1 LA SOCIETA` DEL `700 E L`ANCIEN REGIME L

LA SOCIETA’ DEL ‘700 E L’ANCIEN REGIME
L’espressione Ancien régime (Antico regime) indica le caratteristiche sociali, politiche e
culturali della società tradizionale che si consolida in Europa tra la metà del ‘500 e quella
del ‘600, erede in questo di alcune caratteristiche tipicamente medioevali. Il termine viene
coniato in Francia nel 1790 durante la Rivoluzione francese, in un contesto di radicale
rinnovamento e di critica nei confronti del passato; esso investe del suo significato non
solo la società francese, ma quella europea nel suo complesso (con le rilevanti eccezioni
dell’Inghilterra e dell’Olanda). Dunque, per convenzione storiografica l’Ancien regime
indica quei privilegi sociali e quei vecchi sistemi di produzione economica che verranno
criticati dall’illuminismo e lentamente incrinati dalle rivoluzioni borghesi a cavallo tra ‘700 e
‘800. Il ‘700 è ancora contrassegnato dai caratteri tradizionali, ma ne vede però la crisi
progressiva.
1. L’incremento demografico in Europa nel corso del ‘700
Nel corso del ‘700 si assiste in Europa ad una consistente espansione di carattere
economico e sociale. E non è un caso isolato: anche in Cina e in America si verificò
lungo il corso del XVIII secolo il fenomeno di una popolazione più che raddoppiata.
Naturalmente, sarebbe semplicistico associare necessariamente benessere
economico e crescita demografica: questa è ancor oggi nettamente più consistente
nel sud del mondo, senza che ciò implichi un maggior benessere. Resta il fatto che,
a differenza di quanto accadde nel corso dell’XI e del XVI secolo, quella del ‘700 è
una crescita destinata a non arrestarsi più nella storia mondiale. Quali sono i
motivi?
Come notò Malthus, il fenomeno fu certo imputabile ad un aumento delle nascite,
naturale secondo lui nei periodi di maggior disponibilità di risorse. Tuttavia, secondo
questo studioso occorreva al più presto ridurre la natalità, per evitare di trovarsi
presto nella situazione opposta, ossia a quel crollo demografico relativo alle crisi del
‘300 e del ‘600, visto che la crescita della popolazione aumenta esponenzialmente
di più rispetto alle risorse disponibili. Sappiamo che le previsioni di Malthus non si
avverarono: la Rivoluzione industriale, nella seconda metà del secolo, porterà ad un
aumento della produzione e a quei miglioramenti tecnici che consentiranno una
disponibilità di risorse pari al fabbisogno popolare.
A tal proposito, nell’ambito dell’agricoltura nel corso del ‘700 gli open fields vennero
definitivamente meno attraverso la pratica delle recinzioni (enclosures), che
accorpavano fondi più piccoli racchiudendoli in recinti o usurpavano le terre comuni.
Questo fenomeno, già iniziato nel corso del ‘400, ebbe il suo culmine in questo
periodo ed è tipico dell’Inghilterra, per poi essere via via attuato anche in altri paesi.
Questa razionalizzazione della proprietà, condotta con criteri capitalistici volti al
profitto, favorì innovazioni e investimenti da parte degli imprenditori agricoli. La
principale innovazione fu il sistema di Norfolk (dal nome della contea inglese dove
fu attuato per la prima volta) e consisteva in una rotazione pluriennale (da sei a
dodici anni, che subentrò a quella triennale) che sostituiva il maggese con la
coltivazione di piante foraggere (erba medica, rape, trifoglio), le quali consentivano
una rigenerazione del suolo, facendolo restare fertile oltre che offrire foraggio per il
bestiame. Resta il fatto che tali innovazioni, attuate non solo in Inghilterra ma anche
nei Pesi Bassi, Danimarca, Germania settentrionale, Pianura padana (ossia le aree
più evolute dell’Europa occidentale) non riguardarono affatto l’Europa dell’Est e
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marginalmente quella meridionale; peraltro, solo in Inghilterra ebbero portata così
radicale da condurre alla scomparsa della piccola proprietà contadina a vantaggio
delle grandi aziende agricole.
Altro fattore importante fu la diminuzione del tasso di mortalità, anche perché
diverse malattie infettive, come la peste, sparirono (per motivi, francamente, ancora
oggi non del tutto chiari); peraltro, ve ne furono altre che mieterono vittime a
migliaia, come il colera e soprattutto il vaiolo, di cui il medico inglese Jenner
sperimentò il vaccino alla fine del secolo, ma i benefici della scoperta si sentirono
solo decenni dopo. Se la causa primaria non può coincidere dunque con i progressi
della medicina o con il miglioramento delle condizioni igieniche, per il quale
bisognerà aspettare ancora diverso tempo, maggiore importanza ebbe l’accresciuta
disponibilità di beni alimentari, anche in virtù della diffusione di colture come il
mais e la patata, che hanno rispetto al grano una resa decisamente maggiore a
parità di terreni coltivati. Ciò contribuì probabilmente ad aumentare le difese
immunitarie degli individui. Si ebbe inoltre una migliore organizzazione della
società, come una più efficiente sistemazione dei ricoveri, provvedimenti di
sbarramento verso navi provenienti da paesi lontani, bonifica della paludi.
Conseguenza fondamentale di questo periodo di maggior benessere fu
l’urbanizzazione, con il decollo di città che offrivano maggiori opportunità di lavoro
e sopravvivenza. Londra, con i suoi 700.000 abitanti, Parigi (600.000), Napoli
(400.000) e Vienna (200.000) erano all’epoca le maggiori città europee. Comunque
sia, l’Europa restava ancora un continente in larga misura rurale.
2. La mentalità dell’Ancien regime: la regalità sacra e taumaturgica
Per regalità sacra si intende, come sappiamo, la discendenza divina del potere
regio; questo aspetto si lega ad un cerimoniale del tutto particolare, che si ricollega,
in Francia, all’incoronazione del Re dei Franchi Clodoveo nel 496 d. C. nella
cattedrale di Reims da parte del vescovo Remigio. Dal ‘200 in poi i re francesi, in
memoria di quella cerimonia, verranno incoronati e investiti del loro potere sacrale
con modalità simili: la loro testa verrà unta di un olio che si riteneva santo (il re si
appellerà del titolo di ‘Unto del signore’) e dall’anno Mille il sovrano di Francia verrà
accreditato di miracolosi poteri di guarigione, imitato in questo dal re d’Inghilterra (la
pratica si consoliderà più tardi, nel corso del ‘200): con il solo tocco della mano i
sovrani (tra cui, in epoca più vicina a noi, Elisabetta I e Luigi XIV) sarebbero stati in
grado di guarire dalla scrofolosi, malattia letale delle ghiandole linfatiche causata
dal bacillo della tubercolosi. Erano questi i cosiddetti re taumaturghi, di cui per
primo parlò, nell’omonimo libro lo storico francese Marc Bloch (il testo è del 1924).
Questa è giustamente ritenuta una tra le più famose opere di storia che siano mai
state scritte, perché se fino a quel momento gli storici si erano occupati di eventi di
carattere politico, militare e diplomatico, con Bloch e Lucien Febvre, fondatori della
scuola facente capo alla rivista Les Annales (1929), tale disciplina si apre
all’incontro e al contributo fondamentale della sociologia, psicologia, geografia,
economia, insomma delle cosiddette scienze umane: ciò avviene perché lo storico
inizia ad occuparsi, per comprendere un periodo a tutto tondo, e non in modo
limitato, delle condizioni materiali di vita degli uomini di una determinata epoca,
così come della psicologia collettiva, dei miti, delle credenze popolari, che prima
erano ritenute alla stregua di semplice folclore ed ora assumono una loro dignità di
indagine. Ecco spiegato lo studio che Bloch fa della credenza popolare riguardante
i re taumaturghi: essa è ovviamente un mito, inculcato dai ceti dominanti per
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ottenere consenso e deferenza, quindi per giustificare ulteriormente l’origine divina
del potere regio, ma fa capire come molto spesso, nel corso della storia, i miti e le
invenzioni si radichino nella mentalità collettiva e orientino il comportamento di
milioni di persone, talvolta più di fatti accertati. La credenza nel potere taumaturgico
dei re verrà sparendo in seguito alla Rivoluzione inglese alla fine del ‘600 e
francese un secolo dopo.
3. L’Ancien régime: una società per ceti
La società europea (non soltanto francese) era fondamentalmente una società che
si fondava sui ceti o ordini o stati , mentre quella odierna, dall’800 in poi, è basata
sulle classi. La differenza è sostanziale. I ceti, che ricalcano l’ordine tripartito del
Medioevo (oratores, bellatores, laboratores), dunque clero, nobiltà e Terzo Stato,
sono gruppi fortemente definiti e rigidi in base allo status giuridico e alla
conseguente funzione sociale dei rispettivi membri. Una società del genere si fonda
sul privilegio, ossia su prerogative che un certo gruppo ha e che sono viceversa
negate ad altri. Questa è una società statica, nel senso che non si può cambiare
status all’interno di essa: se una persona nasce nobile o contadino, muore tale.
Inoltre, è fortemente gerarchica. La ricchezza non è necessariamente una
discriminante per appartenere ad un ceto o all’altro, né tanto meno è la prerogativa
principale: possono esserci nobili decaduti, che mantengono un certo prestigio in
virtù di questa mentalità tradizionalista, mentre affermati imprenditori che invece,
pur facendo affari, sono esclusi dal potere politico. L’individuo, nell’Ancien régime,
non conta di per sé, ma solo in funzione della comunità, quindi dell’ordine, a cui
appartiene. La nostra società si fonda sulle classi: un individuo appartiene ad una
classe o all’altra in virtù del suo status economico, per cui nel corso dell’800 le due
classi principali diverranno borghesi e proletari. La ricchezza è qui la discriminante
essenziale. Questa è una società dinamica, perché si può, sebbene con fatica e
sacrifici, mutare anche radicalmente il proprio status. Essa non si basa sul
privilegio, bensì sui diritti, primo fra tutti l’uguaglianza giuridica, che si fa strada
prima con la Rivoluzione inglese e poi con quella americana e francese. A
differenza dei privilegi, i diritti non escludono, ma includono tutti i membri di
una società nel godere di determinate prerogative. Sicuramente è una società
competitiva e conflittuale, dove però l’individuo conta in quanto tale, come
depositario di diritti inalienabili, che nessuno può togliergli (come sosteneva già il
giusnaturalismo).
Nella società di ancien régime, ci troviamo di fronte ad una concezione
patrimoniale dello stato: buona parte del territorio è proprietà del sovrano, che
possiede una notevole quantità di terre (certamente meno rispetto al passato,
quando i sovrani avevano concesso parte del territorio ai signori locali, i cosiddetti
benefici, che erano poi divenuti proprietà degli stessi e trasformati in ereditari).
Questo aspetto è tipico della società tradizionalistica, nella quale notiamo una
notevole commistione tra pubblico e privato: i matrimoni vengono in linea di
massima combinati tra le case regnanti, per consolidare la dinastia al potere,
tessere alleanze preziose a livello politico o per entrare in possesso di nuovi
territori. Peraltro, ciò può essere inteso solo alla luce di una concezione in base alla
quale lo stato è appunto patrimonio di un re e della sua casata e i matrimoni hanno
quindi grande importanza, così come le parentele tra le varie dinastie, finalizzate
appunto al mantenimento e alla trasmissione di tale patrimonio, se non al suo
ampliamento.
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A questo aspetto se ne lega un altro altrettanto decisivo. Fin dal Medioevo, come
sappiamo, i sovrani hanno un rapporto stretto con i rappresentanti dei vari ordini, le
cosiddette assemblee cetuali, ossia gli Stati generali in Francia, il Parlamento
britannico, le Cortes spagnole, nell’Impero e nell’Europa centro-orientale le Diete.
Con questi interlocutori, che hanno potere consultivo, il re contratta vari aspetti della
sua politica, in modo particolare la questione fiscale: per antica consuetudine è
prerogativa di queste assemblee, proprio in quanto rappresentanti dei vari ordini,
autorizzare nuove tasse, al di là di quelle ordinarie, essenziali in periodi di
emergenza come le guerre. Molto probabilmente la concezione sacra della regalità,
legata al potere taumaturgico dei sovrani di Francia e Inghilterra, fu istituita, in virtù
dell’importanza decisiva che la religione aveva a quel tempo, per controbilanciare la
necessità per il re di venire a patti con le assemblee cetuali e legittimare il suo
potere agli occhi del popolo. Sappiamo inoltre che, mentre in Spagna e Francia i
sovrani sono riusciti ad imporsi su questi organismi in senso assolutistico,
avocando in linea di massima a sé e ai propri funzionari tale prerogativa (sempre a
prezzo di conflitti), in Inghilterra è il Parlamento ad assumere questa essenziale
funzione (questione che causò la I Rivoluzione inglese). Del resto i ceti
effettivamente rappresentati in queste assemblee erano quelli agiati: oltre al clero e
ai nobili, i membri del Terzo Stato in Francia o della Camera dei Comuni in
Inghilterra erano rappresentanti della borghesia, non certo dei laboratores più umili.
Non meraviglia che in un contesto simile, quando la storia moderna riceverà una
significativa evoluzione e il diritto di voto verrà ampliato ulteriormente (con
organismi parlamentari che, nell’800, avranno funzione esplicitamente legislativa
non più soltanto in Inghilterra), tuttavia i ceti più umili verranno esclusi dal suffragio,
che rimarrà censitario per lungo tempo: ciò proprio in quanto nella mentalità del
tempo solo i cittadini proprietari, che producono ricchezza e contribuiscono al
mantenimento dello stato, debbono avere anche diritto di voto. La concezione
patrimoniale continua dunque ad influenzare l’Europa anche in seguito, per cui la
cosa pubblica non sarà prerogativa di chi non ha un determinato reddito almeno
fino all’800 inoltrato (anche nella stessa Inghilterra, paese politicamente più aperto
degli altri).
Diamo adesso un’occhiata sommaria alla composizione, decisamente variegata, dei
vari ceti nel corso del ‘700. I nobili erano convinti di appartenere ad un ceto distinto
dagli altri per origine, estrazione sociale e addirittura razza (la purezza del sangue).
Da qui derivavano prerogative formali (il diritto di fregiarsi di titoli e insegne,
tipiche di ogni casata) e privilegi concreti, quali il possesso di terre, l’esenzione
dalle tasse, concessa in genere dai sovrani come contraltare della perdita del
potere politico (come la stessa possibilità di contrattare le tasse) in seguito alla
costruzione degli stati assoluti, l’esclusiva nella carriera militare. Sappiamo che
questo modello aveva visto delle revisioni dal ‘600 in poi: alla tradizionale nobiltà di
spada si era affiancata una nobiltà di toga, composta da individui di estrazione
borghese, che avevano acquistato il titolo nobiliare e la carica pubblica in cambio di
sostanziose somme di denaro (e appoggiavano politicamente i sovrani). Questo
fenomeno fu tipico soprattutto della Francia, ma si fece notare anche in Austria,
Svezia, Inghilterra e registrò l’opposizione ovvia dei vecchi ceti nobiliari. Nel corso
del ‘700 questi privilegi iniziano ad essere messi a dura prova, perché il prestigio
comincia a coincidere significativamente con il successo negli affari. Fu così che in
paesi come Olanda e Inghilterra i vecchi ceti non avevano esitato, da tempo, ad
investire le proprie ricchezze in attività imprenditoriali, cosa che non avvenne in
Spagna e in Francia, solo per citare due tra i casi più clamorosi. Allora, per
migliorare la propria posizione, i nobili combinarono matrimoni di interesse con
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ricchi borghesi o iniziarono a dedicarsi talvolta alle attività amministrative o a
professioni qualificate, come notaio e avvocato. Sebbene in diminuzione, specie
nell’Europa occidentale, figura tutta una serie di diritti signorili non ancora
scomparsi, come le corvees e il diritto di banno, mentre inalterati restavano il
maggiorascato e il fidecommesso, rispettivamente la totale cessione dei beni del
nobile in eredità al maschio primogenito e la impossibilità di dividere questi beni. I
cadetti, ossia i figli dal secondogenito in poi, si dedicavano alla carriera militare o a
quella di sacerdote, divenendo abati, vescovi o cardinali.
Il clero, dal canto suo, continuò ad avere significativi privilegi e un’importanza
ragguardevole, ma il processo di laicizzazione della società che si avviò nel corso
del ‘700 iniziò ad incrinare questo primato. Venne meno, soprattutto, l’alleanza con
lo stato che era stata un caposaldo dell’Ancien régime: i sovrani daranno vita, come
vedremo, a provvedimenti restrittivi nei confronti del potere ecclesiastico. Per il
momento, tuttavia, limitiamoci a vedere la situazione fino alla metà del ‘700. Il clero,
oltre che in un alto e basso clero, si distingue anche in secolare (quello al di fuori di
ogni organizzazione monastica e dunque i sacerdoti comuni) e regolare (riferito agli
ordini monastici che adottano una ‘regola’ di vita, sancita una volta per tutte dal suo
fondatore: a tal proposito, possiamo citare Benedettini, Domenicani, Francescani,
Gesuiti, Cappuccini, ecc., in ordine cronologico di nascita nella storia della
cristianità). Le immunità fondamentali di cui godeva il clero erano di tre tipi:
personale, visto che i preti erano giudicati da tribunali ecclesiastici; locale, ossia il
diritto di asilo nelle chiese e nei conventi per chiunque vi si rifugiasse dopo aver
commesso un atto contro la legge; reale, cioè l’esenzione dalle imposte (a tal
riguardo, la chiesa concordava con gli stati un donativo periodico da elargire).
Esistevano poi ulteriori privilegi, come la manomorta, vincolo che impediva la
vendita e la divisione delle terre appartenenti al clero.
La borghesia era viceversa il gruppo sociale emergente: composta da mercanti,
imprenditori, banchieri, produttori di beni di vario genere, come anche liberi
professionisti come avvocati, notai e docenti, aveva una notevole importanza
economica ma peso politico di scarsissimo rilievo (eccezion fatta che per Olanda e
Inghilterra): sarà questa la molla che porterà alla Rivoluzione francese. Merito
personale e valore assegnato alla ricchezza contraddistinguevano il ceto borghese,
certamente assai variegato al suo interno anche per la disponibilità di capitali.
Pertanto, una società in evoluzione: non più rigidamente aristocratica, non ancora
borghese. Per quanto concerne i ceti meno abbienti, l’universo cittadino era
costituito da gruppi non organicamente costituiti ed era estremamente diversificato:
apprendisti, garzoni, salariati, venditori ambulanti, riparatori di ogni genere, ecc.
Donne e bambini erano dediti ai lavori più vari, non ultima la cosiddetta industria a
domicilio (riguardo alle prime); i piccoli erano spesso sfruttati, in mestieri come
quello di spazzacamino, per la loro statura piccola (un’attività molto pericolosa per
la salute).
D’altra parte, la società europea è ancora prevalentemente rurale: così i contadini
costituivano il gruppo sociale più numeroso, oltre i due terzi della popolazione. Pur
trattandosi di situazioni diversificate (anche perché i contadini dell’est europeo
vivevano in condizioni di gran lunga peggiori), questo mondo era formato da
persone che vivevano a livelli di sussistenza.
La terra, del resto, rimane per molti versi feudale, sottoposta cioè a tutta una serie
di vincoli che ne limitavano un uso orientato verso il profitto, sebbene il regime
feudale avesse attenuato di molto i suoi caratteri originari. Il contadino era tenuto a
corrispondere al signore tributi ordinari in denaro per l’uso della terra o tributi
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straordinari in natura nel caso avesse la possibilità di trasmettere ai discendenti la
terra acquistata o di venderla.
Ciò avveniva soprattutto nell’area in cui si era sviluppato il feudalesimo classico, la
Francia settentrionale e la Germania occidentale. In questo contesto la servitù
rimaneva un aspetto marginale: completamente scomparso in Inghilterra soprattutto
da Cromwell in poi, le condizioni più difficili dei contadini dell’Europa occidentale
vigevano in Spagna, Italia meridionale e Lazio. In generale, il contadino era
costretto a corrispondere ai centri di potere costituito una innumerevole serie di
imposte: dalle corvees, spesso sostituite da pagamenti in denaro, al diritto di banno
e ai prelievi feudali sul reddito dovuti al signore (che andavano dal 10 al 20 % dello
stesso), per passare poi alle tasse pagate allo stato: imposte dirette, come quelle
sulla proprietà (denominate taglia) o indirette (sui consumi), dette gabelle
(odiatissima quella sul sale, prodotto indispensabile per la conservazione degli
alimenti). Per concludere, nei paesi cattolici i contadini dovevano pagare la decima
alla Chiesa, una parte (in genere corrispondente a 1/12, 1/13) del raccolto.
La servitù personale era quasi scomparsa nell’Europa occidentale, mentre restava
fortemente in vigore in quella orientale: il servo contadino, che poteva essere
venduto dal signore come la terra, doveva chiedere a quest’ultimo il permesso non
solo per contrarre matrimonio, ma anche per sposarsi. Il lavoro servile, denominato
robot (parola russa che anticipa il nome dei servitori elettronici della nostra epoca) e
le servitù personali restarono in vigore nell’Est europeo fino al 1848 e in Russia fino
al 1861.
4. Il problema della povertà tra ‘600 e ‘700
Quello degli erranti, gli individui più poveri ed emarginati della piramide sociale, è
da sempre un problema delle società civili. Vagabondi, accattoni, piccoli
delinquenti, venditori ambulanti, zingari, emigranti stagionali: un esercito assai
eterogeneo, che assai più di oggi popolava le strade per lo più cittadine del
passato. Il modo in cui la società vedeva questa gente cambia nel corso del tempo.
Nel ‘500 il povero viene ritenuto ‘vicario di Cristo’ e degno perciò di rispetto,
rappresentante in terra della povertà evangelica. Tra la fine del ‘500 e la metà del
‘700 le cose cambiano radicalmente: si instaura un fenomeno definito dagli storici
grande reclusione. I poveri sono ritenuti individui asociali, alla stregua dei pazzi
e delle prostitute. Essi sono destinati all’internamento in case di reclusione (tra le
più famose, le workhouses inglesi), in funzione del disciplinamento della povertà e
della redenzione morale del soggetto. In questi luoghi i poveri lavorano, pregano,
ricevono una basilare istruzione, ma vengono trattati spesso con metodi coercitivi.
Emblematico è quanto afferma uno studioso del settore, lo storico polacco
Geremek: egli racconta, sulla base di prove documentarie, che ad Amsterdam se
un povero si rifiutava di lavorare, veniva rinchiuso in un sotterraneo che lentamente
si riempiva di acqua. Il recluso aveva a disposizione una pompa e per salvarsi
doveva pompare via l’acqua in modo da non affogare: metodo efficace per
sconfiggere la pigrizia ed abituare al lavoro. Dalla metà del ‘700 in poi, il mutamento
della mentalità collettiva vede il fallimento della grande reclusione: questo sistema è
fortemente criticato sia dalla Chiesa che da parte degli intellettuali per motivi
umanitari. Si sviluppano la filantropia, di cui divengono protagonisti uomini
benestanti e culturalmente di livello elevato che si prodigano per aiutare i poveri, e
l’analisi sociale, che puntualizza come questo metodo fosse estremamente
svantaggioso anche a livello economico: mantenere i poveri costava troppo. Nel
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corso dell’800, come vedremo, essi entreranno a far parte del proletariato
industriale e saranno protagonisti di una storia assai diversa e non meno
drammatica.
5. La guerra nel ‘700
Nella prima metà del ‘700 assistiamo ad una serie di conflitti pressoché ininterrotti.
Tuttavia, è una guerra profondamente diversa da quella del secolo precedente. Nel
‘600 si verificano guerre di religione, che seppur associate indissolubilmente
all’aspetto politico, implicano la demonizzazione dell’avversario; nel ‘700 le
motivazioni politiche hanno il predominio e si assiste alla disponibilità verso il
compromesso: gli stati combattono certamente per l’egemonia europea, ma nel
quadro inevitabile di una necessaria coesistenza. Alla base di ciò vi è il concetto di
equilibrio, per cui appena uno stato rischiava di assumere un ruolo di eccessiva
potenza, gli altri si coalizzavano contro di esso per evitare di rompere il sistema
europeo. Del resto, le guerre andavano di pari passo con le iniziative diplomatiche,
come accadrà nell’epoca contemporanea. La stessa circolazione delle merci e delle
persone e lo scambio di idee non si interrompeva mai. Il motivo scatenante delle
guerre settecentesche è di carattere dinastico: vi è in gioco la successione ad un
prestigioso trono europeo. Le alleanze cambiano, di conflitto in conflitto, a seconda
della situazione e delle forze in campo: prova ne sia che non vi è un particolare
motivo ideologico a condurre gli stati alla guerra. La stessa causa dinastica è
certamente pretestuosa e va vista nell’ottica fondamentale della politica di potenza.
Mentre nel ‘600 il coinvolgimento dei civili era stato spaventoso, con razzie e
devastazioni di ogni tipo, nel ‘700 questo avviene molto meno, anche perché gli
eserciti si dotano di infrastrutture militari (caserme, depositi di armi e vettovaglie,
accampamenti organizzati) che rendono i conflitti meno onerosi per la popolazione
civile e di maggior disciplina. Infine, non si tende come nel secolo precedente
all’annientamento dell’avversario, bensì al suo logoramento, con manovre e
contromanovre, lunghi assedi e occupazione di posizioni strategiche, mentre le
battaglie decisive furono abbastanza rare.
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