Erba punteggiata di vacche?

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Unità
11
I TEMI: da un continente all’altro
Gerald Durrell
Erba punteggiata di vacche?
1 pampa: pianura priva di
boschi, compresa tra le
Ande cileno-argentine e
l’Oceano Atlantico.
2 gauchos: i mandriani del­
le pampas argentine.
3 pivieri: un tipo di volatile.
Continua a sorprendermi il fatto che tanta gente, in varie parti del
mondo, sembra non accorgersi della vita animale che la circonda. Per
essa, le foreste tropicali o le savane o le montagne in mezzo alle quali vive sono apparentemente prive di vita, e tutto ciò che vede è un
paesaggio sterile. Dovetti convincermene quand’ero in Argentina. A
Buenos Aires conobbi un tizio, un inglese, che aveva sempre vissuto
in quei luoghi. Quando seppe che mia moglie e io avevamo intenzione di andare nella pampa1 alla ricerca di animali ci guardò con un’aria
di genuino stupore.
«Ma, caro mio, non ci troverà un bel niente, laggiù!» esclamò.
«Perché no?» chiesi piuttosto perplesso, dato che mi sembrava una
persona intelligente.
«Ma la pampa è solo erba, tanta erba e basta» spiegò, allargando le
braccia nel tentativo di dare un’idea dell’estensione della superficie
erbosa. «Niente, caro mio, assolutamente niente, salvo erba punteggiata di vacche.»
Ora, come descrizione sommaria della pampa, questa non è così lontana dalla realtà, solo che la vita in quella vasta pianura non è costituita interamente da vacche e gauchos2. Nella pampa, quando si è
fermi e ci si guarda intorno lentamente, si può scorgere in ogni direzione la distesa d’erba, piatta come un tavolo da biliardo, interrotta
qua e là da macchie di cardi giganti, alti circa due metri, simili a maestosi candelabri surreali. Con quel cielo azzurro e infuocato che la
sovrasta, sembra veramente un paesaggio morto. Ma sotto il luccicante mantello d’erba e nella piccola foresta di fragili steli di cardo secchi,
quale straordinario fervore di vita! Nelle ore calde del giorno, cavalcando sullo spesso tappeto d’erba o addentrandosi in una foresta di
cardi giganti, dove i fragili rametti appena smossi crepitavano e scoppiettavano come fuochi d’artificio, c’era poco da vedere a parte gli
uccelli. Ogni trenta o quaranta metri, dei gufi appollaiati su ciuffi
d’erba accanto ai propri nidi, immobili ed eretti come ufficiali della
Guardia, fissavano i visitatori con un’espressione di stupore negli occhi gelidi. Se ci si avvicinava, essi accennavano un movimento di
danza in avanti e all’indietro, indice di agitazione, prima di prendere
il volo e roteare sopra l’erba con ali silenziose.
Inevitabilmente, la nostra avanzata veniva seguita e annunciata dai
cani da guardia della pampa, i pivieri3 dalle ali a sperone bianche e
nere, i quali correvano furtivamente avanti e indietro, abbassando la
testa di scatto e osservandoci attentamente. Alla fine si alzavano in
volo e cominciavano a girarci intorno ripetutamente, librandosi sulle
ali maculate e lanciando in continuazione il loro grido d’allarme
Erba punteggiata di vacche?
«Tero-tero-tero... Tero... Tero», che segnalava la nostra presenza per
chilometri e chilometri tutt’intorno. Non appena dato quello stridente avvertimento, altri pivieri, più lontano, lo riprendevano, finché
sembrava che tutta la pampa risuonasse dei loro gridi. Ogni creatura
veniva così messa in guardia e stava sul chi vive. Più avanti, dallo
scheletro di un albero morto, quelli che sembravano due rami secchi
prendevano improvvisamente il volo e si levavano alti in quel cielo
azzurro e caldo.
Erano falchi chimango, dal bel piumaggio bianco e dalle lunghe gambe sottili. Quello che avevamo scambiato per un ciuffo d’erba di eccezionali dimensioni si sollevava d’un tratto su un paio di gambe lunghe
e robuste per fuggire a grandi balzi sulla distesa d’erba, il collo proteso, compiendo bruschi scarti e serpeggiando fra i cardi selvatici. Scoprivamo allora che il nostro ciuffo d’erba era un rhea 4, rimasto accovacciato sino a quel momento nella speranza che passassimo oltre
senza notarlo.
Così, mentre eravamo piuttosto contrariati per la pubblicità data alla
nostra presenza, dovevamo essere grati ai pivieri che, contribuendo a
spargere il panico fra gli altri abitanti della pampa, li costringevano a
mostrarsi.
Ogni tanto capitavamo davanti a un laguana, un laghetto poco profondo bordato di giunchi e di qualche alberello rachitico. Vi dimoravano grosse rane verdi che saltavano addosso a chiunque si azzardasse a molestarle, emettendo paurosi gorgoglii. A cacciare le rane, poi,
erano certi sottili serpentelli che scivolavano sull’erba e le cui striature grigie, nere e vermiglie rammentavano le cravatte indossate un
tempo dagli studenti in Inghilterra. Fra i giunchi eravamo quasi sempre sicuri di trovare un nido di palamidea, uccello dall’aspetto di un
grosso tacchino grigio. Il piccolo, giallo come un ranuncolo, stava
accovacciato nella lieve depressione di-quel terreno cotto dal sole, e
rimaneva immobile persino quando le gambe di uno dei nostri cavalli lo sfioravano, mentre i genitori zampettavano intorno freneticamente, lanciando gridi d’allarme che parevano suoni di trombette, frammischiati a istruzioni, in tono più smorzato, dirette al loro rampollo.
Questa era la pampa durante il giorno. Di sera, mentre eravamo sulla
via del ritorno, il sole tramontava in uno sfolgorio di nubi colorate, e
sui laguana scendevano rapide le anatre che, atterrando, facevano
increspare la liscia superficie dell’acqua. Piccoli stormi di spatole calavano fluttuando come nuvole rosate, alla ricerca di cibo negli specchi
d’acqua, in mezzo a un turbinio di cigni dal collo nero.
Cavalcando fra i cardi, mentre l’oscurità aumentava, si potevano incontrare gli armadilli che, procedendo curvi e decisi, trottavano come
strani giocattoli meccanici per compiere le loro scorribande notturne
in cerca di rifiuti; o accadeva d’imbattersi in una moffetta dal mantello bianco e nero rilucente nella semioscurità, che senza spostarsi e
4 rhea: uccello simile allo
struzzo.
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tenendo la coda rigidamente eretta, batteva ripetutamente il suolo con
la zampa anteriore in segno di petulante avvertimento. Ecco, dunque,
quanto vidi della pampa in quei primi giorni. Il mio amico aveva
passato la vita in Argentina e non si era mai reso conto dell’esistenza
di questo piccolo mondo animale. Per lui la pampa non era altro che
«erba punteggiata di vacche». Lo compiansi.
G. Durrell, Incontri con animali, trad. di A. Ponti, Adelphi
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