24/09/2011 Scelgo l’amore! Ma dovendo scegliere, in tenera età, tra la libertà di essere se stessi, di esprimere le proprie opinioni contrastanti rispetto a quelle dei propri genitori, di scegliere tra ciò che preferirebbero e ciò che invece suggerisce un genitore, ebbene in questa scelta tra la libertà e l’amore, essi scelgono sempre l’amore. In questo breve periodo estivo ho approfittato molto per meditare. Mi sono voltato indietro e ho cercato di guardare, anche in modo critico, alla mia vita. Gli impegni. La strada percorsa. La meta. Mi sono domandato se c’è stata una progressione nel mio essere uomo, padre, marito, pediatra. Poi ho pensato a voi. Tutti. Alle vostre storie, che quasi mai conosco bene, ma che ho imparato, in questi anni, a saper cogliere proprio guardando, visitando e conoscendo i vostri preziosissimi figli. I figli: un grande dono. Per voi, ma anche per la comunità; per me, che da loro imparo tanto, ogni giorno, lì, su quel lettino e in quegli sguardi così limpidi che si incrociano con i miei, miopi e polverosi. Non sempre lo comprendiamo, ma il loro sguardo ci apre all’Infinito, alla Libertà, alla Dolcezza, alla Vita. Ci dona le coordinate della nostra stessa esistenza, spesso limitata alle misure dell’altezza e della circonferenza o del portafogli, senza pensare che c’è una profondità, spesso dimenticata, che ci fa diversi. Ci rende uomini e donne. Persone vere, “programmate” per amare di un amore che ci rende unici e degni della nostra nobile umanità. E loro, i nostri cuccioli, queste cose ce le sanno ben mostrare, anche se non sempre siamo pronti a coglierle come un dono. Sono i figli che ci rendono genitori, padri e madri; sono i figli che ci fanno grandi. Nell’amore! Penso per un attimo a quanti di voi, di noi, hanno trascorso momenti difficilissimi dietro a continui pannolini da cambiare; sonni mai completati; schiene spezzate dal peso di piccoli da coccolare; bambini da accompagnare a scuola e poi per feste e palestre. Adolescenti che ti fanno disperare e vivere nuovamente lunghe notti insonni. 1 Ma dietro questo meraviglioso cammino di mamme e papà che crescono, ahimè!, devo confrontarmi anche con storie spezzate; matrimoni falliti; depressioni e ansie che invischiano genitori e figli; bambini alla deriva; sofferenze che alimentano sofferenze; piccoli cuccioli che non diventeranno mai uomini e donne veri, liberi; imbrigliati in quelle ferite, quelle ansie, quelle fobie che – come pesanti fardelli – depositiamo sui loro capi, nelle loro coscienze, nei loro cuori. Dinanzi a questi scenari e all’aumento esponenziale di malattie e disturbi psichiatrici e psicosomatici, negli adulti quanto nei bambini1, 2, devo dire a me e a voi: fermiamoci! Fermiamoci un momento! Osserviamoci. Siamo su un treno dal quale sembra sempre più difficile scendere. Tutto è una corsa! Tutto è di corsa! Loro ci guardano, ci osservano, ci pongono domande che neanche ascoltiamo: «Perché devo correre? Perché devo fare tutte queste cose? Perché non posso giocare? Quando stai con me?» Da un po’ di tempo ho preso l’abitudine, quanto più mi è possibile, di camminare a piedi. Di spostarmi senza usare mezzi di trasporto. E’ un’esperienza bellissima. Ecologica, sì certo, ma soprattutto… tutto è più lento. Uscire camminando diventa una danza. Lenta. Impari a guardare la gente negli occhi; il girotondo dei bambini; la passeggiata trascinata e lenta di due vecchi, ancora amanti, che si poggiano l’un sull’altro. Hai modo non solo di guardare le cose con gli occhi, ma anche di scrutarle. Ed è possibile accorgersi che, nella frenetica corsa quotidiana, non c’eravamo mai accorti di quel negozietto simpatico o di quell’edicola votiva che ci riporta all’età delle preghiere sciorinate dalla nonna. E poi… incontri la gente! Non ha importanza che la saluti o ci parli, ma che le persone s’incontrino, si guardino. Scopri così tante cose. Cose che nella corsa in auto o in moto non avevi mai notato. Puoi incontrare un vecchio amico che non vedevi da tempo; ma anche una vecchietta in difficoltà che non ti chiede di aiutarla, e ciò nonostante ti senti proiettato, quasi spinto, a compiere un gesto che non avevi mai fatto: e così la prendi sotto il braccio per farle attraversare la strada e, senza aspettarti nulla, ti becchi un sorriso che si scolpisce nel tuo cuore. Tornerà a rallegrare la tua anima per l’intera giornata. Potresti incontrare la povertà vera, quella che si nasconde nei panni smessi e le scarpe bucate di chi ti passa affianco con tutta la sua dignità; e ti interpella con prepotenza, chiedendoti a bocca chiusa, cosa mai ti manca quando continui a lamentarti. 1 E’ noto come disturbi mentali dell’età adulta sono preceduti da disturbi dell’età evolutiva-adolescenziale (WHO, 2000; Üstün, 1999). In particolare, l’8% circa dei bambini e degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che può determinare difficoltà interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli adolescenti (Morosini et al. PNSM, 2001). Di Brina C. (2008) Uno studio descrittivo sull’accesso degli adolescenti ai servizi neuro-psichiatrici territoriali. Rivista Italiana di psicologia clinica 3, 2008 http://www.rivistadipsicologiaclinica.it/italiano/numero3_08/pdf/Di%20Brina_etAl.pdf 2 Tribulato E. L’aumento dei disturbi psichici nelle moderne società occidentali, Centro Studi Logos http://www.cslogos.it/index.php?page=aumento-dei-disturbi-psichici 2 E così, passo dopo passo, ti accorgi anche del tuo respiro; che il tuo cuore batte, che sei vivo, ma soprattutto che per quanto tu possa correre, il tuo passo è uguale a quello degli altri uomini. Non puoi superarli, schizzargli al fianco affidandoti all’acceleratore e alla potenza della tua macchina. Salendo per i Colli Aminei puoi scrutare degli anfratti meravigliosi, pennellate di caldi colori di palazzi che accolgono vite e storie umane delle più disparate; si stagliano avviluppati attorno a pini centenari, verdi arbusti e alberi da frutto. Puoi riconoscere piccoli fiori che danno ragione della loro forza vitale facendosi strada anche nel grigio cemento della città; mentre il sole ti bacia con tutto il suo calore e t’invita a liberarti di giubbottoni rigidi e imbottiti che ogni bravo motociclista indossa con fierezza per proteggersi dal freddo e dalla pioggia nella sua corsa quotidiana. In questi momenti, proprio come avvolto in una lenta danza, cominci a gustare nuovamente la gioia di vivere la vita e, allora, hai la consapevolezza che quando corri così veloce per giungere da qualche parte, trascinando con te anche i tuoi cuccioli, ti perdi almeno la metà del piacere di andarci; che quando ti preoccupi di far tardi e corri tutto il giorno, schiavo del tuo orologio, stai vivendo la vita come un regalo mai aperto. In questi casi sarebbe utile e bello tornare ad ascoltare la musica del proprio cuore che batte. Facciamoci caso: spesso sarà proprio nostro figlio a donarci le coordinate giuste. Torno per un attimo indietro sulla questione dei pesi e vi racconto una storia che porto dentro con un po’ di dolore. La primavera scorsa si presenta una mamma al mio studio portandomi il bambino per una vista. «Dottore, vedo Antonio (nome di fantasia) molto stanco… sono preoccupata…vorrei fargli delle analisi, delle indagini…» Guardo Antonio negli occhi. Mi sembra più triste che stanco. Gli chiedo se si sente in forza e mi risponde annuendo col capo. Faccio un’accurata anamnesi. A scuola va bene. Le maestre non segnalano niente. Visito il bambino. Nulla. Riprendo a parlare con Antonio. Lo guardo negli occhi. Cerco la risposta. Ad un tratto mi dice: «Sono stanco di andare in piscina!» Immagino, solo per un momento, la forza che abbia dovuto sprigionare per liberarsi di quel peso. Nel contempo percepisco il carico emozionale suo e mio e la responsabilità a cui mi chiama coinvolgendomi in quella storia. Dall’anamnesi era emerso che Antonio faceva mille cose. Tutte “imposte” o, se volete “proposte” dalla mamma. Addirittura due sport, oltre tutto quanto già fa quotidianamente un bambino di oggi. 3 Così, mi sembra corretto ritenere che la sua fosse una stanchezza psichica e, alla luce di quello che Antonio mi aveva confidato, pensai che la cosa più saggia sarebbe stato consigliare alla mamma di fargli sospendere il nuoto. Le chiesi, allora, di provare a ridurre un po’ la pressione delle cose da fare e soprattutto di fermarsi con la piscina. Di sott’occhi, mentre parlavo, guardai Antonio e scorsi in lui un sorriso di approvazione. La madre non si accorse di questo incrocio di sguardi complici ed ebbe a insistere sulla prescrizione di vitamine. La invitai a riflettere su quanto le avevo consigliato e comunque di ritornare dopo dieci giorni se il problema fosse stato ancora presente e significativo. Mentre si avviavano fuori della stanza, Antonio contento e ansioso di comunicare, disse: «Mamma… hai visto? Posso non andare più in piscina!...» «Non so, Antonio! – ribatté la madre con tono irritato – E’ tutto da vedere! E poi lo sai che è già pagato fino a maggio…!» Questa storia mi ha fatto ritornare alla mente una frase di Karol Wojtyla: «L’uomo desidera l’amore più che la libertà: la libertà è un mezzo, l’amore è un fine.» Ecco, spesso non ci pensiamo o non lo sappiamo, ma i nostri figli, tutti, sono innamorati profondamente dei loro genitori. Per loro sono il tutto: la propria vita, le proprie coordinate, le radici, anche quando adolescenti li rinnegheranno. Ma dovendo scegliere, in tenera età, tra la libertà di essere se stessi, di esprimere le proprie opinioni contrastanti rispetto a quelle dei propri genitori, di scegliere tra ciò che preferirebbero e ciò che invece suggerisce un genitore, ebbene in questa scelta tra la libertà e l’amore, essi scelgono sempre l’amore. E’ evidente che l’episodio narrato, estremo ma non raro, contempla proprio quanto sottolineava Wojtyla: se si pone al bambino la scelta tra la sua libertà e l’amore di un genitore, il bambino sceglie l’amore. Questi sono quei pesi di cui parlavo e che, in nome della bontà e dell’utilità, carichiamo talvolta su questi figli. Altri pesi sono quelli legati alle nostre ferite, ai nostri errori, a tutto ciò che abbiamo subìto da piccoli e da cui non riusciamo a scrollarci o – addirittura – non ne abbiamo consapevolezza. Pensiamo di aver avuto dei bravi genitori, che hanno saputo ben educarci, anche con solenni e frequenti ceffoni, ma non ci accorgiamo che, invece, portiamo dentro una grossa rabbia. Diciamo di amarli; affermiamo che hanno fatto bene, soprattutto riferendoci all’incapacità di educare oggi i nostri figli, ma non ci accorgiamo che le nostre parole non esprimono libertà, perché per essa abbiamo scelto l’amore. Ma una scelta, anche se d’amore, se non è vissuta nella libertà, non è mai vera. 4 Più pesanti di tutto sono, poi, le aspettative che riponiamo sui nostri figli, che non sempre o quasi mai collimano con i loro sogni3. Le proiettiamo su di loro in nome dell’amore e della nostra superlativa capacità di discernimento, condendole talvolta con mille ansie e preoccupazioni, perché tutto sia sotto controllo (il nostro) e proceda secondo il copione che abbiamo steso. E come se non bastasse ci mettiamo le ansie inventate, quelle che gli esperti chiamano paure o fobie. Alcune sono insite, come la fobia verso gli animali, le malattie, i luoghi chiusi; altre ci vengono inculcate e da mamme e papà ne facciamo oggetto inconscio delle nostre attenzioni e preoccupazioni verso i figli. Molte di queste sono così evidentemente false da rappresentare un made in Italy esclusivo. Qualche esempio? Camminare scalzi fa ammalare di raffreddore, faringite, bronchite. Non l’avete mai sentita? «Ti ho detto di mettere le scarpe perché altrimenti ti ammali!» E giù a farli piangere! Bambini che – viva Dio! – amano per natura camminare scalzi semplicemente perché solo in questo modo imparano a camminare bene e solo in questo modo si sentono veramente liberi! Ma come può mai il freddo del pavimento provocare ciò che per definizione è conseguenza di patologie infettive, dovute cioè al contagio di virus o batteri trasmessi da una persona ad un’altra?!4 Poi c’è la fobia per il freddo5. Cammina a braccetto con quella delle scarpe. E allora vediamo bambini imbacuccati, mentre i loro genitori si vestono adeguatamente in relazione alla percezione che hanno della temperatura; stretti come fagottini in pensati giubottoni, guanti, cappelli che non mancano mai e, nei piccolissimi, chiusure ermetiche del passeggino con l’ultima invenzione del secolo: la custodia “subacquea”! Ma sì, dai!, per lo meno li avete visti tutti come me quei passeggini con dentro bambini serrati e imbrigliati da cappotti, sciarpe, guanti e cappello, con la chiusura ermetica di una plastica che li proteggerà dal vento (polare!), dal freddo (agghiacciante!) e dalla pioggia (scrosciante!). A seguire (e non dite che non è vero!) la fobia per lo sporco6. E così, tutti i nostri bambini italiani non sapranno mai gattonare, semplicemente perché non li mettiamo a terra per paura dello sporco e delle malattie; non gli permettiamo di portare oggetti alla bocca perché “sono sporchi”!; non gli permettiamo di giocare con la terra e la sabbia; non gli permettiamo di toccare e baciare gli animali sanissimi che magari abbiamo introdotto nelle nostre case, per paura di chissà quali malattie, negando esperienze fondamentali. E dulcis in fundo, non possiamo evitare di citare le fobie per eccellenza: la fobia per la denutrizione e per la febbre. Non c’è genitore che fa eccezione, con tutta la variabilità che 3 Grun A. I sogni della vita, Ed. Messaggero Padova D’Errico R. Quando e come calzare un bambino www.pediatric.it/calzare_bambino.htm 5 D’Errico R. L’inverno, una novità per la loro crescita www.pediatric.it/lettere101105.htm#malattiedaraffreddamento 6 Sarti P. E’ davvero necessario sterilizzare tutto? www.pediatric.it/sterilizzare.htm 4 5 possiamo immaginare. Ma qui non mi prolungo perché di “bambini che non mi mangiano” 7 e di “bambini con la febbre”8 ne abbiamo parlato abbondantemente. Il grosso problema circa la questione delle fobie, però, non sono sempre i genitori, che oggi più che mai stanno facendo un grosso sforzo per emergere da questa “medicina popolare”, ma di chi spesso attorno a loro è sempre pronto a incutere dubbi e perplessità e mettere in discussione il sapere e il pensiero dei pediatri. Ma se stiamo parlando di queste cose è perché non si stratta di atteggiamenti fini a se stessi, ma di comportamenti troppo protettivi, che a lungo termine indurranno una “vulnerabilità” nel bambino, tale da fargli credere di essere sempre a rischio di qualcosa e che la vita di ogni giorno bisogna affrontarla con gli occhi sempre aperti, pronti per evitare i continui pericoli che potrebbero colpirci. A lungo termine questi bambini potranno essere segnati da disagi e difficoltà di vario grado, comunque significativi, tali da compromettere la loro vita di relazione e scolastica. Tali sintomi sono stati descritti e associati in questi bambini così da configurare una chiara sindrome, quella del “bambino vulnerabile”. Nel 1964 Green e Solnit, due pediatri statunitensi, pubblicarono sulla rivista Pediatrics un lavoro rimasto una pietra miliare nel campo della psicologia dell'età evolutiva. Parlarono per primi di un disturbo della relazione genitori-figli che chiamarono "sindrome del bambino vulnerabile". Si tratta di una situazione, non rara, per la quale un bambino, avendo subito una malattia o un incidente che ha messo in grave pericolo la sua integrità nei primi mesi, pur godendo in seguito di perfetta buona salute, viene percepito comunque dai genitori come un bambino gravemente a rischio. Conseguenza dell'atteggiamento di questi genitori, il bambino "vulnerabile" soffrirà di una tutta una serie di disagi e difficoltà di adattamento. Ovviamente, la stessa condizione potrebbe realizzarsi anche in bambini che non siano mai stati vittime dirette di danni o malattie significative, ma affiancati da genitori ex bambini vulnerabili. In tal caso, il genitore trasferirà comunque le sue ansie e preoccupazioni personali sul figlio che, benché rimasto sempre sano, considererà comunque continuamente a rischio. C’è una brava mamma, cui seguo i figli da molti anni, che, soprattutto durante l’inverno, si presenta quasi ogni settimana allo studio, appena uno dei suoi bambini presenta un po’ di tosse. Esordisce sempre con la stessa frase: «Dottore, lo sapete che ho sempre paura che prendano una bronchite!...» Mai accaduto! Green e Solnit identificarono quattro sintomi principali come caratteristici della "Sindrome del bambino vulnerabile": - una difficoltà molto maggiore della norma nel separarsi dai genitori; - un comportamento infantile improprio per l'età; - delle preoccupazioni precoci ed eccessive per la vulnerabilità del proprio corpo; 7 8 D’Errico R. Dottore, non mi mangia! http://www.pediatric.it/lettere100120.htm D’Errico R. Consigli sulla febbre http://www.pediatric.it/febbre.htm 6 - un rendimento scolastico molto al di sotto delle proprie possibilità intellettuali. E qui mi fermo. Se desiderate approfondire questo argomento potrete trovare un bellissimo articolo nel sito del Dr. Roberto Albani, pediatra romano specializzato negli Stati Uniti nel parenting (l’arte di fare il genitore), dall’eloquente titolo I genitori italiani sono davvero troppo protettivi? La sindrome del bambino vulnerabile 9. Un caro saluto, Raffaele D’Errico, pediatra SE VUOI RILEGGERLA CHIEDI UNA COPIA IN SEGRETERIA OPPURE SCARICALA DAL SITO www.pediatric.it/parliamo_di.htm 9 Albani R. I genitori italiani sono davvero troppo protettivi? La sindrome del bambino vulnerabile http://www.roberto-albanipediatra.it/content/i-genitori-italiani-sono-davvero-troppo-protettivi 7