le leggi della termodinamica dei buchi neri

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Scienze e Tecnologie
Corso di Laurea Triennale in Fisica
LE LEGGI DELLA
TERMODINAMICA DEI BUCHI NERI
Relatori:
Dietmar Klemm
Alberto Santambrogio
Elaborato finale di:
Giuliano Giudici
Matricola n. 781424
Codice pacs: 04.70.-s
Anno Accademico 2012-2013
Riassunto
Questo lavoro è un’analisi delle leggi della meccanica dei buchi neri e delle loro analogie con i principi
della termodinamica classica. Dopo una breve introduzione storica, verranno formalizzati il concetto
di buco nero e le nozioni topologiche e geometriche necessarie alla successiva esposizione, insieme con
alcuni dei più importanti risultati della Relatività Generale in questo campo. Sarà poi introdotta
una delle possibili definizioni di massa e momento angolare in uno spaziotempo curvo e saranno
calcolate queste quantità in due casi particolari. Verranno formulate e dimostrate le quattro leggi
della meccanica e commentate le loro analogie con la termodinamica da un punto di vista puramente
formale. Saranno infine date le basi di teoria quantistica dei campi indispensabili nella comprensione
del processo di radiazione di un buco nero, di cui verranno analizzate alcune conseguenze, tra le quali
la conciliazione di meccanica dei buchi neri e termodinamica.
Indice
Introduzione
iii
1 Parentesi matematica
1.1 Definizione di buco nero . . . . . . . . . .
1.2 Ipersuperfici nulle . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Orizzonti di Killing . . . . . . . . . . . . .
1.4 Soluzioni esatte delle equazioni di campo .
1.5 Teoremi di unicità . . . . . . . . . . . . .
1.6 Gravità superficiale . . . . . . . . . . . . .
1.7 Singolarità . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.8 Teorema della divergenza . . . . . . . . .
1.9 Equazione di Raychaudhuri per geodetiche
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nulle
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1
1
3
4
6
7
8
10
12
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2 Energia e momento angolare
2.1 Carica elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Integrali di Komar . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Massa del buco nero di Schwarzschild . . . . . .
2.4 Massa e momento angolare del buco nero di Kerr
2.5 Condizioni sull’energia . . . . . . . . . . . . . . .
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25
3 La meccanica dei buchi neri
3.1 Legge zero . . . . . . . . . .
3.2 Prima legge . . . . . . . . .
3.3 Seconda legge . . . . . . . .
3.4 Terza legge . . . . . . . . .
3.5 Il processo di Penrose . . .
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generalizzato
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4 La termodinamica dei buchi neri
4.1 Teoria dei campi classica . . . . . . . .
4.2 Teoria dei campi quantistica . . . . . .
4.3 Effetto Hawking . . . . . . . . . . . .
4.4 L’evaporazione di un buco nero . . . .
4.5 Secondo principio della termodinamica
4.6 Problemi aperti . . . . . . . . . . . . .
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Introduzione
Il concetto di buco nero nasce molto prima della Relatività Generale. Verso la fine dell’Ottocento,
quando la gravità sembra perfettamente spiegata dalla meccanica newtoniana, l’astronomo inglese
John Michell, e pochi anni dopo di lui il famoso marchese Pierre-Simon Laplace nel suo libro Exposition
du Systeme du Monde 1 , si chiedono quale debba essere il raggio R di una stella di massa fissata M
la cui velocità di fuga sia pari a quella della luce c. La legge di gravitazione universale stabilisce che
questo raggio si trova imponendo
GM
1
= c2
R
2
⇒
R=
2GM
c2
(1)
dove G è la costante di gravitazione universale. Queste stelle vengono chiamate dark star, ma il
loro studio viene abbandonato praticamente subito2 , in seguito al successivo sviluppo della teoria
ondulatoria e corpuscolare della luce: i fotoni hanno massa nulla, quindi, in base alla teoria della
gravità di Newton, non risentono dall’attrazione di nessuna stella, dunque le dark star non possono
esistere nell’universo.
Nel 1915 Einstein dà la sua interpretazione della gravità nella Relatività Generale: lo spaziotempo
è una varietà Riemanniana dotata di una metrica Lorentziana gµν , la quale, data una distribuzione
di materia con tensore di energia-momento Tµν , soddisfa
1
G
Rµν − R gµν = 8π 4 Tµν
2
c
(2)
dove Rµν e R sono rispettivamente il tensore e lo scalare di Ricci, costruiti a partire da derivate prime
e seconde della metrica. Secondo questa teoria il tensore metrico rappresenta il campo gravitazionale,
è determinato dalla distribuzione di materia e dice alla materia come muoversi. Anche la luce deve
seguire la traiettorie imposte da gµν . Poche settimane dopo la pubblicazione delle (2), il fisico tedesco
Karl Schwarzschild le risolve nel caso molto particolare di perfetta simmetria sferica dello spaziotempo
e trova una coincidenza molto interessante con la teoria di Newton: se una stella ha un raggio pari
a quello in (1), il tempo si ferma sulla sua superficie e la luce che parte da quest’ultima subisce un
redshift infinito per cui non può raggiungere nessun osservatore al di fuori della stella. Cosa succeda
se il raggio della stella è ancora più piccolo rimane incompreso per diversi anni, poiché la teoria di
Einstein prevede una singolarità3 in corrispondenza di questo valore critico; la comunità scientifica,
Einstein incluso, accoglie con scetticismo queste previsioni della prima soluzione delle (2), a cui dà il
nome di singolarità di Schwarzschild, e si convince del fatto che la natura abbia trovato un modo per
evitare la loro esistenza.
Nel frattempo lo sviluppo di astrofisica e fisica nucleare conduce a una comprensione sempre
maggiore dei processi fisici che avvengono all’interno delle stelle: queste sono illuminate da reazioni
di fusione di atomi, che producono elementi sempre più pesanti fino al ferro. Siccome la fusione di
due atomi di ferro non è energeticamente favorevole, la stella si spegne, la pressione di radiazione che
1
Si veda [1], appendice A, per una traduzione fedele degli scritti di Laplace
Laplace addirittura rimuove il suo saggio sulle stelle oscure nelle successive edizioni del suo libro
3
Il significato matematico di singolarità verra illustrato nel prossimo capitolo, per il momento può essere considerata
un insieme di punti dello spaziotempo in cui gµν non è regolare
2
Introduzione
iv
la sostiene svanisce e inizia il collasso gravitazionale. Tra gli anni ’30 e ’50, molti astrofisici e fisici
teorici si impegnano nel comprendere quale sia lo stadio finale di tale collasso e scoprono che questo
dipende dalla massa M della stella al termine della sua vita:
• se M è inferiore a circa 1, 4 masse solari, a un certo punto del collasso interviene una pressione,
esercitata dagli elettroni, dovuta al principio quantistico di esclusione di Pauli e detta pressione
di degenerazione, grazie alla quale l’equilibrio viene raggiunto quando il raggio della stella è
maggiore di quello in (1). La stella cosı̀ formata viene chiamata nana bianca e il limite di 1, 4
masse solari limite di Chandrasekhar ;
• se M è superiore 1, 4 masse solari il collasso può arrestarsi per via dello stesso tipo di pressione
quantistica che sostiene le nane bianche, ma causata da altri fermioni, ovvero i neutroni. Stelle
all’equilibrio grazie a questa pressione di degenerazione sono dette stelle a neutroni e il loro
raggio è ancora una volta maggiore di R in (1). Esiste però un limite anche per la massa di una
stella a neutroni, oltre il quale la gravità vince qualsiasi tipo di pressione e il collasso non ha fine,
cioè il limite di Oppenheimer-Volkoff. A tutt’oggi questo limite non è stimato con precisione4 e
sembra essere compreso tra 1, 5 e 3 masse solari;
• se M è abbastanza grande, ovvero superiore al limite massimo per una stella a neutroni, il
superamento del raggio critico di Schwarzschild è inevitabile e la natura non pone nessun divieto
affinché questo non accada.
Alla luce di queste scoperte diventa chiaro che bisogna fare i conti con le singolarità di Schwarzschild
e, verso la fine degli anni ’50, viene fatto un passo in questa direzione: David Finkelstein scopre che
esistono delle coordinate, diverse da quelle utilizzate da Schwarzschild, in cui la metrica che risolve
le (2) quando si ha completa simmetria sferica diventa regolare in corrispondenza del raggio critico
(1). Dunque la Relatività Generale non ha nessun problema con eventuali distribuzioni di materia
concentrate entro questo raggio, anzi, essa predice chiaramente cosa succede a ciò che attraversa la
superficie individuata dal raggio di Schwarzschild: materia e luce vengono intrappolate al suo interno
e in nessun modo possono uscirne, si forma cosı̀ una regione che non può comunicare con il resto
dello spaziotempo; ad ogni instante fissato la superficie appare completamente nera ad un osservatore
esterno e, a differenza delle dark star di Michell e Laplace, i fotoni non possono allontanarsi affatto
da essa.
Il termine “buco nero” viene coniato da Wheeler alla fine della anni ’60, quando l’importanza fisica
di questi oggetti è ormai chiara alla maggior parte dei fisici teorici e a gran parte degli astrofisici.
In quegli anni vengono messi a punto diversi esperimenti per la ricerca di buchi neri5 e i telescopi
rilevano candidati sempre più promettenti, sebbene ancora oggi l’osservazione certa di un buco nero
non sia stata confermata. Il motivo di questo fatto è che sono oggetti talmente semplici6 da rendere
l’osservazione di “qualcosa che potrebbe essere un buco nero” spiegabile con fenomeni più complessi.
Nonostante ciò, sono rimasti in pochi tra i fisici a dubitare della loro esistenza. Negli stessi anni si
arriva all’apice della ricerca teorica sui buchi neri: gli strumenti matematici impiegati dalla Relatività
Generale vengono notevolmente ampliati, si comprendono a fondo i limiti di questa teoria, le equazioni
di Einstein (2) vengono risolte sotto ipotesi meno restrittive di quelle imposte da Schwarzschild e si
ottengono una serie di altri risultati che saranno brevemente illustrati nel prossimo capitolo. In
questo contesto, grazie al contributo di svariati teorici della Relatività Generale, emergono quattro
leggi fondamentali che regolano la meccanica dei buchi neri e presentano una straordinaria somiglianza
formale con i principi della termodinamica. Questa somiglianza viene inizialmente considerata una
4
A causa del fatto che non si conoscono le equazioni di stato esatte per materia tanto densa
Ovviamente osservare un buco nero non è affatto banale da portare a termine, in quanto classicamente questo non
emette nè luce nè qualsiasi altro tipo di radiazione elettromagnetica. Gli esperimenti erano quindi basati sulla ricerca
di radiazioni prodotte dall’interazione di buchi neri con altri oggetti celesti e gas interstellari
6
Si veda il paragrafo sui teoremi di unicità nel prossimo capitolo e in modo particolare il teorema “no-hair”
5
Introduzione
v
mera coincidenza, a causa di evidenti incompatibilità tra le variabili che determinano la meccanica
di un buco nero e le variabili termodinamiche a cui queste dovrebbero corrispondere. Nel 1974,
però, Hawking scopre che un buco nero ha una temperatura finita, aprendo cosı̀ la strada a una
riformulazione della termodinamica classica che includa le quattro leggi scoperte pochi anni prima.
Capitolo 1
Parentesi matematica
In questo capitolo verranno date le definizioni e saranno enunciati, con alcune dimostrazioni, i lemmi
e teoremi che serviranno alla successiva trattazione della meccanica dei buchi neri nel contesto della
Relatività Generale. Sarà anzitutto definito il concetto di buco nero, strettamente legato all’esistenza
di un orizzonte degli eventi, che è un sottoinsieme molto particolare dello spaziotempo, di cui saranno
analizzate le principali caratteristiche. Verranno poi riportate le soluzioni delle equazioni di campo che
descrivono un buco nero e accennati alcuni dei più importanti risultati riguardo la loro unicità e circa
le singolarità che esse possono contenere. Infine verranno esposte alcune conseguenze di fondamentali
teoremi di geometria differenziale che saranno più volte impiegate nei prossimi capitoli.
Da qui in poi lo spaziotempo sarà inteso come una varietà Lorentziana 4-dimensionale orientabile
e orientabile nel tempo. Sarà utilizzato il sistema di unità di misura di Planck in cui c = G = ~ =
4π0 = kB = 1, dove c è la velocità della luce nel vuoto, G la costante di gravitazione universale, ~ la
costante di Planck ridotta, 0 la costante dielettrica del vuoto e kB la costante di Boltzmann.
1.1
Definizione di buco nero
In accordo con la definizione classica un buco nero deve essere una regione di spaziotempo dalla quale
nessun segnale luminoso possa “scappare all’infinito”. Tuttavia la definizione relativistica non solo
richiede che la velocità di fuga sia maggiore di quella della luce, ma anche che il buco nero sia una
regione collegata causalmente allo spaziotempo esterno “solo in un verso”: materia e luce possono
entrarci ma non uscirci. Per formalizzare questi concetti è necessario introdurre le nozioni di semplicità
e piattezza asintotica di uno spaziotempo, che a loro volta necessitano di condizioni sulla causalità che
questo deve soddisfare; cosı̀ si restringe la classe di varietà lorentziane prese in considerazione come
spazitempi contenenti un buco nero.
Un postulato fondamentale della relatività generale è quello della causalità locale: esso afferma
che, presi due punti p e q dello spaziotempo, un segnale può essere mandato da p a q se e solo se
esiste una curva C tra p e q il cui vettore tangente Ċ sia ovunque diverso da zero e non spacelike, cioè
Ċ µ Ċ ν gµν ≤ 0. Detto questo si possono rafforzare le condizioni sulla causalità per evitare di dover
fare i conti anche con la filosofia. Si impone quindi un ulteriore vincolo che esclude spazitempi in cui
esistono curve chiuse timelike, in modo da non intaccare il libero arbitrio di ogni individuo pensante.
La condizione che verrà adottata nel seguito è ancora più forte e implica la non esistenza di queste
curve chiuse.
Definizione 1.1. Uno spaziotempo (M, g) si dice fortemente causale se per ogni x ∈ M esiste un
intorno U di x tale che nessuna curva causale (i.e. non spacelike) lo intersechi più di una volta.
Definizione 1.2. Uno spaziotempo (M, g) si dice asintoticamente semplice se esiste uno spaziotempo
f ge) con bordo ∂ M
f e un diffeomorfismo f : M → M
f tale che
fortemente causale (M,
f − ∂M
f
(i) f (M) = M
1. Parentesi matematica
2
f che sia non nulla su f (M) e tale che f ∗ ge = Ω2 g,
(ii) esiste una funzione liscia Ω definita su M
∗
dove f ge è il pullback di ge tramite f definito da f ∗ ge(v, w) = ge(Df (v), Df (w)) con Df mappa
differenziale
f
(iii) Ω = 0 e d Ω 6= 0 su ∂ M
f
(iv) ogni geodetica nulla in M ha due estremi su ∂ M
f = f (M) ∪ ∂ M
f è detta compattificazione conforme di M.
La varietà M
f lascia invariati gli angoli tra i vettori degli spazi tangenti di
La trasformazione conforme f : M → M
M e quindi, in particolare, restano gli stessi i coni di luce e la struttura causale.
L’insieme dei punti all’infinito di M, che nella compattificazione conforme si ottiene per valori finiti
f è costituito dagli infiniti spaziale i0 , futuro nullo
delle coordinate ed è stato denotato con ∂ M,
+
−
+
F , passato nullo F , temporale futuro i e temporale passato i− ; questi insiemi rappresentano
i punti raggiunti da geodetiche spacelike, lightlike e timelike per valori infiniti dei loro parametri
affini. Esistono però spazitempi, tra cui quelli contenenti un buco nero, in cui i+ e i− non possono
essere aggiunti con una trasformazione conforme come quella appena definita in quanto singolari1 ,
f non è compatto e la condizione (iv) non è soddisfatta. Si indebolisce
per questo in tali varietà M
quindi la definizione precedente a dare
Definizione 1.3. Uno spaziotempo (M, g) si dice debolmente asintoticamente semplice se esiste un
f e uno spaziotempo asintoticamente semplice (M0 , g 0 ), tali che U è isometrico
intorno aperto U di ∂ M
g0 con M
g0 compattificazione conforme di M0 .
a un intorno aperto di ∂ M
g0 nella precedente definizione non è propriamente la compattificazione conforme di M e
La varietà M
verrà d’ora in poi chiamata spaziotempo non fisico associato a M. Inoltre ogni qualvolta sia necessario
considerare gli insiemi all’infinito F ± ,i± e i0 o nozioni topologiche che richiedano la chiusura di insiemi
in uno spaziotempo debolmente asintoticamente piatto è sottinteso che questi sono da prendersi nello
spaziotempo non fisico.
Definizione 1.4. Uno spaziotempo (M, g) si dice asintoticamente vuoto se Rµν = 0 in un intorno
f
aperto di ∂ M.
Definizione 1.5. Uno spaziotempo (M, g) si dice asintoticamente piatto se è asintoticamente debolmente semplice e vuoto.
Definizione 1.6. Sia Σ un sottoinsieme qualsiasi di uno spaziotempo (M, g), si dice futuro cronologico
di Σ l’insieme
n
o
I + (Σ) := x ∈ M | ∃ C : [a, b] → M t.c. Ċ µ Ċ ν gµν < 0, C(a) ∈ Σ, C(b) = x
Analogamente si dice futuro causale di Σ l’insieme
n
o
J + (Σ) := x ∈ M | ∃ C : [a, b] → M t.c. Ċ µ Ċ ν gµν ≤ 0, C(a) ∈ Σ, C(b) = x
Definizioni analoghe valgono per passato cronologico e causale, denotati rispettivamente con I − (Σ) e
J − (Σ).
Si può provare2 che per ogni insieme Σ si ha che I ± (Σ) è aperto, ma non vale in generale che
J ± (Σ) è chiuso.
1
Come verrà spiegato più avanti ciò significa che sono punti in cui il tensore metrico è mal definito e lo spaziotempo
cessa di essere una varietà Lorentziana
2
Si veda [2], capitolo 8
1. Parentesi matematica
3
Definizione 1.7 (Buco nero). Uno spaziotempo asintoticamente piatto (M, g) contiene un buco
nero se B := M − I − (F + ) 6= ∅, dove B è detta regione del buco nero.
Essendo I − (F + ) ⊂ M questo insieme ha bordo in M, tale bordo viene chiamato orizzonte degli eventi
futuro e denotato con H+ := ∂I − (F + ) = ∂B. Poichè che I − (F + ) è un insieme aperto, B è chiuso e
quindi H+ ⊂ B.
L’orizzonte degli eventi di un buco nero rappresenta fisicamente la “barriera causale” che divide la
regione di buco nero, dalla quale non può uscire nessun tipo di segnale, dallo spaziotempo esterno,
ovvero il passato cronologico del futuro nullo.
1.2
Ipersuperfici nulle
L’orizzonte degli eventi appena definito è, in generale, un’ipersuperficie dello spaziotempo con delle
caratteristiche molto particolari: è un’ipersuperficie nulla.
In uno spaziotempo (M, g) un’ipersuperficie Σ può essere definita, data una funzione scalare S che
mappa M in R, nel seguente modo
Σc := { x ∈ M | S(x) = c }
Il campo vettoriale normale a Σc per ogni c è dato da
nµ = N (x) g µν ∂ν S = N (x) g µν ∇ν S
(1.1)
dove N (x) è una funzione scalare.
Definizione 1.8. Un’ipersuperficie Σ si dice ipersuperficie nulla se il suo vettore normale n è lightlike,
cioè n2 = nµ nν gµν = 0.
Si noti che la funzione N (x) normalmente viene fissata imponendo che n2 = ±1 a seconda che n sia
timelike o spacelike, cosa che non è possibile fare quando n è lightlike.
Le ipersuperfici nulle hanno quindi un vettore normale che è anche tangente, in quanto lo spazio tangente all’ipersuperficie è definito come il complemento ortogonale del vettore normale; questo significa
che, preso un punto dello spaziotempo che giace su un’ipersuperficie nulla N , lo spazio tangente a
questa unito a quello generato dal vettore normale n non è lo spazio tangente allo spaziotempo in
quel punto e che esiste una curva C in N che ha come vettore tangente n, cioè
dC µ
= nµ
dλ
Se si calcola nν ∇ν nµ con n dato dalla (1.1) si ottiene
nµ
+ N nρ ∇µ ∇ρ S =
N
nρ
1
1
= (nρ ∇ρ log N ) nµ − n2 ∇µ N +nρ ∇µ nρ = (nρ ∇ρ log N ) nµ + ∇µ n2
= (nρ ∇ρ log N ) nµ +N nρ ∇µ
N
N
2
avendo usato che le derivate covarianti commutano su una funzione scalare3 , la (1.1) e che n2 = 0 su
N . Proprio perchè n2 è costante su N , la sua derivata è normale a N , da cui ∇µ n2 = f nµ con f
scalare. Quindi dall’ultima uguaglianza si ha
1
µ
ρ
∇n n = n ∇ρ log N + f nµ = g (λ) nµ
(1.2)
2
∇n nµ = nρ ∇ρ (N g µν ∂ν S) = (nρ ∇ρ N ) g µν ∂ν S + N g µν nρ ∇ρ ∇ν S = (nρ ∇ρ N )
Ciò significa che le curve C rappresentanti le linee di flusso del campo vettoriale n su N sono geodetiche, le quali possono essere parametrizzate in modo affine, cioè in modo tale che la (1.2) abbia
ultimo membro nullo, a patto di scegliere la giusta “normalizzazione” N che compare in (1.1).
Definizione 1.9. Sia N un’ipersuperficie nulla, le geodetiche, parametrizzate in modo affine, tangenti
al campo vettoriale normale su N sono dette generatori di N .
3
Grazie al fatto che la torsione è nulla
1. Parentesi matematica
1.3
4
Orizzonti di Killing
L’orizzonte degli eventi non ha solo la peculiarità di avere un vettore normale tangente, ma esso è
anche parte di un orizzonte di Killing, cioè
Definizione 1.10. Un’ipersuperficie nulla N si dice orizzonte di Killing se esiste un campo vettoriale
di Killing ξ normale a N .
Su un orizzonte di Killing si deve quindi avere ξ = f n, dove con n sarà d’ora in poi indicato il campo
vettoriale normale tale che ∇n n = 0, da cui segue
∇ξ ξ = f ∇n (f n) = n (ξ · ∂)f + f 2 ∇n n =
ξ
(ξ · ∂)f = ((ξ · ∂) log |f |) ξ = κ ξ
f
(1.3)
Definizione 1.11. Si dice gravità superficiale di un orizzonte di Killing N per un vettore di Killing
ξ la funzione κ tale che
∇ξ ξ|N = κ ξ|N
(1.4)
Come sarà illustrato più avanti la gravità superficiale è una quantità strettamente legata alla temperatura di un buco nero all’equilibrio.
Dalla (1.3) si ottiene κ sapendo la relazione tra il parametro affine dei generatori dell’orizzonte e il
parametro delle curve a cui il vettore di Killing è tangente, cioè
ξ = ∂α =
dλ
∂λ = f n
dα
⇒
f=
dλ
dα
(1.5)
dove sono state scelte coordinate per cui ξ = ∂α e n = ∂λ .
Si può ottenere una formula che lega direttamente ξ alla gravità superficiale sfruttando il fatto che
ξ è normale a N , da cui segue, per un noto teorema di geometria differenziale dovuto a Frobenius4 ,
che vale la seguente relazione
ξ[µ ∇ν ξρ] N = 0
(1.6)
Riscrivendo la (1.6) e tenendo dell’equazione di Killing ∇µ ξν = −∇ν ξµ si ha su N
ξµ ∇ν ξρ = − (ξν ∇ρ ξµ − ξρ ∇ν ξµ )
Moltiplicando per ∇ν ξ ρ e usando la (1.4)
(∇ν ξ ρ ) ξµ ∇ν ξρ = − (∇ν ξ ρ ) ξν ∇ρ ξµ − ξ[ρ ∇ν] ξµ = −2 (∇ν ξ ρ ) ξν ∇ρ ξµ = −2κ ξ ρ ∇ρ ξµ = −2κ2 ξ µ
da cui, dividendo per ξ µ
1
κ2 = − (∇ν ξ ρ ) ∇ν ξρ |N
(1.7)
2
valida ovunque sia ξ 6= 0. Ma poichè i punti in cui ξ si annulla, come verrà mostrato, sono punti di
accumulazione di insiemi in cui ξ è non nullo, per continuità questa formula vale anche quando ξ = 0.
I vettori di Killing soddisfano anche un’altra fondamentale identità, ovvero
Lemma 1.1. Sia ξ un vettore di Killing e Rµνρσ il tensore di Riemann, ξ soddisfa l’identità di Killing
∇ν ∇µ ξρ = Rσ νµρ ξσ
(1.8)
∇ν ∇µ ξ ν = Rµν ξ ν
(1.9)
da cui segue contraendo ρ con ν
dove Rνµ = Rρνρµ è il tensore di Ricci.
4
Si può facilmente mostrare che per un vettore scritto come in (1.1) vale la (1.6); meno banale è l’implicazione inversa,
che è garantita da questo teorema
1. Parentesi matematica
5
Dimostrazione. Usando ∇µ ξν = −∇ν ξµ , la prima identità di Bianchi Rµ[νρσ] = 0, nonchè definizione
e simmetrie del Riemann, si ha
Rσνρµ ξσ = (−Rσµνρ − Rσρµν )ξσ = (∇ν ∇ρ − ∇ρ ∇ν )ξµ + (∇µ ∇ν − ∇ν ∇µ )ξρ =
= ∇ν ∇ρ ξµ + ∇ρ ∇µ ξν + ∇µ ∇ν ξρ + ∇ν ∇ρ ξµ = 2∇ν ∇ρ ξµ + (∇µ ∇ρ + [∇ρ , ∇µ ])ξν + ∇µ ∇ν ξρ =
= 2∇ν ∇ρ ξµ − ∇µ ∇ν ξρ − Rσνρµ ξσ + ∇µ ∇ν ξρ = 2∇ν ∇ρ ξµ − Rσνρµ ξσ
Grazie alla (1.8) si dimostra una prima importante proprietà della gravità superficiale:
Proposizione 1.1. Sia N un orizzonte di Killing del vettore ξ e κ la gravità superficiale dell’orizzonte,
allora
(∂ · ξ) κ|N = 0
cioè κ è costante sulle orbite di ξ.
Dimostrazione. Anzitutto si ha (∂ · ξ) κ2 = 2κ (∂ · ξ) κ quindi a meno che κ non sia nulla su N è
sufficiente mostrare che κ2 è costante nella direzione puntata da ξ.
Usando (1.7) e (1.8) si ha su N
1
(ξ · ∂) κ2 = (ξ · ∇) κ2 = − ξ ρ ∇ρ (∇µ ξ ν )(∇µ ξν ) = ξ ρ (∇ρ ∇µ ξ ν )(∇µ ξν ) = ξ ρ Rνµρσ ξ σ (∇µ ξν ) = 0
2
dove l’ultima uguaglianza è dovuta all’antisimmetria del Riemann sotto scambio degli indici ρ e σ.
Se κ fosse nulla su un punto di un’orbita di ξ e diversa da 0 su un altro punto si avrebbe (∂ · ξ) κ2 6= 0,
quindi deve essere nulla su tutta l’orbita.
Bisogna a questo punto distinguere gli orizzonti di Killing non degeneri su cui κ 6= 0 da quelli degeneri
su cui κ = 0; nel seguito verrà trattato solo il primo caso in quanto il secondo si presenta in condizioni
“estreme” delle soluzioni delle equazioni di Einstein, di minor interesse fisico. Se κ 6= 0, scegliendo di
nuovo coordinate per cui ξ = ∂α , la (1.3) si scrive come
∂α log |f | = κ
⇒
f = f0 eκα
ma essendo la metrica, e quindi l’orizzonte N , indipendente da α, si può traslare α in modo da avere
f = ±κeκα
(1.10)
e quindi, usando la (1.5), ottenere
dλ
= ±κeκα
⇒
λ = ±eκα
dα
Questa relazione lega il parametro λ dei generatori dell’orizzonte non degenere a quello delle orbite di
ξ. Risulta chiaro che presa un’orbita del vettore di Killing questa copre solo una parte del generatore
su cui giace. Il fatto che esista un punto di biforcazione, corrispondente a λ = 0 su un generatore cioè
α → −∞ su un’orbita di ξ, è la chiave nella dimostrazione della seguente
f=
Proposizione 1.2. Se N è un orizzonte di Killing non degenere allora κ2 è costante su N .
Dimostrazione. Se N è non degenere esiste un punto di biforcazione p che corrisponde a α → −∞
per ogni orbita di ξ, sia B l’insieme di questi punti. Da (1.5) e (1.10) si ha che
ξ|B = lim ±κeκα ∂λ = 0
α→−∞
(1.11)
Dal fatto che κ2 è costante su ogni orbita di ξ segue che è costante su N se lo è su B. Ma per qualsiasi
vettore t tangente a N si ha, come nella dimostrazione precedente,
(t · ∂) κ2 B = tρ Rνµρσ (∇µ ξν ) ξ σ B = 0
avendo usato la (1.11).
1. Parentesi matematica
6
Come anticipato l’orizzonte degli eventi è un orizzonte di Killing, ma questo è vero sotto una ulteriore
ipotesi che lo spaziotempo deve soddisfare
Definizione 1.12. Uno spaziotempo asintoticamente piatto (M, g) si dice stazionario se esiste un
vettore di Killing che è timelike almeno vicino all’infinito spaziale i0 , cioè al di fuori di un possibile
orizzonte degli eventi.
Si può a questo enunciare il seguente teorema dovuto a Hawking
Teorema 1.1. Sia (M, g) uno spaziotempo stazionario e asintoticamente piatto contenente un buco
nero. L’orizzonte degli eventi H+ è un orizzonte di Killing.
Si osservi che il campo vettoriale di Killing dell’orizzonte degli eventi non è necessariamente quello
richiesto dalla definizione di stazionarietà, come verrà spiegato nel prossimo paragrafo, e che questo
risultato vale anche in presenza di sorgenti, cioè quando Rµν 6= 0, ipotesi che è invece fondamentale
per i teoremi di unicità enunciati più avanti.
1.4
Soluzioni esatte delle equazioni di campo
Tra le poche soluzioni esatte delle equazioni delle Relatività Generale per spazitempi con buchi neri,
quelle che saranno utilizzate in questa trattazione possono essere riassunte nella metrica di KerrNewman, dipendente da tre parametri univocamente legati a massa, momento angolare e carica del
buco nero. Tale metrica è soluzione delle equazioni di Einstein-Maxwell nel vuoto
1
1
ρ
ρλ
Gµν = Rµν − R gµν = 2 Fµ Fρν − gµν F Fρλ
∇µ F νµ = 0
(1.12)
2
4
dove Gµν è il tensore di Einstein, R lo scalare di Ricci e Fµν il tensore elettromagnetico di Faraday.
Risolvendo le equazioni accoppiate (1.12) nell’ipotesi di invarianza per rotazioni di un angolo φ si
ottiene
Qr
F = dA
con A = 2
(dt − a sin2 θ dφ)
(1.13)
r + a2 cos2 θ
2M ar
2M r − Q2
2
dt2 − 2a sin2 θ 2
dt dφ +
ds = − 1 −
2
ρ (r, θ)
ρ (r, θ)
+
ρ2 (r, θ) 2
(r2 + a2 )2 − ∆(r) a2 sin2 θ 2
dr + ρ2 (r, θ) dθ2 + sin2 θ
dφ
∆(r)
ρ2 (r, θ)
(1.14)
dove
ρ2 (r, θ) = r2 + a2 cos2 θ
∆(r) = r2 − 2M r + a2 + Q2
(1.15)
e il parametro M , che rappresenta la massa del buco nero, sarà considerato positivo.
La (1.14) si riduce a:
• soluzione di Schwarzschild con a = 0, Q = 0: buco nero non rotante e non carico
• soluzione di Reissner-Nordström con a = 0: buco nero carico non rotante
• soluzione di Kerr con Q = 0: buco nero rotante non carico
Si può verificare che ognuno di questi spazitempi è asintoticamente piatto e stazionario nel senso delle
definizioni date nei paragrafi precedenti, ma solo i primi due sono invarianti per riflessioni temporali
e a simmetria sferica, cioè soddisfano le seguenti definizioni:
1. Parentesi matematica
7
Definizione 1.13. Uno spaziotempo stazionario e asintoticamente piatto (M, g) si dice statico se, in
coordinate {t, xi } per cui il vettore di Killing ξ timelike vicino a i0 è ∂t , si ha gµν (−t) = gµν (t), che
è equivalente a richiedere che esista una famiglia di ipersuperifici {Σt } tale che ξ è ortonormale a Σt
per ogni t e quindi ξ[µ ∇ν ξρ] = 0.
Definizione 1.14. Uno spaziotempo (M, g) si dice sfericamente simmetrico se ammette il gruppo
SO(3) come gruppo di isometrie5 e se le orbite di questo gruppo sono due-sfere.
La soluzione di Kerr perde entrambe queste simmetrie, ma mantiene l’invarianza per rotazioni attorno
a un solo asse e viene quindi detta assisimmetrica, cioè
Definizione 1.15. Uno spaziotempo asintoticamente piatto (M, g) si dice assisimmetrico se esiste
un vettore di Killing che è spacelike almeno vicino all’infinito spaziale i0 e le cui orbite sono sempre
chiuse.
Gli zeri non nulli della funzione ∆(r) in (1.15), se ce ne sono, sono delle ipersuperfici a r = cost che
rappresentano orizzonti degli eventi, su cui è quindi possibile parlare di gravità superficiale. Questi
orizzonti di Killing, come anticipato, sono degeneri in alcuni casi estremi, ovvero M 2 = Q2 per il
Reissner-Nordström, M 2 = a2 per il Kerr, M 2 = Q2 + a2 per il Kerr-Newman, mentre non esistono
proprio quando ∆(r) non si annulla; tutte queste situazioni non verranno affrontate.
Sotto tutte queste ipotesi si ha che le suddette soluzioni delle equazioni di Einstein-Maxwell rappresentano spazitempi fortemente causali.
L’orizzonte degli eventi della soluzione di Schwarzschild è unico e si trova apr = 2M , gli altri
spazitempi invece presentano due orizzonti, per due distinti valori r± = M 2 + M 2 − a2 − Q2 ; il
più piccolo potrà essere pensato come il limite della regione di interesse fisico dello spaziotempo in
considerazione, mentre il più grande sarà pensato come l’orizzonte del buco nero, ovvero quello che
individua su sezioni temporali dello spaziotempo la superficie del buco nero, di cui è facile calcolare
l’area nel modo seguente:
Z q
Z 2π
Z π q
(2)
AH = A(r+ ) =
g dA =
dφ
dθ g (2) Σ
(1.16)
H
0
0
dove H è una qualsiasi superficie bidimensionale a t = cost e r = r+ , mentre g (2) è il determinante
della restrizione della metrica a Σ. Ovviamente l’area di questa superficie non dipende dal tempo
poiché lo spaziotempo è stazionario. Dalla (1.14) si ha
q
2
(2)
2
2 2
2
2
2
g (2) Σ = sin θ r+
+ a2
(1.17)
g = sin θ (r + a ) − ∆(r)a sin θ
⇒
da cui
AH = 4π
2
r+
2
+a
p
Q2
= 8π M −
+ M M 2 − Q2 − a2
2
2
(1.18)
L’area dell’orizzonte degli eventi è un’altra quantità profondamente legata alla termodinamica di un
buco nero, infatti è, a meno di un fattore di proporzionalità, la sua entropia.
1.5
Teoremi di unicità
Esistono diversi teoremi che, sotto opportune ipotesi di simmetria dello spaziotempo, assicurano che
l’unica soluzione delle equazioni di Einstein, accoppiate o meno a quelle di Maxwell, è quella data da
(1.14) nei vari casi particolari. Il primo ad essere provato storicamente è il seguente
Teorema 1.2 (di Birkhoff6 ). Ogni soluzione sfericamente simmetrica delle equazioni di Einstein
nel vuoto è statica.
5
6
Cioè applicazioni f : M → M tali che f ∗ g = g
Si veda [4], capitolo 5, per una dimostrazione semplice e non troppo rigorosa
1. Parentesi matematica
8
Questo teorema implica quindi che l’unica soluzione a simmetria sferica delle equazioni di campo
è quella di Schwarzschild: infatti richiedendo staticità, e quindi stazionarietà, e simmetria sferica,
si trova come soluzione una metrica asintoticamente piatta con un solo parametro libero, fissato dal
limite classico all’infinito spaziale. Ciò è in forte analogia con il fatto che il campo di Coulomb è l’unica
soluzione a simmetria sferica dell’equazione di Laplace nel vuoto. Un’altra importante conseguenza
del teorema di Birkhoff è che in un collasso gravitazionale sfericamente simmetrico non possono essere
emesse onde gravitazionali. Infatti lo spaziotempo che descrive il collasso, se la stella si contrae
mantenendo una superficie perfettamente sferica, rimane sfericamente simmetrico ad ogni istante, ma
in forza di questo teorema deve essere stazionario se la stella rimane circondata dal vuoto, cioè la
metrica non può dipendere dal tempo e in particolare deve essere quella in (1.14) con a = Q = 0.
Se il buco nero non è statico questo fatto non è più vero, in quanto i teoremi di unicità richiedono
che lo spaziotempo sia stazionario e quindi permettono di considerare solo lo stadio finale del collasso,
togliendo la possibilità di trarre conclusioni sull’intero fenomeno. Questi risultati sono comunque
molto importanti poiché caratterizzano completamente i buchi neri nel vuoto all’equilibrio.
Teorema 1.3 (di Carter-Robinson [8] [9]). L’unica soluzione delle equazioni di Einstein nel vuoto
contenente un buco nero7 che sia stazionaria, assisimmetrica e non singolare al di fuori dell’orizzonte
degli eventi e sopra di esso è quella di Kerr, caratterizzata dai due parametri M e a.
Questo enunciato può essere semplificato, lasciando cadere l’ipotesi di simmetria assiale, grazie ad un
risultato di Hawking e Wald secondo cui una soluzione delle equazioni di Einstein nel vuoto stazionaria
e contenente un buco nero è necessariamente assisimmetrica.
Si possono generalizzare questi teoremi al caso in cui le equazioni di campo gravitazionale siano
accoppiate a quelle di campo elettromagnetico. Il teorema “no-hair”, cosı̀ chiamato da Wheeler a
intendere che i buchi neri “non hanno peli” che spuntano dall’orizzonte, a permettere di individuare
le caratterestiche della stella da cui si sono formati, recita
Teorema 1.4 (No-hair). L’unica soluzione stazionaria e contenente un buco nero delle equazioni di
Einstein-Maxwell nel vuoto, che sia non singolare al di fuori dell’orizzonte degli eventi e su di esso è
quella di Kerr-Newman, caratterizzata dai tre parametri M , a e Q.
Si osservi che per quanto riguarda il collasso gravitazionale di una stella il teorema no-hair afferma
che se lo stadio finale di tale collasso è un buco nero tutte le informazioni che la riguardano, quali
forma, struttura e composizione, vengono inghiottite dall’orizzonte o irradiate all’infinito sotto forma
di onde gravitazionali, lasciando posto a tre parametri soltanto.
1.6
Gravità superficiale
La gravità superficiale è stata introdotta formalmente senza fornirne un eventuale significato fisico
e in effetti l’equazione (1.3) resta soddisfatta moltiplicando sia κ sia ξ per una costante, quindi κ è
unica e vi si può associare una quantità fisica solo se ξ lo è; se lo spaziotempo è curvo ma stazionario e
asintoticamente piatto si può fissare ξ richiedendo che il vettore di Killing
timelike all’infinito spaziale,
che verrà d’ora in poi chiamato k, sia normalizzato in modo tale che k 2 i0 = −1. Inoltre per spazitempi
statici essa rappresenta l’accelerazione di una particella ferma che si trova in prossimità dell’orizzonte
del buco nero percepita dall’infinito; tale accelerazione differisce da quella propria (o locale) della
particella.
Si prenda come esempio la geometria di Schwarzschild: la linea di mondo di una particella ferma
a (r, θ, φ) = cost ha vettore tangente u = N ∂t , dove N è scelta in modo tale che
µ
uµ u = −1
7
⇒
1
2M − 2
u= 1−
∂t
r
E quindi, per quanto assunto nel primo paragrafo di questo capitolo, asintoticamente piatta
1. Parentesi matematica
9
L’accelerazione che la particella avverte localmente è data da
1
2M −1 µ
M
2M − 2
∇t u = 1 −
Γ tt ∂µ = 2 ∂r
a = ∇u u = 1 −
r
r
r
che in modulo vale
|a| =
√
grr
ar ar
M
= 2
r
2M
1−
r
− 1
2
e questo diverge per r → 2M , cioè una particella sull’orizzonte di un buco nero statico ha bisogno di
un accelerazione infinita per rimanere ferma.
Diversa è la situazione se si pensa che questa particella sia legata ad una corda di lunghezza infinita
stretta da un osservatore che si trova all’infinito spaziale; a causa del fatto che particella e osservatore
hanno tempi propri differenti in seguito alla presenza del campo gravitazionale, la tensione della corda
misurata all’infinito non coincide con quella che la particella esercita per rimanere ferma a r = cost8 .
L’accelerazione percepita all’infinito è
r
r
dτ
2M
2M M
M
a∞ =
a= 1−
a= 1−
∂r
⇒
|a∞ | = 2
(1.19)
2
dt
r
r r
r
che è finita anche per una particella a cavallo dell’orizzonte.
Per quanto riguarda la gravità superficiale, si osservi anzitutto che il teorema di Hawking, in questo
caso, vale per il vettore di Killing richiesto dalla stazionarietà: r = 2M è un orizzonte di Killing di
ξ = ∂t , come può essere verificato con un cambio di coordinate che renda la metrica non singolare
sull’orizzonte9 . Per un teorema di Carter questo fatto vale in generale per spazitempi statici.
Nonostante il fallimento delle coordinate di Schwarzschild il calcolo della gravità superficiale può
essere portato avanti usando la formula (1.7); osservando che ∇µ ξ ν = Γνµt , le cui uniche componenti
non nulle risultano essere
M
2M −1
M
2M
t
r
∇r ξ = 2 1 −
∇t ξ = 2 1 −
(1.20)
r
r
r
r
la gravità superficiale si ottiene subito come
1
M 2 1
2
rr
t2
tt
t2 = 4 κ = − gtt g ∇r ξ + grr g ∇t ξ =
2
r r=2M
16M 2
r=2M
⇒
κ=±
1
(1.21)
4M
che coincide con la (1.19) calcolata in r = 2M . Dalla (1.21) è chiaro che la gravità superficiale
aumenta al diminuire della massa, cioè le forze mareali in prossimità di un buco nero sono tanto più
intense quanto più questo è piccolo.
Nel caso di buchi neri rotanti, che danno luogo a spazitempi non statici, la gravità superficiale perde
questo significato a causa del fatto che non è più possibile considerare osservatori statici molto vicini
all’orizzonte del buco nero: esiste infatti una regione detta ergoregione che si estende dall’orizzonte al
di fuori di questo, nella quale si è sottoposti ad un effetto di trascinamento gravitazionale per cui non
si può far altro che ruotare intorno al buco nero con una velocità angolare rispetto all’infinito data,
per lo spaziotempo con tensore metrico in (1.14), da
Ω(r) =
8
2 aM r
(r2 + a2 )2 − ∆ a2 sin2 θ
(1.22)
Grazie alla simmetria sferica l’accelerazione propria risulta essere solo radiale
Nelle coordinate (t, r, θ, φ) il vettore normale è mal definito, non è quindi possibile far vedere che ha norma nulla,
anche se è facile verificare che ξ 2 r=2M = 0
9
1. Parentesi matematica
10
Il vettore di Killing dell’orizzonte degli eventi non è più k, generatore delle traslazioni temporali
all’infinito, ma è una combinazione lineare di questo e dell’unico altro esistente in generale, richiesto
dalla simmetria assiale, che sarà denotato m. Questa combinazione lineare è
ξ = k + Ω(r+ ) m = ∂t +
dove
Ω(r+ ) =: ΩH =
a
2 + a2 ∂φ
r+
(1.23)
a
p
2M M + M 2 − a2 − Q2 − Q2
(1.24)
può essere interpretata come la velocità di rotazione dell’orizzonte del buco nero. Infatti sulle orbite
dei generatori dell’orizzonte si ha
ξ µ ∂µ (φ − ΩH t) = ΩH ∂φ φ − ΩH ∂t t = 0
⇒
φ = ΩH t + cost
ma poiché φ è costante sulle orbite di osservatori statici all’infinito spaziale, una particella sull’orizzonte ruota con velocità angolare ΩH rispetto all’infinito.
La gravità superficiale si può calcolare usando di nuovo la (1.7) e si ottiene
p
M 2 − a2 − Q2
p
(1.25)
κ=±
2M 2 − Q2 + 2M M 2 − Q2 − a2
L’ambiguità sul segno che compare in questa equazione, cosı̀ come in (1.21), è dovuta al fatto che su
un orizzonte di Killing è κ2 ad essere costante. Ma un orizzonte non degenere si biforca in due parti e
in effetti l’orizzonte di buco nero H+ è solo una di queste, che nelle coordinate in cui è scritta (1.14)
coincide con r = r+ , t = +∞. L’altra, data da r = r+ , t = −∞, rappresenta il cosiddetto orizzonte di
buco bianco ed è di scarso interesse fisico. Se si calcola κ in coordinate non singolari su H+ , si vede
che su di esso il segno giusto è quello positivo.
1.7
Singolarità
Si è visto che la presenza di un buco nero nello spaziotempo è associata all’esistenza di un orizzonte
degli eventi; dalla (1.14) si vede che la metrica diventa singolare su tale orizzonte, cioè non è invertibile
in quanto il suo determinante si annulla. Più in generale si può parlare di singolarità della metrica
quando questa o la sua inversa sono mal definite. Nonostante ciò, è spesso possibile trovare cambi
di coordinate per cui queste singolarità spariscono; è questo il caso dell’orizzonte degli eventi della
soluzione di Kerr-Newman.
Esistono però singolarità della metrica non eliminabili con un cambio di coordinate che possono
essere associate al divergere della curvatura, ovvero di alcuni scalari costruiti a partire dal tensore di
Riemann10 . Per esempio nello spaziotempo di Schwarzschild si ha
Rµνρσ Rµνρσ ∼
48M 2
r6
per r → 0
(1.26)
Quindi r = 0 è un punto in cui la metrica rimane singolare per qualsiasi scelta delle coordinate, in
quanto gli scalari non ne dipendono e quello in (1.26) può essere espresso in funzione della metrica. Per
questi punti o insiemi di punti si parla di singolarità dello spaziotempo: sono regioni non appartenenti
allo spaziotempo, avvicinandosi alle quali le forze di marea divergono. La Relatività Generale non dà
10
Non tutte le singolarità non eliminabili sono associate al divergere degli scalari di curvatura, per esempio avvicinandosi alla punta p di un cono si può vedere che tutti gli invarianti di curvatura sono nulli nonostante in p il cono non sia
più una varietà riemanniana. In effetti è una conseguenza del teorema di Gauss-Bonnet che per lo scalare di Ricci del
cono vale R(x) ∝ δ(x − p), dove la costante di proporzionalità dipende dal difetto conico.
1. Parentesi matematica
11
informazioni su quanto succede alla materia quando raggiunge questi punti e per scoprirlo è necessario
utilizzare altre teorie fisiche.
L’esistenza di singolarità dello spaziotempo va di pari passo con la presenza di geodetiche che
non sono ben definite per ogni valore del parametro affine; spazitempi che contengongo tali curve
vengono detti geodeticamente incompleti. Nello Schwarzschild l’equazione per una geodetica radiale
di un particella di massa m in caduta libera verso H+ è
2
dr
2M
−dr
E2
=
⇒
dτ = q
(1.27)
−1+ 2
dτ
r
m
2M
E2
−
1
+
2
r
m
essendo E l’energia della particella, che si conserva lungo la geodetica; il segno meno preso dopo aver
estratto la radice è dovuto al fatto che la particella cade verso l’orizzonte e quindi dr < 0 quando
dr
dτ > 0. La particella è ferma quando dτ
= 0 e cioè quando r = 2M m2 /(m2 − E 2 ) =: r̃. Il tempo
proprio che la particella impiega per raggiungere la singolarità in r = 0 è finito, si ha infatti
Z 0
πM m3
−dr
q
=
∆τ =
(m2 − E 2 )3/2
2M
E2
r̃
r − 1 + m2
quindi questo spaziotempo è geodeticamente incompleto.
Il fatto che una singolarità ineliminabile in un punto spaziotemporale al finito porta sempre a
qualche geodetica che la intercetta, e quindi non è definita oltre, spinge ad adottare la seguente
Definizione 1.16. Uno spaziotempo è non singolare se e solo se geodeticamente completo.
Esistono molti teoremi, dovuti principalmente a Hawking e Penrose, che, sotto assunzioni che riguardano anche la distribuzone di materia, dimostrano che l’incompletezza geodetica, e quindi l’incorrere
di singolarità dello spaziotempo, è una caratteristica generale dei buchi neri, anche in assenza di particolari ipotesi di simmetria11 .
Un’altra caratteristica delle singolarità dello spaziotempo è che sono spesso rinchiuse in un orizzonte degli eventi, cosı̀ da non poter essere “viste” dall’esterno. Nonostante questo è possibile considerare
soluzioni delle equazioni di Einstein in cui siano presenti singolarità nude, ne è un esempio lo Schwarzschild con M < 0.
Vi è però una congettura secondo cui spazitempi “fisici” non possono contenere singolarità non protette
da un orizzonte; per darne un enunciato sono necessarie alcune definizioni.
Definizione 1.17. Sia (M, g) uno spaziotempo fortemente causale, un insieme Σ ⊂ M si dice
acronale se I + (Σ) ∩ Σ = ∅.
Definizione 1.18. Sia (M, g) uno spaziotempo fortemente causale e Σ ⊂ M un insieme chiuso e
acronale. Si dice superficie di Cauchy parziale se ogni curva causale interseca Σ al più una volta.
Definizione 1.19. Sia C : [a, b] → M una curva in uno spaziotempo M. Un punto x ∈ M si dice
estremo futuro di C se per ogni intorno U di x esiste λ1 ∈ [a, b] tale che per ogni λ2 ≥ λ1 si ha
C(λ2 ) ∈ U . Se C non ha estremo passato si dice inestendibile nel futuro.
Analogamente si definisce una curva inestendibile nel passato.
Definizione 1.20. Sia Σ una superficie di Cauchy parziale in uno spaziotempo fortemente causale,
si dice dominio delle dipendenze future di Σ la regione
D+ (Σ) := { x ∈ M | ogni curva causale passante per x inestendibile nel passato interseca Σ }
In modo analogo si definisce il dominio delle dipendenze passate D− (Σ).
11
Inizialmente si pensava che le singolarità fossero frutto della simmetria sferica
1. Parentesi matematica
12
L’insieme Σ può essere pensato come un’ipersuperficie che rappresenti una sezione temporale dello
spaziotempo. Il suo dominio delle dipendenze passate e future è la regione di spaziotempo completamente determinata dalle condizioni iniziali fissate su Σ; in Relatività Generale, diversamente dalla
meccanica newtoniana, questa regione non coincide sempre con l’intero spaziotempo.
Definizione 1.21. Sia (M, g) uno spaziotempo fortemente causale, l’ipersuperficie Σ ⊂ M si dice
superficie di Cauchy globale se è una superficie di Cauchy parziale e D+ (Σ) ∪ D− (Σ) = M.
Se M contiene una superficie di Cauchy globale si dice globalmente iperbolico.
Definizione 1.22. Uno spaziotempo (M, g) fortemente causale e asintoticamente piatto si dice fore ⊂ M,
f con (M,
f ge) spaziotempo non
temente asintoticamente predicibile se esiste una regione aperta U
fisico associato a (M, g), tale che
e
(i) I − (F + ) ⊂ U
e , ge) è globalmente iperbolico
(ii) lo spaziotempo (U
Se M contiene un buco nero I − (F + ) = I − (F + ) ∪ H+ , quindi in tal caso questa definizione richiede
che esista una regione di M che sia uno spaziotempo globalmente iperbolico contenente l’orizzonte
del buco nero.
Congettura (Censura cosmica). Gli spazitempi fisici sono fortemente asintoticamente predicibili.
In tutte le definizioni date in questo paragrafo si è assunto, come dall’inizio di questa sezione, che
lo spaziotempo fosse fortemente causale. Tuttavia si può provare che ogni spaziotempo globalmente
iperbolico è fortemente causale e quindi che la causalità forte è automaticamente soddisfatta nella
regione globalmente iperbolica richiesta da questa congettura.
D’ora in avanti sarà assunto che la censura cosmica sia sempre verificata, in quanto fondamentale
nella dimostrazione della seconda legge della termodinamica dei buchi neri; si osservi comunque che gli
spazitempi fisici richiesti da tale congettura, oltre a sottostare alle ipotesi di causalità e piattezza asintotica date finora, devono avere un tensore di energia-momento che soddisfi la cosiddetta condizione
dominante sull’energia, la quale verrà enunciata matematicamente nel prossimo capitolo.
1.8
Teorema della divergenza
In questo paragrafo sarà enunciato e brevemente illustrato il teorema di Stokes. A partire da quest’ultimo verrà poi dimostrata un’importante identità che sarà più volte utilizzata nel prossimo capitolo.
Data una varietà pseudo-Riemanniana (Σ, g) con segnatura s, l’elemento di volume infinitesimo è un
campo tensoriale completamente antisimmetrico di rango n su Σ, chiamato forma di volume, che in
un fissato sistema di coordinate {xµ } si scrive
p
p
1p
|g| dx1 ∧ dx2 ∧ · · · ∧ dxn =
|g| εµ1 µ2 ...µn dxµ1 ∧ dxµ2 ∧ · · · ∧ dxµn =: |g| dn x
n!
n−s
dove g è il determinante metrico, preso in modulo in quanto il suo segno è (−1) 2 , εµ1 µ2 ...µn è il
simbolo di Levi-Civita e la prima uguaglianza è giustificata dal fatto che questo soddisfa
εµ1 µ2 ...µn ε ν1 ν2 ...νn = (−1)s n! δ[µ1 ν1 δµ2 ν2 . . . δµn ] νn
(1.28)
εµ1 µ2 ...µk µk+1 ...µn εµ1 µ2 ...µk νk+1 ...νn = (−1)s k! (n − k)! δ[µk+1 νk+1 . . . δµn ] νn
(1.29)
In n dimensioni esiste una sola n-forma indipendente, ovvero tutti i tensori completamente antisimmetrici di rango n sono proporzionali alla forma di volume, cioè ognuno di questi si può scrivere
1. Parentesi matematica
13
p
f |g| dn x con f funzione scalare. Si definisce quindi in modo naturale l’integrale di una n-forma ω,
o equivalentemente di una funzione f , su Σ come
Z
Z
Z
p
p
1
2
n
f |g| dx ∧ dx ∧ · · · ∧ dx :=
ω=
f |g| dx1 dx2 . . . dxn
Σ
Σ
Σ
dove l’ultimo membro è l’integrale di Lebesgue di f sull’insieme coperto dalle coordinate locali scelte
per Σ. Ovviamente questa definizione è indipendente dal sistema coordinate, cosı̀ come il volume di
Σ che si ottiene prendendo f = 1.
Se Σ è compatta il suo bordo ∂Σ è una varietà peuso-Riemanniana (n-1)-dimensionale che ha
metrica e (n-1)-forma di volume indotte da quelle di Σ. Su questa è possibile, con la definizione appena
data, integrare qualsiasi (n-1)-forma data, a meno di una funzione scalare, da quella di volume. Per
una siffatta varietà Σ il teorema di Stokes afferma che, se ω è una (n-1)-forma su ∂Σ e dω è la sua
derivata esterna, si ha
Z
Z
dω
ω=
∂Σ
Σ
Questa equazione rappresenta, in modo sintetico e indipendente dal sistema di coordinate, tutti i
teoremi che mettono in relazione integrali su un insieme compatto con integrali sul bordo dell’insieme;
è tuttavia conveniente a livello operativo esplicitare questa espressione prendendo particolari forme
differenziali che si presentano frequentemente in fisica.
Se si considera su Σ la (n-1)-forma
p
1
|g| εµ1 µ2 ..µn v µ1 dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn
(n − 1)!
p la sua derivata esterna, sfruttando le (1.28), (1.29) e che ∇ν
|g| = 0, è
ω=
dω =
(1.30)
p
1
|g| εµ1 [µ2 ..µn ∇ν] v µ1 dxν ∧ dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn =
(n − 1)!
p
1
|g| (−1)s εµ2 µ3 ...µn ν ερ1 ρ2 ...ρn εµ1 ρ1 ρ2 ..ρn−1 ∇ρn v µ1 dxν ∧ dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn =
(n − 1)! n!
p
1
|g| (−1)s+2n ενµ2 µ3 ...µn ερ1 ρ2 ...ρn ερ1 ρ2 ..ρn−1 µ1 ∇ρn v µ1 dxν ∧ dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn =
=
(n − 1)! n!
p
1p
=
|g| (−1)2(s+n) ενµ2 µ3 ...µn δ ρn µ1 ∇ρn v µ1 dxν ∧ dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn = ∇µ v µ |g| dn x
n!
Ma per utilizzare il teorema di Stokes la (1.30) va ristretta a ∂Σ e dovrà essere proporzionale alla
(n-1)-forma di volume di questa varietà. Per farlo si può sfruttare il fatto che, se N è il vettore
normale normalizzato a ∂Σ, l’elemento di volume su questa varietà in coordinate {y µ }, µ = 0, 1, 2, si
può scrivere
q
p 1
ν
µ1
µ2
µn−1
|g| N ενµ1 ...µn−1 dy ∧ dy ∧ · · · ∧ dy
=: |g (n−1) | dn−1 y
(n − 1)!
∂Σ
=
come si vede facilmente in coordinate normali di Gauss12 . Inoltre da questa espressione, usando di
nuovo (1.28) e (1.29), segue che
N[µ1 εµ2 µ3 ...µn ] =
12
1
1
1
Nν1 N ρ ερν2 ν3 ...νn εν1 ν2 ...νn εµ1 µ2 ...µn = Nν1 N ρ δ ρ ν1 εµ1 µ2 ...µn = N 2 εµ1 µ2 ...µn
n!
n
n
(1.31)
Ovvero quelle in cui N = (1, 0, . . . 0)
1. Parentesi matematica
14
Inserendo questa equazione nella (1.30) e restringendo ω al bordo di Σ si ottiene
p
n
|g| N[µ1 εµ2 µ3 ...µn ] v µ1 dxµ2 ∧ dxµ3 ∧ · · · ∧ dxµn =
ω=
(n − 1)! N 2
q
q
1
1
µ1
µ2
µ3
µn
µ
(n−1) | N ε
v
dy
∧
dy
∧
·
·
·
∧
dy
=
=
|g
N
v
|g (n−1) | dn−1 y
µ1 µ2 µ3 ...µn
µ
(n − 1)! N 2
N2
Quindi per il teorema di Stokes si può scrivere il teorema della divergenza
Z
Z
q
p
µ
n−1
(n−1)
Nµ v
|g
|d
y = ± ∇µ v µ |g| dn x
∂Σ
Σ
dove il segno positivo o negativo dipende da N , a patto che questo sia non lightlike13 e uscente da
∂Σ.
Esiste un risultato analogo a quello appena trovato, spesso impiegato in Relatività Generale, in cui
al posto del vettore v si considera un tensore t di rango 2. Per non appesantire troppo la notazione
verrà dimostrato nel caso particolare in cui Σ è una “fetta” compatta di spaziotempo con versore
normale u timelike, il cui bordo ha versore normale n spacelike. In questo caso la (1.31) diventa
4 u[µ ενρσ] = u2 εµνρσ = −εµνρσ
(1.32)
e in modo analogo, usando (1.29), (1.30) e che, come prima, ερσ = uα nβ εαβρσ
h
i
1
uλ1 nλ2 uα nβ εµνρσ ελ1 λ2 λ3 λ4 εαβλ3 λ4 = 2 u[α nβ] uα nβ εµνρσ = u2 n2 − (uα nα )2 εµνρσ
2
(1.33)
2
2
quindi prendendo u e n ortogonali e tali che u = −1 e n = 1 si ha
12 u[µ nν ερσ] =
εµνρσ = −12 u[µ nν ερσ]
(1.34)
Se ora si considera la 2-forma
p
1p
ω=
|g| εµνρσ tµν dxρ ∧ dxσ = −3 |g| u[µ nν ερσ] tµν dxρ ∧ dxσ
4
ristretta prima a Σ in coordinate {y µ }, µ = 0, 1, 2, e poi a ∂Σ in coordinate {z µ }, µ = 0, 1, questa
diventa
q
3
ω=−
|g (3) | uµ n[ν ερσ] − uν n[µ ερσ] tµν dy ρ ∧ dy σ =
4
q
q
q
1
1
=−
|g (2) | (uµ nν − uν nµ ) ερσ tµν dz ρ ∧dz σ = −
|g (2) | u[µ nν] ερσ tµν dz ρ ∧dz σ = − |g (2) | u[µ nν] tµν d2 z
4
2
Mentre la sua derivata esterna, usando la (1.32) e ristretta a Σ, risulta
1 p
1p
|g| εµν[ρσ ∇α] tµν dxα ∧ dxρ ∧ dxσ =
|g| εµνλ2 λ3 ελ1 λ2 λ3 λ4 ελ1 ρσα ∇λ4 tµν dxα ∧ dxρ ∧ dxσ =
4
3! 4
4p
=
|g| δ[µ λ4 δν] λ1 u[λ1 ερσα] ∇λ4 tµν dxα ∧ dxρ ∧ dxσ =
3!
q
q
1
=
|g (3) | u[ν ∇µ] tµν ερσα dy α ∧ dy ρ ∧ dy σ = −u[µ ∇ν] tµν |g (3) | d3 y
3!
Di nuovo per il teorema di Stokes si ottiene quindi
Z q
Z
q
µν
µν 2
(2)
u[µ ∇ν] t
|g | u[µ nν] t d z =
|g (3) | d3 y
(1.35)
dω =
∂Σ
13
Σ
Il risultato appena trovato si può generalizzare al caso in cui il vettore normale al bordo di Σ sia lightlike
semplicemente scegliendo N in modo che valga nN[µ1 εµ2 µ3 ...µn ] = εµ1 µ2 µ3 ...µn
1. Parentesi matematica
15
risultato che può essere semplificato togliendo le antisimmetrizzazioni se tµν è antisimmetrico, e sarà
questo il caso nel prossimo capitolo.
Si osservi poi che dalla (1.33) si vede che se una parte di ∂Σ è l’intersezione tra due ipersuperfici
di cui una nulla con vettore normale n si può scegliere u in modo tale che uµ nµ = −1. Infatti in
questo caso la (1.34) rimane soddisfatta e quindi l’elemento di volume su ∂Σ è quello giusto. Un
esempio di due-superficie di questo tipo è dato dall’intersezione dell’orizzonte degli eventi del buco
nero di Kerr-Newman con un’ipersuperficie Σ a t = cost dello spaziotempo, ovvero la superficie del
buco nero. Su questa si ha che il vettore normale ad H+ è n = f ξ, con ξ dato in (1.23), per cui n2 = 0
su H+ . Questo fatto sarà fondamentale nel dimostrare una importante formula nel terzo capitolo.
1.9
Equazione di Raychaudhuri per geodetiche nulle
Definizione 1.23. Una famiglia di curve in una regione U di uno spaziotempo si dice congruenza se
per ogni punto di U passa una e una sola curva.
Uno dei modi per esprimere la curvatura intrinseca di uno spaziotempo è metterla in relazione alla
deviazione geodetica di una congruenza a un parametro di geodetiche timelike; si trova un’equazione
che lega l’accelerazione relativa di geodetiche vicine al tensore di Riemann, dimostrando che le forze
di marea della gravità sono tutte contenute in esso.
È possibile fare di meglio considerando una congruenza a tre parametri di geodetiche di tipo tempo,
uno per ogni vettore spacelike ortogonale al campo vettoriale tangente alle geodetiche, e ottenere tre
equazioni che esprimono rispettivamente la velocità con cui varia l’elemento di volume individuato
da una fissata geodetica e da quelle infinitamente vicine al variare del parametro affine (expansion),
la velocità con cui le geodetiche vengono stirate (shear) e la velocità con cui si attorcigliano (twist).
Di queste tre equazioni quella di maggior interesse è la prima e prende il nome di equazione di
Raychaudhuri.
Per geodetiche lightlike la situazione è complicata dal fatto che i vettori spacelike ortogonali al
loro vettore tangente sono soltanto due, in quanto uno di questi è lo stesso vettore tangente, che non
è spacelike. Si può però scegliere ad hoc un vettore lightlike ausiliario e studiare la variazione del
sottospazio bidimensionale ortogonale a questo e al vettore tangente, verificando a posteriori che il
risultato è indipendente dalla scelta fatta.
Detto t il campo vettoriale tangente alla congruenza di geodetiche nulle e l il vettore lightlike ausiliario,
si prenda quest’ultimo in modo tale che sia trasportato parallelamente lungo t e che punti in direzione
spaziale opposta a t, ovvero
∇t l = 0
tµ lµ = −1
(1.36)
Il sottospazio ortogonale a questi due vettori sarà denotato T⊥ e il proiettore su questo sottospazio è
Pµν = gµν + tµ lν + tν lµ
(1.37)
e può essere pensato come la metrica in T⊥ , in quanto può essere usato per abbassare gli indici di
qualsiasi tensore che vive in questo sottospazio. Per esempio per un vettore v in T⊥ si ha
Pµν v ν = gµν v ν + tµ lν v ν + tν lµ v ν = gµν v ν
(1.38)
essendo lν v ν = tν v ν = 0.
In assenza di torsione per ogni v ∈ T⊥ si ha
∇t v µ = ∇v tµ = v ν ∇ν tµ =: B µν v ν
(1.39)
quindi B µν dà informazioni su quanto i vettori del sottospazio T⊥ vengono deviati lungo le geodetiche,
cioè trasportati non parallelamente.
Siccome il sottospazio che si vuole studiare è ortogonale sia a t sia a l e nella (1.39) non vi è traccia
di quest’ultimo, si può proiettare B µν in T⊥2 e ottenere esattamente le stesse informazioni; vale infatti
1. Parentesi matematica
16
Proposizione 1.3. Per ogni v ∈ T⊥ si ha
∇t v µ = B̂ µν v ν
dove
B̂ µν := P µρ P λν B ρλ
(1.40)
cioè i vettori di deviazione in T⊥ rimangono in questo sottospazio muovendosi lungo t.
Dimostrazione. Usando la (1.38) e osservando che dalle (1.36), (1.37) e dal fatto che t è tangente a
una geodetica segue che
∇t P µρ = 0
(1.41)
si ha
∇t v µ = ∇t P µρ v ρ = P µρ ∇t v ρ = P µρ B ρν v ν
dove l’ultima uguaglianza segue dalla (1.39). Di nuovo da (1.38) e (1.41) si ottiene poi
∇t v µ = P µ ρ B ρ ν P ν λ v λ = P µ ρ P ν λ B ρ ν v λ = B̂ µ λ v λ
A questo punto si decompone B̂µν come
1
B̂µν = θPµν + σ̂µν + ω̂µν
2
dove
1
σ̂µν = B̂(µν) − θPµν
2
θ = B̂ µµ = P µν B̂µν = g µν B̂µν
ω̂µν = B̂[µν]
(1.42)
Si osservi che θ non dipende dalla scelta di l, infatti essendo P un proiettore è idempotente; inoltre
Bµν tµ = 0, in quanto t2 = 0 lungo le geodetiche, e Bνµ tµ = 0, in quanto t è tangente a una geodetica
affine. Quindi
µν
Bµν = P µν Bµν = (g µν + tµ lν + tν lµ ) Bµν = g µν Bµν
(1.43)
P µν B̂µν = P 3
questo giustifica in parte l’arbitrarietà della scelta di l.
Si può dimostrare che σ̂µν , cioè la parte simmetrica a traccia nulla14 , è legata allo stiramento delle
geodetiche nella congruenza e che ω̂µν , cioè la parte antisimmetrica, è indice di quanto queste si
attorcigliano fra di loro. Il significato di θ risulta chiaro da
Proposizione 1.4. L’area compresa tra i due generatori v (1) , v (2) di T⊥ è
q
a = |g (2) | εµνρσ tµ lν vρ(1) vσ(2) =: µνρσ tµ lν vρ(1) vσ(2)
Per l’espansione θ vale
θ=
d log a
1 da
=
dλ
a dλ
(1.44)
d
dove λ è il parametro affine della congruenza di geodetiche, cioè t = dλ
.
p Dimostrazione. Da (1.36) e ∇µ
|g| = 0, dal fatto che t è tangente a una geodetica affine e da
(1.40) si ha
da
= tµ ∂µ a = tµ ∇µ a = tµ lν µνρσ vσ(2) ∇t vρ(1) + vρ(1) ∇t vσ(2) =
dλ
µνρσ
µνρσ
µνρσ
(1) (2)
(1) (2)
= tµ lν vσ(2) B̂ρ α vα(1) + vρ(1) B̂σ α vα(1) = 2 tµ lν B̂ρ α v[α vσ] = 2 B̂ρ α tµ lν v[α vσ]
14
Il fattore 1/2 è necessario a rendere σ̂µν a traccia nulla, in quanto P µµ = dim T⊥ = 2
1. Parentesi matematica
17
dove l’ultima uguaglianza segue dal fatto che εµνρσ è completamente antisimmetrico. Sfruttando poi
B̂µ ν tν = 0 e B̂µ ν lν = 0, che segue da (1.39) e (1.36), si trova che
(1) (2)
(2)
(2)
2 εµνρσ B̂ρ α tµ lν v[α vσ] = 4 εµνρσ B̂ρ α t[µ lν vα(1) vσ] = 4 εµνρσ B̂ρ α δ[µ β δν γ δα η δσ] ζ tβ lγ vη(1) vζ
Usando ora (1.28) e (1.29) si ottiene
da
4 µνρσ α
3!
(2)
= B̂ρ εµνασ εβγηζ tβ lγ vη(1) vζ =
dλ
4!
3!
q
(2)
|g (2) | δ ρ α B̂ρ α εβγηζ tβ lγ vη(1) vζ
= B̂ρ ρ a = θ a
Quindi θ è la velocità con cui varia il logaritmo dell’elemento di area della superficie due-dimensionale
S⊥ generata dalle linee di flusso dei vettori di deviazione15 . L’area di questa superficie al variare del
parametro delle geodetiche nulle è data da
Z
a d2 x
AS⊥ =
S⊥
dunque dalla (1.44) segue che
d
AS =
dλ ⊥
Z
θ a d2 x
(1.45)
S⊥
Per quanto riguarda la velocità con cui varia θ lungo la curva questa è
dθ
= tµ ∂µ θ = ∇t P νρ B̂νρ = ∇t P νρ Bνρ = P νρ ∇t Bνρ = P νρ ∇t ∇ρ tν = P νρ tµ (∇ρ ∇µ + [∇µ , ∇ρ ]) tν
dλ
dove si sono usate la (1.43) e la (1.41). Sfruttando di nuovo ∇t tµ = B µν tν = 0, B µν lν = 0 , la (1.37),
le simmetrie del tensore di Riemann, nonché P 2 = P si ha
h
i
dθ
= P νρ ∇ρ (tµ ∇µ tν ) − (∇ρ tµ ) (∇µ tν ) − Rλνµρ tµ tλ =
dλ
= −P νρ B µρ Bνµ − (g νρ + tν lρ + tρ lν )Rλνµρ tµ tλ = −P νρ B αρ (P µα − tµ lα − tα lµ ) Bνµ − g νρ Rνλρµ tµ tλ =
= −P µα B αρ Pβ ρ Pν β B νµ − Rλµ tµ tλ = −B̂ µβ Pν β B νγ P γµ − tγ lµ − tµ lγ − Rλµ tµ tλ =
= −B̂ µβ B̂ βµ − Rλµ tµ tλ
Infine poiché σ̂ e ω̂ sono a traccia nulla, e quindi Pµν σ̂ µν = Pµν ω̂ µν = 0 , e poiché il primo è simmetrico
e il secondo antisimmetrico, e quindi nulla la loro contrazione, si ottiene
1
− B̂ µβ B̂βµ = − θ2 − σ̂ µβ σ̂µβ + ω̂ µβ ω̂µβ
2
da cui segue l’equazione di Raychaudhuri per una congruenza di geodetiche nulle
dθ
1
= − θ2 − σ̂ µν σ̂µν + ω̂ µν ω̂µν − Rµν tµ tν
dλ
2
(1.46)
che non dipende da l come si può verificare scrivendo esplicitamente σ̂ µν σ̂µν e ω̂ µν ω̂µν .
Questa equazione sarà di importanza fondamentale nel derivare le leggi della meccanica dei buchi neri
e verrà utilizzata nel caso in cui il campo vettoriale t è quello dei generatori dell’orizzonte di Killing
di un buco nero, che è un’ipersuperficie nulla a cui tale campo è ortogonale. Questo fatto porta a
semplificare la (1.46), si ha infatti
15
Due campi vettoriali linearmente indipendenti non sempre generano una superficie due-dimensionale. Il teorema
di Frobenius assicura che questo succede se il loro commutatore può essere scritto come combinazione dei due e tale
condizione è soddisfatta in quanto [v (1) , v (2) ] = 0
1. Parentesi matematica
18
Proposizione 1.5. Il vettore t è normale a una famiglia di ipersuperfici nulle se e solo se ω̂ = 0.
Dimostrazione. Usando ∇t t = 0 , t2 = 0, la (1.39) ed esplicitando B̂µν tramite la (1.37) si ha
t[µ B̂νρ] = t[µ Bνρ] , da cui segue
t[µ ω̂νρ] = t[µ B̂νρ] = t[µ Bνρ] = t[µ ∇ρ tν]
(1.47)
Per il teorema di Frobenius t è ortogonale a una famiglia di ipersuperfici se e solo se t[µ ∇ρ tν] , quindi
da (1.47) segue immediatamente che se ω̂ = 0 allora t è ortogonale a una famiglia di ipersuperfici
nulle. Del resto sfruttando l’antisimmetria di ω̂ si ha
t[µ ω̂νρ] =
1
(tµ ω̂νρ + tν ω̂ρµ + tρ ω̂µν )
3
moltiplicando per nµ e usando (1.39), (1.42) e (1.47) si giunge a
1
1
nµ t[µ ∇ρ tν] = nµ (tµ ω̂νρ + tν ω̂ρµ + tρ ω̂µν ) = − ω̂νρ
3
3
quindi se è nullo il primo membro allora ω̂ = 0.
È ora possibile dimostrare un’importante identità valida su un orizzonte di Killing, che verrà più
volte utilizzata nel seguito.
Proposizione 1.6. Sia N un orizzonte di Killing del vettore ξ, allora vale
Rµν ξ µ ξ ν |N = 0
(1.48)
Dimostrazione. Poiché t è normale a una famiglia di ipersuperfici nulle di cui N fa parte, e quindi
ω̂ = 0 per la congruenza di geodetiche nulle in cui stanno le orbite di t, si ha
B̂µν = B̂(µν) = P(µρ B|ρλ| P λν) = Pµρ B(ρλ) P λν = Pµρ ∇(λ tρ) P λν
avendo usato il fatto che P è simmetrico. Siccome ξ = f t su N , con t vettore tangente all’orizzonte,
la precedente equazione diventa
B̂µν = Pµρ ∇(λ f −1 ξρ) P λν = Pµρ ξ(ρ ∇λ) f −1 + f −1 ∇(λ ξρ) P λν = ∇(λ f −1 P |µ| ρ ξ ρ) P λν = 0
avendo sfruttato l’equazione di Killing ∇(λ ξρ) = 0 e Pµρ ξρ = f Pµρ tρ = 0 in quanto P è un proiettore
ortogonale a t.
Si arriva quindi a θ = B̂ µµ = 0, ovvero θ è costante e in particolare nulla su N . In questo modo
dall’equazione di Raychaudhuri (1.46) segue
dθ 1 2
µν
µ ν 0=
= − θ − σ̂ σ̂µν − Rµν t t = − Rµν tµ tν |N = − f −2 Rµν ξ µ ξ ν N
dλ N
2
N
Capitolo 2
Energia e momento angolare
Il teorema no-hair afferma che, per un buco nero stazionario, cioè all’equilibrio, gli unici parametri necessari a descriverne la meccanica sono massa, momento angolare e carica. Considerando un generico
spaziotempo con buco nero carico e rotante, si può usare una formulazione covariante dell’elettromagnetismo classico, riadattata a spazitempi curvi, per definire in modo naturale, dato il tensore di
energia-momento del campo di Maxwell, la carica del buco nero. La difficoltà nel compiere la stessa
operazione per quanto riguarda massa e momento angolare è data dal fatto che l’informazione che
queste due quantità portano non è contenuta soltanto nel tensore di energia-momento, ma anche nella
curvatura dello spaziotempo, ovvero nel tensore di Einstein. Esistono varie possibilità, alcune delle
quali si adattano anche a spazitempi più generali di quelli presi in considerazione in questa trattazione.
In questo capitolo, dopo aver brevemente introdotto l’integrale per la carica elettrica, definito a
partire dalla formulazione covariante delle leggi di Maxwell, verrà presentata una di queste possibilità,
la quale è utilizzabile nel caso in cui lo spaziotempo possieda particolari simmetrie generate da vettori
di Killing, il che sarà in pratica equivalente a richiedere che lo spaziotempo sia stazionario. Verranno
poi calcolati massa e momento angolare dei buchi neri di Schwarzschild e di Kerr e infine enunciate
alcune possibili condizioni che deve soddisfare il tensore di energia-momento di uno spaziotempo fisico,
di cui si è parlato nei precedenti paragrafi su singolarità e teoremi di unicità.
2.1
Carica elettrica
Come anticipato nella breve introduzione riguardo la metrica di Kerr-Newman, questa è soluzione
delle equazioni di Einstein accoppiate a quelle di Maxwell nel vuoto, cioè dove ∇µ F νµ = 0 e dove
il tensore di energia-momento contiene solo contributi elettromagnetici. Trascurando la possibile
presenza di sorgenti di campo magnetico, in una regione di spaziotempo in cui siano presenti cariche
elettriche le equazioni di Maxwell disomogenee diventano
∇µ F νµ = 4πJ ν
(2.1)
dove J µ è il quadrivettore delle sorgenti del campo elettromagnetico, ovvero densità di carica e corrente
elettrica, che soddisfa l’equazione di continuità
∇µ J µ = 0
(2.2)
e quindi rappresenta una corrente conservata.
Presa un’ipersuperficie dello spaziotempo con bordo Σ che sia di tipo spazio, cioè con vettore
normale u timelike, si può pensare di definire la carica elettrica come flusso della corrente attraverso
Σ, ovvero
Z
Z q
dSµ J µ =
qe =
Σ
g (3) d3 x uµ J µ
Σ
(2.3)
2. Energia e momento angolare
20
dove g (3) è il determinante della metrica indotta sull’ipersuperficie da quella dello spaziotempo.
Inserendo la (2.1) in (2.3) e usando il teorema di Stokes per la divergenza (1.35) insieme con il fatto
che F è antisimmetrico, si ha
Z q
Z q
1
1
3
µν
(3)
qe =
g d x uµ ∇ν F =
g (2) d2 x uµ nν F µν
(2.4)
4π Σ
4π ∂Σ
dove n è il versore normale al bordo di Σ, g (2) è il determinante della metrica indotta su ∂Σ .
Ogniqualvolta sia presente un’equazione come (2.2) e si sia definita una carica associata alla
corrente conservata come in (2.3), si può vedere facilmente che questa è indipendente dal tempo se
l’ipersuperficie spacelike si estende ovunque J 6= 0. Infatti considerando una regione R di spaziotempo
che abbia bordo costituito dall’infinito spaziale e da due ipersuperfici spacelike con versore normale
u, le quali possono essere pensate, in qualche sistema di coordinate, come sezioni temporali dello
spaziotempo e verrano quindi denotate Σt1 e Σt2 , da (2.2), (2.3), dal teorema di Stokes e posto che J
si annulli all’infinito spaziale si ottiene
Z
Z
Z
Z
q
4 √
µ
3
µ
µ
(3)
0=
d x −g ∇µ J =
d x g uµ J =
dSµ J −
dSµ J µ = qe (t2 ) − qe (t1 )
R
∂R
Σt2
Σt1
dove il segno meno serve a garantire che il versore u sia sempre uscente dalla regione R, per poter
applicare il teorema di Stokes.
Quindi in presenza di una corrente conservata, se si definisce un integrale di carica che si estenda fino
all’infinito spaziale, la carica è indipendente dal tempo.
Tramite (2.4) si può calcolare la carica elettrica del buco nero di Reissner-Nordström, la cui metrica
è data in (1.14) con a = 0. Si consideri un’ipersuperficie Σ definita da t = cost che abbia bordo ∂Σ
definito da r = cost ; i vettori normali, opportunamente normalizzati1 , si calcolano da (1.1) e risultano
rispettivamente
r
− 12
2M
Q2
2M
Q2
u= 1−
+ 2
∂t
n= 1−
+ 2 ∂r
(2.5)
r
r
r
r
Da (1.13) si ha poi
F = dA = d
Q
dt
r
=−
Q
dr ∧ dt
r2
quindi le uniche componenti non nulle di F sono Ftr = −Frt = Q/r2 .
Usando ora (2.4) la carica del buco nero è data da
1
qe =
4π
Z 2π
Z π
q
1
2
µν
(2)
g d x uµ nν F =
dφ
sin θ dθ r2 ut nr Ftr = Q
4π 0
∂Σ
0
Z
Quindi il parametro Q in (1.14) è proprio
la carica del buco nero. Si noti che i versori in (2.5) sono
p
ben definiti per ogni r > r+ = M + M 2 − Q2 e che nel calcolo non è stato necessario considerare
il bordo di Σ all’infinito spaziale, anzi il risultato è indipendente dalla scelta del bordo a patto che
questo sia fuori dall’orizzonte degli eventi del buco nero. Inoltre la carica elettrica sarà certamente
conservata essendo la metrica indipendente dal tempo.
2.2
Integrali di Komar
Dal precedente paragrafo è chiaro che un ottimo punto di partenza per definire energia e momento
angolare in Relatività Generale è quello di trovare delle correnti J µ che soddisfino un’equazione come
1
Essendo Σ spacelike il suo versore normale u è tale che u2 = −1, mentre il versore normale n a r = cost è spacelike
e quindi n1 = 1
2. Energia e momento angolare
21
la (2.2) e che siano associate a queste due cariche conservate. In effetti una siffatta corrente può essere
costruita a partire da un qualunque vettore di Killing ξ, in quanto questo soddisfa l’equazione
∇µ ξν + ∇ν ξµ = 2 ∇(µ ξν) = 0
(2.6)
Definendo la corrente J µ associata al vettore di Killing ξ come
J µ (ξ) = Rµν ξν
(2.7)
si prova che questa ha divergenza nulla grazie al seguente
Lemma 2.1. La seconda identità di Bianchi per il tensore di Riemann
∇[λ Rρσ]µν = 0
implica che
1
∇µ R = ∇ν Rµν
2
(2.8)
Dimostrazione. Sfruttuando l’antisimmetria del Riemann nei primi due indici si ha
0 = ∇[λ Rρσ]µν = ∇λ R[ρσ]µν − ∇ρ R[λσ]µν − ∇σ R[ρλ]µν = ∇λ Rρσµν + ∇ρ Rσλµν + ∇σ Rλρµν
contraendo σ con µ e λ con ν e usando di nuovo le simmetrie del Riemann
0 = ∇ν Rρµµν + ∇ρ Rµνµν + ∇µ Rνρ µν = −2∇ν Rρν + ∇ρ R
Si osservi che la (2.8), o equivalentemente la seconda identità di Bianchi, è un fatto puramente geometrico; ciononostante fu proprio questa identità a guidare Einstein nello scrivere le giuste equazioni
di campo che legano la curvatura dello spaziotempo alla distribuzione di materia, infatti è facile vedere che la (2.8) implica tramite le equazioni di Einstein che per il tensore di energia-momento vale
∇µ T µν = 0, equazione che esprime localmente la conservazione dell’energia e a cui ogni distribuzione
di materia ed energia ragionevole in senso fisico deve sottostare.
Proposizione 2.1. Sia ξ un vettore di Killing, allora la corrente J µ (ξ) := Rµν ξ ν soddisfa (2.2).
Dimostrazione. Usando la (2.8) insieme con Rµν = Rνµ si ha
∇µ J µ (ξ) = ∇µ Rµν ξ ν = ξ ν ∇µ Rµν + Rµν ∇µ ξ ν = ξ ν ∇ν R + Rµν ∇µ ξν = (ξ · ∂)R + Rµν ∇µ ξν
il secondo termine a ultimo membro si annulla grazie a (2.6) e alla simmetria del Ricci, mentre il
primo è nullo in quanto la metrica, e quindi R, sono indipendenti dal parametro delle orbite di ξ,
come si può verificare moltiplicando (2.8) per ξ µ e usando (2.6) e (1.9)
1
1
1
ξ µ ∇µ R = ξ µ ∇ν Rµν = (∇ν ξ µ Rµν − Rµν ∇ν ξ µ ) = ∇ν ∇µ ∇ν ξ µ = 0
2
2
2
È quindi naturale definire la carica conservata associata alla corrente J µ (ξ) come
Z
Z
Qξ (Σ) = Cξ
dSµ J µ (ξ) = Cξ
dSµ Rµν ξ ν
Σ
(2.9)
Σ
dove Σ è, come prima, una superficie spacelike nello spaziotempo che copra tutto lo spazio in cui J è
non nulla e la costante Cξ può essere fissata nel limite di gravità debole richiedendo che la Qξ coincida
con la carica conservata classicamente. Inoltre con un ragionamento identico al paragrafo precedente
si prova che Q è indipendente dal tempo se la corrente si annulla sul bordo di Σ.
L’analogia con il caso elettromagnetico è rafforzata dal fatto che, come per la quadricorrente di
2. Energia e momento angolare
22
Maxwell vale la (2.1), la corrente associata a una vettore di Killing può essere scritta come divergenza
di un tensore antisimmetrico di rango 2, infatti grazie a (1.9) si ha
J µ (ξ) = Rµν ξν = ∇ν ∇µ ξ ν
che sostituita in (2.9), sfruttando di nuovo il teorema di Stokes (1.35) e il fatto che ∇µ ξν è antisimmetrico, porta a
Z
Z q
Z q
3
µ ν
µ ν
(3)
Qξ (Σ) = Cξ
dSµ ∇ν ∇ ξ = Cξ
g d x uµ ∇ν ∇ ξ = Cξ
g (2) d2 x uµ nν ∇µ ξ ν
(2.10)
Σ
Σ
∂Σ
L’ultimo membro di questa equazione prendere il nome di integrale di Komar del vettore di Killing ξ.
Nel caso di buchi neri all’equilibrio i teoremi di unicità assicurano che esistono almeno i due vettori
di Killing k e m: il primo, timelike all’infinito spaziale, legato all’invarianza dello spaziotempo per traslazioni temporali, il secondo, spacelike all’infinito spaziale, legato all’invarianza per rotazioni attorno
a una asse. È piuttosto spontaneo associare all’integrale di Komar di k l’energia dello spaziotempo e
a quello di m il momento angolare rispetto all’asse di simmetria, in quanto classicamente sono queste
le quantità conservate in seguito alle invarianze suddette. Si avrà quindi per l’energia E e il momento
angolare J di uno spaziotempo contenente un buco nero
Z q
Z q
2
µ ν
(2)
E(Σ) = Ck
g d x uµ nν ∇ k
g (2) d2 x uµ nν ∇µ mν
J(Σ) = Cm
(2.11)
∂Σ
∂Σ
Per fissare le costanti anzitutto si riscriva la corrente in (2.7), usando le equazioni di Einstein, come
1 µ
µ
µ
(2.12)
J (ξ) = 8π T ν − T δ ν ξ ν
2
si consideri poi il limite classico di spaziotempo piatto in cui gµν ∼ ηµν e si osservi che il vettore
normale a un ipersuperficie Σ spacelike è u = ∂t , quindi u0 = 1 e u0 = −1.
Per l’energia si assuma un tensore di energia-momento di una distribuzione di polvere, nel sistema di
riferimento in cui questa è a riposo, dato da Tµν = diag(ρ, 0, 0, 0), dove ρ è la densità di energia.
La (2.12) diventa
1 µ
1 µ
µ
µ
µ
J (k) = 8π T 0 − T δ 0 = 8π T 0 + ρ δ 0
2
2
e quindi la (2.9) si scrive come
Z q
Z
Z
1 µ
1
µ
3
0
(3)
E(Σ) = Ck 8π
g d x uµ T 0 + ρ δ 0 = −Ck 8π
dV T 0 + ρ = Ck 4π
dV ρ
2
2
Σ
Σ
Σ
da cui, estendendo l’integrale a tutto lo spazio, si ottiene
Z
E = Ck 4π ρ dV
⇒
Per il momento angolare la (2.12) è
1 µ
µ
µ
J (m) = 8π T φ − T δ φ
2
Ck =
1
4π
J µ (m)uµ = 8π uµ T µφ = 8π uµ T µν mν
⇒
da cui, scrivendo l’integrale in (2.9) in coordinate cartesiane e notando che m = ∂φ = x ∂y − y ∂x , si
ha
Z
Z
Z
3
0
ν
0
0
J(Σ) = Cm 8π
d x u0 T ν m = −Cm 8π
dV xT 2 − yT 1 = −Cm 8π ε3ij
xi T j0 dV
Σ
Σ
e quindi
Cm = −
Σ
1
8π
2. Energia e momento angolare
2.3
23
Massa del buco nero di Schwarzschild
Per la geometria di Schwarzschild è molto semplice verificare che l’energia dello spaziotempo può
essere identificata con il parametro M in (1.14), ovvero la massa del buco nero. Infatti dalle (1.1) e
(1.14) con a = Q = 0 si ha che, prendendo Σ a t costante con bordo a r costante, i vettori normali,
rispettivamente a Σ e ∂Σ, normalizzati sono
r
1
2M − 2
2M
u= 1−
∂t
n= 1−
∂r
(2.13)
r
r
Usando poi le componenti calcolate precedentemente di ∇µ k ν in (1.20), l’integrale di Komar (2.11)
per l’energia è
Z π
Z q
Z 2π
1
1
2
µ ρ
ν
(2)
sin θ dθ r2 ut nr grr ∇t k r =
g d x u n gρν ∇µ k =
dφ
E(Σ) =
4π ∂Σ
4π 0
0
Z π
Z 2π
1
M
=
sin θ dθ r2 2 = M
dφ
4π 0
r
0
Risultato che vale, con un ragionamento analogo a quello fatto nel calcolo della carica elettrica, per
ogni valore di r > 2M , a indicare che tutta l’energia dello spaziotempo è rinchiusa nell’orizzonte del
buco nero.
Si può anche vedere che per un buco nero statico la (2.11) dà un risultato nullo2 , infatti
∇µ mν = ∂µ mν + Γνµρ mρ = Γνµφ
e le uniche componenti non nulle di questo tensore sono
∇φ mr = (2M − r) sin2 θ
∇φ mθ = − cos θ sin θ
∇θ mφ = cot θ
Quindi, prendendo la stessa ipersuperficie con bordo, i cui vettori normali sono quelli in (2.13), il
momento angolare è
Z q
1
J(Σ) = −
g (2) d2 x ut nr grr ∇t mr = 0
8π ∂Σ
2.4
Massa e momento angolare del buco nero di Kerr
Il calcolo degli integrali di Komar nello spaziotempo di Kerr è molto più complicato, in quanto la
metrica (1.14) è non diagonale quando a 6= 0. Considerando la solita ipersuperficie Σ, conviene
anzitutto calcolare i versori normali a ∂Σ tramite (1.1), prestando attenzione nell’invertire la metrica.
Si ottiene
1
ρ
u=
(∂t + Ω ∂φ )
n = √ ∂r
(2.14)
N
∆
dove ρ e ∆ sono dati in (1.15), Ω in (1.22), mentre
√
ρ ∆
N=p
(r2 + a2 )2 − ∆a2 sin2 θ
La massa di Komar diventa quindi
Z q
Z q
1
1
ρ3
2
r
t
r
φ
r
r
r
(2)
E(Σ) =
g d x n grr u ∇t k + u ∇φ k =
g (2) d2 x
3 (∇t k + Ω ∇φ k )
4π ∂Σ
4π ∂Σ
2
N∆
(2.15)
2
Più in generale si dimostra che J è nullo in uno spaziotempo statico e assisimmetrico qualsiasi
2. Energia e momento angolare
24
dove le componenti di ∇µ k ν = Γνµt necessarie al calcolo risultano
∇t k r =
M∆
ρ4
∇φ k r =
aM ∆
sin2 θ a2 cos2 θ − r2
6
ρ
A questo punto per arrivare “a mano” al risultato non si può fare altro che prendere il bordo di Σ
all’infinito spaziale, cioè tale che r = cost = ∞ . Per r → ∞ si hanno i seguenti andamenti asintotici
ρ3
3
N ∆2
∼ 1
M
r2
∇t k r ∼
Ω ∇φ k r ∼ −
2a2 M 2 sin2 θ
r5
q
g (2) ∼ r2 sin θ
p
avendo usato per g (2) l’espressione in (1.17).
In questo modo (2.15) diventa
1
E = lim E(Σ) =
r→∞
4π
2π
Z
Z
dφ
0
π
r2 sin θ dθ
0
M
=M
r2
Per il momento angolare, con passaggi analoghi a quelli in (2.15) e usando di nuovo (2.14) si ottiene
Z q
1
ρ3
r
r
J(Σ) = −
g (2) d2 x
(2.16)
3 (∇t m + Ω ∇φ m )
8π ∂Σ
2
N∆
Prendendo di nuovo ∂Σ con r → ∞ si ha
aM sin2
aM ∆
2
2
2
2
sin
θ
a
cos
θ
−
r
∼
−
ρ6
r2
∆ sin2 θ
a2 sin2 θ
r
2
2
2
∇φ m = −
r−
M r + a cos θ (r − M ) ∼ −r sin2 θ
ρ2
ρ4
∇t mr =
Ω ∼
2 aM
r3
e quindi
1
J = lim J(Σ) = −
r→∞
8π
Z
2π
π
Z
dφ
0
2
r sin θ dθ
0
3
= aM
4
Z
aM sin2 θ 2 aM
−
− 3 r sin2 θ
r2
r
=
π
sin3 θ dθ = aM
0
Si trova quindi che il parametro a in (1.14) rappresenta il momento angolare per unità di massa del
buco nero.
Se non si fosse preso il limite r → ∞ gli integrali di Komar del Kerr non sarebbero stati calcolabili
analiticamente, tuttavia si possono sviluppare, fino a un certo ordine, le integrande in (2.15) e (2.16)
in serie di potenze di r in un intorno dell’infinito spaziale a ottenere
Z
Qξ = Cξ 2π
π
dθ
0
N
X
n=0
N
X 1
1
fn (θ) n = Cξ 2π
r
rn
n=0
Z
π
dθ fn (θ)
0
e verificare che fino a ordini elevati le fn (θ) hanno integrale nullo su [0, π] per ogni n > 0, ovvero che
l’unico termine a contribuire è quello per n = 0, a indicare che anche al di fuori di un buco nero di
Kerr non ci sono nè energia nè momento angolare.
2. Energia e momento angolare
2.5
25
Condizioni sull’energia
Finora per quanto riguarda le distribuzioni di materia descritte dal tensore di energia-momento, si
è detto che questo deve certamente soddisfare l’equazione di conservazione dell’energia ∇µ T µν = 0,
ovvero uno dei postulati della Relatività Generale che le stesse equazioni di Einstein non permettono
di violare. Proprio da questo fatto si capisce che necessariamente si dovranno imporre altre condizioni
su Tµν per non incappare in situazioni fisicamente inaspettate.
Per un osservatore con quadrivelocità v che si muove in una distribuzione di materia Tµν , la
quantità Tµν v µ v ν ha il significato di densità di energia misurata nel sistema di riferimento di tale
osservatore. Una prima ipotesi ragionevole su Tµν è richiedere che questa sia positiva in qualsiasi
sistema di riferimento, fatto garantito dalla
Weak energy condition (WEC). Tµν soddisfa la condizione debole sull’energia se
Tµν v µ v ν ≥ 0
per ogni v timelike
Si prenda come esempio un fluido perfetto, il cui tensore di energia-momento è dato da
Tµν = (ρ + P ) uµ uν + P gµν
(2.17)
dove ρ e P sono rispettivamente la densità di energia e la pressione misurate nel sistema di riferimento
in cui il fluido è fermo e u il vettore tangente alle linee di flusso del fluido.
La WEC implica, prendendo v = u, che ρ ≥ 0 e inoltre, dovendo valere per continuità anche per
vettori lightlike, che ρ + P ≥ 0. Infatti dalla (2.17) con v 2 = 0 si ha
Tµν v µ v ν = (ρ + P ) (uµ v µ )2 ≥ 0
⇔
ρ+P ≥0
cioè la pressione del fluido, se negativa, non può diventare in valore assoluto più grande della densità
di energia.
Un’importante conseguenza della WEC segue dall’equazione di Raychaudhuri per geodetiche nulle
(1.46): infatti quest’ultima permette di dimostrare la seguente
Proposizione 2.2. Sia N un’ipersuperficie nulla in uno spaziotempo (M, g), soluzione delle equazioni
di Einstein con Tµν soddisfacente la WEC, allora per la congruenza dei generatori di N la (1.46)
implica
dθ
1
≤ − θ2
(2.18)
dλ
2
Dimostrazione. Detto t il vettore tangente ai generatori di N , dalle equazioni di Einstein combinate
alla WEC e da t2 = 0 si ha
1
µ ν
µ ν
µ ν
Rµν t t = 8π Tµν t t − gµν t t = 8πTµν tµ tν ≥ 0
2
Essendo t normale a N , ω̂ = 0; inoltre σ̂ µν ∈ T⊥2 e la metrica è definita positiva in questo sottospazio,
quindi σ̂ µν σ̂µν ≥ 0. Perciò dalla (1.46) segue
dθ
1
1
= − θ2 − σ̂ µν σ̂µν − Rµν tµ tν ≤ − θ2
dλ
2
2
Questa proposizione può essere usata per dare maggiore chiarezza al significato della WEC e per
provare un risultato che sarà indispensabile nel prossimo capitolo.
Si consideri un punto p su un generatore di un’ipersuperficie nulla per cui θ|p := θ0 < 0 e si scelga il
parametro affine λ in moto tale che λ = 0 in p. La (2.18) implica che
1
d
θ−1 ≥
dλ
2
⇒
1
1
≥ λ+C
θ(λ)
2
(2.19)
2. Energia e momento angolare
26
dove C è una costante di integrazione che deve rispettare C ≤ θ0−1 . Quindi dalla (2.19) si ha
1
1
≥ λ + θ0−1
θ(λ)
2
⇒
θ(λ) ≤
θ0
1 + 12 θ0 λ
Se θ0 < 0 questa equazione implica che θ → −∞ quando λ → 2/|θ0 |, cioè, tramite la (1.44) e
tenendo conto che a > 0, l’area del sottospazio generato dai vettori di deviazione diventa nulla in
un intervallo di lunghezza 2/|θ0 | del parametro affine. Questo vuol dire che se le geodetiche nulle
di una congruenza si stanno avvicinando, non possono fare altro che continuare ad avvicinarsi fino
a convergere in un punto in un cui inevitabilmente si intersecano. Ciò riflette, dal punto di vista
fisico, la natura attrattiva della gravità: se le sorgenti del campo gravitazionale sono sempre positive,
e quindi vale la WEC, la forza che si esercita tra due masse sarà necessariamente tale da attrarle una
verso l’altra3 .
La condizione debole sull’energia spesso non basta a rendere le soluzioni delle equazioni di campo
fisicamente sensate. Per esempio si potrebbe pretendere che, per un generico spaziotempo stazionario
con buco nero, la massa di Komar in (2.11) sia non negativa; un teorema dimostrato per la prima
volta da Shoen e Yau lo prova, ma sotto un’assunzione più forte sul tensore di energia-momento:
Dominant energy condition (DEC). Tµν soddisfa la condizione dominante sull’energia se soddisfa
la WEC e inoltre
Tµν T µρ v ν v ρ ≤ 0
per ogni v timelike
cioè se Tµν v ν è non spacelike per ogni v timelike.
Per una distribuzione di materia della forma (2.17) questa condizione implica che la densità di
energia è sempre più grande del valore assoluto della pressione, infatti prendendo v lightlike si ha
h
i
0 ≥ Tµν T µρ v ν v ρ = − (ρ + P )2 + 2P (ρ + P ) (uµ v µ )2 + P 2 v 2 = (P + ρ) (P − ρ) (uµ v µ )2
ma essendo ρ + P ≥ 0 per la WEC, si deve avere P − ρ ≤ 0 e quindi ρ ≥ |P |.
Si può inoltre far vedere che la DEC può essere interpretata fisicamente come la richiesta che la
velocità del flusso di energia, ovvero u in (2.17) nel caso di un fluido perfetto, sia sempre inferiore alla
velocità della luce. Infine la DEC è utilizzata nella formulazione della congettura di censura cosmica
ed un’ipotesi fondamentale nella dimostrazione della legge zero della termodinamica dei buchi neri.
I teoremi sulle singolarità necessitano di una condizione diversa dalle precedenti, che per un fluido
perfetto porta a ρ + P ≥ 0 e ρ + 3P ≥ 0, questa è
Strong energy condition (SEC). Tµν soddisfa la condizione forte sull’energia se
1
Tµν v µ v ν ≥ T v 2
2
per ogni v timelike
Si noti che, nonostante il nome, la SEC è matematicamente indipendente dalle altre due date in questo
paragrafo e che esistono diverse teorie in cui non è soddisfatta.
3
In realtà per arrivare alla stessa conclusione dall’equazione di Raychaudhuri per geodetiche timelike è necessaria
una condizione leggermente diversa dalla WEC che non garantisce la nonnegatività della densita di energia. Questa
condizione viene detta strong EC e verrà brevemente illustrata alla fine di questo paragrafo
Capitolo 3
La meccanica dei buchi neri
Quando si descrive un sistema dal punto di vista termodinamico si cerca di ridurre il più possibile il
numero di variabili in gioco, in modo da poter trattare un problema macroscopico legato a un numero
immenso di gradi di libertà microscopici. Decidere di descrivere completamente un gas reale con
pressione, volume e temperatura, che sono un numero decisamente accettabile di variabili per poter
fare i conti, è un’approssimazione. Invece, come si vedrà in questa sezione, le proprietà di un buco
nero dipendono in modo esatto da un numero molto piccolo di variabili e le leggi che ne regolano
la dinamica sono rigorosi teoremi di geometria differenziale. Ciononostante esiste una forte analogia
formale tra queste leggi e quelle della termodinamica, il che spinge a cercare un legame più profondo
tra termodinamica e buchi neri.
In questo capitolo verranno presentate e in parte dimostrate le leggi della meccanica dei buchi
neri e le loro conseguenze. Verrano inoltre esposte le analogie formali tra queste e le leggi della
termodinamica e le principali incongruenze in questa analogia che storicamente hanno fatto credere,
per un breve periodo, che fosse soltanto una coincidenza.
3.1
Legge zero
Il principio zero delle termodinamica afferma che in un sistema all’equilibrio esiste una funzione di
stato detta temperatura che è costante su tutto il sistema. Un buco nero è all’equilibrio se vive in
uno spaziotempo stazionario; se ciò succede si trova una funzione che è costante su tutto l’orizzonte
e questa è la gravità superficiale.
Nel primo capitolo è stato dimostrato che κ2 è costante su un orizzonte di Killing. In questa
dimostrazione è cruciale che tale orizzonte si biforchi, ma ciò non è vero in situazioni realistiche come
il collasso di una stella: lo spaziotempo che descrive questo fenomeno si ottiene incollando due regioni,
una in cui l’orizzonte di buco nero non è presente perché la stella ha ancora un raggio superiore a quello
di Schwarzschild1 , l’altra, che appartiene effettivamente a uno spaziotempo stazionario con buco nero,
in cui l’orizzonte è presente ma non si biforca. Il teorema di Hawking garantisce che questo orizzonte
è di Killing e ciò permette di provare la legge zero della meccanica dei buchi neri.
Legge zero. Sia (M, g) uno spaziotempo stazionario contenente un buco nero soluzione delle equazioni di Einstein con tensore di energia-momento Tµν che soddisfi la DEC. Allora la gravità superficiale
κ è costante sull’orizzone degli eventi H+ .
Dimostrazione. Tutte le equazioni che seguono si intendono scritte su H+ , che per il teorema
enunciato nel primo capitolo è un orizzonte di Killing di un certo vettore ξ.
Sfruttando l’equazione di Killing (2.6) e la (1.6) si ha
0 = ξµ ∇ν ξρ − ξρ ∇ν ξµ + ξν ∇ρ ξµ
1
Nel caso in cui il collasso sia sfericamente simmetrico
⇒
ξµ ∇ν ξρ = 2 ξ[ρ ∇ν] ξµ
(3.1)
3. La meccanica dei buchi neri
da cui
28
1
1
(∇ν ξ µ ) ξ ν ∇σ ξρ = κ ξ µ ∇σ ξρ = κ ξ[ρ ∇σ] ξ µ
2
2
all’equazione (1.4) e usando la (1.8) si ottiene
(∇ν ξ µ ) ξ[ρ ∇σ] ξ ν =
Applicando ξ[ρ ∇σ]
(3.2)
ξ µ ξ[ρ ∇σ] κ + κ ξ[ρ ∇σ] ξ µ = (∇ν ξ µ ) ξ[ρ ∇σ] ξ ν + ξ ν ξ[ρ ∇σ] ∇ν ξ µ = (∇ν ξ µ ) ξ[ρ ∇σ] ξ ν + ξ ν ξ[ρ Rα σ]ν µ ξα
Inserendo la (3.2) nell’ultimo membro di questa equazione e sfruttando le simmetrie del Riemann
ξ µ ξ[ρ ∇σ] κ = ξ ν ξ[ρ Rα σ]ν µ ξα
ξµ ξ[ρ ∇σ] κ = −ξ ν ξ α ξ[ρ Rσ]ανµ
⇒
(3.3)
Applicando ora ξ[α ∇µ] alla (3.1) si ha
ξλ ξ[α ∇µ] ∇σ ξρ + (∇σ ξρ ) ξ[α ∇µ] ξλ = 2 ξ[α ∇µ] ∇[σ ξ|λ| ξρ] + 2 ξ[α ∇µ] ξ[ρ ∇σ] ξλ
(3.4)
ma il secondo termine a primo membro di questa equazione è uguale al secondo termine a secondo
membro, infatti usando tre volte la (3.1)
1
2 ξ[α ∇µ] ξ[ρ ∇σ] ξλ = ξ[ρ ∇|µ ξα| ∇σ] ξλ = (∇µ ξα ) ξ[ρ ∇σ] ξλ = (∇µ ξα ) ξλ ∇σ ξρ = ξ[α ∇µ] ξλ ∇σ ξρ
2
Quindi la (3.4), sfruttando di nuovo la (1.8), diventa
ξλ ξ[α Rβ µ]σρ ξβ = ξλ ξ[α ∇µ] ∇σ ξρ = 2 ξ[α ∇µ] ∇[σ ξ|λ| ξρ] = −2 ξβ ξ[α Rβ µ]λ[σ ξρ]
(3.5)
Contraendo α con λ il primo membro si annulla, infatti grazie a ξ 2 = 0 e all’antisimmetria del
Riemann nei primi due indici, si ha
ξ α ξ[α Rβ µ]σρ ξβ =
1 2 β
ξ R µσρ ξβ − ξµ ξ α ξ β Rβασρ = 0
2
Cosı̀ dalla (3.5), usando di nuovo le proprietà del Riemann, si arriva a
0 = −ξ β ξ α Rβµα[σ ξρ] − ξ β ξµ Rα βα[σ ξρ]
⇒
ξ β ξ α ξ[ρ Rσ]αβµ = ξ β ξµ Rβ[σ ξρ]
che per confronto con la (3.3) fornisce
ξ β ξµ Rβ[σ ξρ] = −ξµ ξ[ρ ∇σ] κ
⇒
ξ β Rβ[σ ξρ] = −ξ[ρ ∇σ] κ
(3.6)
Il primo membro di questa equazione può essere riscritto usando le equazioni di Einstein come
1
β
β
ξ Rβ[σ ξρ] = 8π ξ Tβ[σ ξρ] − T ξ[σ ξρ] = 8πξ β Tβ[σ ξρ]
(3.7)
2
Il vettore wµ := ξ ν Tν µ è tangente a H+ in quanto ξ è proporzionale al versore normale all’orizzonte
e v è ortogonale a ξ, come si vede usando la (1.48) e ξ 2 = 0
1
1
ξ µ ξ ν Rνµ − R ξ 2 = 0
ξµ wµ = ξµ ξ ν Tν µ =
8π
2
quindi può essere scritto come combinazione lineare di tre generatori dello spazio tangente ad H+ ,
ovvero ξ, essendo questo sia tangente che normale, e due vettori v (1) e v (2) necessariamente spacelike
in quanto H+ è un’ipersuperficie nulla
w = ξ µ Tµ ν ∂ν = A ξ + B1 v (1) + B2 v (2)
(3.8)
3. La meccanica dei buchi neri
29
(i)
Ma poiché ξ 2 = 0 e, per quanto detto, vµ ξ µ = 0 si ha
2
Tµν T µρ v ν v ρ = w2 = B1 v (1) + B2 v (2)
Il primo membro di questa equazione deve essere negativo o nullo in forza della DEC, mentre l’ultimo
membro è sempre positivo essendo il quadrato di un vettore spacelike. Si deve quindi avere B1 =
B2 = 0, cioè, dalla (3.8)
wµ = ξ ν Tν µ = A ξ µ
che inserita nella (3.7) usando la (3.6) dà
− ξ[ρ ∇σ] κ = ξ β Rβ[σ ξρ] = 8πξ β Tβ[σ ξρ] = 8πA ξ[σ ξρ] = 0
Questa equazione non solo implica ∇ξ κ = 0, ma anche ∇σ κ = f ξσ con f funzione scalare. Quindi
per ogni vettore t tangente a H+ si ha
∇t κ = tµ ∇µ κ = f tµ ξµ = 0
Se fosse possibile identificare la gravità superficiale con la temperatura e quindi se il buco nero
fosse un corpo caldo, classicamente questo dovrebbe irraggiare secondo la distribuzione di Planck.
Tuttavia, per quanto detto finora, un buco nero assorbe radiazione e materia ma non emette niente,
quindi la sua temperatura classica dovrebbe essere nulla e la stessa cosa non si può dire di κ. In effetti,
come si vedrà nel prossimo capitolo, con l’introduzione delle meccanica quantistica sullo spaziotempo
classico, si può dimostrare che anche un buco nero statico irraggia, ad una temperatura proporzionale
alla gravità superficiale e quindi inversamente proporzionale alla sua massa.
3.2
Prima legge
La prima legge stabilisce una relazione tra le variazioni dei parametri che caratterizzano un buco
nero tra due stati di equilibrio infinitamente vicini. Per dimostrarla bisogna anzitutto ottenere una
formula che leghi la massa di un buco nero stazionario all’area del suo orizzonte, al suo momento
angolare e alla sua carica. Tale formula fu ricavata per la prima volta da Smarr [5], da cui prende
il nome, nel caso particolare di un buco nero nel vuoto, che grazie ai teoremi di unicità è dato dalla
(1.14), semplicemente per inversione della (1.18). La dimostrazione che verrà data di questa formula
è più generale, poiché vale anche per spazitempi in cui oltre a un buco nero siano presenti materia,
eventualmente carica e con momento angolare non nullo, o radiazione e quindi in cui Tµν 6= 0.
Formula di Smarr. In uno spaziotempo stazionario (M, g) contenente un buco nero con orizzonte
degli eventi H+ , soluzione delle equazioni di Einstein con Tµν soddisfacente la DEC, per la massa di
Komar definita in (2.11) vale
Z
κ
1 µ
µ
M=
AH + 2 ΩH J + ΦH Q + 2 dΣµ T ν − T δ ν ξ ν
(3.9)
4π
2
Σ
dove Σ è un’ipersuperficie spacelike che si estende dall’orizzonte del buco nero all’infinito spaziale e
H := Σ ∩ H+ è la superficie del buco nero, κ è la gravità superficiale definita da
∇ξ ξ |H + = κ ξ |H +
con
ξ = k + ΩH m
AH è l’area dell’orizzonte del buco nero data da
Z q
Z
AH :=
g (2) d2 x =:
dH
H
H
(3.10)
(3.11)
3. La meccanica dei buchi neri
30
J è il momento angolare di Komar definito in (2.11), ΩH la velocità angolare dell’orizzonte definita
in (3.10), Q è la carica definita in (2.4) e
ΦH := ξ µ Aµ |H
(3.12)
è il potenziale elettrostatico dell’orizzonte.
Dimostrazione. Considerando l’ipersuperficie Σ con bordo interno H sull’orizzonte del buco nero
e bordo esterno S una superficie bidimensionale all’infinito spaziale, da (1.35) e ∇µ ξν = −∇ν ξµ ,
tenendo conto della giusta orientazione dei due bordi, si ha
Z
Z
Z
Z
Z
dH Nµ ξν ∇µ k ν
dH Nµ ξν ∇µ k ν = 4πM −
dS uµ nν ∇µ k ν −
dΣµ ∇ν ∇µ k ν =
dΣµ Rµν k ν =
H
H
S
Σ
Σ
H+ ,
(3.13)
e quindi ad H, la (2.11) per l’espressione di M e avendo
avendo usato la (1.9), che ξ è normale ad
scelto N in modo tale che2 N µ ξµ = −1.
L’integrale di bordo su H può essere riscritto, usando la (3.10), ∇µ ξ ν = −∇ν ξ µ e il fatto che ΩH è
una costante, come
Z
Z
Z
Z
µ ν
µ ν
ν
ν µ
dH Nµ ξν ∇ k =
dH Nµ ξν ∇ (ξ − ΩH m ) = −
dH Nµ ξν ∇ ξ − ΩH
dH Nµ ξν ∇µ mν =
H
H
=−
Z
H
H
dH Nµ ξ µ κ − ΩH
Z
H
dH Nµ ξν ∇µ mν =
H
Z
H
Z
dH κ − ΩH
H
dH Nµ ξν ∇µ mν
H+
ma grazie alla legge zero κ è costante su
e in particolare su H, quindi può essere portata fuori
dall’integrale ad ottenere
Z
Z
dH κ = κ
dH = κAH
H
H
Sostituendo il tutto in (3.13) si ha
Z
Z
4πM =
dΣµ Rµν k ν + κAH − ΩH
dH Nµ ξν ∇µ mν =
Σ
Z
=
Σ
dΣµ Rµν
ν
H
ν
(k + ΩH m ) + κAH − ΩH
Z
dΣµ Rµν mν
Z
+
H
Σ
µ
dH Nµ ξν ∇ m
ν
avendo sommato e sottratto un integrale su Σ all’ultimo membro.
L’ultimo termine a ultimo membro diventa un integrale su S grazie al teorema di Stokes, si ha cosı̀
Z
Z
Z
µ ν
µ ν
dS Nµ ξν ∇ m =
dΣµ Rµν ξ ν + κAH + 8πΩH J
(3.14)
4πM =
dΣµ R ν ξ + κAH − ΩH
Σ
S
Σ
dove è stata usata la (2.11) per il momento angolare di Komar.
Il primo termine a ultimo membro si riscrive usando le equazioni di Einstein come
Z
Z
1 µ
µ ν
µ
dΣµ R ν ξ = 8π
dΣµ T ν − T δ ν ξ ν
2
Σ
Σ
(3.15)
Se il buco nero è carico ed eventualmente circondato da una distribuzione di carica, il tensore di
energia-momento è composto di una parte costruita a partire dal tensore di Faraday, cioè
1
1
(Tem )µν =
Fµρ Fν ρ − gµν F ρν Fρν
4π
4
2
Si veda il paragrafo sul teorema della divergenza nel primo capitolo
3. La meccanica dei buchi neri
31
Poichè Tem ha traccia nulla, la (3.15) diventa
Z
Z
1 µ ρν
µ ν
µ
ρ ν
dΣµ (Tem ) ν ξ = 2 dΣµ F ρ Fν ξ − ξ F Fρν
8π
4
Σ
Σ
Con la scelta di gauge sul potenziale A
Lξ Aµ = ξ ν ∇ν Aµ + Aν ∇µ ξ ν = ξ ν Fνµ + ∇µ (ξ ν Aν ) = 0
⇒
Fµν ξ ν = ∇µ Φ
(3.16)
dove Lξ denota la derivata di Lie nella direzione puntata da ξ, si prova che Φ in (3.12) è costante su
H+ . Infatti dalla (3.17) segue immediatamente che
ξ µ ∂ν Φ = ξ µ ∇ν Φ = Fµν ξ ν ξ µ = 0
poiché F è antisimmetrico. Inoltre usando la (1.48) unita alle equazioni di Einstein, che il tensore di
energia-impulso elettromagnetico ha traccia nulla e di nuovo la (3.16) si ha su H
0 = Rµν ξ µ ξ ν = 8π (Tem )µν ξ µ ξ ν = 2Fµρ Fν ρ ξ µ ξ ν = 2 (∇ρ Φ) ∇ρ Φ
quindi ∇µ Φ è un vettore nullo e ortogonale a ξ, ovvero ∇µ Φ ∝ ξ µ e quindi tµ ∇µ Φ = 0 per ogni vettore
t tangente a H+ .
Sfruttando che Φ è costante su H e la scelta di gauge (3.16) si trova poi
Z
1 µ ρν
µ
ρ ν
2 dΣµ F ρ Fν ξ − ξ F Fρν = 4πΦH Q
4
Σ
Sostituendo ora (3.15) in (3.14) tenendo conto di questo contributo si arriva alla formula di Smarr.
Dalla (3.9) nel vuoto si può ricavare la prima legge della meccanica dei buchi neri, ovvero un’espressione differenziale che lega le variazioni di M , A, J e Q quando un buco nero viene perturbato
dall’equilibrio per tornarci con massa M + dM , area dell’orizzonte A + dA, momento angolare J + dJ
e carica Q + dQ. Matematicamente ciò significa variare la metrica dello spaziotempo da g a g + δg
e scrivere δM in funzione di δA, δJ e δQ3 . Se il buco nero è circondato da materia, l’espressione
differenziale che segue conterrà altri termini che si ottengono variando l’ultimo addendo a secondo
membro della (3.9).
Prima legge. Sia (M, g) uno spaziotempo stazionario contenente un buco nero, soluzione delle
equazioni di Einstein nel vuoto con massa M , momento angolare J e carica Q. Sia κ la gravità
superficiale, ΩH la velocità angolare, ΦH il potenziale elettrostatico dell’orizzonte degli eventi. Se
lo spaziotempo viene perturbato da una variazione g → g + δg a diventare di nuovo stazionario con
massa M + dM , momento angolare J + dJ e carica Q + dQ, allora
κ
dM =
dA + ΩH dJ + ΦH dQ
(3.17)
8π
Dimostrazione. Una dimostrazione rigorosa di questo enunciato si porta avanti variando rispetto
alla metrica l’espressione (3.9) con Tµν = 0 e cercando di semplificare il più possibile i calcoli lunghi
e complicati che ciò comporta. Si veda [7] per la derivazione originale.
Meno rigorosamente si può procedere nel seguente modo. Essendo il buco nero nel vuoto si possono
applicare i teoremi di unicità, da cui segue che l’area dell’orizzonte A dipende esclusivamente da M ,
J e Q, ovvero M = M (A, J, Q). Ma poiché A e J hanno le dimensioni4 di M 2 e Q ha le dimensioni
di M si assume che M sia omogenea di grado 1/2 in A e J e di grado 1 in Q. Si ha cosı̀
√ √
M λA, λJ, λQ = λ M (A, J, Q)
3
Con la consapevolezza che si sta parlando di derivate funzionali, i differenziali verranno comunque denotati con d
piuttosto che con δ
4
Nel sistema di unità di misura utilizzato si ha G = c = 4π0 = 1 con G costante di gravitazione universale, c velocità
della luce e 0 costante dielettrica del vuoto
3. La meccanica dei buchi neri
32
da cui, derivando rispetto a λ e ponendo λ = 1,
∂M
1 ∂M
1
∂M
A+
J+
Q= M
∂A
∂J
2 ∂Q
2
Inserendo la (3.9) scritta nel vuoto in questa equazione si ottiene
∂M
∂M
1 ∂M
κ
1
A+
J+
Q=
A + Ω H J + ΦH Q
∂A
∂J
2 ∂Q
8π
2
da cui, essendo A, J e Q indipendenti,
∂M
κ
=
∂A
8π
che sostituite in
dM =
∂M
= ΩH
∂J
∂M
= ΦH
∂Q
∂M
∂M
∂M
dA +
dJ +
dQ
∂A
∂J
∂Q
portano alla (3.17).
La (3.17) è formalmente identica alla formulazione differenziale del primo principio della termodinamica, secondo cui esiste una funzione di stato, detta energia interna E, tale che, tra due stati di
equilibrio di un sistema separati da un’entropia dS e da uno spostamento generalizzato5 dx, si ha
dE = T dS + f dx
dove T è la temperatura e f la variabile intensiva, o forza generalizzata, associata a x. Il termine f dx
rappresenta il lavoro compiuto sul sistema e, in effetti, se si è in presenza di un corpo rotante avente
momento angolare J, questo termine è proprio della forma Ω dJ. Inoltre, paragonando il termine T dS
κ
con 8π
dA nella (3.17), si può pensare di identificare l’area dell’orizzonte degli eventi con l’entropia,
oltre che, come già suggerito dalla legge zero, la gravità superficiale con la temperatura. Il problema in
questo caso nasce dal fatto che l’entropia di un sistema termodinamico è una quantità adimensionale6 .
Sarà quindi necessario trovare una costante di proporzionalità C, con le dimensioni di un’area, tale
che S = A/C.
3.3
Seconda legge
Se l’entropia di un buco nero può davvero essere identificata con l’area del suo orizzonte, ci si può
aspettare che, in virtù delle analogie con la termodinamica, questa debba aumentare con il tempo
in uno spaziotempo non stazionario, in quanto, come dettato dal secondo principio, l’entropia di un
sistema termodinamico si comporta in questo modo. In effetti cosı̀ è, come stabilisce il cosiddetto
teorema dell’area di Hawking, sebbene vi sia una leggera differenza che verrà brevemente discussa al
termine di questo paragrafo. La dimostrazione di questo teorema è molto tecnica e può essere svolta
sfruttando una serie di risultati che verrano ora enunciati.
Anzitutto sono necessarie due proprietà topologiche dell’orizzonte di un buco nero.
Proposizione 3.1. L’orizzonte degli eventi futuro H+ di uno spaziotempo contenente un buco nero
è acronale, ovvero punti diversi su H+ non possono essere collegati da curve timelike.
Proposizione 3.2. I generatori di H+ non hanno estremi futuri.
5
Il lavoro infinitesimo fatto su un sistema termodinamico si esprime in generale come prodotto tra una variabile
intensiva e la variazione della corrispondente variabile estensiva, chiamata spostamento generalizzato nello spazio delle
variabili scelte per descrivere tale sistema. Un classico esempio è un gas perfetto a temperatura e pressione costante, in
cui lo spostamento avviene nel piano (S, V ) e il termine di lavoro è del tipo −pdV
6
Posta la costante di Boltzmann kB = 1
3. La meccanica dei buchi neri
33
È poi fondamentale un risultato7 che lega la presenza di punti coniugati tra i generatori di H+
all’esistenza di curve timelike sull’orizzonte.
Definizione 3.1. Sia γ una geodetica con vettore tangente t. Si dice campo di Jacobi su γ un vettore
v soluzione dell’equazione della deviazione geodesica
tµ ∇µ tν ∇ν v ρ = Rρ µνσ tµ tν v σ
Definizione 3.2. Sia γ una geodetica nulla tale che il suo vettore tangente t è normale a una superficie
bidimensionale S. Si dice che il punto p ∈ γ è coniugato a S se esiste un campo di Jacobi v su γ che,
date delle condizioni iniziali su S, si annulla in p.
Proposizione 3.3. Sia γ una geodetica nulla normale a una superficie bidimensionale S e sia p ∈ γ,
p∈
/ S. Allora γ può essere deformata in modo continuo a una curva timelike tra S e p se e solo se
esiste un punto q ∈ γ tra S e p coniugato a S.
Infine serve un teorema di Geroch [10], detto teorema di splitting, che assicura la possibilità di
considerare la superficie del buco nero “a tempi diversi”.
Teorema 3.1. Se (M, g) è uno spaziotempo globalmente iperbolico, allora
S esiste una famiglia {Σλ }
di superfici di Cauchy globali tale che Σ(λ2 ) ⊂ D+ (Σ(λ1 )) se λ2 > λ1 e λ Σ(λ) = M.
Seconda legge. Sia (M, g) uno spaziotempo stazionario contenente un buco nero, fortemente asintoticamente predicibile e soluzione delle equazioni di Einstein con Tµν soddisfacente la WEC. Siano
e tali che Σ2 ⊂ D+ (Σ1 )
Σ1 e Σ2 due superfici di Cauchy globali per la regione globalmente iperbolica U
+
+
e siano H1 = Σ1 ∩ H , H2 = Σ2 ∩ H le superfici due-dimensionali del buco nero su Σ1 ,Σ2 . Allora
A(H2 ) ≥ A(H1 ), dove A(H) è definita in (3.11).
Dimostrazione (Traccia). Utilizzando il teorema di Geroch sulla regione globalmente iperbolica U , la
cui esistenza è assicurata dall’ipotesi che lo spazio tempo sia fortemente asintoticamente predicibile,
e prendendo come parametro della famiglia di superfici di Cauchy globali il tempo proprio λ dei
generatori di H+ (il che è possibile grazie al fatto che H+ ⊂ U ) ci si può ridurre a dimostrare che per
la congruenza di generatori dell’orizzonte del buco nero si ha θ ≥ 0, in quanto dall’equazione (1.45)
con S⊥ = H segue che questo implica A(Hλ ) ≥ A(Hλ0 ) se λ > λ0 .
Si supponga quindi per assurdo che θ(λ̃) < 0 per un certo λ̃. Posto che valga la WEC si ha, come
osservato nel capitolo precedente, che i generatori devono convergere in un intervallo finito del tempo
proprio λ. Siccome queste geodetiche non possono lasciare l’orizzonte al crescere di λ in forza della
proposizione 3.2, il punto di intersezione p deve essere su H+ . Inoltre se i generatori si intersecano
esiste un campo di Jacobi, dato da un vettore di deviazione spacelike della congruenza, che si annulla
in p. Si può quindi usare la proposizione 3.3 con S = Σ(λ̃) ∩ H+ =: Hλ̃ per concludere che esiste una
curva timelike tra Hλ̃ e p, ovvero esistono due punti di H+ collegati da una curva di tipo tempo, che
per la proposizione 3.1 è impossibile. Si deve quindi avere θ (λ) ≥ 0 per ogni λ, con l’uguaglianza che
vale solo nel caso in cui lo spaziotempo sia stazionario e quindi il buco nero all’equilibrio.
Si noti che, come è chiaro dalla traccia di dimostrazione appena data, la seconda legge richiede una
condizione più debole sull’energia8 rispetto alle prime due.
Questa legge ha delle immediate conseguenze che si possono riscontrare nei più semplici processi in
cui sia coinvolto più di un buco nero in uno spaziotempo non stazionario, ovvero fusione e separazione.
Si considerino due buchi neri all’equilibrio, privi di carica e non rotanti, di masse M1 e M2 , che si
fondono a dare un buco nero di massa M3 , anch’esso statico una volta raggiunto l’equilibrio. Durante
7
Si veda [1], capitolo 4, oppure [2], capitolo 9, per una dimostrazione
In realtà nemmeno la WEC è neccesaria, in quanto è sufficiente richiedere che Tµν v µ v ν ≥ 0 per ogni v lightlike,
ovvero la null energy condition, per assicurarsi che un’espansione negativa implichi la convergenza dei generatori in un
tempo finito e arrivare alla contraddizione che conclude la dimostrazione
8
3. La meccanica dei buchi neri
34
questo processo può essere emessa energia sotto forma di onde gravitazionali, in quantità data dalla
differenza tra masse iniziali e finali dei buchi neri. L’efficienza di questa conversione di massa in
energia sarà quindi
M3
M1 + M2 − M3
=1−
(3.18)
η=
M1 + M2
M1 + M2
Nei due stati di equilibrio iniziale e finale si ha
Ai = A1 + A2 = 16π M1 2 + M2 2
Af = A3 = 16πM3 2
Per la seconda legge deve essere
Af ≥ Ai
⇒
q
M3 ≥ M1 2 + M2 2
(3.19)
che sostituita in (3.18) dà
M3
η ≤1−
=1−
M1 + M2
p
1
M1 2 + M2 2
= 1 − √ ≈ 0.29
M1 + M 2
2
(3.20)
cioè se due buchi neri si uniscono emettendo onde gravitazionali, la massima quantità di energia
irradiata è circa il 29% della massa totale.
Per quanto riguarda la separazione di un buco nero in altri due, il teorema dell’area stabilisce che
questo fenomeno non può avvenire. Infatti, supponendo che le masse siano non negative e che il
processo di fusione appena considerato possa avvenire con la freccia del tempo invertita, la (3.19)
deve valere, per la seconda legge, con stati iniziale e finale scambiati, ovvero si deve avere, sfruttando
la disuguaglianza triangolare
q
M3 ≤ M1 2 + M2 2 ≤ M 1 + M2
se M1 , M2 > 0
Ma la conservazione dell’energia richiede che M3 ≥ M1 + M2 , con l’uguaglianza nel caso non sia
irradiata energia. Poiché è praticamente impossibile che non venga irradiata una minima quantità
di energia, questo due disequazioni non possono valere contemporaneamente, ovvero questo processo
non può verificarsi.
Il fatto che un buco nero non può dividersi permette di osservare che il teorema dell’area è più
restrittivo del secondo principio della termodinamica. Infatti quest’ultimo richiede che l’entropia
totale di un sistema non può diminuire, ma non vieta che una parte non isolata di questo sistema
diminuisca la propria entropia in favore di un aumento complessivo. Nel caso si abbiano più buchi neri
invece la seconda legge implica, in seguito al fatto che ciascuno non può dividersi, che singolarmente
la loro area non può diminuire.
3.4
Terza legge
Esistono diverse formulazioni del terzo principio della termodinamica. La più adatta ad essere tradotta
in termini di meccanica dei buchi neri è quella di Nernst e afferma che la temperatura di un sistema
non può essere portata allo zero assoluto con una serie finita di processi fisici. Una volta trovata la
corrispondenza tra gravità superficiale e temperatura, è abbastanza scontato che l’analogo di questo
principio per i buchi neri sia che κ non può essere portata a un valore nullo con una serie finita di
trasformazioni.
I buchi neri nel vuoto con gravità superficiale nulla si ottengono come casi estremi delle soluzioni
di Reissner-Nordström, Kerr o Kerr-Newman in cui si abbia, rispettivamente, M 2 = Q2 , M 4 = J 2
o M 4 = Q2 M 2 + J 2 , quindi provare a portare κ a zero significa fare in modo che carica e momento
angolare del buco nero aumentino senza che ciò comporti un grande aumento della massa, in modo
3. La meccanica dei buchi neri
35
da raggiungere la condizione estrema dettata dalle equazioni appena scritte. Per esempio si potrebbe
pensare di far cadere in un buco nero di Kerr, una alla volta, particelle di massa m e momento angolare
l fissati, con l m in modo che il momento angolare del buco nero aumenti e la sua massa rimanga
circa costante. Se si calcola la diminuzione di κ per ogni particella lanciata oltre l’orizzonte si vede
che questa diventa infinitesima quando κ → 0. Processi analoghi in cui si aumenta la carica del buco
nero portano alla stessa conclusione.
Una formulazione rigorosa della terza legge è stata data, per esempio, da Israel [6]. Verrà qui
riportato un suo enunciato informale.
Terza legge. Sia (M, g) uno spaziotempo stazionario contenente un buco nero soluzione delle equazioni di Einstein con tensore di energia-momento Tµν che soddisfi la WEC. Allora la gravità superficiale
κ non può diventare nulla in un tempo finito e attraverso un processo continuo in cui Tµν rimanga
limitato.
3.5
Il processo di Penrose
A livello teorico è possibile estrarre energia da un buco nero rotante mediante un procedimento
ideato per la prima volta da Penrose [11]. Si consideri la (1.14) con Q = 0. Come già accennato
esiste una regione al di fuori dell’orizzonte degli eventi, detta ergoregione, nella quale non è possibile
rimanere fermi rispetto ad un osservatore all’infinito. Il motivo di questo fatto è che il vettore di
Killing stazionario k diventa di tipo spazio prima di oltrepassare l’orizzonte di buco nero e quando ciò
succede tale vettore non può più essere quello tangente alla worldline di nessuna particella dotata di
massa, dovendo questa essere timelike. Quindi nessun oggetto fisico in questa regione può rimanere
fermo, cioè avere vettore tangente u = N ∂t , in quanto la sua velocità deve avere componenti non nulle
nelle direzioni r, θ o φ per potersi mantenere timelike. L’ergoregione quindi è individuata da r > r+
e k 2 = gtt > 0, ovvero
p
p
M + M 2 − a2 < r < M + M 2 − a2 cos2 θ
Si prenda ora una particella di massa m con vettore tangente uµ e quadrimomento pµ = muµ che
si muove lungo una geodetica diretta all’interno dell’ergoregione. Le due cariche conservate su questa
curva associate ai due vettori di Killing k µ ed mµ di uno spaziotempo stazionario e assisimetrico
E = −k µ pµ
L = mµ pµ
(3.21)
rappresentano l’energia e il momento angolare della particella. Si noti che E è positiva finché k µ è
timelike e pµ diretto nel futuro9 , fatto non più garantito nell’ergoregione. Immaginando che questa
particella si scinda in due parti, una con momento p1 µ diretta verso l’esterno dell’ergoregione e l’altra
con momento p2 µ diretta verso l’orizzonte di buco nero, per la conservazione del quadrimomento si
ha
pµ = p1 µ + p2 µ
⇒
E = −pµ kµ = −p1 µ kµ − p2 µ kµ = E1 + E2
quindi E1 > E se E2 = −p2 t gtt − p2 φ gtφ < 0. Inoltre Penrose ha dimostrato che esistono geodetiche timelike che la particella rimasta fuori dall’orizzonte può percorrere per uscire dall’ergoregione,
conservando la sua energia E1 . Ciò significa che l’energia −E2 = E1 − E può essere effettivamente
estratta dal buco nero.
La richiesta che la particella che cade nel buco nero abbia velocità timelike e diretta nel futuro si
traduce in una disuguaglianza che limita l’efficienza di estrazione. Infatti il vettore di Killing tangente
ai generatori dell’orizzonte è ξ = k + ΩH m, con ΩH dato in (1.24), ed è lightlike sull’orizzonte, perciò
si deve avere
p2 µ ξµ = p2 µ (kµ + ΩH mµ ) = −E2 + ΩH L2 ≤ 0
9
⇒
Cioè avente componente temporale del vettore tangente positiva
dJ := L2 ≤
E2
dM
=:
ΩH
ΩH
(3.22)
3. La meccanica dei buchi neri
36
dove dM e dJ sono le variazioni di energia e momento angolare totale del buco nero. Quindi la
particella che cade verso l’orizzonte deve avere momento angolare L2 negativo, ovvero l’energia estratta
si traduce in una diminuzione del momento angolare del buco nero, limitata dalla (3.22).
Questa disequazione può essere ottenuta differenziando la formula per l’area dell’orizzonte (1.16),
con Q = 0 e a = J/M , e imponendo che tale differenziale sia non negativo
!
√
8πJ
2M M 4 − J 2 + 2M 3
dM
8πJ
dA = √
− dJ ≥ 0
(3.23)
dM − dJ = √
J
M4 − J2
M 4 − J 2 ΩH
che è soddisfata se e solo se
dJ ≤
dM
ΩH
cioè nel processo di estrazione, in cui lo stato di equilibrio del buco nero passa da (M, J) a (M + dM, J + dJ),
l’area dell’orizzonte non può diminuire. Si ritrova quindi la seconda legge.
Riarrangiando i termini in (3.23) e usando la (1.25) con Q = 0 si ottiene
√
1
M4 − J2
κ
dA + ΩH dJ =
dM =
dA + ΩH dJ
(3.24)
8π 2M M 2 + √M 4 − J 2
8π
che è la (3.17) nel caso particolare del buco nero di Kerr. Quindi, come era prevedibile, nel processo
di estrazione di energia da un buco nero le leggi della meccanica devono essere rispettate. Inoltre
dalla (3.24) è chiaro che, essendo dM e dJ negativi e dA positivo per la seconda legge, la massima
efficienza del processo si ottiene quando dM = dJ, cioè quando A rimane costante.
Poiché l’area dell’orizzonte di un buco nero rotante non può diminuire nel processo di Penrose,
si può pensare di definire a partire da questa una quantità legata alla massa totale che rappresenti
l’energia che non può essere estratta. Questa viene detta massa irriducibile del buco nero e vale
r
1
p
1 A
2
Mirr =
= √ M2 + M4 − J2
(3.25)
16π
2
dove il fattore 1/16π fa in modo che Mirr = M quando il buco nero è statico10 . Nel caso di un buco
nero di Kerr in cui M 2 = a2 , cioè si ha il massimo momento angolare consentito11 , dalla (3.25) segue
che si può estrarre al massimo circa il 29% dell’energia che questo contiene, infatti
1
Emax = M − Mirr = 1 − √
M ≈ 0.29M
2
che è esattamente la stessa efficienza massima per la conversione di massa in energia che si trova nel
processo di fusione di due buchi neri, come è chiaro dalla (3.20).
Si noti che un processo di estrazione analogo può essere ottenuto “lanciando” in un buco nero
carico non rotante particelle di carica opposta rispetto a quella del buco nero e si ottiene anche
in quel caso che l’efficienza massima nell’estrarre energia si ha quando l’area dell’orizzonte rimane
invariata.
10
11
Non si può estrarre energia da un buco nero statico isolato
Come accennato nel primo capitolo i buchi neri di Kerr rappresentano spazitempi fisici solo quando M 2 > a2
Capitolo 4
La termodinamica dei buchi neri
Nel precedente capitolo sono state messe in luce le forti analogie formali tra leggi della meccanica dei
buchi neri e principi della termodinamica e si è visto che queste portano a identificare gravità superficiale e area dell’orizzonte di un buco nero rispettivamente con temperatura ed entropia. Rimangono
tuttavia alcune inconsistenze in questa identificazione, come ad esempio il fatto che la temperatura
classica di un buco nero è nulla e che l’entropia dovrebbe essere una grandezza adimensionale.
In questo capitolo si vedrà che queste inconsistenze sono risolte grazie all’introduzione delle meccanica quantistica sul background classico della Relatività Generale, in quello che è un primo passo
verso una teoria quantistica della gravità, e grazie ad una generalizzazione del secondo principio della
termodinamica, mostrando cosı̀ che meccanica e termodinamica dei buchi neri sono solo un modo
diverso di dire la stessa cosa. Per affrontare questi argomenti saranno necessarie alcune nozioni di
teoria quantistica dei campi, le quali saranno precedute da una breve introduzione alla teoria classica
dei campi. Verrà poi dimostrato il fenomeno di produzione di particelle in prossimità di buchi neri
statici e provata in modo definitivo la corrispondenza tra gratività superficiale e temperatura. A
seguire alcune considerazioni termodinamiche e la generalizzazione del secondo principio della termodinamica che include nell’entropia dell’universo quella dovuta ai buchi neri. Da ultimo verranno
accennati alcuni problemi che nascono dall’utilizzo di una teoria incompleta della gravità quantistica.
4.1
Teoria dei campi classica
Il passaggio da una teoria classica che tratta un numero finito di gradi di libertà, come ad esempio
un sistema di N particelle, a una teoria che descrive un numero infinito di gradi di libertà e che sia
anche relativisticamente invariante, avviene rimpiazziando il set di coordinate {q i (t)} con una funzione, ovvero il campo, definita su tutto lo spaziotempo Φ(xµ ), a valori scalari, vettoriali, spinoriali
o tensoriali. Due esempi familiari sono il campo elettromagnetico, che è vettoriale, o il campo gravitazionale, che è un tensore di rango 2, cioè la metrica dello spaziotempo. Le equazioni del moto di
queste teorie di campo, ovvero, rispettivamente, equazioni di Maxwell e di Einstein nei due esempi
precedenti, possono essere ottenute imponendo una variazione nulla dell’azione
Z
p
S[Φ] =
d4 x |g| L (Φ, ∂µ Φ)
(4.1)
M
dove M è lo spaziotempo, che sarà d’ora in poi assunto globalmente iperbolico, g il determinante
metrico e L la densità lagrangiana, che nei due casi precendenti è data dalla lagrangiana di Maxwell
per il campo elettromagnetico, ovvero
Lem = −
1 ρλ
1
Fµν F µν + Aµ J µ = −
η Fµν Fρλ + Aµ J µ
16π
16π
(4.2)
4. La termodinamica dei buchi neri
38
con η ρλ la metrica di Minkowski, Fµν il tensore di Faraday, Aµ il quadripotenziale, J µ la quadricorrente, e dalla lagrangiana di Einstein-Hilbert per il campo gravitazionale, ovvero
1 µν ρλ
1
(4.3)
Lg =
R − Lm =
g g Rνλµν − Lm
16π
16π
dove R è lo scalare di Ricci e Lm un termine di sorgente la cui variazione è definita come il tensore
di energia-momento. Vi è un’importante differenza tra
p queste due azioni, la prima descrive il campo
elettromagnetico in uno spaziotempo piatto, per cui |g| = 1, mentre la seconda in un spaziotempo
curvo, o meglio descrive proprio il campo che curva lo spazio. A livello formale questa differenza risiede
nei diversi tensori metrici usati per alzare gli indici, metrica piatta nella prima e curva nella seconda.
Volendo trattare il campo elettromagnetico in un spaziotempo curvo è quindi naturale generalizzare
la (4.2), sostituendo ηµν con gµν e rimpiazziando tutte le derivate ordinarie ∂µ con derivate covarianti
∇µ , e usarla come termine di sorgente Lm in (4.3). In questo modo si ha una perfetta teoria di campo
classica in uno spaziotempo curvo. In effetti il buco nero di Reissner-Nordström è uno dei risultati di
questa teoria.
Le equazioni di Eulero-Lagrange che si ottengono dal funzionale in (4.1) sono
∂L
∂L
− ∇µ
=0
(4.4)
∂Φ
∂ (∇µ Φ)
Nel resto del capitolo saranno considerati esclusivamente campi scalari reali, la cui densità lagrangiana
in uno spaziotempo curvo è
1
L (Φ, ∂µ Φ) = − g µν (∇µ Φ)(∇ν Φ) − V (Φ)
2
con
1
V (Φ) = m2 Φ2
2
dove il parametro m è detto massa del campo. Usando questo termine come sorgente in (4.3) si ottengono le equazioni di Einstein con tensore di energia-momento di un campo scalare, la cui equazione
del moto è quella di Klein-Gordon e si ricava facilmente da (4.4). Questa risulta
g µν ∇µ ∇ν Φ = m2 Φ
(4.5)
Nel caso piatto la soluzione generale di questa equazione può essere espressa come sovrapposizione
delle onde piane, detti modi del campo,
µ
fk (xµ ) = Nk eikµ x = Nk e−iωt+ik·x
ω 2 = k2 + m2
(4.6)
dove xµ = (t, x) sono le coordinate del Minkowski in qualche sistema inerziale e Nk è una opportuna
costante di normalizzazione che si ottiene imponendo che le fk siano ortonormali rispetto al prodotto
interno1 di cui lo spazio delle soluzioni di (4.5) è naturalmente dotato, cioè
Z
f , g := i dΣµ f ∂ µ g − g ∂ µ f
(4.7)
Σ
dove Σ è un’ipersuperficie di Cauchy spacelike dello spaziotempo, da cui questo prodotto interno è
indipendente, in quanto, prendendo Σ1 e Σ2 tali da formare il bordo di una regione R di spaziotempo,
si ha
Z
Z
µ
µ
dΣµ f ∂ g − g ∂ f = i
f , g Σ1 − f , g Σ2 = i
d4 x ∂µ f ∂ µ g − g ∂ µ f =
R
∂R
Z
i
R
1
d4 x f ∂µ ∂ µ g − g ∂µ ∂ µ f = i
Z
R
d4 x f m2 g − g m2 f = 0
Si verifica facilmente che è sesquilineare e simmetrico sotto coniugazione complessa
4. La termodinamica dei buchi neri
39
avendo usato il teorema di Stokes (1.35) e la (4.5) nel caso piatto, si osservi tuttavia che una dimostrazione identica porta alla stessa conclusione in uno spaziotempo curvo.
Ponendo Nk = (2π)−3/2 (2ω)−1/2 si verifica facilmente che
fk1 , fk2 = δ (3) (k1 − k2 )
fk1 , f k2 = 0
f k1 , f k2 = −δ (3) (k1 − k2 )
(4.8)
dove il segno negativo all’ultimo
termine
è dovuto al fatto che questo prodotto interno non è definito
positivo, in quanto f , f = − f , f .
In questa base di onde piane il campo Φ, essendo reale, può essere scritto come
Z
Z
d3 k fk , Φ fk − f k , Φ f k =
d3 k ak fk + ak f k
Φ=
(4.9)
R3
R3
Le fk e f k sono dette rispettivamente modi a frequenza positiva e negativa rispetto al tempo t
dell’osservatore inerziale scelto, in quanto soddisfano
∂t fk = −iωfk
4.2
∂t f k = iωf k
con
ω>0
(4.10)
Teoria dei campi quantistica
Dalla quantizzazione del campo di una teoria classica emergono le particelle, ovvero i quanti di tale
campo. Ad esempio i fotoni sono i quanti del campo elettromagnetico, i bosoni a spin 0 quelli di
un campo scalare che soddisfa la (4.5), i fermioni a spin 1/2 quelli di un campo spinoriale. Nel caso
piatto questo processo di quantizzazione avviene promuovendo il campo Φ, che d’ora in poi sarà quello
soluzione della (4.5), ad un operatore su uno spazio di Hilbert H, identificando i coefficienti ak e ak
in (4.9) con degli operatori che siano uno l’aggiunto dell’altro per ogni k, e imponendo le seguenti
relazioni di commutazione tra Φ e il suo momento coniugato PΦ = ∂L/∂(∂t Φ) = ∂t Φ
Φ(t, x) , Φ(t, x0 ) = 0
∂t Φ(t, x) , ∂t Φ(t, x0 ) = 0
Φ(t, x) , ∂t Φ(t, x0 ) = i δ (3) (x − x0 )
Usando l’espressione (4.6) per le fk si vede che queste relazioni implicano
† † a k , a k0 = 0
ak , a†k0 = δ (3) (k − k0 )
ak , ak0 = 0
(4.11)
e ciò permette di identificare gli ak e a†k come operatori di creazione e distruzione, fissati i quali resta
determinata una base di H, costituita dagli autostati simultanei degli operatori numero
Nk |ϕi := ak a†k |ϕi = nk |ϕi
(4.12)
In questa base gioca un fuolo fondamentale lo stato di vuoto, ovvero quello che soddisfa
Nk |0i = 0
⇔
ak |0i = 0
per ogni k
da esso infatti si costruisce la cosiddetta base di Fock utilizzando gli operatori di creazione
n
o
|0i, a†k1 |0i, a†k2 |0i, . . . a†k1 a†k2 |0i, a†k1 a†k3 |0i . . .
(4.13)
(4.14)
Gli stati di questa base sono autostati dell’energia, infatti si può vedere che, usando la (4.6) e le
relazioni di commutazione (4.11), l’operatore Hamiltoniano risulta sovrapposizione degli Nk
Z
Z
h
i
1
3
H=
d x [PΦ ∂t Φ − L (Φ, ∂µ Φ)] =
d3 x (∂t Φ)2 + (∂i Φ) ∂ i Φ + m2 Φ2 =
2 R3
R3
Z
Z
h
i
1
1 (3)
†
†
3
3
=
d k ak ak + ak ak ω =
d k Nk + δ (0) ω
2 R3
2
R3
4. La termodinamica dei buchi neri
40
In questa equazione il termine infinito sotto integrale rappresenta l’energia del vuoto e può essere
trattato con tecniche di rinormalizzazione, che non saranno discusse in questa sede.
A questo punto si può comprendere il modo in cui le particelle emergono da una teoria di campo
quantistica: gli autostati dell’energia in (4.14) sono collezioni di particelle di definito impulso k,
che possono essere create o distrutte dagli operatori a†k e ak , e lo spazio di Fock attraverso cui si
rappresenta H contiene stati con un numero variabile di particelle, che può essere definito come
Z
d3 k hϕ|Nk |ϕi
(4.15)
Nϕ = hϕ|Ntot |ϕi :=
R3
lo stato di vuoto è quello di energia minima e non contiene particelle. Il parametro m in (4.5) può
cosı̀ essere interpretato come la massa di un quanto di campo.
Grazie all’invarianza per trasformazioni di Lorentz dello spaziotempo di Minkowski, diversi osservatori
inerziali misurano lo stesso numero di particelle, infatti le fk in (4.6) derivate rispetto al tempo t0 di
un sistema inzerziale che si muove con velocità v rispetto a quello in cui è stata scritta la (4.9) sono
tali che
− 1
∂t0 fk = −iγ (ω − v · k)fk = −iω 0 fk
dove
γ = 1 − v2 2
poiché il boost è dato da
t = γ (t0 + v · x0 )
x = γ (x0 + vt)
∂t0 =
⇒
∂t
∂xi
∂
+
∂i = γ ∂t + γ v i ∂i
t
∂t0
∂t0
Quindi la (4.9) in questo sistema di riferimento porterà a una diversa base di Fock in cui le particelle hanno un diverso momento nei vari stati della base diversi dal vuoto, ma rimarrà invariata la
decomposizione in frequenze positive e negative poiché2
ω 0 = γ (ω − v · k) ≥ ω(1 − |v|)
⇒
ω0 > 0
se
ω>0
cosı̀ come lo stato di vuoto, in quanto gli operatori di distruzione nella nuova base sono una combinazione di soli operatori di distruzione nella vecchia base, e l’operatore Ntot che conta il numero totale di
particelle, giacché l’integrale in (4.15) si estende a tutti i k ∈ R3 . Quindi diversi osservatori inerziali
nel Minkowski saranno in disaccordo sul numero di particelle osservate con un fissato momento k, ma
concorderanno sul loro numero totale e in particolare sulla loro assenza.
In uno spaziotempo curvo questo procedimento, portato avanti con le solite sostituzioni ∂µ → ∇µ
µν
e η → g µν , presenta il primo problema nel momento in cui si cerca un parametro di derivazione
con cui imporre le (4.10) su un insieme completo3 di soluzioni della (4.5). Infatti uno spaziotempo
generico non ammette un sistema di riferimento privilegiato il cui tempo proprio possa essere usato a
tale scopo e non è invariante per trasformazioni di Lorentz, quindi lo stato di vuoto di un osservatore
inerziale potrebbe essere differente da quello di un altro; questo fenomeno è interpretato fisicamente
come creazione di particelle. In spazitempi stazionari una scelta naturale per osservatori che seguono
le orbite del vettore di Killing timelike k è quella di selezionare i modi a frequenza positiva, e quindi
la base su cui sviluppare il campo come in (4.9), come autovettori di k rispetto al prodotto interno
(4.7). Infatti questo vettore di Killing, visto come operatore sullo spazio S delle soluzioni di (4.5), è
un endomorfismo, poiché se ∇µ ∇µ f = m2 f , usando ∇µ kν = −∇ν kµ e (1.9), si ha
∇µ ∇µ k ν ∂ν f = ∇µ ∇µ k ν ∇ν f = (∇µ ∇µ k ν ) ∇ν f + 2 (∇µ k ν ) ∇µ ∇ν f + k ν ∇µ ∇µ ∇ν f =
= −Rν µ k µ ∇ν f + k ν ∇ν ∇µ ∇µ f + k ν Rµ ρµν ∇ρ f = k ν ∇ν ∇µ ∇µ f = m2 k ν ∇ν f = m2 k ν ∂ν f
ed è antihermitiano, ovvero f , kg = − kf , g , come si può vedere usando ∇µ kν = −∇ν kµ e
il teorema di Stokes trascurando il termine di bordo. Quindi può essere diagonalizzato su S con
2
Si ricordi che nelle unità di misura utilizzate |v| < c = 1, dove c è la velocità della luce
Le funzioni di questo insieme verranno temporaneamente etichettate da un indice i rispetto al vettore d’onda k del
caso piatto. Si tenga presente che questo indice può essere continuo e vettoriale
3
4. La termodinamica dei buchi neri
41
autolavori puramente immaginari e gli autovettori fi relativi ad autovalori diversi saranno ortogonali.
Scegliendo questi, normalizzati come in (4.8), in modo tale che
k µ ∂µ fi = −iωi fi
con
ωi > 0
si fissa una base di modi a frequenza positiva, e quindi uno stato di vuoto, per gli osservatori che
seguono le orbite di k. In tale base ognuno di questi osservatori vedrà lo stesso numero di particelle
in un fissato stato. Ciò non impedisce che osservatori che non seguono queste orbite possano vedere
particelle nello stato di vuoto di questa base. È chiaro quindi che nella quantizzazione di un campo su
uno spazio tempo curvo bisogna rinunciare al concetto di particella, che assume un significato relativo
all’osservatore e alla conseguente scelta della base di frequenze positive su cui sviluppare il campo. Si
considerino ad esempio due diverse scomposizioni del campo Φ relative a basi diverse {fi } e {gj } di
S, le cui componenti sono etichettate rispettivamente dalle variabili (discrete o continue) i e j, ovvero
Z
Z
†
Φ = di ai fi + ai f i = dj bj gj + b†j g j
(4.16)
dove di e dj sono due opportune misure di integrazione. Entrambe le basi soddisfano la condizione
di normalizzazione (4.8) e gli operatori di creazione e distruzione le relazioni di commutazione (4.11)
con i e j al posto di k. Il cambio di base è detto trasformazione di Bogoliubov e si può scrivere come
Z
gj = di Aji fi + Bji f i
(4.17)
I coefficienti Aji e Bji devono soddisfare delle precise relazioni affinché la condizione di normalizzazione
sulle gj sia rispettata. Dalla ortonormalità delle fi si ha infatti
Z
Z
Z
0
0
gj , gj 0 = di di Aji Aj 0 i0 − B ji Bj 0 i0 δ(i − i ) = di Aji Aj 0 i − B ji Bj 0 i = δ(j − j 0 ) (4.18)
e allo stesso modo si ottiene
Z
gj , g j 0 = di Aji B j 0 i − B ji Aj 0 i = 0
Z
⇔
di Aji Bj 0 i − Bji Aj 0 i = 0
quindi questo cambio di base è una trasformazione unitaria solo se B = 0. Le stesse condizioni sui
coefficienti di Bogoliubov si trovano imponendo che bj e b†j commutino nel modo giusto partendo dai
commutatori di ai e a†i . Da (4.16) e (4.17) si trovano le relazioni che legano operatori di creazione e
distruzione nelle due basi, si ha
Z
Z
h
i Z
†
†
†
Φ = di dj Aji bj + B ji bj fi + Bji bj + Aji bj f i = di ai fi + ai f i
da cui
Z
ai =
dj Aji bj +
B ji b†j
a†i
Z
=
dj Bji bj + Aji b†j
Come si può verificare dalla (4.17) i coefficienti di Bogoliubov della trasformazione inversa sono
A−1 ij = Āji
B −1 ij = −Bji
(4.19)
quindi bj e b†j si scrivono in termini di ai e a†i come
Z
bj =
di Aji ai −
B ji a†i
b†j
Z
=
di −Bji ai + Aji a†i
4. La termodinamica dei buchi neri
42
Da questa relazione si può calcolare il numero di particelle di modo j misurate da un osservatore con
modi gj nel vuoto |0f i di un osservatore con modi fi , ovvero lo stato che soddisfa (4.13). Questo è
Z
Z
†
h0f |Nj |0f i = h0f |bj bj |0f i = di di0 h0f | −Bji ai + Aji a†i Aji0 ai0 − B ji0 a†i0 |0f i =
Z
=
Z
di
di
0
Bji B ji0 h0f |ai a†i0 |0f i
Z
=
Z
di
0
0
di Bji B ji0 δ(i − i ) =
Z
di |Bji |2
(4.20)
Quindi i due osservatori vedono un diverso stato di vuoto se B 6= 0, cioè se i modi a frequenza positiva
di uno contengono modi a frequenza negativa dell’altro, come si vede dalla (4.17). Inoltre dall’ultima
equazione e dalla (4.19) è chiaro che il fenomeno di produzione è perfettamente speculare: nel vuoto
|0g i un osservatore con frequenze positive date dalle f vede lo stesso spettro di particelle in (4.20).
Si osservi infine che in uno spaziotempo non stazionario non è scontato che esistano delle soluzioni
di (4.5) con frequenza definita, ovvero che abbiano una dipendenza dal tempo proprio fattorizzata in
qualche sistema di coordinate: può quindi non avere senso parlare di particelle nemmeno una volta
che si sia fissato il sistema di riferimento.
Con queste premesse la teoria semiclassica appena delineata può essere portata avanti fino a dare
risultati sorprendenti, alcuni dei quali mettono in luce l’equivalenza tra meccanica e termodinamica
dei buchi neri. Vale la pena notare che questa teoria della gravità quantistica è un’approssimazione
valida entro gli stessi limiti di validità della Relatività Generale, ovvero quando il raggio di curvatura
delle regioni di spaziotempo considerate è molto maggiore della lunghezza di Planck4 .
4.3
Effetto Hawking
In questo paragrafo verrà dimostrato che un buco nero statico di Schwarzschild, derivante dal collasso
gravitazionale sfericamente simmetrico di una stella, emette radiazione che si propaga all’infinito
spaziale, non solo durante il collasso, ma anche quando l’equilibrio è raggiunto. Questa radiazione
risulta avere spettro continuo, la cui distribuzione è quella di Planck per un corpo nero all’equilibrio
termico con l’ambiente.
Nel paragrafo precedente si è visto che, preso un campo scalare quantistico Φ in uno spaziotempo
curvo, lo stato di vuoto dipende dalla scelta della base di soluzioni della (4.5) su cui si decompone il
campo e che tale scelta può essere fatta imponendo che i modi del campo siano a frequenza positiva
rispetto al tempo proprio di un osservatore privilegiato, che in uno spaziotempo stazionario è fornito
dal vettore timelike all’infinito spaziale. Si consideri dunque uno spaziotempo composto di tre regioni
M = M− ∪ M0 ∪ M+ tali che M− e M+ siano stazionarie, asintoticamente piatte e si estendano
rispettivamente fino all’infinito temporale passato e futuro, mentre M0 sia non stazionaria e limitata
nel tempo. Un siffatto spaziotempo potrebbe essere quello che descrive un collasso gravitazionale.
Per i modi del campo a frequenza positiva in M− si potrebbe avere una decomposizione in termini
di quelli di M+ del tipo (4.17) in cui B 6= 0 e quindi osservare un flusso non nullo di particelle
in M+ partendo da uno stato di vuoto in M− . Ci si potrebbe aspettare che, anche se presente,
questo fenomeno di produzione di particelle sia temporaneo, dipenda dalle caratteristiche del collasso
e svanisca all’equilibrio. Tuttavia, se il risultato del collasso è un buco nero, il tempo proprio di
osservatori statici in prossimità dell’orizzonte degli eventi è infinitamente dilatato rispetto a quello
di osservatori all’infinito spaziale5 , quindi eventuali particelle prodotte in prossimità del buco nero
potrebbero impiegare un tempo arbitrariamente grande per raggiungere l’infinito, dove si potrebbe
avere un flusso indipendente dalle caratteristiche del collasso.
Si consideri ora un campo scalare soluzione di (4.5) com m = 0 nella geometria di Schwarzschild.
p
Definita come ~G/c3 = 1, 62 · 10−35 m
5
Per esempio dalla
con a = Q = 0 si ha che il tempo proprio di osservatori statici a r = ∞ è dt, mentre a una
p (1.14) p
distanza r̃ è dτ = −ds2 = 1 − 2M/r̃ dt → ∞ per r̃ → 2M
4
4. La termodinamica dei buchi neri
43
In questo caso M− rappresenta la regione in cui la stella è all’equilibrio prima del collasso e in cui
non è presente un orizzonte di buco nero, M0 la regione di spaziotempo in cui avviene il collasso e
M+ quella in cui il collasso è terminato e il buco nero formatosi è all’equilibrio. La (4.5) con m = 0
per una metrica della forma (1.14) con a = Q = 0 risulta
" #
−1 2
2
2
2M
∂
2M
∂
2(r
−
M
)
∂
L
∇µ ∇µ Φ = − 1 −
+ 1−
+
+ 2 Φ(t, r, θ, φ) = 0 (4.21)
r
∂t2
r
∂r2
r2
∂r
r
dove L2 è l’operatore differenziale del modulo al quadrato del momento angolare, le cui autofunzioni
sono le armoniche sferiche Yl,m
2
L Ylm =
∂2
∂
∂2
+
cot
θ
+
∂θ2
∂θ ∂φ2
Ylm (θ, φ) = −l(l + 1)Ylm (θ, φ)
Poiché nella (4.21) non sono presenti derivate miste una soluzione particolare è fattorizzabile, come
era prevedibile dall’invarianza per traslazioni temporali e dalla simmetria sferica dello spaziotempo
Φωlm (t, r, θ, φ) = e−iωt Rωl (r)Ylm (θ, φ)
(4.22)
Sostituendo questa espressione in (4.21) si ottiene l’equazione per la parte radiale Rωl , che con il
cambio di variabile
r
∗
r = r + 2M log
− 1
2M
e ponendo R̃ωl (r∗ ) = r(r∗ )Rωl (r(r∗ )), dove r(r∗ ) definito implicitamente dalla precedente equazione,
diventa
∂ 2 R̃ωl
2M
l(l + 1) 2M
2
+ ω − 1−
+ 3
R̃ωl = 0
r
r2
r
∂r∗ 2
Da questa equazione si vede l’andamento asintotico della parte radiale, infatti per r → ∞ si ha
2
∂
∗
∗
2
+
ω
R̃ωl = 0
⇒
R̃ωl ∼ C1 e−iωr + C2 eiωr
∂r∗ 2
Prendendo C1 = 0 e C2 = 0 si ottengono le due soluzioni asintotiche indipendenti di (4.21)
fωlm (v, θ, φ) =
Nω −iωv
e
Ylm (θ, φ)
r
gωlm (u, θ, φ) =
Nω −iωu
e
Ylm (θ, φ)
r
(4.23)
avendo definito le coordinate nulle entranti e uscenti rispettivamente v := t + r∗ e u := t − r∗ . Queste
non sono altro che i tempi propri di geodetiche nulle che vanno dall’infinito passato nullo F − al
centro della stella in collasso o alla singolarità al centro del buco nero (se questo si è formato) e dal
centro della stella, prima della formazione dell’orizzonte, all’infinito futuro nullo F + . Infatti in queste
coordinate la metrica di Schwarzschild ha la forma
2M
2
ds = − 1 −
du dv + r2 dθ2 + sin2 θ dφ2
r
quindi su curve radiali che seguono v o u si ha ds = 0. Inoltre le ipersuperifici v = cost e u = cost,
rispettivamente con vettori normali ∂u e ∂v , sono famiglie di ipersuperfici nulle, come si può facilmente
verificare usando la (1.1). Di queste famiglie fanno parte F − , che si ottiene quando u = −∞, e F + ,
che si ottiene quando v = ∞. Da ciò si vede che le soluzioni f e g in (4.23) sono i modi a frequenza
positiva per i generatori nulli6 ∂v e ∂u di F − e F + , nonché per gli osservatori all’infinito spaziale che
6
Si può facilmente verificare che u e v sono parametri affini sulle geodetiche agli infiniti nulli
4. La termodinamica dei buchi neri
44
seguono le orbite di ∂t . Per calcolare la costante di normalizzazione Nω bisogna quindi imporre le
condizioni di ortonormalità
fωlm , fω0 l0 m0 F − = δ(ω − ω 0 )δll0 δmm0
gωlm , gω0 l0 m0 F + = δ(ω − ω 0 )δll0 δmm0
da cui si ottiene, sfruttando il fatto che le armoniche sferiche sono ortonormali, Nω = (4πω)−1/2 .
Poiché F − è una superficie di Cauchy per lo spaziotempo del collasso, la seconda delle relazioni appena
scritte assicura che le fωlm sono un insieme completo di soluzioni di (4.21) all’infinito passato nullo e
quindi si può sviluppare il campo Φ come
XZ ∞
dω aωlm fωlm + a†ωlm f ωlm
Φ=
su F −
lm
0
Le gωlm invece non sono un insieme completo, in quanto per avere una superficie di Cauchy all’infinito
futuro bisogna prendere l’insieme H+ ∪ F + , e dunque lo sviluppo del campo in questo caso si scrive
XZ ∞
dω bωlm gωlm + b†ωlm g ωlm + cωlm hωlm + c†ωlm hωlm
Φ=
su F + ∪ H+
lm
0
dove le hωlm sono un insieme completo di soluzioni ortonormali su H+ . In realtà, siccome l’interesse
di questa analisi è il flusso di particelle all’infinito, si può mostrare7 che la scelta di queste funzioni
non influisce sul risultato finale. Inoltre, in forza della simmetria sferica dello spaziotempo durante
l’intero collasso, le componenti l e m dei modi che si propagano da F − a F + rimangono invariate.
Sarà pertanto necessario trovare soltanto i coefficienti di Bogoliubov Aωω0 e Bωω0 che soddisfano
Z ∞
gω =
dω 0 Aωω0 fω0 + Bωω0 f ω0
(4.24)
0
per poter calcolare, tramite la (4.20), il valor medio del numero di particelle di modo ω su F +
partendo da uno stato di vuoto su F − . Le componenti angolari verranno d’ora in poi omesse. Si
presti attenzione al fatto che in questa equazione le espressioni in (4.23) per le fω e gω sono valide
su F − e F + separatamente, nel senso che una soluzione della forma e−iωu su F + non è detto che
sia della forma e−iωv su F − . Per conoscere l’espressione delle fω sull’intero spaziotempo si dovrebbe
risolvere la (4.21) ovunque. Tuttavia, poiché si vuole arrivare soltanto all’espressione asintotica dei
coefficienti Bωω0 per t → ∞ (cioè quando il buco nero ha raggiunto l’equilibrio) ci si può ridurre a
considerare il raccordo delle fω con le gω solo su una regione di spaziotempo che copra le vicinanze
dell’orizzonte del buco nero quando questo si è formato, poiché un eventuale flusso non nullo di
radiazione all’infinito quando il collasso è terminato deve derivare da particelle prodotte vicino ad
H+ per quanto detto all’inizio del paragrafo. Questi modi possono essere trattati come raggi che si
propagano lungo geodetiche nulle uscenti da F − con v = ṽ fino al centro della stella e lungo geodetiche
nulle ũ = h(ṽ) dal centro della stella a F + . Tale approssimazione è giustificata dal fatto che, come si
vedrà fra poco, la fase delle gω oscilla molto rapidamente vicino ad H+ . Si avrà allora
gω |F + = √
1
e−iωu
4πω
1
gω |F − = √
e−iωh(v)
4πω
Per determinare la relazione tra v e u si consideri quindi un raggio γ con u = ũ fissato che propaga
all’indietro nel tempo da F + , parallelamente all’orizzonte del buco nero. La sua distanza da H+ può
essere espressa in termini di un intervallo di lunghezza ε del parametro affine di una geodetica nulla
entrante nel buco nero individuata da v = cost e con vettore tangente n normalizzato in modo tale
che lµ nµ = −1, dove l è un generatore di H+ . Come si può trovare imponendo che per n = (∂u/∂λ)∂u
7
Si veda [12]
4. La termodinamica dei buchi neri
45
si abbia ∇n n = 0, un parametro affine per questa geodetica vicino a H+ , scelto in modo tale che
valga 0 su H+ , dove u = ∞, e che sia negativo sul punto in cui passa γ, risulta essere
λ = −Ce−κu
dove C è una costante fissata dalla normalizzazione che non influisce sul risultato finale per lo spettro
di emissione e sarà quindi posta uguale a 1, e κ = 1/4M la gravità superficiale del buco nero di
Schwarzschild. Per quanto detto il vettore −εn punta radialmente da H+ a γ e dalla precedente
equazione si legge la relazione tra ε e ũ = h(ṽ), ovvero
λ = −ε = −e−κũ
1
ũ = − log ε
κ
⇒
(4.25)
quindi le gω vicino ad H+ si possono scrivere come
iω
gω = exp
log ε
κ
e queste funzioni oscillano molto rapidamente per ε → 0, come si era anticipato. A questo punto si può
trasportare parallelamente n lungo l fir=0
i+
no al centro dello stella e dal centro dell
ũ
la stella a F − lungo la geodetica nulla
−εn
v = v0 , la quale rappresenta l’ultimo ragF+
+
H
gio che partendo dall’infinito passato nul0
v
=
=
lo raggiunge F + ; per v > v0 i modi proU
∞
−
∞
paganti da F finiscono nella regione di
u
=
u
buco nero e quindi gω (v) = 0 se v > v0
su F − . Per maggiore chiarezza si veda il
grafico a lato: questo rappresenta il diap
γ
i0
gramma conforme dello spaziotempo non
fisico, ovvero quello in cui i punti all’infinito vengono portati al finito con una
v
∞
=
−
trasformazione conforme. Le coordinate r = 0
v0
v
=
u
angolari sono soppresse e ogni punto del
grafico è un 2-sfera il cui raggio cresce
muovendosi verso l’infinito spaziale. La
regione colorata in grigio è coperta dalF−
l
la materia stellare e il buco nero si forma
ṽ
quando la worldline della superficie del−εn
la stella oltrepassa il raggio di Schwarzschild. L’orizzonte degli eventi è la linea
che parte dal punto p e arriva a i+ . Nel
trasporto parallelo lungo v = v0 il vettore
−εn continua a puntare la curva γ che,
worldline della superficie della stella
propagando verso F − , è ora individuata
da v = ṽ. Poiché non c’è nessun orizzoni−
te degli eventi nel passato, il vettore n è
semplicemente ∂v e la distanza affine da
v0 a γ, usando la (4.25), sarà
ṽ − v0 = −ε = −e−κũ
⇒
1
u = h(v) = − log(v0 − v)
κ
4. La termodinamica dei buchi neri
46
In conclusione l’andamento dei modi positivi dell’infinito futuro nullo su F − è

iω
1

√
exp
log(v0 − v)
v < v0
κ
4πω
gω |F − =


0
v > v0
A questo punto si può facilmente arrivare ai coefficienti di Bogoliubov scrivendo le gω nella precendente
equazione come in (4.24). Sfruttando la forma (4.23) delle fω su F − , si ha infatti
!
Z ∞
Z +∞
0
0
−ivω 0
e−ivω
eivω
0
0
0
0
0e
√
F gω (ω ) =
dω
F gω (ω ) + √ F gω (−ω ) =
gω (v) =
dω √
2π
2π
2π
0
−∞
Z ∞
Z ∞
√
=
dω 0 2ω 0 fω0 (v) F gω (ω 0 ) + f¯ω0 (v) F gω (−ω 0 ) =
dω 0 Aωω0 fω0 (v) + Bωω0 f¯ω0 (v)
0
0
dove F gω è la trasformata di Fourier di gω . Per confronto si ottiene quindi
r
Z v0
√
ω0 1
iω
0
0
0
Aωω0 = 2ω F gω (ω ) =
dv exp iω v +
log(v0 − v)
ω 2π −∞
κ
r
Z v0
√
iω
ω0 1
0
0
0
dv exp −iω v +
log(v0 − v)
Bωω0 = 2ω F gω (−ω ) =
ω 2π −∞
κ
(4.26)
(4.27)
Si trova poi una relazione tra Aωω0 e Bωω0 grazie alla seguente
Proposizione 4.1. Sia
0
iω
0
G(ω ) =
dv exp iω v +
log(−v)
κ
−∞
0
Z
allora se per ogni ω 0 > 0 si ha
G(−ω 0 ) = −e−πω/κ G(ω 0 )
(4.28)
Dimostrazione. Si consideri la funzione di variabile complessa
iω
0
log z
F (z) = exp −ω z +
κ
Scegliendo il taglio di log z sul semiasse reale negativo (−∞, 0), la funzione f è olomorfa sul semipiano
D = { z ∈ C | Re z ≥ 0 }
1 ∪ C 2 ⊂ D, con C 1 e C 2 parametrizzati da
Si prenda quindi il cammino chiuso CR = CR
R
R
R
h π πi
1
2
CR
(x) = −ix , x ∈ [−R, R ]
CR
(θ) = Reiθ , θ ∈ − ,
2 2
Poiché f è olomorfa su D e CR ⊂ D per ogni R si ha
I
Z
Z
dz F (z) =
dz F (z) +
CR
1
CR
dz F (z) = 0
2
CR
Del resto si può facilmente verificare8 che, se ω 0 > 0, quando R → ∞ il secondo termine nella
precedente equazione si annulla. Si ha quindi
Z
Z +∞
iω
0
0 = lim
dz F (z) = −i
dx exp iω x +
log(−ix) =
R→∞ C 1
κ
−∞
R
8
Per esempio applicando il teorema della convergenza dominata che consente il passaggio al limite sotto il segno di
integrale dopo aver trovato una maggiorante sommabile su [−π/2, π/2] dell’integranda
4. La termodinamica dei buchi neri
Z 0
iω
iω
0
= −i
dx exp iω x +
dy exp i(−ω )y +
log(−ix) +
log(iy)
=
κ
κ
−∞
−∞
πω Z 0
πω Z 0
iω
iω
0
0
dx exp iω x +
log(−x) + exp
dy exp i(−ω )y +
log(−y)
=
= −i exp −
2κ
κ
2κ
κ
−∞
−∞
πω h
πω i
= −i exp
exp −
G(ω 0 ) + G(−ω 0 )
2κ
κ
1
avendo spezzato l’integrale su C∞ e operato il cambio di variabile y = −x sul semiasse immaginario
superiore. Dall’ultima equazione segue la tesi.
Z
0
47
0
Usando (4.28) insieme a (4.26), (4.27) e a un cambio di variabile di integrazione si ha cosı̀
r
πω
r ω0 1
πω
ω 0 1 −iω0 v0
e
G(−ω 0 ) = − exp −
− iω 0 v0
G(ω 0 ) = − exp −
− i2ω 0 v0 Aωω0
Bωω0 =
ω 2π
κ
ω 2π
κ
da cui si ottiene
|Aωω0 | = eπω/κ |Bωω0 |
(4.29)
Da questa relazione è possibile calcolare il valore di aspettazione del numero di particelle con frequenza
ω osservato a F + in uno stato di vuoto per F − . Questo valore è dato dalla (4.20) e può essere ricavato
sostituendo la (4.29) nella (4.18) con j = j 0 , ovvero ω 0 = ω 00 . Si ha
Z ∞
Z ∞
2
2
2πω/κ
0
0
0
−1
dω |Aωω | − |Bωω | = e
dω 0 |Bωω0 |2 = e2πω/κ − 1 N (ω) = δ(0) (4.30)
0
0
Il risultato infinito che si ottiene è dovuto al fatto che le gω sono normalizzate in senso improprio,
essendo onde di ampiezza non nulla per ogni valore di u su F + . Fisicamente questo significa che
il numero di particelle calcolato rappresenta un’emissione che si protrae per un intervallo di tempo
infinito. Per ottenere un valore finito per N (ω) è necessario considerare dei pacchetti d’onda pω piccati
intorno ad un determinato u e normalizzati in senso proprio, cioè
pω , pω0 = δωω0
Si può vedere che la (4.30) continua a valere per i pacchetti pω con la differenza che la δ(0) viene
sostituita da una δωω = 1 e in questo caso tale equazione fornisce il tasso di emissione di particelle
ad un tempo fissato. Inoltre poiché occorre considerare che parte del pacchetto che si propaga da
F − viene riflesso dalla superficie della stella senza raggiungere la retta verticale r = 0 sul grafico e
raggiunge F + con la stessa frequenza, non contribuendo quindi al fenomeno di produzione, la (4.30)
diventa
Γ(ω)
e2πω/κ − 1 N (ω) = Γ(ω)
⇒
N (ω) = 2πω/κ
(4.31)
e
−1
dove Γ(ω) è la frazione di pacchetto9 che non subisce la riflessione, ovvero il coefficiente di assorbimento
della stella durante il collasso. Si veda [12] per i dettagli. La (4.31) rappresenta il numero di particelle
con frequenza ω viste da un osservatore all’infinito. Un’espressione esplicita per Γ(ω) è difficile da
derivare. Tuttavia per M ω 1 si trova che Γ(ω) ≈ 1 e in questo caso la (4.31) coincide con
la distribuzione di Planck per il numero di particelle emesse da un corpo nero alla temperatura di
Hawking
1
κ
=
(4.32)
TH =
2π
8πM
Si osservi che per arrivare alla (4.31) si è supposto che la metrica dello spaziotempo rimanga
invariata durante tutto il processo di emissione. Questa approssimazione è valida finchè il tasso di
variazione di massa del buco nero, dovuto all’emissione di particelle, si mantiene piccolo rispetto alla
massa stessa. Come si vedrà nel prossimo paragrafo questo è vero per buchi neri dell’ordine della
massa del sole.
9
Matematicamente è la frazione di norma quadra del modo con frequenza ω, ovvero gω , gω
4. La termodinamica dei buchi neri
4.4
48
L’evaporazione di un buco nero
Nel precedente paragrafo si è seguita la derivazione originale della (4.31) data da Hawking in [12].
Questa vale per bosoni a spin 0 e di massa nulla nella geometria di Schwarzschild. Tuttavia nello
stesso articolo egli argomenta come tale equazione descriva correttamente anche l’emissione di bosoni
non scalari, come fotoni e gravitoni. Inoltre dimostra che questa continua a valere, con piccole modifiche, lasciando cadere l’ipotesi di simmetria sferica e nel caso di un collasso di stelle rotanti o cariche
che formino un buco nero di Kerr-Newman, e con la stessa relazione tra temperatura di equilibrio e
gravità superficiale data in (4.32). In particolare si scopre che un buco nero rotante tende a emettere
particelle che ruotano nella stessa direzione, cosı̀ come un buco nero carico emette un maggior numero di particelle con carica dello stesso segno. In altre parole questa radiazione porta un buco nero
generico ad essere statico.
Il lavoro di Hawking è stato poi esteso a buchi neri circondati da materia e radiazione e la natura
termica del processo di emissione, ovvero l’assenza di correlazione tra le particelle emesse, è stata ampiamente confermata a livello teorico. Degna di nota è una derivazione della temperatura di equilibrio
partendo da una formulazione della teoria di campo quantistica in spazitempi curvi completamente
diversa da quella introdotta precedentemente, basata sull’integrale di cammino euclideo10 . Sperimentalmente l’osservazione dell’effetto Hawking ha scarse speranze di successo in quanto, come si vede
dalla (4.32), la temperatura di equilibrio di un buco nero è inversamente proporzionale alla sua massa.
Per un buco nero di una massa solare questa temperatura risulta essere circa 6 · 10−8 K, quindi il suo
spettro di Planck sarebbe completamente coperto da quello della radiazione cosmica di fondo, che si
trova a 2, 73 K. Un’altra conseguenza della (4.32) è che il calore specifico di un buco nero è negativo,
infatti se si aumenta la massa di un buco nero questo si raffredda.
Emettendo particelle, un buco nero irraggia parte della sua massa in un processo che viene detto
evaporazione. Una conseguenza importante della (4.31) è che rende possibile stimare il tempo di vita
di un buco nero di massa fissata. Infatti questa implica, tramite la legge di Stefan-Boltzmann, che la
potenza emessa dalla superfecie di un buco nero statico è
−
dM
σ
= σTH 4 AH =
dt
32π 3 M 2
(4.33)
dove σ non è esattamente la costante che compare nel caso dell’emissione di fotoni da un corpo nero
classico, in quanto dipende dal numero di gradi di libertà della particella emessa e dal fatto che il
coefficiente di assorbimento Γ(ω), presente in (4.31), non è pari a 1 per ogni ω. Dalla (4.33) si ricava
il tempo di vita come
Z 0
dt
τ=
dM
= σ32π 3 M 3
dM
M
Per un buco nero di una massa solare, utilizzando un valore per σ dello stesso ordine della costante
classica, si ottiene un tempo di circa 1071 secondi, cioè circa 53 ordini di grandezza maggiore dell’età
dell’universo. Questo porta a concludere che è impossibile osservare la completa evaporazione di un
buco nero. Alla stessa conclusione si può giungere dalla precedente stima della sua temperatura di
equilibrio: essendo infatti la temperatura della CMBR molto maggiore di quella di un buco nero,
questo assorbirà complessivamente più radiazione di quanta ne emetta, aumentando la propria massa
invece di evaporare. Tuttavia potrebbero esistere buchi neri di massa molto più piccola del sole, non
rappresentanti lo stadio finale di un collasso gravitazionale ma formatisi nell’universo primordiale,
che potrebbero avere una temperatura maggiore di 2, 73 K. La loro massa si ridurrebbe nel tempo
scaldandoli sempre più, come segue dalla (4.32), aumentando quindi l’energia della radiazione emessa
fino a farli evaporare completamente in un enorme esplosione. Però se il buco nero riduce la sua massa
anche la sua area deve diminuire, in apparente violazione della seconda legge. Questa incongruenza
10
La temperatura di Hawking emerge in questo caso imponendo che lo spaziotempo euclideo, ottenuto con la
trasformazione t → iτ , non contenga singolarità coniche
4. La termodinamica dei buchi neri
49
può essere risolta se si pensa al processo di produzione come a un flusso negativo di energia attraverso la
superficie del buco nero: un coppia di particelle con masse uguali in valore assoluto e di segno opposto
viene prodotta al di fuori dell’orizzonte degli eventi, quella con massa negativa viene risucchiata per
effetto tunnel dal buco nero, mentre l’altra fugge all’infinito. In questo caso il tensore di energiamomento non soddisfa la WEC ed è quindi permessa una violazione del teorema dell’area.
Si noti infine che vi è una affascinante differenza tra lo spettro di emissione in (4.31) e quello di un
corpo nero classico. Il primo è stato derivato in modo esatto, mentre il secondo è il risultato di una
media statistica su tutti i possibili stati di una sistema termodinamico. Il problema di quali siano i
microstati di un buco nero è aperto a tuttoggi e verrà brevemente discusso nell’ultimo paragrafo di
questo capitolo.
4.5
Secondo principio della termodinamica generalizzato
Alla luce della (4.32), la prima legge (3.17) si può riscrivere come
A
dM = T d
+ ΩH dJ + ΦH dQ
4
Si trova cosı̀ che il coefficiente di proporzionalità tra entropia e area dell’orizzonte di un buco nero,
di cui si era accennato nel precedente capitolo, è pari a 1/4. Ripristinando le costanti del sistema di
misura tradizionale si ha (per un buco nero statico)
T =
~c3
~κ
=
8πGM kB
2πkB c
S=
kB c3 A
kB A
=
4G~
4 lP 2
(4.34)
dove lP è la lunghezza di Planck, che rappresenta la costante che rende l’entropia adimensionale11 .
Che l’entropia di un buco nero fosse proporzionale all’area del suo orizzonte era già intuibile sulla
base delle leggi delle meccanica dei buchi neri ed in effetti fu postulato da Bekenstein qualche anno
prima che si scoprisse che un buco nero irraggia ad una certa temperatura. L’osservazione che spinse
Bekenstein a formulare il cosiddetto secondo principio della termodinamica generalizzato è molto
semplice: se un buco nero ha entropia nulla e si fa cadere in esso della materia l’entropia dell’universo
diminuisce e il secondo principio della termodinamica è violato. Un buco nero deve quindi possedere
un’entropia diversa da zero e il secondo principio va riformulato come
dStot = dSH + dSext ≥ 0
dove SH è l’entropia dei buchi neri e Sext quella dello spaziotempo esterno a questi. Al momento della
stesura del suo articolo [13], egli non dubitava del fatto che un buco nero, essendo un oggetto classico,
avesse temperatura nulla, e la scoperta dell’effetto Hawking era stata anticipata soltanto dalle idee
di alcuni fisici russi12 , che sostenevano l’emissione di particelle da parte di un buco nero rotante13 ,
spinti da un’analogia con l’elettrodinamica. Bekenstein, dopo aver riconosciuto l’area di Planck come
il fattore che rende SH adimensionale, propose la relazione S = (log 2/8π)A, che si rivelò errata.
Dalla (4.34) si calcola che l’entropia di un buco nero di una massa solare è pari a circa 1078 kB .
Questo numero è estremamente grande se si considera che l’entropia dell’universo visibile vale circa
il numero di particelle relativistiche che esso contiene, ovvero 1088 kB . Un buco nero di 106 masse
solari, come quelli che si suppone esistano al centro di una galassia, avrebbe da solo un’entropia
11
A meno di kB
Tra cui Zel’dovich e Starobinsky
13
L’emissione di radiazione da parte di un buco nero rotante non era del tutto inaspettata. Infatti si dimostra
classicamente un fenomeno chiamato superradianza, tramite il quale della radiazione incidente sul buco nero viene
amplificata in un certo range di frequenze. Paragonando la superradianza all’emissione stimolata in fisica atomica ci si
aspetta quindi che esista un analogo per i buchi neri dell’emissione spontanea.
12
4. La termodinamica dei buchi neri
50
maggiore di quella dell’intero universo. Questo fatto non costituisce un vero problema e può essere
spiegato sulla base di modelli cosmologici classici. Il vero problema è che classicamente l’entropia è
associata al numero di gradi di libertà di un sistema; per esempio l’entropia di un sistema che può
trovarsi in modo equiprobabile in N microstati è S = kB log N . Sorge quindi spontaneo chiedersi
78
quali dovrebbero essere gli N = e10 microstati di un buco nero (con la stessa massa del sole) se
questo è completamente caratterizzato da soli tre parametri.
4.6
Problemi aperti
La teoria semiclassica utilizzata nella derivazione del processo di radiazione di Hawking porta a concludere che un buco nero può evaporare, ma la completa scomparsa del buco nero dallo spaziotempo
è una previsione che non può essere fatta sulla base di questa teoria. Infatti, quando il buco nero ha
ridotto sufficientemente la propria massa, le forze mareali sono tanto intense14 e il raggio di curvatura
dello spaziotempo tanto piccolo da superare i limiti di applicabilità della teoria dei campi quantistica
in spazitempi curvi e da rendere necessario l’utilizzo di una teoria quantistica completa della gravità.
In effetti la totale evaporazione di un buco nero porterebbe al cosiddetto paradosso della perdita
di informazione. Si supponga di avere due stelle cariche e rotanti, con caratteristiche molto diverse,
che diventano, a seguito di un collasso gravitazionale, due buchi neri identici di massa M , momento
angolare J e carica Q. Se classicamente non vi è alcuna distinzione tra questi due buchi neri in forza
del teorema no-hair, si potrebbe comunque pensare che, in una teoria della gravità che completi quella
di Einstein, l’informazione riguardante le stelle prima del collasso sia rinchiusa oltre l’orizzonte degli
eventi, magari localizzata vicino alla singolarità al centro della regione di buco nero, proprio dove la
Relatività Generale fallisce. Se però i due buchi neri evaporano completamente in due “nuvole” indistinguibili di radiazione, l’informazione sulle stelle sembra davvero essersi persa. Per questo si parla
di perdita di unitarietà dell’evoluzione temporale: la quantità di informazione necessaria a descrivere completamente il sistema prima dell’evaporazione è maggiore di quella necessaria a evaporazione
avvenuta. L’unitarietà dell’evoluzione temporale, principio basilare della meccanica quantistica che
si traduce nella conservazione della probabilità totale, potrebbe dunque essere violata dalla completa
evaporazione di un buco nero.
Esistono diversi approcci alla soluzione di questo paradosso che non contemplano l’assenza di unitarietà: l’informazione potrebbe uscire dal buco nero gradualmente durante l’evaporazione o repentinamente in un suo stadio finale (in questo caso quindi si avrebbe una evaporazione completa), potrebbe
essere immagazzinata in un residuo stabile dell’evaporazione (che non sarebbe dunque completa) o
in un altro universo oltre la singolarità. Ognuno di questi scenari, che sono solo alcuni tra quelli
proposti, presenta difficoltà nella realizzazione teorica per cui non si può, a tutt’oggi, escludere con
certezza una effettiva perdita di informazione nella realtà fisica.
Un altro problema che emerge dalla natura termodinamica di un buco nero, già accennato nei
precedenti paragrafi, è associare alla sua enorme entropia un numero adeguato di gradi di libertà. Per
farlo è necessario capire dove sono localizzati tali gradi di libertà, se all’interno, al di fuori oppure
sopra l’orizzonte degli eventi. In alternativa si può scegliere di rinunciare ad un’altra caratteristica
fondante della meccanica quantistica, cioè la località, secondo cui l’informazione può essere pensata
localizzata in qualche regione dello spazio. Un passo in questa direzione è stato fatto grazie al principio olografico, il quale afferma che il numero di gradi di libertà di una certa regione di spazio è
poporzionale all’area del bordo della regione, e non al suo volume, come ci si aspetta in una teoria
locale. Sebbene questo principio abbia riscontrato un certo successo, il problema dell’entropia di un
buco nero, cosı̀ come quello della perdita di informazione, può essere risolto solo da una teoria completa della gravità quantistica, di cui non unitarietà e non località potrebbero essere una caratteristica
chiave.
14
Si pensi al fatto che κ = 1/4M per un buco nero statico, quindi κ → ∞ quando M → 0
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