PROGETTO: LA REPUBBLICA SIAMO NOI Incontro con i Licei romani (12 novembre 2013 - Teatro Argentina - Roma) Intervento di Marco Vitale su: La Costituzione economica Il secolo da poco concluso, il ‘900, è stato caratterizzato da due guerre mondiali o, come affermano gli storici che più mi convincono, da due fasi di una grande unica guerra civile europea; dalla grande depressione degli anni ‘30; e soprattutto dai tremendi totalitarismi del nazismo di Hitler e del bolscevismo di Stalin e dal più tenue totalitarismo rappresentato dalla dittatura fascista di Mussolini. Sul piano della costituzione economica i totalitarismi impongono un’economia di comando, centralizzata o attraverso la proprietà diretta dei beni (comunismo) o con altri mezzi di comando coercitivi o con formule miste (nazismo/fascismo). La base comune è che lo Stato è superiore ad ogni cosa e, nella persona del capo, è onnipotente e sacralizzato. Hitler era oggetto di vera e propria devozione. Dalle macerie dell’Europa devastata dalle guerre nasce una nuova domanda di libertà, di dignità della persona, di un’economia imprenditoriale e di mercato. Forse la voce più nitida che interpreta questa domanda è quella i Konrad Adenauer, il nuovo leader della Germania distrutta. Nel marzo 1946, all’Università di Colonia, si alza la voce di questo grande vecchio, un settantenne, un grande europeo, un grande cattolico, che si erge, contestualmente, contro il mito dello Stato-Nazione e contro il nuovo giacobinismo-centralista della sinistra marxista di Schumacher. È il suo primo discorso pubblico del dopoguerra e giustamente è stato definito “uno dei più importanti discorsi nel mondo del dopoguerra (quello che) segnò il vero inizio della nuova politica della Germania e dell’Europa Occidentale” (P. Johnson, Storia del Mondo Moderno, Oscar Mondadori, Milano 1983). Come l’altro grande vecchio italiano, Alcide De Gasperi (66 anni), Adenauer era cattolico devoto, antinazionalista, antistatalista, profondamente immune dalle due più terribili malattie del secolo: il nazionalismo etnico e il principio della supremazia dello Stato sulla società. E Adenauer a Colonia dirà: “siamo prima persone, cittadini, europei e poi tedeschi. Mai più lo Stato-Nazione, mai più lo Stato etico. Una Germania federale per un ‘Europa federale’”. Mai più lo Stato avrebbe dovuto dominare, soffocare le persone e le società intermedie. Dietro le parole di Adenauer risuonano molte voci. Alcune vanno molto indietro sino all’antichità greco-romana, ma per stare all’epoca moderna vanno da Montesquieu a Hamilton, da Carlo Cattaneo a Sturzo, da Einaudi a Carlo Rosselli che nel 1934 in “Giustizia e Libertà” (l’organo che rappresentò l’elaborazione più alta del pensiero laico impegnato contro i totalitarismi) scriveva: “Vi è un mostro nel mondo moderno - lo Stato - che sta divorando la società... Questo Stato bisogna abbatterlo... In risoluzione italiana, se non varrà degenerare in una nuova statolatria, in più feroce barbarie, dovrà sulle macerie dello Stato fascista e capitalista, far risorgere la società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili. Avremo bisogno anche domani di una amministrazione centrale, di un governo, ma così l’ima come l’altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L’uomo è il fine. Non lo Stato”. Ma risuonano anche le voci della Rerum Novarum di Leone XIII (1891)che segna l’avvio dei movimenti del popolarismo cattolico tedesco ed austriaco dell’inizio del secolo, nei quali sia Adenauer che De Gasperi affondano le radici, e più indietro risuonano le voci dei grandi pensatori cattolici per i quali il problema dei limiti dello Stato divenne il terreno di incontro fra cattolici e liberali, specialmente dopo che la rivoluzione francese e poi l’idealismo tedesco avevano come divinizzato Io Stato-Nazione. Fu proprio il filosofo cattolico Antonio Rosmini a dare la risposta più coerente a questo problema nelle sue opere politicogiuridiche (la Filosofia della politica del 1839 e la Filosofia del diritto del 1841-’43). L’uomo, secondo Rosmini, era una “persona”, ossia una unità originaria di individualità e socialità. Le forme associative dell’uomo traevano la loro validità dal rispetto della persona. Lo Stato era una società imperfetta al servizio della persona. Uno Stato “perfetto” e fortemente accentrato finiva, invece, per invadere il campo della società civile e della Chiesa, subordinando a sé ogni pluralismo sociale. Quando Io Stato, da semplice mezzo, diventava fine (tutto dello Stato, nello Stato e per lo Stato), il vero fine (la persona umana) ne risultava schiacciata. Per questo, secondo Rosmini, gli Stati più rispettosi della persona e delle sue forme associative (famiglia, corporazioni, comune, ecc.) erano quelli federali. Da questa domanda di libertà e di dignità delle persone nascono le nuove costituzioni, e soprattutto quella italiana e quella tedesca, che hanno molto in comune, basate sul principio di dignità e libertà della persona, compresa la libertà di fare, di intraprendere. Voglio soffermarmi su tre articoli della Costituzione tedesca. Di questi due (1 e 20) godono della Ewigkeitengarantie (cioè non possono essere cambiati da nessuna maggioranza). Per cambiarli bisogna creare una rottura politica talmente grande da cancellare la Costituzione stessa): - Il primo è l’articolo 1 della Costituzione che recita: “La dignità della persona è inviolabile. Rispettarla e proteggerla è dovere di ogni potere statuale”. Trovo bellissimo che la Costituzione di un paese civile esordisca enunciando questo fondamentale principio 1. Anche la nostra contiene questo principio (soprattutto articoli 2 e 3) ma non espresso con altrettanta efficacia: - Il secondo è l’art. 14 dove i primi due paragrafi recitano: “1) La proprietà e il diritto di successione sono garantiti. Il loro contenuto ed i loro limiti sono fissati dalla legge. 2) La proprietà crea degli obblighi. Il suo uso deve essere utile anche all’insieme della collettività”. Questo articolo trova rispondenza nei nostri articoli 41 e 42, che, forse, sono più chiari e completi. La proprietà e l’iniziativa imprenditoriale sono libere e tutelate ma non possono creare danni alla collettività. Questo limite disturba i talebani del liberalismo che continuano a confondere socialità con socialismo. Questa concezione della proprietà, presidio della libertà e dell’iniziativa individuale, ma inserita in una precisa filosofia pubblica della responsabilità, e caratterizzata da un’ampia diffusione, è in realtà un’idea la cui essenza va alle radici del pensiero democratico occidentale. Già Aristotele insegnava: “Ordunque è meglio, come ben si vede, che In proprietà sin privata ma si faccia comune nell’uso: abituare i cittadini a tal modo di pensare è compito particolare del legislatore”. 1 “Die Wurde des Menschen ist unantastbar. Sie zu achten und zu schiitzen ist Verpflichtung alles staatlichen Gewalt”. II terzo è l’art. 20 2 che recita: “La Repubblica federale tedesca è uno stato democratico e sociale”. l’Art. 20 (1) contiene i cinque pilastri dell’ordinamento costituzionale della Germania, che è: una repubblica, una democrazia, uno Stato di diritto, uno Stato federale, uno Stato sociale. E queste caratteristiche sono immutabili (Ewigkeitengarantie). Un articolo simile da noi non esiste, ma alcune caratteristiche comuni possono essere ricavate dall’insieme della Costituzione, pur senza la “Ewigkeitengarantie”. - La realizzazione concreta dei principi costituzionali è stata un processo lungo e tormentato, caratterizzato da molti ritardi, stop and go, e alcune vere e proprie regressioni. Ciò è stato soprattutto effetto degli strascichi dei totalitarismi e della connessa costituzione economica di impronta collettivista, che erano penetrati così profondamente nel tessuto culturale e sociale e nelle istituzioni da richiedere tempo e sforzi per liberarsene. Questo processo è stato più lungo e difficile da noi, perché in Germania l’illusione di matrice comunista è stata accantonata sin dagli anni ‘50, mentre da noi è proseguita sino al crollo del muro di Berlino ed oltre; perché nel mondo cattolico, dopo i grandi cattolico-liberali alla De Gasperi ha finito per prevalere la componente caratterizzata da una cultura fortemente statalista; perché i sindacati hanno sempre considerato l’impresa come il nemico da battere e puro luogo di scontro tra capitale e lavoro mentre in Germania, sin dagli anni ‘60, i sindacati hanno accettato la sfida della responsabilizzazione attraverso la “Mitbestimmung” (partecipazione ai consigli di sorveglianza delle imprese di maggiore dimensione”). Per questi motivi gran parte della nostra costituzione economica è stata ed è, semplicemente, disapplicata. A questi fattori storici e intrinseci al nostro sistema, negli ultimi trent’anni si è inserito un nuovo fattore poderoso che chiamiamo: finanziarizzazione dell’economia. È un processo complesso, di matrice anglosassone e soprattutto americana, che ha portato a mettere al centro del sistema la visione puramente finanziaria dell’economia, Al centro non c’è l’uomo (personalismo cristiano), non c’è l’impresa, non ci sono più neppure il mercato ed il profitto. C’è il “capitai gain”, il guadagno derivante dallo scambio di titoli finanziari, gestiti da istituzioni largamente manipolatrici del mercato. Questa involuzione non solo ci ha portato al disastro del crollo finanziario internazionale del 2007-2008, ma ha svuotato di fatto la nostra costituzione economica, che è di stampo liberale ma con un elevato livello di responsabilità sociale e con un ruolo di rilievo per il lavoro (art. 1 e 4). Essa è sorella della costituzione tedesca, e si pone nel grande filone di pensiero dell’economia sociale di mercato di matrice tedesca, ma al quale appartengono anche personaggi italiani come Luigi Einaudi e Luigi Sturzo. Ma, nella pratica, il nostro sistema si è sviluppato più nel senso del capitalismo finanziario selvaggio di matrice americana, dove ciò che conta è semplicemente il denaro. Da qui un conflitto profondo tra la Costituzione voluta dai padri fondatori e la costituzione materiale dei nostri anni. Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere della Sera ha, poco tempo fa, scritto un articolo sconcertante ponendo la domanda: ma se la Costituzione è così bella come dite, perché le cose vanno così male? La risposta è semplice. Perché la nostra Costituzione è in gran parte non attuata, o abrogata di fatto o platealmente violata. Farò solo qualche esempio: 2 Art. 20 (1) “Die Bundesrepublik Deutschland ist ein democratischeer und sozialer Bundesstaat” • • • • • • • • • • L’art. 1 è derogato come effetto dalla finanziarizzazione dell’economia, che ha posto al centro il “capitai gain”; La legge elettorale (legge non costituzionale) dà alla gerarchia dei partiti un predominio, un livello di irresponsabilità, un costo finanziario nettamente incostituzionali (art. 49); Gli articoli 2-3-4 trovano un’applicazione molto parziale; L’art. 9 (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione”) è, soprattutto per la seconda parte, sistematicamente violato; Gli articoli 23-53 (principi base dell’ordinamento fiscale) sono in contrasto plateale con il sistema fiscale effettivo; L’art. 46 (presenza del lavoro nella gestione delle aziende) è totalmente ignorato; L’art. 47, soprattutto nel secondo paragrafo, è stato a lungo combattuto (testimonianza del Prof. Zerbi, estensore del testo dell’articolo); Art. 34, il secondo e terzo paragrafo sono ignorati (diritto allo studio per i meritevoli senza mezzi); Art. 31 (agevolazioni per la famiglia) è praticamente abrogato; anzi l’ordinamento è ostile alla famiglia; Gli articoli 35-47 sui rapporti economici sono in gran parte disapplicati. Quindi ai giovani io dico e lo dicevo sin dal 1978 (nello scritto che allego): AL CENTRO: LA COSTITUZIONE Essa è la parte migliore del nostro passato e contiene il seme del Vostro futuro. Impegnarsi per difenderla e attuarla è una grande, bella, fruttuosa sfida. Marco Vitale www.marcovitale.it www.resel.it Roma, 12 novembre 2013 (blog Marco Vitale “Mala tempora”) Marco Vitale LA LUNGA MARCIA VERSO IL CAPITALISMO DEMOCRATICO prefazione di CARLO MARIA CIPOLLA AL CENTRO: LA COSTITUZIONE Io non ho dubbi: al centro non c’è non ci può essere l’impresa. Al C centro c’è la Costituzione ed è ripartendo da qui che dobbiamo riverificare le regole del gioco e i comportamenti sociali e individuali, se vogliamo dare un significato al travaglio di questi anni, se vogliamo OSA DOBBIAMO PORRE AL CENTRO? e superare il senso di sconforto, se vogliamo trovare delle reali convergenze su dei temi meno labili sia dello slogan della centralità dell’impresa sia di quello dell’improbabile alleanza tra i imprenditori e classe operaia contro i ceti parassitari. E poi c’è la necessità di trasformare un’economia assistita in un’economia di sviluppo. Questi obietti stanno fermi e possenti. Quando riusciamo a tenere in evidenza questi grandi obiettivi allora riusciamo anche a vedere più chiaro sulle cose da fare e a dar loro un senso. Allora si scoprirà che la nostra via è legata a poche cose essenziali. La prima è di prendere atto che il nostro sistema costituzionale non prevede solo dei diritti, ma un complesso inscindibile di diritti-doveri nell’ambito dei quali, come semplici cittadini o come dirigenti, dobbiamo muoverci. La seconda è che non dobbiamo desistere dal batterci contro la visione dei partiti come truppe d’occupazione, riportandoli al loro ruolo costituzionale. La battaglia è diventata tanto più importante da quando è apparso chiaro che la visione del partito come truppa d’occupazione è dominante in tutti i maggiori partiti. La terza è quella della corruzione di vasti settori dell’amministrazione pubblica, che ha superato largamente il livello di guardia, che è alla base del cattivo funzionamento della nostra amministrazione e che è giunto il momento di affrontare serenamente ma fermamente per quello che è: uno dei maggiori problemi politici italiani. Non vi è nessuna ragione metafisica o razziale per la quale settori decisivi della nostra amministrazione non debbano funzionare. Se non funzionano è perché chi ne è responsabile (Parlamento e Governo) non li fa funzionare. Ma non possiamo continuare a dire: adesso sarebbe giusto fare questo o quello; peccato che la nostra amministrazione non abbia capacità operative. Innanzitutto non è totalmente vero: vi sono settori nei quali la nostra amministrazione pubblica funziona. In secondo luogo, se non funziona dobbiamo far sì che funzioni, chiamando insistentemente a questo compito i responsabili specifici. La quarta cosa è che dobbiamo tutelare il risparmio e ritornare a investire sia in grandi opere pubbliche sia da parte dei privati. E dunque dobbiamo battere l’inflazione, senza indulgere a chi la vede come un’alternativa al difficile compito di costringere le parti sociali a dei comportamenti compatibili con gli3 obiettivi costituzionali. Come ha detto recentemente Okun , economista della Casa Bianca nell’epoca Kennedy-Johnson e ora del Brookings Institute, certamente uno dei più importanti economisti dei nostri giorni, se non avremo una politica antiinflazionistica, la recessione sarà la nostra politica antiinflazionistica. La quinta questione essenziale è che fuori dall’Europa non c’è per noi alcuna speranza di salvezza, ma solo un continuo disfacimento. Solo nell’Europa riusciremo a salvare la nostra identità e la nostra libertà. E quindi ogni nostra scelta deve essere verificata sotto il profilo della compatibilità con questa via. Queste sono le questioni essenziali e ogni volta che approfondisco questi problemi, scopro che tutto quello che dobbiamo fare, in fondo, deriva dalla Costituzione. E dunque non abbiamo bisogno di un nuovo patto sociale. Ce l’abbiamo già, scritto, ed è buon patto. Si tratta di difenderlo, di attuarlo, di integrarlo e correggerlo in alcuni meccanismi, di combattere tutti quei nostri comportamenti che lo ignorano e tutti quei centri di potere che si sono creati in questi decenni, al di fuori dello schema costituzionale, e che perseguono obiettivi in insanabile conflitto con gli obiettivi costituzionali. Senza sconforto. I progressisti da paese dei campanelli, quelli che scappano a ogni stormir di fronde, quelli che parlano sottovoce della “normalizzazione in atto” (parola ahimè! troppo seria per essere usata con tanta leggerezza), se la stanno squagliando 4. Questo è un grande chiarimento e una grande pulizia. Ora sta venendo il tempo in cui a tenere botta resteranno solo i conservatori, tra i quali mi sono sempre annoverato. Perché per me conservatore significa, anche tecnicamente, colui che è impegnato a conservare e difendere il patto sul quale si regge la nostra società: la Costituzione della nostra Repubblica. Questo intervento è del 5 settembre 1978, è stato scritto come base di una discussione, in un circolo privato, tra un gruppo di imprenditori e un ministro, allora responsabile di un importante dicastero. 3 Alla memoria di Arthur M. Okun morto tragicamente e immaturamente all’età di 51 anni, Lord Nicholas Kaldor, dedicherà tre memorabili lezioni all’Università di Yale, nell’ottobre 1983. Nicholas Kaldor , Economia sema equilibrio. Universale Paperback. Il Mulino, Bologna, 1988 4 Il riferimento era allo squagliarsi, anche culturale, della sinistra e del movimento sindacale, che divenne chiaramente percepibile subito dopo l’assassinio Moro. LIBERI DAI MITI RESTA LA DEMOCRAZIA IDEOLOGIE e il crollo dei miti lascia, soprattutto tra i giovani, tanti orfani. L Ea crisialloradellebisogna dir loro che non si sentano orfani, ma liberati. Che si schierino, senza paura, per l’unico valore che rinasce sempre al di là di ogni ideologia e di ogni mito, un valore che, ancora una volta, corre gratissimi rischi: la democrazia. Proviamo a dirglielo con le bellissime parole che Mario Paggi scriveva su “Il Mondo”, nel 1949: «Solo la democrazia, nella sua intuizione dolorosa e drammatica della vita collettiva, non postula un regno perfetto, solo la democrazia non fa leggi finali o iniziali. Essa è dunque uno stato di rivoluzione permanente, che ha bisogno perciò sempre di istituzioni “contemporanee” al suo svolgimento, e di una classe politica severamente conscia dei suoi doveri e dei suoi compagni, della complessità della storia degli uomini, della varietà e della fatalità dei loro errori, e anche della pietà che a tali errori si deve. Solo essa, che concepisce la vita come il grande fiume eracliteo nel cui seno si raccoglie ogni accadimento umano, non rinuncia a nulla di quanto è passato, e a nulla di quanto è futuro. «Essa, la democrazia, accetta, perché se ne sente figlia, il pensiero greco e l’impero romano, il decalogo e la patristica, la riforma e la Controriforma, la rivoluzione francese e quella russa, cercando di queste varie esperienze, nessuna delle quali bolla col marchio dell’infamia diabolica, e nessuna esalta come definitiva, quello che può essere vitale e concreto nella nostra vita politica, in questo momento della storia d’Italia». Proprio questo atteggiamento di ampia comprensione del passato e di ampia apertura verso l’avvenire è quello che fonda due tipici momenti della democrazia moderna: la tolleranza e la concretezza. Pubblicato su “Il Giornale Nuovo” del 27 gennaio 1979.