecnologica. … Alcune teorie psicoculturali affermano che la storia dell’umanità è
caratterizzata da diverse culture dominate da diversi media.
Proponiamo quattro interfacce (McLuhan e Ong) e due epoche (Innis).
La cultura orale-auricolare. Il mezzo di comunicazione dominante era la parola
parlata, con la sua concomitante, multisensoriale ed emotiva epistemologia. Innis chiama questa
cultura una cultura influenzata dal tempo, sottolineando in tal modo il piccolo passo di
avanzamento sociale, l’importanza della religione e anche della gerarchia.
La cultura dei manoscritti. L’invenzione dell’alfabeto fonetico ha segnato
quest’epoca. Fra le sue caratteristiche si trova il conseguente lento movimento dalla comunità
all’individuo, dalla magia alla scienza, dalla religione alla secolarizzazione. Nella terminologia di
Innis questa cultura fu influenzata dal tempo quando i principali media usati erano le tavolette di
argilla e le pergamene; mentre fu influenzata dallo spazio laddove erano usati papiro e carta.
La cultura della stampa. L’invenzione della stampa a caratteri mobili ha dato luogo
alla cultura della stampa. Questa è una cultura definitivamente influenzata dallo spazio, per usare i
termini di Innis. Essa ha consolidato i processi avviati con l’invenzione dell’alfabeto fonetico: i libri
scientifici hanno il posto dei testi sacro, il processo di secolarizzazione si è avviato in modo
inarrestabile, l’individuo è diventato assolutamente più importante della comunità e si è affermato
lo stato moderno. La parola è stata inconfutabilmente ridotta al silenzio.
La cultura quasi orale-auricolare. Il telegrafo ha avviato il passaggio a questa cultura
radicalmente influenzata dallo spazio. L’insieme dei media che ne è seguito include il cinema, la
radio, la tv, i computer e i nuovi media. In questa cultura la parola è passata attraverso molte fasi:
la radio l’ha esaltata, la tv l’ha trasformata in un’esperienza audiovisiva, il computer all’inizio l’ha
messa a tacere, ma i nuovi media le stanno dando una nuova vita. Questa è l’epoca della
interdipendenza elettronica, della comunicazione istantanea, della società dei network, della
connettività e di tante altre promesse …
Cambiamenti radicati nel messaggio. L’evoluzione da uno di questi mezzi di
comunicazione a un altro dà vita a una nuova cultura e a un modo radicalmente nuovo di essere
umani, poiché cambia il modo con cui percepiamo noi stessi e il mondo, come pure cambia la
maniera con cui lo organizziamo.
Questo cambiamento influenza tutti i settori nei quali l’essere umano opera l’economia,
l’istruzione, le relazioni, la politica e persino la religione. La Redemtoris Missio (1190) parla di
questo profondo cambiamento che dà origine a una nuova cultura, a un nuovo linguaggio, a nuove
tecniche e a una nuova psicologia. In linea con questa convinzione, il processo di
codifica/trasmissione, come pure quello di decodifica/ricezione, attraverso cui passa il linguaggio
della fede in una cultura dominata da una forma mediatica – per esempio l’oralità – è
radicalmente diverso d quello che darebbe in una cultura dominata da un diverso mezzo, ad
esempio la stampa. Cos, non è soltanto la comunicazione della fede che è plasmata dai media, ma
in un certo senso la fede stessa, poiché sia la comunicazione della fede che la fede stessa portano
le caratteristiche del mezzo do comunicazione dominante in una particolare cultura.
Alcune ipotesi e domande. 1) La cultura orale-auricolare, dominata com’è dalla parola
come suono, fa emergere la comunità sopra l’individuo: l’io sta per il noi; invece l’alfabeto
fonetico, in modo lento ma sicuro, ha fatto gravitare la società verso l’importanza dell’individuo. E’
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una coincidenza che nell’Antico testamento si abbia contemporaneamente un passaggio
dall’espressione “vivo nel mio popolo dopo la mia morte” a “vivo dopo la mia morte”, come
manifestazione della fede nella Risurrezione?
2) I primi cristiani avevano una scelta difficile da fare: gli insegnamenti orali di Gesù potevano
essere trasformati dalla parola come suono alla parola come scritto? Vi era tensione fra le due
culture e nel processo di trasposizione nello scritto, gli evangelisti furono autori e non
semplicemente trascrittori …
3) E’ una coincidenza che la nascita del protestantesimo abbia coinciso con l’invenzione della
stampa? L’invenzione tecnologica ha potato con sé un nuovo paradigma culturale che è sfociato,
fra le altre cose, in un distacco religioso … il principio “solo Scriptura” ha favorito la cultura scritta
che sarà consolidata attraverso la stampa e che finirà per prevalere sulla cultura che considerava
ancora valide le tradizioni orali. Inoltre, prima dell’invenzione della stampa, la Bibbia era di
proprietà della comunità, non solo tecnologicamente, ma anche legalmente poiché,
probabilmente la comunità possedeva le uniche copie. Dopo l’invenzione della stampa, la Bibbia
divenne proprietà di coloro che potevano comprare una copia. La proprietà legale del Libro è
diventata nel tempo la proprietà del suo contenuto ed è nata così la credenza nella
interpretazione personale.
4) La stampa ha portato con sé un tipo di mentalità sequenziale, dato che fa parte della tecnologi
meccanica che considera un intero come fatto di molte diverse componenti. Al contrario, l’odierna
tecnologia elettronica di fornisce una scheda madre o un circuito stampato, non ci dà le parti.
E’ una coincidenza che il Concilio di Trento, il Concilio dell’era della stampa abbia fornito una
visione del sacramento della Riconciliazione che ha sottolineato la confessione dei peccati distinti
per numero, specie …, mentre la teologia del post Vaticano II, il Concilio dell’era elettronica, abbia
sviluppato l’idea della opzione fondamentale che guarda alla direzione della vita della persona e
non alle sue minuzie?
5) Mentre l’ecclesiologia del Pastor Aeternus del Vaticano I pone l’enfasi sulla gerarchia,
l’ecclesiologia della Lumen Gentium sottolinea l’importanza del Popolo di Dio. Ciò ha qualcosa a
che fare con il passaggio da un’epoca contraddistinta dalla cultura della stampa, con le sue
relazioni centro-margini … all’era elettronica … pone l’accento su un centro-senza-margini? In una
cultura della stampa, basata sui mezzi di comunicazione relativamente lenti, l’attenzione era posta
sul ruolo essenziale del centro, altrimenti l’organizzazione sarebbe andata in pezzi. Oggi … Internet
è la base tecnologica per la forma organizzativa dell’era informatica: il network. Questo è una
sistema di nodi interconnessi che per la prima volta permette la comunicazione di molti a molti, in
un tempo scelto, su una scala globale.
In un network non vi è necessità di un forte centro di organizzazione per rimanere uniti. In un
network vi sono molti centri/periferie. Bisognerebbe allora chiedersi come ciò possa influenzare la
teologia della Chiesa locale.
6) … Viviamo nell’era dell’interdipendenza elettronica. I mass media e, ancor di più, i nuovi media
hanno architettato una rete ampia come il mondo (World Wide Web), facendo collassare il
concetto di spazio e riducendo Madre Terra a un villaggio, sebbene globale. Sappiamo cosa accade
nel momento in cui accade; talvolta lo vediamo accadere e possiamo essere coinvolti e partecipi
gli uni per gli altri. Questa tecnologia, divenuta fenomeno culturale non può non influenzare una
zona della nostra fede … Questa interdipendenza elettronica, rende possibile una nuova
dimensione e interpretazione della dottrina della Chiesa come Corpo Mistico di cristo
prospettando una visione olistica della vita.
7) Teilhard de Chardin …, ritiene che il prossimo passo nel processo dell’evoluzione sia quello di
sviluppare noi stessi per gli altri. La vera solidarietà ha un sostegno ontologico poiché è
intimamente legata alla natura dell’essere umano e la solidarietà è un elemento costituivo di
questa natura. In termini teologici si può affermare che in questa fase l’essere umano cresce per
diventare più di quello che lui o lei è: un’immagine di un Dio trinitario; e proprio oggi più che mai è
possibile capire e apprezzare l’antropologia trinitaria …
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8) Questa interdipendenza elettronica influenza anche l’agire, e non è forse una semplice
coincidenza il fatto che la riforma liturgica del Vaticano II, basata più sul concetto della
partecipazione che non sul concetto del mistero, sia più in sintonia con la nuova psicologia della
interdipendenza?
9) La tecnologia ha cambiato il metodo e il contenuto della nostra predicazione; infatti non siamo
più costretti a subire omelie sell inferno, non solo perché abbiamo perso (o cambiato) il senso del
peccato, ma perché stiamo usando più efficaci sistemi di amplificazione del suono … Nel passato, il
predicatore doveva gridare a squarciagola per farsi sentire. Oggi parla in un microfono nello stesso
modo con cui si conversa con un’altra persona, perché il microfono pone gli altri in una relazione
di prossimità con l’oratore. E’ molto facile parlare della vendetta, della giustizia di Dio e
dell’inferno durante un incontro urlato, ma infinitamente più facile parlare dell’amore quando si
parla sommessamente.
La sfida organizzativa. Quando questa codifica/trasmissione è fatta attraverso un mezzo di
comunicazione di massa, un altro elemento si aggiunge alle caratteristiche del linguaggio dei
media, in forza dei loro aspetti tecnologici. La codifica/trasmissione è segnata da un ethos, dai
vincoli strutturali e dalle convenzioni comunicative dell’organizzazione mediatica, responsabile
della trasmissione del messaggio. Il linguaggio della fede troverà difficilmente un posto nel
contenuto dell’organizzazione mediatica, ameno che esso non sia costruito rispettando l’ethos
della stessa, e ciò può dimostrarsi una vera sfida, soprattutto in organizzazioni con ethos
commerciale. E’ stato detto che gli obiettivi dei media sono informare, educare e intrattenere. Al
giorno d’oggi, un buon numero di organizzazioni che possiedono e gestiscono i media sono
imprese commerciali il cui unico scopo è fare soldi.
Questi gruppi commerciali vedono i media soprattutto come un’opportunità di investimento e solo
successivamente come mezzo di comunicazione. Essi considerano il pubblico come una merce che
può essere venduta ad agenzie pubblicitarie. Tale tendenza esiste anche in organizzazioni che non
sono strettamente commerciali ed è questo il motivo per cui ogni organizzazione che possieda
un’impresa di media si batte per ottenere una fetta sempre più larga di pubblico.
La trasmissione della fede attraverso organizzazioni mediatiche commerciali, in particolare la
televisione, incontrerà sfide impegnative, perché in tali organizzazioni l’intero contenuto è in
genere ridotto a intrattenimento … I programmi televisivi devono contenere aspetti drammatici,
situazioni conflittuali ricche di tensione e devono essere centrati sulla persona e non su una
riflessione astratta. Il contenuto relativo alla fede troverà spazio in tv, o nei media di tipo
commerciale, solo se rispetta questi criteri, altrimenti troverà posto solo in qualche impopolare
time-slot, per esempio le famose “ore di Dio” sulle reti americane, e solo se qualcuno paga per
quello spazio.
Inoltre, mentre all’interno delle strutture ecclesiali il contenuto del linguaggio della fede è sotto il
controllo dell’istituzione ecclesiale, nella trasmissione multimediale la lingua del contenuto di fede
è sotto il controllo dei produttori e dei managers dei media che possono o non possono conoscere
i re quesiti del linguaggio della fede.
Nel caso di nuovi media, inoltre, non vi è controllo alcuno, tranne da parte di chi crea il contenuto;
si tratta, pertanto, di una libertà totale. La Chiesa, in quanto “titolare” del linguaggio della fede,
può adattarsi a questa situazione, dato che le sue strutture comunicative sono diametralmente
opposte alle strutture comunicative dei medie, in particolare dei nuovi media?
Verranno ora fatte alcune proposte sperando possano essere utili nell’individuare una strategia
affinché il linguaggio della fede non finisca come il latino, che è oggi una lingua morta, tranne che
nella mente di alcuni nostalgici membri della Chiesa che ne desiderano la risurrezione nella
liturgia.
Sembra che la maggior parte della gente di Chiesa creda con forza e con fermezza che vi sia un
complotto mediatico contro la Chiesa stessa, quasi che tutti i media vogliano abolire il linguaggio
della fede dell’elenco delle lingue del mondo. Tale convinzione genera in questi membri della
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Chiesa un auto-confortante senso di martirio. Si alzano nelle assemblee comunitarie esclamando
che stanno soffrendo per Cristo, concludendo il loro intervento con la lode a Cristo per
l’opportunità del martirio. I fedeli ascoltatori – generalmente riuniti in qualche tipo di meeting
carismatico – applaudono in segno di sostegno e ammirazione.
Tale convinzione è molte volte, in realtà, una scusa per giustificare un atteggiamento di
inettitudine e di mancanza di creatività nell’adattamento intelligente del linguaggio della fede, e
per mascherare una carenza di esperienza a comunicarne i contenuti. Ciò significa che non ci siano
problemi … Poiché i media fanno di tutto per assicurarsi l’aumento degli ascolti, incenseranno
chiunque rafforzi la loro popolarità e fanno questo puramente per un ritorno economico legato al
rialzo dello share, dato che di questo godono i proprietari dei media. Il problema che si incontra
nel trovare un posto adeguato per il linguaggio della fede è un problema condiviso da altre
istituzioni. Basta chiedere e i politici diranno che i media hanno tramato una congiura contro di
loro, le persone di sinistra affermeranno che i media sono tutti contro di loro, quelle di destra
sosterranno che i media li odiano.
La sfida della religione alternativa. Il linguaggio della fede è modellato attraverso il linguaggio dei
media, a immagine e somiglianza della tecnologia dei media e delle loro strutture. Utilizzando
l’espressione “il linguaggio della fede” si è fin qui fatto riferimento alla fede cattolica. I media,
tuttavia, oltre a plasmare il linguaggio della fede cattolica, propongono e diffondono anche una
fede secolare generata da loro stessi. I media, in un certo senso, propongono anche una religione
alternativa: si potrebbe dire che i media elettronici, specialmente la televisione e sui nuovi media,
creano nuove religioni. Queste religioni secolari, come le religioni tradizionali, hanno i loro
miti/sistemi di credenze, i loro valori e i loro rituali. Probabilmente si trascura il fatto che i media
sono religiosi proprio perché la “religiosità” della televisione differisce dalla religiosità che
predichiamo o pratichiamo; esempi del catechismo di questa religione si possono trovare in diversi
libri che studiano l teologia dei Simpson, Il Vangelo secondo Disney …
Miti/dogmi. Eliade sostiene che il mito non è semplicemente una storia primitiva che è
stata superata dalla scienza moderna. Ogni cultura crea i suoi miti/sistemi di credenza come
risposta alle domande fondamentali dell’uomo riguardo il significato della vita, della morte e della
sofferenza. La religione ella tv e i nuovi media ci danno, per esempio, una soteriologia che è
solamente antropocentrica, come è ampiamente testimoniato in Superman e nei western …
Valori. La tv … predica che il raggiungimento della felicità si ottiene con l’acquisto di beni
materiali, che il consumismo è intrinsecamente buono, che la ricchezza e il potere sono più
importanti delle persone e che la sofferenza deve essere evitata a ogni costo. Tali stereotipi
diventano ricorrenti e abituali. La tv impone che gli artisti e non i santi siano i modelli da imitare. I
consigli vengono elargiti da … persone appartenenti al sistema dei media, piuttosto che dai
confessori e la confessione pubblica è diventata di rigore durante i programmi in diretta televisiva.
Rituali. … Il fascino elettronico della tv dà il potere a milioni di persone di fuggire dallo
spazio e dal tempo ordinario per entrare in siti sacri lontani migliaia di chilometri. La trasmissione
in diretta della televisione conferisce un’aura quasi rituale a vari eventi politici o sportivi. In tutto il
mondo, la tv trascina individui comuni dentro eventi straordinari e offre ciò che le religioni
tradizionali fornivano nel passato: cortei, folle, giorni speciali …
Elementi di una strategia. La sfida derivante dall’incarnazione del linguaggio della fede nel
linguaggio dei media non può essere risolta in un breve intervento nella cui conclusione si possono
proporre solo un paio di suggerimenti:
Il primato del pubblico. Trattando del linguaggio della fede e del linguaggio dei media, si è
affrontato l’aspetto della codifica/trasmissione alla luce delle esigenze della tecnologia dei media e
delle loro strutture. Ora è necessario esaminare l’aspetto della ricezione/decodifica. La nostra
strategia di comunicazione dovrebbe essere di tipo esistenziale, dovrebbe cioè porre al centro il
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pubblico (l’audience). Il pubblico non dovrebbe trovarsi solamente nel ruolo di ricettore passivo,
poiché esso è l’essere e il tutto di ciò che facciamo.
Si tratta di una prospettiva teologica che ha anche una sfumatura tattica a essa collegata;
dovremmo infatti rivolgerci alle speranze, alle ansie ed alle preoccupazioni esistenziali del
pubblico. Si assiste invece a una tendenza paternalistica nella Chiesa per cui si crede che le
preoccupazioni dell’istituzione ecclesiastica siano anche le preoccupazioni del suo pubblico.
Credendo di sapere tutto si tende a essere più orientati al messaggio che non al pubblico.
Bisognerebbe invece tenere presente che oggi le persone si stanno allontanando dalla religioneon-line (cioè dai siti controllati da chiese istituzionali per comunicare con i propri membri) per
avvicinarsi alla “online religione” (cioè siti dove il pubblico costruisce la propria religione): nasce
così una religione che il pubblico costruisce in risposta a propri bisogni.
Per questi motivi si dovrebbero affrontare i bisogni in modo creativo. “Oggi la tv sta abituando gli
spettatori a vedere da molte angolature diverse, da angolature che non avremmo mai nemmeno
immaginato. Dobbiamo fare la stessa cosa con i nostri testi … Un predicatore che adotti
un’inquadratura fissa può sembrare lento e pomposo a un pubblico abituato a rapidi cambi di
inquadrature” …
Una strategia costruita sulle storie della gente in carne e ossa. Le persone sono più
importanti dei concetti e bisogna comunicare a persone che vivono diversi contenuti del
linguaggio della fede. Quando una dottrina non fa la differenza per le persone reali nella loro vita
quotidiana, queste la rifiutano. Inoltre le persone reali amano incontrarsi con altre persone reali.
Tutto ciò non dovrebbe essere un problema, poiché il linguaggio della fede non riguarda la
comunicazione di concetti, bensì la comunicazione di una persona in carne e ossa: Cristo. Si tratta
allora di utilizzare diversi media per aiutare le persone a incontrare i diversi aspetti di Cristo e del
suo messaggio. Non vi è una soluzione adatta per tutto.
I mezzi di comunicazione di massa possono fare una cosa, mentre la comunicazione di gruppo, la
liturgia, i centri di formazione possono farne altre.
Un importantissimo mezzo è la narrazione. Ancora una volta, non ci dovrebbero essere problemi,
poiché questo metodo è stato ampiamente utilizzato da Cristo stesso. “Gesù si esprimeva in
parabile perché un linguaggio astratto e concettuale era inadeguato a trasmettere il cambiamento
che comportava il vivere nel regno di Dio. Le parabole fornivano un mezzo per attrarre i suoi
ascoltatori, coinvolgendoli in un nuovo modo di pensare e conducendoli verso una decisione senza
provocare atteggiamenti di difesa” … Le parabole sono ancora oggi un grande mezzo di
comunicazione; si rende così necessario creare le nostre storie e le nostre parabole
contemporanee, se vogliamo davvero comunicare la fede nel linguaggio dei media contemporanei.
Questi due elementi dovrebbero essere di aiuto nella costruzione di una strategia per un
linguaggio della fede che sia in sintonia con l’ambiente tecnologico e culturale che si sta creando
attraverso la tecnologia digitale, che è appunto la tecnologia oggi dominante. Questa tecnologia e
questa cultura sono caratterizzate, fra le altre cose, da convergenza e da una maggiore
interattività.
Tale ambiente culturale è più vicino alle radici culturali del cristianesimo rispetto alla cultura della
stampa, ma quest’ultima è ancora preponderante nella strategia di comunicazione adottata
nell’evangelizzazione dalla Chiesa, ed è ritenuta ancora da molti la cultura ideale per la
comunicazione del Vangelo.
La sfida sul futuro della comunicazione del linguaggio della fede passa invece proprio attraverso la
capacità di affrontare la questione in modo creativo, ed è questo che consente di avere uno
sguardo ottimista.
Joseph Borgh
in “Biemmi/Manicardi (a cura di), Linguaggio e linguaggi nella catechesi, Ed. Elledici 2013
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