Quello che resta Prefazione di . . . . . . . . . . . .. 7 Unpassante irrompe con il clamore dell 'istante nei pensieri di uno sconosciuto. . . . . . . . . . . .. 13 ANDREA ANTONIO SCURATI SESTA MICHELE DANESI Due grandi linee curve. . . . . . . . . . . . . . . . . .. 27 MDS Il monte opaco 43 SALINOCH Cos'hanno da guardare Palme MATTIA MONICA CONTI 51 . .. 89 FERRAZZI Potevamo correre il rischio di esserefelici . . . . . 107 DANILO POTENZA Genio Proibito CHIARA DAFFINI Chi ha paura di Arlecchino? DIEGO 111 139 DOTAR! Segnato sulla pelle VALENTINA Bitterness . . . . 161 NERI 175 LINDA AVOllO Galeottofu ilpigiama e chi lo espose in vetrina GIUUO 185 TELLARINI scar I (la chimera) DANIEL CRISTIAN 195 TEGA Ceneri innocenti GIUSEPPE 217 MARAzZOITA Clessidramente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 MARco ROMANI Sole grigio niente peggio 261 Posifazione di 267 PAOLO GIOVANNE1TI Prefazione "Questi scrivono come se fossero gli ultimi uomini a doverlo fare". A quanto pare, cosÌ Goethe avrebbe commentato l'apparizione delle prime opere di quei giovani che in seguito avremmo appreso a definire "romantici". Al netto di un po' di sgomento, e anche di una buona dose di dispetto - o, forse, proprio grazie a quella sua sconcertata irritazione - anche in questo caso il genio di Goethe aveva colto nel segno: al principio del XIX secolo, i giovani romantici esordivano nella letteratura con l'irruenza degli ultimi. La loro scrittura, metodicamente sempre prossima al punto di fusione, stava alla tradizione della letteratura come la fine del mondo sta al mondo. Non la ignorava, questo no. Al contrario, se la caricava tutta sulle spalle per saltare con quel pesante fardello nell'abisso. La usava come un combustibile fossile per alimentare la lingua di fiamma della deflagrazione finale. Da Hegel in avanti, il soggetto moderno è posto dinanzi al compito di comprendere il proprio tempo con il concetto. Benissimo. Ma l'emergere della coscienza storica avrebbe dovuto significare la possibilità, e anche la condanna, a doversi appropriare criticamente del presente, e dunque a poter attingere la propria norma da se stessi, senza obbligo di confidare né di soggiacere all'autorità della tradizione. Testa alta e sguardo aperto al futuro. Salvo che, una volta uscita dall'amnio avvolgente della tradizione, l'umanità incontra il proprio futuro su di un versante abissale. Oltranza. Questa mi sembra la parola più giusta per battezzare la mossa inaudita -7- con cui i romantici aprirono la fase contemporanea della scrittura letteraria moderna, la mossa di chi, bruciata l'intera flotta alle spalle, avanza alla cieca nel fitto della boscaglia, aprendosi la via con furibondi colpi di machete e attendendo si sempre, con il fiato grosso, da un momento all'altro, di sentirsi mancare la terra sotto i piedi, inghiottita dal crepaccio. A cominciare da quel momento, almeno otto generazioni hanno esordito nella letteratura come se dovessero essere le ultime a farlo. Per due secoli circa, si è fatto letteratura in questo modo ultraraffinato e selvaggio: si scriveva come se ci si stesse sporgendo su di un abisso. E, purtroppo, nel corso del XX secolo, a più d'una di quelle generazioni l'abisso ha poi restituito lo sguardo. In seguito, verso la fine del '900, qualcosa è cambiato. Molto, a dire il vero, è cambiato. L'onda di piena è rifluita. Si è cominciato a scrivere come se il crepaccio non lo si avesse più dinanzi ma didietro, non più di fronte ma alle spalle. La nuova generazione di scrittori che ha mosso i suoi primi passi al giro del secolo e del millennio, ha avanzato con l'incedere del camminatore da altopiano: il paesaggio è arido, il mare lontano, l'aria è rarefatta, c'è ancora un sacco di strada da fare e, soprattutto, è alle spalle la frattura che taglia per chilometri nella roccia una forra profonda. Tutto il passato è sepolto in quel canyon. Ancora quando cominciai a scrivere io, vent'anni faa scrivere intendo, non a pubblicare, perché allora i due momenti erano ancora statutariamente disgiunti - avevo addosso la febbre di chi sente di non poter mettere penna in carta prima di aver letto tutti i libri del mondo. E non per umiltà. Semmai per arroganza, per tracotanza. Per oltranza. Sì, questa è la parola giusta. Oltranza. lo, ventenne tardo romantico, dovevo aver letto tutti i libri del mondo prima di poter scrivere il mio, perché il mio sarebbe stato l'ultimo di essi. Il mio sarebbe stato la loro -8- tomba. Mi accingevo alla scrittura letteraria con la solennità di una sepoltura. I miei romanzi hanno poi, però, visto la luce a cose fatte, quando ogni rito funebre era già stato officiato, ogni passione apocalittica spenta. La palingenesi è venuta con tutta naturalezza, senza far rumore e, a voler essere onesti, anche un po' sottotono. Una mattina ci si è svegliati, si è bevuto un caffè doppio e si è ricominciato. Come se nulla fosse. L'oltranza è sfumata in un' ardimentosa ignoranza. E sia detto senza la benché minima deprecazione. Personalmente, auguro ogni bene a questa nuova audacia. Oggi, quando si scrive da giovani, lo si fa a valle di una indubbia interruzione nella tradizione. Il crepaccio, lo si è già detto, è da qualche parte dietro di noi. Ogni dialettica è stata dismessa - tra tradizione e innovazione, tra sperimentazione e conservazione, tra alto e basso, tra scuola e strada -, si ricomincia perciò ogni volta dalla prima infanzia. La giovinezza, somma invenzione romantica, ha del resto cessato di essere una categoria dello spirito per diventare una strategia di marketing. Perfino in Italia, al principio del nuovo millennio, l'industria culturale ha trovato nei giovani la propria stella polare. Non nei giovani lettori, si badi bene, bensÌ nei giovani scrittori. Siamo di fronte a un panorama tutto fatto di esordienti rivolti a una platea di coetanei che però non leggono. È un'altra faccia di quella loquacità di massa che impera sui blog di internet come sulle ribalte dei talk show televisivi. Insomma, oggi molti dei nuovi aspiranti scrittori non scrivono più come se fossero gli ultimi uomini a doverlo fare ma come se fossero i primi. Se ne avranno parecchie testimonianze in questa stessa antologia. Nessun disprezzo è lecito da parte dei più vecchi ammesso che si voglia rimanere al passo con i tempi, quand'anche fosse la loro una marcia recessiva. -9- Soprattutto, però, nessun disprezzo è lecito se si vuole rimanere al passo con la propria giovanile oltranza. Sì, è vero, c'è indubbiamente un marcato tratto neobarbarico in tutto questo. Ma c'è anche linfa. Vitalità cruda e verde. Sangue ben ossigenato. Forza biologica. E facciamo allora i nostri migliori auguri. Con ciò che verosimilmente li attende, ne avranno bisogno questi ragazzi qui agli esordi. Dei nostri auguri e, soprattutto, di quella loro forza. Antonio Scurati -10-