studi e opinioni - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

Anno 13 – Numero 3
4 febbraio 2015
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ
D IRETTA
DA
O RESTE C AGNASSO
C OORDINATA
DA
E
M AURIZIO I RRERA
G ILBERTO G ELOSA
• LE CASSE DI RISPARMIO
• CONCORDATO PREVENTIVO: GIUDIZIO DI
FATTIBILITÀ DEL PIANO
• RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI
SOCIETÀ IN HOUSE
ItaliaOggi
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COORDINAMENTO SCIENTIFICO
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La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori
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Saracino, Marina Spiotta, Andrea Sacco Ginevri, Maria Venturini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Francesco Campobello, Gian Paolo Ciervo, Enrico Goitre, Michele Vaira
I saggi costituenti “Studi e Opinioni” sono sottoposti a blind referees, scelti tra
professori universitari
universitaricompetenti
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al settori.
Comitato
nei vari
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nei
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giàinpubblicati
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che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e
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è riservata
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portoghese.
Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono
pubblicati scritti, oltre che in italiano, in: inglese; francese; spagnolo e
portoghese.
INDICE
Pag.
STUDI E OPINIONI
La funzione delle casse di risparmio nell’Italia liberale: l’evoluzione del
loro status in un “percorso a ostacoli” tra beneficenza e credito
di Francesco Campobello
9
Il giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo nella recente
giurisprudenza della Suprema Corte
di Gianpaolo Ciervo
28
RELAZIONI A CONVEGNI
La nuova disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva
alienazione di immobili
di Michele Vaira
52
COMMENTI A SENTENZE
Responsabilità degli amministratori di società in house e giurisdizione della
Corte dei Conti
(Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, Sezioni Unite)
di Enrico Goitre
66
SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE
78
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO
82
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
4
SOMMARIO
Pag.
STUDI E OPINIONI
La funzione delle casse di risparmio nell’Italia liberale: l’evoluzione del
loro status in un “percorso a ostacoli” tra beneficenza e credito
All’inizio e nel corso del XIX secolo, furono costituite e iniziarono a
diffondersi le prime casse di risparmio. Durante quegli anni, con
l’unificazione dell’Italia, il conflitto tra il nuovo Stato e la chiesa cattolica
si andava componendo. In questo contesto tali istituzioni potevano essere
considerate un ibrido tra organizzazioni religiose e commerciali aveva
miracolosamente creato una piccola cooperazione tra secolari e cattolici.
L’articolo si occupa del processo di definizione dello status delle casse di
risparmio nella dottrina, nella legislazione e nella giurisprudenza.
di Francesco Campobello
Il giudizio di fattibilità del piano di concordato pre ventivo nella recente
giurisprudenza della Suprema Corte
Si intendono esaminare in questa sede le più recenti tendenze dottrinali e
giurisprudenziali in tema di limiti del sindacato giudiz iale sulla fattibilità
del piano di concordato preventivo, alla luce dell’intervento delle Sezioni
Unite della Suprema Corte e della recente giurisprudenza di legittimità e di
merito in tema.
di Gianpaolo Ciervo
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
5
SOMMARIO
RELAZIONI A CONVEGNI
La nuova disciplina dei contratti di godimento in funzione della
successiva alienazione di immobili
L’articolo si sofferma sulle nuove forme contrattuali che consentono alle
parti di stipulare accordi che attribuiscono l’immediato godimento del bene
al conduttore, permettendogli di superare l’impossibilità di corrispondere
l’intero prezzo ed allo stesso tempo assicurandogli il diritto all’acquisto
della casa, imputando in tutto od in parte quanto versato a titolo di canone
locatizio in conto prezzo.
di Michele Vaira
COMMENTI A SENTENZE
Responsabilità degli amministratori di società in house e giurisdizione
della Corte dei Conti
(Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, S ezioni Unite)
La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata
dalla Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia
diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi
cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi
intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di
pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che
statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di
controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
di Enrico Goitre
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
6
INDEX-ABSTRACT
Pag.
STUDIES AND O PINIONS
The function of the savings banks in the beginning of the XIX century
in Italy: the evolution of their status in an “obstacle course” between
charity and credit
In the beginning of the XIX century and throughout the century, the first
Saving banks were establish and started to develop. During those years ,
with the unification of Italy, the conflict between the new State and the
Catholic Church reaches its peak. In this context these institutions, that can
be considered something between a religious organization and a
commercial ones, arise a little 'miraculously, creating a cooperation
between secularists and Catholics. The legal ambiguity, the political context
and their own hybrid nature created many difficulties for classification of
Savings Banks into the (existing) legislation. This article addresses the
process of defining their status through the doctrine, legislation and case
law.
by Francesco Campobello
9
The judgment of the feasibility of the plan of “composition with
creditors’ procedure” in the recent case law of the Supreme Court
The purpose of the paper is to analyze the latest doctrinal and
jurisprudential trends about the issue of the judicial review on the feasibility
of the plan in the so-called “composition with creditors’ procedure”. The
Author reports the solutions provided by the Joined Chambers of the Italian
Supreme Court in the relevant case law and analyzes some recent decisions
of the Italian Supreme Court concerning the above mentioned issue.
by Gianpaolo Ciervo
28
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
7
INDEX-ABSTRACT
REPORTS ON CONFERENCES
The new rules of contracts for enjoyment in terms of the subsequent
disposal of property
The paper focuses on new contracts that allow the parties to enter into
agreements that grant immediate use of the property to the “conduttore”,
allowing him to overcome the inability to pay the full price and at the same
time assuring the right to buy the house by charging all or part of the
amount paid as “canone locatizio in conto prezzo”.
by Michele Vaira
52
COMMENTS ON JUDGEMENTS
Directors of in house companies liability and Court of Auditors
jurisdiction
(Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, S ezioni Unite)
The Court of Auditors (Corte dei Conti, for the purposes of Italian Law) is
the Italian Court competent for judging liability claims presented by the
Prosecutor Office of the Court of Auditors, when such claims aim at
demonstrating the liability of the corporate bodies for damages caused to
the estate of a in house company. In house company means a company (i)
incorporated by one or more public authorities for the handling of public
services, (ii) whose shareholders can only be the aforesaid public
authorities, (iii) that mainly operates – under the by laws – in favour of
public authorities and (iv) whose management is subject to forms of control
analogous to the control managed by the public authorities over its offices.
by Enrico Goitre
66
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
LA FUNZIONE DELLE CASSE DI
RISPARMIO NELL’ITALIA LIBERALE:
L’EVOLUZIONE DEL LORO STATUS IN UN
“PERCORSO A OSTACOLI” TRA
BENEFICENZA E CREDITO
All’inizio e nel corso del XIX secolo, furono costituite e iniziarono a diffondersi le
prime casse di risparmio. Durante quegli anni, con l’unificazione dell’Italia, il conflitto
tra il nuovo Stato e la chiesa cattolica si andava componendo. In questo contesto tali
istituzioni potevano essere considerate un ibrido tra organizzazioni religiose e
commerciali aveva miracolosamente creato una piccola cooperazione tra secolari e
cattolici. L’articolo si occupa del processo di definizione dello status delle casse di
risparmio nella dottrina, nella legislazione e nella giurisprudenza.
di Francesco Campobello
Il rapporto tra il mondo del credito - le banche - e il mondo dell’assistenza - gli
enti ecclesiastici - si perde nelle origini stesse del diritto1. All’interno del diritto
dell’economia può essere interessante approfondire tale rapporto in particolare nel
diciannovesimo secolo. Le casse di risparmio furono costituite, in Italia, nei primi anni
dell’Ottocento ma fu solo dopo l’unificazione che il fenomeno si rafforzò, contribuendo
a creare le basi del sistema creditizio nazionale. Punto di svolta fu la legislazione
2
riformatrice di Francesco Crispi . È necessario, brevemente, ricordare che le casse di
risparmio nacquero in un contesto di prolificazione di nuovi istituti commerciali,
creditizi o comunque di tutela del risparmio. M olte erano infatti le tipologie di banche
formatesi nei primi anni del XIX secolo: banche d’affari, banche dedicate
1
Cfr. A. P ETRUCCI, Profili giuridici delle attività e dell’organizzazione delle banche romane,
Giappichelli, Torino 2002; S.A. FUSCO , Pecuniam comodare: aspetti economici e sociali della
disciplina giuridica dei rapporti di credito nel V secolo d.C., Pubblicazioni della Facoltà di
Giurisprudenza, Università di Perugia, Perugia 1980; si veda anche in questo volume, M.A.
LIGIOS, Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di Commodo, in
questo volume.
2
In particolare la legge sul riordinamento delle casse di risparmio del 15 luglio 1888 n. 5546 e
la legge del 17 luglio 1890 sulle istituzioni pubbliche di beneficenza n. 6972, la cosiddetta legge
sulle IPAB.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
9
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
all’agricoltura 3, banche deputate, soprattutto, alla raccolta del risparmio, banche
popolari e postali4, banche specializzate nel credito a breve termine per il
finanziamento degli investimenti industriali 5. Alcuni storici dell’economia distinguono,
tra i diversi tipi di banca, quelle che sono create dalle necessità di produzione e di
scambio, diremmo noi oggi dal mercato, da quelle che invece nascono “spinte da
motivazioni” diverse “di carattere non direttamente economico ma politico, sociale,
6
etico e culturale” . Le casse di risparmio nascono proprio da questa seconda esigenza:
come risultato “delle idee filantropiche dell’illuminismo” la cassa di risparmio è infatti
“destinata a favorire la formazione e la raccolta del piccolo risparmio a carattere
previdenziale” 7. Se in Europa, in particolare nelle grandi potenze economiche (Prussia,
Inghilterra, Francia ed Austria), per tutto l’Ottocento vi fu un proliferare di banche di
3
Cfr. L. CARP I, Del credito delle Banche e delle Casse di Risparmio nei loro rapporti
coll’Agricoltura, Giannini e Fiore, Torino 1857, pp. 179-235; A. FERRERO GOLA , Le Casse di
Risparmio e l’ordinamento del credito fondiario ed agricolo, T ipografia letteraria, T orino 1865;
L. ROCCA , Casse di risparmio: Beneficenza e credito agrario, tip. Leonardo da Vinci, Città di
Castello 1928.
4
Cfr. L. LUZZATTI, Sull’andamento del credito popolare in Italia, in «Rivista della Beneficenza
pubblica e de gli istituti di Previdenza», anno 1879, fascicolo di settembre, in particolare pp. 811; ID , La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. P ECORARI, Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti, Venezia 1997; L. PAOLINI, Delle relazioni fra le casse di risparmio e le
banche popolari, tip. dell’Unione cooperativa editrice, Roma, 1895; P. CAFARO , Banche
popolari e casse rurali tra ‘800 e ‘900: radici e ragioni di un successo, in Le banche popolari
nella storia d’Italia, a cura di P. PECORARI, Atti della quinta giornata di studio “Luigi Luzzatti”
per la storia dell’Italia contemporanea (Venezia 7 novembre 1997), Istituto veneto di scienze,
lettere ed arti, Venezia 1999. Per le differenze tra le casse di risparmio e le casse di risparmio
postali, i loro rapporti e i possibili conflitti tra esse si veda Q. SELLA, Le Casse postali di
risparmio, in «Nuova antologia di lettere scienze ed arti», 1880; A. P ODESTÀ, Sulle casse di
risparmio in Italia. Lettera all’Onorevole Sella, T ipografia eredi Botta, Roma, 1881, in
particolare pp. 7-11; E. BERNARDI, Le casse postali di risparmio, tip. T errier, Demonte 1882; R.
MASSETTI, Discorso sulle casse postali di risparmio, tip. Stracca, Frosinone 1890; R.
CORIGLIANO , La cassa depositi e prestiti e le casse di risparmio postali, F. Angeli, Milano
1980; A. MAURIELLO , Origini e storia delle casse postali di risparmio, Lurenziana Napoli
1980.
5
Cfr. Banche e reti di banche nell’Italia postunitaria, a cura di G. CONTI e S. LA FRANCESCA , il
Mulino, Bologna 2000; S. LA FRANCESCA , Storia del sistema bancario italiano, il Mulino,
Bologna 2004; F. GIORDANO , Storia del sistema bancario italiano, Donzelli, Roma 2007.
6
A. COVA , La banca italiana nel contesto creditizio europeo secoli XIX-XX, in La Compagnia
di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A. CANTALUPP I, Vol. II, Einaudi, T orino
2013, p. 3. Per contro le casse di risparmio vengono ritenute “ di origine antica e spontanea” in
confronto alle casse postali di origine statale cfr. G. INGROSSO , Voce Cassa di risparmio, in
Novissimo digesto italiano, 1958, pp. 1021 - 1033.
7
Cfr. G. DE CAP ITANI D’ARZAGO , Voce Cassa di risparmio, in Enciclopedia Treccani, p. 316.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
10
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
emissione generiche parallelamente a banche relativamente specializzate, in Italia
nacque il fenomeno delle banche miste contrapposto al modello tedesco della banca
universale 8. Concepito su idee illuministiche, il sistema delle casse di risparmio è forse
uno dei pochi settori che l’ondata riformatrice napoleonica ha lasciato sostanzialmente
invariato, per cui si può intravedere una linea di continuità tra le prime casse di
9
risparmio di fine Settecento e quelle della metà del XIX secolo .
Nello specifico, nella penisola, il periodo che va dal Congresso di Vienna alla fine degli
anni quaranta fu quasi del tutto privo di novità nel settore bancario, al contrario della
fase successiva in cui esplose il fenomeno delle casse di risparmio 10. Apparse già nel
secolo precedente in vari paesi del nord d’Europa e dopo la Restaurazione anche in
Francia, le casse di risparmio, in Italia, sono almeno all’inizio un fenomeno
principalmente lombardo 11. In tale contesto il governo di Vienna, quindi la politica e
non il mercato, aveva deciso di creare nel Lombardo - Veneto questi istituti come
strumento di politica sociale. Lo scopo principale era infatti non tanto di sviluppo
dell’attività imprenditoriale quanto invece l’incentivo del risparmio popolare con lo
scopo di realizzare degli utili da destinare ad attività previdenziali. Sulla nascita della
prima cassa di risparmio in Italia si è scritto molto senza arrivare ad una conclusione
condivisa. In questo lavoro non ci si inserisce nel dibattito ancora in corso, ma ci si
limita a ricordare che tra il 1818 e il 1822 nel lombardo-veneto si ebbero le prime
istituzioni di questo tipo12. L’iniziativa ebbe un grande successo, se si pensa che già nel
1823 solo tra Lombardia e Veneto se ne contano sette, nel 1830 nove, nel 1840
venticinque, nel 1850 in tutta la penisola erano diventate sessanta, sino ad arrivare nel
13
1860 al picco massimo di novantuno .
8
Cfr. R. CAMERON, Le banche e lo sviluppo del sistema industriale, il Mulino, Bologna 1975.
Più in generale sulle innovazioni francesi derivanti dall’invasione napoleonica si veda, M.
GOSSO , Sulla politica economia e finanziaria del governo provvisorio piemontese del 17981799, in «Bollettino storico bibliografico subalpino», 1973, pp. 653-744.
10
Cfr. D. MORELLI, Poche parole sulle casse di risparmio, stabilimento tipografico Gaetano
Nobile, Napoli, 1865.
11
Cfr. A. COVA e M. GALLI, Finanza e sviluppo economico-sociale. La Cassa di Risparmio
delle Provincie Lombarde dalla fondazione al 1940, Cariplo-Laterza, Milano - Bari 1991.
12
A tal proposito è emblematico che, sfogliando le principali enciclopedie giuridiche, il Digesto
Italiano segnali come prima cassa di risparmio quella di Rovigo nel 1822 e Enciclopedia
giuridica italiana quella di Venezia nel medesimo anno.
13
I numeri possono oscillare a seconda che si considerino le singole casse di risparmio o le loro
sedi, quel che qui conta far rilevare è la crescita tendenziale. Cfr. A. COVA , La banca italiana
nel contesto creditizio op. cit.; G. DE CAP ITANI D ’ARZAGO, op. cit., p. 317; Storia delle casse di
risparmio e della loro associazione 1822-1950, a cura di L. DE ROSA , Laterza, Roma-Bari,
2003, p. 11. Si è scelto qui di inserire quanto riportato in Le casse di risparmio in Italia dal
1822 al 1904, notizie storiche presentate all’Esposizione di Milano del 1906, a cura del
9
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
11
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
Ad unificazione politica avvenuta e con i lavori in corso per l’unificazione
legislativa ed amministrativa si pose anche per le casse di risparmio il problema di
trovare una definizione giuridica al loro status, mantenendo la loro funzione al confine
tra beneficenza e credito.
Le casse di risparmio si possono definire come “istituti di natura essenzialmente
benefica aventi lo scopo di raccogliere, custodire e investire i risparmi minimi delle
14
classi meno fortunate della popolazione costituendo loro gradatamente dei capitali” . Si
sottolinea quindi la doppia funzione intrinseca di queste istituzioni: da un lato
incentivare il risparmio nelle classi sociali popolari dall’altro sostenere tramite un
intervento sociale gli strati più umili della popolazione. Questa doppia funzione
costrinse la dottrina prima, il parlamento poi ed infine la magistratura ad interrogarsi se,
consapevoli del dualismo dell’istituzione, si dovesse regolamentarle come opere pie o
come enti commerciali 15.
Pur non potendo in questo contesto approfondire il percorso storico di nascita ed
evoluzione delle casse di risparmio, ammesso che sia possibile elaborare una storia
comune che assorba le numerose opere edite su singoli istituti delineandone tratti
generali, è però necessario segnalare che le casse di risparmio nelle province lombarde
sin da subito cercarono di allargare il loro ambito di azione attraverso varie forme di
deposito e tramite l’emissione di titoli di credito a lungo termine, privilegiando le loro
attività sul versante degli enti di commercio 16.
L’incontro tra la sfera religiosa e l’ambito civile si evidenzia sin dalla
costituzione delle casse stesse: infatti in genere le casse venivano create da un certo
numero, in genere ridotto, di persone che costituivano una società anonima che tramite
la sottoscrizione di azioni fornivano un capitale sufficiente per avviare l’attività
creditizia. Oppure un singolo ente già esistente, pubblico (ad esempio il municipio) o
privato (ad esempio un monte di pietà) poteva edificare la cassa di risparmio separando
MINISTERO DELL’AGRICOLTURA , INDUSTRIA E COMMERCIO , tip. Bertero, Roma 1906, pp. 14 16.
14
Cfr. F. FLORA, Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 634.
15
Il dibattito giuridico sia in dottrina che in giurisprudenza, era ancor più ampio e riguardava
tutto il complesso rapporto tra enti ecclesiastici ed economici. Si veda ad e sempio sui lasciti pii
E. COLOMBO, La Compagnia di San Paolo e le dinamiche del credito fra età moderna e prima
metà dell’Ottocento, in La Compagnia di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A.
CANTALUPP I, vol. I, Einaudi, T orino 2013, pp. 577-612 in particolare pp. 594-595. Cfr. A.
SENIN , Voce Cassa di risparmio, in Enciclopedia del diritto, in particolare pp. 427 - 431.
16
Si veda la Storia delle casse di risparmio e della loro associazione op. cit., in particolare pp. 7
- 43 e 73 - 110; e sulle casse di risparmio in Lombardia, L. MOTTA , Credito popolare e sviluppo
economico. L’esperienza di una banca locale lombarda fra il 1874 e il 1907, Giuffrè, Milano,
1976; Beneficenza e risparmio: i documenti preunitari della cassa di risparmio delle Provincie
lombarde, a cura di M. CANELLA e E. PUCCINELLI, Banca Intesa, Milano 2005.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
12
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
una parte del proprio patrimonio che ad essa espressamente dedicava. Infine, il caso
più complesso ma anche più interessante era rappresentato dalla combinazione di
persone fisiche e giuridiche pubbliche e private che insieme realizzavano la cassa di
risparmio. Una volta consolidatasi, la cassa di risparmio rimborsava a poco a poco i
sottoscrittori che non ricevevano né interessi né dividendi. Una volta che gli utili
avessero creato un fondo stabile di garanzia dei risparmi versati (almeno il dieci per
cento del valore totale dei risparmi) il surplus non reinvestito nella gestione della cassa
di risparmio doveva essere impiegato in attività di beneficenza o assistenza.
Semplificando, si può schematicamente riassumere che nel sud d’Italia le casse
di risparmio sorsero per iniziativa pubblica (generalmente tramite l’intervento dei
17
Comuni) in primo luogo perché il tessuto economico era difficilmente in grado di
intervenire nella creazione di questi istituti, in secondo luogo perché fino a dopo
l’unificazione non si riscontrano se non con pochissime eccezioni casse di risparmio
nell’ex Regno delle due Sicilie, situazione che creava un forte ritardo colmabile
solamente dall’intervento pubblico. Nell’Italia centrale, al contrario, le casse di
risparmio sorsero spesso per iniziativa dei privati tramite la creazione di società
anonime 18. Nel nord dell’Italia, con la parziale esclusione delle aree sotto il dominio
asburgico almeno fino al 1866, l’iniziativa di fondazione delle casse di risparmio
17
Sulla nascita delle casse di risparmio nel meridione si vedano, F. P ILLITTERI, Credito e
risparmio nella Sicilia dell’unificazione, Palumbo, Palermo 1981; R. GIUFFRIDA, Il problema
dell’istituzione di Casse di risparmio in Sicilia nel periodo preunitario (1840-1860), tip.
Sciarrino, Palermo 1968; F. MASTRANGELO , La Cassa di risparmio del Banco di Napoli, 18621883, Arte tipografica, Napoli 1994; R. COLAP IETRA , Un secolo di vita di un istituto creditizio
meridionale: la cassa di risparmio dell’Aquila (1859-1960), libreria scientifica editrice, Napoli
1973; R.O. AMILCARE, Quasi un secolo di vita (1861-1953) della cassa di risparmio di
Calabria. Con breve premessa di cenni storici sulle origini e sviluppo delle casse di risparmio
ordinarie italiane, tip. Chiappetta, Cosenza 1955.
18
In generale sulle casse di risparmio nell’Italia centrale si vedano a titolo esemplificativo, G.B.
MORSIANI, Notizie storiche sulle casse di risparmio dell’Emilia, T ipografia compositori,
Bologna 1941; La Cassa di risparmio di Firenze nel 19° secolo: ricognizioni delle fonti
archivistiche e bibliografiche, a cura di E. BARLETTI e I. NAP OLI, Le Monnier, Firenze 2007; La
Cassa di risparmio di Firenze: breve compendio di una lunga storia, a cura di M. MAGINI,
Olschki, Firenze 1992; G. P AVANELLI, Dalla carità al credito: la Cassa di risparmio di Firenze
dalle origini alla I guerra mondiale, Giappichelli, Torino 1991; ID , Cosimo Ridolfi, i
‘campagnoli’ toscani e la cassa di risparmio di Firenze in periodo preunitario, in «Bollettino
storico pisano», 1984; A.B. TORRI, Le antiche istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza:
”mons pietatis et depositorum” di Roma, in «Nuova rassegna di legislazione, dottrina e
giurisprudenza», 1981, fasc. 19, pp. 1890-1892; M. BOLDRINI, Casse di risparmio e banche
popolari nelle Marche, tip. C. Ferrari, Venezia 1915; P. MANASSEI, Le casse di risparmio
dell’Umbria, uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze 1892.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
13
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
ricadde sugli istituti di beneficenza 19. In Piemonte prima dell’avvento dell’ordinamento
costituzionale le casse di risparmio non ebbero un grande sviluppo sia a causa del
“lento movimento degli affari ed il più lento sviluppo intellettuale delle masse” sia per
un “ambiente politico-amministrativo poco favorevole” 20, in un contesto di forte
concorrenza, come bene rifugio del risparmio, dei titoli del debito pubblico. Anche in
questo caso, come per la legislazione nazionale unitaria, si adottò la decisione di
estendere al nuovo Regno d’Italia l’ordinamento giuridico del Regno di Sardegna. La
legislazione preunitaria piemontese però non “regolava a priori … nello stretto senso
della parola le casse di risparmio” 21. L’unica norma specifica del settore era la legge del
31 dicembre 1851 che prevedeva per “le casse di risparmio attualmente esistenti, e
quelle che per l’avvenire verranno istituite” l’esenzione dal bollo per le attività
creditizie e da qualunque imposta per i crediti scritti sui libretti22. La motivazione di tali
immunità era, coerentemente con la legge sulle congregazioni di carità del 20 novembre
1859 seguita dal regolamento del 18 agosto 1860, conseguenza dell’impostazione
secondo la quale le casse di risparmio fossero da considerarsi una particolare forma di
opera pia.
La coincidenza della maggior parte delle casse di risparmio nate per iniziativa degli enti
religiosi con quei territori con una più antica e radicata tradizione liberale è un
fenomeno peculiare. Ci si potrebbe infatti aspettare che proprio quelle riforme che
portarono progressivamente ad una laicizzazione dello Stato non permettessero un
allargamento delle competenze degli enti religiosi nel settore del credito23.
19
Cfr. per il Piemonte anche N. VASSALLO, Dai monti di pietà alla nascita delle casse di
risparmio: il caso piemontese, in Le carte preziose: gli archivi delle banche nella realtà
nazionale e locale: le fonti, la ricerca, la gestione e le nuove tecnologie, a cura della ANAI, Atti
del Convegno tenuto a T rieste nel 1997; R. ALLIO , Iniziative economiche delle società di mutuo
soccorso piemontesi, in «Bollettino storico bibliografico subalpino», 1980, fasc. 1, pp. 179 –
221; A. CRESTADORO , Della organizzazione delle Casse di Risparmio, dei Monti di pietà e delle
Banche generali, tip. Mussano, Torino 1843; G.L. GRANERIS, Le strutture delle casse di
risparmio della provincia di Cuneo, con particolare riferimento alla Cassa di Risparmio di
Savigliano, tesi di Laurea in storia del diritto italiano, Università degli studi di T orino, relatore
M.E. VIORIA , anno accademico 1976/1977.
20
L. CARP I, Del credito op. cit., p. 208.
21
Ivi, p. 210.
22
Legge del 31 dicembre 1851, n. 1312 bis. Cfr. anche Atti del Parlamento subalpino, sessione
del 1851, vol. VII Eredi Botta, Firenze 1866.
23
Basti pensare alla legislazione eversiva, analizzata all’interno dell’evoluzione giuridico –
normativa provocata dagli interventi legislativi ad impronta liberale che coinvolsero e
sconvolsero profondamente i rapporti tra Stato e Chiesa. Le loro radici risalgono alla normativa
ottocentesca del Regno di Sardegna, su principi giurisdizionalisti che pongono le basi per la
legislazione del 1855, che riconosce allo Stato il potere di conservare la personalità giuridica
civile soltanto agli enti ecclesiastici le cui finalità religiose siano ritenute effettivamente utili e,
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
14
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
Prima di affrontare l’evoluzione legislativa delle casse di risparmio e per
meglio comprendere il rapporto che si crea tra il sistema economico del credito e le
organizzazioni di carattere religioso, i corpi morali ecclesiastici 24, è necessario un breve
cenno al contesto politico culturale degli anni di riferimento.
Le casse di risparmio così costituite non solo comportavano una anomalia nel
contesto di attrito tra élite liberale ed enti ecclesiastici (all’interno del più ampio
conflitto tra Stato e Chiesa), ma incidevano direttamente sulla conformazione dei
25
consigli e degli uffici di amministrazione delle medesime .
Il contesto politico in cui operavano le casse di risparmio, rappresentato dalle
relazioni tra il governo italiano e le organizzazioni religiose, era in genere tesissimo:
l’unificazione italiana e in particolare la presa di Roma resero spesso impossibile non
solo la collaborazione ma persino il dialogo, che peraltro già dagli anni cinquanta era
fortemente compromesso26. Appare quantomeno singolare quindi che in talune città il
perciò, meritevoli di tutela sulla base di una sua autonoma e discrezionale valutazione. La
legislazione eversiva si sviluppa, andando ad erodere i diritti ed i privilegi giuridici de gli enti
della Chiesa, lungo un arco di tempo di oltre mezzo secolo, dalla legge Rattazzi del 1855, o
secondo alcuni ancor prima, dalla legge sarda che espelle i Gesuiti dal Regno sardo (1848), alla
legge Crispi (1890) sulla beneficenza pubblica. Essa può dirsi una legislazione stratificata, o per
gradi progressivi, nella quale in corrispondenza con le impostazioni ideologico - politiche dei
governi liberali, aumentano sempre più le disposizioni soppressive. Cfr. A. FERRARI, La politica
ecclesiastica dell’Italia post-unitaria: un modello post-Westphaliano, in «Stato, Chiese e
pluralismo confessionale», 2013; M. TEDESCHI, Lo svolgimento legislativo in materia
ecclesiastica nell’Italia post-unitaria, in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 2010; P.
GROSSI, Il diritto nella storia dell’Italia unita, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012; G.
OLIVERO , Gli acquisti degli enti ecclesiastici nel diritto italiano, Milano, Giuffrè 1946; A.C.
JEMOLO , Chiesa e Stato negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1963.
24
L’articolo 2 del codice civile italiano del 1865 prevedeva che: “I comuni, le province, gli
istituti pubblici civili od ecclesiastici, ed in genere tutti i corpi morali legalmente riconosciuti,
sono considerati come persone, e godono dei diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati
come diritto pubblico”. Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche o corpi morali,
Firenze, F. lli Cammelli, UTET , 1889 – 1902, in particolare vol. V, parte speciale, Le istituzioni
e le associazioni pubbliche civili, le istituzioni pubbliche di beneficenza, personalità giuridica
nelle opere pie proprie e nelle improprie, nelle istituzioni scolastiche, nelle istituzioni di credito,
di risparmio e di previdenza e nei consorzi, 1901, pp. 472 - 479.
25
Infatti gli enti fondatori potevano indicare dei componenti degli organi di amministrazione
della cassa di risparmio, venendosi così a formare dei consigli misti di membri indicati dai
municipi e da istituti pii contemporaneamente.
26
Prima dell’unificazione la cosiddetta politica del ‘connubio’ “ una prudente e accorta fusione
fra i nobili di mentalità liberale e l’ala moderata della borghesia piemontese” da parte di Cavour,
con l’avvio di una serie di riforme in senso liberale, aveva creato un’ostilità verso i vertici della
Chiesa in Piemonte tale da culminare nell’arresto dell’arcivescovo di T orino. Cfr. A.L.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
15
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
capitale necessario per la fondazione di una cassa di risparmio nascesse da una
collaborazione tra il comune e i locali istituti religiosi 27.
Ci si è chiesti se le casse di risparmio così costituite potessero rientrare nella più
amplia categoria delle opere pie o dovessero essere considerate società commerciali. I
principali riferimenti normativi per poter inquadrare il problema sono: la legge sulle
28
opere pie del 3 agosto 1862, n. 763 , la legge organica delle casse di risparmio del 15
luglio 1888, n. 5546 e la legge Crispi sugli istituti pubblici di assistenza e beneficenza
del 1890, n. 697229. Il problema, lungi dall’essere solamente teorico, aveva almeno tre
rilevanti conseguenze: nel garantire l’autonomia di tali istituti dal potere statale, nella
gestione amministrativa di competenza ministeriale di controllo delle casse di risparmio,
infine nella applicazione della tassazione 30.
Tali enti infatti, se considerati ecclesiastici dovevano essere sottoposti a controlli
ed autorizzazioni da parte di organi dello Stato a questo preposti appositamente e
previsti dalla legislazione eversiva (quali il M inistero dell’Interno, il Consiglio di Stato
ed il Fondo per il culto), con grandi limitazioni sia per l’incremento del patrimonio, in
particolare immobiliare, sia per la stessa costituzione della personalità giuridica 31. La
CARDOZA , Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell’Italia liberale, Donzelli,
Roma 1999, p. 53. Più in generale sul periodo di riferimento si vedano F. DE GREGORIO , La
legislazione sardo-piemontese e la reazione cattolica (1848-1861). Con particolare riferimento
al dibattito parlamentare, Rubettino Soveria Mannelli 1999 e R. ROMEO , Cavour e il suo
tempo, Laterza, Roma - Bari 1977.
27
Si veda ad esempio le casse di risparmio a Vercelli e Novara.
28
Cfr. G.D. T IEP OLO , Leggi ecclesiastiche annotate, Unione tipografico – editrice, Torino 1881.
29
La legge Crispi mirava a portare “ sotto controllo pubblico le opere pie e a operare d’autorità
una loro razionalizzazione con il dichiarato scopo di concentrare ogni specifica funzione
assistenziale in un unico ente per comune”. Cfr. D. ROBOTTI e S. I NAUDI, Carità, beneficenza,
assistenza. L’azione sociale del San Paolo tra privato e pubblico (1853-1991), in La
Compagnia di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A. CANTALUPP I, vol. II, Einaudi,
Torino 2013, p. 378. Più in generale si veda S. D’AMELIO, La beneficenza nel diritto italiano:
storia delle leggi, testi delle leggi vigenti coordinati ed unificati, glossa, tip. delle Mantellate,
Roma 1928 e soprattutto A. MAGNANI, Le istituzioni pubbliche di beneficenza: commento alla
legge 17 luglio 1890, n. 6972, Roux e Viarengo, T orino 1900.
30
“La controversia sul carattere delle Casse di risparmio non è una controversia soltanto teorica,
poiché la varia soluzione che ad essa si dia influisce” nel rapporto tra politica ed economia. Cfr.
P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano, vol. VII, p. 20.
31
Cfr. G. FRANCESE, Personalità giuridica della Chiesa cattolica, Pierro, Napoli 1904; F.
RUFFINI, Sulla teoria delle persone giuridiche, Società Editrice Libraria, Milano 1899. Ma
anche C. VIVANTE , La personalità giuridica delle società commerciali, in «Rivista di diritto
commerciale industriale e marittimo», 1903; V. SINAGRA , La natura giuridica delle Casse di
risparmio, Athenaeum, Roma 1926. Il tema è ancora oggi oggetto di studio cfr. G.M. SARACCO,
L’evoluzione della natura giuridica delle casse di risparmio e l’acquisizione del carattere di
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
16
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
legislazione, invero, aveva dato allo Stato il potere di concedere e di riconoscere la
personalità giuridica dei corpi morali dei singoli enti religiosi oltre che il potere di
destinazione dei beni che ad essi appartenevano. In particolare, con le due leggi emanate
nel 1866 e nel 1867 era stata disposta la soppressione generalizzata degli enti
ecclesiastici con il conseguente passaggio allo Stato dei beni, prevalentemente
immobiliari, e la vendita di questi a prezzi vantaggiosi per poter da un lato incamerare
velocemente liquidità nelle esangui casse dello Stato, dall’altro per garantire un’efficace
32
mobilità e circolazione di tali beni . Al contrario se le casse di risparmio fossero state
considerate enti commerciali tutta la legislazione eversiva non sarebbe stata
applicabile 33.
Inoltre, per quanto concerne le competenze di gestione tra il M inistero
dell’Interno e dell’A gricoltura, dell’Industria e del Commercio regnava la più completa
confusione. Come detto la legislazione preunitaria sarda considerava le casse di
risparmio ricomprese nella categoria delle opere pie e pertanto prevedeva che la loro
vigilanza spettasse al M inistero dell’Interno. Poco dopo l’unificazione il 26 gennaio
1862 tramite un regio decreto34 si demandava la vigilanza di tali istituti al M inistero
dell’A gricoltura, Industria e Commercio. Pochi mesi dopo, sempre con un decreto35, si
conferì nuovamente la vigilanza al M inistero dell’Interno in attesa di un riordino
complessivo del settore. Quest’ultima disposizione aveva però inserito un’ulteriore
complicazione, in quanto si distingueva la competenza tra Interno e Agricoltura a
seconda dell’origine della cassa infatti se “mantenute da Opere Pie … dipenderanno
d’ora in poi dal M inistero dell’Interno” se invece ‘d’indole diversa’ continueranno a
dipendere dal M inistero dell’Agricoltura. Una legge organica sulle casse di risparmio,
nel complesso quinquennio postunitario, tardava ad essere approvata, tanto che nel 1864
veniva emesso un regio decreto che esplicitava definitivamente “da quali ministeri
dipendano le Casse di risparmio, i M onti frumentari e quelli di Pietà o di Pignorazione”
36
. L’articolo 1 prevedeva che i M onti di qualsiasi tipo dipendessero dal M inistero
dell’Interno mentre dipendevano dal M inistero di A gricoltura, Industria e Commercio
“tutte indistintamente le Casse di risparmio”. A ciò si aggiungeva una circolare del
enti pubblici, in «Il Foro amministrativo», 1986, fasc. 11, pp. 2617-2628; V. DEL GIUDICE,
Manuale di diritto ecclesiastico, Milano Giuffrè 1970.
32
Cfr. Legge 7 luglio 1866, n. 3096 e Legge 15 agosto 1867, n. 3848.
33
Cfr. S. MOZZARELLA , Appunti a proposito dei controlli esercitati sulle casse di risparmio
prima della legge 15 luglio 1888, n. 5546, in «Rivista del diritto commerciale e del diritto
generale delle obbligazioni», 1971, fasc. 5-6, pp. 211-221.
34
R.D. del 26 gennaio 1862, n. 449, “ Le Casse di risparmio e i Monti frumentari e di pietà che
… erano posti sotto la dipendenza del Ministero dell’Interno, dipenderanno quind’innanzi da
quello di Agricoltura”, in Celerifera, 1862, pp. 296 - 297.
35
R.D. del 21 aprile 1862, n. 592, in Celerifera, 1862, pp. 984 - 985.
36
R.D. del 21 settembre 1864, n. 1911.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
17
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
M inistero dell’Interno ai Prefetti che esplicitava la motivazione di tale scelta “le Casse
di risparmio, benché erette con uno scopo benefico, non possono venir giudicate come
Opere Pie … debbono ritenersi quali vere istituzioni di credito, e perciò devolute alla
competenza del M inistero”37.
La legge del 1862 definiva le opere pie come quegli “istituti di carità e di
beneficenza … aventi in tutto o in parte il fine di soccorrere alle classi meno agiate” e di
prestare assistenza, educazione ed istruzione; come detto precedentemente le casse di
risparmio sono “istituti di natura essenzialmente benefica aventi lo scopo di raccogliere,
custodire e investire i risparmi minimi delle classi meno fortunate della popolazione
costituendo loro gradatamente dei capitali”. Il dibattito si esaurisce nel capire se la
prima definizione contiene la seconda 38.
La dottrina dell’epoca sul punto non era unanime: anche se ormai si era
sostanzialmente concordi nel superare l’impostazione per cui le casse di risparmio
fossero da considerarsi una sotto categoria degli enti ecclesiastici, il dibattito continuava
sulla definizione giuridica di questi enti39. Il Giorgi pur considerando “che in questo
stato di cose la risoluzione della questione non dovrebbe essere assoluta, ma dipendente
dall’esame degli Statuti”40 vagliando quindi caso per caso e constatando che la volontà
del legislatore si era palesata sottoponendo le casse di risparmio alla vigilanza del
M inistero d’Agricoltura e dimostrando così di considerare le casse di risparmio come
enti commerciali piuttosto che civili, infine sosteneva che questi “enti misti di
previdenza e di credito veramente assumono il carattere commerciale” 41 se, come è
noto, compiono atti di commercio. Della stessa idea anche il Pettini, il Vidari, il
42
Bruschettini ; dissentiva, però, Papa D’Amico che le considerava invece enti di diritto
37
Circolare, Div. VI, del Ministero dell’Interno ai Prefetti del 21 settembre 1864.
Preliminarmente può essere utile distinguere la cassa di risparmio dall’ente fondatore: a tal
proposito “occorre anzitutto tenere ben distinte le Casse dagli enti morali che diedero loro vita
… se un opera pia … raccoglie depositi a risparmio non è per ciò soltanto che prende esistenza
una vera Cassa di risparmio”. Cfr. P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano,
vol. VII, p. 18.
39
Negli stessi anni il Ferrero Gola già precisava: “ Gli è tempo di proclamarlo recisamente: Le
Casse di Risparmio debbono essere considerate nel loro scopo come opere eminentemente
benefiche, come Opere Pie fra le più sublimi, se così piace chiamarle; ma nelle loro operazioni
debbono pur essere tenute siccome istituzioni di credito fra le più potenti” A. FERRERO GOLA,
Le Casse di Risparmio op. cit., p. 9.
40
Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche op. cit., p. 479.
41
Ivi, p. 479.
42
Cfr. M. PETTINI, Nuove considerazioni sul carattere commerciale delle casse di risparmio
secondo il diritto positivo italiano, Unione T ipografica editrice, Torino 1905, già in parte edito
in ID , Perché le casse di risparmio debbono, secondo il diritto positivo italiano considerarsi enti
commerciali, estratto da «Giurisprudenza italiana», T orino 1094, in particolare pp. 55 – 71; Cfr.
38
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
civile regolate dall’articolo 2 del Codice in quanto per la qualità di commerciante non
era sufficiente “l’esercizio di atti di commercio … occorre … la professione abituale”
che secondo i più autorevoli trattatisti si esercita quando “si cerca una fonte stabile di
guadagno” 43. Avendo le casse di risparmio il divieto di fruire degli utili e svolgendo
un’attività “non nell’interesse proprio ma dei deponenti” si potrebbe escludere che
trattasi di enti di commercio 44, opinione condivisa anche dal Di Nola, dal Supino e dallo
Sraffa 45.
Quest’ultima interpretazione fu anche accolta dalla giurisprudenza: “dopo
lunghe controversie e giudicati contradditori la Cassazione di Roma con sentenza del 30
luglio 1887 non riconosceva nelle Casse di risparmio né i caratteri delle opere pie, né
quelli dell’Istituto di credito” sostenendo invece che esse potessero inquadrarsi in quegli
“enti morali…di cui discorre l’art. 2 del cod. civ.” 46.
Il parlamento tentò di superare il problema con l’introduzione della nota legge n.
5546 del 1888, denominata legge di riordino delle casse di risparmio. In primo luogo si
definiva che “gli istituti che si propongono di raccogliere i depositi a titolo di risparmio
… qualunque sia la natura dell’ente fondatore, acquistino la personalità giuridica e il
titolo di casse di risparmio” 47. La necessità di esplicitare l’indifferenza della natura
dell’ente fondatore si era palesata nella legislazione e nella dottrina: “questa diversità
nelle origini e nelle modalità del fine comune a cui attendono, spiega le incertezze
continue sulla natura delle Casse di risparmio non solo nella dottrina e nella
giurisprudenza ma perfino nelle leggi” 48 ed anche nella giurisprudenza “quantunque le
casse di risparmio in Italia nella loro origine si considerassero come istituti di
beneficenza sia perché fondate e dirette da Opere Pie già esistenti, per educare alla
previdenza e alle economie le classi più povere … è pero oggi, per lo sviluppo che
hanno preso, per il genere di operazioni che fanno, per i capitali che amministrano, non
49
possono più ritenersi come Opere Pie” . L’articolo 4 definiva la precisa volontà di
E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, vol. II, Hoepli, Milano 1894; A. BRUSCHETTINI, Le
casse di risparmio e il codice di commercio, in «Archivio giuridico Filippo Serafini», vol. LXI,
1898.
43
Cfr. L. PAP A D’AMICO , Le casse di risparmio sono enti commerciali?, in «Il diritto
commerciale rivista periodica e critica di giurisprudenza e legislazione», 1895, pp. 800 – 814;
C. VIVANTE , Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, Torino 1893, vol. I.
44
Cfr. L. P APA D’AMICO, Le casse op. cit., pp. 801 - 802.
45
Cfr. D. SUP INO , Istituzioni di diritto commerciale, Barbera, Firenze 1897; A. SRAFFA , Il
fallimento delle società commerciali, Fratelli Cammelli, Firenze 1897; A. DI NOLA , Le Casse di
risparmio non sono enti commerciali, in «Rivista di diritto commerciale», 1906.
46
Cfr. F. FLORA, Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 639.
47
Cfr. articolo 1, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888.
48
Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche op. cit., pp. 472 - 473.
49
Cfr. Consiglio di Stato, sez. int., parere del 29 luglio 1869, in La legge, 1870, p. 9.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
19
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
separare le opere pie dalle casse di risparmio: quest’ultime infatti se “fondate da
istituzioni di beneficenza, o da altri corpi morali o col loro concorso, debbono
costituirsi con patrimonio separato e amministrazione distinta da quelli dell’istituto
fondatore”50. Un’ulteriore limitazione che deriva dalla legislazione sulle opere pie è
contenuta nell’articolo 15, riguardante i beni immobili. Non volendo che le casse di
risparmio costituissero nuovi e dannosi patrimoni di manomorta così faticosamente
soppressi negli anni precedenti, si prescriveva che “le casse di risparmio … non possano
acquistare altri beni stabili oltre quelli necessari in tutto od in parte per risiedervi coi
loro uffici” e che anche quando questi beni fossero comunque stati acquisiti (ad esempio
come pagamento ipotecario di crediti non esigibili), le casse “debbono vendere nel
termine non maggiore di dieci anni gli stabili” 51. Infine l’articolo 23 esplicitamente
stabiliva la competenza del M inistero di Agricoltura, Industria e Commercio come
soggetto vigilante delle casse di risparmio. Dopo l’emanazione di questa legge parrebbe
quindi potersi intendere che le casse di risparmio non potessero essere più equiparabile
alle opere pie.
Tale legislazione creava anche in giurisprudenza un conflitto ed una
disomogenea classificazione di tali istituti. Sul tema vi sono alcuni studi su singoli ed
eclatanti casi quali quello della Cassa di Risparmio di Bologna e quella di Ravenna 52.
Infatti prima della legge del 1888 regnava “nella giurisprudenza ed anche nella dottrina
un’incertezza su la vera indole economica e giuridica delle casse di risparmio” 53. Il
Consiglio di Stato prima e la legge poi invece indicavano che “le casse di risparmio non
sono enti commerciali ma enti morali sui generis aventi il carattere di risparmio e di
54
previdenza” . Nella stessa commissione parlamentare per il disegno di legge presentato
dal M inistro di Agricoltura, Industria e Commercio sulle casse di risparmio nella tornata
del 7 marzo 1888 l’onorevole Zucconi precisava che “col presente disegno di legge
abbiamo definito ottimamente le casse di risparmio come istituti in parte di beneficenza
e in parte di previdenza, dopo che noi, con tutte le disposizioni di questa legge tendiamo
a togliere il minimo dubbio, che essi non abbiano affatto nei loro intenti il lucro, ma
50
Cfr. articolo 4, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888.
Cfr. articolo 15, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888. Il tema è oggi di fortissima attualità, in un
sistema bancario in forte crisi che si ritrova in possesso di migliaia di immobili e/o di
partecipazioni azionari per crediti non più esigibili che possono creare delle deformazioni dei
bilanci degli istituti di credito. Cfr. F. FLORA , Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia
Giuridica Italiana, p. 641.
52
Cfr. P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano, vol. VII, in particolare i
paragrafi 16 - 22, pp. 20 - 26; A. VARNI, Storia della Cassa di Risparmio in Bologna, Laterza,
Roma 1998; A. VARNI – C. GIOVANNINI, Storia della Cassa di Risparmio di Ravenna, Laterza,
Roma 2000.
53
Cfr. L. P APA D’AMICO, Le casse op. cit., pp. 802 – 803.
54
Ibidem.
51
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
20
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
solo il vantaggio dell’umanità e l’impulso del risparmio, dubito che i tribunali possano
approvare, che siano applicabili alle casse di risparmio quei benefizii, che noi
attribuiamo alle società di commercio autentiche” 55. Ad esso si aggiungeva il ministro
Grimaldi che evidenziava come l’intento del disegno di legge fosse quello di “fare delle
casse di risparmio enti sui generis … la definizione l’abbiamo messa nell’articolo
primo, per denotare il carattere di questi enti … se altri vorranno paragonarle a società
commerciali, se altri vorranno paragonarle ad opere pie tradiranno certamente il
56
concetto del legislatore” . Il dilemma era lungi dall’essere risolto: infatti oltre alle note
sentenze sulle casse di risparmio dell’Italia centrale, ancora nei primi anni del XX
secolo le corti d’Appello e di Cassazione si ritrovavano a giudicare ricorsi in merito alla
natura delle casse di risparmio. La giurisprudenza prima e dopo la legge del 1888 “si era
nella grande maggioranza delle sentenze dichiarata avversa all’opinione che ravvisava
nei nostri istituti la natura di enti commerciali; ma non aveva dal canto suo mostrato
pari conformità di idee quanto alla loro definizione positiva”57.
Il punto sostanziale che spingeva le casse di risparmio innanzi alle corti di
giustizia era il tentativo di vedere applicata una legislazione fiscale più favorevole, in
particolare con riferimento alla tassa di manomorta e all’imposta di bollo 58. Sulle
conseguenze dell’applicazione giurisprudenziale in Piemonte si possono evidenziare tre
esempi: la Cassa di Risparmio di Vercelli 59, la Cassa di Risparmio d’Ivrea60 e la Cassa
di Risparmio di Torino 61. Per avere una più precisa idea di quali e quante furono e di
55
Atti del Parlamento italiano, discussioni, legislatura XVI, sessione II, tornata del 7 marzo
1888, p. 1211.
56
Ivi, pp. 1212 - 1213.
57
Cfr. G. INGROSSO , Voce Cassa di risparmio, op. cit., p. 1022.
58
Cfr. Testo unico delle leggi sulle tasse di registro; Testo unico delle leggi sulle tasse di bollo,
e su quelle in surrogazione alle due tasse di bollo e registro; Testo unico delle leggi per le tasse
sui redditi dei corpi morali e stabilimenti di mano-morta, del 13 settembre 1874. Si veda anche
il Testo unico di legge per l’imposta mobile, del 24 agosto 1877, in particolare gli artt. 3, 60 e
61.
59
Cfr. Regolamento per la istituzione ed amministrazione di una Cassa di risparmio. Città di
Vercelli, tipografia Guglielmoni, Vercelli 1851.
60
Cfr. Cassa di risparmio Ivrea: Statuto, tip. Garda, Ivrea 1890.
61
Cfr. Cassa di risparmio di Torino: Statuto, Eredi Botta, Torino 1891; Notizie storiche e
statistiche dalla fondazione al 1900. Cassa di risparmio di Torino, raccolte per incarico del
Consiglio di amministrazione da Franco Franchi, Paravia, Torino 1900; Testo unico dello
statuto della cassa di risparmio di Torino deliberato dal Consiglio d’Amministrazione in seduta
3 marzo 1904, Eredi Botta, Torino 19004; Relazione della cassa di risparmio di Torino sulla
proposta delle casse di risparmio di Cesena, Genova, Ivrea, Narni, Ravenna e Velletri circa
l’applicazione alle casse di risparmio della tassa di manomorta, Eredi Botta, Torino 1911; La
Cassa di Risparmio di Torino nel suo primo centenario: 4 luglio 1827 – 4 luglio 1927,
prefazione del presidente Alberto Geisser, ST EN, Torino 1927; G. P RATO, Risparmio e credito
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
21
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
come siano nate le varie casse di risparmio uno strumento utile sono le Statistiche del
Regno d’Italia, che regione per regione indicano le origini delle casse, l’impiego dei
capitali ed altri utili indicazioni su come le casse di risparmio fossero organizzate62.
Queste casse di risparmio si auto-dichiaravano enti di beneficenza per poter
beneficiare di una tassazione agevolata in confronto a quella prevista per gli istituti di
credito. In questo modo, si concretizzava una forma di elusione fiscale da parte di tali
enti ormai sostanzialmente lontani dal mondo della beneficenza, ma formalmente o
statutariamente ancora collegabili ad esso. Il fenomeno più classico del mascheramento
degli enti ecclesiastici in altre categorie di persone giuridiche, tipico della seconda metà
dell’Ottocento e finalizzato a sfuggire all’applicazione della legislazione eversiva
dell’asse ecclesiastico che sopprimeva gli enti di culto, era totalmente ribaltato. Nel
Novecento ormai il conflitto Stato – Chiesa si stava assopendo, mentre invece stava
emergendo con forza l’importanza del mondo del credito, portando così a questa curiosa
inversione delle parti.
Le tre sentenze esaminate sono particolarmente interessanti perché provenienti
dalla medesima giurisdizione della corte d’Appello di Torino, per i loro opposti esiti
(benché si affrontasse il medesimo quesito) ma soprattutto per il periodo in cui vengono
emanate (1904 - 1911).
La sentenza della corte d’Appello di Torino del 30 giugno 1903, confermata
dalla corte di Cassazione di Roma il 1 marzo 1904, riguardava il ricorso della Cassa di
risparmio di Vercelli che sosteneva di poter essere qualificata come ente o istituto di
pubblica beneficenza, e in questo modo poter chiedere di far applicare la tassa di
manomorta con la riduzione stabilita per gli istituti di carità e di beneficenza prevista
in Piemonte nell’avvento dell’economia moderna, in La Cassa di Risparmio di Torino nel suo
primo centenario op. Cit.; G. FENOGLIO , La Cassa di risparmio di Torino nei suoi primi cento
anni di vita, in La Cassa di Risparmio di Torino nel suo primo centenario op. Cit.; P.
JANNACONE , Cent’anni di vita della Cassa di Risparmio di Torino, fratelli Pozzo, Torino 1927;
L. FIGLIOLIA , Centocinquant’anni della Cassa di risparmio di Torino, 1827-1977, Cassa di
risparmio di Torino, Torino 1981.
62
Ad esempio nel triennio 1870-72 nella provincia di Alessandria vi erano tre casse di risparmio
nate da società anonime ed una, quella di Novi Ligure, fondata con la fondamentale
partecipazione del Comune. I monti di pietà avevano fondato le casse di risparmio a Casale,
Pinerolo e in tutta la provincia di Cuneo. A Torino la cassa di risparmio era stata istituita dal
Comune mentre quelle di Novara e Vercelli in una collaborazione tra i monti di pietà, altri enti
ecclesiastici e i comuni. Infine la cassa di risparmio di Biella venne fondata dal Vescovo. Cfr.
Casse di Risparmio in Italia ed all’estero, in Statistiche del Regno d’Italia, T ipografica
Cenniniana, Roma 1875, p. XVI; Storia delle casse di risparmio e della loro associazione 18221950, op. cit., pp. 9 - 10.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
22
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
dall’ultimo comma dell’articolo 3 della legge 13 settembre 187463. Se infatti non vi
poteva essere alcun dubbio circa l’applicazione della tassa di manomorta come
specificato dall’articolo 1 (i “corpi ed enti morali sono assoggettati ad un’annua tassa
proporzionale alla rendita … di tutti i beni mobili od immobili”) rimanevano esclusi
solamente “le società commerciali ed industriali, di credito o di assicurazione” in cui le
casse di risparmio non potevano essere ricomprese. Sanciva infatti la Suprema corte,
che “Sta indubitabilmente che la tassa di manomorta sostituisce quella di successione
rispetto ai patrimoni di enti morali o stabilimenti pubblici aventi perpetuità di
destinazione; ond’è incoccusso che le casse di risparmio, le quali sono state riconosciute
e riorganizzate dalla vigente legislazione … qualunque ne fosse la primitiva origine,
64
devono essere sottoposte a questa tassa” .
Il conflitto giurisprudenziale si basava sull’interpreta-zione dell’articolo 3, che
prevedeva due tassi si applicazione: il quattro per cento in via ordinaria per tutti gli enti
morali e lo zero-cinque per cento in via straordinaria per gli istituti di carità e
beneficenza65. Perché la cassa di risparmio si potesse definire un istituto ricompreso
dalla legge del 1890 era necessario dimostrare che effettivamente compisse delle attività
di beneficenze o di carità. Sul punto la corte precisava che nonostante si “possono
verificare, nell’esercizio di una cassa di risparmio, avanzi di rendite nette” previste dalla
legge del 1888 e che la decima parte di esse “possa essere assegnato ad opere di
beneficenza o di pubblica utilità, o ad incremento dell’istituto da cui fosse derivata la
fondazione di una cassa di risparmio … la effettuazione di opere di beneficenza
costituisce una mera accidentalità, una funzione secondaria e contingente, lodevole
senza dubbio, ma tanto poco ricorrente da poter essere posposta a giudizio dei suoi
66
amministratori” . La corte aveva inoltre specificato l’irrilevanza dell’origine della
fondazione se, come nel caso in questione, avessero contribuito anche enti ecclesiastici
poiché oltre che espressamente specificato nel primo articolo della legge del 1888, la
stessa indole di queste istituzioni si era mutata nel tempo: “l’origine degli istituti di
risparmio fu realmente ispirata da scopo caritatevole, in vista di un soccorso preventivo
alle classi lavoratrici, eccitando in esse le virtù della previdenza e della buona condotta,
col raccoglierne e renderne fruttiferi i piccoli risparmi”. Peraltro da allora si era
realizzata una decisiva metamorfosi di tali enti, ed infatti si affermava che “questa
trasformazione ... è un fatto certo ed indiscusso; esse sono oggidì importanti
organizzazioni finanziarie ... tanto che poté nascere il dubbio se dovessero essere
63
La pretesa della Cassa di risparmio di Vercelli era stata rigettata anche in primo grado. Cfr.
Cassa di Risparmio di Vercelli – Finanza, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I,
Cassazione civile, 1904, pp. 319 – 322.
64
Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 320.
65
Sulla le gge Crispi si veda la nota 29.
66
Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 321.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
23
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
classificate fra gli istituti commerciali” 67. La difesa della Cassa di risparmio di Vercelli
aveva cercato di associare il proprio operato a quello degli enti di beneficenza,
sottolineando come avesse previsto agevolazioni per i piccoli risparmiatori, ma anche
questo argomento fu respinto dai giudici: “invano la ricorrente tenta fissare queste
tracce nelle agevolazioni consentite dal proprio statuto ai piccoli risparmiatori
68
corrispondendo ad essi un interesse di favore” . Sulla definizione di ente di beneficenza
la corte di Cassazione spiegava come fosse previsto dai primi due articoli delle legge
Crispi del 1890 “il concetto che la beneficenza pubblica è costituita da opere di
assistenza curativa del pauperismo ... ma ... è escluso, con altrettanta precisione, che
facciano parte della beneficenza le opere di assistenza puramente preventiva,
menzionandosi appunto fra gli istituti eccettuati ... quelli di risparmio” 69.
La sentenza del 12 marzo 1907 pronunciata dalla corte di Cassazione di Roma
confermava la sentenza d’Appello di Torino, tra la Cassa di Risparmio d’Ivrea ed il
M inistero delle Finanze 70. Il conflitto si trascinava da molti anni (la prima sentenza in
merito era del 1898) e si concretizzava nel medesimo problema, ossia sull’indice di
applicazione della tassa di manomorta. Il conflitto in questione partiva da un ricorso
dell’ammini-strazione demaniale, ed in particolare del ricevitore del registro d’Ivrea che
pretendeva della cassa di risparmio l’applicazione del 4 per cento sugli utili. Gli
amministratori avevano invece pagato la tassa nella percentuale ridotta per il triennio
1902-1904 in forza di una sentenza della corte d’Appello di Torino che aveva definito la
cassa come ente di beneficenza è quindi sottoposta all’articolo 3 della legge del 1874 71.
Non potendo l’amministrazione delle finanze riproporre il medesimo ricorso, si
sosteneva che “nelle tasse, come nella manomorta, soggette a periodici accertamenti, la
tassazione accertata per ciascun periodo, costituisce un’entità giuridica per sé stante”
72
non essendovi così l’identità del petitum . La corte, specificando che “nel 1898 si
disputò precisamente sulla natura giuridica della Cassa di Risparmio d’Ivrea” e che
l’Amministrazione non poteva far valere la variazione del triennio finanziario, rigettava
il ricorso perché fondato su un giudicato. Si precisava infatti che quando per una tassa
“la variazione dipenda da qualifica dell’ente gravato ...e che in ordine alla stessa sorge
da una statuizione giudiziaria ed ha acquistato forza di cosa giudicata, e senza addurre
67
Ibidem.
Ibidem.
69
Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 322. In realtà la legge si limita a dire che nulla
è innovato in merito agli istituti di risparmio, lasciano più di qualche dubbio sia sulla volontà
del legislatore, sia sull’inter-pretazione letterale della norma.
70
Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio d’Ivrea, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I,
Cassazione civile, 1907, pp. 532 – 535.
71
Corte d’Appello di T orino, 4 febbraio 1898.
72
Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio d’Ivrea op. cit., p. 533.
68
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
fatti che possono successivamente aver contribuito a modificare quella qualifica” 73
non si potesse più ulteriormente giudicare.
Quello che non era riuscito all’amministrazione finanzia per la Cassa di
risparmio d’Ivrea nel 1907 invece riuscì con la Cassa di risparmio di Torino nel 1911.
Con un ricorso in Cassazione deciso il 20 luglio 1911 il M inistero delle Finanze si
opponeva ad una sentenza della corte d’Appello di Torino che aveva concesso alla
Cassa di Risparmio del capoluogo piemontese il beneficio di poter pagare la tassa di
74
manomorta nella misura ridotta . La Suprema corte, pur consapevole di due precedenti
giudicati, risalenti al 1907, riteneva però possibile valutare la questione sostenendo che
“non possa né debba limitarsi l’investigazione alla sola ricerca della finalità che
presiede all’istituto della cassa di risparmio torinese, posto che una finalità siffatta,
quella cioè, di procurare un benefizio al prossimo per mero senso di umanità e di spirito
di beneficenza: ma che debba, invece, l’indagine rivolgersi a riguardare, oltre lo scopo,
il modo di essere e di operare dell’ente stesso, quali sono rivelati dalle tavole
statutarie”75. Tra le sentenze passate in giudicato nel 1907, basate sullo statuto del 1891,
e il periodo della causa in oggetto vi erano state due modifiche statutarie rispettivamente
nel 1904 e nel 1906. Naturalmente la sola modifica statutaria in quanto tale non è
sufficiente per modificare la natura giuridica di un ente, in quanto occorre altresì che le
modifiche siano rilevanti e significative. Infatti “quando si modifica la costituzione
organica (e nel modo praticato dai nuovi statuti) di un ente, perché il medesimo
circondato di più opportune garanzie potesse intendere all’applicazione del più vasto
programma a sé prefisso ed avere modo di sviluppare l’accresciuta importanza degli
affari non sia possibile ritenere che nulla sia cambiato nella struttura caratteristica
76
dell’istituto” . In conclusione la Corte romana, cassando la sentenza d’Appello
favorevole alla cassa di risparmio sanciva che “non possa invocarsi la cosa giudicata
sulla natura di una cassa di risparmio, ai fini dell’applicazione della tassa di manomorta
... quando siano state introdotte nello statuto ... tali modificazioni da farne ritener mutata
la struttura e l’oggetto”77 e conseguentemente imponeva l’applicazione della tassa nella
misura piena del quattro per cento.
La legge Crispi del 1890 per il riordinamento delle opere pie, che nella sua
applicazione aveva sollevato tanti problemi quante promesse di rinnovamento in un
settore che colpito dalla legislazione eversiva, necessitava di un riordino complessivo.
Tale innovazione normativa, che aveva coinvolto solo incidentalmente il dibattito
73
Ivi, pp. 534 - 535.
Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio di Torino, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I,
Cassazione civile, 1911, pp. 1128 - 1131.
75
Ivi, pp. 1128 - 1129.
76
Ibidem, corsivo così nel testo.
77
Ibidem.
74
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
25
STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
dottrinario, era invece rilevante per l’applicazione pratica del diritto, considerato che
sia le parti processuali che la magistratura ne avevano visto gli stretti collegamenti con
la legge del 1874 sulla tassa di manomorta, con una conseguente incertezza
interpretativa che non si risolse fino agli anni del fascismo 78.
In conclusione, si può sostenere che non vi fosse una certezza della collocazione
di tali enti che per cinquant’anni e più stettero sul crinale di una montagna guardando
ora in una direzione ora in un’altra a seconda della maggior convenienza, aiutati da una
legislazione ambigua applicata difformemente sul territorio nazionale 79.
Negli anni del regime fascista vi fu una sostanziale parificazione - quanto a
strumenti economici, finanziari e di credito - delle casse di risparmio con gli altri istituti
di credito80. Con la nota legge n. 218 del 1990 (c.d. “Legge Amato) si è proceduto allo
scorporo delle fondazioni di origine bancaria che hanno conservato la funzione di
assistenza, di redistribuzione territoriale della ricchezza e, diremmo oggi, di welfare,
dagli istituti di credito aventi funzione di custodia e tutela del risparmio81. Questa
operazione ha certamente portato maggiore certezza nelle diverse funzioni di tali enti,
superando quell’ambiguità che ormai perdurava da oltre un secolo. Se ciò corrisponde a
realtà sul piano delle definizioni giuridiche, tale chiarezza si fa meno netta sul piano
politico e di governance. Infatti, troppo spesso ancora oggi assistiamo ad una
commistione tra gli organi di governo (consigli di amministrazione) delle fondazioni e
delle banche i cui membri periodicamente passano da un incarico all’altro, e al
contempo vi è, grazie alla proprietà dei pacchetti azionari da parte delle prime, un
legame con e le banche, che ci fa comprendere che tale separazione non si è ancora del
tutto compiuta. Già più di centocinquant’anni fa, come oggi, ci si poneva il problema di
78
Si vedano su questo le discussioni parlamentari sulla legge del 1890 pubblicate sulla
«Giurisprudenza italiana», negli anni immediatamente precedenti l’approvazione. Cfr. Progetto
di legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza presentato dal Presidente del Consiglio,
Ministro dell’Interno Crispi nella tornata del 23 dicembre 1889, in «Giurisprudenza italiana»,
parte IV, questioni teorico-pratiche, 1889, pp. 367 – 384 e sopratutto l’intervento del relatore G.
COSTA il 10 aprile 1890, in Senato sul Progetto di legge sulle istituzioni pubbliche di
beneficenza, in «Giurisprudenza italiana», parte V, Legislazione, 1890, pp. 58 - 158; ed in
particolare sul dibatti circa gli articoli 1 e 2, pp. 61 – 63.
79
La corte d’Appello di Parma, con sentenza del 21 aprile 1903, aveva classificato le casse di
risparmio fra gli istituti di beneficenza. Cfr. Cassa di Risparmio di Piacenza – Finanza, in
«Giurisprudenza italiana», parte I, sez. II, Appello civile, 1903, pp. 748 – 750.
80
Cfr. R.D. 25 aprile 1929, n. 967 sull’approvazione del testo unico delle leggi sulle casse di
risparmio e sui Monti di pietà. Si vedano anche per la legislazione fascista: R.D. 5 febbraio
1931, n. 225; R.D.L. 24 maggio 1932, n. 721; R.D.L. 15 ottobre 1936, n. 2008; R.D.L. 24
dicembre 1938, n. 204 e L. 14 dicembre 1939, n. 1922.
81
Cfr. L. PONTIROLI, Voce Cassa di risparmio, in Digesto delle discipline privatistiche, 1987,
in particolare pp. 523-529.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
LE CASSE DI RISPARMIO
separare il piccolo risparmio dalla speculazione e in questo le casse di risparmio
avrebbero potuto avere un ruolo centrale se si fossero nettamente distinte dal sistema
creditizio generale. “Le casse di risparmio completano questa lacuna … perché
temprerebbero il sempre grave pericolo del concentramento di ingenti somme …
esposte alle disastrose conseguenze delle oscillazioni delle borse e delle varie crisi. Le
casse di risparmio … sarebbero in grado di reagire al panico ed agli sconcerti delle
82
piazze principali. Sarebbero anzi … indipendenti dalla conseguenze dei disordini” .
82
L. CARP I, Del credito op. cit., p. 232; si veda anche in questo volume, F.A. GORIA , Alla
radice dei “contratti differenziali”: note sulla regolamentazione del “mercato a termine” a
partire dal caso francese (secc. XVIII-XIX) e S. BALZOLA , Gli strumenti finanziari derivati e la
crisi: un confronto tra le iniziative legislative dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
27
STUDI E OPINIONI
IL GIUDIZIO DI FATTIBILITÀ DEL
PIANO DI CONCORDATO PREVENTIVO
NELLA RECENTE GIURISPRUDENZA
DELLA SUPREMA CORTE
Si intendono esaminare in questa sede le più recenti tendenze dottrinali e
giurisprudenziali in tema di limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano di
concordato preventivo, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte
e della recente giurisprudenza di legittimità e di merito in tema.
di GIANPAOLO CIERVO
1. I limiti del sindacato giudiziale nel concordato preventivo.
Una delle questioni più dibattute dai teorici e dai pratici del diritto fallimentare
è, senza dubbio, quella concernente il ruolo attribuito dal legislatore all’autorità
giudiziaria nelle varie fasi della procedura di concordato preventivo1. In particolare, ci si
1
Anteriormente alle riforme del 2005 e 2006 (d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14
maggio 2005, n. 80 e d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) l’accesso alla procedura di concordato
preventivo era strettamente legato alla sussistenza e persistenza di requisiti anche soggettivi e di
meritevolezza da parte dell’imprenditore; in tale contesto, lo strumento principale di controllo
della persistenza di tali requisiti e il mezzo principale di sanzione dell’imprenditore dimostratosi
non meritevole di accedere alla procedura concordataria era l’art. 173 l. fall., che prevedeva in
tali ipotesi la revoca dell’ammissione alla procedura e la dichiarazione automatica di fallimento.
A seguito dei predetti interventi riformatori, della eliminazione della possibilità per il tribunale
di valutare la convenienza e meritevolezza dell’imprenditore nonché del generale
ridimensionamento dei poteri del giudice nella procedura di concordato, era stata teorizzata da
alcuni interpreti una abrogazione implicita dell’art. 173 - rimasto immutato pur a seguito delle
riforme - per manifesta incompatibilità con il “ nuovo” concordato preventivo; tali dubbi erano
stati poi fugati dalla riforma del 2007 (d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169), che ne aveva
modificato la rubrica e parte del testo, confermandone sostanzialmente il contenuto.
Per una analisi della disciplina ante riforma del 2005, si v., ex multis, GENOVIVA , I limiti del
sindacato di merito del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2006, 361;
BOZZA , Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fallimento, 2005, 952.
Per alcune considerazioni post riforma del 2005, si v. JORIO , Dalla meritevolezza del debitore
all’autonomia contrattuale: il difficile cammino del nuovo concordato preventivo, in Benazzo Cera - Patriarca (a cura di), Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore
di Giuseppe Zanarone, T orino, 2011, 721; P ATTI, Il sindacato del tribunale in fase di
ammissione al concordato preventivo, in Di Marzio (a cura di), La crisi d'impresa. Questioni
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
28
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
interroga da tempo su quali siano - e quali debbano essere - i limiti del sindacato del
giudice sulla fattibilità del piano di concordato nelle diverse fasi della procedura.
Come è noto, il controllo del tribunale perdura per tutta la durata della procedura
di concordato preventivo, dalla fase dell’ammissione (artt. 161, 162 e 163) a quella
dell’omologa (art. 180) e nel corso della procedura stessa nella persona del giudice
delegato (art. 173). Prima dell’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2013,
tuttavia, non vi era uniformità di orientamenti tra gli interpreti sulla natura e
sull’intensità di tale controllo.
Un primo orientamento escludeva qualsiasi sindacato sostanziale sulla fattibilità
del piano da parte del giudice e ammetteva soltanto un controllo formale sulla
completezza e regolarità della documentazione allegata alla domanda (c.d. controllo di
legalità formale o controllo documentale). Nettamente contrapposto al primo, un
secondo orientamento attribuiva al tribunale il potere di effettuare un vero e proprio
giudizio di merito sulla fattibilità del piano, anche attraverso la verifica diretta della
correttezza del giudizio di fattibilità formulato dall’asseveratore (c.d. controllo di
merito). Una tesi intermedia, poi, attribuiva al professionista attestatore il giudizio sulla
veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano, e al tribunale un controllo indiretto sulla
controverse del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2010, 318; DEMARCHI, Il concordato
preventivo alla luce del decreto “correttivo”, in Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure
concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Torino, 2008, 489; FABIANI,
Autonomia ed eteronomia nella risoluzione dei conflitti nel nuovo diritto concorsuale, in
Fallimento, 2008, 1099; SCHIANO DI P EPE , È possibile “rifondare” l’art. 173 legge
fallimentare?, in Dir. fall., II, 2008, 454 e 463, nota a T rib. Milano, 24 aprile 2007 e T rib.
Milano, 20 luglio 2007, che parla di superamento dell’«ispirazione puritana del vecchio
concordato preventivo» e della «mitizzata figura dell’imprenditore onesto ma sfortunato»;
CENSONI, Il concordato preventivo, in Bonfatti-Censoni (a cura di), La riforma della disciplina
dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione, Padova, 2006, 176; ARATO, Fallimento: le nuove norme introdotte con la l.
80/2005, in Dir. fall., 2006, I, 169; GUGLIELMUCCI, La riforma in via d’urgenza della legge
fallimentare, Torino, 2005, 99 ss.; FRASCAROLI-SANTI, Crisi dell’impresa e soluzioni
stragiudiziali, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, XXXVII, 2005,
139; JORIO , Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra “privatizzazione” e tutela
giudiziaria, in Fallimento, 2005, 12, 1453.
Per una recente analisi del tema si v. MONTALENTI, La fattibilità del piano nel concordato
preventivo, tra giurisprudenza della Suprema Corte e nuove clausole generali, in Il nuovo
diritto delle società, 3, 2014, 7 ss.; P ENTA , La revoca del concordato preventivo, in Fallimento,
2011, 735 ss..
Per ulteriori riferimenti, CIERVO , Fattibilità del piano di concordato e atti di frode: i poteri del
giudice ex art. 173 l. fall. secondo le Sezioni Unite, in Giur. comm., 2013, 4, 637 ss..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
coerenza, logicità e completezza della relazione del professionista (c.d. controllo di
legittimità sostanziale)2.
Le conseguenze dell’adesione all’uno o all’altro orientamento erano (e sono
tuttora) rilevanti. Da un lato, i fautori del c.d. controllo di merito ritenevano che il
giudice potesse acquisire direttamente i dati aziendali e confrontarli con quelli contenuti
nella asseverazione per pervenire ad un autonomo giudizio sulla veridicità degli stessi e
sulla fattibilità del piano. Dall’altro, i sostenitori del c.d. controllo di legittimità
sostanziale limitavano il sindacato del giudice alla verifica dell’idoneità della
documentazione prodotta e, in particolare, dell’attestazione a garantire una decisione
informata e consapevole dei creditori sulla proposta di concordato in sede di votazione 3.
2
In tema, si v. JORIO , Fattibilità del piano di concordato, autonomia delle parti e poteri del
giudice, in Giur. comm., 2012, 6, II, 1107 e ss..
Con specifico riferimento all’attività del professionista attestatore, si v. AIDEA -I RDCEC-ANDAFAP RI-OCRI, Principi di attestazione dei piani di risanamento, in Irdcec.it, 2014; P ATTI, (nt. 1),
324; SAVIOLI, L’attestazione del professionista nella procedura di composizione negoziale della
crisi, in Fallimento, 2010, 272; ZORZI, Il finanziamento delle imprese in crisi e le soluzioni
stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giur. comm., 2009, I, 1236 ss.;
CNDCEC (a cura di), Negoziazione delle crisi, concordato preventivo e fallimentare: scopo e
oggetto delle relazioni del professionista, in Fallimento, 2009, 743; JACHIA , Il concordato
preventivo e la sua proposta, in Fauceglia - Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure
concorsuali, 3, Torino, 2009, 1612 ss.; P ATTI, Quale professionista per le nuove soluzioni della
crisi di impresa: alternative al fallimento, in Fallimento, 2008, 1067 ss.; VERNA , La relazione
professionale che accompagna il piano di concordato preventivo, in Dir. fall., 2008, I, 240;
MANZONETTO , sub art. 161 l. fall., in Jorio-Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare,
Bologna, 2007, II, 2330. Cfr. anche ASSONIME , Le nuove soluzioni concordate della crisi
d’impresa. Circolare n. 4 del 7 febbraio 2013, in Assonime.it, 48; I RDCEC-CNDCEC, Il ruolo del
professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità e
indipendenza e contenuto delle relazioni. Circolare n. 30/IR dell’11 febbraio 2013, in Irdcec.it,
2013, 12; UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE -CNDCEC-ASSONIME , Linee-guida per il
finanziamento alle imprese in crisi, in Assonime.it, 2010, 17 ss.; AMBROSINI, Il concordato
preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, XI, Padova, 2008, 67.
In giurisprudenza, si v., ex multis, App. Ancona, 26 marzo 2014, in IlCaso.it; Trib. Genova, 7
luglio 2014, in IlCaso.it, il quale ha dichiarato che i Principi di attestazione dei piani di
risanamento emanati da AIDEA-I RDCEC-ANDAF-AP RI-OCRI, pur essendo privi di efficacia
normativa, possono essere ritenuti un valido orientamento per la valutazione delle qualità della
attestazioni.
3
Restava dunque riservata all’attestatore la verifica dei dati e il giudizio di fattibilità del piano,
con relativa responsabilità di questo nei confronti del debitore e dei creditori. In questo senso,
JORIO , (nt. 2), 1119; CALANDRA BUONAURA , Disomogeneità di interessi dei creditori
concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, 1, I, 14;
FABIANI, Per la chiarezza di idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e
riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 2, 177, in nota a Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860;
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
Proprio partendo da quest’ultimo orientamento, iniziava a delinearsi tra gli
interpreti l’idea che il legislatore avesse inteso stabilire una precisa suddivisione delle
FAUCEGLIA , Brevi considerazioni sui poteri del Tribunale in tema di concordato preventivo, in
Dir. fall., 2011, 1, II, 18, in nota a App. Roma, 18 settembre 2010; BOZZA , Il vecchio, l’attuale
e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fallimento, 2007, 694;
SCHIANO DI PEP E, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al
concordato preventivo, in Dir. fall., 2010, 3-4, 315 s., in nota a T rib. Cagliari, 12 marzo 2009 e
Trib. Mondovì, 6 marzo 2009; MANDRIOLI, Concordato preventivo: la verifica del tribunale in
ordine alla relazione del professionista, in Fallimento, 2007, 1228; P ATTI, (nt. 1), 320, che
afferma che «lo spazio di intervento giurisdizionale diviene allora quello del controllo di
legalità, in un senso non già meramente formale, ma sostanziale, di assicurazione della
garanzia dei diritti nelle situazioni di conflitto tra debitore e creditori e tra questi stessi (forti e
meno forti), secondo modalità non più di eterotutela, con un chiaro intervento direttivo del
giudice sulla procedura, a protezione degli interessi dei soggetti coinvolti, ma di assicurazione
di un effettivo e libero esercizio del principio di autotutela»; DE MATTEIS, Questioni vecchie e
nuove in tema di concordato preventivo, in Fallimento, 2005, 1410.
In giurisprudenza, Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, in Fallimento, 2011, 805; Cass., 25 ottobre
2010, n. 21860, in Fallimento, 2011, 2, 167, con nota adesiva di FABIANI e nota critica di
BOZZA ; App. Roma, 18 settembre 2010, in Dir. fall., 2011, 1, II, 18, con nota di FAUCEGLIA ;
App. T orino, 20 luglio 2009, in Fallimento, 2010, 961, con nota di MICHELOTTI, che fa
riferimento al ruolo del tribunale come a quella «funzione di controllo (di esattezza dei dati
contabili, con illustrazione dei criteri metodologici osservati nel procedimento di revisione,
sulla base di attento e critico scrutinio dei bilanci e delle scritture contabili) e di completezza
informativa, oggi imposti dal venir meno di quella tradizionale etero-tutela esercitata dal
giudice, in funzione di una genuina formazione del consenso dei creditori»; App. Milano, 4
ottobre 2007, in Dir. fall., 2008, II, 317; App. T orino, 19 giugno 2007, in Fallimento, 2007,
1315, con nota di VACCHIANO , ove ampi riferimenti bibliografici; T rib. Milano, 10 marzo 2010,
in IlCaso.it e in Fallimento, 2010, 743; Trib. Milano, 9 febbraio 2007, in Dir. e prat. fall., 2007,
51; Trib. Palermo, 17 febbraio 2006, in Fallimento, 2006, 570; T rib. Monza, 16 ottobre 2005, in
Fallimento, 2005, 1402; Trib. Ancona, 13 ottobre 2005, in Fallimento, 2005, 1405. Contra,
App. Bologna, 30 giugno 2006, in Fallimento, 2007, 470, (s.m.); T rib. Cagliari, 12 marzo 2009,
in Dir. fall., 2010, 3-4, 304, con nota critica di SCHIANO DI P EPE ; T rib. Milano, 2 ottobre 2006,
in Fallimento, 2007, 331; T rib. Pescara, 20 ottobre 2005, in Fallimento, 2006, 56; Trib.
Sulmona, 6 giugno 2005, in Fallimento, 2005, 793; Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in Fallimento,
2005, 1297; LO CASCIO , La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla
miniriforma per decreto legge, in Fallimento, 2005, 362.
Sul tema degli interessi disomogenei dei creditori concordatari, si v. BOZZA , La facoltatività
della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 424 ss.; FABIANI,
Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in
Fallimento, 2009, 437 ss.; STANGHELLINI, Creditori “forti” e governo delle crisi di impresa
nelle nuove procedure concorsuali, in Fallimento, 2006, 379; SACCHI, Il principio di
maggioranza nel concordato e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984, 385 ss..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
31
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
competenze all’interno della procedura di concordato preventivo: da un lato
l’attestatore, in possesso di specifici requisiti di terzietà e professionalità, cui spetta
esprimersi sulla veridicità dei dati contabili e sulla fattibilità del piano nella relazione ex
art. 161, terzo comma; dall’altro il tribunale, cui compete la verifica della completezza e
logicità della relazione e il giudizio sulla idoneità della stessa a consentire ai creditori di
esprimere un voto informato e consapevole 4; infine, il commissario giudiziale, che nelle
relazioni ex artt. 172 e 180 deve pronunciarsi sulla fattibilità del piano per offrire ai
creditori una lettura indipendente dello stesso e consentire loro di ponderare
attentamente le conseguenze del voto5.
Allo stesso tempo, era poi generalmente ammesso che una volta determinata
l’ampiezza del sindacato giudiziale nella fase dell’ammissione del debitore al
concordato preventivo, le medesime conclusioni dovessero valere anche per le fasi
successive della procedura e, soprattutto, per la fase di omologazione del concordato6.
4
Anche la previsione di cui all’art. 162, comma 1, che consente al tribunale di concedere al
debitore un termine ulteriore per apportare integrazioni al piano e produrre nuova
documentazione a supporto, sembra coerente con tale ripartizione di competenze. In questo
senso, AMBROSINI, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo
tra dottrina e giurisprudenza, in Fallimento, 2011, 943; PATTI, (nt. 1), 318; SACCHI,
Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria,
in Fallimento, 2009, 32. Cfr., in tema, JORIO , (nt. 2), 1114; ID ., Dalla meritevolezza del debitore
all’autonomia contrattuale., (nt. 1), 727.
5
In questo senso, CENSONI, Il concordato preventivo: organi, effetto, procedimento, in Jorio Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni
dalla riforma, Bologna, 2010, 1015; FABIANI, Per la chiarezza di idee., (nt. 3), 178.
6
Sull’estensione dei poteri del giudice nel corso della procedura di concordato, si riscontrano
opinioni divergenti: da un lato, vi è chi ritiene che le condotte censurate dall’art. 173 siano
soltanto quelle che hanno una valenza decettiva nei confronti dei creditori, tali da pregiudicarne
il consenso informato alla proposta di concordato preventivo (ex multis, DEMARCHI, I
provvedimenti immediati, in Ambrosini-Demarchi-Vitiello, Il concordato preventivo e la
transazione fiscale, Bologna, 2009, 135; e, in giurisprudenza, Trib. Mondovì, 17 dicembre
2008, in IlCaso.it; Trib. Piacenza, 4 dicembre 2008, in Fallimento, 2009, 12, 1464 con nota di
FILOCAMO ; Trib. Milano, 25 ottobre 2007, in IlCaso.it); secondo altri, la tutela degli interessi
pubblici coinvolti nella crisi dell’impresa imporrebbe di sanzionare con la revoca
dell’ammissione alla procedura il debitore che abbia commesso atti determinanti la causazione o
l’aggravamento della crisi (ex multis, VITIELLO , L’omologazione del concordato, in AmbrosiniDemarchi-Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 184, che
riafferma la «necessità che nel procedimento di concordato sia assicurata la tutela degli
interessi pubblici coinvolti nella crisi del debitore» e la possibilità di individuare «anche nel
nuovo sistema, un principio di meritevolezza, sia pure in una forma decisamente attenuata»; in
giurisprudenza, App. Cagliari, 22 febbraio 2011, inedita; T rib. Cagliari, 28 giugno 2010,
inedita; Trib. Milano, 20 luglio 2007, (nt. 1)). Si v. in tema le recenti pronunce di Cass., 26
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
Sempre secondo tale orientamento, proprio nella regolazione della fase di
omologa sarebbe emersa la volontà del legislatore di limitare il giudizio del tribunale
alla verifica della regolarità della procedura e dell’esito della votazione. Ciò sarebbe
dimostrato dal dispositivo dell’art. 180, che esclude qualsivoglia sindacato giudiziale
sul merito della proposta, fatto salvo il caso in cui la convenienza della stessa sia
contestata da parte di creditori appartenenti ad una classe dissenziente ovvero - a seguito
della recente riforma e nel caso in cui non siano formate classi - da parte di creditori
dissenzienti che rappresentino il venti per cento dei crediti ammessi al voto7. Solo in
giugno 2014, n. 14552, in IlCaso.it, che ha chiarito che «la fraudolenza degli atti posti in essere
dal debitore, se implica, come già detto, una loro potenzialità decettiva nei riguardi dei
creditori, non per questo assume rilievo, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato,
solo ove l’inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato e si possa quindi dimostrare che,
in concreto, i creditori medesimi hanno espresso il loro voto in base ad una falsa
rappresentazione della realtà. Quel che rileva è il comportamento fraudolento del debitore, non
l’effettiva consumazione della frode. […] Donde l’enunciazione del seguente principio di
diritto: l’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di
dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti,
dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del
debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma dell’art. 173 della legge
fallimentare, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche
nell’ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento»; Cass., 4
giugno 2014, n. 12533, in IlCaso.it, che nega la qualifica di “ atti di frode” ai comportamenti
oggetto di censura nel caso di specie, evidenziando l’assenza di una valenza decettiva degli
stessi per il ceto creditorio e ribadendo che la nozione di atto di frode commesso anteriormente
all’apertura della procedura di concordato «esige che la condotta del debitore sia stata volta ad
occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se
conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della
proposta e, dunque, che esse siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui
“scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori»; Cass., 18
aprile 2014, n. 9050, in IlCaso.it, pronuncia che approfondisce l’orientamento della Suprema
Corte in tema e afferma che «l’art. 173, comma 1, non esaurisce il suo contenuto precettivo nel
richiamo al fatto “scoperto” perché ignoto nella sua materialità, ma ben può ricomprendere il
fatto non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed
allegati, e che quindi può dirsi “accertato” dal commissario, in quanto individuato nella sua
completezza e rilevanza ai fini della corretta informazione dei creditori, solo successivamente».
7
Sulle modifiche alla legge fallimentare apportate dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 e dalla relativa
legge di conversione 11 agosto 2012, n. 134, nonché dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito
dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 come modificata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, si
v., ex multis, ARATO , Il concordato preventivo con riserva, Torino, 2013; LO CASCIO , Crisi
delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 2013, 1,
5; ASSONIME , Le nuove soluzioni concordate della crisi d’impresa., (nt. 2); FABIANI, Riflessioni
precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
questi casi, pertanto, il Tribunale sarebbe autorizzato a valutare la convenienza della
proposta di concordato (rispettivamente, per la classe dissenziente cui appartiene il
creditore opponente ovvero per i creditori opponenti rappresentanti la percentuale
richiesta dalla legge) 8.
(appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in IlCaso.it, doc. n. 303/2012. In
particolare, la modifica dell’art. 180, quarto comma, sembra funzionale a controbilanciare il
regime di silenzio assenso recentemente introdotto sub art. 178, quarto comma.
8
Così CALANDRA BUONAURA , (nt. 3), 16; FABIANI, Per la chiarezza di idee., (nt. 3), 178;
FAUCEGLIA , Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di
procedura, in Fauceglia - Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 3,
Torino, 2009, 1696 s.; BOSTICCO , La “resurrezione giurisprudenziale” dell’art. 173 l. fall. e la
difficile distinzione tra atti di frode e sopravvenienze inattese, in Fallimento, 2007, 1448, in
nota a T rib. Milano, 24 aprile 2007; LO CASCIO , Giudizio di ammissibilità e di omologazione e
crediti postergati, in Fallimento, 2006, 1423; JORIO , Le soluzioni concordate., (nt. 1), 1456.
Conf. SCHIANO DI P EPE , (nt. 3), 321; ID ., (nt. 1), 468, che parla di «evidente arretramento del
potere giudiziale, che torna però ad espandersi nella valutazione che è chiamato a compiere in
caso di cram down»; CATALLOZZI, Concordato preventivo: sindacato sulla fattibilità del piano
e tecniche di tutela dei creditori “deboli”, in Fallimento, 2007, 336; FAUCEGLIA, Incertezze
valutative in tema di nuovo concordato preventivo tra risentimento dei giudici ed incertezze del
legislatore, in Dir. fall., 2006, 170 ss..
In giurisprudenza, Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, 1306 e in
IlCaso.it; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170, che ha valorizzato il ruolo di “ eccezione
alla regola” della disposizione di cui all’art. 180, quarto comma, e affermato che dall’attuale
formulazione dell’art. 180 si evince chiaramente che «la decisione in ordine alla convenienza
del concordato spetta esclusivamente ai creditori», mentre «al Tribunale, in assenza di
opposizioni, spetta il solo potere di verificare che la procedura si sia svolta regolarmente e se il
concordato è stato effettivamente approvato dalla maggioranza». Il T ribunale, infatti, può
aprire una istruttoria ed entrare nel merito della convenienza del piano solo su istanza di un
creditore appartenente ad una classe dissenziente, ma «giammai potrebbe procedervi d’ufficio».
Si v. inoltre, nella giurisprudenza di merito, App. Roma, 18 settembre 2010, (nt. 3), 21; Trib.
Mondovì, 6 marzo 2009, in Dir. fall., 2010, 3-4, 304, con nota di SCHIANO DI P EPE .
Contra, VITIELLO , Il nuovo concordato preventivo: disciplina e primi problemi applicativi, in
Ambrosini (a cura di), La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina,
Torino, 2006, 312, che ritiene che al tribunale competa verificare, oltre il raggiungimento delle
maggioranze e la legalità della procedura, la rispondenza dell’accordo agli interessi generali,
con particolare riferimento all’attuabilità del piano; e, in giurisprudenza, T rib. Roma, 22
gennaio 2009, in Nuovo diritto delle società, 2010, 2, 67, con nota di MILANESI; T rib. Bari, 25
febbraio 2008, in Fallimento, 2008, 682; T rib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Giur. merito, 2009,
1, 125, (s.m.), con nota di D’ORAZIO ; Trib. Milano, 24 aprile 2007, (nt. 1), 1443.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
34
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
2. L’interpretazione delle Sezioni Unite.
L’orientamento da ultimo illustrato è stato dapprima accolto dalla Corte di
Cassazione nella sentenza n. 21860 del 25 ottobre 20109 e, successivamente, confermato
dalla Suprema Corte a Sezioni Unite n. 1521 del 23 gennaio 2013 10.
9
Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170, secondo cui il controllo giudiziale nella fase di
ammissione della proposta non è finalizzato al mero controllo formale della completezza della
documentazione, bensì a garantire che i creditori siano messi in condizione di prestare un
consenso informato sulla proposta e sulla documentazione a questa allegata: «la disciplina del
concordato preventivo, come si evince dalla analizzata normativa, appare ispirata da una
esigenza di carattere fondamentale: garantire che i creditori siano messi in condizione di
prestare il loro consenso con cognizione di causa, vale a dire che abbiano a manifestare un
consenso informato e non viziato da una falsa rappresentazione della realtà. […]. Tale
fondamentale esigenza richiede di verificare che la relazione sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria dell'impresa sia aggiornata e che contenga effettivamente una
dettagliata esposizione della situazione sia patrimoniale, sia economica, sia finanziaria
dell'impresa; che lo stato analitico ed estimativo delle attività possa considerarsi tale e che la
relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano,
sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri
seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di
fattibilità del piano. Solo in tal modo il commissario giudiziale può essere messo in condizione
di valutare criticamente detta documentazione e conseguentemente elaborare una relazione
idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione
quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della
crisi e di come la si intenda affrontare. In sintesi quanto suddetto sostanzia il potere di
controllo del Tribunale sulla proposta e sulla documentazione allegata, senza che possa
sovrapporsi, nell'effettuare il controllo dei presupposti di ammissibilità, alla valutazione di
fattibilità contenuta nella relazione del professionista allegata alla proposta e senza che possa
effettuare accertamenti in ordine alla veridicità dei dati aziendali, che la legge riserva al
commissario giudiziale, reagendo alla mancanza di veridicità con il prevedere, su denunzia
obbligatoria da parte del commissario giudiziale, la sanzione della immediata revoca da parte
del Tribunale del concordato». Conf., App. Roma, 18 settembre 2010, (nt. 3), 21.
10
Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, in Giur. comm., 2013, 3, 333, con nota di CENSONI e
in Giur. comm., 2013, 4, 621, con nota di CIERVO ; in Fallimento, 2013, 149, con nota di
FABIANI, La questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite; in
Dir. fall., 2013, 1, II, 1, con nota di DIDONE , Le Sezioni unite e la fattibilità del concordato
preventivo; in Fallimento (s.m.), 2013, 279 e ss., con note di DE SANTIS, Causa «in concreto»
della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilità del piano; di
P AGNI, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n.
1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo alla “causa concreta”; di DI MAJO , Il
percorso “lungo” della fattibilità del piano proposto nel concordato. Si v., inoltre, FABIANI,
Guida rapida alla lettura di Cass. S.U. 1521/2013, in IlCaso.it, II, 343/2013, 1; NARDECCHIA,
La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in IlCaso.it, 28 gennaio 2013; LAMANNA,
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
35
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
Ormai noto è il percorso argomentativo che ha portato le Sezioni Unite a limitare
il sindacato di merito del giudice sulla fattibilità del piano di concordato.
In primo luogo - affermano i giudici di legittimità - la «fattibilità» non va
confusa con la «convenienza» della proposta, quest’ultima certamente sottratta al
sindacato del giudice e riservata all’apprezzamento dei creditori. «Fattibilità» significa,
infatti, «prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini
prospettati» 11.
Tale prognosi può riguardare la «fattibilità giuridica» o la «fattibilità
economica» del piano di concordato.
Il controllo sulla «fattibilità giuridica» spetta senza dubbio al tribunale, che
effettua un sindacato diretto e non di secondo grado sul piano volto a verificare la
12
compatibilità delle modalità attuative ivi previste con le norme di legge inderogabili .
Più delicato, di contro, è il sindacato sulla «fattibilità economica» del piano, in
quanto giudizio prognostico che presenta margini di opinabilità e possibilità di errore.
Proprio la maggiore opinabilità e incertezza rendono opportuno che siano i creditori a
L’indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo:
«così è se vi pare», in ilFallimentarista.it, 26 febbraio 2013.
Sui temi in commento si vedano anche le pronunce della Suprema Corte nn. 13817 e 13818 del
23 giugno 2011, che rappresentano il naturale completamento dell’analisi intrapresa dai giudici
di legittimità nelle precedenti sentenze n. 21860 del 25 ottobre 2010 e n. 3586 del 14 febbraio
2011, sui limiti del controllo giudiziale nella procedura di concordato e, in particolare, sulla
possibilità per il tribunale di sindacare la fattibilità del piano proposto dal debitore (Cass. 23
giugno 2011, nn. 13817 e 13818, in Foro it., 2011, I, 2308, con nota di FABIANI; in Giur. it.,
2012, I, 81; in Fallimento, 2011, 993, con nota di AMBROSINI, Il sindacato in itinere sulla
fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza; in IlCaso.it, doc. n.
254/2011, con analisi di AMBROSINI, Il sindacato sulla fattibilità del piano di concordato e la
nozione “evolutiva” degli atti di frode nella sentenza 15 giugno 2011; Cass., 14 febbraio 2011,
n. 3586, (nt. 3), 805; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170; nonché, seppur in materia di
concordato fallimentare, Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, in Giust. civ. Mass., 2011, 2, 216).
Si cfr. infine Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in ilFallimentarista.it, con nota adesiva di
LAMANNA , Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità
(positiva) che rende necessario l’intervento delle SSUU, pronuncia che ha reso necessario il
ricorso alle Sezioni Unite. Per una analisi della pronuncia si v. LAMANNA , Richiesta rimessione
a SS.UU. sull’ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato
preventivo, in ilFallimentarista.it; CIERVO, (nt. 1), 637 ss.. Si cfr., infine, Cass., 16 settembre
2011, n. 18987, (nt. 8), deliberata dal medesimo collegio di Cass., 15 settembre 2011, n. 18864,
ma estesa da un diverso relatore.
11
Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (nt. 10).
12
Per una analisi di quali norme di legge debbano essere considerate dal giudice fallimentare, si
v. GALLETTI, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche
di actio finium regundorum?, in ilFallimentarista.it, 7 s..
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36
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
esprimere tale giudizio una volta ottenuta completa informazione sul punto, in qualità di
soggetti direttamente interessati dal piano e dalla proposta concordatari.
Ciò chiarito, resta da affrontare la questione fondamentale che si pone
nell’applicazione pratica di tali principi, che è la seguente: esiste un limite al principio
dell’insindacabilità della «fattibilità economica» da parte del giudice? In altre parole, il
giudizio sulla «fattibilità economica» è sempre di competenza dei creditori anche in
ipotesi limite di assoluta mancanza di fattibilità economica del piano proposto?
Per rispondere a tale interrogativo, le Sezioni Unite affrontano l’indagine della
«causa» della procedura di concordato, distinguendo il profilo della «causa in astratto»
da quello della «causa in concreto» 13.
Da un lato, la «causa in astratto» del concordato preventivo può individuarsi
nella composizione della crisi d’impresa attraverso il soddisfacimento dei creditori, ove
possibile attraverso soluzioni idonee a favorire la conservazione dei valori aziendali.
Dall’altro, la «causa in concreto» è l’obiettivo perseguito dalla singola proposta
di concordato depositata, che assume concretezza nell’indicazione delle modalità di
soddisfacimento dei creditori e, eventualmente, delle percentuali e dei tempi di
adempimento.
Non è possibile, secondo le Sezioni Unite, stabilire in astratto i limiti
dell’intervento del giudice in ordine alla fattibilità (economica) del concordato,
dovendosi avere riguardo alla causa concreta della procedura. Questa sussiste ed è
soddisfatta ove sia garantito il diritto dei creditori di votare avendo contezza di tutti i
dati a tal fine necessari e ove il piano persegua le finalità del superamento della
situazione di crisi dell’imprenditore riconoscendo ai creditori una percentuale pur
minima di soddisfazione del credito in tempi di realizzazione ragionevolmente
contenuti.
Compito del giudice è, dunque, in primis, quello di verificare l’idoneità della
documentazione prodotta a fornire gli elementi di giudizio necessari ai creditori per
13
È noto che con «causa del contratto» si fa riferimento alla funzione economico-sociale che il
negozio persegue e che il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata (c.d. causa in
astratto) (si v., ex multis, Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in Giust. civ. Mass., 2003, 4; Cass., 18
febbraio 1983, n. 1244, in Giust. civ. Mass., 1983, 2; Cass., 29 gennaio 1983, n. 826, in Giust.
civ. Mass., 1983, 1). Altrettanto nota è l’interpretazione di «causa del contratto» affermatasi più
recentemente, che guarda allo scopo pratico del negozio perseguito dalle parti, costituito dalla
sintesi degli interessi che il negozio medesimo è concretamente volto a realizzare (c.d. causa in
concreto) (si v. Cass., 12 novembre 2009, in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1582; Cass., 8 maggio
2006, n. 10490, in Riv. notariato, 2007, 1, 180 (s.m.), con nota di UNGARI T RANSATTI, e in Il
civilista, 2008, 9, 71 (s.m.), con nota di MINERVINI. In dottrina, si v., ex multis, BIANCA, Diritto
civile. III. Il contratto, Milano, 2000, 452; SANTORO P ASSARELLI, Dottrine generali del diritto
civile, Napoli, 1966, 187). Sull’utilizzo della nozione di causa con riferimento al concordato
preventivo, si v. anche GALLETTI, (nt. 12), 2.
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CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
esercitare il proprio voto in modo informato. Ciò deve avvenire attraverso un controllo
circa la presenza, l’analiticità, la complessiva coerenza e logicità delle attestazioni di
veridicità dei dati e di fattibilità del piano dell’esperto e delle motivazioni poste alla
base di tale giudizio14.
14
È proprio sulla adeguatezza della documentazione prodotta (segnatamente l’attestazione) a
fornire gli elementi necessari ai creditori per il voto e sulla idoneità della proposta a soddisfare
la causa concreta del concordato (attraverso il riconoscimento di una percentuale minima di
soddisfazione del credito in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti) che si è
concentrata la giurisprudenza di merito successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite, anche per
riappropriarsi di quel sindacato di fattibilità che la Suprema Corte ha inteso limitare.
Sulla inadeguatezza della attestazione a soddisfare la funzione informativa sua propria, si v.
Cass. 25 settembre 2013, n. 21901, in IlCaso.it, che nel rigettare il ricorso del debitore
dichiarato fallito ha chiarito come «il giudizio di inidoneità della relazione - priva delle
informazioni necessarie a giustificare in via logica la conclusione di fattibilità del piano,
rientrasse pienamente nell’ambito del sindacato affidatogli (al giudice) dalla legge e fosse da
solo sufficiente a fondare la pronuncia di inammissibilità della proposta»; Cass., 27 maggio
2013, n. 13083, in IlCaso.it, che ha confermato la decisione della Corte d’Appello impugnata
(rigetto del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento da parte del giudice di prime cure) in
quanto basata su «un giudizio di chiarezza e completezza dell’attestazione del professionista
sulla base di quanto emerge ictu oculi dal raffronto tra la documentazione prodotta ed il
contenuto dell’attestazione del professionista», giudizio «certamente compreso nei poteri del
giudice e da solo, se negativo, comporta l’inammissibilità della proposta concordataria»; App.
Milano, 25 ottobre 2013, in il Fallimentarista.it, con nota di FAROLFI; Trib. Busto Arsizio, 29
maggio 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI; Trib. Padova, 20 dicembre 2012, in
ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI.
Sulla inidoneità della proposta a soddisfare la causa in concreto del concordato, si v. App.
Ancona, 26 marzo 2014, in ilCaso.it, che ha rigettato il reclamo proposto contro la sentenza di
fallimento conseguente alla mancata omologa del concordato preventivo da parte del Trib. di
Pesaro, sulla base della considerazione per cui l’impossibilità del piano a liberare risorse
sufficienti a pagare neanche in minima parte i creditori chirografari costituisce motivo di
inammissibilità della domanda di concordato preventivo e, parimenti, motivo di mancata
omologa di un concordato inizialmente ammesso; App. Catania, 10 marzo 2014, n. 338, in
IlCaso.it, che ha condiviso la valutazione effettuata dal giudice di prime cure circa la non
fattibilità giuridica del concordato preventivo basato sulla continuazione dell’attività
caratteristica ma incompatibile con la prossima scadenza del contratto di affitto dell’azienda,
ovvero sul trasferimento in una struttura alternativa non idonea a consentire la prosecuzione
dell’impresa, e ha censurato infine l’irragionevolezza dei tempi di svolgimento del concordato
proposto (soddisfazione dei creditori in dieci anni senza il riconoscimento di interessi); T rib.
Palermo, 31 ottobre 2014, inedita, che nel richiamare le conclusioni cui era già giunto il Trib.
Modena, 13 giugno 2013 (di cui di seguito), ha dichiarato l’inammissibilità di un piano di
concordato di durata pari a diciassette anni, poi ridotti a dieci, in quanto «termine
eccessivamente lungo sia rispetto al parametro normativo richiamato in via di interpretazione
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
38
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
In secondo luogo, il giudice deve verificare la fattibilità giuridica della proposta
e l’effettiva compatibilità di quanto previsto dal piano con le norme inderogabili
dell’ordinamento.
Infine, il giudice potrà esprimersi sulla fattibilità economica del piano soltanto in
caso di manifesta impossibilità di realizzazione della causa concreta del concordato,
intesa come soddisfazione anche minima dei creditori concorsuali nel rispetto dei
termini indicati nella proposta. La Suprema Corte risponde, dunque, come segue
all’interrogativo sopra prospettato circa la possibilità o meno del giudice di sindacare la
«fattibilità economica» del piano di concordato in ipotesi limite di assoluta mancanza di
fattibilità economica del piano proposto: solo ove il giudice accerti la manifesta
impossibilità di un qualsivoglia soddisfacimento dei creditori concorsuali potrà negare o
revocare l’ammissione del debitore alla procedura o l’omologazione del concordato.
analogica sia, in ogni caso, rispetto alla effettiva attendibilità del giudizio di prognosi positiva
di realizzazione del programma che, nella specie, difetta»; Trib. Avezzano, 22 ottobre 2014, che
ha respinto la domanda di omologa anche in considerazione della eccessiva durata del piano
(sette anni) e dell’assenza di una adeguata motivazione della scelta operata da parte
dell’interessato e di «misure dirette a prevenire rischi non agevolmente pronosticabili che
possono, comunque, compromettere l’attuazione del piano»; T rib. Modena, 3 settembre 2014,
in IlCaso.it, che ha quantificato nella misura del 5% la percentuale minima di soddisfacimento
che ogni concordato deve offrire ai creditori per poter rispettare il requisito del «riconoscimento
in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi
di realizzazione ragionevolmente contenuti» stabilito da Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n.
1521, (nt. 10), «apparendo una percentuale inferiore non già minimale ma sostanzialmente
irrisoria e tale da non poter giustificare l’accesso ad un istituto alternativo alla procedura
fallimentare e che deve essere necessariamente caratterizzato da limitazioni in tema di modalità
satisfattive idonee a garantire un minimo di tutela alla minoranza dissenziente»; Trib. Modena,
11 giugno 2014, in ilFallimentarista.it, che ha dichiarato la risoluzione del concordato
preventivo ex art. 186 l. fall. in quanto non soddisfatta la causa concreta del concordato a causa
dell’impossibilità di soddisfare in minima parte i creditori concordatari entro un lasso di tempo
congruo (lasso di tempo che il T ribunale di Modena quantifica in tre anni decorrenti dal decreto
di omologa); Trib. Siracusa, 15 novembre 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di AMATORE,
che ha negato l’omologazione del concordato approvato dalla maggioranza dei creditori per
contraddittorietà intrinseca della proposta concordataria e per la eccessiva durata del piano e
conseguente dilatazione dei tempi di soddisfacimento dei creditori; T rib. Modena, 13 giugno
2013, in ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI, che ha ritenuto che i tempi di realizzazione
del concordato non fossero conformi al dettato legislativo di cui alla l. 24 marzo 2001 n. 89, art.
2, come modificata dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83 (c.d. Legge Pinto), e ha per ciò dichiarato
l’inammissibilità della proposta di concordato affermando che tale aspetto riguardasse la
fattibilità giuridica, la cui valutazione è di competenza dell’organo giudicante, anche alla luce
della pronuncia delle Sezioni Unite.
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Spetta, di contro, ai creditori il giudizio di «convenienza» e, salvo il caso limite
di cui sopra, il giudizio sulla «fattibilità economica» della proposta di concordato,
rispetto ai quali il tribunale non può anteporre la propria valutazione.
Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che tali conclusioni non valgono soltanto
per il giudizio di ammissione alla procedura ex art. 161 e ss., bensì per tutto il corso
della procedura e financo per il giudizio di omologa ex art. 180. L’estensione del
sindacato giudiziale nelle fasi dell’ammissione, dello svolgimento e dell’omologazione
del concordato è, infatti, la medesima e consiste nella verifica della sussistenza iniziale
e della successiva permanenza dei presupposti di ammissione alla procedura nonché
nell’accertamento della regolarità della procedura per tutta la sua durata15.
D’altra parte, afferma la Suprema Corte, anche le recenti modifiche della legge
fallimentare sembrano confermare al giudice quel ruolo di garante della legalità della
procedura. Va in questa direzione, innanzitutto, la previsione di cui all’art. 161, sesto
comma, che disciplina la fattispecie del c.d. concordato con riserva di successivo
deposito della proposta, del piano e della ulteriore documentazione richiesta dalla legge
e che consente al debitore di continuare ad occuparsi della gestione ordinaria della
società e di compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione «previa
autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni»16; come
pure la nuova disciplina di cui all’art. 169 bis in tema di contratti pendenti, che prevede
la possibilità di sospensione dei contratti in corso ovvero di scioglimento degli stessi
previa autorizzazione del giudice 17; ovvero la già citata previsione di cui al quarto
15
Conf. Cass., 16 maggio 2014, n. 10778, in IlCaso.it, che ha riaffermato «che il controllo di
legittimità spettante al giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo
parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la
procedura di concordato preventivo» e che tale controllo di regolarità della procedura
«comporta necessariamente la verifica della persistenza, sino a quel momento, delle stesse
condizioni di ammissibilità procedura, seppure già scrutinate nella fase iniziale, dell'assenza di
atti o fatti di frode che potrebbero dare impulso al procedimento di revoca ex art.173 1.f. ed
infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono
che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata
alla più consapevole ed adeguata informazione»; Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, (nt. 8);
Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860 (nt. 3).
16
Si v., in tema, FABIANI, Vademecum per la domanda prenotativa di concordato preventivo,
in IlCaso.it, doc. n. 313/2012; PANZANI, Il concordato in bianco, in ilFallimentarista.it.
17
Con riferimento alla nuova disciplina dei contratti pendenti, si v. FABIANI, Per una lettura
costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in IlCaso.it, 11
marzo 2013 (già in Fallimento, 2013, 156 e ss.); CENSONI, La continuazione e lo scioglimento
dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in IlCaso.it, 11 marzo 2013; P ATTI, Rapporti
pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fallimento, 3,
2013, 261; BONFANTE, La nuova disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in
ilFallimentarista.it; I NZITARI, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l.
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CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
comma dell’art. 180, che estende l’“eccezionale” giudizio di convenienza sulla proposta
di concordato da parte del tribunale all’ipotesi di opposizione di creditori rappresentanti
il venti per cento dei crediti ammessi al voto, in caso di mancata formazione delle
classi 18. Nello stesso senso sembrano essere le previsioni di cui all’art. 182 quinquies in
tema di autorizzazione del tribunale alla sottoscrizione di finanziamenti prededucibili o
al pagamento di crediti anteriori per la prestazione di beni o servizi, e di cui all’art. 186
bis, sesto comma, in materia di concordato con continuità aziendale, che attribuisce al
tribunale un potere di intervento nel corso della procedura ove accerti che «l’esercizio
dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori» 19.
Si tratta di norme finalizzate a contemperare la possibilità di un rapido accesso
alla procedura di concordato con la presenza di un organo giudiziale, in funzione di
garanzia dei creditori, particolarmente necessario in considerazione dell’assenza
momentanea di tutti i controlli normalmente previsti. Esse, infatti, non ampliano tout
court il ruolo del giudice nella procedura, bensì prevedono l’intervento di un organo
terzo in funzione di garanzia dei creditori in quelle fasi della procedura introdotte ex
novo e caratterizzate dall’urgenza e dall’assenza di altre tipologie di controllo. Lungi dal
costituire un rafforzamento del sindacato di merito del tribunale nella procedura,
confermano invece la suddivisione di competenze tra giudice e creditori sopra
illustrata20.
D’altra parte, anche la recente modifica dell’art. 179, secondo comma, sembra
confermare che il giudice non ha il potere di interrompere la procedura in caso di
mutamento delle condizioni di fattibilità economica del piano. Da tempo ci si chiedeva,
infatti, per l’ipotesi in cui si fossero verificati eventi idonei a incidere sulla fattibilità
(economica) del piano nel periodo intercorrente tra l’adunanza dei creditori e il decreto
di omologa, quali fossero le più opportune iniziative a tutela dei creditori e chi fosse
competente ad adottarle nell’ipotesi in cui fosse stato evidente che il giudizio dei
fall., in ilFallimentarista.it.
18
Come già evidenziato infra, nt. 7, cui si rinvia, la predetta modifica sembra funzionale a
controbilanciare il nuovo principio di silenzio assenso introdotto dalle predette riforme con
riferimento alle operazioni di voto nel concordato preventivo di cui all’art. 178, quarto comma,
l. fall..
19
Con riferimento al primo tema, ossia alle nuove forme di finanziamenti bancari alle imprese
in crisi, si v. AMBROSINI, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi nei nuovi articoli 182quater e 182-quinquies, l. fall., in ilFallimentarista.it. Con riferimento, invece, alle previsioni in
tema di concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186 bis, l. fall., si v. T ERRANOVA , Il
concordato «con continuità aziendale» e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. fall.,
2013, 1, 3 e ss.; ARATO , Il concordato con continuità aziendale, in ilFallimentarista.it; si cfr.,
inoltre, CAVALLINI, Concordato preventivo «in continuità» e autorizzazione allo scioglimento
dei contratti pendenti: un binomio spesso inscindibile, in ilFallimentarista.it.
20
T ale interpretazione è già stata proposta in CIERVO , (nt. 1), 644.
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
creditori sulla proposta sarebbe stato diverso se avessero avuto contezza delle mutate
prospettive anteriormente all’espressione del voto in adunanza. M entre secondo un certo
orientamento tali iniziative sarebbero dovute consistere nella revoca dell’ammissione al
concordato da parte del tribunale, altri già avevano evidenziato l’opportunità in questi
casi di convocare nuovamente l’adunanza dei creditori e di ripetere le operazioni di
voto, sul presupposto che solo i creditori hanno il diritto di valutare la rilevanza da
attribuire al mutamento delle condizioni della proposta21.
Il legislatore, attraverso la nuova formulazione dell’art. 179, secondo comma, ha
chiarito che dal mutamento sopravvenuto delle circostanze di fattibilità (economica) del
piano proposto ai creditori non possa desumersi, sic et simpliciter, la volontà dei
creditori di modificare il proprio voto e di interrompere la procedura. Ne consegue
inevitabilmente l’illegittimità dell’eventuale automatica reiezione dell’omologazione da
parte del giudice in caso di sopravvenuto mutamento delle circostanze e, al contempo, la
non obbligatorietà di una nuova adunanza dei creditori, in quanto - stabilisce la norma
in discorso - soltanto i creditori che intendano revocare il proprio voto favorevole o
esprimere il proprio voto in luogo dell’eventuale precedente astensione possono e
devono costituirsi nel giudizio di omologazione ex art. 180, istando per la reiezione
dell’omologazione medesima.
Ciò rappresenta una importante indicazione circa il ruolo del giudice
immaginato dal legislatore nelle diverse fasi del procedimento in discorso, con
particolare riferimento al controllo in itinere ex art. 173. E di tale avviso sono anche le
Sezioni Unite ove affermano che il dettato normativo dell’art. 179, secondo comma,
«esclude incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia dell’eventuale
21
T ra coloro a favore della revoca del decreto di ammissione del debitore alla procedura in
discorso da parte del tribunale, si v. BOZZA , Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173.,
(nt. 3), 689; FILOCAMO , L’art. 173, primo comma, l. fall. nel “sistema” del nuovo concordato
preventivo, in Fallimento, 2009, 1471, in nota a T rib. Piacenza, 4 dicembre 2008; e, in
giurisprudenza, T rib. Milano, 24 aprile 2007, (nt. 1), 1441 ss.. T ra gli Autori favorevoli alla
riconvocazione dell’adunanza dei creditori e alla ripetizione delle operazioni di voto, si v.
BOSTICCO , (nt. 8), 1452, e, in giurisprudenza, T rib. Ancona, 13 ottobre 2005, in Fallimento,
2005, 1405; T rib. Monza, 28 settembre 2005, in Dir. fall., 2005, 2006, II, 891. Per effetto della
riforma, l’attuale art. 179 dispone che «quando il commissario giudiziario rileva, dopo
l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà
avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di
cui all'articolo 180 per modificare il voto»; in proposito, le Sezioni Unite hanno evidenziato che
la previsione citata «esclude dunque incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia
dell’eventuale mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità» e ciò porta
inevitabilmente a concludere che di tali condizioni di fattibilità «l’organo giudiziario non
dovesse essersene occupato prima, solo così potendosi giustificare la sua indifferenza rispetto
al mutamento di dati altrimenti potenzialmente rilevanti».
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mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità, il che lascia implicitamente
intendere che l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima, solo così
potendosi giustificare la sua indifferenza, rispetto al mutamento di dati altrimenti
potenzialmente rilevanti» 22.
Sembra, dunque, corretto affermare che anche le recenti riforme della legge
fallimentare hanno valorizzato il principio di c.d. autotutela informata dei creditori
concorsuali, confermando l’indirizzo già seguito del legislatore in occasione dei
precedenti interventi riformatori.
3. La giurisprudenza di legittimità successiva alle Sezioni Unite.
A seguito dell’arresto delle Sezioni Unite sul tema, la successiva giurisprudenza
di legittimità e di merito si è sostanzialmente attenuta ai principi enunciati dalla
Suprema Corte.
Come sopra descritto, secondo le Sezioni Unite la fattibilità del piano
concordatario costituisce un presupposto di ammissibilità del concordato la cui
sussistenza deve essere verificata dal giudice attraverso un giudizio autonomo e diretto.
Tale presupposto è duplice: da un lato vi è la fattibilità giuridica, intesa come non
incompatibilità del piano con le norme inderogabili dell’ordinamento; dall’altro, la
fattibilità economica, ossia la realizzabilità concreta del piano medesimo. M entre la
verifica della fattibilità giuridica spetta senza dubbio al giudice e non incontra
particolari limiti, il giudizio sulla fattibilità economica del piano proposto «è intriso di
valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore,
nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli
creditori, in coerenza con l’impianto generale prevalentemente contrattualistico
dell’istituto del concordato»23.
22
Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (10). Conf. App. Firenze, 10 febbraio 2014, in
IlCaso.it e in ilFallimentarista.it con nota di IUCCI, sentenza che ha stabilito che la disposizione
di cui all’art. 179, secondo comma, introduce la possibilità di esaminare e sottoporre ai creditori
non solo modifiche peggiorative, ma anche migliorative. Si v., in tema, FABIANI, (nt. 10), 9 e s.,
il quale ha evidenziato che «dire che il tribunale non conosce in via officiosa della fattibilità in
sede di omologazione potrebbe non escludere che la questione venga proposta dal singolo
creditore mediante l’opposizione e ciò a prescindere dalla revoca del voto. Di ciò la Corte non
si è direttamente occupata; tuttavia che la scelta più corretta sia quella che vuole che l’unico
strumento per dedurre la sopravvenuta non fattibilità sia la revoca del voto a me pare,
comunque, desumibile dalla sentenza nella parte in cui si prende opportunamente posizione
sull’assoluta irrilevanza della menzione nell’art. 180 l. fall. dell’attività istruttoria». Cfr.,
inoltre, NARDECCHIA , L’art. 179 l. fall. e le mutate condizioni di fattibilità del piano, in
IlCaso.it, doc. n. 315/2012.
23
Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (10).
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43
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CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
Tale suddivisione delle competenze, tuttavia, muta in presenza di una assoluta e
manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a realizzare quanto proposto
nel caso specifico, ossia a soddisfare in qualche misura, seppur minima, i crediti
concorsuali nei modi e nei termini (ragionevoli) di adempimento previsti nella proposta.
Soltanto in tal caso il sindacato del giudice può estendersi al profilo della fattibilità
economica, in quanto di fronte alla manifesta irrealizzabilità del piano risulterebbe
inutile qualsivoglia valutazione da parte dei creditori.
Ora, se i principi sanciti dai giudici di legittimità sono relativamente chiari in
teoria, più difficile è la loro applicazione in concreto. Si tratta di stabilire quali fatti
siano idonei a integrare una assoluta e manifesta irrealizzabilità del piano proposto ai
creditori. Risulta, pertanto, particolarmente utile l’analisi della giurisprudenza di
legittimità successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite.
Tra le pronunce successive all’intervento delle Sezioni Unite è senza dubbio
degna di nota quella di Cass, sez. I civ., 9 maggio 2013, n. 11014, che ha confermato la
correttezza della pronuncia della Corte d’Appello di Firenze, che aveva già censurato la
dichiarazione di fallimento effettuata dal Tribunale di Lucca a seguito del rigetto della
domanda di concordato preventivo proposta dal debitore24. La Corte d’Appello aveva
già evidenziato, infatti, che «l’ottimismo delle previsioni di vendita degli immobili
formulate nella proposta concordataria e nella relazione allegata, pur ponendosi in
contrasto con la grave crisi economica in atto, con il crescente immobilismo del
mercato immobiliare e con la posizione geografica dei beni, incidesse sulla fattibilità
del concordato in termini non già di certezza ma di mera probabilità». La Suprema
Corte, chiamata a valutare la correttezza della decisione dei giudici di secondo grado, ha
confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che la stessa avesse valutato in
modo ponderato i rischi e i vantaggi connessi alla liquidazione concorsuale dei beni
aziendali e effettuato un corretto giudizio di merito in ordine all'intrinseca serietà logica
della proposta concordataria, procedendo «ad una valutazione delle possibilità di
attuazione della stessa, sotto il profilo della concreta realizzabilità delle previsioni di
vendita degli immobili e delle connesse prospettive di soddisfacimento dei creditori,
poste a confronto con i rischi ai quali questi ultimi sarebbero rimasti esposti in caso di
fallimento». «L’esclusione dell’irrealizzabilità» - ad avviso della Suprema Corte - «è di
per sé sufficiente, sotto il profilo logico, a collocare l'attuazione del piano nell'arco
delle probabilità astrattamente attingibili dal giudizio di fattibilità, la cui valutazione in
concreto costituisce proprio l'oggetto dell'apprezzamento demandato al giudice di
merito».
Ciò conferma e contestualizza quanto affermato dalle Sezioni Unite circa i limiti
del sindacato del giudice sulla «fattibilità economica», possibile soltanto nel caso in cui
emerga manifestamente l’impossibilità di attuare quanto contenuto nel piano
24
Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, in IlCaso.it.
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concordatario; in caso contrario, il diniego dell’ammissione al concordato si tradurrebbe
in un ingiustificato rischio di danno sia per il debitore che per i creditori, ai quali
resterebbe preclusa la possibilità di esprimere il loro giudizio in ordine alla proposta e di
prestare la propria collaborazione alla riuscita del piano 25.
Un’altra pronuncia molto interessante in relazione al tema in esame è la sentenza
Cass., sez. I civ., 6 novembre 2013, n. 24970, che ha il merito di aver effettuato la
valutazione circa i limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità economica del piano di
concordato in modo chiaro ed esplicito, analizzando singolarmente i rilievi evidenziati
nella relazione finale del commissario, rilievi posti poi alla base della pronuncia del
giudice di prime cure 26. Nel caso all’esame della Suprema Corte, veniva negata
l’omologazione del concordato preventivo in continuità proposto dal debitore e
approvato dalla maggioranza dei creditori a seguito della rilevazione ex officio della non
fattibilità del concordato stesso sulla base dei seguenti elementi, già evidenziati dal
commissario giudiziale nel parere motivato di cui all’art. 180, secondo comma: (a) la
mancanza di impegni cogenti da parte delle banche quanto all’apporto di nuova finanza
dopo l’omologazione; (b) un deficit patrimoniale di oltre 850.000 Euro registrato nei
mesi successivi al deposito del concordato preventivo in discorso, con conseguente
perdita del capitale sociale in itinere; (c) la mancanza di garanzie circa le dismissioni di
due immobili previste dal piano; (d) la mancanza di copertura del fabbisogno
concordatario nel quinquennio 2011-2015 mediante le risorse previste nel piano.
Già i giudici della Corte d’Appello di Firenze, investiti dell’esame del reclamo
proposto dal debitore contro la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, avevano
accolto le doglianze del debitore censurando l’illegittima valutazione da parte del
giudice di primo grado sulla fattibilità del concordato, valutazione riservata ai soli
creditori purché compiutamente informati e consapevoli delle criticità relative alla
proposta di concordato loro presentata; e nel caso di specie, secondo i giudici di seconda
istanza, «non sussisteva alcun deficit di consapevolezza da parte del ceto creditorio al
momento della votazione, posto che gli elementi evidenziati dal commissario nel suo
parere finale altro non erano che una riconsiderazione delle criticità già riferite in
precedenza ai creditori, in particolare evidenziando l’aumento dell’entità dello
sbilancio fra attività e fabbisogno concordatario».
Tali censure, devolute poi all’esame della Suprema Corte dal curatore del
fallimento, venivano ritenute infondate anche dai giudici di legittimità. In particolare,
secondo la Suprema Corte, la mancanza di impegni cogenti da parte delle banche per
l’apporto di nuova finanza dopo l’omologazione e di garanzie circa le dismissioni di due
immobili evidentemente previste nel piano non sono elementi tali da integrare una
25
Così, quasi testualmente, Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, (nt. 24).
Cass., 6 novembre 2013, n. 24970, in IlCaso.it e in corso di pubblicazione su Giur. comm.,
2015, con nota di CIERVO .
26
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
assoluta inattitudine del piano a realizzare quanto proposto, in quanto non può
escludersi che in futuro si verifichino, rispettivamente, apporti di nuova finanza ovvero
la vendita degli immobili al prezzo ipotizzato. D’altra parte, proseguono i giudici, anche
i rilievi sub (b) e (d) non sono tali da escludere in assoluto la fattibilità economica del
piano proposto, pur evidenziando un andamento negativo della società debitrice durante
la procedura di concordato e sollevando dubbi circa la capacità della stessa di soddisfare
il fabbisogno concordatario con le risorse derivanti dalla continuazione della sua
attività. Orbene, è evidente che un piano che si basa su dismissioni di immobili per loro
natura incerte nei modi e nei tempi, che evidenzia la mancata copertura del fabbisogno
concordatario con le risorse previste dal piano e, al contempo, non prevede impegni
circa l’apporto di c.d. nuova finanza, genera comprensibili preoccupazioni circa la
capacità di soddisfazione dei creditori indicata nella proposta. Tali preoccupazioni,
tuttavia, non devono riguardare il giudice bensì i creditori stessi, ai quali compete la
valutazione prognostica circa la realizzabilità del piano e la votazione della proposta.
Alla luce di tale suddivisione di competenze tra i diversi soggetti della
procedura, è di tutta evidenza che assume una particolare rilevanza il tema della corretta
informazione dei creditori chiamati a valutare la proposta di concordato. Tale aspetto,
già compiutamente analizzato dalle Sezioni Unite e illustrato nei precedenti paragrafi,
viene esaminato anche nella sentenza citata. In particolare, i giudici di legittimità, nel
dichiarare inammissibile - in quanto giudizio di merito già effettuato dalla Corte
d’Appello e precluso alla Suprema Corte - le doglianze del commissario circa il difetto
di informazione dei creditori prima del voto, riaffermano l’importanza del fatto che la
scelta di questi avvenga in un contesto chiaro e privo di asimmetrie informative, nella
disponibilità del quadro più completo possibile della proposta che sono chiamati a
votare. Da qui i distinti ruoli del giudice delegato e del commissario giudiziale: il primo
ha il compito di verificare la presenza dei presupposti richiesti per l’accesso alla
procedura, attraverso un giudizio penetrante sulla principale condizione di ammissibilità
al concordato, la relazione dell’attestatore sul piano, nonché di garantire che i creditori
siano in condizione di esercitare il proprio voto con cognizione di causa sulla base di
una corretta rappresentazione della realtà; il secondo, deve scandagliare il piano e
prendere espressamente posizione sulla fattibilità di quanto proposto per fornire ai
creditori, nelle relazioni ex artt. 172 e 180, gli elementi di valutazione necessari ad una
votazione informata.
Anche la sentenza Cass., sez. I civ., 14 marzo 2014, n. 6022, ha offerto un
importante contributo nella comprensione dei principi affermati dalle Sezioni Unite27.
La Suprema Corte - nel respingere il ricorso presentato dal debitore ammesso al
concordato poi omologato ed eseguito, il quale pretendeva la restituzione delle somme
ricavate dalla vendita degli immobili eccedenti rispetto alla percentuale di soddisfazione
27
Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, in IlCaso.it.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
promessa ai creditori - ha ribadito che nel concordato con cessione dei beni
l’imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio
dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in una misura percentuale
prefissata. Di conseguenza, ha affermato la Corte, «va escluso che in tale tipo di
concordato, in cui l’entità del soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione,
sul quale non può esservi alcuna preventiva certezza, i creditori che, ciò nonostante,
hanno approvato la proposta, possano richiedere la risoluzione nell’ipotesi in cui la
somma ricavata dalla vendita dei beni si discosti, anche notevolmente, da quella
necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, non
potendosi configurare inadempimento rispetto ad un’obbligazione che il debitore non
ha assunto». Ciò sembra confermare il principio per cui, anche in presenza di una
notevole incertezza sugli esiti del piano presentato dal debitore, il giudice deve astenersi
da un giudizio sulla fattibilità del piano e rimettere ai creditori tale valutazione, quali
unici soggetti che possono disporre dei propri interessi di credito e votare positivamente
un piano concordatario che, seppur incerto, ritengono migliore della alternativa
rappresentata dal fallimento.
Di interesse per l’analisi del tema in esame sembra essere quanto affermato da
Cass., sez. I civ., 23 maggio 2014, n. 11497, che ha accolto il ricorso proposto dal
debitore contro la sentenza di fallimento seguita alla dichiarazione di inammissibilità
della proposta di concordato preventivo presentata, proprio alla luce di quanto affermato
dalle Sezioni Unite in relazione all’impossibilità per il giudice di sindacare la fattibilità
economica del piano di concordato 28. La Suprema Corte, nel censurare la pronuncia di
primo grado in quanto basata sulla valutazione del probabile insuccesso del concordato,
ha ricordato che «le sezioni Unite, con riferimento alla fattibilità economica,
individuano un solo profilo su cui si esercita il sindacato officioso del giudice […]:
quello della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine
del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a
realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento
alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia
pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole».
Applicando poi tali principi al caso concreto in esame, i giudici di legittimità hanno
rilevato che «sia l’incapacità della proponente di formalizzare l’acquisto - al quale,
pure, non si disconosce il diritto - dei cespiti immobiliari, sia la mancata
formalizzazione delle garanzie promesse da terzi, sia la ritenuta inattendibilità della
valutazione degli immobili in quanto situati in zona agricola, costituiscono ragioni di
probabile insuccesso del concordato sulla base di valutazioni di fatto spettanti in via
esclusiva ai creditori, dei quali non è posta in discussione la compiuta informazione
anche su tutti gli aspetti ad esse relativi; né, essendo basate su valutazioni opinabili,
28
Cass., 23 maggio 2014, n. 11497, in IlCaso.it.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
può dirsi che integrino un’assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dalla
società debitrice a raggiungere gli obiettivi prefissati di soddisfazione dei creditori».
Tali affermazioni, che non richiedono ulteriore commento data l’estrema
chiarezza e coerenza con i principi delineati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte,
trovano poi ulteriore conferma in numerose altre sentenze di legittimità e merito relative
al tema in esame, e sembrano segnare ormai il superamento delle incertezze che hanno
caratterizzato per lungo tempo il tema dei limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità
del piano di concordato anteriormente all’intervento della Suprema Corte a Sezioni
Unite29.
29
Si v. Cass., 4 luglio 2014, n. 15345, in IlCaso.it, con nota di FINARDI, che ha recentemente
ribadito che «dopo l’approvazione della proposta da parte dei creditori non è consentito al
tribunale, e neppure alla corte di appello in sede di reclamo, verificare la probabilità di
successo del concordato e non omologarlo quando appaia prevedibile un inadempimento del
debitore che legittimerebbe i creditori a chiedere la risoluzione del concordato. […] Il
contrario non può sostenersi neppure ove la verifica del giudice facesse emergere l’inidoneità
della proposta a soddisfare i diversi crediti nella misura e nei tempi promessi. […] Questi
ultimi, del resto, ben potrebbero avere accettato non solo il rischio ma anche l’eventualità di
essere soddisfatti in una misura ed in tempi diversi da quelli preventivati nella approvata
proposta di concordato. […] In sede di omologazione il sindacato del tribunale, e della corte di
appello nell’eventuale giudizio di reclamo, non può estendersi, attraverso una verifica
istruttoria, alla probabilità di successo del concordato approvato dai creditori, e
l’omologazione non può essere negata neppure quando, a giudizio del tribunale o della corte di
appello, sia prevedibile l’inadempimento del concordato»; Cass., 23 maggio 2014, n. 11497,
(nt. 28); Cass., 22 maggio 2014, n. 11423, in IlCaso.it, che ha ribadito che l’unico profilo
relativo alla fattibilità economica del concordato su cui il giudice può esercitare d’ufficio il
proprio sindacato (fermo il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti
dal debitore ai creditori con la proposta di concordato e i documenti allegati) è quello relativo
alla «verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano
presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa
concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità
indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei
creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto)» e ha censurato la decisione
della Corte d’Appello impugnata in quanto «gli elementi sui quali ha basato la decisione
d’inammissibilità della proposta di concordato non configurano ragioni d’incompatibilità del
piano con norme inderogabili (difetto di “fattibilità giuridica”) né d’altra parte evidenziano
con chiarezza un deficit informativo per i creditori» quanto piuttosto «dubbi circa la possibilità
della società affittuaria di produrre risultati imprenditoriali sufficienti ad assicurare il
pagamento del canone d’affitto occorrente al soddisfacimento delle esigenze del concordato,
dubbi che finisco per sconfinare nel merito della valutazione di fattibilità economica del piano,
sul quale il giudice non può direttamente intervenire»; Cass., 16 maggio 2014, n. 10778, (nt.
15); Cass. 30 aprile 2014, n. 9541, in ilFallimentarista.it, con nota di AMATORE ; Cass., 14
marzo 2014, n. 6022, (nt. 27); Cass., 31 gennaio 2014, n. 2130, in IlCaso.it; Cass. 25 settembre
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STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
2013, n. 21901, (nt. 14); Cass., 27 maggio 2013, n. 13083, (nt. 14), che, pur rigettando il ricorso
per le ragioni illustrate infra, nt. 14, ha censurato la decisione della Corte d’Appello in quanto
«pur premettendo di non voler sindacare il merito e la convenienza della proposta
concordataria, ha svolto valutazioni di convenienza e di fattibilità economica con riferimento
alla accettabilità della transazione fiscale da parte dell'amministrazione finanziaria, alla
possibilità di vendere la partecipazione sociale nella […] s.r.l. alle condizioni previste nel
piano, alla certezza della realizzabilità della vendita di un ramo di azienda alla s.r.l. […]»;
Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, (nt. 24); App. Firenze, 10 febbraio 2014, (nt. 22), che ha
revocato la sentenza di fallimento pronunciata dal giudice di prime cure a seguito del rigetto
dell’omologazione del concordato preventivo proposto dal debitore, ribadendo che «il giudizio
di prognosi sulla fattibilità economica del piano - quale appunto quello sulla possibilità di
incassare i crediti nei tempi prospettati e di dare soddisfazione ai creditori chirografari nella
percentuale indicata - è rimesso esclusivamente alla valutazione dei creditori»; App. Bologna,
7 novembre 2013, n. 1974, in IlCaso.it, che ha accolto il reclamo contro la dichiarazione di
fallimento pronunciata dal giudice di prime cure evidenziando l’illegittimità del giudizio di
questi sulla fattibilità del concordato proposto dal debitore, in quanto relativo alla «probabilità
di successo economico del piano e dei rischi inerenti» e, dunque, esorbitante i limiti individuati
dalle Sezioni Unite in tema; Trib. Piacenza, 6 giugno 2014, in IlCaso.it, che in sede di giudizio
di omologazione ha rigettato l’opposizione di un creditore - che lamentava una
sopravvalutazione dei cespiti immobiliari il cui ricavato era destinato dal piano alla
soddisfazione dei creditori, nonché l’assenza di potenziali acquirenti degli stessi, e paventava il
rischio di una non realizzabilità del concordato con conseguente fallimento del debitore e
perdita di tempo e di valore dei beni aziendali - evidenziando che l’argomento non è
condivisibile in quanto, così ragionando, «si dovrebbe concludere che l’attuale crisi generale
del settore, come di molti altri, per l’estrema difficoltà della vendita di detti beni,
tradizionalmente considerati beni rifugio, impedirebbe qualsiasi concordato il cui oggetto della
cessione fossero immobili, difficoltà che non sarebbe comunque evitata anche in caso di
fallimento, non trattandosi tanto di una questione di prezzo, quanto di mancanza di domanda»;
Trib. Pesaro, 29 maggio 2014, in IlCaso.it; Trib. Prato, 30 aprile 2014, in IlCaso.it, che ha
precisato che normalmente il giudizio circa la fattibilità economica del piano di concordato
spetta ai creditori, ma che «non può essere rimesso alla decisione della maggioranza dei
creditori, con pregiudizio dei dissenzienti, il rischio di fattibilità di un piano i cui margini di
opinabilità e di errore siano talmente ampi da inficiarne la ragionevole tenuta e la probabilità
di successo. La presenza di opposizioni non muta l'oggetto del giudizio del tribunale, che
rimane circoscritto alla fattibilità giuridica, ma determina la necessità di valutare in modo
rigoroso la predetta adeguatezza e l’accettabilità del rischio da riversare sui creditori in sede
di omologazione». E ha aggiunto, con riferimento alle censure dei creditori opposti in relazione
al valore dei beni oggetto di dismissione, che «non vi è dubbio che la prima contestazione circa
l'incertezza del ricavato della vendita costituisca un rischio normale nei concordati con
cessione, anche parziale, dei beni e che, una volta accertata l'esistenza ed il valore di perizia
del bene, sia giustificato che del medesimo rischio si facciano carico i creditori»; Trib. Modena,
7 aprile 2014, che ha negato l’omologazione di un concordato, pur in assenza di opposizioni,
rilevando che fatti sopravvenuti (la risoluzione di alcuni contratti con conseguente iscrizione dei
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
49
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
4. Conclusioni.
Alla luce dell’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (e di merito) in
tema, sembrano confermate le conclusioni cui si era giunti già in sede di commento
della sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte e in successive occasioni, che
possono riassumersi come segue:
(i) il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano è limitato alla «fattibilità
giuridica» e consiste, da un lato, nel controllo di legalità di quanto previsto dal piano e
dei singoli atti della procedura e, dall’altro, nella verifica della rispondenza degli stessi
alla causa concreta del procedimento, intesa come riconoscimento ai creditori di una pur
minima soddisfazione del credito da questi vantato entro tempi ragionevoli. Rientra,
dunque, nell’ambito di tale controllo - oltre alla verifica sulla sussistenza dei
presupposti per l’ammissione - l’accertamento della logicità e della coerenza
complessiva delle conclusioni dell’attestatore nonché della attuabilità giuridica di
quanto assunto nel piano;
(ii) il sindacato sulla fattibilità del piano in capo al giudice può estendersi al
profilo della «fattibilità economica» soltanto nel caso in cui emerga prima facie
l’assoluta inidoneità del piano proposto a realizzare la causa concreta della procedura,
ossia a soddisfare in qualche misura, seppur minima, i crediti concorsuali entro i termini
di adempimento previsti nella proposta, purché ragionevoli;
(iii) il ruolo istituzionale di controllore della legalità della procedura demandato
al giudice si articola, con uguale e costante pervasività nel corso dell’intera procedura,
nel potere di rigetto della domanda di ammissione ex art. 162, di revoca
dell’ammissione ex art. 173 o, infine, di reiezione della istanza di omologa ex art. 180 in
tutti i casi in cui vi siano difetti di informazione dei creditori circa le condizioni di
fattibilità del piano loro proposto;
(iv) i destinatari della proposta di concordato sono i creditori, ai quali spetta, in
via esclusiva, formulare un giudizio in ordine alla convenienza economica della
soluzione prospettata, sulla base di una valutazione prognostica sulla fattibilità del piano
maturata attraverso l’ausilio e il confronto, da un lato, della relazione dell’esperto
nominato dal debitore e, dall’altro, delle “contro-relazioni” del commissario giudiziale
ex art. 172 e 180. Pertanto, una volta espresso un giudizio positivo in ordine alla
fattibilità del piano, in caso di mutamento delle condizioni loro prospettate, spetta al
commissario giudiziale comunicarlo ai creditori, per permettere loro di costituirsi
relativi crediti tra quelli prededucibili e aumento del passivo concordatario) avevano
determinato l’impossibilità assoluta di soddisfare i creditori chirografari e, in parte, quelli
privilegiati, con conseguente sopravvenuta non fattibilità del piano di concordato già
positivamente valutato dai creditori; Trib. Roma, 29 gennaio 2014, in ilFallimentarista.it.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
50
STUDI E OPINIONI
CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO
eventualmente nel giudizio di omologazione per modificare il voto precedentemente
espresso.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
51
RELAZIONI A CONVEGNI
LA NUOVA DISCIPLINA DEI
CONTRATTI DI GODIMENTO IN
FUNZIONE DELLA SUCCESSIVA
ALIENAZIONE DI IMMOBILI*
L’articolo si sofferma sulle nuove forme contrattuali che consentono alle parti di
stipulare accordi che attribuiscono l’immediato godimento del bene al conduttore,
permettendogli di superare l’impossibilità di corrispondere l’intero prezzo ed allo
stesso tempo assicurandogli il diritto all’acquisto della casa, imputando in tutto od in
parte quanto versato a titolo di canone locatizio in conto prezzo.
di MICHELE VAIRA
1. L’art. 23 del decreto legge n.133 del 12 settembre 2014.
Si riporta, per una sua migliore disamina, il testo di legge contenente la
disciplina positiva del cosidetto "rent to buy".
Art. 23. Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva
alienazione di immobili
1.1 I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata
concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo
entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di
canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell' articolo 2645-bis codice civile.
La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all' articolo 2643,
comma primo, numero 8) del codice civile.
1.1.2 Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non
consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad
un ventesimo del loro numero complessivo.
1.1.3 Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto
comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma
terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile e' elevato a tutta la durata del contratto e
comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano altresi' le disposizioni
degli articoli da 1002 a 1007 nonche' degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in
(*) Relazione tenuta a Cereseto il 19 settembre 2014 in occasione del Convegno “ Dal rent to
buy al buy to rent”.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
52
RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice
civile.
1.1.4 Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un'abitazione, il divieto di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla
concessione del godimento.
1.1.5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve
restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali.
In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla
restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennita', se
non e' stato diversamente convenuto nel contratto.
1.1.6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva
l'applicazione dell'articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942,
n.267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica
l'articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni; se il
curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5.
1.1.7 Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n.47,
convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n.80, e' aggiunto il seguente:
"5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione
con clausola di trasferimento della proprieta' vincolante per ambedue le parti e di
vendita con riserva di proprieta', stipulati successivamente alla data di entrata in vigore
della presente disposizione.".
1.1.8 L'efficacia della disposizione di cui al comma 7 e' subordinata al positivo
perfezionamento della procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di
cui all'articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), di cui
e' data comunicazione nella gazzetta ufficiale.
1.2 Le esigenze del mercato immobiliare e la ratio dell'intervento normativo:
la tipizzazione di un contratto atipico.
Le innovazioni nell'ambito del diritto civile, con la creazione di nuove figure
contrattuali, spesso conseguono a situazioni di crisi economica, quando l'impossibilità
di utilizzare gli usuali schemi negoziali induce gli operatori economici e la prassi ad
1
individuare nuovi strumenti giuridici .
L’andamento negativo del mercato immobiliare non pare destinato ad invertirsi
in tempi brevi2, soprattutto per effetto delle accresciute difficoltà di accesso al credito,
1
FUSARO A., Rent to buy, Help to buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della
prassi, in Contratto e Impresa, 2014, 2, 419 e ss.
2
Se bbene secondo gli ultimi dati diffusi dall'Agenzia delle Entrate sia tornato il segno positivo
negli scambi di a bitazioni in Italia, avendo il primo trimestre del 2014 registrato la fine IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
53
RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
sia da parte del costruttore-venditore, sia da parte del potenziale acquirente; al primo,
infatti, la quantità di invenduto non solo disincentiva l’intrapresa nuove iniziative
imprenditoriali, ma comporta altresì l’impossibilità di chiudere le posizioni debitorie in
corso, che in qualsiasi momento si possono trasformare in situazioni di sofferenza od
incaglio, con un peggioramento del proprio rating aziendale; al secondo, i criteri più
restrittivi per il sistema bancario introdotti dall’accordo di “Basilea 2”, precludono
ormai del tutto la possibilità di ottenere un mutuo in caso di lavoro interinale se non
supportato da altre garanzie accessorie fornite da terzi, ma spesso financhè impediscono
di finanziare l’acquisto del 100% (cento per cento) dell’immobile, oltre ad un costo del
denaro che si mantiene alto, nonostante la discesa dei tassi di interessi, per effetto
dell’aumento del margine di intermediazione richiesto dall’istituto bancario, causato da
un deterioramento delle posizioni dei propri clienti.
Per superare questa doppia impasse, la prassi ha iniziato ad individuare nuove
forme contrattuali che permettono ai cittadini di stipulare accordi che attribuiscono
l’immediato godimento del bene al conduttore, consentendogli da un lato di superare
l’impossibilità di corrispondere l’intero prezzo ed al contempo assicurandogli il diritto
all’acquisto della casa, imputando in tutto od in parte quanto versato a titolo di canone
3
locatizio in conto prezzo .
temporanea - del trend negativo che ogni tre mesi segnalava perdite, anche di due cifre, con le
transazioni residenziali cresciute dell'1,6% rispetto allo stesso periodo del 2013 (+4,1% nel
residenziale), pare ancora troppo presto per leggere nei numeri un'inversione di tendenza, anche
perché questi dati potrebbero essere falsati, avendo molti atteso a stipulare i rogiti di
compravendita nei primi mesi dell'anno in corso per sfruttare la più conveniente imposta di
registro.
3
Al riguardo, è chiarissimo il disposto dell’art.47 Costituzione: “La Repubblica incoraggia e
tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.
Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta
coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del
Paese”. In un contesto come quello attuale in cui l’accesso del credito è divenuto incerto e
difficoltoso, non paiono più sufficienti misure recanti unicamente agevolazioni fiscali, ma
occorrono viceversa interventi positivi per rimettere in moto il mercato immobiliare, favorendo
la stipulazione di nuovi finanziamenti e, conseguentemente, lo smaltimento dello stock di
invenduto; in ogni caso, forme contrattuali volte a soddisfare l’esigenza di un anticipato
godimento dell’immobile erano già conosciute sotto il vigore del vecchio codice civile; vedasi il
R.D. n.1165/1938 (Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica), ove
all’articolo 34 si prevede: “Il Ministro dei Lavori Pubblici può autorizzare i Comuni e gli istituti
per case popolari a vendere o assegnare in locazione con patto di futura vendita, all’inquilino o
ai suoi eredi, gli stabili in qualunque tempo costruiti prescrivendo, volta per volta, le cautele e
le condizioni da inserirsi nei contratti suddetti”. Sul punto A. BUSANI, Le nuove compravendite,
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
54
RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
Sebbene dallo scorso 12 settembre 2014 esista una disciplina di diritto positivo
che contempla questa fattispecie, come si vedrà nel prosieguo, permane utile effettuare
una carrellata delle varie declinazioni contrattuali assunte nella prassi dal cd. Rent to
buy, in quanto la norma introdotta e sopra richiamata ha una valenza definitoria molto
ampia e, pertanto, è idonea a ricomprenderle tutte, in un’ottica di favore per l’esplicarsi
dell’autonomia contrattuale.
4
Il Rent to buy è assimilabile ad un “contratto di locazione seguito da un atto
traslativo della proprietà”, che favorisce la conclusione della vendita con il pagamento
dilazionato dell’importo, a favore di chi non dispone attualmente dell’intera somma o
che non può in ogni caso ancora riacquistare non essendo ancora riuscito ad alienare il
bene detenuto in piena proprietà; interessati sono sia il venditore, che accetta la
dilazione ma non intende dismettere la proprietà fino al saldo, sia l’acquirente che
intende beneficiare di uno scaglionamento dell’importo nel tempo.
Il Buy to rent è viceversa una vendita immediata con prezzo dilazionato e la
garanzia per il venditore di ridivenire proprietario in caso di inadempimento del
compratore; la vendita con il pagamento dilazionato favorisce l’acquirente; soggetti
interessati sono quanti devono cedere subito la proprietà, ottenendo però garanzie sul
saldo dell’importo dilazionato, nonché gli acquirenti che intendono entrare subito nel
possesso del bene.
L’Help to buy si traduce in un contratto preliminare con pagamento dilazionato
anteriore al rogito, volto a favorire la successiva vendita con il pagamento del residuo
dell’importo pattuito; in questo modo, avvalendosi oltretutto degli effetti prenotativi
della trascrizione, si ottiene la disponibilità immediata dell’immobile con un anticipo di
regola pari ad un 20-30% dell’importo del prezzo del bene oggetto di promessa di
acquisto; viene cosi agevolato l’ottenimento del successivo finanziamento, in quanto
inserto de Il Sole 24 ore, del 13 maggio 2013, 8, ove si rammenta che negli anni cinquanta gli
I.A.C.P. hanno attuato il Piano Casa Fanfani finalizzato a consentire l’acquisto della prima casa
alle fasce meno abbienti tramite una locazione al termine del quale avveniva il trasferimento
della proprietà dell’inquilino.
4
Oltre alle affini, ma non coincidenti, figure del Buy to rent e dell’ Help to buy, come ben
evidenziato da D. DE STEFANO - F.DE STEFANO - L.STUCCHI - G.DE MARCHI, Help to buy
favorire la ripresa delle transazioni immobiliari, in Federnotizie, 2012, 42 ss. Da precisare che
negli ordinamenti anglossassoni il termine Help to buy è riferito alle politiche pubbliche di
sostegno all’acquisto della casa, riprese con una legislazione speciali nel Regno Unito e al
riguardo vedasi VELLA - LUNGARELLA , Casa con mutuo all’inglese, in www.lavoce.info del 12
settembre 2014.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
relativo ad una quota più bassa pari al restante valore dell’immobile e non superiore al
70-80% 5 dell’intero.
Tre sono poi i modelli contrattuali in cui si articola il cd. rent to buy, a seconda
6
che alla locazione si aggiunga un’opzione di acquisto , oppure un preliminare di
compravendita, od ancora una clausola di trasferimento automatico della proprietà
vincolante per entrambe le parti.
Nella prima fattispecie abbiamo una locazione su cui si innesta un diritto di
opzione che riporta il contenuto della futura vendita, aperta all’adesione libera
dell’acquirente; se perfezionata per scrittura privata autenticata o atto pubblico essa
consente la conclusione del contratto definitivo nella forma adatta alla pubblicità
immobiliare, purché l’accettazione sia conforme .
La locazione con affiancato un preliminare di futura vendita comporta, invece,
la necessità di un successivo rinnovo della volontà, ma ha il vantaggio di consentire il
ricorso alla pubblicità immobiliare ad eliminazione del rischio di fallimento del
venditore.
La terza ipotesi coincide sostanzialmente una locazione cui si affianca una
clausola di trasferimento automatico della proprietà e richiama l’istituto della vendita
con riserva della proprietà, che si ritiene pacificamente applicabile anche al
trasferimento della titolarità dei beni immobili 7. Sia nella cessione con riserva della
5
Questo strumento aiuta infine il promissario acquirente a crearsi uno storico creditizio,
facilitando l’evasione della richiesta del successivo finanziamento in banca.
6
L’opzione per sua natura favorisce la cedibilità della posizione contrattuale, ma presenta la
difficoltà di non essere opponibile ai terzi, assicurando soltanto una tutela risarcitoria al titolare
dell’opzione, qualora il proprietario-locatore alieni l’immobile a sua insaputa.
7
Sebbene questa tipologia contrattuale assicuri una tutela qualificata al compratore, titolare di
un aspettativa opponibile ai terzi che prevale sulle successive vicende che coinvolgano il
venditore, e disponga di una disciplina compiuta che contempla altresi le vicende patologiche
del rapporto, e pertanto possa dirsi idonea ad assecondare le istanze sottese al rent to buy, essa
ha incontrato una scarsa diffusione a causa del trattamento fiscale oneroso cui è sottoposta, in
quanto la clausola del contratto di vendita, con la quale si rinvia l’effetto traslativo al pagamento
dell’ultima rata di prezzo (art. 1523 c.c.) non si considera, a fini fiscali, equiparabile ad una
condizione sospensiva (art. 27, III° comma, dpr. N.131/86), con l’effetto che è subito dovuta
l’imposta proporzionale di registro per l’intero importo, essendo l’effetto traslativo già
predeterminato sin dall’origine.
Analoga sorte per il contratto di locazione con patto di futura vendita, essendo l’Agenzia delle
Entrate orientata a ritenere che l’effetto traslativo sia differito a mero scopo di garanzia e,
pertanto, in quanto voluto dai contraenti sin dal momento della conclusione del negozio, è a
questo momento che occorre far riferimento ai fini della liquidazione dell’imposta (Risoluzione
n. 338 del 1° agosto 2008).
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
proprietà, sia nella locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le
parti, il compratore acquista la titolarità della cosa solo con il pagamento dell’ultima
rata di prezzo, ma soltanto nella prima egli assume i rischi dal momento della consegna
8
(art. 1523 c.c.); nella seconda, in ipotesi di perimento del bene il conduttore è liberato .
La soluzione maggiormente diffusa, proprio ad evitare l’inconveniente connesso
alla – ritenuta – inammissibilità della novazione del titolo da canone in corrispettivo
anticipato del prezzo consiste in un’operazione complessa basata sul collegamento
negoziale tra il preliminare di compravendita e la locazione ed a propria volta si articola
in due versioni: la prima contempla un compromesso accompagnato dal versamento di
una somma a titolo di caparra penitenziale e la contestuale stipula di una locazione
sottoposta alla condizione sospensiva dell’esercizio del recesso dal contratto
preliminare, escludendo gli effetti retroattivi dell’avveramento, attraverso l’introduzione
di un termine iniziale 9.
In alternativa è sufficiente assecondare l’ordinaria efficacia retroattiva della
condizione, procedendo alla sottoscrizione contestualmente di un preliminare di vendita
e di un contratto di locazione, contenenti condizioni la cui operatività è configurata in
maniera simmetrica. Il contratto preliminare di compravendita può essere sottoposto alla
condizione risolutiva dell’impossibilità per il promittente acquirente di vendere
l’alloggio proprio od ottenere il mutuo; il contratto di locazione è, invece, sottoposto
alla condizione di segno opposto rispetto a quella introdotta nel preliminare (se la prima
è sospensiva, la seconda è risolutiva), in modo che essa diviene efficace al perderla del
primo; in difetto di deroga, entrambe le pattuizioni opererebbero retroattivamente e la
10
somma versata a titolo di caparra verrebbe considerata corrispettivo della locazione .
8
Come evidenzia attenta dottrina, in ordine ad entrambe le figure è sorto “ l’interrogativo circa
la possibile novazione del titolo delle somme versate quali canoni di locazione, onde imputarle
al prezzo della compravendita. La risposta è prevalentemente negativa: si dubita della
concettuale ammissibilità di questa novazione, sebbene sia contemplata dal codice civile, in una
norma contenuta all’interno della disciplina della vendita con riserva della proprietà. Secondo
l’art.1526, III° c., c.c., la regola si applica alle locazioni, qualora sia previsto che al termine la
proprietà sia acquisita dal conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti, quindi in
forza di un automatismo (FUSARO , cit., 3 e ss) .
9
In questo modo, il promittente acquirente che si riveli impossibilitato a perfezionare la
compravendita potrà in ogni caso far affidamento sul diritto di recesso dal compromesso e sulla
conservazione del godimento dell’alloggio, che avrà anticipatamente remunerato attraverso gli
acconti e che saranno imputati a canone di locazione; dall’altro lato, il venditore vedrà
compensata l’occupazione dell’immobile dalla somma ricevuta come caparra penitenziale, che
lo terrà indenne dal pregiudizio derivante dall’indisponibilità del suo bene.
10
Pertanto, nel contratto preliminare di compravendita si prevederà il versamento di una somma
a titolo di caparra questa volta non penitenziale, ma - ovviamente - confirmatoria, e l’assunzione
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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CONTRATTI DI GODIMENTO
Non è mancato, infine, chi ha proposto di raggiungere gli obiettivi sottesi
all’istituto dell’affitto a riscatto, mediante il perfezionamento di un accordo negoziale
con cui il venditore ceda al potenziale acquirente il diritto di usufrutto vitalizio a fronte
di un corrispettivo rateizzato per un certo numero di anni, collegato con un patto di
opzione per l’acquisto della nuda proprietà, con pagamento del residuo prezzo al
momento dell’esercizio dell’opzione medesima, sottoposto a termine iniziale,
coincidente con la scadenza del periodo di rateizzazione dell’usufrutto in precedenza
costituito.
In aggiunta, si può prevedere una clausola risolutiva del diritto di usufrutto,
qualora il termine concesso per l’esercizio dell’opzione decorra inutilmente, prevedendo
che quanto corrisposto per la cessione dell’usufrutto venga trattenuto dal cedente quale
corrispettivo per l’occupazione dell’immobile, ora senza titolo per effetto della
retroattività della condizione risolutiva, con un eventuale penale a favore del venditore
per aver perso potenziali occasioni di vendita ed offerte durante il periodo di cessione
11
dell’usufrutto vitalizio .
La varietà di forme contrattuali emerse nella prassi e qui sopra brevemente
richiamate testimonia come la ricerca di più congegni contrattuali atipici, ossia non
interamente riconducibili ad alcuna delle fattispecie regolarmente disciplinate dal codice
civile, sia sottesa e causa al contempo del processo di tipizzazione sociale dei medesimi,
sulla spinta diffusa di individuare una strada per superare le difficoltà del mercato
immobiliare dovuta alla mancanza di liquidità ed alla contrazione del credito.
Il riconoscimento normativo di questo processo, come si vedrà nel prossimo
dell’obbligo di acquisto in capo all’acquirente sarà sottoposto alla condizione risolutiva del
mancato avverarsi di eventi quali l’ottenimento del mutuo, oppure la vendita della preposseduta
casa in proprietà; qualora intervenisse il definitivo rifiuto della banca di finanziare la somma
indispensabile per l’acquisto, oppure in caso di assenza di richieste di acquisto
dell’appartamento posseduto, il contratto preliminare di compravendita sarebbe risolto e
acquisirebbe efficacia la locazione. Va comunque sottolineato che questi schemi contrattuali
non sempre incontrano il favore del venditore-costruttore, il quale vede sempre più, con
l’aggravarsi della crisi e l’incremento dell’invenduto, nel rent to buy uno strumento di certa
alienazione dell’immobile e non solo di momentanea percezione di un canone locatizio in attesa
della sua definitiva dismissione.
11
A.T ESTA, Il rent to buy: la tipizzazione sociale di un contratto atipico, in Immobili e
proprietà, 2014, 6, 390 e ss., che evidenzia i vantaggi per il potenziale acquirente di acquisire il
godimento immediato dell’immobile a fronte di un corrispettivo rateizzato, liberando il
venditore dal peso di imposte e gravami, di spettanza dell’usufruttuario. La tassazione di questa
fattispecie non presenta inoltre difficoltà o dubbi applicativi, essendo propria dei due contratti, e
quindi a utonoma ed indipendente, senza i rischi di duplicazione di imposta insita
nell’imputazione dei canoni locatizi ad acconto prezzo.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
paragrafo, prende atto delle diverse tipologie contrattuali emerse, cercando di fornire
una disciplina di tutela nel rispetto della ricchezza delle soluzioni proposte, di modo che
l’ombrello protettivo dato dalla novità normativa si possa rivelare il più ampio ed
efficace possibile.
1.3 La novella legislativa tra tutela delle parti ed autonomia contrattuale.
Con la dovuta premessa che il testo licenziato dal Governo potrà essere oggetto
di emendamenti e correzioni in sede di conversione del decreto legge 12, ad una prima
lettura appaiono tre gli obiettivi principali del legislatore, e precisamente:
1) la volontà di colmare lacune e risolvere i problemi interpretativi sorti in
passato, mediante l’’introduzione di un nuovo tipo contrattuale, sebbene flessibile;
2) la volontà di semplificare e agevolare il ricorso a questo strumento;
3) la volontà di apprestare una cornice normativa fortemente protettiva nei
confronti del conduttore-acquirente.
Gli elementi caratterizzanti, o per meglio dire tipizzanti, la nuova fattispecie
contrattuale sono essenzialmente due, ossia l’attribuzione immediata del godimento del
bene con diritto del conduttore di acquistarlo entro un termine determinato e la
possibilità per il medesimo di imputare il canone locatizio al prezzo di acquisto finale.
Una prima questione interpretativa attiene al perimetro di operatività della
norma, se essa cioè trovi applicazione soltanto nei casi in cui il negozio contempli
unicamente una facoltà del conduttore di acquistare, ovvero anche quando al suo diritto
faccia da contraltare altresì un “dovere all’acquisto”, derivante dalla stipulazione di un
preliminare vincolante per entrambe i contraenti o, ancora, quando sia previsto un
immediato effetto traslativo, senza più la necessità di ulteriori manifestazioni di volontà.
Sebbene il significato letterale dell’espressione “diritto all’acquisto” faccia
propendere per la prima risposta, è preferibile ritenere che la novella ricomprenda tutte
le possibili declinazioni che può assumere la fattispecie; gli elementi che depongono a
favore di un’ interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione della norma si
rivengono già nel titolo della novella, che utilizza l’espressione al plurale “contratti di
godimento”, nella specificazione in negativo che la norma non si applica unicamente
13
alla locazione finanziaria , nel riferimento, infine, contenuto nel comma 7 dell’ art. 23,
12
Va tuttavia doverosamente ricordato che la novella recepisce le proposte elaborate dal
Notariato in occasione dell’ultimo congresso nazionale (tenutosi a Roma nel novembre 2013 e
dedicato al tema della “Proprietà dell’abitazione”), che sono state presentate al Senato della
Repubblica lo scorso 15 aprile, in occasione dell’audizione tenuta in sede di conversione del
D.L. 47/2014 (emergenza abitativa).
13
La contrapposizione rispetto alla locazione finanziaria non si comprende appieno se non con
riferimento alla ratio sottesa alla diffusione del rent to buy, quale strumento negoziale che
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
ove, con una sorta di interpretazione autentica dell’articolo 8 del d.l. 47/2014, si estende
la disciplina ivi contenuta14 anche ai contratti di locazione (di alloggi sociali) con
clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti e di vendita
15
con riserva di proprietà (sempre di alloggi sociali) .
Il riferimento al “termine determinato” rende il termine medesimo contenuto
essenziale di questi contratti, perdendo cosi la natura di mero elemento accidentale; la
determinatezza del termine impone un riferimento ad una data precisa di calendario e
può riferirsi sia al termine per l’esercizio dell’opzione spettante al conduttore, sia al
termine di scadenza del preliminare, sia alla data in cui avviene l’effetto traslativo16,
non potendo tuttavia protrarsi oltre il decennio dalla data di stipula del contratto.
Una seconda questione attiene alla possibilità per le parti contraenti di
prevedere che solo una parte del canone locatizio venga imputato a prezzo finale di
vendita, dal momento che il testo della novella si riferisce all’imputazione della “parte
di canone indicata nel contratto”, senza distinzioni di sorta. Sebbene autorevole
dottrina17 abbia manifestato dubbi su questa possibilità, l’utilizzo dell’espressione
soprarichiamata può interpretarsi a mio avviso in entrambi i significati, dovendosi
ritenere che essa vada intesa come imputazione di tutto quanto pagato sino ad ora a
titolo di locazione (il quantum già corrisposto per il godimento ed indicato in atto), sia
quale possibilità per l’autonomia contrattuale di prevedere che una parte del
corrispettivo venga pagato anticipatamente a titolo di canone locatizio, e la restante
parte, che non sarebbe indicata con tale causale nel contratto, e quindi non sarebbe
imputabile ad acconto prezzo in occasione della successiva vendita, serva invece a
indennizzare il costruttore-venditore della dilazione di pagamento e della perdita di
permette di ottenere il godimento di un bene evitando (o nonostante l’assenza di) l’intervento
dell’operatore bancario, per il quale si presume non necessaria una siffatta tutela.
14
Il comma 7 dell’articolo 23 interviene inserendo un nuovo comma all’art. 8 del d.l. 28 marzo
2014 n. 47, convertito in l. 23 maggio 2014, n. 80: tale articolo prevede, con riguardo agli
alloggi sociali (di cui al D.M. Infrastrutture 22 aprile 2008), la possibilità di prevederne il
riscatto da parte del conduttore dopo 7 anni dall’inizio della locazione, approntando uno
specifico trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle
attività produttive.
15
Il testo presentato dal Notariato, era decisamente più chiaro sul punto, riferendosi il dettato
normativo al caso di previsione nel contratto “ …dell’obbligo per il concedente o per entrambe
le parti di stipulare successivamente la vendita…”.
16
Qualora si ritenga che la novella ricomprenda anche questa ipotesi.
17
AMADIO, Rent to buy, Relazione tenuta al Convegno organizzato a Pollenzo dal Consiglio
Notarile dei Distretti Notarili di Cuneo, Alba, Saluzzo e Mondovi, il 10 settembre 2014.
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
chanche, dovendo tenere fermo l’immobile per il numero di anni di durata del rent to
buy18.
Pacifica è invece la portata applicativa della disposizione quanto ai soggetti ed
ai beni oggetto di questi contratti; nel silenzio del legislatore, il ruolo di concedente e/o
di conduttore potrà essere rivestito sia da persone fisiche che giuridiche, sia da
imprenditori, individuali o collettivi, che professionisti o, ancora, da soggetti giuridici
aventi natura associativa o fondazionale e con autonomia patrimoniale imperfetta.
Relativamente ai beni oggetto di concessione in godimento, la norma non fa
distinzioni; vi rientrano pertanto immobili abitativi, strumentali, locali commerciali,
opifici, locali ad uso ufficio, in ciò confermando l’intento della norma di agevolare la
ripresa del mercato immobiliare in tutti i comparti in cui è tradizionalmente suddiviso.
Elemento qualificante della nuova disciplina è invece la previsione della
trascrivibilità di detti contratti, e si richiamano gli effetti della trascrizione del
preliminare di cui all’art.2645-bis, cui si aggiungono quelli connessi alla trascrizione del
contratto di locazione, relativamente all’opponibilità della medesima ai terzi e/o agli
aventi causa del locatore 19.
A differenza di quanto prevede il 2645-bis c.c., che impone l’obbligo di
procedere a trascrizione per i contratti preliminari se risultanti da atto pubblico o
scrittura privata autentica, l’art. 23 del D.l. n.133/14, nel prescrivere la trascrizione dei
contratti di godimento, implicitamente impone per essi la forma dell’ atto pubblico o
autentico.
18
Anche in questo caso la dicitura della proposta di legge predisposta dal Notariato era più
precisa, utilizzando l’espressione “ imputazione in tutto o in parte”; l’interpretazione proposta
dovrà superare il vaglio giurisprudenziale, ma pare più rispettosa dell’autonomia contrattuale,
lasciando alle parti di modulare il rapporto tra corrispettivo del godimento e quota non
imputabile, e quest’ultima componente risulterà tanto più incidente quanto maggiore sarà la
durata del rent to buy, nel limite decennale; qualora dovesse prevalere la tesi più rigorista, il
rischio è che la dinamica del mercato conduca ad un prezzo di vendita più elevato per gli
immobili da cedersi col previo godimento, rendendo meno conveniente l’operazione rispetto
alle altre opzioni contrattuali.
19
Il richiamo generico effettuato dall’art. 23, I° c., D.L n.133/14 al 2643, comma primo,
numero 8) del c.c., riferito alle locazioni ultranovennali, ai contratti di godimento in esame, la
cui durata può raggiungere i dieci anni, impone di domandarsi se gli effetti duplici della
trascrizione rimangono distinti oppure, come sembra, preferibile, si possano cumulare; si
potranno verificare due ipotesi: contratto di durata infranovvennale, o di durata tra i nove e dieci
anni; è da ritenersi che gli effetti di questa trascrizione, ossia l’opponibilità agli eventuali aventi
causa del costruttore-locatore, operino anche nel caso in cui la locazione sia infranovennale;
contra, tuttavia, BUSANI, “Rent to buy”, con garanzie forti per l’inquilino che acquisterà, in Il
sole24ore, 16 settembre 2014, 35.
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
La previsione dell’efficacia prenotativa coincidente con la durata del contratto e,
comunque, decennale di detta trascrizione 20, che produce l’effetto della prevalenza
della trascrizione del contratto definitivo o altro atto esecutivo del “contratto di
godimento” sulle trascrizioni ed iscrizioni medio tempore intervenute a carico del
proprietario-concedente, rappresenta il volano che potrà concretamente far decollare
l’istituto, lamentando gli operatori economici che proprio la ridotta tutela triennale non
consentiva di spalmare il prezzo di acquisto in un numero sufficientemente alto di rate,
21
tali da renderle sostenibili per la tipologia di clienti cui l’offerta veniva rivolta .
Il 3° comma dell’art. 23 che qui si commenta richiama infine gli articoli 2668,
quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile, a completamento delle tutele
approntate al promissario acquirente, che vengono estese al conduttore con diritto
all’acquisto del bene concesso in godimento; la prima norma disciplina le modalità di
cancellazione della trascrizione del contratto preliminare, da seguirsi pure per i contratti
“rent to buy” trascritti; la seconda attribuisce al conduttore un privilegio speciale
immobiliare, qualora il contratto non abbia esecuzione, a garanzia del credito
restitutorio, che abbraccerà ovviamente anche i canoni locatizi pagati, se non è stata
convenuta l’acquisizione al concedente (art.23, comma 5°, d.l. citato)22; la terza precisa
20
A protezione dei rischi più ricorrenti evidenziati dalla prassi della contrattazione immobiliare:
atti di disposizione sul bene concesso in godimento, atti di esecuzione compiuti dai creditori del
venditore (pignoramenti e sequestri), dichiarazione di fallimento del medesimo.
21
Il termine triennale di fatto permetteva di anticipare nel canone locatizio di mercato una
somma non eccedente il 30% del prezzo di vendita dell’immobile; ciò era comunque utile se la
difficoltà del promissario acquirente consisteva nell’ottenere un mutuo coprente l’intero valore
del bene, ma insufficiente se l’esigenza era di vendere ad un soggetto impossibilitato del tutto ad
ottenere credito bancario o garanzie succedanee di terzi; la durata decennale permetterà di
offrire un prodotto che risulterà maggiormente appetibile, abbassando l’acconto iniziale od il
prezzo di riscatto finale. Un esempio potrà chiarire meglio: con il termine triennale, la vendita di
un immobile del valore di euro 200.000,00 poteva prevedere un acconto iniziale di 15.000,00
(7,5%), un versamento mensile di 750,00 euro, di cui euro 500,00 da imputarsi ad acconto ed
euro 250,00 a titolo di compenso per il godimento, ed un saldo finale di euro 167.000,00; se il
contratto avesse potuto assumere durata novennale, come ora possibile, a parità di rata ed
acconto iniziale, il saldo finale scende 131.000 euro; ipotizzando una rata interamente
imputabile ad acconto prezzo, pari a 750,00 euro, il saldo finale si riduce ancora ad euro
104.000,00. Come si vede, il prolungamento della durata offre maggiore flessibilità agli
operatori economici, e riduce la percentuale da finanziarsi ad opera dell’istituto bancario
(passando dall’83,5 % del primo esempio, al 65,5% del secondo, al 52% del terzo.
22
Le condizioni di operatività del privilegio non sono pacifiche in dottrina, divisa tra chi ritiene
che esso intervenga in tutte le ipotesi in cui il contratto perda in seguito efficacia (risoluzione,
recesso, anellamento, nullità, ecc.), e chi propende per l’operatività soltanto in caso di
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
che l’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale prevale sulle trascrizioni
anteriori, limitatamente alla quota di mutuo accollata dal promissario acquirente.
Il successivo comma 4° dispone che se il contratto ha ad oggetto un’ abitazione
il divieto di cui all’art. 8 del d.lgs n.122/05, a mente del quale “il notaio non può
procedere alla stipula dell'atto di compravendita se, anteriormente o contestualmente
alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al
perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca a
garanzia o del pignoramento gravante sull'immobile”, opera sin dalla concessione del
godimento.
Due questioni si pongono: la prima se detta disposizione trovi applicazione in
tutti i casi di concessione in godimento del bene o soltanto quando sussistano i
presupposti per applicare la normativa in tema di acquisto di immobile da costruire; la
seconda se il mancato richiamo di altre disposizioni significhi che esse non rilevano per
i contratti di rent to buy; al primo quesito il consiglio nazionale, nelle note di primo
commento, ha risposto sostenendo la tesi che si tratti di norma eccezionale non
suscettibile di interpretazione estensiva; al secondo, la natura quasi “reale” del
godimento attribuito al locatore, e le aspettative ad esso connesse, rendono plausibile
l’applicazione della norma (artt. 2 e 3 del d.lgs n.122/05, cit.) che cosi porrebbe a carico
del costruttore-venditore l’obbligo di consegna della fideiussione a garanzia della
restituzione dei canoni locatizi 23 che sarebbero stati imputati ad acconto prezzo se il
risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore; nella fattispecie in
esame, è tuttavia pacifico che la tutela investe i canoni locatizi corrisposti che avrebbero dovuto
in seguito essere imputati ad acconto prezzo, qualora non si addivenga al trasferimento della
proprietà, purchè gli effetti della trascrizione non siano cessati. La giurisprudenza delle Sezioni
Unite ha tuttavia affermato la cedevolezza di detto privilegio nei confronti del credito garantito
da ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare (Cass., Sez. Un., 21145/09),
in primis quella iscritta dall’ente finanziatore il cantiere.
23
Ad avviso di chi scrive la novellata irrinunciabilità a detta garanzia ad opera dei contraenti
(per effetto dell'introduzione del comma 1 bis dell'art.5 del d.lgs 122/2005 in esito all'entrata in
vigore della legge 23 maggio 2014 n. 80 di conversione del D. L. 28 marzo 2014 n. 47
l'acquirente non può rinunciare alle protezioni di legge: ogni clausola contraria è nulla e deve
intendersi come non apposta) rafforza la conclusione raggiunta; nel contratto andranno pertanto
citati gli estremi della polizza fideiussoria menzionando la restituzione della medesima in sede
di stipula del trasferimento definitivo dell’abitazione. E’ pur vero che la norma trova
applicazione soltanto nel caso di immobile ancora da costruire, ma nella prassi non è
infrequente che venga attribuito il possesso di beni per il quale non è ancora stato presentato il
fine lavori o decorso il termine per il perfezionamento dell’agibilità; in questi casi, si ritiene che
i canoni locatizi versati vadano “ garantiti” dalla polizza fideiussoria.
Quanto all’impossibilità per il notaio di stipulare se non previo frazionamento o svincolo
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RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
contratto si fosse definitivamente concluso.
Il comma 6 dell’art. 23 contiene una specifica disciplina, sempre nella logica di
garantire tutela legale all'altro contraente, per le ipotesi in cui una delle parti venga
sottoposta a fallimento: la disposizione, volta a contemperare l’interesse del ceto
creditorio con quello di assicurare la stabilità dei rapporti giuridici, rinvia agli articoli
67, comma 3, lettera c) della Legge Fallimentare (escludendo la revocatoria a tutela
della posizione del conduttore con diritto all’acquisto che abbia trascritto) e 72 della
L.F. stessa, così rimettendo al curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori,
la valutazione relativa all’opportunità di continuare il rapporto; tale rinvio comporta
l’applicazione anche degli ultimi due commi dell’art. 72 L.F., i quali assicurano una
particolare tutela al promissario acquirente che abbia trascritto il proprio titolo: si deve
ritenere, pertanto, che la medes ima tutela spetti al contraente di un contratto di
godimento in funzione della successiva alienazione, debitamente trascritto, cui sia stato
attribuito il diritto di acquistare.
La previsione del ricorso all’art. 2932 c.c. rafforza ulteriormente la tutela,
essendo tuttavia dubbio se questo rimedio soccorra sempre, ossia sia messo a
disposizione del solo conduttore-promissario acquirente. Si ritiene, coerentemente con
l’impostazione che la novella ricomprenda anche l’ipotesi in cui il rent to buy sia
modulato prevendendo un obbligo a carico del conduttore di concludere il trasferimento
della proprietà, che la tutela giudiziale sia azionabile da entrambi i contraenti in
alternativa al rimedio risolutorio.
Ultimo, ma non meno importante, il disposto contenuto nel secondo capoverso
del comma 3 dell’articolo 23 in commento, che rinvia alle disposizioni in tema di
usufrutto quanto all’obbligo di prestare l’inventario o idonee garanzie in capo al
conduttore, quanto alla ripartizione di spese tra usufruttuario e nudo proprietario,
dell’ipoteca, è ragionevole pensare che difficilmente sarà possibile ottenere lo svincolo
ipotecario, non avendo il costruttore le risorse per ridurre l’importo del mutuo e non
potendogliele fornire il locatore; più probabile il frazionamento in quote del mutuo, ma
l’assenza del recepimento del testo di legge del notariato che legittimava come modalità di
pagamento dei canoni locatizi l’accollo del mutuo, renderà non agevole la gestione del rent to
buy in presenza di immobili ipotecati. Potranno verificarsi due ipotesi: oltre al, si reputa raro,
caso in cui il costruttore svincoli l’immobile da concedere in godimento (è ciò accadrà quando
la Banca finanziatrice non chieda somme rilevanti per assentire allo svincolo medesimo),
nell’evenienza del previo frazionamento del mutuo in quote, l’accollo troverà diffusione solo
qualora le condizioni del mutuo accollato siano competitive rispetto ad un contesto attuale di
tassi di interesse quasi negativi; in assenza di accordo sull’accollo occorrerà assicurare con
apposite clausole che il costruttore-venditore utilizzi la provvista derivante dal canone locatizio
per saldare le rate del mutuo, onde evitare che al momento del riscatto, il debito da mutuo
sopravanzi il prezzo finale del trasferimento.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
64
RELAZIONI A CONVEGNI
CONTRATTI DI GODIMENTO
nonché, infine, alle azioni relative alle servitù ed alle spese per le liti (art.2012 e 2013);
tale rinvio obbligato, e non solo sussidiario in assenza di una disciplina derogatoria
scelta dai contraenti, come previsto nella proposta di legge presentata dal Notariato,
pare troppo drastico e giustificato unicamente dall’intento di chiarire per converso che a
dette tipologie contrattuali non trovano applicazione le norme vincolistiche dettate in
tema di locazione. La redazione dell’inventario e la prestazione della garanzia sono
dispensabili ed è ragionevole ritenere che ad esso si farà raramente ricorso, salva la sola
circostanza in cui il rent to buy riguardi un immobile arredato, e che la prestazione della
garanzia, preclusiva dell’ottenimento del possesso, verrà più probabilmente sostituita da
una polizza assicurativa relativa ai danni eventualmente cagionati all’immobile
concesso in godimento, polizza di cui pare opportuno, se fornita, far menzione in atto.
24
Il richiamo alla disciplina dell’usufrutto presenta un corollario di ordine più
sistematico, ossia la progressiva attenuazione del confine tra il diritto personale di
godimento ed il diritto reale, percorso iniziato anni fa con la questione della risarcibilità
per fatto illecito di tale tipologia di diritti.
Il tema, e le conclusioni che verranno accolte in giurisprudenza, non sono
indifferenti al notaio, quanto alle conseguenze sulle menzioni in atto; se infatti si
affermasse che il diritto al godimento attribuito al futuro acquirente ha natura “quasireale”, al contratto notarile che lo prevede e “costituisce” troveranno applicazione gli
obblighi in tema di conformità catastale, di menzioni urbanistiche, di allegazione
25
dell’attestato di prestazioni energetiche .
24
In tema di T asi, ci si può chiedere se il concessionario del godimento sia equiparabile a d un
conduttore e, quindi, soggetto passivo della T asi pro-quota oppure se sia il tributo interamente a
suo carico come accade all’usufruttuario.
25
Che in ogni caso sussiste anche per le nuove locazioni, e pertanto andrà allegato al contratto
di concessione in godimento; quanto alla verifica della conformità catastale, la menzione di detti
obblighi in capo al concedente pare opportuna, e il Notaio non potrà trascurare questo aspetto,
cosi come la sussistenza della verifica urbanistica, atteso che lo scopo più volte evidenziato è di
attribuire ai prossimi acquirenti l’immediata detenzione del bene, con particolare riguardo alla
sussistenza dei requisiti di agibilità.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
65
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI
AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN
HOUSE E GIURISDIZIONE DELLA
CORTE DEI CONTI
(CASSAZIO NE CIVILE, 25 NO VEMBRE 2013, N. 26283, SEZIO NI UNITE)
La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla
Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia diretta a far valere
la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una
società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti
pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser
soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe
a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
di ENRICO GOITRE
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento1, ha aggiunto una tessera
importantissima2 al mosaico della disciplina della responsabilità degli amministratori di
società pubbliche, affermando la sussistenza della giurisdizione contabile sulla
responsabilità dei gestori di società in house. Non è tanto l’esito, però, a risultare
interessante, quanto piuttosto il modus con cui la Corte vi è pervenuta: ovvero
squarciando il velo della personalità giuridica delle società c.d. in house 3.
Nel caso oggetto di giudizio era in discussione la responsabilità di alcuni
soggetti, rispettivamente il direttore generale, il sindaco e l’amministratore unico di una
società interamente partecipata dal comune di Civitavecchia. I tre erano stati convenuti
dal Procuratore della Repubblica presso la Sezione Giurisdizionale per il Lazio della
Corte dei Conti, per aver cagionato un danno alla società nell’esercizio delle proprie
1
Non ci si può esimere dal segnalare, sulla medesima pronuncia, gli autorevoli contributi di
IBBA, Responsabilità erariale e società in house, 2014, II, 13; SALVAT O, Responsabilità
degli organi sociali delle società in house, in Fallimento, 2014, 1, 33; FIMMANÒ, La
giurisdizione sulle società in house providing, in Società, 2014, 1, 55; e la nota di BIANCHINI,
Società in house: sui danni al patrimonio decide la Corte dei Conti, in www.altalex.it.
2
FIMMANÒ, op. cit., non esista ad usare il termine “ epocale”.
3
Questa è l’opinione, assolutamente condivisa, di FIMMANÒ, op. cit..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
66
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
funzioni. Condannati in prima istanza alla rifusione dei danni, i convenuti avevano in
seguito adito la Corte dei Conti, che aveva ritenuto che “l’azione per risarcimento dei
danni da mala gestio nei confronti degli organi di una società di diritto privato, ancorchè
4
partecipata da soci pubblici” , rientrasse nella sfera di giudizio del giudice ordinario,
dichiarando pertanto il proprio difetto di giurisdizione. Una volta impugnata la
decisione di fronte alla Cassazione, la Suprema Corte a sezioni unite si è trovata a
decidere a quale giurisdizione, se a quella ordinaria o a quella contabile, dovesse
spettare la decisione sulla responsabilità dei tre convenuti.
Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione si è senza dubbio fatta carico di una
“avvertita esigenza socio-economica” 5, date l’assenza di una precisa statuizione
legislativa sul punto e la centralità acquistata negli ultimi in anni dal modello dell’in
house providing: e non si può escludere che la decisione in commento sia stata in
qualche modo sollecitata dalle Procure presso la Corte dei Conti, che da tempo
chiedevano alla Suprema Corte di rivedere il proprio “consolidato orientamento”6 in
proposito, sottraendo al generico schema civilistico dell’azione di responsabilità il
sindacato sulle condotte degli amministratori di società pubbliche, che da qualche
decennio a questa parte hanno scalzato enti pubblici economici ed aziende autonome dal
loro antico ruolo di gestione dei servizi pubblici 7.
Nell’incipit della propria sentenza, la Cassazione premette di essersi già
ripetutamente espressa sul tema della giurisdizione contabile “in materia di
4
Così la sentenza, nella ricostruzione dei fatti.
FIMMANÒ, op. cit..
6
Così ancora FIMMANÒ, op. cit., che fa esplicito riferimento a Cass. S.U., 3 maggio 2013, n.
10299, in Società, 2013, 974, con nota di FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società pubbliche,
il quale afferma: “ Nella fattispecie concreta la Procura contabile sollecita la revisione del
consolidato orientamento dei giudici di legittimità, evidenziando come condizionamenti di
carattere politico finiscano col rendere altamente improbabili iniziative degli organi societari
davanti al giudice ordinario” (volte a far valere la responsabilité degli amministratori in sede di
giurisdizione ordinaria. Opinione, questa, non condivisa da IBBA, op. cit., 19, il quale ritiene
“ un diffuso luogo commune” la tesi secondo cui “ escludere l’azione di responsabilità erariale
nei confronti degli amministratori (equivarrebbe, ndr) a fornire una comoda scappatoia da
qualunque responsabilità”: la Suprema Corte, già con la sentenza 26806 del 2009, ha infatti
sancito espressamente l’esperibilità dell’azione contabile verso il rappresentante dell’ente
pubblico che trascuri di esercitare i proprio diritti di socio, omettendo di azionare la
responsabilità civilistica ordinaria dell’amministratore negligente davanti al giudice ordinario.
Verrebbe meno quel vuoto di tutela che, almeno nella ricostruzione della Suprema Corte operata
nella sentenza in esame, conseguirebbe alla non attrazione alla giurisdizione contabile della
responsabilità degli amministratori.
7
Così SAL VAT O, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali,
in Dir. Fall., 2010, 5, 603.
5
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
67
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
responsabilità di gestori ed organi di controllo” e ripropone, in seno alla decisione che
le viene chiesto di prendere in quella sede, il proprio orientamento sul punto, che la
sentenza n. 26806/20098 ha cristallizzato9.
La posizione della Suprema Corte, oggi consolidata ma espressa per la prima
volta in quell’occasione, merita di essere brevemente riassunta.
Il punto di partenza del ragionamento della Corte nel 2009 era stato l’art. 103
10
della Costituzione : si ha giurisdizione del giudice contabile non solo in materia di
contabilità pubblica, ma anche in ogni altro ambito specificato dalla legge. Il limite
della giurisdizione della Corte dei Conti in tema di responsabilità, fissato
originariamente dal R.D. 12 luglio 1934 11, era successivamente stato ampliato dalla L.
14 gennaio 1994, n. 20, che aveva configurato una responsabilità (non solo contrattuale
ma anche) extracontrattuale degli amministratori di società pubbliche 12.
Salva la giurisdizione della Corte dei Conti (mai messa in discussione) sulla
condotta dei gestori di enti pubblici economici 13, “i quali restano nell’alveo della
pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con
strumenti privatistici” 14, il dilemma sull’alternativa tra giurisdizione contabile ed
ordinaria si poneva invece “nel diverso caso della responsabilità di amministratori di
società di diritto privato partecipate da un ente pubblico”: si trattava di capire se il
danno arrecato ad un soggetto di diritto privato, quale è una società di capitali, dalla
condotta di un proprio gestore, potesse integrare quel pregiudizio al patrimonio pubblico
necessario per attivare la giurisdizione contabile.
8
Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806, in Foro It., 2010, 5, 1, 1473, con nota di D'AURIA.
La Corte del 2013 richiama infatti le principali sentenze “ eredi” di Cass. S.U., 19.12.2009, n.
26806 e dei principi da questa affermati. Si tratta di: Cass. S.U. 25.3.2013, n. 7374, in
www.diritto24.ilsole24ore.com; ID., 15.1. 2010, n. 519, in Società, 2010, 803, con nota di
GHIGLIONE e BIALLO; ID., 9.4.2010, n. 8429 in Società, 2010, 1177, con nota di
CAPRARA; ID., 25.2.2011, n. 4655; ID., 16.7.2010, n. 16286; ID., 12.10.2011, n. 20940; ID.,
12.20.2011, n. 20941.
10
Secondo il quale “ la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materia di contabilità pubblica e
nelle altre specificate dalla legge”.
11
Che al proprio art. 13, comma 2, recita: “ La Corte (…) giudica sulle responsabilità per danni
arrecati all'erario da pubblici funzionari, retribuiti dallo Stato, nell'esercizio delle loro funzioni”.
12
T ale legge, al proprio art. 1, comma 4, aveva infatti esteso la responsabilità di amministratori
e funzionari ai danni arrecati ad amministrazioni diverse da quelle di appartenenza.
13
Soggetti di diritto pubblico, ma “titolari d’impresa”, come ricorda CASETT A, Compendio di
diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2010, 157.
14
Così Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806. Sul punto si veda anche FIMMANÒ, Le società
pubbliche: ordinamento, crisi ed insolvenza, Giuffrè, 2011, 291; e ID., Il fallimento delle
società pubbliche, in www.ilcaso.it.
9
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
68
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
La sentenza n. 26806 aveva stabilito, agendo come uno spartiacque 15 sul punto,
– si perdoni la brutalità della sintesi - che si deve ritenere operante la giurisdizione del
giudice contabile qualora il pregiudizio incida direttamente sul patrimonio pubblico,
assurgendo a danno c.d. erariale; mentre si ha giurisdizione ordinaria nel caso in cui il
danno al patrimonio pubblico sia un mero riflesso del danno al patrimonio della società
che, come la Suprema Corte aveva in quell’occasione lapidariamente sentenziato, “è e
resta privato”.
Non sembra possibile revocare tale conclusione. Non si trovano appigli utili, in
questo senso, nel Codice Civile, che dedica alle società per azioni pubbliche il solo art.
16
2449 c.c. , che comunque non vale a configurare “uno statuto speciale per dette
società” 17, almeno per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori. Né
sembrano raggiungibili conclusioni differenti per la società a responsabilità limitata
pubblica: nell’assoluto silenzio normativo, la Relazione al Codice 18 sembra predicare la
natura nettamente privata delle società costituite da enti pubblici in qualsias i forma,
azionaria o a responsabilità limitata.
Tantomeno il principio espresso dall’art. 2449 c.c. viene messo in discussione
dalle disposizioni speciali successive alla sentenza del 2009, che negli ultimi anni il
legislatore ha gettato sulla scena delle società pubbliche (contribuendo, nel caso se ne
avvertisse il bisogno, a renderla ancora più complessa), che la Corte, nella sentenza in
epigrafe, definisce “frammentarie e disorganiche” 19 e alle quali “non può essere in alcun
modo attribuita una valenza di ordine generale”: se non diversamente disposto, pertanto,
la disciplina delle società a partecipazione pubblica riposa sulle disposizioni del Codice
Civile, che le conferma soggetti di diritto privato.
15
Così FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società in house providing, cit..
“ La scarna disciplina (contenuta nell’art. 2449 c.c., ndr) rispondeva (…) alla volontà di
assoggettare le società a partecipazione pubblica al diritto societario comune, come sottolineato
nella Relazione al Codice”, C.c. art. 2449, in C.c. commentato, in www.leggiditalia.it.
17
Così ancora la sentenza 26806 del 2009.
18
Relazione al Codice Civile, artt. 2458 ss., par. 998, dove si afferma che “ è lo Stato medesimo
che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore
snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici”.
19
Ci si riferisce ad una serie di recenti interventi normativi, espressamente citati in sentenza: il
D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, che ha incluso le società a partecipazione pubblica nel novero
delle amministrazioni a “ cui si estende l’opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento
nell’approvvigionamento di beni e servizi” (così, testualmente, la Corte nella sentenza in
epigrafe); al D.L. 10 ottobre 2010, n. 174, art. 3, il quale, intervenendo sul T UEL, ha
assoggettato le società a partecipazione pubblica alla redazione di un bilancio consolidato con
l’ente socio, e a penetranti controlli da parte di quest’ultimo; al D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4,
che ha dettato norme sulle retribuzioni di amministratori e dipendenti di società pubbliche.
16
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
69
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
Non resta, da ultimo, che cercare una risposta al quesito che ci si è posti nei
“profili sistematici” 20 dell’ordinamento giuridico, che sembrano però anch’essi deporre
univocamente per la natura privata (e, in quanto tale, distinta dall’ente socio) delle
società a partecipazione pubblica:
<<Si dovrà ragionare che uno dei criteri ordinanti del sistema giuridico (… ) è quello
dell’autonomia soggettiva e patrimoniale delle società, soprattutto delle società di capitali, che ne fa delle
entità ben distinte rispetto ai soci>>21 .
Se, come ha fatto la Cassazione, riteniamo operante tale principio, siamo indotti
ad una duplice conclusione. La separazione soggettiva tra società e socio non permette,
in prima istanza, di configurare quel rapporto di servizio tra ente ed amministratore che
permetterebbe di attivare la giurisdizione contabile sulla responsabilità di questo verso
quello. In secondo luogo, nel nostro ordinamento i beni conferiti al capitale o al
patrimonio sociale cessano di essere di proprietà dei conferenti, privati o pubblici che
siano, per appartenere esclusivamente alla conferitaria.
Ecco che, alla luce di tale principio, non basta rilevare il coinvolgimento di
risorse pubbliche nella cattiva gestione degli amministratori per denunciare un danno
erariale, ovvero un danno diretto al patrimonio pubblico: la cattiva gestione
dell’amministratore di società pubblica, infatti, pregiudica il patrimonio della società,
“che di per sé non è un ente pubblico”, e non quello del socio22. È la stessa Corte a
puntualizzare che, al contrario, quando il pregiudizio al patrimonio pubblico sia diretto,
si è in presenza di un danno erariale, come avviene nel caso di danno all’immagine della
PA, “la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione del giudice contabile è
23
confermata dal disposto della L. 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 30ter” .
20
RORDORF, Le società partecipate fra pubblico e privato, in Società, 2013, 12, 1326.
RORDORF, op. cit., 1327.
22
“I danni causati ad una società partecipata pubblica a causa della mala gestio da parte dei suoi
organi sociali o comunque da atti imputabili a tali organi o dipendenti (non rientrano nella, ndr)
giurisdizione della Corte dei conti, in quanto tali danni si risolvono in un pregiudizio gravante
sul patrimonio della società, quale soggetto privato, e non sul socio pubblico”, Cass. S.U.
Ordinanza, 12.10.2011, n. 20941, in Giornale Dir. Amm., 2011, 12, 1334. Si veda sul punto
anche LIMENT ANI, VERONELLI, Danni per mala gestio degli organi sociali, in Giornale
Dir. Amm., 2011, 12, 1334.
23
L’art. 30ter recita: “ Le procure regionali della Corte dei conti esercitano l'azione per il
risarcimento del danno all'immagine subito dall'amministrazione nei soli casi previsti
dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. Per danno erariale perseguibile innanzi alle
sezioni giurisdizionali della Corte dei conti si intende l'effettivo depauperamento finanziario o
patrimoniale arrecato ad uno degli organi previsti dall'articolo 114 della Costituzione o ad altro
organismo di diritto pubblico, illecitamente cagionato ai sensi dell'articolo 2043 del codice
civile. L'azione e' esercitabile dal pubblico ministero contabile, a fronte di una specifica e
precisa notizia di danno, qualora il danno stesso sia stato cagionato per dolo o colpa grave.
Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al
21
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
70
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
Né si può pensare di trasporre in seno alle società in house il patrimonio
giurisprudenziale sedimentatosi relativamente agli enti pubblici economici: la
giurisprudenza, ricorrendo ad un approccio “sostanzialistico”24 al tema della
responsabilità di amministratori di tale genere di enti pubblici, ha infatti ritenuto
soggetti al giudizio contabile gli agenti della PA funzionalmente inseriti nell’ente
medesimo, a prescindere dallo strumento contrattuale con cui fosse stato costituito il
25
rapporto o dalla natura, privata o pubblica, dell’agente medesimo , sostituendo “ad un
criterio eminentemente soggettivo, che identificava l’elemento fondante della
giurisdizione della Corte dei Conti nella condizione giuridica pubblica dell’agente, un
criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse
finanziarie a tal fine adoperate” 26. Ad oggi non sembra in sostanza possibile sottrarsi
all’alternativa per cui o ci si trova di fronte ad un ente pubblico economico 27 o, salva
l’espressa attribuzione ex lege alla giurisdizione contabile 28, non è possibile superare la
distinzione tra patrimonio del socio e patrimonio della società, ancora cardinale nel
diritto societario contemporaneo.
Confermando la validità dei propri orientamenti espressi in passato, e tenendo
pertanto fermo che la lesione del patrimonio di una società di diritto privato non possa,
per sé stessa, integrare un danno erariale, la Corte si domanda se le medesime
conclusioni possano valere per le società in house e, procedendo nel proprio
presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita'
puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla
competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di
trenta giorni dal deposito della richiesta”.
24
Così Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806.
25
Così, ex multis, Cass. S.U., Ord., 03.07.2009, n. 15599, in Giornale Dir. Amm., 2010, 2, 135,
nota di VIT ALE. Si veda, sulla stessa pronuncia, VIT ALE, La Cassazione, il rapporto di
servizio e la re sponsabilità amministrativa di soggetti privati, in Giornale Dir. Amm., 2010, 2,
135.
26
Così ancora la sentenza 26806 del 19.12.2009
27
Secondo la Corte, nell’ordinamento sarebbe presente un principio di ordine generale,
esplicitato dall’art. 4 della L. 20 marzo 1975, n. 70, per cui “ nessun nuovo ente pubblico può
essere istituito o riconosciuto se non per legge”: le società in house, quindi, non possono essere
trasformate in enti pubblici economici in via interpretativa, non sorretta da un dato normativo
puntuale.
28
Come è invece stato affermato per le società di fonte legale, “ regolate da una disciplina sui
generis di chiara impronta pubblicistica”. È il caso della RAI: si veda Cass. S.U., 22.12.2009, n.
27092, Foro It., 2010, 5, 1, 1472 nota di D'AURIA.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
71
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
ragionamento, differenzia queste ultime dalle società pubbliche in genere, con una
tecnica che ricorda il distinguishing 29 anglosassone 30.
Giunti a questo punto, prima di procedere con l’analisi della decisione in
epigrafe, è indispensabile una breve digressione sulla natura delle società in house.
31
La direttiva 2006/123/CE , lasciando libertà agli Stati di decidere le modalità
organizzative della prestazione dei servizi d’interesse economico generale, ha
legittimato l’attuale varietà delle forme di organizzazione dei soggetti prestatori, che va
dall’affidamento a società estranee alla PA, all’affidamento alle società con azionariato
misto, in parte pubblico e in parte privato, fino all’affidamento a società in house.
Quando si fa riferimento all’in house providing, in particolare, ci si intende
riferire ad una situazione in cui un ente, piuttosto che rivolgersi al mercato, affida la
gestione di un proprio servizio ad un soggetto “che si trova in rapporto di sostanziale
subordinazione rispetto all’ente affidante, seppur dotato di autonoma personalità
giuridica rispetto a quest’ultimo”32.
Il legislatore italiano non si è mai curato di istituire un modello legale (e,
conseguentemente, tipico) di società in house, la giurisdizione sulla quale avrebbe
potuto essere affidata ex lege alla Corte dei Conti33. Tali società sono pertanto, ad oggi,
una figura di diritto pretorio34 (assai articolata! 35), che affonda le proprie origini
nell’ordinamento britannico 36 ma apparsa prepotentemente nel panorama giuridico
29
Il termine è preso in prestito dalla tradizione di common law. Si veda, sul punto, G. AJANI,
Sistemi giuridici comparati, Giappichelli, Torino, 2006, 191.
30
In ciò la Corte pare – almeno secondo chi scrive - discostarsi in modo netto dal proprio
tradizionale orientamento. La medesima opinione è stata espressa, ben più autorevolmente, da
IBBA, op. cit., 14: “ A questo punto la sentenza, tenuta ferma la regola generale, vi introduce
un’eccezione relativamente alle società in house, in ciò a mio avviso allontanandosi
dall’orientamento precedente, nel quale le eccezioni erano state finora limitate (…) a fattispecie
ben diverse, ed erano state fondate su argomentazioni (…) ben diverse da quelle ora utilizzate”.
31
Su cui si veda ex multis CAMILLI, Il recepimento della direttiva servizi in Italia, in Giorn.
Dir. Amm., 2010, 1239; FONDERICO, Il manuale della Commissione per l’attuazione della
direttiva servizi, in Giornale Dir. Amm., 2008, 921.
32
LEGGIADRO, Affidamento in house della concessione per la gestione di una rete di
teledistribuzione: controllo analogo e controllo pubblico, in Urbanistica e appalti, 2009, 285.
33
Come auspicato da FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società in house providing, cit..
34
Come afferma MARENA, Problematicità dell’in house frazionato e vexata quaestio circa i
rapporti tra società miste e società in house, alla luce del decreto legge 25 settembre 2009, n.
135, in Corr. Giur., 2010, 399.
35
Sulle differenti tipologie di in house individuate da dottrina e giurisprudenza si veda
MAZZAMUTO, L’apparente neutralità comunitaria sull’autoproduzione pubblica: dall’in
house al partenariato pubblico-pubblico, in Giur. It., 2013, 6.
36
Così DE PAULI, Gli enti in house e l’evidenza pubblica a valle, in Urbanistica e appalti,
2009, 1104.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
72
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
continentale dopo la sentenza Teckal37, con cui la Corte di Giustizia ha negato la
sussistenza, in capo all’ente affidante un servizio pubblico, dell’obbligo di promuovere
procedure di gara 38 qualora l’affidamento sia fatto a società che presentino alcuni
39
requisiti, cumulativi tra loro . La società affidataria deve innanzitutto essere soggetta
ad un controllo particolarmente stringente da parte dell’ente 40, in termini analoghi a
quelli in cui si esplica il controllo gerarchico sui propri servizi41. Deve, infine, esercitare
in favore dell’ente la parte più importante della propria attività42.
37
Corte di Giustizia, 18.11.999, C-107/98.
Il che ha procurato alle società in house alcune severissime critiche della dottrina: si veda, su
tutti, FIMMANÒ, La società in mano pubblica, anche se in house, è soggetta alle procedure
concorsuali, in Fallimento, 2013, 1290, il quale vede, dietro al modello della società in house, il
“mero obiettivo di conservare la sacca del privilegio derivante dall’affidamento diretto della
gestione di attività e servizi pubblici a società partecipate, in deroga ai fondamentali principi
della concorrenza tra imprese e della concorrenza”. L’art. 23bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112
aveva provato a ridurre il peso delle società in house, rendendo l’affidamento diretto
eccezionale e derogatorio rispetto al modello dell’evidenza pubblica: il referendum del 2011
aveva comunque frustrato tale tentativo, ridando centralità al sistema dell’in house providing. Si
vedano LEGGIADRO, Gli affidamenti in house alle società pubbliche pluripartecipate, in
Urbanistica e appalti, 2011, 957, che legge nel D.L. 112/2008 la manifestazione di un certa
“ diffidenza” dell’ordinamento interno verso il modello dell’in house providing; VOLPE, La
Corte CE continua la rifinitura dell’in house. Ma il diritto interno va in controtendenza, in
Urbanistica e appalti, 2010, 38; DELLO SBARBA, La compatibilità degli affidamenti in house
con l’art. 23bis D.L. 112/2008: il g.a. anticipa l’art. 15, D.L. 135/2009, in Urbanistica e
appalti, 2010, 227; e BELLONI, Le prospettive di evoluzione strategico-istituzionale delle
società in house, in Azienditalia, 2010, 206, che aveva previsto, a seguito del D.L. 112/2008, “la
cessazione degli affidamenti diretti di servizi pubblici locali alle società in house”.
39
È bene precisare che solo i primi due dei tre requisiti elencati nel testo sono stati individuata
dalla sentenza T eckal. Si veda sul punto CARANT A, La Corte di Giustizia chiarisce i contorni
dell’in house pubblico, in questa Giur. It., 2009, 5, 1254.
40
La sentenza Corte di Giustizia, 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen, ha in proposito
affermato che, in assenza di specifiche riserve statutarie che conferiscano particolari attribuzioni
all’ente socio, gli ordinari poteri che il diritto societario pone in capo ai soci di maggioranza non
sono sufficienti a configurare una situazione di controllo analogo. T ant’è che, ove il consiglio
d’amministrazione della società pubblica disponga “ della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti
necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale, i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci
dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo
a quello esercitato sui propri servizi”, RIZZO, op. cit..
41
Si rimanda al punto 50 della sentenza T eckal. Il medesimo principio è stato in seguito ribadito
nel caso Arge Gewässerschuzt (Corte di Giustizia, 7.12.2000, C-94/99, in Foro It. Rep., 2001,
sub Unione Europea, 1127), per poi entrare a far parte dell’acquis interpretativo della Corte
comunitaria: si vedano, più recentemente, Corte di Giustizia, 10.9.2009, C-573/07, Sea, in
Giornale Dir. Amm., 2010, 127, nota di GIORGIO; e Corte di Giustizia, 29.11.2012, C-183/11,
38
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
La giurisprudenza che ha seguito la sentenza Teckal ha richiesto che il soggetto
affidatario sia interamente43 partecipato dall’ente pubblico 44 (o da più enti pubblici
Econord, in Giornale Dir. Amm., 2013, 495, nota di MENT O. Il controllo sulla società in house,
formalmente distinta dall’ente partecipante, deve essere talmente forte da configurare un
rapporto assimilabile, di fatto, a quello che lega l’ente ai propri uffici interni: come è stato
affermato, “ l’in house providing evidenzia un modello di organizzazione in cui la pubblica
amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o alle risorse ad essa
necessarie mediante lo svolgimento di un’attività interna”, RIZZO, Affidamento in house e
controllo analogo: una certezza irraggiungibile?, in Urbanistica e appalti, 2009, 1345. Sul
punto, si vedano anche DE NICT OLIS, La Corte CE si pronuncia in tema di tutela nella
trattativa privata, negli affidamenti in house e a società miste, in Urbanistica e appalti, 2005,
288; NICOLETTI, Gestioni in house: difficili o impossibili?, in Azienditalia, 2009, 685; e
MIRIAM, Affidamento in house e forniture pubbliche di elicotteri: il caso Agusta, in Giornale
Dir. Amm., 2008, 1247. La giurisprudenza comunitaria ha in seguito definito meglio i contorni
del controllo analogo: nella sentenza C-231/03, 21.7. 2005, Coname, in Racc., I-7827, la Corte
ha escluso che quote di capitale eccessivamente esigue in capo all’ente pubblico possano
integrare il requisito del controllo analogo; nel caso C-295/05, 19.4.2007, Carbotermo, in Racc.,
I-2999, la Corte comunitaria ha affermato la possibilità di dedurre l’esercizio di un controllo
analogo su di una società dal fatto che un ente possieda, da solo o congiuntamente con altri enti,
l’intero capitale di quella.
42
Si veda sul punto BART OLI, Società in house providing tra vincoli pubblicistici e
compatibilità con l’ordinamento societario. Il caso della Provincia di Firenze, in Azienditalia,
2008, 897.
43
Anche la Commissione Europea con la comunicazione interpretativa C-2007/6661del 5
febbraio 2008 ha ribadito come anche un’esigua partecipazione da parte di soci privati al
capitale sociale impedisca l’affidamento diretto del servizio pubblico: si veda sul punto DELLA
SBARBA, La compatibilità degli affidamenti in house con l’art. 23bis D.L. 112/2008: il g.a.
anticipa l’art. 15, D.L. 135/2009, in Urbanistica e appalti, 2010, 227.
44
Non è mancato, in dottrina, chi ha visto in tale terzo requisito, ad avviso di chi scrive
indipendente dagli altri due e dotato di dignità propria, una mera specificazione del requisito del
controllo analogo: in questo senso, MENTO, Il controllo analogo sulle società in house
pluripartecipate da enti pubblici, in Giornale Dir. Amm., 2013, 495. Il controllo pubblico può
essere esercitato anche congiuntamente, purché soci siano solamente enti pubblici, come
riconosciuto da Corte di Giustizia, 13.11.2008, C-324/07; e Cons. Stato, Sez. V, 8.3.2011, n.
1447, nota di FERRARI, T ARANT INO, Il controllo analogo nell’affidamento in house, in
Urbanistica e appalti, 2011, 609: la partecipazione, anche minoritaria, di un privato, infatti,
escluderebbe che l’ente affidante possa esercitare sul soggetto affidatario un controllo analogo a
quello che esercita sui propri servizi. In questo senso Corte di Giustizia, 11.1.2005, C-26/03,
Stadt Halle, in www.ildirittodeiservizipubblici.it. e in Foro It., 2005, IV, 134. Sul requisito della
totale partecipazione pubblica, si veda anche NICOLETTI, Società (quasi) in house: i requisiti
necessari, in Azienditalia, 2005, 741. Si segnala, per curiosità, che l’impatto della sentenza
Stadt Halle è stato oltralpe forse più forte che in Italia: la Corte comunitaria, negando la
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
74
COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
congiuntamente) 45, e che la possibilità di ingresso nella compagine sociale di quello da
parte di privati sia esclusa a priori46. Ça va sans dire, qualora uno di questi requisiti
manchi, riprende pieno vigore l’obbligo di gara, espressione di un principio comunitario
47
“supremo e pertanto prevalente rispetto ad ogni altro principio, norma o esigenza” .
La figura è stata in seguito importata entro i confini nazionali 48, dalla
giurisprudenza (ordinaria, amministrativa e contabile 49) e dallo stesso legislatore che,
nel TUEL50, l’ha espressamente presa in considerazione 51.
possibile partecipazione di privati al capitale sociale di società che aspirino a beneficiare di
affidi diretti, ha infatti messo un freno al proliferare delle c.d. sociétés d’économie mixte locales,
fino ad allora “ principale strumento di gestione dei servizi pubblici locali” anche grazie alla
possibile convivenza, al loro interno, di proprietà pubblica e privata: si veda GAGLIARDI, Les
sociétés publiques locales e l’in house alla francese, in Giornale Dir. Amm., 2011, 691.
45
La giurisprudenza, comunitaria e non, ha ritenuto possibile che il controllo analogo venga
esercitato congiuntamente da più enti soci. Il principio, affermato per la prima volta dalla Corte
di Giustizia con la pronuncia Coditel Brabant SA (Corte di Giustizia, 13.11.2008, C-324/07,
nota di PROTTO, In house e controllo analogo, in Urbanistica e appalti, 2009, 17), è stato in
seguito adottato anche dalle corti nazionali: si vedano, tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 8.3.2011,
n. 1447, in Urbanistica e appalti, 2011, 957; ID., Sez. V, 29.12.2009, n. 8970, in Giornale Dir.
Amm., 2010, 3, 280, nota di CARBONE e MEO, Requisito del controllo analogo e affidamento
in house c.d. frazionato; e ID., Sez. V, 9.3.2009, n. 1365, in questa Giur. It., 2009, 10.
46
Così, tra le altre, la sentenza Stadt Halle. Dopo una timida apertura alla possibilità che lo
statuto della società pubblica beneficiaria di un affido diretto consenta la partecipazione di
privati al capitale (Corte di Giustizia, 17.7.2008, C-371/08, in Giur. It., 2008, 12), la Corte
comunitaria ha chiuso ogni spazio ai soci privati di società in house (tra le altre: Corte di
Giustizia, 10.11.2005, C-29/04, in Foro It., 2006, IV, 76; e Corte di Giustizia, 15.10.2009, C196/09). Si vedano sul punto CARANT A, La Corte di Giustizia definisce le condizioni di
legittimità dei partenariati pubblici-privati, in questa Giur. It., 2010, 5: “La giurisprudenza
successiva ha precisato che il concetto di controllo analogo è incompatibile con una
partecipazione privata, pur se minoritaria e del tutto marginale”; e URSI, Una svolta nella
gestione dei servizi pubblici locali:non c’è casa per le società a capitale misto, in Foro It.,
2005, IV, 136. La netta esclusione dei privati dalla partecipazione a società in house può essere
ricondotta non solo a ragioni di tutela della concorrenza, bensì al fatto che le amministrazioni si
servono di tale tipo di società come di una propria articolazione interna. Ciò, evidentemente,
priverebbe di senso la presenza di un privato nel capitale sociale: così MIRIAM, L’in house
pluripartecipato e il caso SEA, in Giornale Dir. Amm., 2010, 127.
47
Per usare le parole di NICODEMO, Il principio della concorrenza e l’affidamento diretto, in
Urbanistica e appalti, 2011, 571.
48
La spinta della giurisprudenza comunitaria non si è fatta sentire solamente all’interno dei
confini italiani. Di indubbio interesse, in questo senso, la riforma francese del servizio pubblico
locale del 2010, illustrata da GAGLIARDI, Les sociétés publiques locales e l’in house
providing alla francese, in Giornale Dir. Amm., 2011, 6, 691.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
Dei tre requisiti, però, è il controllo analogo in particolare a rendere “evidente
l’anomalia del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario”52; ed è
proprio all’altezza del controllo analogo che si decide (nel senso anticipato in premessa)
la questione esaminata dalla sentenza in esame.
53
La Corte, nello sviluppo del proprio ragionamento , afferma che il controllo
analogo porrebbe gli amministratori della società in house, assolutamente privi di un
potere decisionale proprio54, in una posizione di vera e propria subordinazione
gerarchica verso l’ente pubblico socio, il che risulterebbe decisivo ai fini dell’attrazione
alla giurisdizione contabile della responsabilità degli organi gestori di questo peculiare
genere societario:
<<Il ragionamento (della Corte, ndr) (…) è incentrato nei seguenti due passaggi: se c’è controllo
analogo, come nelle società in house dev’essere, ciò significa che gli amministratori della società sono
assoggettati a un vincolo di subordinazione gerarchica da parte dell’ente pubblico socio, quindi è
configurabile un rapporto di servizio fra loro e la pubblica amministrazione; se gli amministratori, per
quanto appena detto, non hanno alcuna autonomia decisionale, ciò significa che la società non è un centro
d’interessi suoi propri, quindi non c’è alterità soggettiva fra essa e l’ente pubblico socio, quindi essa non
49
Sul punto di sicuro interesse le ricostruzioni di T RUDU, L’adunanza plenaria del Consiglio
di Stato traccia i limiti normativi agli affidamenti in house, in Azienditalia, 2008, 827; e
VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale. Un
caso di convergenze parallele?, in Urbanistica e appatli, 2008, 1401.
50
D.Lgs. 267/2000, all’art. 113, comma 4. Si vedano in proposito POZZOLI, Società in house e
controllo analogo, in Azienditalia, 2005, 458, che legge nella nuova formulazione dell’art. 113,
successiva alla Finanziaria del 2002, la volontà di riproporre “ la vecchia azienda
municipalizzata”; e POLETT INI, In house providing e concorrenza, in Dir. Industriale, 2009,
157.
51
Si vedano le perplessità espresse da FIMMANÒ, op. cit., sulle possibilità di applicare la
pronuncia Teckal, che riguardava un consorzio tra comuni, alle società.
52
Così la sentenza in epigrafe.
53
Si noti, peraltro, il passaggio con cui la Corte, negando in radice la natura imprenditoriale
delle attività svolte dalle società in house, si smarca da quanto affermato nella propria sentenza
Cass., 6.12.2012, n. 21991, nella quale aveva ribadito la natura di imprenditore commerciale
delle società costituite nelle forme previste dal Codice.
54
Il potere degli organi gestori delle società in house sarebbe, a detta della Corte, talmente
ridotto da non poter rientrare nemmeno nello spettro applicativo degli artt. 2497 e seguenti del
Codice, in tema di etero direzione; né in quello dell’art. 2468 c.c., che non configurerebbe un
rapporto “ di natura gerarchica”. Nel primo caso, secondo la Suprema Corte, residuerebbe
sempre in capo all’amministratore di società eterogestita un margine di autonomia; nel secondo
caso, i diritti particolari riguardanti l’amministrazione attribuibili al singolo socio di SRL non
pregiudicherebbero il prevalente dovere del socio medesimo di perseguire l’interesse sociale.
Sul punto si veda FIMMANÒ, op. cit., che critica severamente la posizione della Corte,
ritenendo anzi che il fenomeno dell’in house rappresenti in re ipsa una violazione della
normativa in materia di eterodirezione societaria.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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COMMENTI A SENTENZE
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE
può considerarsi titolare del (così detto) patrimonio sociale, che va configurato come un m ero
patrimonio separato di cui è titolare l’ente pubblico: il danno a quel patrimonio, quindi, è un danno
55
erariale>> .
Le società in house appaiono pertanto, almeno nella ricostruzione operata dalla
Cassazione, più come un’articolazione della PA (una “longa manus”, come le definisce
la Corte), che come soggetti autenticamente esterni e separati dall’ente pubblico. Ciò
consente ai giudici della Suprema Corte di far prevalere quell’approccio sostanziale che
56
era stato predicato in dottrina , squarciando il velo della distinzione tra l’ente ed il
soggetto affidatario del servizio.
Le regole di matrice societaria degradano così ad una funzione meramente
residuale: fornire il paradigma organizzativo della società in house “in mancanza di più
specifiche disposizioni di segno contrario” 57 (che, per inciso, quasi sempre mancano).
E se viene meno la separazione soggettiva, allora anche la distinzione tra i
rispettivi patrimoni non può porsi “in termini di distinta titolarità”58. Da ciò discende,
evidentemente, che ogni danno inferto al patrimonio di società in house pregiudica un
patrimonio sì separato da quello dell’ente, ma di cui l’ente pubblico è pur sempre
titolare: “è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei Conti
della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”59.
La dottrina è divisa nel giudizio dell’arresto della Cassazione: se alcuni 60 da
tempo auspicavano un intervento giurisprudenziale che sottraesse ai meccanismi che
ordinariamente governano la responsabilità gestoria le azioni contro gli amministratori
di società in house, altra parte degli autori61 ha duramente contestato l’arresto
giurisprudenziale che si è tentato di esaminare, proponendo piuttosto di inquadrare la
situazione all’esame della Corte nel disposto dell’art. 2497 c.c.:
<<(…) Laddove si verifi chi questa ipotesi di controllo "analogo", contemplato dalle sezioni
unite, ci troviamo di fronte ad un caso di violazione, in r e ipsa, delle regol e dettat e dal codice civile in
tema di direzione e cordinamento, fonte di responsabilità diretta verso soci e creditori ex art. 2497, c.c., ed
inoltre di responsabilità risarcitoria "aggiuntiva" di "chi abbi a comunque preso parte al fatto lesivo e, nei
limiti del vantaggio conseguito, chi abbia consapevolmente tratto benefi cio" (art. 2497 comma 2,
c.c.)>>62 .
55
IBBA, op. cit., 14.
In questo senso RORDORF, op. cit..
57
Così la sentenza in epigrafe.
58
Ancora così la sentenza esaminata.
59
Così la Corte nella sentenza in commento.
60
Come RORDORF, op. cit..
61
Su tutti, FIMMANO’, La giurisdizione sulle società in house providing, cit.: “ (…) Non è
certo ipotizzabile, in assenza di norma espressa, considerare la società in house un patrimonio
separato sprovvisto di autonoma personalità e di alterità soggettiva rispetto al socio”. Nello
stesso senso IBBA, op. cit., 13.
62
FIMMANO’, La giurisdizione sulle società in house providing, cit..
56
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
77
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
SEGNALAZIONI DI
DIRITTO COMMERCIALE
NO RMATIVA
D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 – Con il D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, recante “misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti” (cd. Investment compact), sono state introdotte, tra le altre:
• alcune variazioni al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), per quanto concerne la disciplina delle banche popolari;
• le PM I innovative, alle quali – ricorrendo determinati requisiti – si applicano in
buona misura le disposizioni dettate per le start up innovative dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modifiche dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221
(vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 20/2012 di questa Rivista).
Il D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, è stato pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio
2015, n. 19.
I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
ASSONIME
Procedimenti di competenza delle Autorità indipendenti – Con il documento Note e
studi n. 1 del 2015, l’Assonime ha approfondito – muovendo dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – alcuni profili relativi al “rispetto dei
principi del giusto processo nei procedimenti davanti alle autorità indipendenti”, quali,
ad esempio, la Consob e l’AGCM. Lo studio si concentra, in particolare, sulle sanzioni
comminate dalle Autorità indipendenti, sulle garanzie procedurali e sul controllo giurisdizionale che devono esser assicurati in relazione a tali provvedimenti sanzionatori.
Il testo di Note e Studi n. 1/2015 è consultabile sul sito dell’Assonime:
www.assonime.it.
ASSONIME – BORSA ITALIANA S .P.A.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
Relazione sulla corporate governance – L’Assonime, in collaborazione con Borsa Italiana s.p.a., ha diffuso una versione aggiornata delle tabelle sulla composizione e sul
funzionamento del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale da inserire nella relazione sulla corporate governance.
Inoltre, Borsa Italiana s.p.a. ha pubblicato una nuova edizione del format da utilizzare
pe la redazione della relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, nel quale
sono state recepite le modifiche apportate al Codice di autodisciplina dal Comitato per
la corporate governance (vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 15/2014 di
questa Rivista).
Le tabelle ed il format sono disponibili sul sito dell’Assonime: www.assonime.it.
CNDCEC
Principi di attestazione dei piani di risanamento – Il Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili ha avviato, con l’informativa n. 4/2015 del 20
gennaio 2015, una consultazione tra gli Ordini territoriali sui Principi di attestazione dei
piani di risanamento (vds. segnalazioni di diritto commerciale sui nn. 6 e 13/2014 di
questa Rivista).
Il documento, in consultazione sino al 28 febbraio 2015, è reperibile sul sito ufficiale
del Cndcec, www.commercialisti.it.
S ocietà tra professionisti – Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ha chiarito che “la revisione legale è esclusa dall’ambito di applicazione” della L. 12 novembre 2011, n. 183, dedicata alle società tra professionisti, in quanto
“essa non costituisce un’autonoma professione regolamentata in ordini o collegi”.
Ragion per cui non sarebbe possibile “costituire società multidisciplinari che prevedono
la presenza di soci professionisti dottori commercialisti o esperti contabili e soci professionisti revisori legali”. In una s.t.p. così strutturata, i soci revisori legali, non potendo assumere il ruolo di soci professionisti, potrebbero rivestire quello di soci di investimento o di soci di prestazioni tecniche: “in tal caso, solo il socio professionista iscritto
nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili potrà svolgere l’attività di
revisione per la s.t.p. medesima”.
Pronto ordini Cndcec n. 287/14 del 27 gennaio 2015.
CONSOB
Bilancio d’esercizio 2014 – La Consob ha divulgato la Comunicazione n. 0003907 del
19 gennaio 2015, al fine di “richiamare l’attenzione dei redattori del bilancio su particolari aree ritenute di maggiore rilevanza, evidenziate anche dall’ESMA nel public
statement «European common enforcement priorities for 2014 financial statements» (ESM A/2014/1309) del 28 ottobre 2014”.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
Tra queste vi sono “la rappresentazione in bilancio degli accordi a controllo congiunto”, “l’iscrizione e la misurazione delle attività per imposte differite” e “le verifiche per
riduzione di valore delle attività non finanziarie”.
La Comunicazione n. 0003907 del 19 gennaio 2015 è consultabile sul sito
www.consob.it.
FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI
Obblighi antiriciclaggio per i professionisti – La Fondazione nazionale dei commercialisti ha pubblicato due documenti concernenti, l’uno, il rapporto tra “Autoriciclaggio
e responsabilità del professionista”, nel quale si analizzano le disposizioni dell’art. 3
della L. 15 dicembre 2014, n. 186, con il quale è stato introdotto il reato di autoriciclaggio (art. 648 ter 1). L’altro affronta il tema “Voluntary disclosure e obblighi antiriciclaggio dei professionisti: lo stato dell’arte”.
Entrambi gli approfondimenti, diffusi il 30 gennaio 2015, sono reperibili sul sito
www.fondazionenazionalecommercialisti.it.
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Start up innovativa e conferimento di impresa individuale – Con il Parere n. 6057
del 19 gennaio 2015, il M inistero per lo Sviluppo economico ha chiarito che “il conferimento dell’intera azienda avente ad oggetto attività innovativa ad alto valore tecnologico in una società unipersonale, di cui il conferente (già titolare dell’impresa individuale) sia unico socio, contempli, per le finalità di cui all’art. 25, 2° co., lett. g), D.L. n.
179/2012, un’ipotesi di trasformazione atipica eterogenea, come tale esimente della
causa ostativa «non è stata costituita […] a seguito di cessione di azienda» di cui alla
lettera g) predetta”. E ciò purché tale attività non sia stata “esercitata per un periodo
superiore a 48 mesi complessivi, […] intendendosi per tali, tanto la parte esercitata
pretrasformazione, quanto quella successiva alla trasformazione stessa”.
Il Parere è disponibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it.
Start up innovativa a vocazione sociale – Con la Circolare n. 3677/C del 20 gennaio
2015, il M inistero per lo Sviluppo economico ha fornito alcuni chiarimenti in relazione
alle cd. start up innovative a vocazione sociale, precisando che il loro riconoscimento
deve “necessariamente avere evidenza pubblica attraverso la sezione speciale del Registro delle imprese” di cui all’art 25, 8° co., D.L. n. 179/2012, mediante autocertificazione presentata dal legale rappresentante della società, il cui contenuto è individuato nella
comunicazione ministeriale.
La Circolare è reperibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
O IC
Principi contabili nazionali – L’Organismo Italiano di Contabilità ha approvato in via
definitiva il principio contabile aggiornato OIC 24, dedicato alle Immobilizzazioni immateriali.
L’applicazione del novellato principio contabile decorre dai bilanci chiusi a partire dal
31 dicembre 2014.
Il documento, pubblicato il 28 gennaio 2015, è integralmente consultabile sul sito
www.fondazioneoic.eu.
GIURISPRUDENZA
Postergazione ex art. 2467 c.c. e scioglimento del vincolo sociale – Il Tribunale di
M ilano ha stabilito che i presupposti di postergazione individuati ex art. 2467 c.c. per i
finanziamenti effettuati dai soci attengono a “situazioni di «rischio» di insolvenza che
possono manifestarsi sia in fase di start up se la società è sottocapitalizzata (proprio
perché i soci hanno preferito finanziarla anziché conferire capitale di rischio) e quindi
v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia in seguito,
quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe «ragionevole», effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i
creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di «crisi»),
proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che «normalmente» in una tale
situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti”.
Per il Tribunale ambrosiano, inoltre, “la condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita anche nei confronti del socio che, in epoca successiva al versamento, abbia
perso tale qualità”, in quanto “l’accoglimento della tesi contraria, cioè il riconoscimento della qualità di socio come presupposto dell’applicazione della disciplina della postergazione, porterebbe all’eliminazione della finalità di protezione dei creditori sociali, cioè della ratio dello stesso art. 2467 c.c.”.
La pronuncia del Tribunale di M ilano del 15 dicembre 2014 è reperibile sul sito
www.giurisprudenzadelleimprese.it.
Cessazione dell’attività di impresa e termine annuale ex art. 10 L.F. – Il Tribunale
di Benevento – sottolineando, da un lato, che “l’attuale dato normativo consente di affermare che oggi la cancellazione dal Registro delle imprese è condizione necessaria
affinché l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento” di cui all’art. 10 L.F., e, dall’altro, che “per gli imprenditori
persone fisiche e per le società cancellate d’ufficio, la cancellazione dal Registro delle
imprese non è da sola sufficiente, bensì deve accompagnarsi anche all’effettiva cessazione dell’attività d’impresa, mediante la disgregazione del complesso aziendale”, sussistendo in ogni caso in capo ai creditori ed al pubblico ministero la legittimazione a
fornire prova contraria – ha dichiarato il fallimento di una s.r.l. cancellata d’ufficio ai
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
sensi dell’art. 2490 c.c. nel 2010, essendo stata provata nel corso dell’istruttoria prefallimentare la prosecuzione dell’operatività sino al dicembre 2013.
Il provvedimento del Tribunale di Benevento del 19 dicembre 2014 è disponibile sul sito www.ilcaso.it.
Estensione del fallimento – La Cassazione ha ribadito che “l’estensione, ai sensi
dell’art. 147 L.F., del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile è
soggetta al termine di decadenza di un anno dall’iscrizione nel Registro delle imprese
di una vicenda, personale (per vendita, recesso, esclusione) o societaria (come la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità
illimitata”, aggiungendo che, nella “ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale
per alienazione della partecipazione del socio […] ai sensi dell’art. 147, 2° co., L.F., il
dies a quo del termine annuale previsto per la dichiarazione del fallimento in estensione
del socio illimitatamente responsabile va identificato nella data dell’iscrizione nel Registro delle imprese della compravendita della quota sociale e non nella data di perfezionamento della stessa, restando la vendita della quota, cui non sia stata data pubblicità ai sensi dell’art. 2290, 2° co., c.c., inopponibile ai terzi e non producendo la stessa
i suoi effetti se non fra le parti del contratto”.
La sentenza della Corte di Cassazione del 21 gennaio 2015, n. 1046, è consultabile sul
sito www.ilcaso.it.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
TRIBUTARIO
NORMATIVA
Legge di stabilità 2015: nuovo regime forfetario per imprese individuali, artisti e
professionisti
La legge di stabilità per il 2015 ha introdotto un regime forfetario per gli imprenditori
individuali e gli esercenti arti e professioni e ha abrogato il regime “dei minimi” e
quello delle nuove iniziative produttive. I soggetti che hanno intrapreso nuove attività
produttive di redditi d’impresa o di lavoro autonomo nel 2013 o nel 2014 e che hanno
applicato i precedenti regimi “di favore” possono fruire della riduzione di un terzo del
reddito per i soli periodi d’imposta che residuano al completamento del triennio
agevolato. I soggetti che nel 2014 hanno applicato il regime cosiddetto “dei minimi”
possono, inoltre, continuare a fruirne in luogo di quello forfetario, se lo ritengono più
conveniente. È stato, invece, definitivamente abrogato il regime contabile “agevolato”.
(L. 23 dicembre 2014, n. 190, cd. “Legge di stabilità per il 2015”)
Legge di stabilità 2015: Nuovo ravvedimento operoso
Con la legge di stabilità 2015 viene modificato l’istituto del ravvedimento operoso, che
viene dotato di due discipline: una per le imposte amministrate dall’A genzia delle
Entrate e una per gli altri tributi. Si modificano le cause ostative che impediscono
l'accesso all'istituto e (in modo peggiorativo) le riduzioni di sanzioni, modellate in base
alla tipologia di violazione e all'intervallo temporale che intercorre tra la data in cui il
contribuente chiede l'accesso all'istituto e quella in cui fu commessa la violazione.
(L. 23 dicembre 2014, n. 190, cd. “Legge di stabilità per il 2015”)
Collaborazione volontaria
Per le violazioni degli obblighi di compilazione del modulo RW commesse fino al 30
settembre 2014, ci si può avvalere della procedura di “voluntary disclosure”, che
consente di fare emergere le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute
all’estero, definendo sanzioni in materia di imposte, di monitoraggio e alcuni reati
fiscali. Possono accedere al programma le persone fisiche, gli enti non commerciali, le
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
società semplici e le entità ed esse equiparate residenti in Italia. La “collaborazione
volontaria” cons iste nell’indicare spontaneamente all’Amministrazione finanziaria,
mediante la presentazione di apposita richiesta tutte le informazioni e i documenti
necessari al Fisco per determinare gli imponibili evasi e contestare le violazioni
commesse. La procedura può essere attivata fino al 30 settembre 2015.
L. 15 dicembre 2014, n. 186
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
La marca da bollo cambia look
Le etichette, realizzate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, hanno la stessa
forma e dimensione di quelle emesse fin ora, cambia, invece, il colore del fondo che
diventa celeste al posto dell’attuale verde, per via dei nuovi inchiostri dotati di maggiori
caratteristiche di sicurezza che ne ostacolano l’alterazione e la falsificazione. Le
etichette con la vecchia grafica potranno essere utilizzate dai tabaccai per emettere i
contrassegni fino all’esaurimento delle scorte.
(Com. stampa del 12 gennaio 2015 Agenzia delle entrate)
G IURISPRUDENZA
Impresa - Agevolazioni tributarie
In tema di agevolazioni tributarie, ai fini dell'attribuzione alle piccole e medie imprese
che assumano nuovi dipendenti del credito d'imposta (IRPEF, ILOR ovvero IVA),
previsto dall'art. 4 della legge n. 449 del 1997, l'inottemperanza all'invito dell'Ufficio
finanziario di completare, nel termine di 15 giorni, con gli elementi prescritti, la
richiesta del contribuente, rappresenta causa di non riconoscimento del beneficio, in
base a quanto prescritto dall'art. 6, comma 3, del D.M . 3 agosto 1998, n. 311. Ciò
perché una siffatta norma è diretta espressione del potere, demandato al M inistro delle
Finanze dall'art. 4, comma 6, della citata legge n. 449, di stabilire con D.M . le procedure
di controllo, prevedendo "specifiche cause di decadenza dal diritto di credito", trovando
la sua ratio nell'esigenza di definire entro un tempo determinato l'inerente onere
finanziario, altrimenti sospeso ad libitum (conf. Cass. civ., sez. V, sent. n. 15865 del
2005).
(Sent./Ord. n. 1555 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. V)
Delitti in materia di dichiarazione
In tema di delitti in materia di dichiarazione il limite degli elementi passivi fittizi
imposto dalla legge, costituisce una circostanza attenuante e non una fattispecie
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
autonoma. La norma non contiene una diversa e specifica condotta, ma prevede
solamente una pena più lieve per il caso in cui l'unica violazione rivesta minore entità
economica.
(Sent./Ord. n. 3915 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III)
Dichiarazione omessa
Il reato connesso alla dichiarazione dei redditi contenente elementi passivi fittizi, è un
reato istantaneo che si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione
stessa. Resta irrilevante l'inserimento della fattura per operazioni inesistenti nella
contabilità societaria. L'illecito penale è legato alla data della presentazione e non più ad
attività strumentali alla stessa come ad esempio l'inserimento della fattura nella
contabilità.
(Sent./Ord. n. 3931 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III)
IRAP
Il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento
potenziale ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che
l'IRAP divenga una tassa sui redditi di lavoro autonomo. Compete al giudice apprezzare
se, nel caso concreto, per le specifiche attività qualitative e quantitative delle prestazioni
lavorative di cui il professionista si avvale, le stese devono giudicarsi eccedenti il
minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale. (Sent./Ord. n. 1544 del
27 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. VI)
Liquidazione dell’imposta
Il concetto di credito inesistente è di facile identificazione poiché è il credito del quale
non sussistono gli elementi costitutivi e giustificativi, mentre il credito non spettante
non può essere ricondotto al criterio dimera spettanza soggettiva o alla pendenza di una
condizione al cui avvera mento sia subordinata l’esistenza del credito. Il credito
tributario non spettante è quel credito che, seppur certo della sua esistenza ed
ammontare, sia per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile in operazioni
finanziarie di compensazione nei rapporti tra contribuente e erario. (Sent./Ord. n. 3367
del 26 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III)
Accertamento tributario
L'accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli
studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione
e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato
rispetto agli “standards” in sé considerati, ma deriva solo dal contraddittorio da attivare
obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. Altresì, si
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
rileva come l'esito del contraddittorio non condiziona l'impugnabilità dello stesso,
potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al
caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal
contribuente che, in tal senso, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del
procedimento amministrativo (conf. cass.civ., sez. V, sent. n. 11633 del 2013).
(Ordinanza n. 1233 del 22 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. VI)
Accertamento induttivo
Il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce, sia in
tema di imposte dirette, sia in tema di IVA, legittimo presupposto dell'accertamento
induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la
natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in sede di
giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il Giudice di
merito è tenuto a verificare la scelta dell'Amministrazione in relazione alle critiche
proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della
natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce, nonché della rilevanza dei campioni
selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto.
(Nella fattispecie concreta, con motivazione esaustiva ed esente, dunque, da vizi, i
Giudici di merito hanno ritenuto insufficiente il campione rappresentativo di merci pari al 9% - e la percentuale di ricarico prescelta - il 48% a fronte di quella dichiarata
dal contribuente del 45% - secondo il sistema della media semplice, considerata la
diversità di tipologia e di prezzo dei prodotti inseriti nel campione).
(Sent./Ord. n. 673 del 16 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. V)
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