l`unità del mediterraneo tra storia e natura prof . daniele casanova

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“L'UNITÀ DEL MEDITERRANEO TRA
STORIA E NATURA”
PROF. DANIELE CASANOVA
Università Telematica Pegaso
L'Unità del Mediterraneo tra Storia e Natura
Indice
1
L’AMBIENTE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2
IL MEDITERRANEO TRA STORIA E NATURA --------------------------------------------------------------------- 5
3
DALL’UNITÀ ALLA DIVERSITÀ ---------------------------------------------------------------------------------------- 9
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’ambiente
L’ambiente mediterraneo è caratterizzato da un tipo di vegetazione comune a tutte le regioni
che si affacciano sul mare. Tipica è la cosiddetta macchia mediterranea, frutto dell’intervento
umano sulla primitiva foresta, formata in prevalenza da olivastri e lecceti.
Tra le diverse varietà di piante aromatiche spiccano la menta, il rosmarino, la lavanda e il
timo; tra quelle arbustive, corbezzoli, lauri, lentischi e pistacchi; molto diffusi sono gli alberi da
frutto e alcune colture, tra cui il grano, la vite e l’ulivo: la “triade mediterranea”, che ancora oggi
costituisce la base dell’alimentazione delle popolazioni dell’area mediterranea.
Naturalmente, il paesaggio rurale, da una regione all’altra, può presentare notevoli variazioni
che se da una parte sono legate a fattori di ordine naturale, come il clima, le caratteristiche del
suolo, la vegetazione o l’attività orogenetica, dall’altra risulta il prodotto delle vicende storiche, e
cioè dei bisogni materiali delle popolazione che la abitano e dei relativi processi di trasformazione
socio-economici e politici. La fioritura dei centri urbani, sia nel mondo islamico che in quello
cristiano-occidentale, ad esempio, richiedeva la formazione, ai suoi margini, di un’estesa zona
produttiva, dalla quale dipendeva l’approvvigionamento dei suoi abitanti.
Nel periodo in cui gli Arabi si insediarono nella penisola iberica e in Sicilia lasciarono più di
una traccia sia sul sistema di vita delle popolazioni sia sul paesaggio. In particolare, durante il loro
dominio, l’allevamento degli ovini ebbe grande impulso come si comprende anche dalla
terminologia relativa alla pastorizia, che è in gran parte di origine araba. L’influenza islamica fu
ancora maggiore sulle pratiche agricole. Provenienti da regioni aride, gli arabi sapevano bene come
utilizzare al meglio le risorse idriche.
Tra le loro innovazioni tecnologiche introdussero nel mondo latino la noria, una macchina
usata per attingere acqua dai pozzi e avviarono sistemi di irrigazione dei campi, alla base di una
coltivazione intensiva e prospera. Nuove piante e diverse qualità di ulivo furono portate dall’Africa.
Accanto alle vecchie colture furono introdotte la canna da zucchero, il cotone, lo zafferano, il grano
saraceno, il gelso e il riso, quasi tutte provenienti dall’Oriente. Anche la frutticoltura fu
incrementata ed arricchita con diverse varietà: arance e limoni, albicocche, fichi e melagrane.
Infine, furono trapiantati in Europa nuovi ortaggi, tra cui la melanzana.
Intorno al XIII secolo, lo sviluppo dell’agricoltura intensiva e dell’allevamento estensivo
costituirono il tratto caratteristico dell’economia rurale mediterranea occidentale. Le vaste zone
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dell’immenso tavolato della Spagna centrale, dove le piogge sono scarse, erano più adatte al pascolo
che alla coltivazione, pertanto la pastorizia si sviluppò in maniera rilevante. Tra le caratteristiche
principali dell’allevamento ovino vi era l’organizzazione della rete di tratturi, cioè le piste tracciate
per unire i terreni da pascolo estivi situati nelle regioni settentrionali con quelli invernali a sud. La
migrazione verso il nord iniziava in autunno, il ritorno in primavera. Durante il percorso le pecore
venivano tosate e la lana veniva portata alle grandi fiere e poi avviata agli scali portuali
settentrionali e di lì spedita in Italia, Francia, Inghilterra e Fiandre.
L’esistenza di grosse greggi transumanti diede vita alla Mesta, una potente organizzazione
economica degli allevatori castigliani in grado di condizionare la vita politica della penisola. Nella
Francia mediterranea, sebbene la transumanza fosse ampiamente praticata nelle regioni centrali e
meridionali, non esisteva un'organizzazione come quella spagnola. Anche qui, come in Spagna,
erano coltivati la vite, l’ulivo e gli alberi da frutto. Nelle lagune costiere si produceva il sale, mentre
nella valle del Rodano, attraverso la coltivazione del gelso si gettavano le basi di quell’industria
della seta che sarebbe fiorita nel XVI e XVII secolo.
Le affinità maggiori con la Spagna le troviamo nella penisola italiana. Nella parte
meridionale, già durante la dominazione Sveva le migrazioni degli armenti erano protette da norme
codificate e, successivamente, sotto gli Aragonesi furono importate nel Regno le pecore di razza
merinos e introdotte una serie di riforme allo scopo di favorire la pastorizia e aumentare il gettito
dei pedaggi derivanti dalla transumanza. In particolare, ai pastori e ai mandriani abruzzesi fu
imposto di portare le greggi da metà settembre a metà ottobre esclusivamente nel Tavoliere delle
Puglie, dove fu proibita la coltivazione e furono tracciati dei tratturi larghi più di centro metri e
lunghi oltre duecento chilometri, tra cui il cosiddetto “Tratturo del Re” che andava dall’Aquila a
Foggia.
Nella parte settentrionale della penisola italiana, invece, nella pianura padana, le
caratteristiche mediterranee si fondevano con quelle dell’Europa continentale. Sin dall’XI secolo in
quest’area furono avviate opere di irrigazioni in zone sterili e create dighe di protezione contro le
piene del Po, in particolare nelle lagune adriatiche, come quelle di Comacchio, si produceva il sale.
Il gelso era ampiamente diffuso, mentre il riso comparve verso la fine del XV secolo.
Nel Mediterraneo orientale, solo la fascia costiera che va dalla Dalmazia alla Grecia, aveva
clima e prodotti tipicamente mediterranei. In particolare nella Morea, la regione della penisola che
deve la sua denominazione al nome greco dell’albero di gelso (morìa), oltre la seta, si producevano
vini (malvasie) e uvetta.
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2 Il Mediterraneo tra storia e natura
Il Mediterraneo, il mare “fra le terre”, costituisce innanzitutto uno spazio esiguo se
rapportato ad altre aree geografiche del globo, attorno al quale si è sviluppato nel tempo un insieme
geo-politico e storico, la cui varietà e complessità, per innumerevoli aspetti, non trova confronti con
altre aree geografiche. Innanzitutto, è stato un crocevia, una via di navigazione, caratterizzata da
una costa frastagliata e da grandi e piccole isole (queste ultime prevalentemente europee), che
hanno facilitato, sin dalla remota antichità contatti, scambi e il fiorire stesso delle civiltà, da quella
greca a quella romana, dall’islamica a quella occidentale.
Nel Mediterraneo avvenne la prima rivoluzione tecnologica, quella della scrittura, che ci ha
permesso tra l’altro la trasmissione della memoria. I primi conservatori della memoria furono i greci
e la loro civiltà è interamente legata al Mediterraneo.
Ai tempi dei greci il Mediterraneo era considerato come l’estremità occidentale del
continente euro-asiatico. Ed è in questo periodo che avviene il primo tentativo di unificazione della
riva sud orientale del Mediterraneo, legato alla figura di Alessandro Magno (356-326 a.c.), che a
partire dal 336 a. c., in soli dodici anni, conquistò l'Impero Persiano, l'Egitto ed altri territori,
spingendosi fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Un disegno, quello di
unificare una parte del Mediterraneo, infranto dalla sua precoce scomparsa. Le sue vittorie,
accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi
culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca.
Il suo straordinario successo, già durante la sua vita ma ancor più dopo la sua morte, ispirò
una tradizione letteraria in cui egli appare come un eroe mitologico. Dopo la morte di Alessandro,
avvenuta a Babilonia il 10 giugno del 323 a.C., il suo impero fu suddiviso tra i generali che lo
avevano accompagnato nella sua spedizione e si costituirono così i regni ellenistici, tra cui quello
Tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia
Minore, e negli altri territori orientali.
Fra le tracce che ancora oggi rimangono delle grandi conquiste alessandrine vi è la città di
Alessandria d’Egitto, fondata dal condottiero macedone intorno al 331 a. C., la “porta del
Mediterraneo”, il punto in cui per molti secoli si concentrò il sapere del mondo. Ad Alessandria, tra
l’altro, visse e lavorò Tolomeo, considerato uno dei padri della geografia, dell’astrologia e
dell’astronomia, autore di importanti opere scientifiche, la principale delle quali è il trattato
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astronomico noto come Almagesto e la Geografia,
la cui rappresentazione del Mediterraneo
praticamente resterà intatta sino alla fine del periodo medievale.
L’unificazione politica del Mare nostrum si realizzerà sotto le insegne dell’impero romano.
Un’unità plasmata attorno ad una grande metropoli, un impero mediterraneo che arriverà, nella fase
della sua massima espansione, sino alle soglie dell’Iran, del Caucaso e dell’Asia centrale, una
delimitazione che ancora oggi tende a riproporsi in alcuni inquadramenti attuali degli interessi
geopolitici europei e dello stesso scacchiere mediterraneo. Un altro collante che ci dà la dimensione
mediterranea dell’impero è l’eredità della cultura greca, colta con sorprendente acume dalla
scrittrice Marguerite Yourcenar. Nelle “memorie di Adriano” fa dire all’imperatore al culmine del
suo dominio “Il mondo l’ho governato in latino, ma l’ho pensato in greco”.
Con il disgregarsi di Roma, così come avverrà in seguito alla caduta di tutti gli imperi
successivi, le fratture prendono il sopravvento. Da Carlo Magno in poi e sino alla conquista di
Costantinopoli, riferendosi al Mediterraneo, per l’ambito cristiano, si parlava di uno spazio che
arrivava sino al Baltico e da Costantinopoli sino alle steppe russe per l’ambito ortodosso. Difatti,
agli albori dell’anno Mille, la divisione tra un mondo mediterraneo cristiano-bizantino sulla sponda
centro-orientale e un mondo musulmano a sud-est è ancora intatta.
È solo dopo l’XI secolo che nel confronto/scontro tra Bisanzio e l’Islam s’inserisce un
nuovo protagonista: l’Occidente latino, che diventerà rapidamente il terzo attore della storia
mediterranea e volgerà, a suo favore, gli equilibri politici ed economici dell’intera regione. Non più
due, quindi, ma tre grandi aree politico-culturali: l’area musulmana, l’area greca-ortodossa e quella
cattolica-latina, caratterizzeranno, attraverso il loro continuo confronto, la storia del Mediterraneo
dal X secolo sino alla conquista turca di Costantinopoli nel 1453. Non si trattava solo di una
divisione religiosa, le implicazioni su altri piani, dall’economia alla politica, erano di enorme
importanza.
Con la scoperta dell’America viene infranta la barriera dell’Oceano, il Mediterraneo non
appare più come l’estrema propaggine occidentale del mondo euro-afro-asiatico. È, tuttavia,
interessante osservare che appena acquisito il senso della totalità geografica del globo, si sia subito
osservato da parte dei gesuiti che in nessun’altra parte esistevano “altri Mediterranei” e ciò non solo
in senso geografico. Dopo la metà del Cinquecento, le fratture in seno al Mediterraneo si acuiscono.
Esse non sono solo di natura politica o religiosa, ma riguardano la schiacciante prevalenza
dell’Europa atlantica nel campo dell’artiglieria, delle innovazioni tecnologiche, delle tecniche di
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costruzione, che implicheranno, a parere di molti storici, una marginalizzazione del mondo
mediterraneo.
La battaglia di Lepanto (1574), se da una parte stabilizzava la frontiera religiosa, politica e
culturale tra l’area cristiana e quella islamica, dall’altra decretava il declino dei due maggiori
contendenti: l’impero spagnolo e quello ottomano. Da allora il Mediterraneo perde la sua centralità
e il suo posto nei commerci e nella cultura europea è occupato dall’Atlantico settentrionale. Da
questo momento diventa un mare secondario, nulla poté più rinnovare gli splendori bizantini,
islamici e dei paesi cattolici, che dal primo medioevo sino al Rinascimento avevano fatto del
Mediterraneo il motore della storia.
Fu proprio allora tra la metà del XVII e sino al XIX secolo che prende corpo l’idea di una
“civiltà mediterranea”, caratterizzata da una sua peculiarità culturale rispetto a quella di un’Europa
atlantica maggiormente sviluppata. La sua immagine come patria della civiltà si spostò nel passato e
affiorava così un senso di superiorità nordica, suffragata dalla conquista inglese del mare nel
periodo tardo-settecentesco. Furono le scoperte archeologiche avvenute proprio a Napoli a metà
Settecento (Ercolano e Pompei), la formazione delle scienze esatte e la scoperta dell’Egitto, dopo la
spedizione di Napoleone (1798) ad avviare quella che alcuni studiosi chiamano l’”invenzione del
Mediterraneo”.
Con l’apertura del Canale di Suez nel 1869, quando la rivoluzione industriale rese ancora
più periferica l’area, sembrò, tuttavia, che per il Mediterraneo si aprissero di nuovo le porte della
grande storia. La marcia trionfale dell’Aida, commissionata nel 1871 a Giuseppe Verdi dal sultano
egiziano per l’apertura del Canale, esprime la percezione di una nuova rinascita storica, di un nuovo
splendore del mondo mediterraneo. Non fu così, in quanto la nuova via commerciale non sconvolse
i traffici che passavano per le rotte atlantiche. Anzi, dopo l’acquisto inglese nel 1875 delle azioni
della Compagnia che gestiva il Canale di Suez e il protettorato inglese imposto all’Egitto nel 1882,
Londra completò quella penetrazione mediterranea, iniziata alla fine del Cinquecento, estendendo il
suo dominio da Gibilterra a Malta e da Cipro all’Egitto.
L’età del colonialismo e dell’imperialismo, in cui la storia dei paesi colonizzati viene
rimodellata in funzione degli interessi dei conquistatori, vede da un lato il disfacimento di due
imperi multinazionali l’impero ottomano e asburgico, e dall’altro l’ascesa di due paesi non
mediterranei, Giappone e Stati Uniti d’America, fra le massime potenze mondiali. Persino durante
la prima e la seconda guerra mondiale, quando l’area fu teatro di importanti accadimenti politici e
militari, i destini del Mediterraneo e del mondo furono decisi altrove.
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Dopo il disfacimento dell’impero ottomano, l’assetto politico dello spazio mediterraneo
nasce da una spartizione fatta a tavolino dalle maggiori potenze di allora. Nascono così nuove entità
statali come il Libano, l’emirato della Transgiordania, l’Iraq e così via. Anche se tra le due guerre
entra in scena un nuovo protagonista: il petrolio, il cui controllo, insieme all’indipendenza dei paesi
arabi, ha favorito la nascita di nuovi conflitti locali e internazionali. Infine, su scala locale e
regionale, non bisogna dimenticare, anche in virtù dei cambiamenti climatici e della crescita
demografica, le tensioni crescenti legate al controllo dei bacini idrografici. Ad esempio, nelle zone
aride e siccitose, come le coste sud orientali e parte della Mesopotamia, la possibilità di soddisfare il
fabbisogno di questo bene è legato alla Turchia che controlla i corsi superiori del Tigri e l’Eufrate.
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3 Dall’unità alla diversità
La fine della civiltà mediterranea e della sua unità nel mondo classico non sembra
determinarsi tra il IV e il V secolo durante il periodo delle invasioni barbariche, bensì all’epoca
delle conquiste islamiche nel VII e VIII secolo. Cominciò allora, scrive il grande storico Henri
Pirenne, “una lacerazione, che durerà fino ai nostri giorni.
Sulle rive del Mare nostrum si stendono ormai due civiltà differenti ed ostili”. Lo
spostamento dapprima verso nord del centro di potere politico europeo, contrassegnato
dall’incoronazione a imperatore di Carlo Magno (800), e poi verso nord-est, con la formazione del
Sacro Romano Impero in Germania (1157), fu causato dal fatto che gli Arabi avevano privato gli
Europei della principale via degli scambi commerciali: il Mediterraneo. La conquista araba, a
giudizio di Pirenne, riducendo il raggio d’azione del mondo bizantino, aveva trasformato il lago
romano in un lago musulmano. Questa e non l’invasione germanica fu la causa che determinò in
Occidente la crisi dei commerci, la scomparsa delle città e la presenza di un’economia interamente
agraria.
Questa posizione, nota come “tesi di Pirenne”, fu enunciata nel 1937 in un’opera postuma
dal titolo Maometto e Carlomagno. Il libro, al di là delle critiche sollevate – molti storici ritengono
che l’inizio della crisi occidentale fosse anteriore all’espansione musulmana e che i traffici nel
Mediterraneo non cessarono affatto con l’avvento dell’Islam, semmai furono rivitalizzati dagli
stessi Arabi – ancora oggi, rimane una delle opere principali per la comprensione del processo di
formazione della civiltà europea dopo il tramonto di quella antica e ad esso si deve anche il merito
di aver dato impulso, non solo tra gli studiosi europei, a tutta una serie di ricerche, che hanno
enormemente allargato le nostre conoscenze sulla storia del mondo islamico e sulla società
mediterranea nel periodo altomedievale.
L’interpretazione di Pirenne pone, infatti, in rilievo un aspetto tutt’altro che marginale.
L’attacco all’Impero bizantino portato allora dagli Arabi se da una parte determinò una frattura tra
Oriente e Occidente, dall’altra creò nel Mediterraneo centro-occidentale, sino ad allora sotto il
dominio di Bisanzio, un vuoto di potere politico. L’assenza di una forte autorità centrale avviò un
notevole dinamismo nel mondo latino, in particolare nel Regno dei Franchi (si pensi
all’unificazione dell’Europa centro-settentrionale sotto i carolingi) e dentro la stessa Chiesa romana
(si pensi alle innumerevoli dispute dottrinarie intercorse tra Roma e Bisanzio e alle lotte per la
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supremazia tra il Papato e l’Impero), veri e propri prodromi di quell’espansione del modo
occidentale che si realizzerà, in diversi modi, più compiutamente a partire dal XII-XIII secolo.
Difatti, agli albori dell’anno Mille, la divisione tra un mondo mediterraneo cristiano-bizantino sulla
sponda centro-orientale e un mondo musulmano a sud-est è ancora intatta. E’ solo dopo l’XI secolo,
come si è detto, che nel confronto/scontro tra Bisanzio e l’Islam s’inserisce un nuovo protagonista:
l’Occidente latino, che diventerà rapidamente il terzo attore della storia mediterranea e volgerà, a
suo favore, gli equilibri politici ed economici dell’intera regione. Non più due, quindi, ma tre grandi
aree politico, culturali, economiche, sociali e religiose: l’area islamica, quella bizantina e quella
latina, caratterizzeranno per oltre cinque secoli, a partire dal X secolo, la storia del Mediterraneo.
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