INCONTRO DSA 9 MARZO 2012 “Riflessioni sul testo, comprensione del testo, ortografia.” De Beni : comprensione del testo Cornoldi: disortografia Bellagamba: presentazione di un caso Cornoldi. Andremo a trattare gli aspetti della competenza di scrittura, la valutazione della competenza ortografica, la disortografia, gli interventi sulla competenza ortografica in associazione con l’abilità di produzione del testo. Tutto questo per entrare un pochino nel mondo della disortografia. Quindi parliamo di scrittura con un focus sulla disortografia. La scrittura significa 3 cose fondamentali: grafismo, ortografia, produzione del testo come produzione dei pensieri. Di fatto ricordo che dal punto di vista dei meccanismi psicologici sottostanti questi 3 aspetti sono molto diversi. L’aspetto del grafismo è legato allo sviluppo psicomotorio, l’aspetto della competenza ortografica è legata allo sviluppo di certe competenze linguistiche in cui la fonologia gioca un ruolo fondamentale; l’aspetto della produzione del testo è legato invece alle funzioni esecutive, all’organizzazione, alla pianificazione, all’ideazione. Qui i meccanismi ch ela mente ha implicato in questi tre tipi di apprendimenti sono differenti. A questi 3 aspetti corrispondono 3 disturbi differenti che sono chiamati disgrafia, disortografia e disturbo della funzione del testo. In realtà, quando vediamo un bambino concretamente possiamo renderci conto che il disagio di un aspetto di fatto va a riflettersi in problemi anche in altri aspetti. Un bambino che si sente insicuro nella competenza ortografica magari scrive dei testi più poveri, non va a cercare di usare parole difficili per non rischiare troppo, si limita ad un componimento più stringato per non vuole vedere contati i suoi errori. Quindi possono esserci vari tipi di condizionamenti. Un altro problema legato al bambino disortografico è che se viene troppo richiamato per gli errori, dedica tutta la sua attenzione a cercare di evitare gli errori e non ha una ideazione sciolta e magari anche per questo diventa più povero. In realtà la debolezza in un punto può riflettersi anche in una debolezza in un altro punto. Anche il grafismo può influenzare la produzione del testo scritto, per esempio il bambino che è molto lento in scrittura non riesce a stare dietro ai suoi pensieri, perché i suoi pensieri corrono, magari ha una buona fantasia e una buona capacità ideativa, però mentre lui ha scritto la terza parola, la sua mente ha già pensato tante altre belle cose che si perdono. Anche la stesura del testo può essere penalizzata dalla lentezza di scrittura. I bambini vengono valutati anche nella velocità di scrittura (scuola di Padova) proprio per vedere se il bambino è sufficientemente veloce. Questa è la scuola di Padova che si caratterizza proprio per l’attenzione alla velocità. Quando noi nel 1980 abbiamo introdotto questo, siamo stati criticati perché andavamo a vedere quanto era spedito il bambino quando leggeva, mentre l’attenzione allora era rivolta agli errori, a quanti errori faceva nel leggere. Ma anche se il bambino non fa errori, ma legge lettera per lettera, il bambino rimane indietro rispetto ai compagni, non riesce a stare al passo. Adesso tutto il mondo da per scontato che nelle lingue trasparenti come l’italiano conta molto di più la velocità di lettura che l’accuratezza di lettura, perché se un bambino in I elementare legge lettera per lettera formalmente gli errori non li fa, però è lentissimo e non sta al passo con i compagni. È vero che in lettura conta ancora di più l’automatizzazione, ma anche quando si scrive, anche quando si fanno i numeri, se uno è lentissimo anche se è accurato resta indietro e non riesce a stare al passo con una serie di conseguenze. Può essere interessante questo anche in scrittura perché può essere penalizzata la capacità ideativa, il pensiero sa costruire tante belle idee da mettere in un tema, ma la stesura è rallentata e quindi non può venire bene. Il mio rapporto con la scuola era migliore prima della legge, prima io raccontavo del bambino dei problemi che avevo visto dopodiché ci si sentiva telefonicamente e insieme si collaborava. Ogni bambino aveva una sua storia. Invece adesso con questa storia che è stato dichiarato DSA, che deve fare il PDP, che a volte diventa meccanico, dispensativo, ecc,si è rotto un po’ quel bel rapporto. Io ancora ci provo a non dire semplicemente che quel bambino è DSA fate quello che è previsto, ma cerco di dire che quel bambino potrebbe essere aiutato così. A volte chiedo tolleranza agli insegnanti, perché non sarebbe nei valori estremi di DSA, ma ha tanto bisogno. Se vi capitano poi quei bambini non diagnosticabili ma deboli dappertutto, con una motivazione bassissima, va in agitazione, l’attenzione non la tiene, non è un vero DSA ma lo dobbiamo ignorare perché non rientra in nessuna legge? Invece un altro è intelligentissimo, potrebbe compensare benissimo però la famiglia vuole la diagnosi DSA che lo porta all’esenzione di tante cose. È più un rapporto umano e di qualità che deve esserci all’interno della scuola. E anche bambini con disturbo non verbale, che hanno un estremo disequilibrio tra le loro funzioni verbali che sono ottime e le loro funzioni non verbali che sono debolissime, fanno fatica anche a fare un disegno elementare, a combinarsi sul piano motorio, fanno fatica a mettere in fila dei numeri, hanno una grande labilità emotiva. Quando gli diamo un po’ di attenzione a questi casi che hanno più bisogno di un DSA? La Legge 170 ci ha messo in imbarazzo, perché la legge anziché parlare di disagio dell’apprendimento ha semplicemente diviso tra bambini che hanno un disturbo e bambini che non hanno un disturbo. Per evitare di patologizzare metà della popolazione scolastica si è fissata solo su alcuni aspetti strumentali di base e cioè solo sul grafismo, solo sull’ortografia, solo sul calcolo di base, solo sulla decodifica e non sulla comprensione. Adesso si rischia di dare troppa importanza ad una brutta grafia piuttosto che alla produzione di un testo ed è un po’ questo il limite della legge. Esistono dei problemi nel produrre un testo, che è una cosa importantissima, perché gli adulti devono essere in grado di produrre un testo (una relazione, una lettera, ecc.) ed è fondamentale ma non è considerato, mentre invece viene considerato il grafismo, di cui è raro che si possa fare una vera diagnosi. L’AIMPA, l’associazione di cui sono presidente, ha fatto un documento per ammonire chi fa diagnosi alla leggera di disgrafia. È un documento approvato dai maggiori esperti nazionali. È un termine di riferimento per l’aspetto della disgrafia. Adesso ci impegneremo per un documento simile per la diagnosi di disortografia, perché anche lì ci sono molti gradi di libertà. La legge l’ha riconosciuta, è un problema grosso perché se il bambino fa molti errori bisogna in qualche modo aiutarlo e tutelarlo al tempo stesso, però non è chiaro quando veramente si possa parlare di disortografia e sempre non è facile distinguere tra un bambino che ha un problema intrinseco, nasce con una sua difficoltà tipicamente legata all’analisi dei suoni linguistici e quindi non è colpa sua se fa tanti errori, oppure se li fa per motivazioni più “basse”. Non è facile distinguere in questi casi. Cominciamo ad entrare nella riflessione su un bambino che fa molti errori quando scrive un testo. L’insegnamento che abbiamo ricavato negli ultimi 20 anni è che per capire il profilo e aiutare un bambino che impara o ha un problema di apprendimento, è bene avere un modello di apprendimento. Negli anni 80 sembravano più importanti i modelli di funzionamento, che ti dicono come la mente funziona quando fa qualche cosa. Un modello di apprendimento invece ti dice come arrivi a fare quelle cose lì. Per capire la disortografia dobbiamo fare riferimento ad entrambe le cose: un modello di apprendimento dove si arriva alla competenza e un modello di funzionamento dove si esplicita la competenza. Due modelli classici che molto hanno influenzato la ricerca psicopedagogica del secolo scorso: il modello di UTA FRITH (1985) di come si può pensare che un bambino, piano, piano arrivi a sviluppare una competenza ortografica. Molti modelli avevano già messo in luce il rapporto che c’è tra imparare a leggere e imparare a scrivere. Noi usiamo quella espressione comica di letto-scrittura perché vogliamo dire che le due cose sono connesse, molto fuse assieme. In questo modello l’idea era già espressa perché da un lato c’è la scrittura e dall’altro la lettura. All’inizio un bambino vede delle forme grafiche legata a quella consapevolezza linguistica precoce, si è dimostrato che già a 4 anni un bambino riconosce che cosa è un disegno e cosa è una forma scritta e riconosce certe forme, e questa è la fase della lettura che viene chiamata pregrafica e comincia a giocare, a far finta di scrivere. Questo far finta di scrivere lo può portare a giocare con qualche letterina e la scrittura in qualche modo precede il momento di riconoscere le letterine nella lettura. La prima familiarizzazione con le letterine lo porta poi alla familiarizzazione di gruppi di lettere tanto in lettura quanto in scrittura (stadio logografico). Questo stadio ortografico è molto importante che per esempio i modelli di funzionamento hanno spesso trascurato. I modelli di funzionamento dicevano che quando uno legge o scrive usa la via fonologica, cioè pensa lettera per lettera, oppure usa la via diretta e pensa parolina per parolina. Invece oggi siamo consapevoli che non esistono solo questi due momenti, esiste un momento molto significativo che è rappresentato da quello che qualcuno chiama sub lessicale oltre che lessicale, o ortografico, che è il cominciare a familiarizzare con morfemi, con desinenze tipiche, con sillabe ricorrenti, c’è questo momento intermedio molto importante. Specialmente quando l’alunno lavora con paroline un po’ più lunghe, perché non è che magicamente dal lavoro sulla singola lettera passa al lavoro sulla parola che diventa per lui qualcosa di globale, c’è questa fase significativa intermedia che per il recupero dei DSA è molto critica, utile e sensibile, attraverso la quale si arriva alla fase lessicale in cui uno legge una parola, la riconosce come parola o scrive una parola e la riconosce come parola. Noi adulti prevalentemente usiamo la competenza lessicale, ormai l’adulto ha l’accesso diretto alla rappresentazione ortografica della parola che include anche un programma motorio, nel tracciare i simboli. Modelli di funzionamento descrive come la mente funziona quando legge o quando scrive: scrive dei fonemi e dei grafemi e poi o fa l’associazione fonema-grafema, oppure usa la via che lavora sull’intera parola. È un po’ riduttivo della complessiva della mente che apprende e dell’evoluzione delle competenze, ma la neuropsicologia dell’alunno è stato largamente influenzata da questi modelli classici di funzionamento. Chi i conosce sa che ho sempre dato tanta importanza alla valutazione, nel mio lavoro trentennale se non avessi fatto un lavoro di valutazione non avrei potuto poi fare un lavoro di promozione di competenze, quindi trovo utile avere un’idea di quale è il livello del bambino, quanto intensa è la difficoltà e in quali aspetti si esplicita la difficoltà. Tanti gruppi hanno costruito prove per la valutazione della competenza ortografica. Le prove che usiamo noi sono pubblicate dalla Organizzazioni Speciali, ma anche la Erikson ha pubblicato qualcosa sulla valutazione ortografica, ma alcune valutazioni sono molto semplici. Un esempio di prove che usiamo è il dettato di frasi con parole omofone: usiamo frasi con parole omofone per vedere se il bambino è capace non solo di fare analisi fonologica, ma anche di avere una rappresentazione lessicale: - La mamma seduta in riva la lago, stava cucendo i pantaloni con l’ago. Ad ogni inizio d’anno, le persone danno delle feste per gli amici Se il bambino non ha la rappresentazione di come si scrive quella parola, con quel significato, non riesce a distinguere quando deve usare l’apostrofo; non è più un problema di consapevolezza fonologica, a anche della relativa rappresentazione ortografica del lessico mentale. In base ai prodotti che fa il bambino si può arrivare a classificare gli errori in molti modi differenti; noi che siamo convinti che la classificazione debba avere un senso per l’intervento, cerchiamo di vedere quale classificazione implica, a seconda del tipo di errore, una modalità diversa di lavoro con il bambino. Una classificazione come questa della slide semplifica troppo, è opportuno andare un po’ più avanti a vedere quali sono gli errori più ricorrenti, ma è il punto di partenza e ci sono 3 categorie fondamentali di errori: errori fonologici: se io rileggo quello che ho scritto suona una parola diversa. Indubbiamente gli errori fonologici possono richiedere una articolazione successiva, perché per quanto ancora sia un po’ deludente, vedo che un modo efficace per lavorare sulle competenze ortografiche è proprio lavorare sui tipici errori fonologici. errori non fonologici: tipo lago scritto sbagliato; se io lo leggo suona come si dice errori di rifinitura: sono degli errori riferiti a cose molto ostiche per i bambini italiani, che sono le doppie e agli accenti. Accenti apostrofi e doppie sono tutti errori fonetici, anche se sulle doppie c’è qualcuno che ha delle perplessità perché, almeno nella lingua italiana, se viene letta come doppia o come grafema singolo assume suoni diversi. Sono gli errori che sopravvivono più a lungo nella produzione dei testi italiani. Se abbiamo la fortuna di individuare che hanno degli errori tipici ricorrenti, è inutile fare un lavoro completo su tutta la competenza ortografica. Ad esempio mi sono capitati dei casi che si perdevano con i gruppi nasali e labiali: allora è inutile fare altre cose. Altri si perdevano con il gruppo “sc”, e quindi si lavora solo su quello. Questi casi sono molto fortunati perché rappresentano non un disturbo disortografico, ma un incidente di percorso isolato che può essere corretta con un lavoro mirato. Molto interessante è la slide relativa alla percentuale di errore che compaiono nei bambini dei tre tipi: siamo in 2 elementare, su 100 parole potrebbero comparire 12 errori di doppia e accento e compaiono 10 errori fonologici e non fonologici. Poi tutti i bambini hanno una evoluzione naturale e riducono gli errori e già in V i dati indicativi scendono. Gli errori non fonologici hanno questa fisionomia un po’ particolare, e sono molto frequenti, perché il bambino ha lavorato sul fonologico. Con il metodo globale ti porta ad accelerare l’acquisizione dell’accesso diretto alla parola. Quando nel 1948 l’Unesco ha fatto un documento per invitare tutte le scuole del mondo ad usare il metodo globale è perché si riconoscevano tutti i risvolti importanti del metodo globale, cioè di comunicare subito la funzione di significato e comunicativa della scrittura e della lettura e quindi c’era questo messaggio forte associato a tutta una serie di pedagogisti famosi. Io che sono un po’ malizioso penso anche che l’Unesco facesse questa raccomandazione perché c’era una esigenza pressante, postbellica di fare alfabetizzazione diffusa il più rapidamente possibile. Il metodo globale ti immergeva subito nella lingua scritta e di certo forzava un po’ i tempi rispetto al metodo tradizionale. Adesso siamo passati alla posizione opposta: no al metodo globale, solo metodo fono-sillabico per costruire piano, piano le competenze, passando all’eccesso opposto. Noi abbiamo fatto un’indagine su un gruppo di insegnanti per verificare se fosse più efficace il metodo globale o il metodo fono-sillabico ed è venuto fuori che dall’analisi delle lezioni era difficile capire chi effettivamente usasse l’uno o l’altro metodo, perché in realtà gli insegnanti sono al di sopra delle ode e dei metodi e nel concreto utilizzano quello che è efficace e funziona. L’unica raccomandazione che mi sento di dire è non il rigore nell’uso del metodo ma sfruttiamo i punti forti dell’uno e dell’altro metodo. L’unica raccomandazione che do sempre è di andare piano, perché hanno una vita davanti questi ragazzi, sia in lettura che in scrittura, perché i bambini se hanno delle basi solide, se ha stabilizzato le competenze di base sia con i numeri che con le lettere può affrontare delle cose raffinate e successive. Un metodo globale spericolato può correre il rischio che non si sedimentino delle competenze importanti sui fonemi e grafemi, ma nessun insegnante sembra farlo. Vediamo qualche esempio di prova: un dettato incalzante, cioè appena il bambino ha scritto gli si detta subito un’altra parola. È una procedura che stiamo un po’ eliminando, ma qualche volta si usa. Gli errori vanno sempre calcolati in percentuale. Gli indici Z sono gli indici che si usano per stimare quanto è debole il bambino. Quando riceverete dalle USL le relazioni, vedrete che per fare la diagnosi di DSA deve comparire una Z inferiore a –2, cioè 2 deviazioni standard sotto la media. Altra prova è il dettato di parole: vengono dettate delle parole. Il modo migliore per dettare un brano, didatticamente parlando, è di non dettare parola per parola, ma dettare gruppi di parole “C’era una volta”, perché così si vede se il bambino sa segmentare, si abitua a segmentare. Se io invece detto “C’era”, poi “una”, “volta”, è costretto a segmentare, mentre se glielo dico tutto insieme magari lo scrive tutto attaccato perché non segmenta e si vede subito se non ha una rappresentazione lessicale appropriata. Quando faccio un dettato di parole questo aspetto non lo posso vedere, perché lì detto una parola per volta, però posso vedere come si comporta con le parole. Un bambino grandicello che faccia 6 errori avrebbe un elemento sintomatico per la diagnosi di disortografia, perché risulterebbe sotto il 5° percentile, che è un indice che viene utilizzato dai servizi italiani per fare diagnosi di disortografia. Quando notate degli errori caratteristici, come per esempio il salto della nasale, allertatevi e il lavoro diventa anche specifico e ristretto alla difficoltà che si evidenzia. Il dettato di non parole: quando dobbiamo scrivere delle non parole non possiamo usare la rappresentazione della parola, perché non abbiamo nessuna rappresentazione, ma siamo costretti a fare una segmentazione, analizzare i fonemi che la costituiscono e poi scriverla. Quindi si va a vedere non la competenza lessicale, ma quella più fonologica. Però probabilmente usa anche la competenza ortografica, perché uno potrebbe dire che se uno scrive scomponendo lettera per lettera, gli può venire qualche dubbio. È un po’ riduttivo pensare di usare una scansione lettera per lettera, perché nelle non parole sono incluse anche sillabe ad alta frequenza. Scrivere parole composte da sillabe ad alta frequenza è più facile, perché la rappresentazione mentale di quel gruppo di lettere è preesistente e non ne fate l’analisi fonologica. La scrittura anche di non parole si aiuta dalla conoscenza di sillabe ecco perché adesso si fa tanto lavoro sub lessicale lavorando sulle sillabe o gruppi di lettere. Abbiamo fatto il censimento di quali sono le bisillabe più frequenti nella lingua italiana, perchè abbiamo detto che un bambino dislessico o disortografico almeno le sillabe frequenti le deve sentire sue. Analizziamo ora la slide relativa ad un ragazzino disortografico non grave: le linee ciclamina e viola rappresentano l’andamento naturale degli errori dei ragazzi italiani dalla seconda elementare (8 errori) alla terza media (0,6). Qui si parla di 100 parole casuali, senza fare la classificazione degli errori. Su 100 non parole i ragazzini italiani fanno circa 2 errori. Il nostro ragazzino fa 3 errori con le parole e ancora di più con le non parole, perché la difficoltà originaria di analizzare gruppi di lettere e fonemi permane. Sono ragazzini più lenti ad apprendere ma hanno comunque una evoluzione, non è un blocco totale. Un’altra procedura per vedere la competenza ortografica e la competenza i produzione del testo del bambino. Io sono favorevole all’uso della produzione dei testi per valutare la competenza ortografica perché anche se un bambino in condizioni ottimali se la cava bene, in lettura e scrittura, a me interessa vedere come se la cava quando deve utilizzare queste competenze. Quindi anche se un bambino sotto dettato in condizioni di superattenzione, fa pochi errori, se dopo però nella scuola normale ne fa tanti, perché è stanco, è più distratto, quando deve pensare a quello che scrive e non solo a come si scrive, allora quello è più significativo. Studenti universitari con storie di DSA sono solitamente ben corretti, ma se si distraggono o pensano a cosa devono scrivere, gli errori aumentano. I bambini molto intelligenti compensano se ce la mettono tutta e pensano a quello, ma se hanno un disturbo specifico, salta fuori nei momenti più imprevisti. Per questo facciamo fare delle prove di narrazione e descrizione: devono raccontare cosa c’è in alcune scenette in modo tale che chi non le ha viste possa capire che cosa è successo. Possiamo analizzare il prodotto nell’esempio della slide da tutti e tre i punti di vista. Grafismo: perfettamente leggibile, discretamente ordinato. Produzione del testo: c’è qualche singolarità in questo testo prodotto; per esempio l’efficienza comunicativa non è elevata, perché non h raccontato alcune cose fondamentali (ad esempio il fatto che è finito in ospedale ed è ingessato). Però la costruzione del testo è interessante, c’è un uso di parole rare (pigolare), e ci sono delle debolezze, come la punteggiatura, come l’uso strano delle virgole. La competenza ortografica è debole, perché ci sono vari errori. In questo caso ci mostra cos accade tipicamente in ragazzini di fine scuola primaria: cioè la prevalenza di errori non fonologici e di rifinitura, di terzo tipo. Gli si fanno ricorregger gli errori per verificare se lui si rende conto degli errori che commette (fusioni illegali, segmentazioni illegali, errori di doppie, accenti, unico errore fonologico –abero). Questo caso con l’analisi dei suoni se la cava bene, deve fare il salto di qualità e riuscire a gestire le rappresentazioni lessicali e queste fastidiose doppie e accenti. Non ci sono tante scuole di pensiero in giro per il mondo su come trattare la disortografia, il testo base che molti usano è il Meini Ferraboschi “ANALISI DEGLI ERRORI” ERIKSON, che si basa sull’analisi degli errori. Io divido i tipi di attività che si possono fare per promuovere competenze di scrittura in tre categorie: attività promozionali, attività educative, attività basate sul profilo diagnostico. Attività promozionali: l’idea è che più volte un bambino vede una parola scritta più facilmente la riconosce e più facilmente la scrive bene. Alta corrispondenza fra l’esposizione alla lingua scritta e produzione. L’elemento motivazionale è importante perché se riesci a trascinare un bambino DSA a leggere e scrivere, in qualche modo sviluppa competenze. Solo che i DSA scrivono e leggono poco proprio perché hanno difficoltà e sono più lenti, perché tutti gli esseri umani sfuggono dalle cose che non sanno fare. Consigli di buon senso: non sono molto propenso a prendere il genitore come riabilitatore, se l’insegnante fa il suo mestiere va più che bene. Ma sicuramente la famiglia e gli insegnanti possono mobilitare interesse e motivazioni legati alla lettura ed alla scrittura: ad esempio far scrivere storie di loro produzione, scrivere messaggini, per superare il rifiuto alla parola scritta. A volte la motivazione raggiunge dei livelli paradossali. Attività educative: l’uso del computer, la legge lo prevede, ha diversi vantaggi perché più motivanti, eliminano l’impaccio in caso di disgrafia, hanno l’autocorrettore. Ci sono dei programmi di recupero per l’ortografia, di competenza ortografica possono essere molto utili. Alcuni programmi leggono le parole scritte e permettono di valutare ciò che ha fatto e il correttore offre una serie di alternative in caso di errore. La video scrittura attuale non è ancora così intelligente da analizzare la parola in base al contesto in cui va scritta; se il bambino scrive una parola contenuta nel vocabolario ma che non ci va non la segnala. Alcuni programmi leggono la parola che hai scritto e questo aiuta perché senti pronunciare una parola diversa da quella che volevi scrivere e allora ti concentri per riconoscerla. Alcuni programmi anche in Italia alla scrittura della parola esce un disegno esplicativo di controllo. Non esiste una regola universale, ma è una metodologia educativa utile, perché a tutti i bambini piacciono questi programmi e quindi vanno addestrati e preparati piano, piano all’uso, è una buona modalità educativa per intervenire. Per alcuni poi il computer è una grande novità e nemmeno capiscono che stanno leggendo e scrivendo, anche se oggi l’effetto novità si è ridotto. Validi sono i programmi educativi come VOCABOLACQUARIO, SUPERQUADERNO, questi sono a pagamento, ma ce ne sono molti ad accesso libero. Il bravo insegnante, il bravo riabilitatore, è la persona che non dice “usa questo programma e fallo”, ma è la persona che entra nella logica dell’attività che propone. Il pericolo dei programmi già predisposti, famosi, è di prenderli così come sono, senza andare a vedere quali attività propone e scegliere quella più indicata. Fate poche attività ma capitale bene voi perché altrimenti cosa potete fare; sprecherete meno fotocopie e avrete un effetto maggiore. Ci possono essere delle attività basate su profilo diagnostico del bambino: una diagnosi elementare è legata all’analisi dei tipi di errori più frequenti presenti nel bambino, dove sono i suoi punti deboli. Invece una attività un po’ più cognitiva-neuropsicologica è quando io cerco di capire quali meccanismi cognitivi sono alla base di quelle difficoltà. Due processi sottostanti frequentemente deboli nel bambino con incompetenza ortografica sono la discriminazione uditiva e la memoria uditiva: perché se un bambino fa fatica a riconoscere i suoni che costituiscono una parola è chiaro che non li può scrivere, se confonde un fonema con un altro, specie i piccolini, fanno difficoltà a discriminare due fonemi è logico che li scriva male. Li il lavoro va fatto sull’analisi dei suoni. Altro punto è legato alla memoria uditiva fonologica: il bambino fa fatica a trattenere questi suoni, si pasticcia. Con le parole lunghe magari individua i suoni che corrispondono alla parola ma quaando si mette a scriverli non li tiene bene in ordine e fa le inversioni, più facilmente inverte due sillabe successive della parola, perché all’inizio parte con il piede giusto, ma poi la sua memoria fonologica va in difficoltà e non riesce a riportare tutti i fonemi in modo giusto. Allora se il bambino è grandicello, si lavora proprio sulla scrittura, se il bambino è più piccolo si lavora proprio su queste competenze sottostanti. Far riconoscere i fonemi, ma cominciando con il primo suono della parola, poi con l’ultimo, non con i suoni in mezzo che sono più difficili; poi gli chiediamo di segmentare l’intera parola, magari cominciamo con i piccolini con la segmentazione sillabica, non faccio suono per suono. Con la memoria fonologica cercare di far ricordare una serie dei suoni per lavorare sulla sequenza fonologica, quindi lavorare sui processi sottostanti. Invece per la tipologia di errori, si individua qual è l’errore e si fa l’attività guidata sull’errore individuato e spieghiamo sempre tutto al bambino. Lavorare con il bambino sul meta cognitivo, spiegando bene quello che si fa, se c’è un minimo di collaborazione del bambino e di entusiasmo sia in lui che nell’operatore, ci si mette nella condizione di sviluppare questa competenza. Qualche volta abbiamo visto che aiutare i bambini a sentirsi criticoni e meglio organizzati nella scrittura dei testi ha un effetto riverberante sulla competenza ortografica. Talvolta i bambini sviluppano una grande confusione mentale, questa confusione mentale si riflette innanzitutto su come buttano giù il testo, ma anche in quanto sono corretti ortograficamente. Hanno una specie di nebbia e vanno avanti in automatico senza pensare a quello che scrivono e a come si scrive. Anche un lavoro sulla produzione del testo può avere un effetto indotto, soprattutto in casi non severi dove l’errore ortografico nasce da trascuratezza. Prof.ssa ROSSANA DE BENI “Leggere e capire” Lettura e scrittura sono alla base del nostro mondo culturale, sono la chiave di accesso al nostro mondo culturale e quante differenziazioni si possono fare. Partirei dalle osservazioni che faceva Cornoldi prima: sono più di 30 anni che lavoriamo su questi aspetti e lavoriamo in modo meta cognitivo. Il concetto è di far capire al bambino che apprende e che fa fatica a capire queste tematiche, quali sono le procedure che portano a leggere e a capire. Il fondamento, lo scopo principale della lettura è arrivare al significato, in questo sta il senso della lettura e la sua motivazione, quindi non mi interessa occuparmi degli aspetti di decodifica, ma voglio focalizzare sui processi di comprensione. Questa legge cancella tutto il mio lavoro: la comprensione non c’entra niente, basta che uno sappia leggere e non importa se capisce o non capisce quello che legge; se ha difficoltà di comprensione non viene considerato. I miei accenni saranno sulle disfunzioni: intanto vi invito a riflettere su come leggiamo. Noi possiamo leggere in due modi: possiamo leggere a voce alta. Che senso ha la lettura a voce alta? E invece possiamo leggere con la mente, senza più bisogno di sub vocalizzare ed avere con un accesso immediato lessico e al significato del testo. Si guarda un testo e si capisce immediatamente con la mente, senza bisogno del movimento labiale. Questi due tipi di lettura hanno processi diversi e hanno significati diversi. La lettura ha due aspetti fondamentali: - la lettura strumentale, la capacità di riconoscere e denominare velocemente e correttamente le parole di un testo ( questo viene verificato con le prove MT, correttezza e rapidità di lettura). Questo è un aspetto strumentale: è il momento iniziale, condizione necessaria per la lettura, ma non sufficiente, strumento per arrivare al secondo punto, strumento per arrivare alla comprensione, capacità di rappresentarsi nella mente il contenuto, il significato di quello che si sta leggendo. Non è una cosa che può avvenire per osmosi, anche se nel buon lettore quello che ha capito che la bellezza della lettura è accedere al significato, questo aspetto sembra quasi automatizzato. In realtà molti sono i processi sottostanti, che possono, se inceppati, impedire il fluire della comprensione. Innanzitutto l’essere consapevoli che comprensione e decodifica, lettura strumentale ed accesso al significato, sono due processi parzialmente indipendenti, perché se non so decodificare è difficile che possa leggere, posso indovinare, condizione necessaria ma non sufficiente. Ma i due processi si sovrappongono in piccola parte, ma sono due processi che poi, soprattutto con il crescere e l’abitudine alla lettura, diventano sempre più indipendenti l’uno dall’altro. Allora, per esempio, se io faccio leggere in classe un bambino e quello fa molta fatica a leggere ad alta voce, e in continuazione io gli sottolineo fai attenzione, leggi bene, ecc., e poi gli chiedo di dirmi che cosa ha letto, è un po’ difficile che ottenga un resoconto del significato, perché gli ho chiesto di fare un compito in cui ha indirizzato tutte le sue risorse, con molta fatica, con molta difficoltà, e io anche l’ho incalzato chiedendogli di leggere bene, attentamente e correttamente parola per parola. Quello che il bambino capisce del messaggio dell’adulto è di fare attenzione alla singola parola per leggere correttamente, senza fare attenzione al significato, il significato da estrarre è qualcosa di diverso. Molti bambini imparano dalla nostra scuola che leggere bene significa leggere senza fare errori, leggere correttamente e quindi fanno fatica a fare l’altro salto, non capiscono che l’adulto dà questo messaggio perché vuole che il bambino automatizzi questi processi, spendendo meno per questi processi che all’inizio sono costosi: la discriminazione, il segno, l’individuazione della parola. In realtà lo scopo per cui l’insegnante dà enfasi a questo aspetto è perché questo aspetto deve essere automatizzato, cioè passare da una fase in cui è molto costoso ad una fase in cui non lo è più per poi riservare gran parte delle risorse, se non tutte le risorse, al processo di comprensione. Però può avvenire un fraintendimento in cui il bambino dice: mi hanno detto di leggere con molta attenzione, perché legge bene chi legge con molta attenzione e io non sono bravo perché non leggo correttamente le parole, senza fare quel salto di qualità in cui la lettura si basa sul significato, sulla comprensione. Sono diverse perché non è che uno è indicatore dell’altro, diciamo che in un continuum di abilità, in cui ci può essere la decodifica da difficoltosa, stentata, via, via fino a buona, a una comprensione che va da stentata fino ad ottima, le due abilità non è che si sovrappongano sempre, ma sono parzialmente indipendenti. In mezzo ci sarà un buon lettore, che legge sufficientemente bene in decodifica e capisce il significato, ma agli estremi di questo continuum c’è chi legge molto bene dal punto di vista della lettura, sa leggere, cioè l’aspetto decifrativo non è carente, è buono, e capisce quello che legge, ma anche sa leggere molto bene e non capisce nulla. Come anche legge molto male ad alta voce, però capisce quello che legge quando è lasciato a leggere da solo. Chi sa leggere bene legge bene sempre, ma chi fa fatica può avere una gamma di situazioni che deve individuata e specificata per quella persona. Quindi le due abilità, la decodifica e la comprensione, hanno predittori differenti, hanno processi cognitivi intricati differenti, nelle analisi fatte con le prime prove MT, correttezza ed abilità misurata con prove specifiche e l’abilità di comprensione misurata con le prove di abilità di comprensione, non correlavano. Cioè non è detto che se un bambino legge in maniera adeguata e corretta ad alta voce, poi anche capisca, non sono correlate le due prove. Se noi in una popolazione di lettori applichiamo correttezza e rapidità e comprensione e guardiamo i punteggi, l’uno non predice l’altro, perché abbiamo quella diversificazione di cui parlavamo prima. L’evoluzione del disturbo è differente e i trattamenti sono differenti. Se voi avete un bambino che fa fatica nella decifrazione e gli fate esercizi per imparare a decifrare otterrete dei risultati sulla decodifica. Farete molta fatica, sarà un lavoro riabilitativo molto lungo ma quando otterrete dei risultati li otterrete sulla decodifica. Se invece voi lavorate sulla comprensione e sulla meta comprensione voi otterrete dei risultati che dalla meta comprensione si proiettano sulla comprensione e dalla comprensione si proiettano sulla decodifica. Hanno risultati differenti perché abbiamo una lettura dal basso e una lettura dall’alto. La lettura dal basso è il riconoscimento dei grafemi e della loro trasformazione in fonemi, ma la lettura dall’alto è la parola che già possiedo o la sillaba che già possiedo o la frase che già possiedo codificata in memoria, si sovrappone per quel fenomeno che si chiama riconoscimento percettivo e quindi possiamo avere la lettura che procede dal testo alla mente ma anche va dalla mente al testo. Avete dei bambini che fanno fatica a leggere e quando li fate leggere ad alta voce sostituiscono una parola con un sinonimo: sono bambini che leggono dall’alto, cioè si basano di più sui processi di comprensione che sui processi di decodifica, cioè hanno capito il significato e quindi lo anticipano, non guardano bene quale è la parola che c’è e leggono una cosa per un’altra facendo errori di tipo semantico. Si sbaglia anche quando si legge troppo dall’alto, soprattutto quando si è esasperati e ci si vede scritto quello che voglio; a volte l’aspettativa, il desiderio ci porta a fare degli errori di tipo semantico. Questa che vi presento è una situazione sperimentale della collega inglese CAIN che mostra questo studio longitudinale: si tratta degli stessi bambini che sono stati analizzati a 8 anni, a 9 anni e a 11 anni, e la lettura di parole in questi bambini a 11 anni veniva predetta dalla conoscenza del vocabolario che avevano e dalla lettura di parole a 8 anni e 9 anni. Sono i predittori del fatto che i bambini sappiano leggere. Sono studi che abbiamo fatto anche noi. Una prova in cui c’erano da cancellare dei fonemi, è predittiva della lettura di parole, ci dice della componente fonologica della lettura di parole, cioè dell’aspetto di decodifica. Invece questo è l’aspetto di comprensione: vedete che i predittori sono differenti. Un bambino che a 8 anni ha punteggi più alti alle prove di comprensione e di lettura li avrà anche a 9 e 11 anni; il vocabolario predice a 9 anni, ma l’individuazione del titolo e l’individuazione della struttura della storia sono predittori della comprensione. Vedete come i predittori delle due abilità sono differenti; questo ci dice che si basano su processi differenti. Che cosa predice ancora la comprensione? Vi ricordo che la decodifica era predetta dall’aspetto fonologico, invece la comprensione è predetta da un aspetto meta cognitivo. Il monitoraggio della lettura: questo è quel processo che il lettore mette in atto continuamente, continuamente controlla la sua comprensione. Il bambino, buon lettore, è quello che dice “Adesso non ho capito”: il capire di non capire è un processo fondamentale meta cognitivo, che è un predittore di un buon livello di comprensione. Per capire bene bisogna capire di non capire, allora noi distinguiamo tra bambini dislessici, bambini che hanno problemi fondamentalmente nella decodifica, e cattivi lettori (poor comprehenders): siccome il leggere è basato sul significato diciamo cattivi lettori quei bambini che leggono in maniera anche adeguata ma non capiscono o capiscono poco quello che leggono. Il monitoraggio, questo aspetto meta cognitivo predice questo. Sono bambini che non sono in gradi di capire che si legge per capire e quindi non sono neanche in grado di capire che non hanno capito. I buoni lettori possono essere definiti quelli che leggono per capire il significato e subito si accorgono di non capire perché il loro processo di lettura si inceppa. I cattivi lettori invece sono quelli che sperano di arrivare vivi alla fine della pagina: il loro scopo è solo quello di arrivare in fondo alla pagina. Su questa problematica è stato difficile riconoscere la difficoltà. Mentre la dislessia è facile da individuare, come difficoltà di decodifica, l’insegnante a scuola lo vede subito: il bambino non sa leggere, non sa leggere ad alta voce, ma invece le difficoltà di comprensione sono molto più subdole perché possono essere coperte anche da una lettura adeguata. Però quanta fatica e quanto disagio sperimenta quello studente che arriva all’università e studia tutto a memoria. Il ruolo della comprensione orale: il bambino capisce se è qualcun altro a leggere per lui. La correlazione tra le due abilità ha un andamento che si diversifica: la correlazione tra la decodifica e la comprensione d’ascolto che aumenta la sua importanza a scapito della decodifica che diminuisce con gli anni. Si tratta di due cose differenti: il comprendere riguarda la capacità di rappresentarsi mentalmente il contenuto del testo. Costruire una rappresentazione del significato del testo, è una cosa estremamente affascinante perché c’è una mente ricca di esperienze e conoscenze, emozioni e porta tutta la sua individualità, e c’è un testo che porta il suo significato. E’ l’incontro tra quella mente specifica e quel testo e l’azione attiva del lettore che controlla la sua comprensione ed è tutt’altro che un’osmosi. Sembra un’osmosi perché i lettore è così preso dalla lettura e la fa sua, ma fa sua e capisce all’interno dei suoi schemi di conoscenza. I significati cambiano all’interno della nostra mente, a seconda del nostro approccio. Esiste sempre il fenomeno che è il significato che quella mente coglie in quel momento in quel testo. In culture diverse possiamo cogliere cose diverse, come è stato dimostrato in molti esperimenti. Questa è una attività di costruzione: utilizzo nella mente delle informazioni che già ho e le riorganizzano con le nuove informazioni che mi porta il testo. È interattiva ed è una operazione attiva. Esistono diversi livelli di comprensione: la relazione parola, le relazioni all’interno della frase. Leggere e capire un brano è differente che leggere singole parole o leggere singole frasi. Un brano ha una sua coerenza quindi si tratta di capire, se io non capisco tante parole che per me sono ignote c’è una bella difficoltà. Però anche qui non è sempre una difficoltà che va in una sola direzione, perché se io in altri livelli capisco, posso inferire il significato della parola sulla base del contesto. Se sono troppe le parole che non capisco allora è come se leggessi un’altra lingua. Ma se io conosco bene la struttura testuale, cosa che i nostri studenti italiani sanno fare molto bene, perchè gli insegnanti italiani lavorano molto sui generi letterari: se uno studente conosce bene la struttura di un genere, dalla struttura può arrivare a capire il significato, anche della singola parola. Se però non conosce nè il lessico, né la parte sintattica né la parte di struttura il lavoro è più difficile. Quando leggo un testo attivo una conoscenza e integro con le nuove informazioni che il testo mi propone le mie conoscenze pregresse. Che cosa influisce sul processo di comprensione? Intanto le conoscenze pregresse del lettore. Negli aspetti cognitivi è invece implicata la memoria di lavoro, quello che abbiamo presente nella nostra mente. Ancora di più di quello che riusciamo a tenere nella mente è importante quello che riusciamo ad eliminare A volte i cattivi lettori sono sovraccarichi di informazioni primo perchè non sanno con che criterio eliminare; quando uno è incerto tiene tutto perché non sa se poi gli servirà. Non ha quella scioltezza di lasciar perdere e selezionare, ma ha paura e si sovraccarica e come meccanismi di base (si è visto in molte ricerche anche internazionali) i cattivi lettori hanno il problema di avere difficoltà ad essere flessibili in memoria di lavoro, a capire di tenere prima una informazione per poi capire che è inutile e lasciarla andare per fare spazio ad altro. Legata a questa capacità c’è anche la capacità di produrre inferenze che è una capacità fondamentale nel leggere e capire e mi fa capire anche quello che non c’è scritto, perché lo inferisco dalle conoscenze che ho già oppure da quello che è stato detto prima, ma è una componente che riguarda proprio le strutture di memoria. Ancora sono importanti gli aspetti meta cognitivi: avere chiari gli scopi per cui si legge. Nelle prove di meta comprensione chiedevamo ai bambini perché leggevano: i buoni lettori davano motivazioni alla attività di leggere, i cattivi lettori rispondevano che qualcuno gli aveva detto di farlo. Le strategie utili di lettura: quando chiedevamo ai cattivi lettori come si fa a leggere bene tutti dicevano che bisogna leggere attentamente parola per parola. I buoni lettori dicevano: a volte si legge velocemente, poi quando non si capisce ci si ferma, si torna anche indietro se non ho capito; quando il testo è difficile si va lentamente e si cerca di capire o se devo studiare vado lentamente; se invece ci sono descrizioni di cose che ho già capito le leggo velocemente o anche le salto. Dicevano dipende da ciò che sto facendo. Controllo del processo di comprensione ne abbiamo già parlato è capire di non capire, ma anche correggere le incongruenze. A volte i bravi lettori si divertono modificando il loro approccio al testo durante la lettura. Il buon lettore ha un ampio spazio di autodeterminazione, ha delle caratteristiche sue personali. La mia posizione motivazionale mi dice che c’è uno spazio di crescita per tutti, e il successo è la crescita e non il raggiungimento di un obiettivo standard per tutti uguali, anche se queste abilità di lettura e di scrittura sono delle chiavi di accesso al mondo della cultura che dovrebbero essere date a tutti. Che i due processi siano separati e che sia importante leggere e capire ce lo danno le persone con un deficit sensoriale. I non vedenti riescono a leggere benissimo e capiscono magnificamente pur non vedendoci; i non udenti fanno molta fatica a leggere eppure ci vedono benissimo. Se non si ha un linguaggio mentale è difficile poter leggere e capire, perché c’è un interazione fra la mente con un linguaggio che legge e chi non ce l’ha. Che differenza c’è tra il leggere ad alta voce e il leggere in maniera silente? Quando chiediamo ai nostri alunni di leggere ad alta voce lo facciamo per verificare il loro livello di lettura ma non di comprensione, che diventa soltanto una verifica. La motivazione è fondamentale ed inerente all’immagine di sé perché tutti vogliamo essere bravi e competenti in quello che facciamo e questi bambini hanno bisogno di sentire che sono dei bravi alunni. L’elogio della lentezza è fondamentale perché ognuno ha i suoi tempi. La motivazione nasce nel fare le cose bene: se noi lasciamo ai bambini il tempo di farle proprio bene, di farle loro gli permettiamo di essere contenti di questo. Pensare noi, prima di tutto, che quel bambino può farcela, e fornirgli delle strategie delle procedure anche di attenzione, di lentezza altrimenti subentrano poi tutti quei problemi emotivi legati alla consapevolezza della difficoltà. Mi sembra che un paradigma più funzionale e di motivazione alla lettura sia di capire il significato; leggere ad alta voce è un leggere perché l’altro capisca; leggere in maniera silente è una lettura funzionale per chi legge. Quindi la bellezza del leggere ad alta voce non deve essere svilita nel leggere per valutare, ma per valutare la bellezza della lettura. Il leggere dell’adulto al bambino è uno dei fattori più motivanti alla lettura del bambino stesso. LA VALUTAZIONE DELLA SCRITTURA – ISABELLA BELLAGAMBA PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA DELL’ETA’ EVOLUTIVA. Presentazione di un caso, che poi è stato trattato e l’analisi di questo caso ha un senso in questo momento perché rappresenta uno sguardo d’insieme rispetto a tutto quello che abbiamo detto. Ripercorrerò quindi le tappe di valutazione e di riflessione. Si parte da alcuni cenni di informazione generale sul caso per avere anche una storia su quello che sta succedendo: ci troviamo di fronte ad una bambina di 9 anni che frequenta la terza classe, con un rendimento scolastico generalmente sufficiente in tutte le materie, che presenta difficoltà scolastiche a partire dalla classe seconda. Nell’anamnesi le tappe di sviluppo sono riferite in epoca normale, sia del linguaggio e che della deambulazione autonoma. Tramite colloqui emerge una certa familiarità nelle difficoltà scolastiche nella linea paterna. Ricordiamo che nei Disturbi Specifici di Apprendimento possono inserirsi situazioni in cui altri membri della famiglia abbiano presentato difficoltà di apprendimenti e questo fattore può diventare un ulteriore fattore di rischio. In generale viene riferito un buon atteggiamento verso la scuola. Questa bambina ha avuto una diagnosi di DSA a carico della lettura ed è stata trattata con successo. Diagnosi all’inizio della terza e in quella sede il QI era nella norma, tutte informazioni che risultano utili per la valutazione attuale. All’inizio della terza si sottolineava in particolare l’aspetto di decodifica della lettura, ma già allora la competenza ortografica risultava ai limiti inferiori della norma. In particolare quella valutazione aveva messo in luce un forte rallentamento nella codifica mentre il livello di accuratezza era adeguato per cui buona correttezza, ma molto lenta. Però già da allora la comprensione del testo in autonomia era più che sufficiente. Le risorse anche da un punto di vista meta cognitivo erano già presenti e queste sono tutte informazioni utili nella analisi del caso. Vi presento un caso analizzato dal punto di vista clinico per condividere con voi alcune linee guida rispetto alla diagnosi ma soprattutto per ricordarvi di analizzare da un punto di vista qualitativo le prestazioni perché è questo che rende una diagnosi veramente utile e quindi un intervento utile, non solo per il confronto tra prestazioni del bambino e dati normativi. Questo ci da una indicazione di tipo numerico, quantitativo, ma quel dislessico, quella bambina disortografica, in che modo lo è e in che modo posso dare delle utili strategie per autonomia. Questa bambina era stata trattata nell’area della lettura e nella valutazione post trattamento, era emersa una rapidità solo lievemente inferiore alla norma, l’accuratezza nella norma, e la comprensione del testo viene potenziata da questi risultati positivi. Già da queste informazioni emerge il profilo di una bambina che ha alle spalle una certa debolezza dal punto di vista linguistico e fonologico, ed ora viene invece posto l’accento sull’aspetto ortografico. Andando ad indagare con i genitori emerge che le difficoltà ortografiche sono presenti già dal precedente anno scolastico e dalla valutazione avevamo visto essere solo lievemente inferiori alla norma, ma in quella sede si era deciso di non andare ad approfondire. In particolare al momento attuale si evidenziano difficoltà nell’uso dell’H, omissione di lettere soprattutto nei gruppi consonantici sc/gn, nell’uso delle doppie, negli accenti e negli apostrofi. Dal momento in cui abbiamo visto i quaderni di questa bambina abbiamo osservato un fatto particolare: per scelta dell’insegnante di italiano si dedicava poco spazio al dettato ortografico. Molte verifiche avevano come obiettivo la valutazione dell’ortografia attraverso altri compito, come la produzione del testo e questo rendeva evidente una certa difficoltà per capire che tipo di errore stesse facendo. Nel momento in cui un bambino affronta un compito cognitivo complesso, come la produzione del testo, in cui sono coinvolti tanti aspetti e in parte anche l’aspetto ortografico, ma prima la generazione di idee, la gerarchia del testo, la struttura del testo, il vocabolario, la punteggiatura, la morfosintassi, tutti gli aspetti stilistici e l’ortografia e qui la bambina aveva difficoltà. Sia a casa che a scuola compaiono questi errori: nella mia esperienza ho visto delle situazioni paradossali in cui a scuola l’insegnante riferiva una presenza importante di errori ortografici poi, magari, nel momento della valutazione o del rapporto uno a uno, nello svolgimento dei compiti con i genitori, molti errori non erano più presenti per cui ci si trovava di fronte ad una prestazione sufficiente. Questo è un ulteriore aspetto che richiede una analisi qualitativa: perché a scuola succede questo e a casa no. Partiamo dall’idea che un disturbo specifico di apprendimento ha degli effetti pervasivi, generalizzati e non può esserlo a scuola e a casa no. Potremmo chiamare in causa una difficoltà di tipo attentivo, oppure una difficoltà nell’uso del tempo: ci sono bambini che hanno per caratteristiche personali determinate necessità dal punto di vista temporale, di strategie da utilizzare che potrebbero poi influenzare negativamente la loro prestazione a scuola ma non a casa. Oppure uno stato d’ansia, una demotivazione, una costellazione di possibilità. Scrittura significa velocità , significa grafia, significa ortografia, produzione del testo scritto: in linea di massima sono questi gli aspetti. Attraverso la prova di prassie si va ad indagare l’aspetto grafico della scrittura, da un punto di vista qualitativo la leggibilità, sia la velocità del tratto grafico. Un bambino su cui noi abbiamo un sospetto di disortografia, qualcuno potrebbe dire cosa mi importa vedere quanto è veloce nella scrittura? Però teniamo in considerazione che a scuola, soprattutto dalla terza elementare, i dettati cominciano ad avere un certo ritmo, sempre più sostenuto. Immaginate la difficoltà di un bambino con una grafia particolarmente rallentata che si trova di fronte allo stress di dover scrivere velocemente per stare dietro ad un dettato ed ecco che in quella occasione appaiono 100 errori. La prova è molto semplice: si chiede di scrivere in corsivo per un minuto la stessa parola; questa è la prova più pura per valutare l’aspetto grafico, perché si va a valutare il grande e piccolo, la coordinazione oculo-manuale, la leggibilità, il rispetto del rigo. Si va poi a contare il numero di lettere che ha scritto e si confronta con le medie. Nella scrittura di “uno” io chiedo al bambino di scriverlo sempre per un minuto, attaccati, lettera per lettera e in corsivo possibilmente senza staccare la penna dal foglio. Se ci troviamo di fronte ad un bambino che per abitudine utilizza lo stampato, le prove di “uno” e di numeri si possono fare anche con lo stampato maiuscolo perché se lo costringo a scrivere in corsivo la sua rapidità sarà di molto inferiore alla sua abituale. Nella prova di numeri si chiede al bambino di scrivere tutti i numeri da uno in avanti in lettere, o in corsivo o in stampato maiuscolo in base alle abitudini, e di nuovo si conta quante lettere ha scritto in un minuto. Voi capite che la scrittura di numeri in parole coinvolge di più l’aspetto ortografico. Per la valutazione dell’aspetto grafico non conto gli errori ma solo quante lettere ha scritto in un minuto e se la grafia è leggibile. Nei bambini che hanno delle difficoltà a livello ortografico, si osservano dei testi estremamente sintetici, un vocabolario particolarmente povero. L’evoluzione spontanea, naturale dei bambini italiani dalla prima elementare alla terza media mostra che la scrittura di numeri in parole evolve sempre più in maniera importante, esponenziale, perché l’automatizzazione dell’ortografia permette una maggiore velocità. Probabilmente se noi somministriamo ad un bambino di quarta elementare le tre prove, vedremo che la prova di scrittura di numeri in parola avrà una velocità inferiore perché magari le sue rappresentazioni ortografiche non sono ancora automatizzate e questo richiede una pausa di riflessione. Nell’analisi delle prove della nostra bambina abbiamo una grafia leggibile, ordinata, sul rigo, abbiamo diverse autocorrezioni sulla scrittura di numeri in parola e abbiamo un errore ortografico su quattro. La visione dei protocolli e dei quaderni ci dà una visione del problema, della sua autocorrezione: quante volte il bambino si è auto corretto, cancella e riscrive, magari prima aveva scritto corretto e poi ha cancellato, oppure aveva scritto sbagliato e poi ha scritto giusto? La valutazione dell’ortografia può essere fatta attraverso diverse prove: le più comuni che noi utilizziamo sono le batterie per la valutazione della scrittura e della competenza ortografica che si compone di: dettato di brano, diviso per ogni classe, velocità di scrittura ed espressione scritta. Con il dettato di frasi con parole omofone e omografe, che valuta la competenza ortografica in un contesto significativo come possono esserlo frasi in cui la scrittura di una parola in un modo o nell’altro modifichi il significato (Lago/l’ago, Luna/l’una). In questo test si valuta ogni errore che il bambino fa. L’autocorrezione non è considerata errore neanche nel dettato di parole e non parole: se il bambino si corregge spontaneamente non è errore. Nel momento in cui c’è uno scambio di grafema o una omissione o una inversione anche la lettura non riconosce più correttamente i suoni originali della parola. Negli orrori fonologici c’è maggiormente la parte della ortografia coinvolta per cui sono errori che dalla semplice lettura non sarebbe possibile individuare, perché la parola le elenca così come fosse scritta corretta, un esempio sono “c” e “q”. Nel dettato di non parole possiamo parlare solo di errori dovuti alla difficoltà nella trascrizione o di singoli grafemi nel momento in cui il bambino fa una segmentazione di tipo molto analitico, grafema per grafema, o a livello di sillaba, però difficilmente ci troveremo di fronte ad un errore che scambia una non parola per una parola. Nella produzione scritta si valuta attraverso un parametro di tipo quantitativo, cioè il numero di parole, di frasi, il numero di errori, che tipo di errori, e dei parametri qualitativi, come quanti aggettivi o addirittura giudizi che da l’esaminatore su una scala da 1 a 5 rispetto a struttura del testo, punteggiatura, morfosintassi, aderenza alle consegne. Ma anche quanto è strategico un bambino nella produzione del testo o nella comprensione di un testo o anche nella risoluzione di un problema matematico? Sono tutti compiti cognitivi complessi: dall’osservazione noi abbiamo tante idee. Ci sono bambini che iniziano subito a scrivere e poi cancellano e ricominciano o strutturano le idee in maniera confusa, incoerente. Ci sono poi bambini più strategici che prima di scrivere pensano e possono dare l’impressione di essere distratti. La selezione delle idee è importante per portare a termine la consegna; un bambino nervoso rischia fortemente di farsi portare fuori dal seminato perché si fa portare fuori dalle sue idee. Come organizza le idee, c’è un filo logico in quello che fa? Un altro test è la batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva (SARTORI/JOB/TRESSOLDI: prove di disortografia evolutiva) che si compone di dettato di parole, e dettato di non parole. Questi dettati vanno da un tipo parole brevi ed ad altra frequenza d’uso a parole via, via sempre più complesse. Le non parole più o meno seguono lo stesso criterio. È possibile ripetere le parole al bambino solo finchè lui non abbia iniziato a scrivere, una volta che ha iniziato non possiamo più ripetere. In queste prove che valutano l’ortografia non mi interessa se il bambino sta scrivendo in corsivo o in stampato maiuscolo perché io nella valutazione clinica vado ad isolare il più possibile quell’abilità, quindi anche il dettato avverrà al ritmo di scrittura di quel bambino. Mentre nella batteria BVN abbiamo il dettato incalzante che ha mostrato vantaggi e svantaggi ma che comunque ancora è in utilizzo. La DDO è un altro test particolarmente lungo, impegnativo perché va ad analizzare l’errore specifico che il bambino fa in una lista superiore di 200 parole (LUZZATTI, LAIACONA, ALLAMANO). Io suggerisco agli insegnanti di vedere che cosa fa il bambino se gli viene detto di controllare perché lì c’è un errore. Se viene sollecitata la revisione, partiamo dall’idea che pochissimi bambini revisionano autonomamente, non rileggono spontaneamente, o se revisionano difficilmente da soli trovano l’errore e riescono a correggerlo. Se la revisione viene sollecitata e suggerita che cosa succede; che tipo di atteggiamento ha il bambino nei confronti dei suoi errori? Spesso pur indicando che in quella riga ci sono errori non sono in grado di trovarlo. Le indicazioni di gruppi di ricerca, di professionisti, hanno messo in luce alcune linee guida rispetto alla diagnosi. S i parte dall’idea che per fare una diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento dovremmo avere di fronte un quoziente intellettivo in norma o comunque soprala norma. Per avere una diagnosi dobbiamo rispettare alcuni criteri di inclusione, ossia attraverso una valutazione strumentale e prove oggettive io devo avere una prestazione critica, inferiore al 5° percentile o con un punto Z inferiore a -2 in almeno due o più parametri, nel caso della lettura nella lettura di brano, e nella lettura di parole e non parole. In questo caso abbiamo una prestazione critica nel dettato di parole, nella produzione scritta, nel dettato incalzante, e nel dettato di frasi, quindi i criteri ci sono. Per quanto riguarda la discrepanza che dovremmo osservare per fare una diagnosi, è una discrepanza tra quella prestazione e quello che noi ci aspetteremo da un QI del genere, quindi deve esserci una differenza rispetto alle capacità generali e la prestazione specifica di questa prova. Non c’è nessun deficit neurologico-sensoriale e non ci sono condizioni di svantaggio socioculturale. Vorrei aprire una riflessione: il punto di partenza è il disturbo specifico di apprendimento in quanto ha basi di tipo neuropsicologico resistenti al trattamento. Un trattamento studiato e pensato e ben condotto può arrivare all’obiettivo di rendere quella persona più autonoma possibile nei compiti complessi che avranno un ruolo nella sua vita di adulto. Per cui nel discorso che faceva la dottoressa De Beni nel caso della lettura: quello che è importante è la comprensione del testo, è l’autonomia nel comprendere il testo nel momento in cui quel bambino diventerà un adulto e leggerà un giornale da solo, o nel momento in cui dovrà decidere velocemente che strada prendere tra una serie di cartelli stradali. Stessa cosa nella scritta dove abbiamo da un lato la correttezza ortografica che è già di per se un danno, ma se la competenza ortografica va a influenzare negativamente la produzione del testo, questo è un effetto secondario di importante rilevanza non dobbiamo permettere. La disortografia è un disturbo che nel tempo hanno una evoluzione spontanea, nel tempo si riprendono, attraverso la familiarizzazione con le parole della lingua riescono ad avere, via, via un numero sempre inferiore di errori. Nel momento in cui poi vengono distratti da qualcos’altro, viene proposto loro un compito di interferenza ecco che riappare il problema. Ma non è la disortografia il problema nella vita di questi adulti, ma è quello che la disortografia ha portato a livello emotivo, a livello motivazionale, a livello di vita normale, sociale con anche compiti complessi come la scrittura di una lettera.