Anno 13 – Numero 3 4 febbraio 2015 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO C OORDINATA DA E M AURIZIO I RRERA G ILBERTO G ELOSA • LE CASSE DI RISPARMIO • CONCORDATO PREVENTIVO: GIUDIZIO DI FATTIBILITÀ DEL PIANO • RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE ItaliaOggi DIREZIONE SCIENTIFICA Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera COORDINAMENTO SCIENTIFICO Gilberto Gelosa La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di: Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania NDS collabora con: SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE a cura di Luciano Panzani SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO a cura di Gilberto Gelosa SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA a cura di Marco Casavecchia SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paolo Efisio Corrias, Emanuele Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Patrizia Grosso, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio Schiano di Pepe COMITATO DI INDIRIZZO Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer REDAZIONE Maria Di Sarli (coordinatore) Paola Balzarini, Alessandro Bollettinari, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio Catalano, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, Giulia Garesio, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Riccardo Russo, Cristina Saracino, Marina Spiotta, Andrea Sacco Ginevri, Maria Venturini HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Francesco Campobello, Gian Paolo Ciervo, Enrico Goitre, Michele Vaira I saggi costituenti “Studi e Opinioni” sono sottoposti a blind referees, scelti tra professori universitari universitaricompetenti appartenenti al settori. Comitato nei vari La scientifico valutazione dei deglireferee, atti di competenti nei vari settori scientifici oggetto della Rivista. convegni e degli scritti già pubblicati o di prossima pubblicazione è riservata ai Direttori. Ognidegli scritto un scritti abstract italiano oe diinprossima inglese. La valutazione attièdipreceduto convegni edadegli giàinpubblicati Saranno pubblicati scritti,aioltre che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e pubblicazione è riservata Direttori. portoghese. Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono pubblicati scritti, oltre che in italiano, in: inglese; francese; spagnolo e portoghese. INDICE Pag. STUDI E OPINIONI La funzione delle casse di risparmio nell’Italia liberale: l’evoluzione del loro status in un “percorso a ostacoli” tra beneficenza e credito di Francesco Campobello 9 Il giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo nella recente giurisprudenza della Suprema Corte di Gianpaolo Ciervo 28 RELAZIONI A CONVEGNI La nuova disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili di Michele Vaira 52 COMMENTI A SENTENZE Responsabilità degli amministratori di società in house e giurisdizione della Corte dei Conti (Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, Sezioni Unite) di Enrico Goitre 66 SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE 78 SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 82 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 4 SOMMARIO Pag. STUDI E OPINIONI La funzione delle casse di risparmio nell’Italia liberale: l’evoluzione del loro status in un “percorso a ostacoli” tra beneficenza e credito All’inizio e nel corso del XIX secolo, furono costituite e iniziarono a diffondersi le prime casse di risparmio. Durante quegli anni, con l’unificazione dell’Italia, il conflitto tra il nuovo Stato e la chiesa cattolica si andava componendo. In questo contesto tali istituzioni potevano essere considerate un ibrido tra organizzazioni religiose e commerciali aveva miracolosamente creato una piccola cooperazione tra secolari e cattolici. L’articolo si occupa del processo di definizione dello status delle casse di risparmio nella dottrina, nella legislazione e nella giurisprudenza. di Francesco Campobello Il giudizio di fattibilità del piano di concordato pre ventivo nella recente giurisprudenza della Suprema Corte Si intendono esaminare in questa sede le più recenti tendenze dottrinali e giurisprudenziali in tema di limiti del sindacato giudiz iale sulla fattibilità del piano di concordato preventivo, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte e della recente giurisprudenza di legittimità e di merito in tema. di Gianpaolo Ciervo IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 5 SOMMARIO RELAZIONI A CONVEGNI La nuova disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili L’articolo si sofferma sulle nuove forme contrattuali che consentono alle parti di stipulare accordi che attribuiscono l’immediato godimento del bene al conduttore, permettendogli di superare l’impossibilità di corrispondere l’intero prezzo ed allo stesso tempo assicurandogli il diritto all’acquisto della casa, imputando in tutto od in parte quanto versato a titolo di canone locatizio in conto prezzo. di Michele Vaira COMMENTI A SENTENZE Responsabilità degli amministratori di società in house e giurisdizione della Corte dei Conti (Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, S ezioni Unite) La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. di Enrico Goitre IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 6 INDEX-ABSTRACT Pag. STUDIES AND O PINIONS The function of the savings banks in the beginning of the XIX century in Italy: the evolution of their status in an “obstacle course” between charity and credit In the beginning of the XIX century and throughout the century, the first Saving banks were establish and started to develop. During those years , with the unification of Italy, the conflict between the new State and the Catholic Church reaches its peak. In this context these institutions, that can be considered something between a religious organization and a commercial ones, arise a little 'miraculously, creating a cooperation between secularists and Catholics. The legal ambiguity, the political context and their own hybrid nature created many difficulties for classification of Savings Banks into the (existing) legislation. This article addresses the process of defining their status through the doctrine, legislation and case law. by Francesco Campobello 9 The judgment of the feasibility of the plan of “composition with creditors’ procedure” in the recent case law of the Supreme Court The purpose of the paper is to analyze the latest doctrinal and jurisprudential trends about the issue of the judicial review on the feasibility of the plan in the so-called “composition with creditors’ procedure”. The Author reports the solutions provided by the Joined Chambers of the Italian Supreme Court in the relevant case law and analyzes some recent decisions of the Italian Supreme Court concerning the above mentioned issue. by Gianpaolo Ciervo 28 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 7 INDEX-ABSTRACT REPORTS ON CONFERENCES The new rules of contracts for enjoyment in terms of the subsequent disposal of property The paper focuses on new contracts that allow the parties to enter into agreements that grant immediate use of the property to the “conduttore”, allowing him to overcome the inability to pay the full price and at the same time assuring the right to buy the house by charging all or part of the amount paid as “canone locatizio in conto prezzo”. by Michele Vaira 52 COMMENTS ON JUDGEMENTS Directors of in house companies liability and Court of Auditors jurisdiction (Cassazione Civile, 25 novembre 2013, n. 26283, S ezioni Unite) The Court of Auditors (Corte dei Conti, for the purposes of Italian Law) is the Italian Court competent for judging liability claims presented by the Prosecutor Office of the Court of Auditors, when such claims aim at demonstrating the liability of the corporate bodies for damages caused to the estate of a in house company. In house company means a company (i) incorporated by one or more public authorities for the handling of public services, (ii) whose shareholders can only be the aforesaid public authorities, (iii) that mainly operates – under the by laws – in favour of public authorities and (iv) whose management is subject to forms of control analogous to the control managed by the public authorities over its offices. by Enrico Goitre 66 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 8 STUDI E OPINIONI LA FUNZIONE DELLE CASSE DI RISPARMIO NELL’ITALIA LIBERALE: L’EVOLUZIONE DEL LORO STATUS IN UN “PERCORSO A OSTACOLI” TRA BENEFICENZA E CREDITO All’inizio e nel corso del XIX secolo, furono costituite e iniziarono a diffondersi le prime casse di risparmio. Durante quegli anni, con l’unificazione dell’Italia, il conflitto tra il nuovo Stato e la chiesa cattolica si andava componendo. In questo contesto tali istituzioni potevano essere considerate un ibrido tra organizzazioni religiose e commerciali aveva miracolosamente creato una piccola cooperazione tra secolari e cattolici. L’articolo si occupa del processo di definizione dello status delle casse di risparmio nella dottrina, nella legislazione e nella giurisprudenza. di Francesco Campobello Il rapporto tra il mondo del credito - le banche - e il mondo dell’assistenza - gli enti ecclesiastici - si perde nelle origini stesse del diritto1. All’interno del diritto dell’economia può essere interessante approfondire tale rapporto in particolare nel diciannovesimo secolo. Le casse di risparmio furono costituite, in Italia, nei primi anni dell’Ottocento ma fu solo dopo l’unificazione che il fenomeno si rafforzò, contribuendo a creare le basi del sistema creditizio nazionale. Punto di svolta fu la legislazione 2 riformatrice di Francesco Crispi . È necessario, brevemente, ricordare che le casse di risparmio nacquero in un contesto di prolificazione di nuovi istituti commerciali, creditizi o comunque di tutela del risparmio. M olte erano infatti le tipologie di banche formatesi nei primi anni del XIX secolo: banche d’affari, banche dedicate 1 Cfr. A. P ETRUCCI, Profili giuridici delle attività e dell’organizzazione delle banche romane, Giappichelli, Torino 2002; S.A. FUSCO , Pecuniam comodare: aspetti economici e sociali della disciplina giuridica dei rapporti di credito nel V secolo d.C., Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Perugia, Perugia 1980; si veda anche in questo volume, M.A. LIGIOS, Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di Commodo, in questo volume. 2 In particolare la legge sul riordinamento delle casse di risparmio del 15 luglio 1888 n. 5546 e la legge del 17 luglio 1890 sulle istituzioni pubbliche di beneficenza n. 6972, la cosiddetta legge sulle IPAB. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 9 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO all’agricoltura 3, banche deputate, soprattutto, alla raccolta del risparmio, banche popolari e postali4, banche specializzate nel credito a breve termine per il finanziamento degli investimenti industriali 5. Alcuni storici dell’economia distinguono, tra i diversi tipi di banca, quelle che sono create dalle necessità di produzione e di scambio, diremmo noi oggi dal mercato, da quelle che invece nascono “spinte da motivazioni” diverse “di carattere non direttamente economico ma politico, sociale, 6 etico e culturale” . Le casse di risparmio nascono proprio da questa seconda esigenza: come risultato “delle idee filantropiche dell’illuminismo” la cassa di risparmio è infatti “destinata a favorire la formazione e la raccolta del piccolo risparmio a carattere previdenziale” 7. Se in Europa, in particolare nelle grandi potenze economiche (Prussia, Inghilterra, Francia ed Austria), per tutto l’Ottocento vi fu un proliferare di banche di 3 Cfr. L. CARP I, Del credito delle Banche e delle Casse di Risparmio nei loro rapporti coll’Agricoltura, Giannini e Fiore, Torino 1857, pp. 179-235; A. FERRERO GOLA , Le Casse di Risparmio e l’ordinamento del credito fondiario ed agricolo, T ipografia letteraria, T orino 1865; L. ROCCA , Casse di risparmio: Beneficenza e credito agrario, tip. Leonardo da Vinci, Città di Castello 1928. 4 Cfr. L. LUZZATTI, Sull’andamento del credito popolare in Italia, in «Rivista della Beneficenza pubblica e de gli istituti di Previdenza», anno 1879, fascicolo di settembre, in particolare pp. 811; ID , La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. P ECORARI, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia 1997; L. PAOLINI, Delle relazioni fra le casse di risparmio e le banche popolari, tip. dell’Unione cooperativa editrice, Roma, 1895; P. CAFARO , Banche popolari e casse rurali tra ‘800 e ‘900: radici e ragioni di un successo, in Le banche popolari nella storia d’Italia, a cura di P. PECORARI, Atti della quinta giornata di studio “Luigi Luzzatti” per la storia dell’Italia contemporanea (Venezia 7 novembre 1997), Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia 1999. Per le differenze tra le casse di risparmio e le casse di risparmio postali, i loro rapporti e i possibili conflitti tra esse si veda Q. SELLA, Le Casse postali di risparmio, in «Nuova antologia di lettere scienze ed arti», 1880; A. P ODESTÀ, Sulle casse di risparmio in Italia. Lettera all’Onorevole Sella, T ipografia eredi Botta, Roma, 1881, in particolare pp. 7-11; E. BERNARDI, Le casse postali di risparmio, tip. T errier, Demonte 1882; R. MASSETTI, Discorso sulle casse postali di risparmio, tip. Stracca, Frosinone 1890; R. CORIGLIANO , La cassa depositi e prestiti e le casse di risparmio postali, F. Angeli, Milano 1980; A. MAURIELLO , Origini e storia delle casse postali di risparmio, Lurenziana Napoli 1980. 5 Cfr. Banche e reti di banche nell’Italia postunitaria, a cura di G. CONTI e S. LA FRANCESCA , il Mulino, Bologna 2000; S. LA FRANCESCA , Storia del sistema bancario italiano, il Mulino, Bologna 2004; F. GIORDANO , Storia del sistema bancario italiano, Donzelli, Roma 2007. 6 A. COVA , La banca italiana nel contesto creditizio europeo secoli XIX-XX, in La Compagnia di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A. CANTALUPP I, Vol. II, Einaudi, T orino 2013, p. 3. Per contro le casse di risparmio vengono ritenute “ di origine antica e spontanea” in confronto alle casse postali di origine statale cfr. G. INGROSSO , Voce Cassa di risparmio, in Novissimo digesto italiano, 1958, pp. 1021 - 1033. 7 Cfr. G. DE CAP ITANI D’ARZAGO , Voce Cassa di risparmio, in Enciclopedia Treccani, p. 316. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 10 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO emissione generiche parallelamente a banche relativamente specializzate, in Italia nacque il fenomeno delle banche miste contrapposto al modello tedesco della banca universale 8. Concepito su idee illuministiche, il sistema delle casse di risparmio è forse uno dei pochi settori che l’ondata riformatrice napoleonica ha lasciato sostanzialmente invariato, per cui si può intravedere una linea di continuità tra le prime casse di 9 risparmio di fine Settecento e quelle della metà del XIX secolo . Nello specifico, nella penisola, il periodo che va dal Congresso di Vienna alla fine degli anni quaranta fu quasi del tutto privo di novità nel settore bancario, al contrario della fase successiva in cui esplose il fenomeno delle casse di risparmio 10. Apparse già nel secolo precedente in vari paesi del nord d’Europa e dopo la Restaurazione anche in Francia, le casse di risparmio, in Italia, sono almeno all’inizio un fenomeno principalmente lombardo 11. In tale contesto il governo di Vienna, quindi la politica e non il mercato, aveva deciso di creare nel Lombardo - Veneto questi istituti come strumento di politica sociale. Lo scopo principale era infatti non tanto di sviluppo dell’attività imprenditoriale quanto invece l’incentivo del risparmio popolare con lo scopo di realizzare degli utili da destinare ad attività previdenziali. Sulla nascita della prima cassa di risparmio in Italia si è scritto molto senza arrivare ad una conclusione condivisa. In questo lavoro non ci si inserisce nel dibattito ancora in corso, ma ci si limita a ricordare che tra il 1818 e il 1822 nel lombardo-veneto si ebbero le prime istituzioni di questo tipo12. L’iniziativa ebbe un grande successo, se si pensa che già nel 1823 solo tra Lombardia e Veneto se ne contano sette, nel 1830 nove, nel 1840 venticinque, nel 1850 in tutta la penisola erano diventate sessanta, sino ad arrivare nel 13 1860 al picco massimo di novantuno . 8 Cfr. R. CAMERON, Le banche e lo sviluppo del sistema industriale, il Mulino, Bologna 1975. Più in generale sulle innovazioni francesi derivanti dall’invasione napoleonica si veda, M. GOSSO , Sulla politica economia e finanziaria del governo provvisorio piemontese del 17981799, in «Bollettino storico bibliografico subalpino», 1973, pp. 653-744. 10 Cfr. D. MORELLI, Poche parole sulle casse di risparmio, stabilimento tipografico Gaetano Nobile, Napoli, 1865. 11 Cfr. A. COVA e M. GALLI, Finanza e sviluppo economico-sociale. La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde dalla fondazione al 1940, Cariplo-Laterza, Milano - Bari 1991. 12 A tal proposito è emblematico che, sfogliando le principali enciclopedie giuridiche, il Digesto Italiano segnali come prima cassa di risparmio quella di Rovigo nel 1822 e Enciclopedia giuridica italiana quella di Venezia nel medesimo anno. 13 I numeri possono oscillare a seconda che si considerino le singole casse di risparmio o le loro sedi, quel che qui conta far rilevare è la crescita tendenziale. Cfr. A. COVA , La banca italiana nel contesto creditizio op. cit.; G. DE CAP ITANI D ’ARZAGO, op. cit., p. 317; Storia delle casse di risparmio e della loro associazione 1822-1950, a cura di L. DE ROSA , Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 11. Si è scelto qui di inserire quanto riportato in Le casse di risparmio in Italia dal 1822 al 1904, notizie storiche presentate all’Esposizione di Milano del 1906, a cura del 9 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 11 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO Ad unificazione politica avvenuta e con i lavori in corso per l’unificazione legislativa ed amministrativa si pose anche per le casse di risparmio il problema di trovare una definizione giuridica al loro status, mantenendo la loro funzione al confine tra beneficenza e credito. Le casse di risparmio si possono definire come “istituti di natura essenzialmente benefica aventi lo scopo di raccogliere, custodire e investire i risparmi minimi delle 14 classi meno fortunate della popolazione costituendo loro gradatamente dei capitali” . Si sottolinea quindi la doppia funzione intrinseca di queste istituzioni: da un lato incentivare il risparmio nelle classi sociali popolari dall’altro sostenere tramite un intervento sociale gli strati più umili della popolazione. Questa doppia funzione costrinse la dottrina prima, il parlamento poi ed infine la magistratura ad interrogarsi se, consapevoli del dualismo dell’istituzione, si dovesse regolamentarle come opere pie o come enti commerciali 15. Pur non potendo in questo contesto approfondire il percorso storico di nascita ed evoluzione delle casse di risparmio, ammesso che sia possibile elaborare una storia comune che assorba le numerose opere edite su singoli istituti delineandone tratti generali, è però necessario segnalare che le casse di risparmio nelle province lombarde sin da subito cercarono di allargare il loro ambito di azione attraverso varie forme di deposito e tramite l’emissione di titoli di credito a lungo termine, privilegiando le loro attività sul versante degli enti di commercio 16. L’incontro tra la sfera religiosa e l’ambito civile si evidenzia sin dalla costituzione delle casse stesse: infatti in genere le casse venivano create da un certo numero, in genere ridotto, di persone che costituivano una società anonima che tramite la sottoscrizione di azioni fornivano un capitale sufficiente per avviare l’attività creditizia. Oppure un singolo ente già esistente, pubblico (ad esempio il municipio) o privato (ad esempio un monte di pietà) poteva edificare la cassa di risparmio separando MINISTERO DELL’AGRICOLTURA , INDUSTRIA E COMMERCIO , tip. Bertero, Roma 1906, pp. 14 16. 14 Cfr. F. FLORA, Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 634. 15 Il dibattito giuridico sia in dottrina che in giurisprudenza, era ancor più ampio e riguardava tutto il complesso rapporto tra enti ecclesiastici ed economici. Si veda ad e sempio sui lasciti pii E. COLOMBO, La Compagnia di San Paolo e le dinamiche del credito fra età moderna e prima metà dell’Ottocento, in La Compagnia di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A. CANTALUPP I, vol. I, Einaudi, T orino 2013, pp. 577-612 in particolare pp. 594-595. Cfr. A. SENIN , Voce Cassa di risparmio, in Enciclopedia del diritto, in particolare pp. 427 - 431. 16 Si veda la Storia delle casse di risparmio e della loro associazione op. cit., in particolare pp. 7 - 43 e 73 - 110; e sulle casse di risparmio in Lombardia, L. MOTTA , Credito popolare e sviluppo economico. L’esperienza di una banca locale lombarda fra il 1874 e il 1907, Giuffrè, Milano, 1976; Beneficenza e risparmio: i documenti preunitari della cassa di risparmio delle Provincie lombarde, a cura di M. CANELLA e E. PUCCINELLI, Banca Intesa, Milano 2005. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 12 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO una parte del proprio patrimonio che ad essa espressamente dedicava. Infine, il caso più complesso ma anche più interessante era rappresentato dalla combinazione di persone fisiche e giuridiche pubbliche e private che insieme realizzavano la cassa di risparmio. Una volta consolidatasi, la cassa di risparmio rimborsava a poco a poco i sottoscrittori che non ricevevano né interessi né dividendi. Una volta che gli utili avessero creato un fondo stabile di garanzia dei risparmi versati (almeno il dieci per cento del valore totale dei risparmi) il surplus non reinvestito nella gestione della cassa di risparmio doveva essere impiegato in attività di beneficenza o assistenza. Semplificando, si può schematicamente riassumere che nel sud d’Italia le casse di risparmio sorsero per iniziativa pubblica (generalmente tramite l’intervento dei 17 Comuni) in primo luogo perché il tessuto economico era difficilmente in grado di intervenire nella creazione di questi istituti, in secondo luogo perché fino a dopo l’unificazione non si riscontrano se non con pochissime eccezioni casse di risparmio nell’ex Regno delle due Sicilie, situazione che creava un forte ritardo colmabile solamente dall’intervento pubblico. Nell’Italia centrale, al contrario, le casse di risparmio sorsero spesso per iniziativa dei privati tramite la creazione di società anonime 18. Nel nord dell’Italia, con la parziale esclusione delle aree sotto il dominio asburgico almeno fino al 1866, l’iniziativa di fondazione delle casse di risparmio 17 Sulla nascita delle casse di risparmio nel meridione si vedano, F. P ILLITTERI, Credito e risparmio nella Sicilia dell’unificazione, Palumbo, Palermo 1981; R. GIUFFRIDA, Il problema dell’istituzione di Casse di risparmio in Sicilia nel periodo preunitario (1840-1860), tip. Sciarrino, Palermo 1968; F. MASTRANGELO , La Cassa di risparmio del Banco di Napoli, 18621883, Arte tipografica, Napoli 1994; R. COLAP IETRA , Un secolo di vita di un istituto creditizio meridionale: la cassa di risparmio dell’Aquila (1859-1960), libreria scientifica editrice, Napoli 1973; R.O. AMILCARE, Quasi un secolo di vita (1861-1953) della cassa di risparmio di Calabria. Con breve premessa di cenni storici sulle origini e sviluppo delle casse di risparmio ordinarie italiane, tip. Chiappetta, Cosenza 1955. 18 In generale sulle casse di risparmio nell’Italia centrale si vedano a titolo esemplificativo, G.B. MORSIANI, Notizie storiche sulle casse di risparmio dell’Emilia, T ipografia compositori, Bologna 1941; La Cassa di risparmio di Firenze nel 19° secolo: ricognizioni delle fonti archivistiche e bibliografiche, a cura di E. BARLETTI e I. NAP OLI, Le Monnier, Firenze 2007; La Cassa di risparmio di Firenze: breve compendio di una lunga storia, a cura di M. MAGINI, Olschki, Firenze 1992; G. P AVANELLI, Dalla carità al credito: la Cassa di risparmio di Firenze dalle origini alla I guerra mondiale, Giappichelli, Torino 1991; ID , Cosimo Ridolfi, i ‘campagnoli’ toscani e la cassa di risparmio di Firenze in periodo preunitario, in «Bollettino storico pisano», 1984; A.B. TORRI, Le antiche istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza: ”mons pietatis et depositorum” di Roma, in «Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza», 1981, fasc. 19, pp. 1890-1892; M. BOLDRINI, Casse di risparmio e banche popolari nelle Marche, tip. C. Ferrari, Venezia 1915; P. MANASSEI, Le casse di risparmio dell’Umbria, uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze 1892. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 13 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO ricadde sugli istituti di beneficenza 19. In Piemonte prima dell’avvento dell’ordinamento costituzionale le casse di risparmio non ebbero un grande sviluppo sia a causa del “lento movimento degli affari ed il più lento sviluppo intellettuale delle masse” sia per un “ambiente politico-amministrativo poco favorevole” 20, in un contesto di forte concorrenza, come bene rifugio del risparmio, dei titoli del debito pubblico. Anche in questo caso, come per la legislazione nazionale unitaria, si adottò la decisione di estendere al nuovo Regno d’Italia l’ordinamento giuridico del Regno di Sardegna. La legislazione preunitaria piemontese però non “regolava a priori … nello stretto senso della parola le casse di risparmio” 21. L’unica norma specifica del settore era la legge del 31 dicembre 1851 che prevedeva per “le casse di risparmio attualmente esistenti, e quelle che per l’avvenire verranno istituite” l’esenzione dal bollo per le attività creditizie e da qualunque imposta per i crediti scritti sui libretti22. La motivazione di tali immunità era, coerentemente con la legge sulle congregazioni di carità del 20 novembre 1859 seguita dal regolamento del 18 agosto 1860, conseguenza dell’impostazione secondo la quale le casse di risparmio fossero da considerarsi una particolare forma di opera pia. La coincidenza della maggior parte delle casse di risparmio nate per iniziativa degli enti religiosi con quei territori con una più antica e radicata tradizione liberale è un fenomeno peculiare. Ci si potrebbe infatti aspettare che proprio quelle riforme che portarono progressivamente ad una laicizzazione dello Stato non permettessero un allargamento delle competenze degli enti religiosi nel settore del credito23. 19 Cfr. per il Piemonte anche N. VASSALLO, Dai monti di pietà alla nascita delle casse di risparmio: il caso piemontese, in Le carte preziose: gli archivi delle banche nella realtà nazionale e locale: le fonti, la ricerca, la gestione e le nuove tecnologie, a cura della ANAI, Atti del Convegno tenuto a T rieste nel 1997; R. ALLIO , Iniziative economiche delle società di mutuo soccorso piemontesi, in «Bollettino storico bibliografico subalpino», 1980, fasc. 1, pp. 179 – 221; A. CRESTADORO , Della organizzazione delle Casse di Risparmio, dei Monti di pietà e delle Banche generali, tip. Mussano, Torino 1843; G.L. GRANERIS, Le strutture delle casse di risparmio della provincia di Cuneo, con particolare riferimento alla Cassa di Risparmio di Savigliano, tesi di Laurea in storia del diritto italiano, Università degli studi di T orino, relatore M.E. VIORIA , anno accademico 1976/1977. 20 L. CARP I, Del credito op. cit., p. 208. 21 Ivi, p. 210. 22 Legge del 31 dicembre 1851, n. 1312 bis. Cfr. anche Atti del Parlamento subalpino, sessione del 1851, vol. VII Eredi Botta, Firenze 1866. 23 Basti pensare alla legislazione eversiva, analizzata all’interno dell’evoluzione giuridico – normativa provocata dagli interventi legislativi ad impronta liberale che coinvolsero e sconvolsero profondamente i rapporti tra Stato e Chiesa. Le loro radici risalgono alla normativa ottocentesca del Regno di Sardegna, su principi giurisdizionalisti che pongono le basi per la legislazione del 1855, che riconosce allo Stato il potere di conservare la personalità giuridica civile soltanto agli enti ecclesiastici le cui finalità religiose siano ritenute effettivamente utili e, IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 14 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO Prima di affrontare l’evoluzione legislativa delle casse di risparmio e per meglio comprendere il rapporto che si crea tra il sistema economico del credito e le organizzazioni di carattere religioso, i corpi morali ecclesiastici 24, è necessario un breve cenno al contesto politico culturale degli anni di riferimento. Le casse di risparmio così costituite non solo comportavano una anomalia nel contesto di attrito tra élite liberale ed enti ecclesiastici (all’interno del più ampio conflitto tra Stato e Chiesa), ma incidevano direttamente sulla conformazione dei 25 consigli e degli uffici di amministrazione delle medesime . Il contesto politico in cui operavano le casse di risparmio, rappresentato dalle relazioni tra il governo italiano e le organizzazioni religiose, era in genere tesissimo: l’unificazione italiana e in particolare la presa di Roma resero spesso impossibile non solo la collaborazione ma persino il dialogo, che peraltro già dagli anni cinquanta era fortemente compromesso26. Appare quantomeno singolare quindi che in talune città il perciò, meritevoli di tutela sulla base di una sua autonoma e discrezionale valutazione. La legislazione eversiva si sviluppa, andando ad erodere i diritti ed i privilegi giuridici de gli enti della Chiesa, lungo un arco di tempo di oltre mezzo secolo, dalla legge Rattazzi del 1855, o secondo alcuni ancor prima, dalla legge sarda che espelle i Gesuiti dal Regno sardo (1848), alla legge Crispi (1890) sulla beneficenza pubblica. Essa può dirsi una legislazione stratificata, o per gradi progressivi, nella quale in corrispondenza con le impostazioni ideologico - politiche dei governi liberali, aumentano sempre più le disposizioni soppressive. Cfr. A. FERRARI, La politica ecclesiastica dell’Italia post-unitaria: un modello post-Westphaliano, in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 2013; M. TEDESCHI, Lo svolgimento legislativo in materia ecclesiastica nell’Italia post-unitaria, in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 2010; P. GROSSI, Il diritto nella storia dell’Italia unita, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012; G. OLIVERO , Gli acquisti degli enti ecclesiastici nel diritto italiano, Milano, Giuffrè 1946; A.C. JEMOLO , Chiesa e Stato negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1963. 24 L’articolo 2 del codice civile italiano del 1865 prevedeva che: “I comuni, le province, gli istituti pubblici civili od ecclesiastici, ed in genere tutti i corpi morali legalmente riconosciuti, sono considerati come persone, e godono dei diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”. Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche o corpi morali, Firenze, F. lli Cammelli, UTET , 1889 – 1902, in particolare vol. V, parte speciale, Le istituzioni e le associazioni pubbliche civili, le istituzioni pubbliche di beneficenza, personalità giuridica nelle opere pie proprie e nelle improprie, nelle istituzioni scolastiche, nelle istituzioni di credito, di risparmio e di previdenza e nei consorzi, 1901, pp. 472 - 479. 25 Infatti gli enti fondatori potevano indicare dei componenti degli organi di amministrazione della cassa di risparmio, venendosi così a formare dei consigli misti di membri indicati dai municipi e da istituti pii contemporaneamente. 26 Prima dell’unificazione la cosiddetta politica del ‘connubio’ “ una prudente e accorta fusione fra i nobili di mentalità liberale e l’ala moderata della borghesia piemontese” da parte di Cavour, con l’avvio di una serie di riforme in senso liberale, aveva creato un’ostilità verso i vertici della Chiesa in Piemonte tale da culminare nell’arresto dell’arcivescovo di T orino. Cfr. A.L. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 15 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO capitale necessario per la fondazione di una cassa di risparmio nascesse da una collaborazione tra il comune e i locali istituti religiosi 27. Ci si è chiesti se le casse di risparmio così costituite potessero rientrare nella più amplia categoria delle opere pie o dovessero essere considerate società commerciali. I principali riferimenti normativi per poter inquadrare il problema sono: la legge sulle 28 opere pie del 3 agosto 1862, n. 763 , la legge organica delle casse di risparmio del 15 luglio 1888, n. 5546 e la legge Crispi sugli istituti pubblici di assistenza e beneficenza del 1890, n. 697229. Il problema, lungi dall’essere solamente teorico, aveva almeno tre rilevanti conseguenze: nel garantire l’autonomia di tali istituti dal potere statale, nella gestione amministrativa di competenza ministeriale di controllo delle casse di risparmio, infine nella applicazione della tassazione 30. Tali enti infatti, se considerati ecclesiastici dovevano essere sottoposti a controlli ed autorizzazioni da parte di organi dello Stato a questo preposti appositamente e previsti dalla legislazione eversiva (quali il M inistero dell’Interno, il Consiglio di Stato ed il Fondo per il culto), con grandi limitazioni sia per l’incremento del patrimonio, in particolare immobiliare, sia per la stessa costituzione della personalità giuridica 31. La CARDOZA , Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell’Italia liberale, Donzelli, Roma 1999, p. 53. Più in generale sul periodo di riferimento si vedano F. DE GREGORIO , La legislazione sardo-piemontese e la reazione cattolica (1848-1861). Con particolare riferimento al dibattito parlamentare, Rubettino Soveria Mannelli 1999 e R. ROMEO , Cavour e il suo tempo, Laterza, Roma - Bari 1977. 27 Si veda ad esempio le casse di risparmio a Vercelli e Novara. 28 Cfr. G.D. T IEP OLO , Leggi ecclesiastiche annotate, Unione tipografico – editrice, Torino 1881. 29 La legge Crispi mirava a portare “ sotto controllo pubblico le opere pie e a operare d’autorità una loro razionalizzazione con il dichiarato scopo di concentrare ogni specifica funzione assistenziale in un unico ente per comune”. Cfr. D. ROBOTTI e S. I NAUDI, Carità, beneficenza, assistenza. L’azione sociale del San Paolo tra privato e pubblico (1853-1991), in La Compagnia di San Paolo 1563-2013, a cura di W. BARBERIS e A. CANTALUPP I, vol. II, Einaudi, Torino 2013, p. 378. Più in generale si veda S. D’AMELIO, La beneficenza nel diritto italiano: storia delle leggi, testi delle leggi vigenti coordinati ed unificati, glossa, tip. delle Mantellate, Roma 1928 e soprattutto A. MAGNANI, Le istituzioni pubbliche di beneficenza: commento alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, Roux e Viarengo, T orino 1900. 30 “La controversia sul carattere delle Casse di risparmio non è una controversia soltanto teorica, poiché la varia soluzione che ad essa si dia influisce” nel rapporto tra politica ed economia. Cfr. P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano, vol. VII, p. 20. 31 Cfr. G. FRANCESE, Personalità giuridica della Chiesa cattolica, Pierro, Napoli 1904; F. RUFFINI, Sulla teoria delle persone giuridiche, Società Editrice Libraria, Milano 1899. Ma anche C. VIVANTE , La personalità giuridica delle società commerciali, in «Rivista di diritto commerciale industriale e marittimo», 1903; V. SINAGRA , La natura giuridica delle Casse di risparmio, Athenaeum, Roma 1926. Il tema è ancora oggi oggetto di studio cfr. G.M. SARACCO, L’evoluzione della natura giuridica delle casse di risparmio e l’acquisizione del carattere di IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 16 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO legislazione, invero, aveva dato allo Stato il potere di concedere e di riconoscere la personalità giuridica dei corpi morali dei singoli enti religiosi oltre che il potere di destinazione dei beni che ad essi appartenevano. In particolare, con le due leggi emanate nel 1866 e nel 1867 era stata disposta la soppressione generalizzata degli enti ecclesiastici con il conseguente passaggio allo Stato dei beni, prevalentemente immobiliari, e la vendita di questi a prezzi vantaggiosi per poter da un lato incamerare velocemente liquidità nelle esangui casse dello Stato, dall’altro per garantire un’efficace 32 mobilità e circolazione di tali beni . Al contrario se le casse di risparmio fossero state considerate enti commerciali tutta la legislazione eversiva non sarebbe stata applicabile 33. Inoltre, per quanto concerne le competenze di gestione tra il M inistero dell’Interno e dell’A gricoltura, dell’Industria e del Commercio regnava la più completa confusione. Come detto la legislazione preunitaria sarda considerava le casse di risparmio ricomprese nella categoria delle opere pie e pertanto prevedeva che la loro vigilanza spettasse al M inistero dell’Interno. Poco dopo l’unificazione il 26 gennaio 1862 tramite un regio decreto34 si demandava la vigilanza di tali istituti al M inistero dell’A gricoltura, Industria e Commercio. Pochi mesi dopo, sempre con un decreto35, si conferì nuovamente la vigilanza al M inistero dell’Interno in attesa di un riordino complessivo del settore. Quest’ultima disposizione aveva però inserito un’ulteriore complicazione, in quanto si distingueva la competenza tra Interno e Agricoltura a seconda dell’origine della cassa infatti se “mantenute da Opere Pie … dipenderanno d’ora in poi dal M inistero dell’Interno” se invece ‘d’indole diversa’ continueranno a dipendere dal M inistero dell’Agricoltura. Una legge organica sulle casse di risparmio, nel complesso quinquennio postunitario, tardava ad essere approvata, tanto che nel 1864 veniva emesso un regio decreto che esplicitava definitivamente “da quali ministeri dipendano le Casse di risparmio, i M onti frumentari e quelli di Pietà o di Pignorazione” 36 . L’articolo 1 prevedeva che i M onti di qualsiasi tipo dipendessero dal M inistero dell’Interno mentre dipendevano dal M inistero di A gricoltura, Industria e Commercio “tutte indistintamente le Casse di risparmio”. A ciò si aggiungeva una circolare del enti pubblici, in «Il Foro amministrativo», 1986, fasc. 11, pp. 2617-2628; V. DEL GIUDICE, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano Giuffrè 1970. 32 Cfr. Legge 7 luglio 1866, n. 3096 e Legge 15 agosto 1867, n. 3848. 33 Cfr. S. MOZZARELLA , Appunti a proposito dei controlli esercitati sulle casse di risparmio prima della legge 15 luglio 1888, n. 5546, in «Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni», 1971, fasc. 5-6, pp. 211-221. 34 R.D. del 26 gennaio 1862, n. 449, “ Le Casse di risparmio e i Monti frumentari e di pietà che … erano posti sotto la dipendenza del Ministero dell’Interno, dipenderanno quind’innanzi da quello di Agricoltura”, in Celerifera, 1862, pp. 296 - 297. 35 R.D. del 21 aprile 1862, n. 592, in Celerifera, 1862, pp. 984 - 985. 36 R.D. del 21 settembre 1864, n. 1911. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 17 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO M inistero dell’Interno ai Prefetti che esplicitava la motivazione di tale scelta “le Casse di risparmio, benché erette con uno scopo benefico, non possono venir giudicate come Opere Pie … debbono ritenersi quali vere istituzioni di credito, e perciò devolute alla competenza del M inistero”37. La legge del 1862 definiva le opere pie come quegli “istituti di carità e di beneficenza … aventi in tutto o in parte il fine di soccorrere alle classi meno agiate” e di prestare assistenza, educazione ed istruzione; come detto precedentemente le casse di risparmio sono “istituti di natura essenzialmente benefica aventi lo scopo di raccogliere, custodire e investire i risparmi minimi delle classi meno fortunate della popolazione costituendo loro gradatamente dei capitali”. Il dibattito si esaurisce nel capire se la prima definizione contiene la seconda 38. La dottrina dell’epoca sul punto non era unanime: anche se ormai si era sostanzialmente concordi nel superare l’impostazione per cui le casse di risparmio fossero da considerarsi una sotto categoria degli enti ecclesiastici, il dibattito continuava sulla definizione giuridica di questi enti39. Il Giorgi pur considerando “che in questo stato di cose la risoluzione della questione non dovrebbe essere assoluta, ma dipendente dall’esame degli Statuti”40 vagliando quindi caso per caso e constatando che la volontà del legislatore si era palesata sottoponendo le casse di risparmio alla vigilanza del M inistero d’Agricoltura e dimostrando così di considerare le casse di risparmio come enti commerciali piuttosto che civili, infine sosteneva che questi “enti misti di previdenza e di credito veramente assumono il carattere commerciale” 41 se, come è noto, compiono atti di commercio. Della stessa idea anche il Pettini, il Vidari, il 42 Bruschettini ; dissentiva, però, Papa D’Amico che le considerava invece enti di diritto 37 Circolare, Div. VI, del Ministero dell’Interno ai Prefetti del 21 settembre 1864. Preliminarmente può essere utile distinguere la cassa di risparmio dall’ente fondatore: a tal proposito “occorre anzitutto tenere ben distinte le Casse dagli enti morali che diedero loro vita … se un opera pia … raccoglie depositi a risparmio non è per ciò soltanto che prende esistenza una vera Cassa di risparmio”. Cfr. P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano, vol. VII, p. 18. 39 Negli stessi anni il Ferrero Gola già precisava: “ Gli è tempo di proclamarlo recisamente: Le Casse di Risparmio debbono essere considerate nel loro scopo come opere eminentemente benefiche, come Opere Pie fra le più sublimi, se così piace chiamarle; ma nelle loro operazioni debbono pur essere tenute siccome istituzioni di credito fra le più potenti” A. FERRERO GOLA, Le Casse di Risparmio op. cit., p. 9. 40 Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche op. cit., p. 479. 41 Ivi, p. 479. 42 Cfr. M. PETTINI, Nuove considerazioni sul carattere commerciale delle casse di risparmio secondo il diritto positivo italiano, Unione T ipografica editrice, Torino 1905, già in parte edito in ID , Perché le casse di risparmio debbono, secondo il diritto positivo italiano considerarsi enti commerciali, estratto da «Giurisprudenza italiana», T orino 1094, in particolare pp. 55 – 71; Cfr. 38 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 18 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO civile regolate dall’articolo 2 del Codice in quanto per la qualità di commerciante non era sufficiente “l’esercizio di atti di commercio … occorre … la professione abituale” che secondo i più autorevoli trattatisti si esercita quando “si cerca una fonte stabile di guadagno” 43. Avendo le casse di risparmio il divieto di fruire degli utili e svolgendo un’attività “non nell’interesse proprio ma dei deponenti” si potrebbe escludere che trattasi di enti di commercio 44, opinione condivisa anche dal Di Nola, dal Supino e dallo Sraffa 45. Quest’ultima interpretazione fu anche accolta dalla giurisprudenza: “dopo lunghe controversie e giudicati contradditori la Cassazione di Roma con sentenza del 30 luglio 1887 non riconosceva nelle Casse di risparmio né i caratteri delle opere pie, né quelli dell’Istituto di credito” sostenendo invece che esse potessero inquadrarsi in quegli “enti morali…di cui discorre l’art. 2 del cod. civ.” 46. Il parlamento tentò di superare il problema con l’introduzione della nota legge n. 5546 del 1888, denominata legge di riordino delle casse di risparmio. In primo luogo si definiva che “gli istituti che si propongono di raccogliere i depositi a titolo di risparmio … qualunque sia la natura dell’ente fondatore, acquistino la personalità giuridica e il titolo di casse di risparmio” 47. La necessità di esplicitare l’indifferenza della natura dell’ente fondatore si era palesata nella legislazione e nella dottrina: “questa diversità nelle origini e nelle modalità del fine comune a cui attendono, spiega le incertezze continue sulla natura delle Casse di risparmio non solo nella dottrina e nella giurisprudenza ma perfino nelle leggi” 48 ed anche nella giurisprudenza “quantunque le casse di risparmio in Italia nella loro origine si considerassero come istituti di beneficenza sia perché fondate e dirette da Opere Pie già esistenti, per educare alla previdenza e alle economie le classi più povere … è pero oggi, per lo sviluppo che hanno preso, per il genere di operazioni che fanno, per i capitali che amministrano, non 49 possono più ritenersi come Opere Pie” . L’articolo 4 definiva la precisa volontà di E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, vol. II, Hoepli, Milano 1894; A. BRUSCHETTINI, Le casse di risparmio e il codice di commercio, in «Archivio giuridico Filippo Serafini», vol. LXI, 1898. 43 Cfr. L. PAP A D’AMICO , Le casse di risparmio sono enti commerciali?, in «Il diritto commerciale rivista periodica e critica di giurisprudenza e legislazione», 1895, pp. 800 – 814; C. VIVANTE , Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, Torino 1893, vol. I. 44 Cfr. L. P APA D’AMICO, Le casse op. cit., pp. 801 - 802. 45 Cfr. D. SUP INO , Istituzioni di diritto commerciale, Barbera, Firenze 1897; A. SRAFFA , Il fallimento delle società commerciali, Fratelli Cammelli, Firenze 1897; A. DI NOLA , Le Casse di risparmio non sono enti commerciali, in «Rivista di diritto commerciale», 1906. 46 Cfr. F. FLORA, Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 639. 47 Cfr. articolo 1, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888. 48 Cfr. G. GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche op. cit., pp. 472 - 473. 49 Cfr. Consiglio di Stato, sez. int., parere del 29 luglio 1869, in La legge, 1870, p. 9. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 19 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO separare le opere pie dalle casse di risparmio: quest’ultime infatti se “fondate da istituzioni di beneficenza, o da altri corpi morali o col loro concorso, debbono costituirsi con patrimonio separato e amministrazione distinta da quelli dell’istituto fondatore”50. Un’ulteriore limitazione che deriva dalla legislazione sulle opere pie è contenuta nell’articolo 15, riguardante i beni immobili. Non volendo che le casse di risparmio costituissero nuovi e dannosi patrimoni di manomorta così faticosamente soppressi negli anni precedenti, si prescriveva che “le casse di risparmio … non possano acquistare altri beni stabili oltre quelli necessari in tutto od in parte per risiedervi coi loro uffici” e che anche quando questi beni fossero comunque stati acquisiti (ad esempio come pagamento ipotecario di crediti non esigibili), le casse “debbono vendere nel termine non maggiore di dieci anni gli stabili” 51. Infine l’articolo 23 esplicitamente stabiliva la competenza del M inistero di Agricoltura, Industria e Commercio come soggetto vigilante delle casse di risparmio. Dopo l’emanazione di questa legge parrebbe quindi potersi intendere che le casse di risparmio non potessero essere più equiparabile alle opere pie. Tale legislazione creava anche in giurisprudenza un conflitto ed una disomogenea classificazione di tali istituti. Sul tema vi sono alcuni studi su singoli ed eclatanti casi quali quello della Cassa di Risparmio di Bologna e quella di Ravenna 52. Infatti prima della legge del 1888 regnava “nella giurisprudenza ed anche nella dottrina un’incertezza su la vera indole economica e giuridica delle casse di risparmio” 53. Il Consiglio di Stato prima e la legge poi invece indicavano che “le casse di risparmio non sono enti commerciali ma enti morali sui generis aventi il carattere di risparmio e di 54 previdenza” . Nella stessa commissione parlamentare per il disegno di legge presentato dal M inistro di Agricoltura, Industria e Commercio sulle casse di risparmio nella tornata del 7 marzo 1888 l’onorevole Zucconi precisava che “col presente disegno di legge abbiamo definito ottimamente le casse di risparmio come istituti in parte di beneficenza e in parte di previdenza, dopo che noi, con tutte le disposizioni di questa legge tendiamo a togliere il minimo dubbio, che essi non abbiano affatto nei loro intenti il lucro, ma 50 Cfr. articolo 4, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888. Cfr. articolo 15, Legge n. 5546, del 15 luglio 1888. Il tema è oggi di fortissima attualità, in un sistema bancario in forte crisi che si ritrova in possesso di migliaia di immobili e/o di partecipazioni azionari per crediti non più esigibili che possono creare delle deformazioni dei bilanci degli istituti di credito. Cfr. F. FLORA , Voce Casse di risparmio, in Enciclopedia Giuridica Italiana, p. 641. 52 Cfr. P. MARIOTTI, Voce Cassa di Risparmio, in Digesto italiano, vol. VII, in particolare i paragrafi 16 - 22, pp. 20 - 26; A. VARNI, Storia della Cassa di Risparmio in Bologna, Laterza, Roma 1998; A. VARNI – C. GIOVANNINI, Storia della Cassa di Risparmio di Ravenna, Laterza, Roma 2000. 53 Cfr. L. P APA D’AMICO, Le casse op. cit., pp. 802 – 803. 54 Ibidem. 51 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 20 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO solo il vantaggio dell’umanità e l’impulso del risparmio, dubito che i tribunali possano approvare, che siano applicabili alle casse di risparmio quei benefizii, che noi attribuiamo alle società di commercio autentiche” 55. Ad esso si aggiungeva il ministro Grimaldi che evidenziava come l’intento del disegno di legge fosse quello di “fare delle casse di risparmio enti sui generis … la definizione l’abbiamo messa nell’articolo primo, per denotare il carattere di questi enti … se altri vorranno paragonarle a società commerciali, se altri vorranno paragonarle ad opere pie tradiranno certamente il 56 concetto del legislatore” . Il dilemma era lungi dall’essere risolto: infatti oltre alle note sentenze sulle casse di risparmio dell’Italia centrale, ancora nei primi anni del XX secolo le corti d’Appello e di Cassazione si ritrovavano a giudicare ricorsi in merito alla natura delle casse di risparmio. La giurisprudenza prima e dopo la legge del 1888 “si era nella grande maggioranza delle sentenze dichiarata avversa all’opinione che ravvisava nei nostri istituti la natura di enti commerciali; ma non aveva dal canto suo mostrato pari conformità di idee quanto alla loro definizione positiva”57. Il punto sostanziale che spingeva le casse di risparmio innanzi alle corti di giustizia era il tentativo di vedere applicata una legislazione fiscale più favorevole, in particolare con riferimento alla tassa di manomorta e all’imposta di bollo 58. Sulle conseguenze dell’applicazione giurisprudenziale in Piemonte si possono evidenziare tre esempi: la Cassa di Risparmio di Vercelli 59, la Cassa di Risparmio d’Ivrea60 e la Cassa di Risparmio di Torino 61. Per avere una più precisa idea di quali e quante furono e di 55 Atti del Parlamento italiano, discussioni, legislatura XVI, sessione II, tornata del 7 marzo 1888, p. 1211. 56 Ivi, pp. 1212 - 1213. 57 Cfr. G. INGROSSO , Voce Cassa di risparmio, op. cit., p. 1022. 58 Cfr. Testo unico delle leggi sulle tasse di registro; Testo unico delle leggi sulle tasse di bollo, e su quelle in surrogazione alle due tasse di bollo e registro; Testo unico delle leggi per le tasse sui redditi dei corpi morali e stabilimenti di mano-morta, del 13 settembre 1874. Si veda anche il Testo unico di legge per l’imposta mobile, del 24 agosto 1877, in particolare gli artt. 3, 60 e 61. 59 Cfr. Regolamento per la istituzione ed amministrazione di una Cassa di risparmio. Città di Vercelli, tipografia Guglielmoni, Vercelli 1851. 60 Cfr. Cassa di risparmio Ivrea: Statuto, tip. Garda, Ivrea 1890. 61 Cfr. Cassa di risparmio di Torino: Statuto, Eredi Botta, Torino 1891; Notizie storiche e statistiche dalla fondazione al 1900. Cassa di risparmio di Torino, raccolte per incarico del Consiglio di amministrazione da Franco Franchi, Paravia, Torino 1900; Testo unico dello statuto della cassa di risparmio di Torino deliberato dal Consiglio d’Amministrazione in seduta 3 marzo 1904, Eredi Botta, Torino 19004; Relazione della cassa di risparmio di Torino sulla proposta delle casse di risparmio di Cesena, Genova, Ivrea, Narni, Ravenna e Velletri circa l’applicazione alle casse di risparmio della tassa di manomorta, Eredi Botta, Torino 1911; La Cassa di Risparmio di Torino nel suo primo centenario: 4 luglio 1827 – 4 luglio 1927, prefazione del presidente Alberto Geisser, ST EN, Torino 1927; G. P RATO, Risparmio e credito IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 21 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO come siano nate le varie casse di risparmio uno strumento utile sono le Statistiche del Regno d’Italia, che regione per regione indicano le origini delle casse, l’impiego dei capitali ed altri utili indicazioni su come le casse di risparmio fossero organizzate62. Queste casse di risparmio si auto-dichiaravano enti di beneficenza per poter beneficiare di una tassazione agevolata in confronto a quella prevista per gli istituti di credito. In questo modo, si concretizzava una forma di elusione fiscale da parte di tali enti ormai sostanzialmente lontani dal mondo della beneficenza, ma formalmente o statutariamente ancora collegabili ad esso. Il fenomeno più classico del mascheramento degli enti ecclesiastici in altre categorie di persone giuridiche, tipico della seconda metà dell’Ottocento e finalizzato a sfuggire all’applicazione della legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico che sopprimeva gli enti di culto, era totalmente ribaltato. Nel Novecento ormai il conflitto Stato – Chiesa si stava assopendo, mentre invece stava emergendo con forza l’importanza del mondo del credito, portando così a questa curiosa inversione delle parti. Le tre sentenze esaminate sono particolarmente interessanti perché provenienti dalla medesima giurisdizione della corte d’Appello di Torino, per i loro opposti esiti (benché si affrontasse il medesimo quesito) ma soprattutto per il periodo in cui vengono emanate (1904 - 1911). La sentenza della corte d’Appello di Torino del 30 giugno 1903, confermata dalla corte di Cassazione di Roma il 1 marzo 1904, riguardava il ricorso della Cassa di risparmio di Vercelli che sosteneva di poter essere qualificata come ente o istituto di pubblica beneficenza, e in questo modo poter chiedere di far applicare la tassa di manomorta con la riduzione stabilita per gli istituti di carità e di beneficenza prevista in Piemonte nell’avvento dell’economia moderna, in La Cassa di Risparmio di Torino nel suo primo centenario op. Cit.; G. FENOGLIO , La Cassa di risparmio di Torino nei suoi primi cento anni di vita, in La Cassa di Risparmio di Torino nel suo primo centenario op. Cit.; P. JANNACONE , Cent’anni di vita della Cassa di Risparmio di Torino, fratelli Pozzo, Torino 1927; L. FIGLIOLIA , Centocinquant’anni della Cassa di risparmio di Torino, 1827-1977, Cassa di risparmio di Torino, Torino 1981. 62 Ad esempio nel triennio 1870-72 nella provincia di Alessandria vi erano tre casse di risparmio nate da società anonime ed una, quella di Novi Ligure, fondata con la fondamentale partecipazione del Comune. I monti di pietà avevano fondato le casse di risparmio a Casale, Pinerolo e in tutta la provincia di Cuneo. A Torino la cassa di risparmio era stata istituita dal Comune mentre quelle di Novara e Vercelli in una collaborazione tra i monti di pietà, altri enti ecclesiastici e i comuni. Infine la cassa di risparmio di Biella venne fondata dal Vescovo. Cfr. Casse di Risparmio in Italia ed all’estero, in Statistiche del Regno d’Italia, T ipografica Cenniniana, Roma 1875, p. XVI; Storia delle casse di risparmio e della loro associazione 18221950, op. cit., pp. 9 - 10. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 22 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO dall’ultimo comma dell’articolo 3 della legge 13 settembre 187463. Se infatti non vi poteva essere alcun dubbio circa l’applicazione della tassa di manomorta come specificato dall’articolo 1 (i “corpi ed enti morali sono assoggettati ad un’annua tassa proporzionale alla rendita … di tutti i beni mobili od immobili”) rimanevano esclusi solamente “le società commerciali ed industriali, di credito o di assicurazione” in cui le casse di risparmio non potevano essere ricomprese. Sanciva infatti la Suprema corte, che “Sta indubitabilmente che la tassa di manomorta sostituisce quella di successione rispetto ai patrimoni di enti morali o stabilimenti pubblici aventi perpetuità di destinazione; ond’è incoccusso che le casse di risparmio, le quali sono state riconosciute e riorganizzate dalla vigente legislazione … qualunque ne fosse la primitiva origine, 64 devono essere sottoposte a questa tassa” . Il conflitto giurisprudenziale si basava sull’interpreta-zione dell’articolo 3, che prevedeva due tassi si applicazione: il quattro per cento in via ordinaria per tutti gli enti morali e lo zero-cinque per cento in via straordinaria per gli istituti di carità e beneficenza65. Perché la cassa di risparmio si potesse definire un istituto ricompreso dalla legge del 1890 era necessario dimostrare che effettivamente compisse delle attività di beneficenze o di carità. Sul punto la corte precisava che nonostante si “possono verificare, nell’esercizio di una cassa di risparmio, avanzi di rendite nette” previste dalla legge del 1888 e che la decima parte di esse “possa essere assegnato ad opere di beneficenza o di pubblica utilità, o ad incremento dell’istituto da cui fosse derivata la fondazione di una cassa di risparmio … la effettuazione di opere di beneficenza costituisce una mera accidentalità, una funzione secondaria e contingente, lodevole senza dubbio, ma tanto poco ricorrente da poter essere posposta a giudizio dei suoi 66 amministratori” . La corte aveva inoltre specificato l’irrilevanza dell’origine della fondazione se, come nel caso in questione, avessero contribuito anche enti ecclesiastici poiché oltre che espressamente specificato nel primo articolo della legge del 1888, la stessa indole di queste istituzioni si era mutata nel tempo: “l’origine degli istituti di risparmio fu realmente ispirata da scopo caritatevole, in vista di un soccorso preventivo alle classi lavoratrici, eccitando in esse le virtù della previdenza e della buona condotta, col raccoglierne e renderne fruttiferi i piccoli risparmi”. Peraltro da allora si era realizzata una decisiva metamorfosi di tali enti, ed infatti si affermava che “questa trasformazione ... è un fatto certo ed indiscusso; esse sono oggidì importanti organizzazioni finanziarie ... tanto che poté nascere il dubbio se dovessero essere 63 La pretesa della Cassa di risparmio di Vercelli era stata rigettata anche in primo grado. Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli – Finanza, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I, Cassazione civile, 1904, pp. 319 – 322. 64 Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 320. 65 Sulla le gge Crispi si veda la nota 29. 66 Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 321. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 23 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO classificate fra gli istituti commerciali” 67. La difesa della Cassa di risparmio di Vercelli aveva cercato di associare il proprio operato a quello degli enti di beneficenza, sottolineando come avesse previsto agevolazioni per i piccoli risparmiatori, ma anche questo argomento fu respinto dai giudici: “invano la ricorrente tenta fissare queste tracce nelle agevolazioni consentite dal proprio statuto ai piccoli risparmiatori 68 corrispondendo ad essi un interesse di favore” . Sulla definizione di ente di beneficenza la corte di Cassazione spiegava come fosse previsto dai primi due articoli delle legge Crispi del 1890 “il concetto che la beneficenza pubblica è costituita da opere di assistenza curativa del pauperismo ... ma ... è escluso, con altrettanta precisione, che facciano parte della beneficenza le opere di assistenza puramente preventiva, menzionandosi appunto fra gli istituti eccettuati ... quelli di risparmio” 69. La sentenza del 12 marzo 1907 pronunciata dalla corte di Cassazione di Roma confermava la sentenza d’Appello di Torino, tra la Cassa di Risparmio d’Ivrea ed il M inistero delle Finanze 70. Il conflitto si trascinava da molti anni (la prima sentenza in merito era del 1898) e si concretizzava nel medesimo problema, ossia sull’indice di applicazione della tassa di manomorta. Il conflitto in questione partiva da un ricorso dell’ammini-strazione demaniale, ed in particolare del ricevitore del registro d’Ivrea che pretendeva della cassa di risparmio l’applicazione del 4 per cento sugli utili. Gli amministratori avevano invece pagato la tassa nella percentuale ridotta per il triennio 1902-1904 in forza di una sentenza della corte d’Appello di Torino che aveva definito la cassa come ente di beneficenza è quindi sottoposta all’articolo 3 della legge del 1874 71. Non potendo l’amministrazione delle finanze riproporre il medesimo ricorso, si sosteneva che “nelle tasse, come nella manomorta, soggette a periodici accertamenti, la tassazione accertata per ciascun periodo, costituisce un’entità giuridica per sé stante” 72 non essendovi così l’identità del petitum . La corte, specificando che “nel 1898 si disputò precisamente sulla natura giuridica della Cassa di Risparmio d’Ivrea” e che l’Amministrazione non poteva far valere la variazione del triennio finanziario, rigettava il ricorso perché fondato su un giudicato. Si precisava infatti che quando per una tassa “la variazione dipenda da qualifica dell’ente gravato ...e che in ordine alla stessa sorge da una statuizione giudiziaria ed ha acquistato forza di cosa giudicata, e senza addurre 67 Ibidem. Ibidem. 69 Cfr. Cassa di Risparmio di Vercelli op. cit., p. 322. In realtà la legge si limita a dire che nulla è innovato in merito agli istituti di risparmio, lasciano più di qualche dubbio sia sulla volontà del legislatore, sia sull’inter-pretazione letterale della norma. 70 Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio d’Ivrea, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I, Cassazione civile, 1907, pp. 532 – 535. 71 Corte d’Appello di T orino, 4 febbraio 1898. 72 Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio d’Ivrea op. cit., p. 533. 68 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 24 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO fatti che possono successivamente aver contribuito a modificare quella qualifica” 73 non si potesse più ulteriormente giudicare. Quello che non era riuscito all’amministrazione finanzia per la Cassa di risparmio d’Ivrea nel 1907 invece riuscì con la Cassa di risparmio di Torino nel 1911. Con un ricorso in Cassazione deciso il 20 luglio 1911 il M inistero delle Finanze si opponeva ad una sentenza della corte d’Appello di Torino che aveva concesso alla Cassa di Risparmio del capoluogo piemontese il beneficio di poter pagare la tassa di 74 manomorta nella misura ridotta . La Suprema corte, pur consapevole di due precedenti giudicati, risalenti al 1907, riteneva però possibile valutare la questione sostenendo che “non possa né debba limitarsi l’investigazione alla sola ricerca della finalità che presiede all’istituto della cassa di risparmio torinese, posto che una finalità siffatta, quella cioè, di procurare un benefizio al prossimo per mero senso di umanità e di spirito di beneficenza: ma che debba, invece, l’indagine rivolgersi a riguardare, oltre lo scopo, il modo di essere e di operare dell’ente stesso, quali sono rivelati dalle tavole statutarie”75. Tra le sentenze passate in giudicato nel 1907, basate sullo statuto del 1891, e il periodo della causa in oggetto vi erano state due modifiche statutarie rispettivamente nel 1904 e nel 1906. Naturalmente la sola modifica statutaria in quanto tale non è sufficiente per modificare la natura giuridica di un ente, in quanto occorre altresì che le modifiche siano rilevanti e significative. Infatti “quando si modifica la costituzione organica (e nel modo praticato dai nuovi statuti) di un ente, perché il medesimo circondato di più opportune garanzie potesse intendere all’applicazione del più vasto programma a sé prefisso ed avere modo di sviluppare l’accresciuta importanza degli affari non sia possibile ritenere che nulla sia cambiato nella struttura caratteristica 76 dell’istituto” . In conclusione la Corte romana, cassando la sentenza d’Appello favorevole alla cassa di risparmio sanciva che “non possa invocarsi la cosa giudicata sulla natura di una cassa di risparmio, ai fini dell’applicazione della tassa di manomorta ... quando siano state introdotte nello statuto ... tali modificazioni da farne ritener mutata la struttura e l’oggetto”77 e conseguentemente imponeva l’applicazione della tassa nella misura piena del quattro per cento. La legge Crispi del 1890 per il riordinamento delle opere pie, che nella sua applicazione aveva sollevato tanti problemi quante promesse di rinnovamento in un settore che colpito dalla legislazione eversiva, necessitava di un riordino complessivo. Tale innovazione normativa, che aveva coinvolto solo incidentalmente il dibattito 73 Ivi, pp. 534 - 535. Cfr. Finanza - Cassa di Risparmio di Torino, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. I, Cassazione civile, 1911, pp. 1128 - 1131. 75 Ivi, pp. 1128 - 1129. 76 Ibidem, corsivo così nel testo. 77 Ibidem. 74 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 25 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO dottrinario, era invece rilevante per l’applicazione pratica del diritto, considerato che sia le parti processuali che la magistratura ne avevano visto gli stretti collegamenti con la legge del 1874 sulla tassa di manomorta, con una conseguente incertezza interpretativa che non si risolse fino agli anni del fascismo 78. In conclusione, si può sostenere che non vi fosse una certezza della collocazione di tali enti che per cinquant’anni e più stettero sul crinale di una montagna guardando ora in una direzione ora in un’altra a seconda della maggior convenienza, aiutati da una legislazione ambigua applicata difformemente sul territorio nazionale 79. Negli anni del regime fascista vi fu una sostanziale parificazione - quanto a strumenti economici, finanziari e di credito - delle casse di risparmio con gli altri istituti di credito80. Con la nota legge n. 218 del 1990 (c.d. “Legge Amato) si è proceduto allo scorporo delle fondazioni di origine bancaria che hanno conservato la funzione di assistenza, di redistribuzione territoriale della ricchezza e, diremmo oggi, di welfare, dagli istituti di credito aventi funzione di custodia e tutela del risparmio81. Questa operazione ha certamente portato maggiore certezza nelle diverse funzioni di tali enti, superando quell’ambiguità che ormai perdurava da oltre un secolo. Se ciò corrisponde a realtà sul piano delle definizioni giuridiche, tale chiarezza si fa meno netta sul piano politico e di governance. Infatti, troppo spesso ancora oggi assistiamo ad una commistione tra gli organi di governo (consigli di amministrazione) delle fondazioni e delle banche i cui membri periodicamente passano da un incarico all’altro, e al contempo vi è, grazie alla proprietà dei pacchetti azionari da parte delle prime, un legame con e le banche, che ci fa comprendere che tale separazione non si è ancora del tutto compiuta. Già più di centocinquant’anni fa, come oggi, ci si poneva il problema di 78 Si vedano su questo le discussioni parlamentari sulla legge del 1890 pubblicate sulla «Giurisprudenza italiana», negli anni immediatamente precedenti l’approvazione. Cfr. Progetto di legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza presentato dal Presidente del Consiglio, Ministro dell’Interno Crispi nella tornata del 23 dicembre 1889, in «Giurisprudenza italiana», parte IV, questioni teorico-pratiche, 1889, pp. 367 – 384 e sopratutto l’intervento del relatore G. COSTA il 10 aprile 1890, in Senato sul Progetto di legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, in «Giurisprudenza italiana», parte V, Legislazione, 1890, pp. 58 - 158; ed in particolare sul dibatti circa gli articoli 1 e 2, pp. 61 – 63. 79 La corte d’Appello di Parma, con sentenza del 21 aprile 1903, aveva classificato le casse di risparmio fra gli istituti di beneficenza. Cfr. Cassa di Risparmio di Piacenza – Finanza, in «Giurisprudenza italiana», parte I, sez. II, Appello civile, 1903, pp. 748 – 750. 80 Cfr. R.D. 25 aprile 1929, n. 967 sull’approvazione del testo unico delle leggi sulle casse di risparmio e sui Monti di pietà. Si vedano anche per la legislazione fascista: R.D. 5 febbraio 1931, n. 225; R.D.L. 24 maggio 1932, n. 721; R.D.L. 15 ottobre 1936, n. 2008; R.D.L. 24 dicembre 1938, n. 204 e L. 14 dicembre 1939, n. 1922. 81 Cfr. L. PONTIROLI, Voce Cassa di risparmio, in Digesto delle discipline privatistiche, 1987, in particolare pp. 523-529. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 26 STUDI E OPINIONI LE CASSE DI RISPARMIO separare il piccolo risparmio dalla speculazione e in questo le casse di risparmio avrebbero potuto avere un ruolo centrale se si fossero nettamente distinte dal sistema creditizio generale. “Le casse di risparmio completano questa lacuna … perché temprerebbero il sempre grave pericolo del concentramento di ingenti somme … esposte alle disastrose conseguenze delle oscillazioni delle borse e delle varie crisi. Le casse di risparmio … sarebbero in grado di reagire al panico ed agli sconcerti delle 82 piazze principali. Sarebbero anzi … indipendenti dalla conseguenze dei disordini” . 82 L. CARP I, Del credito op. cit., p. 232; si veda anche in questo volume, F.A. GORIA , Alla radice dei “contratti differenziali”: note sulla regolamentazione del “mercato a termine” a partire dal caso francese (secc. XVIII-XIX) e S. BALZOLA , Gli strumenti finanziari derivati e la crisi: un confronto tra le iniziative legislative dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 27 STUDI E OPINIONI IL GIUDIZIO DI FATTIBILITÀ DEL PIANO DI CONCORDATO PREVENTIVO NELLA RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE Si intendono esaminare in questa sede le più recenti tendenze dottrinali e giurisprudenziali in tema di limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano di concordato preventivo, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte e della recente giurisprudenza di legittimità e di merito in tema. di GIANPAOLO CIERVO 1. I limiti del sindacato giudiziale nel concordato preventivo. Una delle questioni più dibattute dai teorici e dai pratici del diritto fallimentare è, senza dubbio, quella concernente il ruolo attribuito dal legislatore all’autorità giudiziaria nelle varie fasi della procedura di concordato preventivo1. In particolare, ci si 1 Anteriormente alle riforme del 2005 e 2006 (d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80 e d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) l’accesso alla procedura di concordato preventivo era strettamente legato alla sussistenza e persistenza di requisiti anche soggettivi e di meritevolezza da parte dell’imprenditore; in tale contesto, lo strumento principale di controllo della persistenza di tali requisiti e il mezzo principale di sanzione dell’imprenditore dimostratosi non meritevole di accedere alla procedura concordataria era l’art. 173 l. fall., che prevedeva in tali ipotesi la revoca dell’ammissione alla procedura e la dichiarazione automatica di fallimento. A seguito dei predetti interventi riformatori, della eliminazione della possibilità per il tribunale di valutare la convenienza e meritevolezza dell’imprenditore nonché del generale ridimensionamento dei poteri del giudice nella procedura di concordato, era stata teorizzata da alcuni interpreti una abrogazione implicita dell’art. 173 - rimasto immutato pur a seguito delle riforme - per manifesta incompatibilità con il “ nuovo” concordato preventivo; tali dubbi erano stati poi fugati dalla riforma del 2007 (d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169), che ne aveva modificato la rubrica e parte del testo, confermandone sostanzialmente il contenuto. Per una analisi della disciplina ante riforma del 2005, si v., ex multis, GENOVIVA , I limiti del sindacato di merito del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2006, 361; BOZZA , Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fallimento, 2005, 952. Per alcune considerazioni post riforma del 2005, si v. JORIO , Dalla meritevolezza del debitore all’autonomia contrattuale: il difficile cammino del nuovo concordato preventivo, in Benazzo Cera - Patriarca (a cura di), Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, T orino, 2011, 721; P ATTI, Il sindacato del tribunale in fase di ammissione al concordato preventivo, in Di Marzio (a cura di), La crisi d'impresa. Questioni IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 28 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO interroga da tempo su quali siano - e quali debbano essere - i limiti del sindacato del giudice sulla fattibilità del piano di concordato nelle diverse fasi della procedura. Come è noto, il controllo del tribunale perdura per tutta la durata della procedura di concordato preventivo, dalla fase dell’ammissione (artt. 161, 162 e 163) a quella dell’omologa (art. 180) e nel corso della procedura stessa nella persona del giudice delegato (art. 173). Prima dell’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2013, tuttavia, non vi era uniformità di orientamenti tra gli interpreti sulla natura e sull’intensità di tale controllo. Un primo orientamento escludeva qualsiasi sindacato sostanziale sulla fattibilità del piano da parte del giudice e ammetteva soltanto un controllo formale sulla completezza e regolarità della documentazione allegata alla domanda (c.d. controllo di legalità formale o controllo documentale). Nettamente contrapposto al primo, un secondo orientamento attribuiva al tribunale il potere di effettuare un vero e proprio giudizio di merito sulla fattibilità del piano, anche attraverso la verifica diretta della correttezza del giudizio di fattibilità formulato dall’asseveratore (c.d. controllo di merito). Una tesi intermedia, poi, attribuiva al professionista attestatore il giudizio sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano, e al tribunale un controllo indiretto sulla controverse del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2010, 318; DEMARCHI, Il concordato preventivo alla luce del decreto “correttivo”, in Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Torino, 2008, 489; FABIANI, Autonomia ed eteronomia nella risoluzione dei conflitti nel nuovo diritto concorsuale, in Fallimento, 2008, 1099; SCHIANO DI P EPE , È possibile “rifondare” l’art. 173 legge fallimentare?, in Dir. fall., II, 2008, 454 e 463, nota a T rib. Milano, 24 aprile 2007 e T rib. Milano, 20 luglio 2007, che parla di superamento dell’«ispirazione puritana del vecchio concordato preventivo» e della «mitizzata figura dell’imprenditore onesto ma sfortunato»; CENSONI, Il concordato preventivo, in Bonfatti-Censoni (a cura di), La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, 176; ARATO, Fallimento: le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, in Dir. fall., 2006, I, 169; GUGLIELMUCCI, La riforma in via d’urgenza della legge fallimentare, Torino, 2005, 99 ss.; FRASCAROLI-SANTI, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, XXXVII, 2005, 139; JORIO , Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra “privatizzazione” e tutela giudiziaria, in Fallimento, 2005, 12, 1453. Per una recente analisi del tema si v. MONTALENTI, La fattibilità del piano nel concordato preventivo, tra giurisprudenza della Suprema Corte e nuove clausole generali, in Il nuovo diritto delle società, 3, 2014, 7 ss.; P ENTA , La revoca del concordato preventivo, in Fallimento, 2011, 735 ss.. Per ulteriori riferimenti, CIERVO , Fattibilità del piano di concordato e atti di frode: i poteri del giudice ex art. 173 l. fall. secondo le Sezioni Unite, in Giur. comm., 2013, 4, 637 ss.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 29 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO coerenza, logicità e completezza della relazione del professionista (c.d. controllo di legittimità sostanziale)2. Le conseguenze dell’adesione all’uno o all’altro orientamento erano (e sono tuttora) rilevanti. Da un lato, i fautori del c.d. controllo di merito ritenevano che il giudice potesse acquisire direttamente i dati aziendali e confrontarli con quelli contenuti nella asseverazione per pervenire ad un autonomo giudizio sulla veridicità degli stessi e sulla fattibilità del piano. Dall’altro, i sostenitori del c.d. controllo di legittimità sostanziale limitavano il sindacato del giudice alla verifica dell’idoneità della documentazione prodotta e, in particolare, dell’attestazione a garantire una decisione informata e consapevole dei creditori sulla proposta di concordato in sede di votazione 3. 2 In tema, si v. JORIO , Fattibilità del piano di concordato, autonomia delle parti e poteri del giudice, in Giur. comm., 2012, 6, II, 1107 e ss.. Con specifico riferimento all’attività del professionista attestatore, si v. AIDEA -I RDCEC-ANDAFAP RI-OCRI, Principi di attestazione dei piani di risanamento, in Irdcec.it, 2014; P ATTI, (nt. 1), 324; SAVIOLI, L’attestazione del professionista nella procedura di composizione negoziale della crisi, in Fallimento, 2010, 272; ZORZI, Il finanziamento delle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giur. comm., 2009, I, 1236 ss.; CNDCEC (a cura di), Negoziazione delle crisi, concordato preventivo e fallimentare: scopo e oggetto delle relazioni del professionista, in Fallimento, 2009, 743; JACHIA , Il concordato preventivo e la sua proposta, in Fauceglia - Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, Torino, 2009, 1612 ss.; P ATTI, Quale professionista per le nuove soluzioni della crisi di impresa: alternative al fallimento, in Fallimento, 2008, 1067 ss.; VERNA , La relazione professionale che accompagna il piano di concordato preventivo, in Dir. fall., 2008, I, 240; MANZONETTO , sub art. 161 l. fall., in Jorio-Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, II, 2330. Cfr. anche ASSONIME , Le nuove soluzioni concordate della crisi d’impresa. Circolare n. 4 del 7 febbraio 2013, in Assonime.it, 48; I RDCEC-CNDCEC, Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità e indipendenza e contenuto delle relazioni. Circolare n. 30/IR dell’11 febbraio 2013, in Irdcec.it, 2013, 12; UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE -CNDCEC-ASSONIME , Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi, in Assonime.it, 2010, 17 ss.; AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, XI, Padova, 2008, 67. In giurisprudenza, si v., ex multis, App. Ancona, 26 marzo 2014, in IlCaso.it; Trib. Genova, 7 luglio 2014, in IlCaso.it, il quale ha dichiarato che i Principi di attestazione dei piani di risanamento emanati da AIDEA-I RDCEC-ANDAF-AP RI-OCRI, pur essendo privi di efficacia normativa, possono essere ritenuti un valido orientamento per la valutazione delle qualità della attestazioni. 3 Restava dunque riservata all’attestatore la verifica dei dati e il giudizio di fattibilità del piano, con relativa responsabilità di questo nei confronti del debitore e dei creditori. In questo senso, JORIO , (nt. 2), 1119; CALANDRA BUONAURA , Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, 1, I, 14; FABIANI, Per la chiarezza di idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 2, 177, in nota a Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860; IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 30 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO Proprio partendo da quest’ultimo orientamento, iniziava a delinearsi tra gli interpreti l’idea che il legislatore avesse inteso stabilire una precisa suddivisione delle FAUCEGLIA , Brevi considerazioni sui poteri del Tribunale in tema di concordato preventivo, in Dir. fall., 2011, 1, II, 18, in nota a App. Roma, 18 settembre 2010; BOZZA , Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fallimento, 2007, 694; SCHIANO DI PEP E, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato preventivo, in Dir. fall., 2010, 3-4, 315 s., in nota a T rib. Cagliari, 12 marzo 2009 e Trib. Mondovì, 6 marzo 2009; MANDRIOLI, Concordato preventivo: la verifica del tribunale in ordine alla relazione del professionista, in Fallimento, 2007, 1228; P ATTI, (nt. 1), 320, che afferma che «lo spazio di intervento giurisdizionale diviene allora quello del controllo di legalità, in un senso non già meramente formale, ma sostanziale, di assicurazione della garanzia dei diritti nelle situazioni di conflitto tra debitore e creditori e tra questi stessi (forti e meno forti), secondo modalità non più di eterotutela, con un chiaro intervento direttivo del giudice sulla procedura, a protezione degli interessi dei soggetti coinvolti, ma di assicurazione di un effettivo e libero esercizio del principio di autotutela»; DE MATTEIS, Questioni vecchie e nuove in tema di concordato preventivo, in Fallimento, 2005, 1410. In giurisprudenza, Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, in Fallimento, 2011, 805; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, in Fallimento, 2011, 2, 167, con nota adesiva di FABIANI e nota critica di BOZZA ; App. Roma, 18 settembre 2010, in Dir. fall., 2011, 1, II, 18, con nota di FAUCEGLIA ; App. T orino, 20 luglio 2009, in Fallimento, 2010, 961, con nota di MICHELOTTI, che fa riferimento al ruolo del tribunale come a quella «funzione di controllo (di esattezza dei dati contabili, con illustrazione dei criteri metodologici osservati nel procedimento di revisione, sulla base di attento e critico scrutinio dei bilanci e delle scritture contabili) e di completezza informativa, oggi imposti dal venir meno di quella tradizionale etero-tutela esercitata dal giudice, in funzione di una genuina formazione del consenso dei creditori»; App. Milano, 4 ottobre 2007, in Dir. fall., 2008, II, 317; App. T orino, 19 giugno 2007, in Fallimento, 2007, 1315, con nota di VACCHIANO , ove ampi riferimenti bibliografici; T rib. Milano, 10 marzo 2010, in IlCaso.it e in Fallimento, 2010, 743; Trib. Milano, 9 febbraio 2007, in Dir. e prat. fall., 2007, 51; Trib. Palermo, 17 febbraio 2006, in Fallimento, 2006, 570; T rib. Monza, 16 ottobre 2005, in Fallimento, 2005, 1402; Trib. Ancona, 13 ottobre 2005, in Fallimento, 2005, 1405. Contra, App. Bologna, 30 giugno 2006, in Fallimento, 2007, 470, (s.m.); T rib. Cagliari, 12 marzo 2009, in Dir. fall., 2010, 3-4, 304, con nota critica di SCHIANO DI P EPE ; T rib. Milano, 2 ottobre 2006, in Fallimento, 2007, 331; T rib. Pescara, 20 ottobre 2005, in Fallimento, 2006, 56; Trib. Sulmona, 6 giugno 2005, in Fallimento, 2005, 793; Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in Fallimento, 2005, 1297; LO CASCIO , La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge, in Fallimento, 2005, 362. Sul tema degli interessi disomogenei dei creditori concordatari, si v. BOZZA , La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 424 ss.; FABIANI, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fallimento, 2009, 437 ss.; STANGHELLINI, Creditori “forti” e governo delle crisi di impresa nelle nuove procedure concorsuali, in Fallimento, 2006, 379; SACCHI, Il principio di maggioranza nel concordato e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984, 385 ss.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 31 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO competenze all’interno della procedura di concordato preventivo: da un lato l’attestatore, in possesso di specifici requisiti di terzietà e professionalità, cui spetta esprimersi sulla veridicità dei dati contabili e sulla fattibilità del piano nella relazione ex art. 161, terzo comma; dall’altro il tribunale, cui compete la verifica della completezza e logicità della relazione e il giudizio sulla idoneità della stessa a consentire ai creditori di esprimere un voto informato e consapevole 4; infine, il commissario giudiziale, che nelle relazioni ex artt. 172 e 180 deve pronunciarsi sulla fattibilità del piano per offrire ai creditori una lettura indipendente dello stesso e consentire loro di ponderare attentamente le conseguenze del voto5. Allo stesso tempo, era poi generalmente ammesso che una volta determinata l’ampiezza del sindacato giudiziale nella fase dell’ammissione del debitore al concordato preventivo, le medesime conclusioni dovessero valere anche per le fasi successive della procedura e, soprattutto, per la fase di omologazione del concordato6. 4 Anche la previsione di cui all’art. 162, comma 1, che consente al tribunale di concedere al debitore un termine ulteriore per apportare integrazioni al piano e produrre nuova documentazione a supporto, sembra coerente con tale ripartizione di competenze. In questo senso, AMBROSINI, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Fallimento, 2011, 943; PATTI, (nt. 1), 318; SACCHI, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria, in Fallimento, 2009, 32. Cfr., in tema, JORIO , (nt. 2), 1114; ID ., Dalla meritevolezza del debitore all’autonomia contrattuale., (nt. 1), 727. 5 In questo senso, CENSONI, Il concordato preventivo: organi, effetto, procedimento, in Jorio Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2010, 1015; FABIANI, Per la chiarezza di idee., (nt. 3), 178. 6 Sull’estensione dei poteri del giudice nel corso della procedura di concordato, si riscontrano opinioni divergenti: da un lato, vi è chi ritiene che le condotte censurate dall’art. 173 siano soltanto quelle che hanno una valenza decettiva nei confronti dei creditori, tali da pregiudicarne il consenso informato alla proposta di concordato preventivo (ex multis, DEMARCHI, I provvedimenti immediati, in Ambrosini-Demarchi-Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 135; e, in giurisprudenza, Trib. Mondovì, 17 dicembre 2008, in IlCaso.it; Trib. Piacenza, 4 dicembre 2008, in Fallimento, 2009, 12, 1464 con nota di FILOCAMO ; Trib. Milano, 25 ottobre 2007, in IlCaso.it); secondo altri, la tutela degli interessi pubblici coinvolti nella crisi dell’impresa imporrebbe di sanzionare con la revoca dell’ammissione alla procedura il debitore che abbia commesso atti determinanti la causazione o l’aggravamento della crisi (ex multis, VITIELLO , L’omologazione del concordato, in AmbrosiniDemarchi-Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 184, che riafferma la «necessità che nel procedimento di concordato sia assicurata la tutela degli interessi pubblici coinvolti nella crisi del debitore» e la possibilità di individuare «anche nel nuovo sistema, un principio di meritevolezza, sia pure in una forma decisamente attenuata»; in giurisprudenza, App. Cagliari, 22 febbraio 2011, inedita; T rib. Cagliari, 28 giugno 2010, inedita; Trib. Milano, 20 luglio 2007, (nt. 1)). Si v. in tema le recenti pronunce di Cass., 26 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 32 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO Sempre secondo tale orientamento, proprio nella regolazione della fase di omologa sarebbe emersa la volontà del legislatore di limitare il giudizio del tribunale alla verifica della regolarità della procedura e dell’esito della votazione. Ciò sarebbe dimostrato dal dispositivo dell’art. 180, che esclude qualsivoglia sindacato giudiziale sul merito della proposta, fatto salvo il caso in cui la convenienza della stessa sia contestata da parte di creditori appartenenti ad una classe dissenziente ovvero - a seguito della recente riforma e nel caso in cui non siano formate classi - da parte di creditori dissenzienti che rappresentino il venti per cento dei crediti ammessi al voto7. Solo in giugno 2014, n. 14552, in IlCaso.it, che ha chiarito che «la fraudolenza degli atti posti in essere dal debitore, se implica, come già detto, una loro potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, non per questo assume rilievo, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato, solo ove l’inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato e si possa quindi dimostrare che, in concreto, i creditori medesimi hanno espresso il loro voto in base ad una falsa rappresentazione della realtà. Quel che rileva è il comportamento fraudolento del debitore, non l’effettiva consumazione della frode. […] Donde l’enunciazione del seguente principio di diritto: l’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma dell’art. 173 della legge fallimentare, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche nell’ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento»; Cass., 4 giugno 2014, n. 12533, in IlCaso.it, che nega la qualifica di “ atti di frode” ai comportamenti oggetto di censura nel caso di specie, evidenziando l’assenza di una valenza decettiva degli stessi per il ceto creditorio e ribadendo che la nozione di atto di frode commesso anteriormente all’apertura della procedura di concordato «esige che la condotta del debitore sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui “scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori»; Cass., 18 aprile 2014, n. 9050, in IlCaso.it, pronuncia che approfondisce l’orientamento della Suprema Corte in tema e afferma che «l’art. 173, comma 1, non esaurisce il suo contenuto precettivo nel richiamo al fatto “scoperto” perché ignoto nella sua materialità, ma ben può ricomprendere il fatto non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati, e che quindi può dirsi “accertato” dal commissario, in quanto individuato nella sua completezza e rilevanza ai fini della corretta informazione dei creditori, solo successivamente». 7 Sulle modifiche alla legge fallimentare apportate dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 e dalla relativa legge di conversione 11 agosto 2012, n. 134, nonché dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 come modificata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, si v., ex multis, ARATO , Il concordato preventivo con riserva, Torino, 2013; LO CASCIO , Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 2013, 1, 5; ASSONIME , Le nuove soluzioni concordate della crisi d’impresa., (nt. 2); FABIANI, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 33 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO questi casi, pertanto, il Tribunale sarebbe autorizzato a valutare la convenienza della proposta di concordato (rispettivamente, per la classe dissenziente cui appartiene il creditore opponente ovvero per i creditori opponenti rappresentanti la percentuale richiesta dalla legge) 8. (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in IlCaso.it, doc. n. 303/2012. In particolare, la modifica dell’art. 180, quarto comma, sembra funzionale a controbilanciare il regime di silenzio assenso recentemente introdotto sub art. 178, quarto comma. 8 Così CALANDRA BUONAURA , (nt. 3), 16; FABIANI, Per la chiarezza di idee., (nt. 3), 178; FAUCEGLIA , Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, in Fauceglia - Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, Torino, 2009, 1696 s.; BOSTICCO , La “resurrezione giurisprudenziale” dell’art. 173 l. fall. e la difficile distinzione tra atti di frode e sopravvenienze inattese, in Fallimento, 2007, 1448, in nota a T rib. Milano, 24 aprile 2007; LO CASCIO , Giudizio di ammissibilità e di omologazione e crediti postergati, in Fallimento, 2006, 1423; JORIO , Le soluzioni concordate., (nt. 1), 1456. Conf. SCHIANO DI P EPE , (nt. 3), 321; ID ., (nt. 1), 468, che parla di «evidente arretramento del potere giudiziale, che torna però ad espandersi nella valutazione che è chiamato a compiere in caso di cram down»; CATALLOZZI, Concordato preventivo: sindacato sulla fattibilità del piano e tecniche di tutela dei creditori “deboli”, in Fallimento, 2007, 336; FAUCEGLIA, Incertezze valutative in tema di nuovo concordato preventivo tra risentimento dei giudici ed incertezze del legislatore, in Dir. fall., 2006, 170 ss.. In giurisprudenza, Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, 1306 e in IlCaso.it; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170, che ha valorizzato il ruolo di “ eccezione alla regola” della disposizione di cui all’art. 180, quarto comma, e affermato che dall’attuale formulazione dell’art. 180 si evince chiaramente che «la decisione in ordine alla convenienza del concordato spetta esclusivamente ai creditori», mentre «al Tribunale, in assenza di opposizioni, spetta il solo potere di verificare che la procedura si sia svolta regolarmente e se il concordato è stato effettivamente approvato dalla maggioranza». Il T ribunale, infatti, può aprire una istruttoria ed entrare nel merito della convenienza del piano solo su istanza di un creditore appartenente ad una classe dissenziente, ma «giammai potrebbe procedervi d’ufficio». Si v. inoltre, nella giurisprudenza di merito, App. Roma, 18 settembre 2010, (nt. 3), 21; Trib. Mondovì, 6 marzo 2009, in Dir. fall., 2010, 3-4, 304, con nota di SCHIANO DI P EPE . Contra, VITIELLO , Il nuovo concordato preventivo: disciplina e primi problemi applicativi, in Ambrosini (a cura di), La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina, Torino, 2006, 312, che ritiene che al tribunale competa verificare, oltre il raggiungimento delle maggioranze e la legalità della procedura, la rispondenza dell’accordo agli interessi generali, con particolare riferimento all’attuabilità del piano; e, in giurisprudenza, T rib. Roma, 22 gennaio 2009, in Nuovo diritto delle società, 2010, 2, 67, con nota di MILANESI; T rib. Bari, 25 febbraio 2008, in Fallimento, 2008, 682; T rib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Giur. merito, 2009, 1, 125, (s.m.), con nota di D’ORAZIO ; Trib. Milano, 24 aprile 2007, (nt. 1), 1443. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 34 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO 2. L’interpretazione delle Sezioni Unite. L’orientamento da ultimo illustrato è stato dapprima accolto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 21860 del 25 ottobre 20109 e, successivamente, confermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite n. 1521 del 23 gennaio 2013 10. 9 Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170, secondo cui il controllo giudiziale nella fase di ammissione della proposta non è finalizzato al mero controllo formale della completezza della documentazione, bensì a garantire che i creditori siano messi in condizione di prestare un consenso informato sulla proposta e sulla documentazione a questa allegata: «la disciplina del concordato preventivo, come si evince dalla analizzata normativa, appare ispirata da una esigenza di carattere fondamentale: garantire che i creditori siano messi in condizione di prestare il loro consenso con cognizione di causa, vale a dire che abbiano a manifestare un consenso informato e non viziato da una falsa rappresentazione della realtà. […]. Tale fondamentale esigenza richiede di verificare che la relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa sia aggiornata e che contenga effettivamente una dettagliata esposizione della situazione sia patrimoniale, sia economica, sia finanziaria dell'impresa; che lo stato analitico ed estimativo delle attività possa considerarsi tale e che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano. Solo in tal modo il commissario giudiziale può essere messo in condizione di valutare criticamente detta documentazione e conseguentemente elaborare una relazione idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della crisi e di come la si intenda affrontare. In sintesi quanto suddetto sostanzia il potere di controllo del Tribunale sulla proposta e sulla documentazione allegata, senza che possa sovrapporsi, nell'effettuare il controllo dei presupposti di ammissibilità, alla valutazione di fattibilità contenuta nella relazione del professionista allegata alla proposta e senza che possa effettuare accertamenti in ordine alla veridicità dei dati aziendali, che la legge riserva al commissario giudiziale, reagendo alla mancanza di veridicità con il prevedere, su denunzia obbligatoria da parte del commissario giudiziale, la sanzione della immediata revoca da parte del Tribunale del concordato». Conf., App. Roma, 18 settembre 2010, (nt. 3), 21. 10 Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, in Giur. comm., 2013, 3, 333, con nota di CENSONI e in Giur. comm., 2013, 4, 621, con nota di CIERVO ; in Fallimento, 2013, 149, con nota di FABIANI, La questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite; in Dir. fall., 2013, 1, II, 1, con nota di DIDONE , Le Sezioni unite e la fattibilità del concordato preventivo; in Fallimento (s.m.), 2013, 279 e ss., con note di DE SANTIS, Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilità del piano; di P AGNI, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo alla “causa concreta”; di DI MAJO , Il percorso “lungo” della fattibilità del piano proposto nel concordato. Si v., inoltre, FABIANI, Guida rapida alla lettura di Cass. S.U. 1521/2013, in IlCaso.it, II, 343/2013, 1; NARDECCHIA, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in IlCaso.it, 28 gennaio 2013; LAMANNA, IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 35 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO Ormai noto è il percorso argomentativo che ha portato le Sezioni Unite a limitare il sindacato di merito del giudice sulla fattibilità del piano di concordato. In primo luogo - affermano i giudici di legittimità - la «fattibilità» non va confusa con la «convenienza» della proposta, quest’ultima certamente sottratta al sindacato del giudice e riservata all’apprezzamento dei creditori. «Fattibilità» significa, infatti, «prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati» 11. Tale prognosi può riguardare la «fattibilità giuridica» o la «fattibilità economica» del piano di concordato. Il controllo sulla «fattibilità giuridica» spetta senza dubbio al tribunale, che effettua un sindacato diretto e non di secondo grado sul piano volto a verificare la 12 compatibilità delle modalità attuative ivi previste con le norme di legge inderogabili . Più delicato, di contro, è il sindacato sulla «fattibilità economica» del piano, in quanto giudizio prognostico che presenta margini di opinabilità e possibilità di errore. Proprio la maggiore opinabilità e incertezza rendono opportuno che siano i creditori a L’indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare», in ilFallimentarista.it, 26 febbraio 2013. Sui temi in commento si vedano anche le pronunce della Suprema Corte nn. 13817 e 13818 del 23 giugno 2011, che rappresentano il naturale completamento dell’analisi intrapresa dai giudici di legittimità nelle precedenti sentenze n. 21860 del 25 ottobre 2010 e n. 3586 del 14 febbraio 2011, sui limiti del controllo giudiziale nella procedura di concordato e, in particolare, sulla possibilità per il tribunale di sindacare la fattibilità del piano proposto dal debitore (Cass. 23 giugno 2011, nn. 13817 e 13818, in Foro it., 2011, I, 2308, con nota di FABIANI; in Giur. it., 2012, I, 81; in Fallimento, 2011, 993, con nota di AMBROSINI, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza; in IlCaso.it, doc. n. 254/2011, con analisi di AMBROSINI, Il sindacato sulla fattibilità del piano di concordato e la nozione “evolutiva” degli atti di frode nella sentenza 15 giugno 2011; Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, (nt. 3), 805; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, (nt. 3), 170; nonché, seppur in materia di concordato fallimentare, Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, in Giust. civ. Mass., 2011, 2, 216). Si cfr. infine Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in ilFallimentarista.it, con nota adesiva di LAMANNA , Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l’intervento delle SSUU, pronuncia che ha reso necessario il ricorso alle Sezioni Unite. Per una analisi della pronuncia si v. LAMANNA , Richiesta rimessione a SS.UU. sull’ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato preventivo, in ilFallimentarista.it; CIERVO, (nt. 1), 637 ss.. Si cfr., infine, Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, (nt. 8), deliberata dal medesimo collegio di Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, ma estesa da un diverso relatore. 11 Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (nt. 10). 12 Per una analisi di quali norme di legge debbano essere considerate dal giudice fallimentare, si v. GALLETTI, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?, in ilFallimentarista.it, 7 s.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 36 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO esprimere tale giudizio una volta ottenuta completa informazione sul punto, in qualità di soggetti direttamente interessati dal piano e dalla proposta concordatari. Ciò chiarito, resta da affrontare la questione fondamentale che si pone nell’applicazione pratica di tali principi, che è la seguente: esiste un limite al principio dell’insindacabilità della «fattibilità economica» da parte del giudice? In altre parole, il giudizio sulla «fattibilità economica» è sempre di competenza dei creditori anche in ipotesi limite di assoluta mancanza di fattibilità economica del piano proposto? Per rispondere a tale interrogativo, le Sezioni Unite affrontano l’indagine della «causa» della procedura di concordato, distinguendo il profilo della «causa in astratto» da quello della «causa in concreto» 13. Da un lato, la «causa in astratto» del concordato preventivo può individuarsi nella composizione della crisi d’impresa attraverso il soddisfacimento dei creditori, ove possibile attraverso soluzioni idonee a favorire la conservazione dei valori aziendali. Dall’altro, la «causa in concreto» è l’obiettivo perseguito dalla singola proposta di concordato depositata, che assume concretezza nell’indicazione delle modalità di soddisfacimento dei creditori e, eventualmente, delle percentuali e dei tempi di adempimento. Non è possibile, secondo le Sezioni Unite, stabilire in astratto i limiti dell’intervento del giudice in ordine alla fattibilità (economica) del concordato, dovendosi avere riguardo alla causa concreta della procedura. Questa sussiste ed è soddisfatta ove sia garantito il diritto dei creditori di votare avendo contezza di tutti i dati a tal fine necessari e ove il piano persegua le finalità del superamento della situazione di crisi dell’imprenditore riconoscendo ai creditori una percentuale pur minima di soddisfazione del credito in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti. Compito del giudice è, dunque, in primis, quello di verificare l’idoneità della documentazione prodotta a fornire gli elementi di giudizio necessari ai creditori per 13 È noto che con «causa del contratto» si fa riferimento alla funzione economico-sociale che il negozio persegue e che il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata (c.d. causa in astratto) (si v., ex multis, Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in Giust. civ. Mass., 2003, 4; Cass., 18 febbraio 1983, n. 1244, in Giust. civ. Mass., 1983, 2; Cass., 29 gennaio 1983, n. 826, in Giust. civ. Mass., 1983, 1). Altrettanto nota è l’interpretazione di «causa del contratto» affermatasi più recentemente, che guarda allo scopo pratico del negozio perseguito dalle parti, costituito dalla sintesi degli interessi che il negozio medesimo è concretamente volto a realizzare (c.d. causa in concreto) (si v. Cass., 12 novembre 2009, in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1582; Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Riv. notariato, 2007, 1, 180 (s.m.), con nota di UNGARI T RANSATTI, e in Il civilista, 2008, 9, 71 (s.m.), con nota di MINERVINI. In dottrina, si v., ex multis, BIANCA, Diritto civile. III. Il contratto, Milano, 2000, 452; SANTORO P ASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 187). Sull’utilizzo della nozione di causa con riferimento al concordato preventivo, si v. anche GALLETTI, (nt. 12), 2. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 37 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO esercitare il proprio voto in modo informato. Ciò deve avvenire attraverso un controllo circa la presenza, l’analiticità, la complessiva coerenza e logicità delle attestazioni di veridicità dei dati e di fattibilità del piano dell’esperto e delle motivazioni poste alla base di tale giudizio14. 14 È proprio sulla adeguatezza della documentazione prodotta (segnatamente l’attestazione) a fornire gli elementi necessari ai creditori per il voto e sulla idoneità della proposta a soddisfare la causa concreta del concordato (attraverso il riconoscimento di una percentuale minima di soddisfazione del credito in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti) che si è concentrata la giurisprudenza di merito successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite, anche per riappropriarsi di quel sindacato di fattibilità che la Suprema Corte ha inteso limitare. Sulla inadeguatezza della attestazione a soddisfare la funzione informativa sua propria, si v. Cass. 25 settembre 2013, n. 21901, in IlCaso.it, che nel rigettare il ricorso del debitore dichiarato fallito ha chiarito come «il giudizio di inidoneità della relazione - priva delle informazioni necessarie a giustificare in via logica la conclusione di fattibilità del piano, rientrasse pienamente nell’ambito del sindacato affidatogli (al giudice) dalla legge e fosse da solo sufficiente a fondare la pronuncia di inammissibilità della proposta»; Cass., 27 maggio 2013, n. 13083, in IlCaso.it, che ha confermato la decisione della Corte d’Appello impugnata (rigetto del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento da parte del giudice di prime cure) in quanto basata su «un giudizio di chiarezza e completezza dell’attestazione del professionista sulla base di quanto emerge ictu oculi dal raffronto tra la documentazione prodotta ed il contenuto dell’attestazione del professionista», giudizio «certamente compreso nei poteri del giudice e da solo, se negativo, comporta l’inammissibilità della proposta concordataria»; App. Milano, 25 ottobre 2013, in il Fallimentarista.it, con nota di FAROLFI; Trib. Busto Arsizio, 29 maggio 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI; Trib. Padova, 20 dicembre 2012, in ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI. Sulla inidoneità della proposta a soddisfare la causa in concreto del concordato, si v. App. Ancona, 26 marzo 2014, in ilCaso.it, che ha rigettato il reclamo proposto contro la sentenza di fallimento conseguente alla mancata omologa del concordato preventivo da parte del Trib. di Pesaro, sulla base della considerazione per cui l’impossibilità del piano a liberare risorse sufficienti a pagare neanche in minima parte i creditori chirografari costituisce motivo di inammissibilità della domanda di concordato preventivo e, parimenti, motivo di mancata omologa di un concordato inizialmente ammesso; App. Catania, 10 marzo 2014, n. 338, in IlCaso.it, che ha condiviso la valutazione effettuata dal giudice di prime cure circa la non fattibilità giuridica del concordato preventivo basato sulla continuazione dell’attività caratteristica ma incompatibile con la prossima scadenza del contratto di affitto dell’azienda, ovvero sul trasferimento in una struttura alternativa non idonea a consentire la prosecuzione dell’impresa, e ha censurato infine l’irragionevolezza dei tempi di svolgimento del concordato proposto (soddisfazione dei creditori in dieci anni senza il riconoscimento di interessi); T rib. Palermo, 31 ottobre 2014, inedita, che nel richiamare le conclusioni cui era già giunto il Trib. Modena, 13 giugno 2013 (di cui di seguito), ha dichiarato l’inammissibilità di un piano di concordato di durata pari a diciassette anni, poi ridotti a dieci, in quanto «termine eccessivamente lungo sia rispetto al parametro normativo richiamato in via di interpretazione IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 38 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO In secondo luogo, il giudice deve verificare la fattibilità giuridica della proposta e l’effettiva compatibilità di quanto previsto dal piano con le norme inderogabili dell’ordinamento. Infine, il giudice potrà esprimersi sulla fattibilità economica del piano soltanto in caso di manifesta impossibilità di realizzazione della causa concreta del concordato, intesa come soddisfazione anche minima dei creditori concorsuali nel rispetto dei termini indicati nella proposta. La Suprema Corte risponde, dunque, come segue all’interrogativo sopra prospettato circa la possibilità o meno del giudice di sindacare la «fattibilità economica» del piano di concordato in ipotesi limite di assoluta mancanza di fattibilità economica del piano proposto: solo ove il giudice accerti la manifesta impossibilità di un qualsivoglia soddisfacimento dei creditori concorsuali potrà negare o revocare l’ammissione del debitore alla procedura o l’omologazione del concordato. analogica sia, in ogni caso, rispetto alla effettiva attendibilità del giudizio di prognosi positiva di realizzazione del programma che, nella specie, difetta»; Trib. Avezzano, 22 ottobre 2014, che ha respinto la domanda di omologa anche in considerazione della eccessiva durata del piano (sette anni) e dell’assenza di una adeguata motivazione della scelta operata da parte dell’interessato e di «misure dirette a prevenire rischi non agevolmente pronosticabili che possono, comunque, compromettere l’attuazione del piano»; T rib. Modena, 3 settembre 2014, in IlCaso.it, che ha quantificato nella misura del 5% la percentuale minima di soddisfacimento che ogni concordato deve offrire ai creditori per poter rispettare il requisito del «riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti» stabilito da Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (nt. 10), «apparendo una percentuale inferiore non già minimale ma sostanzialmente irrisoria e tale da non poter giustificare l’accesso ad un istituto alternativo alla procedura fallimentare e che deve essere necessariamente caratterizzato da limitazioni in tema di modalità satisfattive idonee a garantire un minimo di tutela alla minoranza dissenziente»; Trib. Modena, 11 giugno 2014, in ilFallimentarista.it, che ha dichiarato la risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l. fall. in quanto non soddisfatta la causa concreta del concordato a causa dell’impossibilità di soddisfare in minima parte i creditori concordatari entro un lasso di tempo congruo (lasso di tempo che il T ribunale di Modena quantifica in tre anni decorrenti dal decreto di omologa); Trib. Siracusa, 15 novembre 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di AMATORE, che ha negato l’omologazione del concordato approvato dalla maggioranza dei creditori per contraddittorietà intrinseca della proposta concordataria e per la eccessiva durata del piano e conseguente dilatazione dei tempi di soddisfacimento dei creditori; T rib. Modena, 13 giugno 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di BERSANI, che ha ritenuto che i tempi di realizzazione del concordato non fossero conformi al dettato legislativo di cui alla l. 24 marzo 2001 n. 89, art. 2, come modificata dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83 (c.d. Legge Pinto), e ha per ciò dichiarato l’inammissibilità della proposta di concordato affermando che tale aspetto riguardasse la fattibilità giuridica, la cui valutazione è di competenza dell’organo giudicante, anche alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 39 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO Spetta, di contro, ai creditori il giudizio di «convenienza» e, salvo il caso limite di cui sopra, il giudizio sulla «fattibilità economica» della proposta di concordato, rispetto ai quali il tribunale non può anteporre la propria valutazione. Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che tali conclusioni non valgono soltanto per il giudizio di ammissione alla procedura ex art. 161 e ss., bensì per tutto il corso della procedura e financo per il giudizio di omologa ex art. 180. L’estensione del sindacato giudiziale nelle fasi dell’ammissione, dello svolgimento e dell’omologazione del concordato è, infatti, la medesima e consiste nella verifica della sussistenza iniziale e della successiva permanenza dei presupposti di ammissione alla procedura nonché nell’accertamento della regolarità della procedura per tutta la sua durata15. D’altra parte, afferma la Suprema Corte, anche le recenti modifiche della legge fallimentare sembrano confermare al giudice quel ruolo di garante della legalità della procedura. Va in questa direzione, innanzitutto, la previsione di cui all’art. 161, sesto comma, che disciplina la fattispecie del c.d. concordato con riserva di successivo deposito della proposta, del piano e della ulteriore documentazione richiesta dalla legge e che consente al debitore di continuare ad occuparsi della gestione ordinaria della società e di compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione «previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni»16; come pure la nuova disciplina di cui all’art. 169 bis in tema di contratti pendenti, che prevede la possibilità di sospensione dei contratti in corso ovvero di scioglimento degli stessi previa autorizzazione del giudice 17; ovvero la già citata previsione di cui al quarto 15 Conf. Cass., 16 maggio 2014, n. 10778, in IlCaso.it, che ha riaffermato «che il controllo di legittimità spettante al giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo» e che tale controllo di regolarità della procedura «comporta necessariamente la verifica della persistenza, sino a quel momento, delle stesse condizioni di ammissibilità procedura, seppure già scrutinate nella fase iniziale, dell'assenza di atti o fatti di frode che potrebbero dare impulso al procedimento di revoca ex art.173 1.f. ed infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione»; Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, (nt. 8); Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860 (nt. 3). 16 Si v., in tema, FABIANI, Vademecum per la domanda prenotativa di concordato preventivo, in IlCaso.it, doc. n. 313/2012; PANZANI, Il concordato in bianco, in ilFallimentarista.it. 17 Con riferimento alla nuova disciplina dei contratti pendenti, si v. FABIANI, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in IlCaso.it, 11 marzo 2013 (già in Fallimento, 2013, 156 e ss.); CENSONI, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in IlCaso.it, 11 marzo 2013; P ATTI, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fallimento, 3, 2013, 261; BONFANTE, La nuova disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in ilFallimentarista.it; I NZITARI, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 40 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO comma dell’art. 180, che estende l’“eccezionale” giudizio di convenienza sulla proposta di concordato da parte del tribunale all’ipotesi di opposizione di creditori rappresentanti il venti per cento dei crediti ammessi al voto, in caso di mancata formazione delle classi 18. Nello stesso senso sembrano essere le previsioni di cui all’art. 182 quinquies in tema di autorizzazione del tribunale alla sottoscrizione di finanziamenti prededucibili o al pagamento di crediti anteriori per la prestazione di beni o servizi, e di cui all’art. 186 bis, sesto comma, in materia di concordato con continuità aziendale, che attribuisce al tribunale un potere di intervento nel corso della procedura ove accerti che «l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori» 19. Si tratta di norme finalizzate a contemperare la possibilità di un rapido accesso alla procedura di concordato con la presenza di un organo giudiziale, in funzione di garanzia dei creditori, particolarmente necessario in considerazione dell’assenza momentanea di tutti i controlli normalmente previsti. Esse, infatti, non ampliano tout court il ruolo del giudice nella procedura, bensì prevedono l’intervento di un organo terzo in funzione di garanzia dei creditori in quelle fasi della procedura introdotte ex novo e caratterizzate dall’urgenza e dall’assenza di altre tipologie di controllo. Lungi dal costituire un rafforzamento del sindacato di merito del tribunale nella procedura, confermano invece la suddivisione di competenze tra giudice e creditori sopra illustrata20. D’altra parte, anche la recente modifica dell’art. 179, secondo comma, sembra confermare che il giudice non ha il potere di interrompere la procedura in caso di mutamento delle condizioni di fattibilità economica del piano. Da tempo ci si chiedeva, infatti, per l’ipotesi in cui si fossero verificati eventi idonei a incidere sulla fattibilità (economica) del piano nel periodo intercorrente tra l’adunanza dei creditori e il decreto di omologa, quali fossero le più opportune iniziative a tutela dei creditori e chi fosse competente ad adottarle nell’ipotesi in cui fosse stato evidente che il giudizio dei fall., in ilFallimentarista.it. 18 Come già evidenziato infra, nt. 7, cui si rinvia, la predetta modifica sembra funzionale a controbilanciare il nuovo principio di silenzio assenso introdotto dalle predette riforme con riferimento alle operazioni di voto nel concordato preventivo di cui all’art. 178, quarto comma, l. fall.. 19 Con riferimento al primo tema, ossia alle nuove forme di finanziamenti bancari alle imprese in crisi, si v. AMBROSINI, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi nei nuovi articoli 182quater e 182-quinquies, l. fall., in ilFallimentarista.it. Con riferimento, invece, alle previsioni in tema di concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186 bis, l. fall., si v. T ERRANOVA , Il concordato «con continuità aziendale» e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. fall., 2013, 1, 3 e ss.; ARATO , Il concordato con continuità aziendale, in ilFallimentarista.it; si cfr., inoltre, CAVALLINI, Concordato preventivo «in continuità» e autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti: un binomio spesso inscindibile, in ilFallimentarista.it. 20 T ale interpretazione è già stata proposta in CIERVO , (nt. 1), 644. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 41 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO creditori sulla proposta sarebbe stato diverso se avessero avuto contezza delle mutate prospettive anteriormente all’espressione del voto in adunanza. M entre secondo un certo orientamento tali iniziative sarebbero dovute consistere nella revoca dell’ammissione al concordato da parte del tribunale, altri già avevano evidenziato l’opportunità in questi casi di convocare nuovamente l’adunanza dei creditori e di ripetere le operazioni di voto, sul presupposto che solo i creditori hanno il diritto di valutare la rilevanza da attribuire al mutamento delle condizioni della proposta21. Il legislatore, attraverso la nuova formulazione dell’art. 179, secondo comma, ha chiarito che dal mutamento sopravvenuto delle circostanze di fattibilità (economica) del piano proposto ai creditori non possa desumersi, sic et simpliciter, la volontà dei creditori di modificare il proprio voto e di interrompere la procedura. Ne consegue inevitabilmente l’illegittimità dell’eventuale automatica reiezione dell’omologazione da parte del giudice in caso di sopravvenuto mutamento delle circostanze e, al contempo, la non obbligatorietà di una nuova adunanza dei creditori, in quanto - stabilisce la norma in discorso - soltanto i creditori che intendano revocare il proprio voto favorevole o esprimere il proprio voto in luogo dell’eventuale precedente astensione possono e devono costituirsi nel giudizio di omologazione ex art. 180, istando per la reiezione dell’omologazione medesima. Ciò rappresenta una importante indicazione circa il ruolo del giudice immaginato dal legislatore nelle diverse fasi del procedimento in discorso, con particolare riferimento al controllo in itinere ex art. 173. E di tale avviso sono anche le Sezioni Unite ove affermano che il dettato normativo dell’art. 179, secondo comma, «esclude incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia dell’eventuale 21 T ra coloro a favore della revoca del decreto di ammissione del debitore alla procedura in discorso da parte del tribunale, si v. BOZZA , Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173., (nt. 3), 689; FILOCAMO , L’art. 173, primo comma, l. fall. nel “sistema” del nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 1471, in nota a T rib. Piacenza, 4 dicembre 2008; e, in giurisprudenza, T rib. Milano, 24 aprile 2007, (nt. 1), 1441 ss.. T ra gli Autori favorevoli alla riconvocazione dell’adunanza dei creditori e alla ripetizione delle operazioni di voto, si v. BOSTICCO , (nt. 8), 1452, e, in giurisprudenza, T rib. Ancona, 13 ottobre 2005, in Fallimento, 2005, 1405; T rib. Monza, 28 settembre 2005, in Dir. fall., 2005, 2006, II, 891. Per effetto della riforma, l’attuale art. 179 dispone che «quando il commissario giudiziario rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto»; in proposito, le Sezioni Unite hanno evidenziato che la previsione citata «esclude dunque incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia dell’eventuale mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità» e ciò porta inevitabilmente a concludere che di tali condizioni di fattibilità «l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima, solo così potendosi giustificare la sua indifferenza rispetto al mutamento di dati altrimenti potenzialmente rilevanti». IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 42 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità, il che lascia implicitamente intendere che l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima, solo così potendosi giustificare la sua indifferenza, rispetto al mutamento di dati altrimenti potenzialmente rilevanti» 22. Sembra, dunque, corretto affermare che anche le recenti riforme della legge fallimentare hanno valorizzato il principio di c.d. autotutela informata dei creditori concorsuali, confermando l’indirizzo già seguito del legislatore in occasione dei precedenti interventi riformatori. 3. La giurisprudenza di legittimità successiva alle Sezioni Unite. A seguito dell’arresto delle Sezioni Unite sul tema, la successiva giurisprudenza di legittimità e di merito si è sostanzialmente attenuta ai principi enunciati dalla Suprema Corte. Come sopra descritto, secondo le Sezioni Unite la fattibilità del piano concordatario costituisce un presupposto di ammissibilità del concordato la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice attraverso un giudizio autonomo e diretto. Tale presupposto è duplice: da un lato vi è la fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con le norme inderogabili dell’ordinamento; dall’altro, la fattibilità economica, ossia la realizzabilità concreta del piano medesimo. M entre la verifica della fattibilità giuridica spetta senza dubbio al giudice e non incontra particolari limiti, il giudizio sulla fattibilità economica del piano proposto «è intriso di valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l’impianto generale prevalentemente contrattualistico dell’istituto del concordato»23. 22 Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (10). Conf. App. Firenze, 10 febbraio 2014, in IlCaso.it e in ilFallimentarista.it con nota di IUCCI, sentenza che ha stabilito che la disposizione di cui all’art. 179, secondo comma, introduce la possibilità di esaminare e sottoporre ai creditori non solo modifiche peggiorative, ma anche migliorative. Si v., in tema, FABIANI, (nt. 10), 9 e s., il quale ha evidenziato che «dire che il tribunale non conosce in via officiosa della fattibilità in sede di omologazione potrebbe non escludere che la questione venga proposta dal singolo creditore mediante l’opposizione e ciò a prescindere dalla revoca del voto. Di ciò la Corte non si è direttamente occupata; tuttavia che la scelta più corretta sia quella che vuole che l’unico strumento per dedurre la sopravvenuta non fattibilità sia la revoca del voto a me pare, comunque, desumibile dalla sentenza nella parte in cui si prende opportunamente posizione sull’assoluta irrilevanza della menzione nell’art. 180 l. fall. dell’attività istruttoria». Cfr., inoltre, NARDECCHIA , L’art. 179 l. fall. e le mutate condizioni di fattibilità del piano, in IlCaso.it, doc. n. 315/2012. 23 Così Cass., SS. UU., 3 gennaio 2013, n. 1521, (10). IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 43 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO Tale suddivisione delle competenze, tuttavia, muta in presenza di una assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a realizzare quanto proposto nel caso specifico, ossia a soddisfare in qualche misura, seppur minima, i crediti concorsuali nei modi e nei termini (ragionevoli) di adempimento previsti nella proposta. Soltanto in tal caso il sindacato del giudice può estendersi al profilo della fattibilità economica, in quanto di fronte alla manifesta irrealizzabilità del piano risulterebbe inutile qualsivoglia valutazione da parte dei creditori. Ora, se i principi sanciti dai giudici di legittimità sono relativamente chiari in teoria, più difficile è la loro applicazione in concreto. Si tratta di stabilire quali fatti siano idonei a integrare una assoluta e manifesta irrealizzabilità del piano proposto ai creditori. Risulta, pertanto, particolarmente utile l’analisi della giurisprudenza di legittimità successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite. Tra le pronunce successive all’intervento delle Sezioni Unite è senza dubbio degna di nota quella di Cass, sez. I civ., 9 maggio 2013, n. 11014, che ha confermato la correttezza della pronuncia della Corte d’Appello di Firenze, che aveva già censurato la dichiarazione di fallimento effettuata dal Tribunale di Lucca a seguito del rigetto della domanda di concordato preventivo proposta dal debitore24. La Corte d’Appello aveva già evidenziato, infatti, che «l’ottimismo delle previsioni di vendita degli immobili formulate nella proposta concordataria e nella relazione allegata, pur ponendosi in contrasto con la grave crisi economica in atto, con il crescente immobilismo del mercato immobiliare e con la posizione geografica dei beni, incidesse sulla fattibilità del concordato in termini non già di certezza ma di mera probabilità». La Suprema Corte, chiamata a valutare la correttezza della decisione dei giudici di secondo grado, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che la stessa avesse valutato in modo ponderato i rischi e i vantaggi connessi alla liquidazione concorsuale dei beni aziendali e effettuato un corretto giudizio di merito in ordine all'intrinseca serietà logica della proposta concordataria, procedendo «ad una valutazione delle possibilità di attuazione della stessa, sotto il profilo della concreta realizzabilità delle previsioni di vendita degli immobili e delle connesse prospettive di soddisfacimento dei creditori, poste a confronto con i rischi ai quali questi ultimi sarebbero rimasti esposti in caso di fallimento». «L’esclusione dell’irrealizzabilità» - ad avviso della Suprema Corte - «è di per sé sufficiente, sotto il profilo logico, a collocare l'attuazione del piano nell'arco delle probabilità astrattamente attingibili dal giudizio di fattibilità, la cui valutazione in concreto costituisce proprio l'oggetto dell'apprezzamento demandato al giudice di merito». Ciò conferma e contestualizza quanto affermato dalle Sezioni Unite circa i limiti del sindacato del giudice sulla «fattibilità economica», possibile soltanto nel caso in cui emerga manifestamente l’impossibilità di attuare quanto contenuto nel piano 24 Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, in IlCaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 44 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO concordatario; in caso contrario, il diniego dell’ammissione al concordato si tradurrebbe in un ingiustificato rischio di danno sia per il debitore che per i creditori, ai quali resterebbe preclusa la possibilità di esprimere il loro giudizio in ordine alla proposta e di prestare la propria collaborazione alla riuscita del piano 25. Un’altra pronuncia molto interessante in relazione al tema in esame è la sentenza Cass., sez. I civ., 6 novembre 2013, n. 24970, che ha il merito di aver effettuato la valutazione circa i limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità economica del piano di concordato in modo chiaro ed esplicito, analizzando singolarmente i rilievi evidenziati nella relazione finale del commissario, rilievi posti poi alla base della pronuncia del giudice di prime cure 26. Nel caso all’esame della Suprema Corte, veniva negata l’omologazione del concordato preventivo in continuità proposto dal debitore e approvato dalla maggioranza dei creditori a seguito della rilevazione ex officio della non fattibilità del concordato stesso sulla base dei seguenti elementi, già evidenziati dal commissario giudiziale nel parere motivato di cui all’art. 180, secondo comma: (a) la mancanza di impegni cogenti da parte delle banche quanto all’apporto di nuova finanza dopo l’omologazione; (b) un deficit patrimoniale di oltre 850.000 Euro registrato nei mesi successivi al deposito del concordato preventivo in discorso, con conseguente perdita del capitale sociale in itinere; (c) la mancanza di garanzie circa le dismissioni di due immobili previste dal piano; (d) la mancanza di copertura del fabbisogno concordatario nel quinquennio 2011-2015 mediante le risorse previste nel piano. Già i giudici della Corte d’Appello di Firenze, investiti dell’esame del reclamo proposto dal debitore contro la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, avevano accolto le doglianze del debitore censurando l’illegittima valutazione da parte del giudice di primo grado sulla fattibilità del concordato, valutazione riservata ai soli creditori purché compiutamente informati e consapevoli delle criticità relative alla proposta di concordato loro presentata; e nel caso di specie, secondo i giudici di seconda istanza, «non sussisteva alcun deficit di consapevolezza da parte del ceto creditorio al momento della votazione, posto che gli elementi evidenziati dal commissario nel suo parere finale altro non erano che una riconsiderazione delle criticità già riferite in precedenza ai creditori, in particolare evidenziando l’aumento dell’entità dello sbilancio fra attività e fabbisogno concordatario». Tali censure, devolute poi all’esame della Suprema Corte dal curatore del fallimento, venivano ritenute infondate anche dai giudici di legittimità. In particolare, secondo la Suprema Corte, la mancanza di impegni cogenti da parte delle banche per l’apporto di nuova finanza dopo l’omologazione e di garanzie circa le dismissioni di due immobili evidentemente previste nel piano non sono elementi tali da integrare una 25 Così, quasi testualmente, Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, (nt. 24). Cass., 6 novembre 2013, n. 24970, in IlCaso.it e in corso di pubblicazione su Giur. comm., 2015, con nota di CIERVO . 26 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 45 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO assoluta inattitudine del piano a realizzare quanto proposto, in quanto non può escludersi che in futuro si verifichino, rispettivamente, apporti di nuova finanza ovvero la vendita degli immobili al prezzo ipotizzato. D’altra parte, proseguono i giudici, anche i rilievi sub (b) e (d) non sono tali da escludere in assoluto la fattibilità economica del piano proposto, pur evidenziando un andamento negativo della società debitrice durante la procedura di concordato e sollevando dubbi circa la capacità della stessa di soddisfare il fabbisogno concordatario con le risorse derivanti dalla continuazione della sua attività. Orbene, è evidente che un piano che si basa su dismissioni di immobili per loro natura incerte nei modi e nei tempi, che evidenzia la mancata copertura del fabbisogno concordatario con le risorse previste dal piano e, al contempo, non prevede impegni circa l’apporto di c.d. nuova finanza, genera comprensibili preoccupazioni circa la capacità di soddisfazione dei creditori indicata nella proposta. Tali preoccupazioni, tuttavia, non devono riguardare il giudice bensì i creditori stessi, ai quali compete la valutazione prognostica circa la realizzabilità del piano e la votazione della proposta. Alla luce di tale suddivisione di competenze tra i diversi soggetti della procedura, è di tutta evidenza che assume una particolare rilevanza il tema della corretta informazione dei creditori chiamati a valutare la proposta di concordato. Tale aspetto, già compiutamente analizzato dalle Sezioni Unite e illustrato nei precedenti paragrafi, viene esaminato anche nella sentenza citata. In particolare, i giudici di legittimità, nel dichiarare inammissibile - in quanto giudizio di merito già effettuato dalla Corte d’Appello e precluso alla Suprema Corte - le doglianze del commissario circa il difetto di informazione dei creditori prima del voto, riaffermano l’importanza del fatto che la scelta di questi avvenga in un contesto chiaro e privo di asimmetrie informative, nella disponibilità del quadro più completo possibile della proposta che sono chiamati a votare. Da qui i distinti ruoli del giudice delegato e del commissario giudiziale: il primo ha il compito di verificare la presenza dei presupposti richiesti per l’accesso alla procedura, attraverso un giudizio penetrante sulla principale condizione di ammissibilità al concordato, la relazione dell’attestatore sul piano, nonché di garantire che i creditori siano in condizione di esercitare il proprio voto con cognizione di causa sulla base di una corretta rappresentazione della realtà; il secondo, deve scandagliare il piano e prendere espressamente posizione sulla fattibilità di quanto proposto per fornire ai creditori, nelle relazioni ex artt. 172 e 180, gli elementi di valutazione necessari ad una votazione informata. Anche la sentenza Cass., sez. I civ., 14 marzo 2014, n. 6022, ha offerto un importante contributo nella comprensione dei principi affermati dalle Sezioni Unite27. La Suprema Corte - nel respingere il ricorso presentato dal debitore ammesso al concordato poi omologato ed eseguito, il quale pretendeva la restituzione delle somme ricavate dalla vendita degli immobili eccedenti rispetto alla percentuale di soddisfazione 27 Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, in IlCaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 46 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO promessa ai creditori - ha ribadito che nel concordato con cessione dei beni l’imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in una misura percentuale prefissata. Di conseguenza, ha affermato la Corte, «va escluso che in tale tipo di concordato, in cui l’entità del soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione, sul quale non può esservi alcuna preventiva certezza, i creditori che, ciò nonostante, hanno approvato la proposta, possano richiedere la risoluzione nell’ipotesi in cui la somma ricavata dalla vendita dei beni si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, non potendosi configurare inadempimento rispetto ad un’obbligazione che il debitore non ha assunto». Ciò sembra confermare il principio per cui, anche in presenza di una notevole incertezza sugli esiti del piano presentato dal debitore, il giudice deve astenersi da un giudizio sulla fattibilità del piano e rimettere ai creditori tale valutazione, quali unici soggetti che possono disporre dei propri interessi di credito e votare positivamente un piano concordatario che, seppur incerto, ritengono migliore della alternativa rappresentata dal fallimento. Di interesse per l’analisi del tema in esame sembra essere quanto affermato da Cass., sez. I civ., 23 maggio 2014, n. 11497, che ha accolto il ricorso proposto dal debitore contro la sentenza di fallimento seguita alla dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata, proprio alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite in relazione all’impossibilità per il giudice di sindacare la fattibilità economica del piano di concordato 28. La Suprema Corte, nel censurare la pronuncia di primo grado in quanto basata sulla valutazione del probabile insuccesso del concordato, ha ricordato che «le sezioni Unite, con riferimento alla fattibilità economica, individuano un solo profilo su cui si esercita il sindacato officioso del giudice […]: quello della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole». Applicando poi tali principi al caso concreto in esame, i giudici di legittimità hanno rilevato che «sia l’incapacità della proponente di formalizzare l’acquisto - al quale, pure, non si disconosce il diritto - dei cespiti immobiliari, sia la mancata formalizzazione delle garanzie promesse da terzi, sia la ritenuta inattendibilità della valutazione degli immobili in quanto situati in zona agricola, costituiscono ragioni di probabile insuccesso del concordato sulla base di valutazioni di fatto spettanti in via esclusiva ai creditori, dei quali non è posta in discussione la compiuta informazione anche su tutti gli aspetti ad esse relativi; né, essendo basate su valutazioni opinabili, 28 Cass., 23 maggio 2014, n. 11497, in IlCaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 47 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO può dirsi che integrino un’assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dalla società debitrice a raggiungere gli obiettivi prefissati di soddisfazione dei creditori». Tali affermazioni, che non richiedono ulteriore commento data l’estrema chiarezza e coerenza con i principi delineati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, trovano poi ulteriore conferma in numerose altre sentenze di legittimità e merito relative al tema in esame, e sembrano segnare ormai il superamento delle incertezze che hanno caratterizzato per lungo tempo il tema dei limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano di concordato anteriormente all’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite29. 29 Si v. Cass., 4 luglio 2014, n. 15345, in IlCaso.it, con nota di FINARDI, che ha recentemente ribadito che «dopo l’approvazione della proposta da parte dei creditori non è consentito al tribunale, e neppure alla corte di appello in sede di reclamo, verificare la probabilità di successo del concordato e non omologarlo quando appaia prevedibile un inadempimento del debitore che legittimerebbe i creditori a chiedere la risoluzione del concordato. […] Il contrario non può sostenersi neppure ove la verifica del giudice facesse emergere l’inidoneità della proposta a soddisfare i diversi crediti nella misura e nei tempi promessi. […] Questi ultimi, del resto, ben potrebbero avere accettato non solo il rischio ma anche l’eventualità di essere soddisfatti in una misura ed in tempi diversi da quelli preventivati nella approvata proposta di concordato. […] In sede di omologazione il sindacato del tribunale, e della corte di appello nell’eventuale giudizio di reclamo, non può estendersi, attraverso una verifica istruttoria, alla probabilità di successo del concordato approvato dai creditori, e l’omologazione non può essere negata neppure quando, a giudizio del tribunale o della corte di appello, sia prevedibile l’inadempimento del concordato»; Cass., 23 maggio 2014, n. 11497, (nt. 28); Cass., 22 maggio 2014, n. 11423, in IlCaso.it, che ha ribadito che l’unico profilo relativo alla fattibilità economica del concordato su cui il giudice può esercitare d’ufficio il proprio sindacato (fermo il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori con la proposta di concordato e i documenti allegati) è quello relativo alla «verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto)» e ha censurato la decisione della Corte d’Appello impugnata in quanto «gli elementi sui quali ha basato la decisione d’inammissibilità della proposta di concordato non configurano ragioni d’incompatibilità del piano con norme inderogabili (difetto di “fattibilità giuridica”) né d’altra parte evidenziano con chiarezza un deficit informativo per i creditori» quanto piuttosto «dubbi circa la possibilità della società affittuaria di produrre risultati imprenditoriali sufficienti ad assicurare il pagamento del canone d’affitto occorrente al soddisfacimento delle esigenze del concordato, dubbi che finisco per sconfinare nel merito della valutazione di fattibilità economica del piano, sul quale il giudice non può direttamente intervenire»; Cass., 16 maggio 2014, n. 10778, (nt. 15); Cass. 30 aprile 2014, n. 9541, in ilFallimentarista.it, con nota di AMATORE ; Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, (nt. 27); Cass., 31 gennaio 2014, n. 2130, in IlCaso.it; Cass. 25 settembre IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 48 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO 2013, n. 21901, (nt. 14); Cass., 27 maggio 2013, n. 13083, (nt. 14), che, pur rigettando il ricorso per le ragioni illustrate infra, nt. 14, ha censurato la decisione della Corte d’Appello in quanto «pur premettendo di non voler sindacare il merito e la convenienza della proposta concordataria, ha svolto valutazioni di convenienza e di fattibilità economica con riferimento alla accettabilità della transazione fiscale da parte dell'amministrazione finanziaria, alla possibilità di vendere la partecipazione sociale nella […] s.r.l. alle condizioni previste nel piano, alla certezza della realizzabilità della vendita di un ramo di azienda alla s.r.l. […]»; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, (nt. 24); App. Firenze, 10 febbraio 2014, (nt. 22), che ha revocato la sentenza di fallimento pronunciata dal giudice di prime cure a seguito del rigetto dell’omologazione del concordato preventivo proposto dal debitore, ribadendo che «il giudizio di prognosi sulla fattibilità economica del piano - quale appunto quello sulla possibilità di incassare i crediti nei tempi prospettati e di dare soddisfazione ai creditori chirografari nella percentuale indicata - è rimesso esclusivamente alla valutazione dei creditori»; App. Bologna, 7 novembre 2013, n. 1974, in IlCaso.it, che ha accolto il reclamo contro la dichiarazione di fallimento pronunciata dal giudice di prime cure evidenziando l’illegittimità del giudizio di questi sulla fattibilità del concordato proposto dal debitore, in quanto relativo alla «probabilità di successo economico del piano e dei rischi inerenti» e, dunque, esorbitante i limiti individuati dalle Sezioni Unite in tema; Trib. Piacenza, 6 giugno 2014, in IlCaso.it, che in sede di giudizio di omologazione ha rigettato l’opposizione di un creditore - che lamentava una sopravvalutazione dei cespiti immobiliari il cui ricavato era destinato dal piano alla soddisfazione dei creditori, nonché l’assenza di potenziali acquirenti degli stessi, e paventava il rischio di una non realizzabilità del concordato con conseguente fallimento del debitore e perdita di tempo e di valore dei beni aziendali - evidenziando che l’argomento non è condivisibile in quanto, così ragionando, «si dovrebbe concludere che l’attuale crisi generale del settore, come di molti altri, per l’estrema difficoltà della vendita di detti beni, tradizionalmente considerati beni rifugio, impedirebbe qualsiasi concordato il cui oggetto della cessione fossero immobili, difficoltà che non sarebbe comunque evitata anche in caso di fallimento, non trattandosi tanto di una questione di prezzo, quanto di mancanza di domanda»; Trib. Pesaro, 29 maggio 2014, in IlCaso.it; Trib. Prato, 30 aprile 2014, in IlCaso.it, che ha precisato che normalmente il giudizio circa la fattibilità economica del piano di concordato spetta ai creditori, ma che «non può essere rimesso alla decisione della maggioranza dei creditori, con pregiudizio dei dissenzienti, il rischio di fattibilità di un piano i cui margini di opinabilità e di errore siano talmente ampi da inficiarne la ragionevole tenuta e la probabilità di successo. La presenza di opposizioni non muta l'oggetto del giudizio del tribunale, che rimane circoscritto alla fattibilità giuridica, ma determina la necessità di valutare in modo rigoroso la predetta adeguatezza e l’accettabilità del rischio da riversare sui creditori in sede di omologazione». E ha aggiunto, con riferimento alle censure dei creditori opposti in relazione al valore dei beni oggetto di dismissione, che «non vi è dubbio che la prima contestazione circa l'incertezza del ricavato della vendita costituisca un rischio normale nei concordati con cessione, anche parziale, dei beni e che, una volta accertata l'esistenza ed il valore di perizia del bene, sia giustificato che del medesimo rischio si facciano carico i creditori»; Trib. Modena, 7 aprile 2014, che ha negato l’omologazione di un concordato, pur in assenza di opposizioni, rilevando che fatti sopravvenuti (la risoluzione di alcuni contratti con conseguente iscrizione dei IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 49 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO 4. Conclusioni. Alla luce dell’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (e di merito) in tema, sembrano confermate le conclusioni cui si era giunti già in sede di commento della sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte e in successive occasioni, che possono riassumersi come segue: (i) il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano è limitato alla «fattibilità giuridica» e consiste, da un lato, nel controllo di legalità di quanto previsto dal piano e dei singoli atti della procedura e, dall’altro, nella verifica della rispondenza degli stessi alla causa concreta del procedimento, intesa come riconoscimento ai creditori di una pur minima soddisfazione del credito da questi vantato entro tempi ragionevoli. Rientra, dunque, nell’ambito di tale controllo - oltre alla verifica sulla sussistenza dei presupposti per l’ammissione - l’accertamento della logicità e della coerenza complessiva delle conclusioni dell’attestatore nonché della attuabilità giuridica di quanto assunto nel piano; (ii) il sindacato sulla fattibilità del piano in capo al giudice può estendersi al profilo della «fattibilità economica» soltanto nel caso in cui emerga prima facie l’assoluta inidoneità del piano proposto a realizzare la causa concreta della procedura, ossia a soddisfare in qualche misura, seppur minima, i crediti concorsuali entro i termini di adempimento previsti nella proposta, purché ragionevoli; (iii) il ruolo istituzionale di controllore della legalità della procedura demandato al giudice si articola, con uguale e costante pervasività nel corso dell’intera procedura, nel potere di rigetto della domanda di ammissione ex art. 162, di revoca dell’ammissione ex art. 173 o, infine, di reiezione della istanza di omologa ex art. 180 in tutti i casi in cui vi siano difetti di informazione dei creditori circa le condizioni di fattibilità del piano loro proposto; (iv) i destinatari della proposta di concordato sono i creditori, ai quali spetta, in via esclusiva, formulare un giudizio in ordine alla convenienza economica della soluzione prospettata, sulla base di una valutazione prognostica sulla fattibilità del piano maturata attraverso l’ausilio e il confronto, da un lato, della relazione dell’esperto nominato dal debitore e, dall’altro, delle “contro-relazioni” del commissario giudiziale ex art. 172 e 180. Pertanto, una volta espresso un giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano, in caso di mutamento delle condizioni loro prospettate, spetta al commissario giudiziale comunicarlo ai creditori, per permettere loro di costituirsi relativi crediti tra quelli prededucibili e aumento del passivo concordatario) avevano determinato l’impossibilità assoluta di soddisfare i creditori chirografari e, in parte, quelli privilegiati, con conseguente sopravvenuta non fattibilità del piano di concordato già positivamente valutato dai creditori; Trib. Roma, 29 gennaio 2014, in ilFallimentarista.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 50 STUDI E OPINIONI CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO eventualmente nel giudizio di omologazione per modificare il voto precedentemente espresso. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 51 RELAZIONI A CONVEGNI LA NUOVA DISCIPLINA DEI CONTRATTI DI GODIMENTO IN FUNZIONE DELLA SUCCESSIVA ALIENAZIONE DI IMMOBILI* L’articolo si sofferma sulle nuove forme contrattuali che consentono alle parti di stipulare accordi che attribuiscono l’immediato godimento del bene al conduttore, permettendogli di superare l’impossibilità di corrispondere l’intero prezzo ed allo stesso tempo assicurandogli il diritto all’acquisto della casa, imputando in tutto od in parte quanto versato a titolo di canone locatizio in conto prezzo. di MICHELE VAIRA 1. L’art. 23 del decreto legge n.133 del 12 settembre 2014. Si riporta, per una sua migliore disamina, il testo di legge contenente la disciplina positiva del cosidetto "rent to buy". Art. 23. Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili 1.1 I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell' articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all' articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile. 1.1.2 Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo. 1.1.3 Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile e' elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano altresi' le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 nonche' degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in (*) Relazione tenuta a Cereseto il 19 settembre 2014 in occasione del Convegno “ Dal rent to buy al buy to rent”. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 52 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile. 1.1.4 Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla concessione del godimento. 1.1.5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennita', se non e' stato diversamente convenuto nel contratto. 1.1.6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell'articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l'articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5. 1.1.7 Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n.47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n.80, e' aggiunto il seguente: "5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprieta' vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprieta', stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.". 1.1.8 L'efficacia della disposizione di cui al comma 7 e' subordinata al positivo perfezionamento della procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di cui all'articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), di cui e' data comunicazione nella gazzetta ufficiale. 1.2 Le esigenze del mercato immobiliare e la ratio dell'intervento normativo: la tipizzazione di un contratto atipico. Le innovazioni nell'ambito del diritto civile, con la creazione di nuove figure contrattuali, spesso conseguono a situazioni di crisi economica, quando l'impossibilità di utilizzare gli usuali schemi negoziali induce gli operatori economici e la prassi ad 1 individuare nuovi strumenti giuridici . L’andamento negativo del mercato immobiliare non pare destinato ad invertirsi in tempi brevi2, soprattutto per effetto delle accresciute difficoltà di accesso al credito, 1 FUSARO A., Rent to buy, Help to buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi, in Contratto e Impresa, 2014, 2, 419 e ss. 2 Se bbene secondo gli ultimi dati diffusi dall'Agenzia delle Entrate sia tornato il segno positivo negli scambi di a bitazioni in Italia, avendo il primo trimestre del 2014 registrato la fine IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 53 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO sia da parte del costruttore-venditore, sia da parte del potenziale acquirente; al primo, infatti, la quantità di invenduto non solo disincentiva l’intrapresa nuove iniziative imprenditoriali, ma comporta altresì l’impossibilità di chiudere le posizioni debitorie in corso, che in qualsiasi momento si possono trasformare in situazioni di sofferenza od incaglio, con un peggioramento del proprio rating aziendale; al secondo, i criteri più restrittivi per il sistema bancario introdotti dall’accordo di “Basilea 2”, precludono ormai del tutto la possibilità di ottenere un mutuo in caso di lavoro interinale se non supportato da altre garanzie accessorie fornite da terzi, ma spesso financhè impediscono di finanziare l’acquisto del 100% (cento per cento) dell’immobile, oltre ad un costo del denaro che si mantiene alto, nonostante la discesa dei tassi di interessi, per effetto dell’aumento del margine di intermediazione richiesto dall’istituto bancario, causato da un deterioramento delle posizioni dei propri clienti. Per superare questa doppia impasse, la prassi ha iniziato ad individuare nuove forme contrattuali che permettono ai cittadini di stipulare accordi che attribuiscono l’immediato godimento del bene al conduttore, consentendogli da un lato di superare l’impossibilità di corrispondere l’intero prezzo ed al contempo assicurandogli il diritto all’acquisto della casa, imputando in tutto od in parte quanto versato a titolo di canone 3 locatizio in conto prezzo . temporanea - del trend negativo che ogni tre mesi segnalava perdite, anche di due cifre, con le transazioni residenziali cresciute dell'1,6% rispetto allo stesso periodo del 2013 (+4,1% nel residenziale), pare ancora troppo presto per leggere nei numeri un'inversione di tendenza, anche perché questi dati potrebbero essere falsati, avendo molti atteso a stipulare i rogiti di compravendita nei primi mesi dell'anno in corso per sfruttare la più conveniente imposta di registro. 3 Al riguardo, è chiarissimo il disposto dell’art.47 Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. In un contesto come quello attuale in cui l’accesso del credito è divenuto incerto e difficoltoso, non paiono più sufficienti misure recanti unicamente agevolazioni fiscali, ma occorrono viceversa interventi positivi per rimettere in moto il mercato immobiliare, favorendo la stipulazione di nuovi finanziamenti e, conseguentemente, lo smaltimento dello stock di invenduto; in ogni caso, forme contrattuali volte a soddisfare l’esigenza di un anticipato godimento dell’immobile erano già conosciute sotto il vigore del vecchio codice civile; vedasi il R.D. n.1165/1938 (Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica), ove all’articolo 34 si prevede: “Il Ministro dei Lavori Pubblici può autorizzare i Comuni e gli istituti per case popolari a vendere o assegnare in locazione con patto di futura vendita, all’inquilino o ai suoi eredi, gli stabili in qualunque tempo costruiti prescrivendo, volta per volta, le cautele e le condizioni da inserirsi nei contratti suddetti”. Sul punto A. BUSANI, Le nuove compravendite, IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 54 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO Sebbene dallo scorso 12 settembre 2014 esista una disciplina di diritto positivo che contempla questa fattispecie, come si vedrà nel prosieguo, permane utile effettuare una carrellata delle varie declinazioni contrattuali assunte nella prassi dal cd. Rent to buy, in quanto la norma introdotta e sopra richiamata ha una valenza definitoria molto ampia e, pertanto, è idonea a ricomprenderle tutte, in un’ottica di favore per l’esplicarsi dell’autonomia contrattuale. 4 Il Rent to buy è assimilabile ad un “contratto di locazione seguito da un atto traslativo della proprietà”, che favorisce la conclusione della vendita con il pagamento dilazionato dell’importo, a favore di chi non dispone attualmente dell’intera somma o che non può in ogni caso ancora riacquistare non essendo ancora riuscito ad alienare il bene detenuto in piena proprietà; interessati sono sia il venditore, che accetta la dilazione ma non intende dismettere la proprietà fino al saldo, sia l’acquirente che intende beneficiare di uno scaglionamento dell’importo nel tempo. Il Buy to rent è viceversa una vendita immediata con prezzo dilazionato e la garanzia per il venditore di ridivenire proprietario in caso di inadempimento del compratore; la vendita con il pagamento dilazionato favorisce l’acquirente; soggetti interessati sono quanti devono cedere subito la proprietà, ottenendo però garanzie sul saldo dell’importo dilazionato, nonché gli acquirenti che intendono entrare subito nel possesso del bene. L’Help to buy si traduce in un contratto preliminare con pagamento dilazionato anteriore al rogito, volto a favorire la successiva vendita con il pagamento del residuo dell’importo pattuito; in questo modo, avvalendosi oltretutto degli effetti prenotativi della trascrizione, si ottiene la disponibilità immediata dell’immobile con un anticipo di regola pari ad un 20-30% dell’importo del prezzo del bene oggetto di promessa di acquisto; viene cosi agevolato l’ottenimento del successivo finanziamento, in quanto inserto de Il Sole 24 ore, del 13 maggio 2013, 8, ove si rammenta che negli anni cinquanta gli I.A.C.P. hanno attuato il Piano Casa Fanfani finalizzato a consentire l’acquisto della prima casa alle fasce meno abbienti tramite una locazione al termine del quale avveniva il trasferimento della proprietà dell’inquilino. 4 Oltre alle affini, ma non coincidenti, figure del Buy to rent e dell’ Help to buy, come ben evidenziato da D. DE STEFANO - F.DE STEFANO - L.STUCCHI - G.DE MARCHI, Help to buy favorire la ripresa delle transazioni immobiliari, in Federnotizie, 2012, 42 ss. Da precisare che negli ordinamenti anglossassoni il termine Help to buy è riferito alle politiche pubbliche di sostegno all’acquisto della casa, riprese con una legislazione speciali nel Regno Unito e al riguardo vedasi VELLA - LUNGARELLA , Casa con mutuo all’inglese, in www.lavoce.info del 12 settembre 2014. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 55 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO relativo ad una quota più bassa pari al restante valore dell’immobile e non superiore al 70-80% 5 dell’intero. Tre sono poi i modelli contrattuali in cui si articola il cd. rent to buy, a seconda 6 che alla locazione si aggiunga un’opzione di acquisto , oppure un preliminare di compravendita, od ancora una clausola di trasferimento automatico della proprietà vincolante per entrambe le parti. Nella prima fattispecie abbiamo una locazione su cui si innesta un diritto di opzione che riporta il contenuto della futura vendita, aperta all’adesione libera dell’acquirente; se perfezionata per scrittura privata autenticata o atto pubblico essa consente la conclusione del contratto definitivo nella forma adatta alla pubblicità immobiliare, purché l’accettazione sia conforme . La locazione con affiancato un preliminare di futura vendita comporta, invece, la necessità di un successivo rinnovo della volontà, ma ha il vantaggio di consentire il ricorso alla pubblicità immobiliare ad eliminazione del rischio di fallimento del venditore. La terza ipotesi coincide sostanzialmente una locazione cui si affianca una clausola di trasferimento automatico della proprietà e richiama l’istituto della vendita con riserva della proprietà, che si ritiene pacificamente applicabile anche al trasferimento della titolarità dei beni immobili 7. Sia nella cessione con riserva della 5 Questo strumento aiuta infine il promissario acquirente a crearsi uno storico creditizio, facilitando l’evasione della richiesta del successivo finanziamento in banca. 6 L’opzione per sua natura favorisce la cedibilità della posizione contrattuale, ma presenta la difficoltà di non essere opponibile ai terzi, assicurando soltanto una tutela risarcitoria al titolare dell’opzione, qualora il proprietario-locatore alieni l’immobile a sua insaputa. 7 Sebbene questa tipologia contrattuale assicuri una tutela qualificata al compratore, titolare di un aspettativa opponibile ai terzi che prevale sulle successive vicende che coinvolgano il venditore, e disponga di una disciplina compiuta che contempla altresi le vicende patologiche del rapporto, e pertanto possa dirsi idonea ad assecondare le istanze sottese al rent to buy, essa ha incontrato una scarsa diffusione a causa del trattamento fiscale oneroso cui è sottoposta, in quanto la clausola del contratto di vendita, con la quale si rinvia l’effetto traslativo al pagamento dell’ultima rata di prezzo (art. 1523 c.c.) non si considera, a fini fiscali, equiparabile ad una condizione sospensiva (art. 27, III° comma, dpr. N.131/86), con l’effetto che è subito dovuta l’imposta proporzionale di registro per l’intero importo, essendo l’effetto traslativo già predeterminato sin dall’origine. Analoga sorte per il contratto di locazione con patto di futura vendita, essendo l’Agenzia delle Entrate orientata a ritenere che l’effetto traslativo sia differito a mero scopo di garanzia e, pertanto, in quanto voluto dai contraenti sin dal momento della conclusione del negozio, è a questo momento che occorre far riferimento ai fini della liquidazione dell’imposta (Risoluzione n. 338 del 1° agosto 2008). IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 56 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO proprietà, sia nella locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, il compratore acquista la titolarità della cosa solo con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma soltanto nella prima egli assume i rischi dal momento della consegna 8 (art. 1523 c.c.); nella seconda, in ipotesi di perimento del bene il conduttore è liberato . La soluzione maggiormente diffusa, proprio ad evitare l’inconveniente connesso alla – ritenuta – inammissibilità della novazione del titolo da canone in corrispettivo anticipato del prezzo consiste in un’operazione complessa basata sul collegamento negoziale tra il preliminare di compravendita e la locazione ed a propria volta si articola in due versioni: la prima contempla un compromesso accompagnato dal versamento di una somma a titolo di caparra penitenziale e la contestuale stipula di una locazione sottoposta alla condizione sospensiva dell’esercizio del recesso dal contratto preliminare, escludendo gli effetti retroattivi dell’avveramento, attraverso l’introduzione di un termine iniziale 9. In alternativa è sufficiente assecondare l’ordinaria efficacia retroattiva della condizione, procedendo alla sottoscrizione contestualmente di un preliminare di vendita e di un contratto di locazione, contenenti condizioni la cui operatività è configurata in maniera simmetrica. Il contratto preliminare di compravendita può essere sottoposto alla condizione risolutiva dell’impossibilità per il promittente acquirente di vendere l’alloggio proprio od ottenere il mutuo; il contratto di locazione è, invece, sottoposto alla condizione di segno opposto rispetto a quella introdotta nel preliminare (se la prima è sospensiva, la seconda è risolutiva), in modo che essa diviene efficace al perderla del primo; in difetto di deroga, entrambe le pattuizioni opererebbero retroattivamente e la 10 somma versata a titolo di caparra verrebbe considerata corrispettivo della locazione . 8 Come evidenzia attenta dottrina, in ordine ad entrambe le figure è sorto “ l’interrogativo circa la possibile novazione del titolo delle somme versate quali canoni di locazione, onde imputarle al prezzo della compravendita. La risposta è prevalentemente negativa: si dubita della concettuale ammissibilità di questa novazione, sebbene sia contemplata dal codice civile, in una norma contenuta all’interno della disciplina della vendita con riserva della proprietà. Secondo l’art.1526, III° c., c.c., la regola si applica alle locazioni, qualora sia previsto che al termine la proprietà sia acquisita dal conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti, quindi in forza di un automatismo (FUSARO , cit., 3 e ss) . 9 In questo modo, il promittente acquirente che si riveli impossibilitato a perfezionare la compravendita potrà in ogni caso far affidamento sul diritto di recesso dal compromesso e sulla conservazione del godimento dell’alloggio, che avrà anticipatamente remunerato attraverso gli acconti e che saranno imputati a canone di locazione; dall’altro lato, il venditore vedrà compensata l’occupazione dell’immobile dalla somma ricevuta come caparra penitenziale, che lo terrà indenne dal pregiudizio derivante dall’indisponibilità del suo bene. 10 Pertanto, nel contratto preliminare di compravendita si prevederà il versamento di una somma a titolo di caparra questa volta non penitenziale, ma - ovviamente - confirmatoria, e l’assunzione IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 57 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO Non è mancato, infine, chi ha proposto di raggiungere gli obiettivi sottesi all’istituto dell’affitto a riscatto, mediante il perfezionamento di un accordo negoziale con cui il venditore ceda al potenziale acquirente il diritto di usufrutto vitalizio a fronte di un corrispettivo rateizzato per un certo numero di anni, collegato con un patto di opzione per l’acquisto della nuda proprietà, con pagamento del residuo prezzo al momento dell’esercizio dell’opzione medesima, sottoposto a termine iniziale, coincidente con la scadenza del periodo di rateizzazione dell’usufrutto in precedenza costituito. In aggiunta, si può prevedere una clausola risolutiva del diritto di usufrutto, qualora il termine concesso per l’esercizio dell’opzione decorra inutilmente, prevedendo che quanto corrisposto per la cessione dell’usufrutto venga trattenuto dal cedente quale corrispettivo per l’occupazione dell’immobile, ora senza titolo per effetto della retroattività della condizione risolutiva, con un eventuale penale a favore del venditore per aver perso potenziali occasioni di vendita ed offerte durante il periodo di cessione 11 dell’usufrutto vitalizio . La varietà di forme contrattuali emerse nella prassi e qui sopra brevemente richiamate testimonia come la ricerca di più congegni contrattuali atipici, ossia non interamente riconducibili ad alcuna delle fattispecie regolarmente disciplinate dal codice civile, sia sottesa e causa al contempo del processo di tipizzazione sociale dei medesimi, sulla spinta diffusa di individuare una strada per superare le difficoltà del mercato immobiliare dovuta alla mancanza di liquidità ed alla contrazione del credito. Il riconoscimento normativo di questo processo, come si vedrà nel prossimo dell’obbligo di acquisto in capo all’acquirente sarà sottoposto alla condizione risolutiva del mancato avverarsi di eventi quali l’ottenimento del mutuo, oppure la vendita della preposseduta casa in proprietà; qualora intervenisse il definitivo rifiuto della banca di finanziare la somma indispensabile per l’acquisto, oppure in caso di assenza di richieste di acquisto dell’appartamento posseduto, il contratto preliminare di compravendita sarebbe risolto e acquisirebbe efficacia la locazione. Va comunque sottolineato che questi schemi contrattuali non sempre incontrano il favore del venditore-costruttore, il quale vede sempre più, con l’aggravarsi della crisi e l’incremento dell’invenduto, nel rent to buy uno strumento di certa alienazione dell’immobile e non solo di momentanea percezione di un canone locatizio in attesa della sua definitiva dismissione. 11 A.T ESTA, Il rent to buy: la tipizzazione sociale di un contratto atipico, in Immobili e proprietà, 2014, 6, 390 e ss., che evidenzia i vantaggi per il potenziale acquirente di acquisire il godimento immediato dell’immobile a fronte di un corrispettivo rateizzato, liberando il venditore dal peso di imposte e gravami, di spettanza dell’usufruttuario. La tassazione di questa fattispecie non presenta inoltre difficoltà o dubbi applicativi, essendo propria dei due contratti, e quindi a utonoma ed indipendente, senza i rischi di duplicazione di imposta insita nell’imputazione dei canoni locatizi ad acconto prezzo. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 58 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO paragrafo, prende atto delle diverse tipologie contrattuali emerse, cercando di fornire una disciplina di tutela nel rispetto della ricchezza delle soluzioni proposte, di modo che l’ombrello protettivo dato dalla novità normativa si possa rivelare il più ampio ed efficace possibile. 1.3 La novella legislativa tra tutela delle parti ed autonomia contrattuale. Con la dovuta premessa che il testo licenziato dal Governo potrà essere oggetto di emendamenti e correzioni in sede di conversione del decreto legge 12, ad una prima lettura appaiono tre gli obiettivi principali del legislatore, e precisamente: 1) la volontà di colmare lacune e risolvere i problemi interpretativi sorti in passato, mediante l’’introduzione di un nuovo tipo contrattuale, sebbene flessibile; 2) la volontà di semplificare e agevolare il ricorso a questo strumento; 3) la volontà di apprestare una cornice normativa fortemente protettiva nei confronti del conduttore-acquirente. Gli elementi caratterizzanti, o per meglio dire tipizzanti, la nuova fattispecie contrattuale sono essenzialmente due, ossia l’attribuzione immediata del godimento del bene con diritto del conduttore di acquistarlo entro un termine determinato e la possibilità per il medesimo di imputare il canone locatizio al prezzo di acquisto finale. Una prima questione interpretativa attiene al perimetro di operatività della norma, se essa cioè trovi applicazione soltanto nei casi in cui il negozio contempli unicamente una facoltà del conduttore di acquistare, ovvero anche quando al suo diritto faccia da contraltare altresì un “dovere all’acquisto”, derivante dalla stipulazione di un preliminare vincolante per entrambe i contraenti o, ancora, quando sia previsto un immediato effetto traslativo, senza più la necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. Sebbene il significato letterale dell’espressione “diritto all’acquisto” faccia propendere per la prima risposta, è preferibile ritenere che la novella ricomprenda tutte le possibili declinazioni che può assumere la fattispecie; gli elementi che depongono a favore di un’ interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione della norma si rivengono già nel titolo della novella, che utilizza l’espressione al plurale “contratti di godimento”, nella specificazione in negativo che la norma non si applica unicamente 13 alla locazione finanziaria , nel riferimento, infine, contenuto nel comma 7 dell’ art. 23, 12 Va tuttavia doverosamente ricordato che la novella recepisce le proposte elaborate dal Notariato in occasione dell’ultimo congresso nazionale (tenutosi a Roma nel novembre 2013 e dedicato al tema della “Proprietà dell’abitazione”), che sono state presentate al Senato della Repubblica lo scorso 15 aprile, in occasione dell’audizione tenuta in sede di conversione del D.L. 47/2014 (emergenza abitativa). 13 La contrapposizione rispetto alla locazione finanziaria non si comprende appieno se non con riferimento alla ratio sottesa alla diffusione del rent to buy, quale strumento negoziale che IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 59 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO ove, con una sorta di interpretazione autentica dell’articolo 8 del d.l. 47/2014, si estende la disciplina ivi contenuta14 anche ai contratti di locazione (di alloggi sociali) con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti e di vendita 15 con riserva di proprietà (sempre di alloggi sociali) . Il riferimento al “termine determinato” rende il termine medesimo contenuto essenziale di questi contratti, perdendo cosi la natura di mero elemento accidentale; la determinatezza del termine impone un riferimento ad una data precisa di calendario e può riferirsi sia al termine per l’esercizio dell’opzione spettante al conduttore, sia al termine di scadenza del preliminare, sia alla data in cui avviene l’effetto traslativo16, non potendo tuttavia protrarsi oltre il decennio dalla data di stipula del contratto. Una seconda questione attiene alla possibilità per le parti contraenti di prevedere che solo una parte del canone locatizio venga imputato a prezzo finale di vendita, dal momento che il testo della novella si riferisce all’imputazione della “parte di canone indicata nel contratto”, senza distinzioni di sorta. Sebbene autorevole dottrina17 abbia manifestato dubbi su questa possibilità, l’utilizzo dell’espressione soprarichiamata può interpretarsi a mio avviso in entrambi i significati, dovendosi ritenere che essa vada intesa come imputazione di tutto quanto pagato sino ad ora a titolo di locazione (il quantum già corrisposto per il godimento ed indicato in atto), sia quale possibilità per l’autonomia contrattuale di prevedere che una parte del corrispettivo venga pagato anticipatamente a titolo di canone locatizio, e la restante parte, che non sarebbe indicata con tale causale nel contratto, e quindi non sarebbe imputabile ad acconto prezzo in occasione della successiva vendita, serva invece a indennizzare il costruttore-venditore della dilazione di pagamento e della perdita di permette di ottenere il godimento di un bene evitando (o nonostante l’assenza di) l’intervento dell’operatore bancario, per il quale si presume non necessaria una siffatta tutela. 14 Il comma 7 dell’articolo 23 interviene inserendo un nuovo comma all’art. 8 del d.l. 28 marzo 2014 n. 47, convertito in l. 23 maggio 2014, n. 80: tale articolo prevede, con riguardo agli alloggi sociali (di cui al D.M. Infrastrutture 22 aprile 2008), la possibilità di prevederne il riscatto da parte del conduttore dopo 7 anni dall’inizio della locazione, approntando uno specifico trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive. 15 Il testo presentato dal Notariato, era decisamente più chiaro sul punto, riferendosi il dettato normativo al caso di previsione nel contratto “ …dell’obbligo per il concedente o per entrambe le parti di stipulare successivamente la vendita…”. 16 Qualora si ritenga che la novella ricomprenda anche questa ipotesi. 17 AMADIO, Rent to buy, Relazione tenuta al Convegno organizzato a Pollenzo dal Consiglio Notarile dei Distretti Notarili di Cuneo, Alba, Saluzzo e Mondovi, il 10 settembre 2014. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 60 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO chanche, dovendo tenere fermo l’immobile per il numero di anni di durata del rent to buy18. Pacifica è invece la portata applicativa della disposizione quanto ai soggetti ed ai beni oggetto di questi contratti; nel silenzio del legislatore, il ruolo di concedente e/o di conduttore potrà essere rivestito sia da persone fisiche che giuridiche, sia da imprenditori, individuali o collettivi, che professionisti o, ancora, da soggetti giuridici aventi natura associativa o fondazionale e con autonomia patrimoniale imperfetta. Relativamente ai beni oggetto di concessione in godimento, la norma non fa distinzioni; vi rientrano pertanto immobili abitativi, strumentali, locali commerciali, opifici, locali ad uso ufficio, in ciò confermando l’intento della norma di agevolare la ripresa del mercato immobiliare in tutti i comparti in cui è tradizionalmente suddiviso. Elemento qualificante della nuova disciplina è invece la previsione della trascrivibilità di detti contratti, e si richiamano gli effetti della trascrizione del preliminare di cui all’art.2645-bis, cui si aggiungono quelli connessi alla trascrizione del contratto di locazione, relativamente all’opponibilità della medesima ai terzi e/o agli aventi causa del locatore 19. A differenza di quanto prevede il 2645-bis c.c., che impone l’obbligo di procedere a trascrizione per i contratti preliminari se risultanti da atto pubblico o scrittura privata autentica, l’art. 23 del D.l. n.133/14, nel prescrivere la trascrizione dei contratti di godimento, implicitamente impone per essi la forma dell’ atto pubblico o autentico. 18 Anche in questo caso la dicitura della proposta di legge predisposta dal Notariato era più precisa, utilizzando l’espressione “ imputazione in tutto o in parte”; l’interpretazione proposta dovrà superare il vaglio giurisprudenziale, ma pare più rispettosa dell’autonomia contrattuale, lasciando alle parti di modulare il rapporto tra corrispettivo del godimento e quota non imputabile, e quest’ultima componente risulterà tanto più incidente quanto maggiore sarà la durata del rent to buy, nel limite decennale; qualora dovesse prevalere la tesi più rigorista, il rischio è che la dinamica del mercato conduca ad un prezzo di vendita più elevato per gli immobili da cedersi col previo godimento, rendendo meno conveniente l’operazione rispetto alle altre opzioni contrattuali. 19 Il richiamo generico effettuato dall’art. 23, I° c., D.L n.133/14 al 2643, comma primo, numero 8) del c.c., riferito alle locazioni ultranovennali, ai contratti di godimento in esame, la cui durata può raggiungere i dieci anni, impone di domandarsi se gli effetti duplici della trascrizione rimangono distinti oppure, come sembra, preferibile, si possano cumulare; si potranno verificare due ipotesi: contratto di durata infranovvennale, o di durata tra i nove e dieci anni; è da ritenersi che gli effetti di questa trascrizione, ossia l’opponibilità agli eventuali aventi causa del costruttore-locatore, operino anche nel caso in cui la locazione sia infranovennale; contra, tuttavia, BUSANI, “Rent to buy”, con garanzie forti per l’inquilino che acquisterà, in Il sole24ore, 16 settembre 2014, 35. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 61 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO La previsione dell’efficacia prenotativa coincidente con la durata del contratto e, comunque, decennale di detta trascrizione 20, che produce l’effetto della prevalenza della trascrizione del contratto definitivo o altro atto esecutivo del “contratto di godimento” sulle trascrizioni ed iscrizioni medio tempore intervenute a carico del proprietario-concedente, rappresenta il volano che potrà concretamente far decollare l’istituto, lamentando gli operatori economici che proprio la ridotta tutela triennale non consentiva di spalmare il prezzo di acquisto in un numero sufficientemente alto di rate, 21 tali da renderle sostenibili per la tipologia di clienti cui l’offerta veniva rivolta . Il 3° comma dell’art. 23 che qui si commenta richiama infine gli articoli 2668, quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile, a completamento delle tutele approntate al promissario acquirente, che vengono estese al conduttore con diritto all’acquisto del bene concesso in godimento; la prima norma disciplina le modalità di cancellazione della trascrizione del contratto preliminare, da seguirsi pure per i contratti “rent to buy” trascritti; la seconda attribuisce al conduttore un privilegio speciale immobiliare, qualora il contratto non abbia esecuzione, a garanzia del credito restitutorio, che abbraccerà ovviamente anche i canoni locatizi pagati, se non è stata convenuta l’acquisizione al concedente (art.23, comma 5°, d.l. citato)22; la terza precisa 20 A protezione dei rischi più ricorrenti evidenziati dalla prassi della contrattazione immobiliare: atti di disposizione sul bene concesso in godimento, atti di esecuzione compiuti dai creditori del venditore (pignoramenti e sequestri), dichiarazione di fallimento del medesimo. 21 Il termine triennale di fatto permetteva di anticipare nel canone locatizio di mercato una somma non eccedente il 30% del prezzo di vendita dell’immobile; ciò era comunque utile se la difficoltà del promissario acquirente consisteva nell’ottenere un mutuo coprente l’intero valore del bene, ma insufficiente se l’esigenza era di vendere ad un soggetto impossibilitato del tutto ad ottenere credito bancario o garanzie succedanee di terzi; la durata decennale permetterà di offrire un prodotto che risulterà maggiormente appetibile, abbassando l’acconto iniziale od il prezzo di riscatto finale. Un esempio potrà chiarire meglio: con il termine triennale, la vendita di un immobile del valore di euro 200.000,00 poteva prevedere un acconto iniziale di 15.000,00 (7,5%), un versamento mensile di 750,00 euro, di cui euro 500,00 da imputarsi ad acconto ed euro 250,00 a titolo di compenso per il godimento, ed un saldo finale di euro 167.000,00; se il contratto avesse potuto assumere durata novennale, come ora possibile, a parità di rata ed acconto iniziale, il saldo finale scende 131.000 euro; ipotizzando una rata interamente imputabile ad acconto prezzo, pari a 750,00 euro, il saldo finale si riduce ancora ad euro 104.000,00. Come si vede, il prolungamento della durata offre maggiore flessibilità agli operatori economici, e riduce la percentuale da finanziarsi ad opera dell’istituto bancario (passando dall’83,5 % del primo esempio, al 65,5% del secondo, al 52% del terzo. 22 Le condizioni di operatività del privilegio non sono pacifiche in dottrina, divisa tra chi ritiene che esso intervenga in tutte le ipotesi in cui il contratto perda in seguito efficacia (risoluzione, recesso, anellamento, nullità, ecc.), e chi propende per l’operatività soltanto in caso di IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 62 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO che l’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale prevale sulle trascrizioni anteriori, limitatamente alla quota di mutuo accollata dal promissario acquirente. Il successivo comma 4° dispone che se il contratto ha ad oggetto un’ abitazione il divieto di cui all’art. 8 del d.lgs n.122/05, a mente del quale “il notaio non può procedere alla stipula dell'atto di compravendita se, anteriormente o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull'immobile”, opera sin dalla concessione del godimento. Due questioni si pongono: la prima se detta disposizione trovi applicazione in tutti i casi di concessione in godimento del bene o soltanto quando sussistano i presupposti per applicare la normativa in tema di acquisto di immobile da costruire; la seconda se il mancato richiamo di altre disposizioni significhi che esse non rilevano per i contratti di rent to buy; al primo quesito il consiglio nazionale, nelle note di primo commento, ha risposto sostenendo la tesi che si tratti di norma eccezionale non suscettibile di interpretazione estensiva; al secondo, la natura quasi “reale” del godimento attribuito al locatore, e le aspettative ad esso connesse, rendono plausibile l’applicazione della norma (artt. 2 e 3 del d.lgs n.122/05, cit.) che cosi porrebbe a carico del costruttore-venditore l’obbligo di consegna della fideiussione a garanzia della restituzione dei canoni locatizi 23 che sarebbero stati imputati ad acconto prezzo se il risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore; nella fattispecie in esame, è tuttavia pacifico che la tutela investe i canoni locatizi corrisposti che avrebbero dovuto in seguito essere imputati ad acconto prezzo, qualora non si addivenga al trasferimento della proprietà, purchè gli effetti della trascrizione non siano cessati. La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha tuttavia affermato la cedevolezza di detto privilegio nei confronti del credito garantito da ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare (Cass., Sez. Un., 21145/09), in primis quella iscritta dall’ente finanziatore il cantiere. 23 Ad avviso di chi scrive la novellata irrinunciabilità a detta garanzia ad opera dei contraenti (per effetto dell'introduzione del comma 1 bis dell'art.5 del d.lgs 122/2005 in esito all'entrata in vigore della legge 23 maggio 2014 n. 80 di conversione del D. L. 28 marzo 2014 n. 47 l'acquirente non può rinunciare alle protezioni di legge: ogni clausola contraria è nulla e deve intendersi come non apposta) rafforza la conclusione raggiunta; nel contratto andranno pertanto citati gli estremi della polizza fideiussoria menzionando la restituzione della medesima in sede di stipula del trasferimento definitivo dell’abitazione. E’ pur vero che la norma trova applicazione soltanto nel caso di immobile ancora da costruire, ma nella prassi non è infrequente che venga attribuito il possesso di beni per il quale non è ancora stato presentato il fine lavori o decorso il termine per il perfezionamento dell’agibilità; in questi casi, si ritiene che i canoni locatizi versati vadano “ garantiti” dalla polizza fideiussoria. Quanto all’impossibilità per il notaio di stipulare se non previo frazionamento o svincolo IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 63 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO contratto si fosse definitivamente concluso. Il comma 6 dell’art. 23 contiene una specifica disciplina, sempre nella logica di garantire tutela legale all'altro contraente, per le ipotesi in cui una delle parti venga sottoposta a fallimento: la disposizione, volta a contemperare l’interesse del ceto creditorio con quello di assicurare la stabilità dei rapporti giuridici, rinvia agli articoli 67, comma 3, lettera c) della Legge Fallimentare (escludendo la revocatoria a tutela della posizione del conduttore con diritto all’acquisto che abbia trascritto) e 72 della L.F. stessa, così rimettendo al curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, la valutazione relativa all’opportunità di continuare il rapporto; tale rinvio comporta l’applicazione anche degli ultimi due commi dell’art. 72 L.F., i quali assicurano una particolare tutela al promissario acquirente che abbia trascritto il proprio titolo: si deve ritenere, pertanto, che la medes ima tutela spetti al contraente di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, debitamente trascritto, cui sia stato attribuito il diritto di acquistare. La previsione del ricorso all’art. 2932 c.c. rafforza ulteriormente la tutela, essendo tuttavia dubbio se questo rimedio soccorra sempre, ossia sia messo a disposizione del solo conduttore-promissario acquirente. Si ritiene, coerentemente con l’impostazione che la novella ricomprenda anche l’ipotesi in cui il rent to buy sia modulato prevendendo un obbligo a carico del conduttore di concludere il trasferimento della proprietà, che la tutela giudiziale sia azionabile da entrambi i contraenti in alternativa al rimedio risolutorio. Ultimo, ma non meno importante, il disposto contenuto nel secondo capoverso del comma 3 dell’articolo 23 in commento, che rinvia alle disposizioni in tema di usufrutto quanto all’obbligo di prestare l’inventario o idonee garanzie in capo al conduttore, quanto alla ripartizione di spese tra usufruttuario e nudo proprietario, dell’ipoteca, è ragionevole pensare che difficilmente sarà possibile ottenere lo svincolo ipotecario, non avendo il costruttore le risorse per ridurre l’importo del mutuo e non potendogliele fornire il locatore; più probabile il frazionamento in quote del mutuo, ma l’assenza del recepimento del testo di legge del notariato che legittimava come modalità di pagamento dei canoni locatizi l’accollo del mutuo, renderà non agevole la gestione del rent to buy in presenza di immobili ipotecati. Potranno verificarsi due ipotesi: oltre al, si reputa raro, caso in cui il costruttore svincoli l’immobile da concedere in godimento (è ciò accadrà quando la Banca finanziatrice non chieda somme rilevanti per assentire allo svincolo medesimo), nell’evenienza del previo frazionamento del mutuo in quote, l’accollo troverà diffusione solo qualora le condizioni del mutuo accollato siano competitive rispetto ad un contesto attuale di tassi di interesse quasi negativi; in assenza di accordo sull’accollo occorrerà assicurare con apposite clausole che il costruttore-venditore utilizzi la provvista derivante dal canone locatizio per saldare le rate del mutuo, onde evitare che al momento del riscatto, il debito da mutuo sopravanzi il prezzo finale del trasferimento. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 64 RELAZIONI A CONVEGNI CONTRATTI DI GODIMENTO nonché, infine, alle azioni relative alle servitù ed alle spese per le liti (art.2012 e 2013); tale rinvio obbligato, e non solo sussidiario in assenza di una disciplina derogatoria scelta dai contraenti, come previsto nella proposta di legge presentata dal Notariato, pare troppo drastico e giustificato unicamente dall’intento di chiarire per converso che a dette tipologie contrattuali non trovano applicazione le norme vincolistiche dettate in tema di locazione. La redazione dell’inventario e la prestazione della garanzia sono dispensabili ed è ragionevole ritenere che ad esso si farà raramente ricorso, salva la sola circostanza in cui il rent to buy riguardi un immobile arredato, e che la prestazione della garanzia, preclusiva dell’ottenimento del possesso, verrà più probabilmente sostituita da una polizza assicurativa relativa ai danni eventualmente cagionati all’immobile concesso in godimento, polizza di cui pare opportuno, se fornita, far menzione in atto. 24 Il richiamo alla disciplina dell’usufrutto presenta un corollario di ordine più sistematico, ossia la progressiva attenuazione del confine tra il diritto personale di godimento ed il diritto reale, percorso iniziato anni fa con la questione della risarcibilità per fatto illecito di tale tipologia di diritti. Il tema, e le conclusioni che verranno accolte in giurisprudenza, non sono indifferenti al notaio, quanto alle conseguenze sulle menzioni in atto; se infatti si affermasse che il diritto al godimento attribuito al futuro acquirente ha natura “quasireale”, al contratto notarile che lo prevede e “costituisce” troveranno applicazione gli obblighi in tema di conformità catastale, di menzioni urbanistiche, di allegazione 25 dell’attestato di prestazioni energetiche . 24 In tema di T asi, ci si può chiedere se il concessionario del godimento sia equiparabile a d un conduttore e, quindi, soggetto passivo della T asi pro-quota oppure se sia il tributo interamente a suo carico come accade all’usufruttuario. 25 Che in ogni caso sussiste anche per le nuove locazioni, e pertanto andrà allegato al contratto di concessione in godimento; quanto alla verifica della conformità catastale, la menzione di detti obblighi in capo al concedente pare opportuna, e il Notaio non potrà trascurare questo aspetto, cosi come la sussistenza della verifica urbanistica, atteso che lo scopo più volte evidenziato è di attribuire ai prossimi acquirenti l’immediata detenzione del bene, con particolare riguardo alla sussistenza dei requisiti di agibilità. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 65 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI (CASSAZIO NE CIVILE, 25 NO VEMBRE 2013, N. 26283, SEZIO NI UNITE) La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. di ENRICO GOITRE La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento1, ha aggiunto una tessera importantissima2 al mosaico della disciplina della responsabilità degli amministratori di società pubbliche, affermando la sussistenza della giurisdizione contabile sulla responsabilità dei gestori di società in house. Non è tanto l’esito, però, a risultare interessante, quanto piuttosto il modus con cui la Corte vi è pervenuta: ovvero squarciando il velo della personalità giuridica delle società c.d. in house 3. Nel caso oggetto di giudizio era in discussione la responsabilità di alcuni soggetti, rispettivamente il direttore generale, il sindaco e l’amministratore unico di una società interamente partecipata dal comune di Civitavecchia. I tre erano stati convenuti dal Procuratore della Repubblica presso la Sezione Giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti, per aver cagionato un danno alla società nell’esercizio delle proprie 1 Non ci si può esimere dal segnalare, sulla medesima pronuncia, gli autorevoli contributi di IBBA, Responsabilità erariale e società in house, 2014, II, 13; SALVAT O, Responsabilità degli organi sociali delle società in house, in Fallimento, 2014, 1, 33; FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società in house providing, in Società, 2014, 1, 55; e la nota di BIANCHINI, Società in house: sui danni al patrimonio decide la Corte dei Conti, in www.altalex.it. 2 FIMMANÒ, op. cit., non esista ad usare il termine “ epocale”. 3 Questa è l’opinione, assolutamente condivisa, di FIMMANÒ, op. cit.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 66 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE funzioni. Condannati in prima istanza alla rifusione dei danni, i convenuti avevano in seguito adito la Corte dei Conti, che aveva ritenuto che “l’azione per risarcimento dei danni da mala gestio nei confronti degli organi di una società di diritto privato, ancorchè 4 partecipata da soci pubblici” , rientrasse nella sfera di giudizio del giudice ordinario, dichiarando pertanto il proprio difetto di giurisdizione. Una volta impugnata la decisione di fronte alla Cassazione, la Suprema Corte a sezioni unite si è trovata a decidere a quale giurisdizione, se a quella ordinaria o a quella contabile, dovesse spettare la decisione sulla responsabilità dei tre convenuti. Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione si è senza dubbio fatta carico di una “avvertita esigenza socio-economica” 5, date l’assenza di una precisa statuizione legislativa sul punto e la centralità acquistata negli ultimi in anni dal modello dell’in house providing: e non si può escludere che la decisione in commento sia stata in qualche modo sollecitata dalle Procure presso la Corte dei Conti, che da tempo chiedevano alla Suprema Corte di rivedere il proprio “consolidato orientamento”6 in proposito, sottraendo al generico schema civilistico dell’azione di responsabilità il sindacato sulle condotte degli amministratori di società pubbliche, che da qualche decennio a questa parte hanno scalzato enti pubblici economici ed aziende autonome dal loro antico ruolo di gestione dei servizi pubblici 7. Nell’incipit della propria sentenza, la Cassazione premette di essersi già ripetutamente espressa sul tema della giurisdizione contabile “in materia di 4 Così la sentenza, nella ricostruzione dei fatti. FIMMANÒ, op. cit.. 6 Così ancora FIMMANÒ, op. cit., che fa esplicito riferimento a Cass. S.U., 3 maggio 2013, n. 10299, in Società, 2013, 974, con nota di FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società pubbliche, il quale afferma: “ Nella fattispecie concreta la Procura contabile sollecita la revisione del consolidato orientamento dei giudici di legittimità, evidenziando come condizionamenti di carattere politico finiscano col rendere altamente improbabili iniziative degli organi societari davanti al giudice ordinario” (volte a far valere la responsabilité degli amministratori in sede di giurisdizione ordinaria. Opinione, questa, non condivisa da IBBA, op. cit., 19, il quale ritiene “ un diffuso luogo commune” la tesi secondo cui “ escludere l’azione di responsabilità erariale nei confronti degli amministratori (equivarrebbe, ndr) a fornire una comoda scappatoia da qualunque responsabilità”: la Suprema Corte, già con la sentenza 26806 del 2009, ha infatti sancito espressamente l’esperibilità dell’azione contabile verso il rappresentante dell’ente pubblico che trascuri di esercitare i proprio diritti di socio, omettendo di azionare la responsabilità civilistica ordinaria dell’amministratore negligente davanti al giudice ordinario. Verrebbe meno quel vuoto di tutela che, almeno nella ricostruzione della Suprema Corte operata nella sentenza in esame, conseguirebbe alla non attrazione alla giurisdizione contabile della responsabilità degli amministratori. 7 Così SAL VAT O, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2010, 5, 603. 5 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 67 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE responsabilità di gestori ed organi di controllo” e ripropone, in seno alla decisione che le viene chiesto di prendere in quella sede, il proprio orientamento sul punto, che la sentenza n. 26806/20098 ha cristallizzato9. La posizione della Suprema Corte, oggi consolidata ma espressa per la prima volta in quell’occasione, merita di essere brevemente riassunta. Il punto di partenza del ragionamento della Corte nel 2009 era stato l’art. 103 10 della Costituzione : si ha giurisdizione del giudice contabile non solo in materia di contabilità pubblica, ma anche in ogni altro ambito specificato dalla legge. Il limite della giurisdizione della Corte dei Conti in tema di responsabilità, fissato originariamente dal R.D. 12 luglio 1934 11, era successivamente stato ampliato dalla L. 14 gennaio 1994, n. 20, che aveva configurato una responsabilità (non solo contrattuale ma anche) extracontrattuale degli amministratori di società pubbliche 12. Salva la giurisdizione della Corte dei Conti (mai messa in discussione) sulla condotta dei gestori di enti pubblici economici 13, “i quali restano nell’alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici” 14, il dilemma sull’alternativa tra giurisdizione contabile ed ordinaria si poneva invece “nel diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico”: si trattava di capire se il danno arrecato ad un soggetto di diritto privato, quale è una società di capitali, dalla condotta di un proprio gestore, potesse integrare quel pregiudizio al patrimonio pubblico necessario per attivare la giurisdizione contabile. 8 Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806, in Foro It., 2010, 5, 1, 1473, con nota di D'AURIA. La Corte del 2013 richiama infatti le principali sentenze “ eredi” di Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806 e dei principi da questa affermati. Si tratta di: Cass. S.U. 25.3.2013, n. 7374, in www.diritto24.ilsole24ore.com; ID., 15.1. 2010, n. 519, in Società, 2010, 803, con nota di GHIGLIONE e BIALLO; ID., 9.4.2010, n. 8429 in Società, 2010, 1177, con nota di CAPRARA; ID., 25.2.2011, n. 4655; ID., 16.7.2010, n. 16286; ID., 12.10.2011, n. 20940; ID., 12.20.2011, n. 20941. 10 Secondo il quale “ la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. 11 Che al proprio art. 13, comma 2, recita: “ La Corte (…) giudica sulle responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari, retribuiti dallo Stato, nell'esercizio delle loro funzioni”. 12 T ale legge, al proprio art. 1, comma 4, aveva infatti esteso la responsabilità di amministratori e funzionari ai danni arrecati ad amministrazioni diverse da quelle di appartenenza. 13 Soggetti di diritto pubblico, ma “titolari d’impresa”, come ricorda CASETT A, Compendio di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2010, 157. 14 Così Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806. Sul punto si veda anche FIMMANÒ, Le società pubbliche: ordinamento, crisi ed insolvenza, Giuffrè, 2011, 291; e ID., Il fallimento delle società pubbliche, in www.ilcaso.it. 9 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 68 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE La sentenza n. 26806 aveva stabilito, agendo come uno spartiacque 15 sul punto, – si perdoni la brutalità della sintesi - che si deve ritenere operante la giurisdizione del giudice contabile qualora il pregiudizio incida direttamente sul patrimonio pubblico, assurgendo a danno c.d. erariale; mentre si ha giurisdizione ordinaria nel caso in cui il danno al patrimonio pubblico sia un mero riflesso del danno al patrimonio della società che, come la Suprema Corte aveva in quell’occasione lapidariamente sentenziato, “è e resta privato”. Non sembra possibile revocare tale conclusione. Non si trovano appigli utili, in questo senso, nel Codice Civile, che dedica alle società per azioni pubbliche il solo art. 16 2449 c.c. , che comunque non vale a configurare “uno statuto speciale per dette società” 17, almeno per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori. Né sembrano raggiungibili conclusioni differenti per la società a responsabilità limitata pubblica: nell’assoluto silenzio normativo, la Relazione al Codice 18 sembra predicare la natura nettamente privata delle società costituite da enti pubblici in qualsias i forma, azionaria o a responsabilità limitata. Tantomeno il principio espresso dall’art. 2449 c.c. viene messo in discussione dalle disposizioni speciali successive alla sentenza del 2009, che negli ultimi anni il legislatore ha gettato sulla scena delle società pubbliche (contribuendo, nel caso se ne avvertisse il bisogno, a renderla ancora più complessa), che la Corte, nella sentenza in epigrafe, definisce “frammentarie e disorganiche” 19 e alle quali “non può essere in alcun modo attribuita una valenza di ordine generale”: se non diversamente disposto, pertanto, la disciplina delle società a partecipazione pubblica riposa sulle disposizioni del Codice Civile, che le conferma soggetti di diritto privato. 15 Così FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società in house providing, cit.. “ La scarna disciplina (contenuta nell’art. 2449 c.c., ndr) rispondeva (…) alla volontà di assoggettare le società a partecipazione pubblica al diritto societario comune, come sottolineato nella Relazione al Codice”, C.c. art. 2449, in C.c. commentato, in www.leggiditalia.it. 17 Così ancora la sentenza 26806 del 2009. 18 Relazione al Codice Civile, artt. 2458 ss., par. 998, dove si afferma che “ è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici”. 19 Ci si riferisce ad una serie di recenti interventi normativi, espressamente citati in sentenza: il D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, che ha incluso le società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni a “ cui si estende l’opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell’approvvigionamento di beni e servizi” (così, testualmente, la Corte nella sentenza in epigrafe); al D.L. 10 ottobre 2010, n. 174, art. 3, il quale, intervenendo sul T UEL, ha assoggettato le società a partecipazione pubblica alla redazione di un bilancio consolidato con l’ente socio, e a penetranti controlli da parte di quest’ultimo; al D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, che ha dettato norme sulle retribuzioni di amministratori e dipendenti di società pubbliche. 16 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 69 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE Non resta, da ultimo, che cercare una risposta al quesito che ci si è posti nei “profili sistematici” 20 dell’ordinamento giuridico, che sembrano però anch’essi deporre univocamente per la natura privata (e, in quanto tale, distinta dall’ente socio) delle società a partecipazione pubblica: <<Si dovrà ragionare che uno dei criteri ordinanti del sistema giuridico (… ) è quello dell’autonomia soggettiva e patrimoniale delle società, soprattutto delle società di capitali, che ne fa delle entità ben distinte rispetto ai soci>>21 . Se, come ha fatto la Cassazione, riteniamo operante tale principio, siamo indotti ad una duplice conclusione. La separazione soggettiva tra società e socio non permette, in prima istanza, di configurare quel rapporto di servizio tra ente ed amministratore che permetterebbe di attivare la giurisdizione contabile sulla responsabilità di questo verso quello. In secondo luogo, nel nostro ordinamento i beni conferiti al capitale o al patrimonio sociale cessano di essere di proprietà dei conferenti, privati o pubblici che siano, per appartenere esclusivamente alla conferitaria. Ecco che, alla luce di tale principio, non basta rilevare il coinvolgimento di risorse pubbliche nella cattiva gestione degli amministratori per denunciare un danno erariale, ovvero un danno diretto al patrimonio pubblico: la cattiva gestione dell’amministratore di società pubblica, infatti, pregiudica il patrimonio della società, “che di per sé non è un ente pubblico”, e non quello del socio22. È la stessa Corte a puntualizzare che, al contrario, quando il pregiudizio al patrimonio pubblico sia diretto, si è in presenza di un danno erariale, come avviene nel caso di danno all’immagine della PA, “la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione del giudice contabile è 23 confermata dal disposto della L. 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 30ter” . 20 RORDORF, Le società partecipate fra pubblico e privato, in Società, 2013, 12, 1326. RORDORF, op. cit., 1327. 22 “I danni causati ad una società partecipata pubblica a causa della mala gestio da parte dei suoi organi sociali o comunque da atti imputabili a tali organi o dipendenti (non rientrano nella, ndr) giurisdizione della Corte dei conti, in quanto tali danni si risolvono in un pregiudizio gravante sul patrimonio della società, quale soggetto privato, e non sul socio pubblico”, Cass. S.U. Ordinanza, 12.10.2011, n. 20941, in Giornale Dir. Amm., 2011, 12, 1334. Si veda sul punto anche LIMENT ANI, VERONELLI, Danni per mala gestio degli organi sociali, in Giornale Dir. Amm., 2011, 12, 1334. 23 L’art. 30ter recita: “ Le procure regionali della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine subito dall'amministrazione nei soli casi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. Per danno erariale perseguibile innanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti si intende l'effettivo depauperamento finanziario o patrimoniale arrecato ad uno degli organi previsti dall'articolo 114 della Costituzione o ad altro organismo di diritto pubblico, illecitamente cagionato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile. L'azione e' esercitabile dal pubblico ministero contabile, a fronte di una specifica e precisa notizia di danno, qualora il danno stesso sia stato cagionato per dolo o colpa grave. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al 21 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 70 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE Né si può pensare di trasporre in seno alle società in house il patrimonio giurisprudenziale sedimentatosi relativamente agli enti pubblici economici: la giurisprudenza, ricorrendo ad un approccio “sostanzialistico”24 al tema della responsabilità di amministratori di tale genere di enti pubblici, ha infatti ritenuto soggetti al giudizio contabile gli agenti della PA funzionalmente inseriti nell’ente medesimo, a prescindere dallo strumento contrattuale con cui fosse stato costituito il 25 rapporto o dalla natura, privata o pubblica, dell’agente medesimo , sostituendo “ad un criterio eminentemente soggettivo, che identificava l’elemento fondante della giurisdizione della Corte dei Conti nella condizione giuridica pubblica dell’agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate” 26. Ad oggi non sembra in sostanza possibile sottrarsi all’alternativa per cui o ci si trova di fronte ad un ente pubblico economico 27 o, salva l’espressa attribuzione ex lege alla giurisdizione contabile 28, non è possibile superare la distinzione tra patrimonio del socio e patrimonio della società, ancora cardinale nel diritto societario contemporaneo. Confermando la validità dei propri orientamenti espressi in passato, e tenendo pertanto fermo che la lesione del patrimonio di una società di diritto privato non possa, per sé stessa, integrare un danno erariale, la Corte si domanda se le medesime conclusioni possano valere per le società in house e, procedendo nel proprio presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”. 24 Così Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806. 25 Così, ex multis, Cass. S.U., Ord., 03.07.2009, n. 15599, in Giornale Dir. Amm., 2010, 2, 135, nota di VIT ALE. Si veda, sulla stessa pronuncia, VIT ALE, La Cassazione, il rapporto di servizio e la re sponsabilità amministrativa di soggetti privati, in Giornale Dir. Amm., 2010, 2, 135. 26 Così ancora la sentenza 26806 del 19.12.2009 27 Secondo la Corte, nell’ordinamento sarebbe presente un principio di ordine generale, esplicitato dall’art. 4 della L. 20 marzo 1975, n. 70, per cui “ nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”: le società in house, quindi, non possono essere trasformate in enti pubblici economici in via interpretativa, non sorretta da un dato normativo puntuale. 28 Come è invece stato affermato per le società di fonte legale, “ regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica”. È il caso della RAI: si veda Cass. S.U., 22.12.2009, n. 27092, Foro It., 2010, 5, 1, 1472 nota di D'AURIA. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 71 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE ragionamento, differenzia queste ultime dalle società pubbliche in genere, con una tecnica che ricorda il distinguishing 29 anglosassone 30. Giunti a questo punto, prima di procedere con l’analisi della decisione in epigrafe, è indispensabile una breve digressione sulla natura delle società in house. 31 La direttiva 2006/123/CE , lasciando libertà agli Stati di decidere le modalità organizzative della prestazione dei servizi d’interesse economico generale, ha legittimato l’attuale varietà delle forme di organizzazione dei soggetti prestatori, che va dall’affidamento a società estranee alla PA, all’affidamento alle società con azionariato misto, in parte pubblico e in parte privato, fino all’affidamento a società in house. Quando si fa riferimento all’in house providing, in particolare, ci si intende riferire ad una situazione in cui un ente, piuttosto che rivolgersi al mercato, affida la gestione di un proprio servizio ad un soggetto “che si trova in rapporto di sostanziale subordinazione rispetto all’ente affidante, seppur dotato di autonoma personalità giuridica rispetto a quest’ultimo”32. Il legislatore italiano non si è mai curato di istituire un modello legale (e, conseguentemente, tipico) di società in house, la giurisdizione sulla quale avrebbe potuto essere affidata ex lege alla Corte dei Conti33. Tali società sono pertanto, ad oggi, una figura di diritto pretorio34 (assai articolata! 35), che affonda le proprie origini nell’ordinamento britannico 36 ma apparsa prepotentemente nel panorama giuridico 29 Il termine è preso in prestito dalla tradizione di common law. Si veda, sul punto, G. AJANI, Sistemi giuridici comparati, Giappichelli, Torino, 2006, 191. 30 In ciò la Corte pare – almeno secondo chi scrive - discostarsi in modo netto dal proprio tradizionale orientamento. La medesima opinione è stata espressa, ben più autorevolmente, da IBBA, op. cit., 14: “ A questo punto la sentenza, tenuta ferma la regola generale, vi introduce un’eccezione relativamente alle società in house, in ciò a mio avviso allontanandosi dall’orientamento precedente, nel quale le eccezioni erano state finora limitate (…) a fattispecie ben diverse, ed erano state fondate su argomentazioni (…) ben diverse da quelle ora utilizzate”. 31 Su cui si veda ex multis CAMILLI, Il recepimento della direttiva servizi in Italia, in Giorn. Dir. Amm., 2010, 1239; FONDERICO, Il manuale della Commissione per l’attuazione della direttiva servizi, in Giornale Dir. Amm., 2008, 921. 32 LEGGIADRO, Affidamento in house della concessione per la gestione di una rete di teledistribuzione: controllo analogo e controllo pubblico, in Urbanistica e appalti, 2009, 285. 33 Come auspicato da FIMMANÒ, La giurisdizione sulle società in house providing, cit.. 34 Come afferma MARENA, Problematicità dell’in house frazionato e vexata quaestio circa i rapporti tra società miste e società in house, alla luce del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, in Corr. Giur., 2010, 399. 35 Sulle differenti tipologie di in house individuate da dottrina e giurisprudenza si veda MAZZAMUTO, L’apparente neutralità comunitaria sull’autoproduzione pubblica: dall’in house al partenariato pubblico-pubblico, in Giur. It., 2013, 6. 36 Così DE PAULI, Gli enti in house e l’evidenza pubblica a valle, in Urbanistica e appalti, 2009, 1104. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 72 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE continentale dopo la sentenza Teckal37, con cui la Corte di Giustizia ha negato la sussistenza, in capo all’ente affidante un servizio pubblico, dell’obbligo di promuovere procedure di gara 38 qualora l’affidamento sia fatto a società che presentino alcuni 39 requisiti, cumulativi tra loro . La società affidataria deve innanzitutto essere soggetta ad un controllo particolarmente stringente da parte dell’ente 40, in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico sui propri servizi41. Deve, infine, esercitare in favore dell’ente la parte più importante della propria attività42. 37 Corte di Giustizia, 18.11.999, C-107/98. Il che ha procurato alle società in house alcune severissime critiche della dottrina: si veda, su tutti, FIMMANÒ, La società in mano pubblica, anche se in house, è soggetta alle procedure concorsuali, in Fallimento, 2013, 1290, il quale vede, dietro al modello della società in house, il “mero obiettivo di conservare la sacca del privilegio derivante dall’affidamento diretto della gestione di attività e servizi pubblici a società partecipate, in deroga ai fondamentali principi della concorrenza tra imprese e della concorrenza”. L’art. 23bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 aveva provato a ridurre il peso delle società in house, rendendo l’affidamento diretto eccezionale e derogatorio rispetto al modello dell’evidenza pubblica: il referendum del 2011 aveva comunque frustrato tale tentativo, ridando centralità al sistema dell’in house providing. Si vedano LEGGIADRO, Gli affidamenti in house alle società pubbliche pluripartecipate, in Urbanistica e appalti, 2011, 957, che legge nel D.L. 112/2008 la manifestazione di un certa “ diffidenza” dell’ordinamento interno verso il modello dell’in house providing; VOLPE, La Corte CE continua la rifinitura dell’in house. Ma il diritto interno va in controtendenza, in Urbanistica e appalti, 2010, 38; DELLO SBARBA, La compatibilità degli affidamenti in house con l’art. 23bis D.L. 112/2008: il g.a. anticipa l’art. 15, D.L. 135/2009, in Urbanistica e appalti, 2010, 227; e BELLONI, Le prospettive di evoluzione strategico-istituzionale delle società in house, in Azienditalia, 2010, 206, che aveva previsto, a seguito del D.L. 112/2008, “la cessazione degli affidamenti diretti di servizi pubblici locali alle società in house”. 39 È bene precisare che solo i primi due dei tre requisiti elencati nel testo sono stati individuata dalla sentenza T eckal. Si veda sul punto CARANT A, La Corte di Giustizia chiarisce i contorni dell’in house pubblico, in questa Giur. It., 2009, 5, 1254. 40 La sentenza Corte di Giustizia, 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen, ha in proposito affermato che, in assenza di specifiche riserve statutarie che conferiscano particolari attribuzioni all’ente socio, gli ordinari poteri che il diritto societario pone in capo ai soci di maggioranza non sono sufficienti a configurare una situazione di controllo analogo. T ant’è che, ove il consiglio d’amministrazione della società pubblica disponga “ della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale, i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”, RIZZO, op. cit.. 41 Si rimanda al punto 50 della sentenza T eckal. Il medesimo principio è stato in seguito ribadito nel caso Arge Gewässerschuzt (Corte di Giustizia, 7.12.2000, C-94/99, in Foro It. Rep., 2001, sub Unione Europea, 1127), per poi entrare a far parte dell’acquis interpretativo della Corte comunitaria: si vedano, più recentemente, Corte di Giustizia, 10.9.2009, C-573/07, Sea, in Giornale Dir. Amm., 2010, 127, nota di GIORGIO; e Corte di Giustizia, 29.11.2012, C-183/11, 38 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 73 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE La giurisprudenza che ha seguito la sentenza Teckal ha richiesto che il soggetto affidatario sia interamente43 partecipato dall’ente pubblico 44 (o da più enti pubblici Econord, in Giornale Dir. Amm., 2013, 495, nota di MENT O. Il controllo sulla società in house, formalmente distinta dall’ente partecipante, deve essere talmente forte da configurare un rapporto assimilabile, di fatto, a quello che lega l’ente ai propri uffici interni: come è stato affermato, “ l’in house providing evidenzia un modello di organizzazione in cui la pubblica amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o alle risorse ad essa necessarie mediante lo svolgimento di un’attività interna”, RIZZO, Affidamento in house e controllo analogo: una certezza irraggiungibile?, in Urbanistica e appalti, 2009, 1345. Sul punto, si vedano anche DE NICT OLIS, La Corte CE si pronuncia in tema di tutela nella trattativa privata, negli affidamenti in house e a società miste, in Urbanistica e appalti, 2005, 288; NICOLETTI, Gestioni in house: difficili o impossibili?, in Azienditalia, 2009, 685; e MIRIAM, Affidamento in house e forniture pubbliche di elicotteri: il caso Agusta, in Giornale Dir. Amm., 2008, 1247. La giurisprudenza comunitaria ha in seguito definito meglio i contorni del controllo analogo: nella sentenza C-231/03, 21.7. 2005, Coname, in Racc., I-7827, la Corte ha escluso che quote di capitale eccessivamente esigue in capo all’ente pubblico possano integrare il requisito del controllo analogo; nel caso C-295/05, 19.4.2007, Carbotermo, in Racc., I-2999, la Corte comunitaria ha affermato la possibilità di dedurre l’esercizio di un controllo analogo su di una società dal fatto che un ente possieda, da solo o congiuntamente con altri enti, l’intero capitale di quella. 42 Si veda sul punto BART OLI, Società in house providing tra vincoli pubblicistici e compatibilità con l’ordinamento societario. Il caso della Provincia di Firenze, in Azienditalia, 2008, 897. 43 Anche la Commissione Europea con la comunicazione interpretativa C-2007/6661del 5 febbraio 2008 ha ribadito come anche un’esigua partecipazione da parte di soci privati al capitale sociale impedisca l’affidamento diretto del servizio pubblico: si veda sul punto DELLA SBARBA, La compatibilità degli affidamenti in house con l’art. 23bis D.L. 112/2008: il g.a. anticipa l’art. 15, D.L. 135/2009, in Urbanistica e appalti, 2010, 227. 44 Non è mancato, in dottrina, chi ha visto in tale terzo requisito, ad avviso di chi scrive indipendente dagli altri due e dotato di dignità propria, una mera specificazione del requisito del controllo analogo: in questo senso, MENTO, Il controllo analogo sulle società in house pluripartecipate da enti pubblici, in Giornale Dir. Amm., 2013, 495. Il controllo pubblico può essere esercitato anche congiuntamente, purché soci siano solamente enti pubblici, come riconosciuto da Corte di Giustizia, 13.11.2008, C-324/07; e Cons. Stato, Sez. V, 8.3.2011, n. 1447, nota di FERRARI, T ARANT INO, Il controllo analogo nell’affidamento in house, in Urbanistica e appalti, 2011, 609: la partecipazione, anche minoritaria, di un privato, infatti, escluderebbe che l’ente affidante possa esercitare sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi. In questo senso Corte di Giustizia, 11.1.2005, C-26/03, Stadt Halle, in www.ildirittodeiservizipubblici.it. e in Foro It., 2005, IV, 134. Sul requisito della totale partecipazione pubblica, si veda anche NICOLETTI, Società (quasi) in house: i requisiti necessari, in Azienditalia, 2005, 741. Si segnala, per curiosità, che l’impatto della sentenza Stadt Halle è stato oltralpe forse più forte che in Italia: la Corte comunitaria, negando la IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 74 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE congiuntamente) 45, e che la possibilità di ingresso nella compagine sociale di quello da parte di privati sia esclusa a priori46. Ça va sans dire, qualora uno di questi requisiti manchi, riprende pieno vigore l’obbligo di gara, espressione di un principio comunitario 47 “supremo e pertanto prevalente rispetto ad ogni altro principio, norma o esigenza” . La figura è stata in seguito importata entro i confini nazionali 48, dalla giurisprudenza (ordinaria, amministrativa e contabile 49) e dallo stesso legislatore che, nel TUEL50, l’ha espressamente presa in considerazione 51. possibile partecipazione di privati al capitale sociale di società che aspirino a beneficiare di affidi diretti, ha infatti messo un freno al proliferare delle c.d. sociétés d’économie mixte locales, fino ad allora “ principale strumento di gestione dei servizi pubblici locali” anche grazie alla possibile convivenza, al loro interno, di proprietà pubblica e privata: si veda GAGLIARDI, Les sociétés publiques locales e l’in house alla francese, in Giornale Dir. Amm., 2011, 691. 45 La giurisprudenza, comunitaria e non, ha ritenuto possibile che il controllo analogo venga esercitato congiuntamente da più enti soci. Il principio, affermato per la prima volta dalla Corte di Giustizia con la pronuncia Coditel Brabant SA (Corte di Giustizia, 13.11.2008, C-324/07, nota di PROTTO, In house e controllo analogo, in Urbanistica e appalti, 2009, 17), è stato in seguito adottato anche dalle corti nazionali: si vedano, tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 8.3.2011, n. 1447, in Urbanistica e appalti, 2011, 957; ID., Sez. V, 29.12.2009, n. 8970, in Giornale Dir. Amm., 2010, 3, 280, nota di CARBONE e MEO, Requisito del controllo analogo e affidamento in house c.d. frazionato; e ID., Sez. V, 9.3.2009, n. 1365, in questa Giur. It., 2009, 10. 46 Così, tra le altre, la sentenza Stadt Halle. Dopo una timida apertura alla possibilità che lo statuto della società pubblica beneficiaria di un affido diretto consenta la partecipazione di privati al capitale (Corte di Giustizia, 17.7.2008, C-371/08, in Giur. It., 2008, 12), la Corte comunitaria ha chiuso ogni spazio ai soci privati di società in house (tra le altre: Corte di Giustizia, 10.11.2005, C-29/04, in Foro It., 2006, IV, 76; e Corte di Giustizia, 15.10.2009, C196/09). Si vedano sul punto CARANT A, La Corte di Giustizia definisce le condizioni di legittimità dei partenariati pubblici-privati, in questa Giur. It., 2010, 5: “La giurisprudenza successiva ha precisato che il concetto di controllo analogo è incompatibile con una partecipazione privata, pur se minoritaria e del tutto marginale”; e URSI, Una svolta nella gestione dei servizi pubblici locali:non c’è casa per le società a capitale misto, in Foro It., 2005, IV, 136. La netta esclusione dei privati dalla partecipazione a società in house può essere ricondotta non solo a ragioni di tutela della concorrenza, bensì al fatto che le amministrazioni si servono di tale tipo di società come di una propria articolazione interna. Ciò, evidentemente, priverebbe di senso la presenza di un privato nel capitale sociale: così MIRIAM, L’in house pluripartecipato e il caso SEA, in Giornale Dir. Amm., 2010, 127. 47 Per usare le parole di NICODEMO, Il principio della concorrenza e l’affidamento diretto, in Urbanistica e appalti, 2011, 571. 48 La spinta della giurisprudenza comunitaria non si è fatta sentire solamente all’interno dei confini italiani. Di indubbio interesse, in questo senso, la riforma francese del servizio pubblico locale del 2010, illustrata da GAGLIARDI, Les sociétés publiques locales e l’in house providing alla francese, in Giornale Dir. Amm., 2011, 6, 691. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 75 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE Dei tre requisiti, però, è il controllo analogo in particolare a rendere “evidente l’anomalia del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario”52; ed è proprio all’altezza del controllo analogo che si decide (nel senso anticipato in premessa) la questione esaminata dalla sentenza in esame. 53 La Corte, nello sviluppo del proprio ragionamento , afferma che il controllo analogo porrebbe gli amministratori della società in house, assolutamente privi di un potere decisionale proprio54, in una posizione di vera e propria subordinazione gerarchica verso l’ente pubblico socio, il che risulterebbe decisivo ai fini dell’attrazione alla giurisdizione contabile della responsabilità degli organi gestori di questo peculiare genere societario: <<Il ragionamento (della Corte, ndr) (…) è incentrato nei seguenti due passaggi: se c’è controllo analogo, come nelle società in house dev’essere, ciò significa che gli amministratori della società sono assoggettati a un vincolo di subordinazione gerarchica da parte dell’ente pubblico socio, quindi è configurabile un rapporto di servizio fra loro e la pubblica amministrazione; se gli amministratori, per quanto appena detto, non hanno alcuna autonomia decisionale, ciò significa che la società non è un centro d’interessi suoi propri, quindi non c’è alterità soggettiva fra essa e l’ente pubblico socio, quindi essa non 49 Sul punto di sicuro interesse le ricostruzioni di T RUDU, L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato traccia i limiti normativi agli affidamenti in house, in Azienditalia, 2008, 827; e VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale. Un caso di convergenze parallele?, in Urbanistica e appatli, 2008, 1401. 50 D.Lgs. 267/2000, all’art. 113, comma 4. Si vedano in proposito POZZOLI, Società in house e controllo analogo, in Azienditalia, 2005, 458, che legge nella nuova formulazione dell’art. 113, successiva alla Finanziaria del 2002, la volontà di riproporre “ la vecchia azienda municipalizzata”; e POLETT INI, In house providing e concorrenza, in Dir. Industriale, 2009, 157. 51 Si vedano le perplessità espresse da FIMMANÒ, op. cit., sulle possibilità di applicare la pronuncia Teckal, che riguardava un consorzio tra comuni, alle società. 52 Così la sentenza in epigrafe. 53 Si noti, peraltro, il passaggio con cui la Corte, negando in radice la natura imprenditoriale delle attività svolte dalle società in house, si smarca da quanto affermato nella propria sentenza Cass., 6.12.2012, n. 21991, nella quale aveva ribadito la natura di imprenditore commerciale delle società costituite nelle forme previste dal Codice. 54 Il potere degli organi gestori delle società in house sarebbe, a detta della Corte, talmente ridotto da non poter rientrare nemmeno nello spettro applicativo degli artt. 2497 e seguenti del Codice, in tema di etero direzione; né in quello dell’art. 2468 c.c., che non configurerebbe un rapporto “ di natura gerarchica”. Nel primo caso, secondo la Suprema Corte, residuerebbe sempre in capo all’amministratore di società eterogestita un margine di autonomia; nel secondo caso, i diritti particolari riguardanti l’amministrazione attribuibili al singolo socio di SRL non pregiudicherebbero il prevalente dovere del socio medesimo di perseguire l’interesse sociale. Sul punto si veda FIMMANÒ, op. cit., che critica severamente la posizione della Corte, ritenendo anzi che il fenomeno dell’in house rappresenti in re ipsa una violazione della normativa in materia di eterodirezione societaria. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 76 COMMENTI A SENTENZE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ IN HOUSE può considerarsi titolare del (così detto) patrimonio sociale, che va configurato come un m ero patrimonio separato di cui è titolare l’ente pubblico: il danno a quel patrimonio, quindi, è un danno 55 erariale>> . Le società in house appaiono pertanto, almeno nella ricostruzione operata dalla Cassazione, più come un’articolazione della PA (una “longa manus”, come le definisce la Corte), che come soggetti autenticamente esterni e separati dall’ente pubblico. Ciò consente ai giudici della Suprema Corte di far prevalere quell’approccio sostanziale che 56 era stato predicato in dottrina , squarciando il velo della distinzione tra l’ente ed il soggetto affidatario del servizio. Le regole di matrice societaria degradano così ad una funzione meramente residuale: fornire il paradigma organizzativo della società in house “in mancanza di più specifiche disposizioni di segno contrario” 57 (che, per inciso, quasi sempre mancano). E se viene meno la separazione soggettiva, allora anche la distinzione tra i rispettivi patrimoni non può porsi “in termini di distinta titolarità”58. Da ciò discende, evidentemente, che ogni danno inferto al patrimonio di società in house pregiudica un patrimonio sì separato da quello dell’ente, ma di cui l’ente pubblico è pur sempre titolare: “è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”59. La dottrina è divisa nel giudizio dell’arresto della Cassazione: se alcuni 60 da tempo auspicavano un intervento giurisprudenziale che sottraesse ai meccanismi che ordinariamente governano la responsabilità gestoria le azioni contro gli amministratori di società in house, altra parte degli autori61 ha duramente contestato l’arresto giurisprudenziale che si è tentato di esaminare, proponendo piuttosto di inquadrare la situazione all’esame della Corte nel disposto dell’art. 2497 c.c.: <<(…) Laddove si verifi chi questa ipotesi di controllo "analogo", contemplato dalle sezioni unite, ci troviamo di fronte ad un caso di violazione, in r e ipsa, delle regol e dettat e dal codice civile in tema di direzione e cordinamento, fonte di responsabilità diretta verso soci e creditori ex art. 2497, c.c., ed inoltre di responsabilità risarcitoria "aggiuntiva" di "chi abbi a comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi abbia consapevolmente tratto benefi cio" (art. 2497 comma 2, c.c.)>>62 . 55 IBBA, op. cit., 14. In questo senso RORDORF, op. cit.. 57 Così la sentenza in epigrafe. 58 Ancora così la sentenza esaminata. 59 Così la Corte nella sentenza in commento. 60 Come RORDORF, op. cit.. 61 Su tutti, FIMMANO’, La giurisdizione sulle società in house providing, cit.: “ (…) Non è certo ipotizzabile, in assenza di norma espressa, considerare la società in house un patrimonio separato sprovvisto di autonoma personalità e di alterità soggettiva rispetto al socio”. Nello stesso senso IBBA, op. cit., 13. 62 FIMMANO’, La giurisdizione sulle società in house providing, cit.. 56 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 77 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE NO RMATIVA D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 – Con il D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, recante “misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti” (cd. Investment compact), sono state introdotte, tra le altre: • alcune variazioni al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), per quanto concerne la disciplina delle banche popolari; • le PM I innovative, alle quali – ricorrendo determinati requisiti – si applicano in buona misura le disposizioni dettate per le start up innovative dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modifiche dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 (vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 20/2012 di questa Rivista). Il D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, è stato pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 2015, n. 19. I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE ASSONIME Procedimenti di competenza delle Autorità indipendenti – Con il documento Note e studi n. 1 del 2015, l’Assonime ha approfondito – muovendo dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – alcuni profili relativi al “rispetto dei principi del giusto processo nei procedimenti davanti alle autorità indipendenti”, quali, ad esempio, la Consob e l’AGCM. Lo studio si concentra, in particolare, sulle sanzioni comminate dalle Autorità indipendenti, sulle garanzie procedurali e sul controllo giurisdizionale che devono esser assicurati in relazione a tali provvedimenti sanzionatori. Il testo di Note e Studi n. 1/2015 è consultabile sul sito dell’Assonime: www.assonime.it. ASSONIME – BORSA ITALIANA S .P.A. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 78 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE Relazione sulla corporate governance – L’Assonime, in collaborazione con Borsa Italiana s.p.a., ha diffuso una versione aggiornata delle tabelle sulla composizione e sul funzionamento del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale da inserire nella relazione sulla corporate governance. Inoltre, Borsa Italiana s.p.a. ha pubblicato una nuova edizione del format da utilizzare pe la redazione della relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, nel quale sono state recepite le modifiche apportate al Codice di autodisciplina dal Comitato per la corporate governance (vds. segnalazioni di diritto commerciale sul n. 15/2014 di questa Rivista). Le tabelle ed il format sono disponibili sul sito dell’Assonime: www.assonime.it. CNDCEC Principi di attestazione dei piani di risanamento – Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha avviato, con l’informativa n. 4/2015 del 20 gennaio 2015, una consultazione tra gli Ordini territoriali sui Principi di attestazione dei piani di risanamento (vds. segnalazioni di diritto commerciale sui nn. 6 e 13/2014 di questa Rivista). Il documento, in consultazione sino al 28 febbraio 2015, è reperibile sul sito ufficiale del Cndcec, www.commercialisti.it. S ocietà tra professionisti – Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha chiarito che “la revisione legale è esclusa dall’ambito di applicazione” della L. 12 novembre 2011, n. 183, dedicata alle società tra professionisti, in quanto “essa non costituisce un’autonoma professione regolamentata in ordini o collegi”. Ragion per cui non sarebbe possibile “costituire società multidisciplinari che prevedono la presenza di soci professionisti dottori commercialisti o esperti contabili e soci professionisti revisori legali”. In una s.t.p. così strutturata, i soci revisori legali, non potendo assumere il ruolo di soci professionisti, potrebbero rivestire quello di soci di investimento o di soci di prestazioni tecniche: “in tal caso, solo il socio professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili potrà svolgere l’attività di revisione per la s.t.p. medesima”. Pronto ordini Cndcec n. 287/14 del 27 gennaio 2015. CONSOB Bilancio d’esercizio 2014 – La Consob ha divulgato la Comunicazione n. 0003907 del 19 gennaio 2015, al fine di “richiamare l’attenzione dei redattori del bilancio su particolari aree ritenute di maggiore rilevanza, evidenziate anche dall’ESMA nel public statement «European common enforcement priorities for 2014 financial statements» (ESM A/2014/1309) del 28 ottobre 2014”. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 79 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE Tra queste vi sono “la rappresentazione in bilancio degli accordi a controllo congiunto”, “l’iscrizione e la misurazione delle attività per imposte differite” e “le verifiche per riduzione di valore delle attività non finanziarie”. La Comunicazione n. 0003907 del 19 gennaio 2015 è consultabile sul sito www.consob.it. FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI Obblighi antiriciclaggio per i professionisti – La Fondazione nazionale dei commercialisti ha pubblicato due documenti concernenti, l’uno, il rapporto tra “Autoriciclaggio e responsabilità del professionista”, nel quale si analizzano le disposizioni dell’art. 3 della L. 15 dicembre 2014, n. 186, con il quale è stato introdotto il reato di autoriciclaggio (art. 648 ter 1). L’altro affronta il tema “Voluntary disclosure e obblighi antiriciclaggio dei professionisti: lo stato dell’arte”. Entrambi gli approfondimenti, diffusi il 30 gennaio 2015, sono reperibili sul sito www.fondazionenazionalecommercialisti.it. MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Start up innovativa e conferimento di impresa individuale – Con il Parere n. 6057 del 19 gennaio 2015, il M inistero per lo Sviluppo economico ha chiarito che “il conferimento dell’intera azienda avente ad oggetto attività innovativa ad alto valore tecnologico in una società unipersonale, di cui il conferente (già titolare dell’impresa individuale) sia unico socio, contempli, per le finalità di cui all’art. 25, 2° co., lett. g), D.L. n. 179/2012, un’ipotesi di trasformazione atipica eterogenea, come tale esimente della causa ostativa «non è stata costituita […] a seguito di cessione di azienda» di cui alla lettera g) predetta”. E ciò purché tale attività non sia stata “esercitata per un periodo superiore a 48 mesi complessivi, […] intendendosi per tali, tanto la parte esercitata pretrasformazione, quanto quella successiva alla trasformazione stessa”. Il Parere è disponibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it. Start up innovativa a vocazione sociale – Con la Circolare n. 3677/C del 20 gennaio 2015, il M inistero per lo Sviluppo economico ha fornito alcuni chiarimenti in relazione alle cd. start up innovative a vocazione sociale, precisando che il loro riconoscimento deve “necessariamente avere evidenza pubblica attraverso la sezione speciale del Registro delle imprese” di cui all’art 25, 8° co., D.L. n. 179/2012, mediante autocertificazione presentata dal legale rappresentante della società, il cui contenuto è individuato nella comunicazione ministeriale. La Circolare è reperibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 80 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE O IC Principi contabili nazionali – L’Organismo Italiano di Contabilità ha approvato in via definitiva il principio contabile aggiornato OIC 24, dedicato alle Immobilizzazioni immateriali. L’applicazione del novellato principio contabile decorre dai bilanci chiusi a partire dal 31 dicembre 2014. Il documento, pubblicato il 28 gennaio 2015, è integralmente consultabile sul sito www.fondazioneoic.eu. GIURISPRUDENZA Postergazione ex art. 2467 c.c. e scioglimento del vincolo sociale – Il Tribunale di M ilano ha stabilito che i presupposti di postergazione individuati ex art. 2467 c.c. per i finanziamenti effettuati dai soci attengono a “situazioni di «rischio» di insolvenza che possono manifestarsi sia in fase di start up se la società è sottocapitalizzata (proprio perché i soci hanno preferito finanziarla anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia in seguito, quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe «ragionevole», effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di «crisi»), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che «normalmente» in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti”. Per il Tribunale ambrosiano, inoltre, “la condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita anche nei confronti del socio che, in epoca successiva al versamento, abbia perso tale qualità”, in quanto “l’accoglimento della tesi contraria, cioè il riconoscimento della qualità di socio come presupposto dell’applicazione della disciplina della postergazione, porterebbe all’eliminazione della finalità di protezione dei creditori sociali, cioè della ratio dello stesso art. 2467 c.c.”. La pronuncia del Tribunale di M ilano del 15 dicembre 2014 è reperibile sul sito www.giurisprudenzadelleimprese.it. Cessazione dell’attività di impresa e termine annuale ex art. 10 L.F. – Il Tribunale di Benevento – sottolineando, da un lato, che “l’attuale dato normativo consente di affermare che oggi la cancellazione dal Registro delle imprese è condizione necessaria affinché l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento” di cui all’art. 10 L.F., e, dall’altro, che “per gli imprenditori persone fisiche e per le società cancellate d’ufficio, la cancellazione dal Registro delle imprese non è da sola sufficiente, bensì deve accompagnarsi anche all’effettiva cessazione dell’attività d’impresa, mediante la disgregazione del complesso aziendale”, sussistendo in ogni caso in capo ai creditori ed al pubblico ministero la legittimazione a fornire prova contraria – ha dichiarato il fallimento di una s.r.l. cancellata d’ufficio ai IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 81 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE sensi dell’art. 2490 c.c. nel 2010, essendo stata provata nel corso dell’istruttoria prefallimentare la prosecuzione dell’operatività sino al dicembre 2013. Il provvedimento del Tribunale di Benevento del 19 dicembre 2014 è disponibile sul sito www.ilcaso.it. Estensione del fallimento – La Cassazione ha ribadito che “l’estensione, ai sensi dell’art. 147 L.F., del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile è soggetta al termine di decadenza di un anno dall’iscrizione nel Registro delle imprese di una vicenda, personale (per vendita, recesso, esclusione) o societaria (come la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità illimitata”, aggiungendo che, nella “ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale per alienazione della partecipazione del socio […] ai sensi dell’art. 147, 2° co., L.F., il dies a quo del termine annuale previsto per la dichiarazione del fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile va identificato nella data dell’iscrizione nel Registro delle imprese della compravendita della quota sociale e non nella data di perfezionamento della stessa, restando la vendita della quota, cui non sia stata data pubblicità ai sensi dell’art. 2290, 2° co., c.c., inopponibile ai terzi e non producendo la stessa i suoi effetti se non fra le parti del contratto”. La sentenza della Corte di Cassazione del 21 gennaio 2015, n. 1046, è consultabile sul sito www.ilcaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 82 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO NORMATIVA Legge di stabilità 2015: nuovo regime forfetario per imprese individuali, artisti e professionisti La legge di stabilità per il 2015 ha introdotto un regime forfetario per gli imprenditori individuali e gli esercenti arti e professioni e ha abrogato il regime “dei minimi” e quello delle nuove iniziative produttive. I soggetti che hanno intrapreso nuove attività produttive di redditi d’impresa o di lavoro autonomo nel 2013 o nel 2014 e che hanno applicato i precedenti regimi “di favore” possono fruire della riduzione di un terzo del reddito per i soli periodi d’imposta che residuano al completamento del triennio agevolato. I soggetti che nel 2014 hanno applicato il regime cosiddetto “dei minimi” possono, inoltre, continuare a fruirne in luogo di quello forfetario, se lo ritengono più conveniente. È stato, invece, definitivamente abrogato il regime contabile “agevolato”. (L. 23 dicembre 2014, n. 190, cd. “Legge di stabilità per il 2015”) Legge di stabilità 2015: Nuovo ravvedimento operoso Con la legge di stabilità 2015 viene modificato l’istituto del ravvedimento operoso, che viene dotato di due discipline: una per le imposte amministrate dall’A genzia delle Entrate e una per gli altri tributi. Si modificano le cause ostative che impediscono l'accesso all'istituto e (in modo peggiorativo) le riduzioni di sanzioni, modellate in base alla tipologia di violazione e all'intervallo temporale che intercorre tra la data in cui il contribuente chiede l'accesso all'istituto e quella in cui fu commessa la violazione. (L. 23 dicembre 2014, n. 190, cd. “Legge di stabilità per il 2015”) Collaborazione volontaria Per le violazioni degli obblighi di compilazione del modulo RW commesse fino al 30 settembre 2014, ci si può avvalere della procedura di “voluntary disclosure”, che consente di fare emergere le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero, definendo sanzioni in materia di imposte, di monitoraggio e alcuni reati fiscali. Possono accedere al programma le persone fisiche, gli enti non commerciali, le IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 83 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO società semplici e le entità ed esse equiparate residenti in Italia. La “collaborazione volontaria” cons iste nell’indicare spontaneamente all’Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta tutte le informazioni e i documenti necessari al Fisco per determinare gli imponibili evasi e contestare le violazioni commesse. La procedura può essere attivata fino al 30 settembre 2015. L. 15 dicembre 2014, n. 186 INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE La marca da bollo cambia look Le etichette, realizzate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, hanno la stessa forma e dimensione di quelle emesse fin ora, cambia, invece, il colore del fondo che diventa celeste al posto dell’attuale verde, per via dei nuovi inchiostri dotati di maggiori caratteristiche di sicurezza che ne ostacolano l’alterazione e la falsificazione. Le etichette con la vecchia grafica potranno essere utilizzate dai tabaccai per emettere i contrassegni fino all’esaurimento delle scorte. (Com. stampa del 12 gennaio 2015 Agenzia delle entrate) G IURISPRUDENZA Impresa - Agevolazioni tributarie In tema di agevolazioni tributarie, ai fini dell'attribuzione alle piccole e medie imprese che assumano nuovi dipendenti del credito d'imposta (IRPEF, ILOR ovvero IVA), previsto dall'art. 4 della legge n. 449 del 1997, l'inottemperanza all'invito dell'Ufficio finanziario di completare, nel termine di 15 giorni, con gli elementi prescritti, la richiesta del contribuente, rappresenta causa di non riconoscimento del beneficio, in base a quanto prescritto dall'art. 6, comma 3, del D.M . 3 agosto 1998, n. 311. Ciò perché una siffatta norma è diretta espressione del potere, demandato al M inistro delle Finanze dall'art. 4, comma 6, della citata legge n. 449, di stabilire con D.M . le procedure di controllo, prevedendo "specifiche cause di decadenza dal diritto di credito", trovando la sua ratio nell'esigenza di definire entro un tempo determinato l'inerente onere finanziario, altrimenti sospeso ad libitum (conf. Cass. civ., sez. V, sent. n. 15865 del 2005). (Sent./Ord. n. 1555 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. V) Delitti in materia di dichiarazione In tema di delitti in materia di dichiarazione il limite degli elementi passivi fittizi imposto dalla legge, costituisce una circostanza attenuante e non una fattispecie IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 84 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO autonoma. La norma non contiene una diversa e specifica condotta, ma prevede solamente una pena più lieve per il caso in cui l'unica violazione rivesta minore entità economica. (Sent./Ord. n. 3915 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III) Dichiarazione omessa Il reato connesso alla dichiarazione dei redditi contenente elementi passivi fittizi, è un reato istantaneo che si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione stessa. Resta irrilevante l'inserimento della fattura per operazioni inesistenti nella contabilità societaria. L'illecito penale è legato alla data della presentazione e non più ad attività strumentali alla stessa come ad esempio l'inserimento della fattura nella contabilità. (Sent./Ord. n. 3931 del 28 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III) IRAP Il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziale ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l'IRAP divenga una tassa sui redditi di lavoro autonomo. Compete al giudice apprezzare se, nel caso concreto, per le specifiche attività qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui il professionista si avvale, le stese devono giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale. (Sent./Ord. n. 1544 del 27 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. VI) Liquidazione dell’imposta Il concetto di credito inesistente è di facile identificazione poiché è il credito del quale non sussistono gli elementi costitutivi e giustificativi, mentre il credito non spettante non può essere ricondotto al criterio dimera spettanza soggettiva o alla pendenza di una condizione al cui avvera mento sia subordinata l’esistenza del credito. Il credito tributario non spettante è quel credito che, seppur certo della sua esistenza ed ammontare, sia per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra contribuente e erario. (Sent./Ord. n. 3367 del 26 gennaio 2015 della Cassazione Penale, Sez. III) Accertamento tributario L'accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati, ma deriva solo dal contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. Altresì, si IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 85 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO rileva come l'esito del contraddittorio non condiziona l'impugnabilità dello stesso, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, in tal senso, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo (conf. cass.civ., sez. V, sent. n. 11633 del 2013). (Ordinanza n. 1233 del 22 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. VI) Accertamento induttivo Il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce, sia in tema di imposte dirette, sia in tema di IVA, legittimo presupposto dell'accertamento induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il Giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell'Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce, nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto. (Nella fattispecie concreta, con motivazione esaustiva ed esente, dunque, da vizi, i Giudici di merito hanno ritenuto insufficiente il campione rappresentativo di merci pari al 9% - e la percentuale di ricarico prescelta - il 48% a fronte di quella dichiarata dal contribuente del 45% - secondo il sistema della media semplice, considerata la diversità di tipologia e di prezzo dei prodotti inseriti nel campione). (Sent./Ord. n. 673 del 16 gennaio 2015 della Cassazione Civile, Sez. V) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2015 86 MODALITÀ DI ABBONAMENTO La rivista Il Nuovo Diritto delle Società viene distrubuita previa sottoscrizione di un abbonamento annuale, che comprende 24 numeri al costo di 120,00 euro. In seguito alla sottoscrizione, all’abbonato vengono assegnati una username ed una password, che consentono di accedere all’archivio storico della Rivista nonché alle banche dati di Italia Oggi (www.italiaoggi.it). 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NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ ItaliaOggi ItaliaOggi Editori - Erinne srl – Via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano Telefono 02/58219.1 – Telefax 02/58317598 – email: [email protected] Direttore responsabile ed editore Paolo Panerai (02/58219209) Tariffe abbonamenti: euro 120,00 (abbonamento annuale 24 numeri) Per la sottoscrizione di nuovi abbonamenti telefonare al numero verde 800-822195 oppure inviare un fax al numero verde 800822196 allegando, oltre alla richiesta di abbonamento con i propri dati anagrafici, fotocopia dell’assegno non trasferibile intestato a: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 - 20122 Milano, oppure fotocopia del bonifico bancario intestato a Banca Popolare di Milano, agenzia 500, via Mazzini 9/11 Milano – IBAN IT58N0558401700000000047380 Distribuzione: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano, numero verde 800-822195. Vendita esclusiva per abbonamento. 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