GLI SCAPIGLIATI
Gruppo di scrittori
Italia
1860-1870
Questi scrittori sono accomunati da:
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un’insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea
un impulso di rifiuto e rivolta
Il termine “SCAPIGLIATURA” fu proposto da Cletto Arrighi nel suo romanzo “La scapigliatura e il 6 febbraio”.
Questo termine designava un gruppo di ribelli che amavano vivere in maniere eccentrica e disordinata. È un
termine che possiamo accostare al francese bohème (vita povera, libera e irregolare).
Anche negli artisti italiani nascono quindi degli atteggiamenti ribelli e antiborghesi, il mito di una vita
dissipata e irregolare come rifiuto delle norme morali.
Di fronte agli aspetti della modernità, gli scapigliati assumono un atteggiamento ambivalente:
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il loro impulso originario è di repulsione e orrore (si aggrappano al passato)
si rendono conto che quei valori sono ormai persi e si rassegnano a rappresentare il “vero”
Ne deriva che la Scapigliatura recupera tutta una serie di temi romantici, che la letteratura italiana non aveva
ancora conosciuto: l’irrazionale, il fantastico, la dimensione del sogno e dell’allucinazione, il macabro. Il
“nero” romantico era la percezione delle forze terribili che si erano scatenate nel mondo moderno.
I modelli a cui guardano sono i romantici tedeschi, ma il principale è Baudelaire.
La posizione della Scapigliatura è quella di un crocevia intellettuale. Gli scapigliati infatti con il loro culto del
“vero”, con l’attenzione a tutto ciò che è patologico, orrido e deforme, introducono il Naturalismo. Dall’altra
parte, con la tensione verso il mistero e l’inesplicabile, anticipano quello che sarà il Decadentismo.
T4: L’attrazione per la morte (pag 49)
Nel ritratto di Fosca è evidente l’intento di evocare l’immagine della morte. Bisogna notare anche il
particolare dei capelli e degli occhi nerissimi, attributo tipico della donna fatale nella letteratura
dell’Ottocento.
Si delinea il gusto per l’analisi della patologia femminile, altro motivo tipico della letteratura ottocentesca.
Emerge anche illato morboso tra i due, che l’eroe narrando lo nasconde sotto l’alibi della pietà e del timore
di provocare in lei una crisi mortale. Questo rapporto viene definito come una “tortura”: in Giorgio vi è il
piacere a farsi torturare; dall’altro lato Fosca gode nell’imporre il suo dominio.