LA SOCIETA’ DEL ‘700 E L’ANCIEN REGIME L’espressione Ancien régime (Antico regime) indica le caratteristiche sociali, politiche e culturali della società tradizionale che si consolida in Europa tra la metà del ‘500 e quella del ‘600, erede in questo di alcune caratteristiche tipicamente medioevali. Il termine viene coniato in Francia nel 1790 durante la Rivoluzione francese, in un contesto di radicale rinnovamento e di critica nei confronti del passato; esso investe del suo significato non solo la società francese, ma quella europea nel suo complesso (con le rilevanti eccezioni dell’Inghilterra e dell’Olanda). Dunque, per convenzione storiografica l’Ancien regime indica quei privilegi sociali e quei vecchi sistemi di produzione economica che verranno criticati dall’illuminismo e lentamente incrinati dalle rivoluzioni borghesi a cavallo tra ‘700 e ‘800. Il ‘700 è ancora contrassegnato dai caratteri tradizionali, ma ne vede però la crisi progressiva. 1. L’incremento demografico in Europa nel corso del ‘700 Nel corso del ‘700 si assiste in Europa ad una consistente espansione di carattere economico e sociale. E non è un caso isolato: anche in Cina e in America si verificò lungo il corso del XVIII secolo il fenomeno di una popolazione più che raddoppiata. Naturalmente, sarebbe semplicistico associare necessariamente benessere economico e crescita demografica: questa è ancor oggi nettamente più consistente nel sud del mondo, senza che ciò implichi un maggior benessere. Resta il fatto che, a differenza di quanto accadde nel corso dell’XI e del XVI secolo, quella del ‘700 è una crescita destinata a non arrestarsi più nella storia mondiale. Quali sono i motivi? Come notò Malthus, il fenomeno fu certo imputabile ad un aumento delle nascite, naturale secondo lui nei periodi di maggior disponibilità di risorse. Tuttavia, secondo questo studioso occorreva al più presto ridurre la natalità, per evitare di trovarsi presto nella situazione opposta, visto che la crescita della popolazione aumenta esponenzialmente di più rispetto alle risorse disponibili. Sappiamo che le previsioni di Malthus non si avverarono: la Rivoluzione industriale, nella seconda metà del secolo, porterà ad un aumento della produzione e a quei miglioramenti tecnici che consentiranno una disponibilità di risorse pari al fabbisogno popolare. A tal proposito, nell’ambito dell’agricoltura nel corso del ‘700 gli open fields vennero definitivamente meno attraverso la pratica delle recinzioni (enclosures), che accorpavano fondi più piccoli racchiudendoli in recinti o usurpavano le terre comuni. Questo fenomeno, già iniziato nel corso del ‘400, ebbe il suo culmine in questo periodo ed è tipico dell’Inghilterra, per poi essere via via attuato anche in altri paesi. Questa razionalizzazione della proprietà, condotta con criteri capitalistici volti al profitto, favorì innovazioni e investimenti da parte degli imprenditori agricoli. La principale innovazione fu il sistema di Norfolk (dal nome della contea inglese dove fu attuato per la prima volta) e consisteva in una rotazione pluriennale (da sei a dodici anni, che subentrò a quella triennale) che sostituiva il maggese con la coltivazione di piante foraggere (erba medica, rape, trifoglio), le quali consentivano una rigenerazione del suolo, facendolo restare fertile oltre che foraggio per il bestiame. Resta il fatto che tali innovazioni, attuate non solo in Inghilterra ma anche nei Pesi Bassi, Danimarca, Germania settentrionale, Pianura padana (ossia le aree più evolute dell’Europa occidentale) non riguardarono affatto l’Europa dell’Est e marginalmente quella meridionale; peraltro, solo in Inghilterra ebbero portata così radicale da condurre alla scomparsa della piccola proprietà contadina a vantaggio delle grandi aziende agricole. Altro fattore importante fu la diminuzione del tasso di mortalità, anche perché diverse malattie infettive, come la peste, sparirono (per motivi, francamente, ancora oggi non del tutto chiari); peraltro, ve ne furono altre che mieterono vittime a migliaia, come il colera e soprattutto il vaiolo, di cui il medico inglese Jenner sperimentò il vaccino alla fine del secolo, ma i benefici della scoperta si sentirono solo decenni dopo. Se la causa primaria non può coincidere dunque con i progressi della medicina o con il miglioramento delle condizioni igieniche, per il quale bisognerà aspettare ancora diverso tempo, maggiore importanza ebbe l’accresciuta disponibilità di beni alimentari, anche in virtù della diffusione di colture come il mais e la patata, che hanno rispetto al grano una resa decisamente maggiore a parità di terreni coltivati. Ciò contribuì probabilmente ad aumentare le difese immunitarie degli individui. Si ebbe inoltre una migliore organizzazione della società, come una più efficiente sistemazione dei ricoveri, provvedimenti di sbarramento verso navi provenienti da paesi lontani, bonifica della paludi. Conseguenza fondamentale di questo periodo di maggior benessere fu l’urbanizzazione, con il decollo di città che offrivano maggiori opportunità di lavoro e sopravvivenza. Londra, con i suoi 700.000 abitanti, Parigi (600.000), Napoli (400.000) e Vienna (200.000) erano all’epoca le maggiori città europee. Comunque sia, l’Europa restava ancora un continente in larga misura rurale. 2. La mentalità dell’Ancien regime: la regalità sacra e taumaturgica Per regalità sacra si intende, come sappiamo, la discendenza divina del potere regio; questo aspetto si lega ad un cerimoniale del tutto particolare, che si ricollega, in Francia, all’incoronazione del Re dei Franchi Clodoveo nel 496 d. C. nella cattedrale di Reims da parte del vescovo Remigio. Dal ‘200 in poi i re francesi, in memoria di quella cerimonia, verranno incoronati e investiti del loro potere sacrale con modalità simili: la loro testa verrà unta di un olio che si riteneva santo (il re si appellerà del titolo di ‘Unto del signore’) e dall’anno Mille il sovrano di Francia verrà accreditato di miracolosi poteri di guarigione, imitato in questo dal re d’Inghilterra (la pratica si consoliderà più tardi, nel corso del ‘200): con il solo tocco della mano i sovrani (tra cui, in epoca più vicina a noi, Elisabetta I e Luigi XIV) sarebbero stati in grado di guarire dalla scrofolosi, malattia letale delle ghiandole linfatiche causata dal bacillo della tubercolosi. Erano questi i cosiddetti re taumaturghi, di cui per primo parlò, nell’omonimo libro lo storico francese Marc Bloch (il testo è del 1924). Questa è giustamente ritenuta una tra le più famose opere di storia che siano mai state scritte, perché se fino a quel momento gli storici si erano occupati di eventi di carattere politico, militare e diplomatico, con Bloch e Lucien Febvre, fondatori della scuola facente capo alla rivista Les Annales (1929), tale disciplina si apre all’incontro e al contributo fondamentale della sociologia, psicologia, geografia, economia, insomma delle cosiddette scienze umane: ciò avviene perché lo storico inizia ad occuparsi, per comprendere un periodo a tutto tondo, e non in modo limitato, delle condizioni materiali di vita degli uomini di una determinata epoca, così come della psicologia collettiva, dei miti, delle credenze popolari, che prima erano ritenute alla stregua di semplice folclore ed ora assumono una loro dignità di indagine. Ecco spiegato lo studio che Bloch fa della credenza popolare riguardante i re taumaturghi: essa è ovviamente un mito, inculcato dai ceti dominanti per ottenere consenso e deferenza, quindi per giustificare ulteriormente l’origine divina del potere regio, ma fa capire come molto spesso, nel corso della storia, i miti e le invenzioni si radichino nella mentalità collettiva e orientino il comportamento di milioni di persone, talvolta più di fatti accertati. La credenza nel potere taumaturgico dei re verrà sparendo in seguito alla Rivoluzione inglese alla fine del ‘600 e francese un secolo dopo. 3. L’Ancien régime: una società per ceti La società europea (non soltanto francese) era fondamentalmente una società che si fondava sui ceti o ordini o stati , mentre quella odierna, dall’800 in poi, è basata sulle classi. La differenza è sostanziale. I ceti, che ricalcano l’ordine tripartito del Medioevo (oratores, bellatores, laboratores), dunque clero, nobiltà e Terzo Stato, sono gruppi fortemente definiti e rigidi in base allo status giuridico e alla conseguente funzione sociale dei rispettivi membri. Una società del genere si fonda sul privilegio, ossia su prerogative che un certo gruppo ha e che sono viceversa negate ad altri. Questa è una società statica, nel senso che non si può cambiare status all’interno di essa: se una persona nasce nobile o contadino, muore tale. Inoltre, è fortemente gerarchica. La ricchezza non è necessariamente una discriminante per appartenere ad un ceto o all’altro, né tanto meno è la prerogativa principale: possono esserci nobili decaduti, che mantengono un certo prestigio in virtù di questa mentalità tradizionalista, mentre affermati imprenditori che invece, pur facendo affari, sono esclusi dal potere politico. L’individuo, nell’Ancien régime, non conta di per sé, ma solo in funzione della comunità, quindi dell’ordine, a cui appartiene. La nostra società si fonda sulle classi: un individuo appartiene ad una classe o all’altra in virtù del suo status economico, per cui nel corso dell’800 le due classi principali diverranno borghesi e proletari. La ricchezza è qui la discriminante essenziale. Questa è una società dinamica, perché si può, sebbene con fatica e sacrifici, mutare anche radicalmente il proprio status. Essa non si basa sul privilegio, bensì sui diritti, primo fra tutti l’uguaglianza giuridica, che si fa strada prima con la Rivoluzione inglese e poi con quella americana e francese. A differenza dei privilegi, i diritti non escludono, ma includono tutti i membri di una società nel godere di determinate prerogative. Sicuramente è una società competitiva e conflittuale, dove però l’individuo conta in quanto tale, come depositario di diritti inalienabili, che nessuno può togliergli (come sosteneva già il giusnaturalismo). Nella società di ancien régime, ci troviamo di fronte ad una concezione patrimoniale dello stato: buona parte del territorio è proprietà del sovrano, che possiede una notevole quantità di terre (certamente meno rispetto al passato, quando i sovrani avevano concesso parte del territorio ai signori locali, i cosiddetti benefici, che erano poi divenuti proprietà degli stessi e trasformati in ereditari). Questo aspetto è tipico della società tradizionalistica, nella quale notiamo una notevole commistione tra pubblico e privato: i matrimoni vengono in linea di massima combinati tra le case regnanti, per consolidare la dinastia al potere, tessere alleanze preziose a livello politico o per entrare in possesso di nuovi territori. Peraltro, ciò può essere inteso solo alla luce di una concezione in base alla quale lo stato è appunto patrimonio di un re e della sua casata e i matrimoni hanno quindi grande importanza, così come le parentele tra le varie dinastie, finalizzate appunto al mantenimento e alla trasmissione di tale patrimonio, se non al suo ampliamento. A questo aspetto se ne lega un altro altrettanto decisivo. Fin dal Medioevo, come sappiamo, i sovrani hanno un rapporto stretto con i rappresentanti dei vari ordini, le cosiddette assemblee cetuali, ossia gli Stati generali in Francia, il Parlamento britannico, le Cortes spagnole, nell’Impero e nell’Europa centro-orientale le Diete. Con questi interlocutori, che hanno potere consultivo, il re contratta vari aspetti della sua politica, in modo particolare la questione fiscale: per antica consuetudine è prerogativa di queste assemblee, proprio in quanto rappresentanti dei vari ordini, autorizzare nuove tasse, al di là di quelle ordinarie, essenziali in periodi di emergenza come le guerre. Molto probabilmente la concezione sacra della regalità, legata al potere taumaturgico dei sovrani di Francia e Inghilterra, fu istituita, in virtù dell’importanza decisiva che la religione aveva a quel tempo, per controbilanciare la necessità per il re di venire a patti con le assemblee cetuali e legittimare il suo potere agli occhi del popolo. Sappiamo inoltre che, mentre in Spagna e Francia i sovrani sono riusciti ad imporsi su questi organismi in senso assolutistico, avocando in linea di massima a sé e ai propri funzionari tale prerogativa (sempre a prezzo di conflitti), in Inghilterra è il Parlamento ad assumere questa essenziale funzione (questione che causò la I Rivoluzione inglese). Del resto i ceti effettivamente rappresentati in queste assemblee erano quelli agiati: oltre al clero e ai nobili, i membri del Terzo Stato in Francia o della Camera dei Comuni in Inghilterra erano rappresentanti della borghesia, non certo dei laboratores più umili. Non meraviglia che in un contesto simile, quando la storia moderna riceverà una significativa evoluzione e il diritto di voto verrà ampliato ulteriormente (con organismi parlamentari che, nell’800, avranno funzione esplicitamente legislativa non più soltanto in Inghilterra), tuttavia i ceti più umili verranno esclusi dal suffragio, che rimarrà censitario per lungo tempo: ciò proprio in quanto nella mentalità del tempo solo i cittadini proprietari, che producono ricchezza e contribuiscono al mantenimento dello stato, debbono avere anche diritto di voto. La concezione patrimoniale continua dunque ad influenzare l’Europa anche in seguito, per cui la cosa pubblica non sarà prerogativa di chi non ha un determinato reddito almeno fino all’800 inoltrato (anche nella stessa Inghilterra, paese politicamente più aperto degli altri. Diamo adesso un’occhiata sommaria alla composizione, decisamente variegata, dei vari ceti nel corso del ‘700. I nobili erano convinti di appartenere ad un ceto distinto dagli altri per origine, estrazione sociale e addirittura razza (la purezza del sangue). Da qui derivavano prerogative formali (il diritto di fregiarsi di titoli e insegne, tipiche di ogni casata) e privilegi concreti, quali il possesso di terre, l’esenzione dalle tasse, concessa in genere dai sovrani come contraltare della perdita del potere politico (come la stessa possibilità di contrattare le tasse) in seguito alla costruzione degli stati assoluti, l’esclusiva nella carriera militare. Sappiamo che questo modello aveva visto delle revisioni dal ‘600 in poi: alla tradizionale nobiltà di spada si era affiancata una nobiltà di toga, composta da individui di estrazione borghese, che avevano acquistato il titolo nobiliare e la carica pubblica in cambio di sostanziose somme di denaro (e appoggiavano politicamente i sovrani). Questo fenomeno fu tipico soprattutto della Francia, ma si fece notare anche in Austria, Svezia, Inghilterra e registrò l’opposizione ovvia dei vecchi ceti nobiliari. Nel corso del ‘700 questi privilegi iniziano ad essere messi a dura prova, perché il prestigio comincia a coincidere significativamente con il successo negli affari. Fu così che in paesi come Olanda e Inghilterra i vecchi ceti non avevano esitato, da tempo, ad investire le proprie ricchezze in attività imprenditoriali, cosa che non avvenne in Spagna e in Francia, solo per citare due tra i casi più clamorosi. Allora, per migliorare la propria posizione, i nobili combinarono matrimoni di interesse con ricchi borghesi o iniziarono a dedicarsi talvolta alle attività amministrative o a professioni qualificate, come notaio e avvocato. Sebbene in diminuzione, specie nell’Europa occidentale, figura tutta una serie di diritti signorili non ancora scomparsi, come le corvees e il diritto di banno, mentre inalterati restavano il maggiorascato e il fidecommesso, rispettivamente la totale cessione dei beni del nobile in eredità al maschio primogenito e la impossibilità di dividere questi beni. I cadetti, ossia i figli dal secondogenito in poi, si dedicavano alla carriera militare o a quella di sacerdote, divenendo abati, vescovi o cardinali. Il clero, dal canto suo, continuò ad avere significativi privilegi e un’importanza ragguardevole, ma il processo di laicizzazione della società che si avviò nel corso del ‘700 iniziò ad incrinare questo primato. Venne meno, soprattutto, l’alleanza con lo stato che era stata un caposaldo dell’Ancien régime: i sovrani daranno vita, come vedremo, a provvedimenti restrittivi nei confronti del potere ecclesiastico). Per il momento, tuttavia, limitiamoci a vedere la situazione fino alla metà del ‘700. Il clero, oltre che in un alto e basso clero, si distingue anche in secolare (quello al di fuori di ogni organizzazione monastica e dunque i sacerdoti comuni) e regolare (riferito agli ordini monastici che adottano una ‘regola’ di vita, sancita una volta per tutte dal suo fondatore: a tal proposito, possiamo citare Benedettini, Domenicani, Francescani, Gesuiti, Cappuccini, ecc., in ordine cronologico di nascita nella storia della cristianità). Le immunità fondamentali di cui godeva il clero erano di tre tipi: personale, visto che i preti erano giudicati da tribunali ecclesiastici; locale, ossia il diritto di asilo nelle chiese e nei conventi per chiunque vi si rifugiasse dopo aver commesso un atto contro la legge; reale, cioè l’esenzione dalle imposte (a tal riguardo, la chiesa concordava con gli stati un donativo periodico da elargire). Esistevano poi ulteriori privilegi, come la manomorta, vincolo che impediva la vendita e la divisione delle terre appartenenti al clero. La borghesia era viceversa il gruppo sociale emergente: composta da mercanti, imprenditori, banchieri, produttori di beni di vario genere, come anche liberi professionisti come avvocati, notai e docenti, aveva una notevole importanza economica ma peso politico di scarsissimo rilievo (eccezion fatta che per Olanda e Inghilterra): sarà questa la molla che porterà alla Rivoluzione francese. Merito personale e valore assegnato alla ricchezza contraddistinguevano il ceto borghese, certamente assai variegato al suo interno anche per la disponibilità di capitali. Pertanto, una società in evoluzione: non più rigidamente aristocratica, non ancora borghese. Per quanto concerne i ceti meno abbienti, l’universo cittadino era costituito da gruppi non organicamente costituiti ed era estremamente diversificato: apprendisti, garzoni, salariati, venditori ambulanti, riparatori di ogni genere, ecc. Donne e bambini erano dediti ai lavori più vari, non ultima la cosiddetta industria a domicilio (riguardo alle prime); i piccoli erano spesso sfruttati, in mestieri come quello di spazzacamino, per la loro statura piccola (un’attività molto pericolosa per la salute). D’altra parte, la società europea è ancora prevalentemente rurale: così i contadini costituivano il gruppo sociale più numeroso, oltre i due terzi della popolazione . Pur trattandosi di situazioni diversificate (anche perché i contadini dell’est europeo vivevano in condizioni di gran lunga peggiori), questo mondo era formato da persone che vivevano a livelli di sussistenza. La terra, del resto, rimane per molti versi feudale, sottoposta cioè a tutta una serie di vincoli che ne limitavano un uso orientato verso il profitto, sebbene il regime feudale avesse attenuato di molto i suoi caratteri originari. Il contadino era tenuto a corrispondere al signore tributi ordinari in denaro per l’uso della terra o tributi straordinari in natura nel caso avesse la possibilità di trasmettere ai discendenti la terra acquistata o di venderla. Ciò avveniva soprattutto nell’area in cui si era sviluppato il feudalesimo classico, la Francia settentrionale e la Germania occidentale. In questo contesto la servitù rimaneva un aspetto marginale: completamente scomparso in Inghilterra soprattutto da Cromwell in poi, le condizioni più difficili dei contadini dell’Europa occidentale vigevano in Spagna, Italia meridionale e Lazio. In generale, il contadino era costretto a corrispondere ai centri di potere costituito una innumerevole serie di imposte: dalle corvees, spesso sostituite da pagamenti in denaro, al diritto di banno e ai prelievi feudali sul reddito dovuti al signore (che andavano dal 10 al 20 % dello stesso), per passare poi alle tasse pagate allo stato: imposte dirette, come quelle sulla proprietà (denominate taglia) o indirette (sui consumi), dette gabelle (odiatissima quella sul sale, prodotto indispensabile per la conservazione degli alimenti). Per concludere, nei paesi cattolici i contadini dovevano pagare la decima alla Chiesa, una parte (in genere corrispondente a 1/12, 1/13) del raccolto. La servitù personale era quasi scomparsa nell’Europa occidentale, mentre restava fortemente in vigore in quella orientale: il servo contadino, che poteva essere venduto dal signore come la terra, doveva chiedere a quest’ultimo il permesso non solo per contrarre matrimonio, ma anche per sposarsi. Il lavoro servile, denominato robot (parola russa che anticipa il nome dei servitori elettronici della nostra epoca) e le servitù personali restarono in vigore nell’Est europeo fino al 1848 e in Russia fino al 1861. 4. Il problema della povertà tra ‘600 e ‘700 Quello degli erranti, gli individui più poveri ed emarginati della piramide sociale, è da sempre un problema delle società civili. Vagabondi, accattoni, piccoli delinquenti, venditori ambulanti, zingari, emigranti stagionali: un esercito assai eterogeneo, che assai più di oggi popolava le strade per lo più cittadine del passato. Il modo in cui la società vedeva questa gente cambia nel corso del tempo. Nel ‘500 il povero viene ritenuto ‘vicario di Cristo’ e degno perciò di rispetto, rappresentante in terra della povertà evangelica. Tra la fine del ‘500 e la metà del ‘700 le cose cambiano radicalmente: si instaura un fenomeno definito dagli storici grande reclusione. I poveri sono ritenuti individui asociali, alla stregua dei pazzi e delle prostitute. Essi sono destinati all’internamento in case di reclusione (tra le più famose, le workhouses inglesi), in funzione del disciplinamento della povertà e della redenzione morale del soggetto. In questi luoghi i poveri lavorano, pregano, ricevono una basilare istruzione, ma vengono trattai spesso con metodi coercitivi. Emblematico è quanto afferma uno studioso del settore, lo storico polacco Geremek: egli racconta, sulla base di prove documentarie, che ad Amsterdam se un povero si rifiutava di lavorare, veniva rinchiuso in un sotterraneo che lentamente si riempiva di acqua. Il recluso aveva a disposizione una pompa e per salvarsi doveva pompare via l’acqua in modo da non affogare: metodo efficace per sconfiggere la pigrizia ed abituare al lavoro. Dalla metà del ‘700 in poi, il mutamento della mentalità collettiva vede il fallimento della grande reclusione: questo sistema è fortemente criticato sia dalla Chiesa che da parte degli intellettuali per motivi umanitari. Si sviluppano la filantropia, di cui divengono protagonisti uomini benestanti e culturalmente di livello elevato che si prodigano per aiutare i poveri, e l’analisi sociale, che puntualizza come questo metodo fosse estremamente svantaggioso anche a livello economico: mantenere i poveri costava troppo. Nel corso dell’800, come vedremo, essi entreranno a far parte del proletariato industriale e saranno protagonisti di una storia assai diversa e non meno drammatica. 5. La guerra nel ‘700 Nella prima metà del ‘700 assistiamo ad una serie di conflitti pressoché ininterrotti. Tuttavia, è una guerra profondamente diversa da quella del secolo precedente. Nel ‘600 si verificano guerre di religione, che seppur associate indissolubilmente all’aspetto politico, implicano la demonizzazione dell’avversario; nel ‘700 le motivazioni politiche hanno il predominio e si assiste alla disponibilità verso il compromesso: gli stati combattono certamente per l’egemonia europea, ma nel quadro inevitabile di una necessaria coesistenza. Alla base di ciò vi è il concetto di equilibrio, per cui appena uno stato rischiava di assumere un ruolo di eccessiva potenza, gli altri si coalizzavano contro di esso per evitare di rompere il sistema europeo. Del resto, le guerre andavano di pari passo con le iniziative diplomatiche, come accadrà nell’epoca contemporanea. La stessa circolazione delle merci e delle persone e lo scambio di idee non si interrompeva mai. Il motivo scatenante delle guerre settecentesche è di carattere dinastico: vi è in gioco la successione ad un prestigioso trono europeo. Le alleanze cambiano, di conflitto in conflitto, a seconda della situazione e delle forze in campo: prova ne sia che non vi è un particolare motivo ideologico a condurre gli stati alla guerra. La stessa causa dinastica è certamente pretestuosa e va vista nell’ottica fondamentale della politica di potenza. Mentre nel ‘600 il coinvolgimento dei civili era stato spaventoso, con razzie e devastazioni di ogni tipo, nel ‘700 questo avviene molto meno, anche perché gli eserciti si dotano di infrastrutture militari (caserme, depositi di armi e vettovaglie, accampamenti organizzati) che rendono i conflitti meno onerosi per la popolazione civile e di maggior disciplina. Infine, non si tende come nel secolo precedente all’annientamento dell’avversario, bensì al suo logoramento, con manovre e contromanovre, lunghi assedi e occupazione di posizioni strategiche, mentre le battaglie decisive furono abbastanza rare. Per quanto concerne il quadro essenziale delle guerre di successione del ‘700, vedi fotocopia allegata.