Volume ViI N˚ 1/2015 Periodico trimestrale - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB Pisa Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - Marzo - Finito di stampare presso IGP - Pisa, aprile 2015. Organo ufficiale SIGENP Pediatric Nutrition & HEALTH AND FOOD SCIENCE GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE PEDIATRIC HEPATOLOGY NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTerology PHARMACOLOGY IBD HIGHLIGHTS Latte di crescita dopo il primo anno di vita Nuove linee guida sul reflusso gastroesofageo I difetti di sintesi degli acidi biliari I farmaci biosimilari Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD L’equilibrio interno accende il benessere generale KALE 14 09 Kaleidon (Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103) il probiotico meglio studiato nel bambino, 1 che favorisce l'equilibrio della flora intestinale 2 1. Bousvaros A, et al. A randomized, double-blind trial of lactobacillus GG versus placebo in addition to standard maintenance therapy for children with Crohn's disease. Inflamm Bowel Dis 2005; 11(9): 833-9. 2. Foglietto illustrativo Kaleidon. ISSN 2282-2453 Volume ViI - N˚ 1/2015 - Trimestrale Consiglio Direttivo SIGENP Presidente Carlo Catassi Vice-Presidente Claudio Romano Segretario Maria Elena Lionetti Tesoriere Renata Auricchio Consiglieri Antonella Diamanti, Erasmo Miele, Licia Pensabene Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini Responsabile Commissione Editoria Claudio Romano · [email protected] Direttore Editoriale Mariella Baldassarre · [email protected] Capo Redattore Francesco Cirillo · [email protected] Assistenti di Redazione Alessandra Dileone · [email protected] Pietro Drimaco · [email protected] Comitato di Redazione Salvatore Accomando · [email protected] Barbara Bizzarri · [email protected] Osvaldo Borrelli · [email protected] Teresa Capriati · [email protected] Fortunata Civitelli · [email protected] Antonella Diamanti · [email protected] Monica Paci · [email protected] Salvatore Oliva · [email protected] © Copyright 2015 by Pacini Editore S.p.A. · Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A., Via Gherardesca 1 · 56121 Pisa Tel. 050 313011 · Fax 050 3130300 [email protected] · www.pacinimedicina.it Marketing Dept Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 · [email protected] · Twitter @andreatognelli Fabio Poponcini Sales Manager Tel. 050 3130218 · [email protected] Manuela Mori Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 · [email protected] Redazione Lisa Andreazzi - Tel. 050 3130285 · [email protected] Segreteria scientifica Tel. 050 31 30 223 · [email protected] Progetto grafico e impaginazione Massimo Arcidiacono - Tel. 050 3130231 · [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini · Pisa Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www. aidro.org. I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa. Sommario 1 EDITORIALE È l’alba di un giorno nuovo … GUIDELINES: WHAT IS THE BEST 49 FOR CLINICAL PRACTICE Le nuove linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo: quali sono le raccomandazioni? Quali le considerazioni? The new National Institute for Health and Care Excellence (NICE) guidelines on gastroesophageal reflux: what are the recommendations? What are the considerations? M. Baldassarre 3 TOPIC HIGHLIGHT Un algoritmo per amico (… ovvero come evitare esami e terapie inutili nei disturbi funzionali gastrointestinali del bambino) Intervista al Prof. Yves Vandenplas M. Baldassarre 7 CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Genetica ed epigenetica delle malattie infiammatorie croniche intestinali Genetics and epigenetics of inflammatory bowel diseases T. Gabbani, S. Deiana, N. Manetti, V. Annese 14 PEDIATRIC HEPATOLOGY I difetti di sintesi degli acidi biliari: una diagnosi che non dovrebbe mai essere omessa Bile acid synthesis defect: a diagnosis that should never be missed T. Capriati, S. Salvatore 58 Focus on Il ruolo degli alginati nell’era degli inibitori di pompa protonica A. Dimauro, M. Baldassarre 60 C'è vita nelle …Aree Il Pediatric Nutrition Day S. Amarri M. Cananzi, G. Giordano 21 PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Latte vaccino intero o latte di crescita dopo l’anno di vita: quali evidenze? What evidences for whole cow’s milk or growing up milk after the first year of life? V.L. Miniello, L. Diaferio 26 IBD HIGHLIGHTS Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD Pancreatic involvement in IBD Il punto di vista del gastroenterologo dell’adulto A. Amodio, A. Gabbrielli Il punto di vista del gastroenterologo pediatra M. Martinelli 34 CASE REPORT Sapere per riconoscere... Quando l’intestino ci mette alla prova Learn to recognize... When the intestine challanges us G. Guariso, M. Gasparetto 36 NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Gemelli diversi? I farmaci biosimilari nelle malattie infiammatorie croniche intestinali del bambino Different twins? Use of biosimilars in paediatric inflammatory bowel disease P. Lionetti, S. Ghione, M. Paci Segreteria SIGENP Biomedia srl Via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano Tel. 02 45498282 int. 215 - Fax 02 45498199 E-mail: [email protected] COME SI DIVENTA SOCI DELLA L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/ ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP. 40 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Pancreatiti acute e croniche: quando i geni hanno un ruolo importante Acute and chronic pancreatitis: when some genes play an important role F. Adragna, P. Mansueto, C. Enna, A. Seidita, A. Carroccio 45 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Ingestione di batterie a bottone: descrizione di due casi con complicazioni esofagee e proposta di un protocollo multidisciplinare di trattamento Ingestion of button batteries: report of two clinical cases with esophageal complication and proposal for a multidisciplinary protocol of treatment A. Barabino, S. Vignola, P. Gandullia, S. Arrigo, A. Calvi, L. Dall’Oglio, F. Torroni, P. De’Angelis, M. Bini, A. Rossi Soci ordinari e aderenti • € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD • € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD Soci junior (età non superiore a 35 anni) • € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP www.sigenp.org Editoriale È l’alba di un giorno nuovo … Ci siamo. Il giornale è pronto per essere sfogliato e letto. Abbiamo lavorato in questi mesi cercando di dar vita ad un Giornale che possa diventare sempre più un compagno della nostra vita professionale, un ausilio utile quando ci vengono dei dubbi. Veniamo subito alle novità. Come noterete ha un nuovo abito, cioè una nuova veste grafica, un nuovo Editore... ed anche un sito web dedicato: www.giornalesigenp.it. Si tratta di un sito web “open access”, come deciso dall’assemblea dei soci Sigenp all’ultimo congresso, e quindi di facile consultazione per tutti . Servirà a scaricare gli articoli nuovi e vecchi del giornale, a trovare materiale aggiuntivo correlato agli articoli stessi, a scriverci. L’altra grossa novità è che il nostro Giornale si apre da quest’anno ai contributi che ognuno di voi vorrà inviarci: casi o studi clinici, report di ricerche originali pubblicati su riviste con IF … L’intento è condividere cultura e conoscenza nell’ambito della gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica. I contributi potranno essere inviati on-line, scaricando le norme editoriali dal sito della rivista www.giornalesigenp.it. Troverete in questo primo numero una nuova rubrica dal titolo “Linee guida: elementi utili per la pratica clinica”, affidato a Teresa Capriati (Bambin Gesù, Roma), allo scopo di rendere note e diffondere le linee guida più recenti su argomenti vari di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica, commentate da parte di esperti. Vi presentiamo in questo numero le linee guida NICE, appena pubblicate, sul reflusso gastroesofageo, commentate da Silvia Salvatore. Yves Vandenplas (Bruxelles) ci illustra, nell’intervista che gli abbiamo rivolto, gli algoritmi che ha pubblicato nel 2014 nell’intento di fornire una “traccia” da seguire per arrivare alla diagnosi di un disturbo funzionale gastrointestinale nel bambino senza dover effettuare esami eccessivi o terapie dannose. Vito Miniello (Bari) ha realizzato per noi una efficace disamina sui latti di crescita, offrendoci spunti utili a motivare le nostre scelte. Mara Cananzi (Padova) ci parla magistralmente dei difetti di sintesi degli acidi biliari, causa di gravi epatopatie nel bambino. Si tratta di patologie certo non frequenti, ma che bisogna conoscere e saper individuare, perché l’epatopatia da difetto di sintesi degli acidi biliari può essere curata ed è totalmente reversibile. In caso contrario l’epatopatia evolve fino alla cirrosi epatica. Vito Annese (Firenze) ci parla di genetica ed epigenetica delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Si tratta di un campo in cui le conoscenze sono molto cambiate negli ultimi anni. L’articolo è un’ottima messa a punto delle più recenti novità. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:1-2 1 Editoriale In tema di MICI pediatriche, Armando Gabrielli (Verona) e Massimo Martinelli (Napoli) ci parlano del coinvolgimento pancreatico in corso di MICI, sia nell’adulto che nel bambino. La patologia pancreatica va sempre sospettata in presenza di alcuni segnali di allarme, ben descritti nell’articolo che vi presentiamo. Il confronto tra gastroenterologo dell’adulto e del bambino rappresenta un utile confronto nell’ambito di una patologia in cui si transita spesso, purtroppo, da un’età all’altra: chi si trova a gestire un bambino con MICI deve sempre guardare al momento in cui quel bambino diventerà un adulto. Paolo Lionetti (Firenze) ci parla di farmaci biosimilari, sostanze da poco immesse nel mercato farmaceutico per sostituire i farmaci biologici come l’infliximab (IFX), utilizzato nella terapia delle MICI e di altre patologie autoimmuni. La scadenza del brevetto per l’IFX in Europa è prevista nel triennio 2013-2015 (in base alla Nazione considerata) e nel settembre 2013 l’EMA ha approvato per la prima volta due farmaci biosimilari dell’IFX (Inflectra e Remsima). Troverete descritti in questo articolo i vantaggi, ma anche i dubbi e le domande ancora aperte legate all’uso di queste nuove molecole. In tema di pancreas, Antonio Carroccio, vero esperto in tale campo, ci parla di meccanismi genetici delle pancreatiti in età pediatrica. Infine, l’interessantissimo l’articolo di Arrigo Barabino (Genova) ci presenta un nuovo protocollo sul trattamento delle lesioni esofagee dopo ingestione delle pericolosissime batterie “a bottone”. Tale protocollo standardizza le procedure da attuare da parte dell’equipe medica qualora si verifichi l’ingestione di queste batterie “killer”. Come leggerete, tali procedure correttamente effettuate possono rivelarsi “salvavita” per il bambino che sia incorso in tale drammatica evenienza. Sono sicura che dopo la lettura attenta di questi articoli vi sentirete più ricchi … Grazie ai miei fidati compagni di viaggio della Redazione e a tutti i “contributors” degli articoli. Buona lettura! 2 a cura di Mariella Baldassarre TOPIC HIGHLIGHT Un algoritmo per amico (… ovvero come evitare esami e terapie inutili nei disturbi funzionali gastrointestinali del bambino) Intervista al Prof. Yves Vandenplas Introduzione Sintomi gastrointestinali quali la stipsi, il rigurgito, le coliche sono presenti in circa il 50% dei bambini. Questi sintomi sono spesso funzionali, ma possono talora essere causati dall’allergia alle proteine del latte vaccino. Il professor Yves Vandenplas, famoso in tutto il mondo per i suoi studi sul reflusso gastro-esofageo e sull’allergia alle proteine del latte, ha di recente sviluppato e pubblicato alcuni algoritmi, basati sul consenso di esperti, per la diagnosi di alcuni tra i più frequenti disturbi funzionali gastrointestinali che si propongono di aiutare il pediatra nella sua pratica clinica. Abbiamo intervistato il professor Vandenplas sulla reale utilità di questi algoritmi che vi proponiamo in queste pagine. L’articolo che li contiene in lingua originale è disponibile sul sito della nostra rivista (www.giornalesigenp.it). L'utilizzo di questi algoritmi potrebbe davvero essere utile nella pratica clinica? Assolutamente sì! È stato proprio questo l’obiettivo che speravo di centrare mentre mi sforzavo di sviluppare i suddetti algoritmi. Questi propongono infatti raccomandazioni pratiche per trattare i sintomi gastrointestinali funzionali. Secondo i dati epidemiologici, circa il 50% di tutti i neonati sviluppa almeno un sintomo GI funzionale e parecchi neonati ne presentano più di uno contemporaneamente. Per definizione, quando vi è un disturbo funzionale, non vi è alcuna malattia organica. L’obiettivo di questi algoritmi è quello di guidare medici di medicina generale e pediatri di libera scelta verso una diagnosi sicura ed efficace, ma anche di aiutarli a gestire questi disturbi frequenti con interventi terapeutici efficaci e non dannosi. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:3-6 Yvan Vandenplas si è laureato e specializzato in pediatria (1981-1986) presso la “Vrije Universiteit” di Bruxelles (Belgio). È diventato Direttore dell’Unità di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizione nel 1987 e dal 1994 è Professore di Pediatria e Direttore del Dipartimento di Pediatria presso l’“University Hospital” di Bruxelles (UZ Brussel). Ha più di 350 pubblicazioni su riviste internazionali con IF. I suoi interessi principali sono il reflusso gastroesofageo (procedure diagnostiche, trattamento), l’uso dei probiotici e prebiotici, l’allergia alle proteine del latte vaccino, la stipsi e la nutrizione infantile. Attualmente è editore associato del “Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition”, e Presidente del gruppo di studio di Gastroenterologia dell’ESPGHAN. Key words Gfunctional gastrointestinal disorders • Algorithm Abstract About 50% of infants present with functional gastrointestinal symptoms such as colic, regurgitation and constipation, and many infants experience a combination of these symptoms. Each of these three conditions account for roughly 20 to 25% of all cases. This study presents state-of-the-art practical algorithms for the management of these functional gastrointestinal symptoms. The goal was to simplify the approach to functional gastrointestinal disorders. Indirizzo per la corrispondenza Yves Vandenplas Free University of Brussels Department of Pediatrics E-mail: [email protected] 3 Intervista al Prof. Yves Vandenplas 4 TOPIC HIGHLIGHT Un algoritmo per amico Nei neonati allattati artificialmente, l’allergia alle proteine del latte vaccino può essere a sua volta una possibile causa di FGID. Pensa che questo aspetto sia sovra-diagnosticato o sotto-diagnosticato? Devo innanzitutto sottolineare che c’è una differenza tra l’allergia alle proteine del latte vaccino e i sintomi ad essa correlati. Mentre l’incidenza di allergia è stimata attorno al 3-5%, l’incidenza di sintomi correlati al latte vaccino potrebbe attestarsi su valori più alti, pari al 1015%. L’allergia alle proteine del latte vaccino è sia sotto- che sovra diagnosticata, a seconda di quella che è la formazione specifica del medico e la sua capacità di pensare alla diagnosi senza poi dare troppo spesso alle proteine del latte vaccino tutte le colpe. Anche in questo caso, l’algoritmo si propone di aiutare il medico a riconoscere meglio ed a trattare l’allergia al latte vaccino. Il trattamento di scelta per questo tipo di allergia è l’utilizzo di latti con idrolisi estensiva. Quali sono le situazioni in cui suggerirebbe al pediatra di famiglia di inviare il paziente ad un centro di riferimento per la gastroenterologia pediatrica? Queste situazioni sono chiaramente indicate negli algoritmi, e il manoscritto ne fornisce le spiegazioni. Le indicazioni possono variare naturalmente sia in base alla nazione in cui il medico lavora che in base ai sintomi considerati. In generale, le raccomandazioni sono basate su un approccio diagnostico e terapeutico sicuro ed efficace fornito da un’accurata anamnesi e da un completo esame fisico. Gli algoritmi non fanno riferimento ad indagini diagnostiche o ad 5 Intervista al Prof. Yves Vandenplas un trattamento farmacologico. Il perno della terapia raccomandata è Il trattamento dietetico con “alimenti funzionali” (= alimento che, grazie ad alcune peculiari proprietà nella sua composizione, oltre alle proprietà nutrizionali, è in gra- do di alleviare i disturbi funzionali del neonato). Appena questo approccio diviene insufficiente o quando diventa necessario porre l’indicazione ad effettuare indagini diagnostiche si consiglia il rinvio ad uno specialista. 1. La stipsi, il rigurgito, le coliche sono presenti in circa il 50% dei bambini. Si tratta di sintomi spesso funzionali, ma talora causati dall’allergia alle proteine del latte vaccino. 2. Gli algoritmi presentati propongono raccomandazioni pratiche per trattare i sintomi gastrointestinali funzionali. 3. Le raccomandazioni sono basate su un approccio diagnostico e terapeutico sicuro ed efficace fornito da un’accurata anamnesi e da un completo esame fisico. 4. Gli algoritmi non fanno riferimento ad indagini diagnostiche o ad un trattamento farmacologico: quando diventa necessario porre l’indicazione ad effettuare indagini diagnostiche si consiglia il rinvio ad uno specialista. 6 a cura di Osvaldo Borrelli CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Genetica ed epigenetica delle malattie infiammatorie croniche intestinali Genetics and epigenetics of inflammatory bowel diseases Epidemiologia genetica Differenze etniche Le malattie croniche infiammatorie intestinali (IBD) hanno dimostrato avere importanti differenze geografiche ed etniche per quanto riguarda incidenza e prevalenza. L’incidenza della malattia di Crohn (MC) e della colite ulcerosa (CU) è gradualmente aumentata dopo la seconda guerra mondiale, in particolare nel Nord Europa e nel Nord America, dove sono stati segnalati i tassi di incidenza più alti del mondo. In diverse aree storicamente a bassa incidenza, come Asia e Africa, è stato segnalato un aumento dell’incidenza negli ultimi anni. D’altra parte, l’elevata incidenza delle IBD nelle comunità isolate come gli ebrei Ashkenaziti, sembra persistere indipendentemente dalla posizione geografica o dal periodo storico 1, 2. Studi familiari L’aggregazione familiare dei casi di IBD è stata ampiamente confermata in circa il 5-23% dei pazienti affetti. Famiglie con molteplici individui affetti sono più spesso concordanti per tipo di malattia (MC o CU). Rischio per i parenti Il maggior rischio di sviluppare IBD è presente avendo un parente affetto. La stima del rischio relativo, per un soggetto di una famiglia a rischio, è del 13-36% per il MC e del 7-17% per la CU. Il rischio assoluto è però più basso, nell’ordine del 4,8-5,2% per i non ebrei e 7,8% per gli ebrei. Per quanto riguarda un parente di primo grado di un paziente affetto da CU si può approssimare un rischio assoluto di contrarre la malattia dell’1,6% per i non ebrei e del 5,2% per gli ebrei. Un po’ più alto appare invece essere il rischio di trasmissione ai figli: il rischio assoluto per la prole di un paziente Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:7-13 Tommaso Gabbani Simona Deiana Natalia Manetti Vito Annese (foto) Gastroenterologia 2, AOU Careggi, Firenze Key words Genetics • Epigenetics • Inflammatory bowel diseases • Crohn’s disease • Susceptibility loci • Ulcerative colitis Abstract IBD has a strong familial aggregation with striking geographic and ethnic differences in prevalence. At least 163 susceptibility loci are described and many of these are shared with other immune diseases. The epigenetic mechanisms might play an important role and represent the meeting point between genetic and environmental factors. While the genetic profile remains stable during life, epigenetic profile is influenced by environmental factors and transmitted during mitosis. Indirizzo per la corrispondenza Vito Annese largo Brambilla 3, 50139 Firenze E-mail: [email protected] 7 T. Gabbani et al. con IBD è approssimativamente il 10%. Il rischio di essere affetti da IBD nella prole aumenta drasticamente se entrambi i genitori sono affetti da IBD, con un rischio del 33-52%. Studi sui gemelli Nel 1988 è stato pubblicato il primo studio che ha dimostrato in coppie di gemelli monozigoti un tasso di concordanza superiore di MC, rispetto ai dizigoti. In tale studio sono stati osservati tassi di concordanza per MC del 58% nei monozigoti e del 4% nei dizigoti. Successivamente una coorte danese ha riportato tassi di concordanza del 58% nei monozigoti e dello 0% nei dizigoti. Allo stesso modo, i tassi corrispondenti a gemelli monozigoti e dizigoti con CU erano del 18% e 4%, rispettivamente. Questi dati sono poi stati confermati da altri studi di coorte scandinavi, britannici e tedeschi. Più recentemente, uno studio standardizzato per età ha mostrato tassi di concordanza per MC in gemelli monozigoti e dizigoti rispettivamente del 38% e del 2%. I corrispondenti per CU sono stati del 15% e dell’8%. È noto anche un aumento di prevalenza delle IBD in altre condizioni infiammatorie croniche, con forte evidenza di suscettibilità genetica, come la spondilite anchilosante, la psoriasi, la sclerosi multipla e la celiachia 3. Genetica molecolare Studi di linkage Le IBD hanno una predisposizione genetica non di tipo 8 mendeliano classico, ma sono malattie geneticamente complesse. Ampie scansioni di genoma basate su studi di linkage, usando micro satelliti come marcatori, hanno mostrato negli anni ’90 regioni cromosomiali comuni in coppie di parenti affetti. Nel 1996 con questa strategia è stata dimostrata una regione di linkage sul cromosoma 16, chiamata IBD-1. Studi successivi, hanno identificato altre aree di linkage significativo su altri cromosomi. Nel 2001 è stato identificato il primo gene di suscettibilità genetica per la malattia di Crohn, il gene NOD2, all’interno del locus IBD 1. In particolare, tre polimorfismi differenti di NOD2 nella regione LRR hanno mostrato essere associati al MC. Queste tre varianti comprendono una mutazione “frameshift” (Leu1007fi NSC) che provoca una trascrizione troncata e due polimorfismi “nonsynonymous” (Arg702Trp e Gly908Arg). La prevalenza di questi tre principali polimorfismi varia nel mondo, con tassi di maggiore prevalenza in Europa e Stati Uniti: fino al 40% di pazienti affetti da MC è portatore di almeno uno dei suddetti polimorfismi. D’altro canto, sono stati riportati tassi di mutazione inferiori nel Nord Europa (Scandinavia e Scozia); inoltre le mutazioni NOD2 sembrano essere quasi assenti in Asia (Giappone, Corea e Cina) 4. Studi di associazione di tutto il genoma (GWAS) Dopo la dimostrazione che nelle IBD non esiste un unico gene, ma piuttosto un grande numero di geni coinvolti, si è passati agli studi di associazione di tutto il genoma (GWAS), dove si confronta la frequenza di un particolare allele variante tra casi e controlli. Attualmente, in letteratura sono stata descritti 163 loci di suscettibilità. Molti polimorfismi a singolo nucleotide, associati al MC, sono stati identificati nel gene TNFSF15 oltre che nel NOD2. Altre varianti, associate alle IBD sono state identificate nel gene del recettore per l’interleuchina 23 (IL23R). Altri loci sono stati poi identificati nella regione del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e nel gene che codifica la proteina della matrice extracellulare 1 (ECM1). Le IBD presentano un’incidenza durante l’infanzia o l’adolescenza del 15-20%. Lo studio di pazienti con esordio precoce della malattia avrebbe potuto dimostrare una maggiore probabilità di identificare varianti di rischio nuove, non identificate negli adulti. Le IBD ad insorgenza precoce, mostrano, tra l’altro, la tendenza fin all’esordio ad interessare zone più estese di intestino e ad avere una progressione più rapida. Due recenti GWAS, effettuati esclusivamente in questa fascia di età, hanno dimostrato molte somiglianze genetiche tra le IBD ad insorgenza precoce e quelle ad insorgenza nell’età adulta. Diversi loci, già noti da studi sugli adulti (NOD2, IL23R, HLA, TNFSF15), sono stati dimostrati anche sui bambini affetti da IBD. Tuttavia sono stati identificati altri nuovi loci, associati alle IBD in età pediatrica e non riscontrati sugli adulti: tra questi il 20q13 e 21q22, verosimilmente ap- CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Genetica ed epigenetica delle IBD partenenti al gene TNFRSF6B, coinvolto nella via del tumor necrosis factor (TNF). Anche il locus 16p11, vicino al gene per IL27, è stato identificato in pazienti con insorgenza precoce di IBD ma non nei pazienti adulti. Dei 163 loci identificati, 110 sembrano essere rilevanti sia per il MC che per la CU, 23 sembrano essere di rischio specifico per CU e 30 specifici per MC. Questo spiega solo il 23,3% del rischio di ereditarietà stimata per il MC ed il 16% per CU. D’altra parte la ricerca in tal campo non è conclusa, ed un ampio nu- mero di geni di interesse sono stati identificati, tra questi ricordiamo SMAD3, ERAP2, IL10, IL2RA, TYK2, FUT2, DNMT3A, DENND1B, BACH2, TAGAP e ED 18. Altri geni invece rimangono tuttora candidati, ma con incerto coinvolgimento nella patogenesi: IL1R2, IL8RA-IL8RB, L7R, IL12B, DAP, PRDM1, JAK2, IRF5, GNA12 e LSP1. Molti geni associati alle IBD sembrano essere coinvolti nel processo di differenziazione di linfociti T (per esempio le citochine IL21, IL10, IFNG, IL7R). In particolare, alcuni di loro sono specificamente coinvolti nella via dell’IL23 (IL23R, JAK2, STAT3, IL12B e PTPN2), implicata nel processo di differenziazione dei linfociti Th17. Le cellule Th17 sono ritenute fondamentali nel coordinare la difesa contro i patogeni specifici e nel mediare l’infiammazione. Altri geni, coinvolti nell’interazione con il TNF (TNFRSF9, TNFRSF14, e TNFSF15), sono ben rappresentati e codificano per proteine con vari effetti immunitari, tra cui la propagazione dell’infiammazione sistemica e l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB infiammatorio (Tab. I). Tabella I. Principali pathways patogenetiche implicate nelle IBD e relativi marcatori molecolari identificati. Locus Gene candidato Pathway SLG Ligando costimolatore inducibile cellule T Ruolo chiave per differenziazione cellule Th17 da linfocti CD4 naïve. Molecola costimolatrice in cellule presentanti l’antigene STAT3 Trasduttore del segnale e attivatore della trascrizione 3 Trasduttore del segnale in molte pathways delle citochine tra cui IL23 e IL6 JAK2 Janus chinasi 2 Chinasi nella pathway STAT3 CCR627 Recettore chemochina 6 Recettore accoppiato a proteina G espresso nelle cellule di memoria T, media migrazione nei tessuti per flogosi epiteliale TNFSF15 Membro 15 della superfamiglia tumor necrosis factor Induce attivazione di NF-B, potenzia il segnale di IL-2 e secrezione di IFNγ da linfociti T NKX2-3 Fattore di trascrizione correlato a NK2, locus 3 Fattore di trascrizione espresso nell’intestino Gene desert cromosoma 5p13 PTGER4 SNP su 5p13 correla con l’espressione di PTPGER4. Codifica recettore prostaglandina EP4 MST1 Stimolatore macrofagi 1 MST1 induce fagocitosi da parte di macrofagi peritoneali ITLN1 Intelectina 1 ITLN1 riconosce residui di galattofuranosile presente nelle pareti delle cellule di vari microrganismi non mammiferi ECM1 Proteina della matrice extracellulare1 Associata con CU, probabilmente implicate nell’alterazione delle permeabilità intestinale IL-10252, 253 Interleuchina 10 Varianti associate con CU Cluster di SNPs 5.5 kb a monte di PTPN2 PTPN2. Tirosin-fosfatasi proteica delle cellule T (TCPTP) Regolatore negativo della via di segnalazione pro infiammatoria JAK-STAT 9 T. Gabbani et al. Infine, dagli ultimi studi emerge che gran parte dei loci di rischio per le IBD sono condivisi con altre malattie immunomediate, come la spondilite anchilosante, la psoriasi, le immunodeficienze primarie e le malattie da micobatteri. È stato dimostrato infatti, che alcuni particolari polimorfismi conferiscono un aumento di rischio per più di una malattia immuno-mediata. La sovrapposizione genetica però non è costituita solo da loci condivisi di rischio: alcuni polimorfismi o aplotipi sembrano conferire un aumento del rischio per una malattia ma addirittura possono essere protettivi per un’altra patologia. In particolare è stata identificata una sovrapposizione genetica tra MC e suscettibilità alle infezioni da Mycobacterium leprae, con 7 su 8 geni condivisi 5, 6. Epigenetica I fattori genetici identificati spiegano solo una piccola percentuale di tutti i casi di IBD e, da soli, non giustificano l’aumentata incidenza di tali patologie negli ultimi decenni, anche in considerazione della stabilità del genoma umano nell’ultimo secolo. Nella patogenesi delle IBD, come già menzionato, giocano un ruolo importante fattori ambientali e pertanto i meccanismi epigenetici possono rappresentare il punto di incontro tra genetica e ambiente. L’epigenetica è la branca della genetica che studia le modificazioni ereditabili che alterano la funzionalità del gene, senza alterare la sequenza nucleotidica del DNA. I due 10 meccanismi epigenetici maggiormente studiati nei mammiferi comprendono le modificazioni degli istoni (acetilazione e metilazione) e la metilazione del DNA. Recentemente, è stata posta l’attenzione anche sui microRNA, piccoli RNA non codificanti, che agirebbero da fattori epigenetici. Tali meccanismi agiscono modificando il grado di espressione di un gene, riducendolo o aumentandolo. Ad esempio, la metilazione del DNA all’estremità 5’ del promotore di un gene porta al silenziamento del gene stesso, mentre le modificazioni degli istoni portano ad alterazioni del compattamento della cromatina, modulando l’espressione dei geni. Mentre il profilo genetico rimane stabile durante la vita dell’individuo, il profilo epigenetico è più facilmente e più rapidamente influenzato dai fattori ambientali (dieta, stress, agenti chimici, farmaci). Le epimutazioni durano per tutta la vita della cellula e vengono trasmesse alle cellule figlie durante la mitosi, portando ad un nuovo fenotipo acquisito, che talvolta potrà anche essere ereditato. Per tale motivo l’epigenoma rappresenta un sistema allo stesso tempo stabile, per la possibilità di trasmissione alle cellule figlie, e dinamico, per la possibilità che fattori stocastici e ambientali lo modifichino nel tempo. Normalmente il profilo epigenetico va incontro ad un processo di riprogrammazione durante la gametogenesi. Nel caso in cui tale processo avvenga in maniera incompleta, le modifiche epigenetiche indotte dall’ambiente potranno esse- re trasmesse alla generazione successiva (ereditarietà epigenetica transgenerazionale). Questo evento può spiegare sia i casi sporadici di IBD, che i casi ad aggregazione familiare. Nei casi sporadici una mutazione epigenetica si verifica nella linea germinale, causando la malattia nella progenie. Quando la mutazione persiste per più generazioni, si può verificare il fenomeno dell’anticipazione epigenetica, che consiste nel progressivo aggravamento del fenotipo nelle generazioni successive, con un esordio più precoce ed un decorso più aggressivo della malattia. I fattori ambientali e il microbioma intestinale presentano un ruolo fondamentale nel determinare il profilo epigenetico dell’individuo, sopratutto durante la gravidanza e nelle prime fasi dello sviluppo 7. Ad esempio, una dieta materna ricca di folati e di sostanze ricche di donatori di gruppi metile, va ad influenzare il grado di metilazione del DNA nel feto, portando ad un determinato profilo epigenetico, più o meno suscettibile a diverse malattie. Per quanto riguarda il microbioma intestinale, questo può alterare il profilo epigenetico delle cellule epiteliali e delle cellule immunitarie, ad esempio attraverso la formazione di metaboliti come il butirrato, che agisce da inibitore della deacetilasi istonica. In questo modo il microbioma si inserisce in un sistema complesso, in cui i meccanismi epigenetici modulano la risposta immunitaria sia innata che acquisita, in un delicato equilibrio tra tolleranza e difesa dell’ospite, garantendo la giusta omeostasi CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Genetica ed epigenetica delle IBD Tabella II. Studi di metilazione del DNA su sangue periferico e su biopsie intestinali nelle IBD. Autori Tipo di campione Soggetti Loci con differente metilazione Harris et al., 2012 Sangue periferico Gemelli monozigoti discordanti, controllo con IBD TEPP Lin et al., 2012 Linfociti B EBV-trasformati 18 pazienti IBD Bcl3, PPARG, STAT3, OSM, STAT5, IL12RB, SOX1, COL18A1 Nimmo et al., 2012 Sangue periferico 21 MC ileali, 19 controlli MAPK13, FASLG, PRF1, S100A13, RIPK3, IL-21R Cooke et al., 2012 Biopsie rettali (intero tessuto e cellule epiteliali) 8 CU attive, 8 CU quiescenti, 8 MC attive, 8 MC quiescenti, 8 controlli sani THRAP2, FANCC, TNFSF4, TNFSF12, FUT7, CARD9, ICAM3, and IL8RB Hasler et al., 2012 Biopsie intestinali 20 gemelli monozigoti discordanti, 135 soggetti controllo CFI, SPINK4, THY1/CD90 Lin et al., 2012 Tessuto intestinale da pezzo operatorio 9 MC, 17 CU, 26 controlli sani BGN, SERPINA, TNFSF1A, AATK, GABRA5, MAPK10, e STAT5A intestinale. La stretta interazione tra il microbioma intestinale e il profilo epigenetico dell’individuo, in particolare nelle prime fasi della vita, è alla base della cosiddetta ipotesi igienica, secondo la quale la precoce esposizione batterica durante l’infanzia e l’adolescenza, possa proteggere da patologie immunomediate come l’asma o le IBD. Il meccanismo epigenetico maggiormente studiato nelle IBD è la metilazione del DNA, che è stato valutato su cellule di sangue periferico e su campioni di tessuto intestinale di pazienti affetti da IBD e di controlli sani. Quello che è emerso è che le differenze tra i due gruppi riguardavano loci contenenti geni direttamente correlati alla risposta immunitaria e alla via IL23/Th17 e IL12/Th1. I geni coinvolti erano gli stessi geni di suscettibilità individuati negli studi del genoma, come TNF, NOD2, IL19, IL27, CARD9, ICAM3, IL8RB. Un altro dato interessante è rappresentato dal fatto che le differenze di metilazione sono state riscontrate confrontando specialmente IBD attive e controlli (Tab. II). Le modificazioni degli istoni rappresentano invece un meccanismo meno studiato nelle IBD. A questo proposito ricordiamo che le citochine fibrogeniche, come IL1b, TGFb e TNFa, modificano gli istoni della regione del gene del collagene di tipo I, inducendone l’espressione. Questa è la dimostrazione che fattori epigenetici possono modulare l’espressione di geni fibrogenici, determinando ad esempio il pattern fibrostenosante delle IBD 8. Per quanto riguarda i miRNA intestinali, questi sono coinvolti nella regolazione dell’omeostasi e si trovano alterati sia a livello tissutale, che nel sangue periferico di soggetti con IBD (Tab. III), inoltre la terapia corticosteroidea può modificare il loro profilo di espressione. Gli studi di epige- netica nelle IBD hanno importanti implicazioni sia diagnostiche che terapeutiche. L’analisi della metilazione del DNA e del profilo dei miRNA nei campioni fecali, nelle biopsie intestinali e nel sangue periferico, potranno essere usati possibilmente per confermare la diagnosi e definire il fenotipo di malattia, per predire il decorso della malattia, la suscettibilità a sviluppare una neoplasia, ed eventualmente valutare la risposta alla terapia. Conclusioni Nonostante i grandi progressi nell’ambito della genetica molecolare, alcune osservazioni epidemiologiche sono ancora senza risposta. È difficile stabilire qualsiasi chiara associazione tra genotipo e fenotipo, a parte le peculiarità del NOD2. Sulla base delle analisi delle sequenze di DNA, l’alta ereditabilità osservata nelle IBD è stata 11 T. Gabbani et al. Tabella III. Studi sul miRNA su sangue periferico e su biopsie intestinali nelle IBD. Autori Tipo di campione Duttagupta et al., 2012 Sangue periferico 20 CU attive, 20 controlli sani Paraskevi et al., 2012 Sangue periferico miR-16, -23a, -29a, 106a, -107, -126, -191, 128 MC, 162 controlli sani; 88 CU -199a-5p, -200c, 362-3p, and 532-3p miRattive e 162 controlli 16, -21, -28-5p, -151-5p, -155, 199a-5p Wu et al., 2011 Sangue periferico MC attivi vs controlli. MC quiescenti vs controlli sani. CU attive vs 13 controlli sani. CU attive vs MC attivi miR-199a-5p, -340, -363-3p, -532-3p, and miRplus-E1271 miR-340 * miR-28-5p, -1515p, -103-2 *, 199a-5p, -340 *, -362-3p, -532-3p, and miRplus-E1271, miR-28-5p, 103-2 *, 149 *, 151-5p, -340, -532-3p, iRplus-E1153 Zahm et al., 2011 Siero 46 MC attivi, 32 controlli sani miR-16, -20a, -21, -30e, -93, -106a, -140, -192, -195, -484, let-7b Bian et al., 2011 Biopsie del colon 5 CU attive, 4 controlli sani miR-150 Brest et al., 2011 Biopsie del colon 83 CD attivi, 67 controlli sani miR 196 Fasseu et al., 2010 Biopsie del colon CU attive vs controlli sani. CU quiescenti vs controlli sani MC attivi vs controlli sani MC quiescenti vs controlli sani MC quiescenti vs MC quiescen. miR-7, -31, -135b, 223, 29a, 29b, 126, -1273p, 324-3p. miR-196a, -29a, 29b, -126, 127-3b, 324-3p miR-9, -21, -22, -26a, -29a, 29c, 30b, 31, 34c-5p, -106a, -126,-126 *, -127-3p, -130a, -133b, -146a, -146b-3p, -150 ,155, -181c, -196a, -324-3p, -375 miR-9*, -21, -22, -26a, 29b, 29c, 30a*, -30b, -30c -31, -34c-5p, 106a, -126, -127-3p, -133b, -146a, 146b-3p, -150, -155, -196a -223, 324-3p Nguyen et al., 2010 Biopsie del colon 8 MC attivi, 6 controlli sani Olaru et al., 2011 Biopsie del colon Displasia IBDassociata vs IBD attiva Pekow et al., 2012 Biopsie del colon 8 CU attive vs 8 controlli sani Takagi et al., 2010 Biopsie del sigma 12 CU attive vs 12 controlli sani miR-21, 155 Wu et al., 2008 Biopsie del sigma 15 CU attive vs 15 controlli sani miR-16, -21, 23a, 24, 29a, 126, 195, left-7f miR-192, 375, 422b Wu et al., 2010 Biopsie del sigma, ileo terminale 5 MC colon vs 13 controlli. 6 MC ileali vs 13 controlli sani miR-23b, -106a, 191. miR-16, -21, -223, 594 miR-19b and -629 12 Tipo di soggetti miRNA con aumentata espressione miRNA con ridotta espressione miR-188-5p, -378, -422a, -500, -501-5p, -769-5p, 874 miR-149 * and miRplus-F1065 miR149 * miR-505 * miR-505 * miR-188-5p, -215, -320a, 346. miR-188-5p, -215, -320a, 346. miR-150, 196b, 199a3p, 199-5p, -223, 320a. miR-7 miR-31, 31 *, -96, -135b, -141, -183, -192, -192 *, -194, -194 *, -200a, -200° *, -200b, -200b *, -200c, -203, -215, -224, -375, -424 *, -429, -552 miR -122, -139-5p, -142-3p, -146b-5p, -155, -223, -490-3p, 501-5p, -892b, -1288 miR-143 and -145 CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Genetica ed epigenetica delle IBD solo parzialmente chiarita, ed i contributi degli altri meccanismi molecolari di ereditabilità, tra cui l’epigenetica, sono ancora in gran parte da definire. Ad oggi, i progressi scientifici della genetica molecolare comunque non hanno ancora influenzato la pratica clinica nella gestione delle IBD e le applicazioni pratiche sono ancora attese. Ci si augura che modelli genetici più accurati possano consentire una maggiore valutazione del profilo, migliorare la stratificazione clinica anche in senso prognostico, e potenzialmente aiutare nel predire la risposta alla terapia, evitando potenziali effetti tossici della terapia stessa. I dati preliminari dello studio dell’International IBD Genetic Consortium, sul rischio di colectomia per CU acuta grave, sono un esempio promettente, avendo eviden- ziato un marcatore genetico (rs2403456 sul cromosoma 11p15.3) fortemente correlato all’evoluzione verso la colectomia 9. Bibliografia 1 Economou M, Pappas G. New global map of Crohn’s disease: Genetic, environmental, and socioeconomic correlations. Inflamm Bowel Dis 2008;14:709-20. 2 Lapidus A. Crohn’s disease in Stockholm County during 19902001: an epidemiological update. World J Gastroenterol 2006;12:75-81. Ahmad T, Satsangi J, McGovern D, et al. Review article: the genetics of inflammatory bowel disease. Aliment Pharmacol Ther 2001;15:731-48. 3 Ek WE, D’Amato M, Halfvarsonb J. The history of genetics in inflammatory bowel disease. Ann Gastroenterol 2014; 27:294-303. 4 5 Däbritz J, Menheniott TR. Link- ing immunity, epigenetics, and cancer in inflammatorybowel disease. Inflamm Bowel Dis 2014;20:1638-54. 6 Cho JH, Brant SR. Recent insights into the genetics of inflammatory bowel disease. Gastroenterology 2011;140:1704-12. Grossniklaus U, Kelly B, Ferguson-Smith AC, et al. Transgenerational epigenetic inheritance: how important is it? Nat Rev Genet 2013;14:228-35. 7 Sadler T, Scarpa M, Rieder F, et al. Cytokine-induced chromatin modifications of the type I collagen alpha 2 gene during intestinal endothelial-to-mesenchymal transition. Inflamm Bowel Dis 2013;19:1354-64. 8 Radford-Smith G, Doecke JD, Lees CW, et al. Clinical and molecular characterization of medically refractory acute severe colitis: preliminary results from the International Inflammatory Bowel Disease Genetics Consortium (IIBDGC) Immunochip study. Gastroenterology 2013;144:S-470. 9 • Le IBD mostrano importanti differenze geografiche ed etniche di prevalenza, l’incidenza è in aumento e l’aggregazione familiare è frequente soprattutto nelle forme pediatriche. • La presenza di un parente di 1° grado con IBD rappresenta tuttora il maggior fattore di rischio. • Sono stati descritti almeno 163 loci di suscettibilità identificati, in gran parte condivisi con altre malattie immuno- mediate (spondilite anchilosante, psoriasi, immunodeficienze primarie e malattie da micobatteri). • I fattori ambientali ed i meccanismi epigenetici giocano un ruolo importante nella patogenesi delle IBD. • Mentre il profilo genetico rimane stabile durante la vita dell’individuo, il profilo epigenetico è influenzato dai fattori am- bientali. Le epimutazioni durano per la vita della cellula, inoltre possono essere trasmesse alle cellule figlie portando ad un nuovo fenotipo acquisito che potrà anche essere ereditato. 13 PEDIATRIC HEPATOLOGY a cura di Francesco Cirillo I difetti di sintesi degli acidi biliari: una diagnosi che non dovrebbe mai essere omessa Bile acid synthesis defect: a diagnosis that should never be missed Mara Cananzi1 (foto) Giuseppe Giordano2 Gastroenterologia, Endoscopia digestiva, Epatologia e Cura del bambino con trapianto di fegato, UOC Clinica Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova; 2 Laboratorio Spettrometria di Massa, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova 1 Key words Inborn errors of bile acid metabolism • Defects of primary bile acid synthesis • Cholic acid • Chenodeoxycholic acid Abstract Inborn errors of bile acid synthesis are rare genetic disorders that cause chronic liver disease, fat malabsorption and fat-soluble vitamin deficiency in childhood. The diagnosis is made by liquid chromatography-tandem mass spectrometry. If the disorder remains untreated end-stage liver disease may develop, while bile acid replacement therapy allows resolution of the hepatic disorder with excellent prognosis. Indirizzo per la corrispondenza Mara Cananzi via Giustiniani 3, 35100 Padova E-mail: [email protected] 14 Introduzione I difetti di sintesi degli acidi biliari (DSAB) sono un gruppo di alterazioni del metabolismo degli steroli causati da alterazioni, geneticamente determinate, del processo di sintesi degli acidi biliari 1. Da un punto di vista clinico i DSAB possono esordire a tutte le età: in età pediatrica si manifestano prevalentemente con quadri di epatopatia e con i segni del malassorbimento delle vitamine liposolubili mentre in età adulta si presentano con sintomi neurologici 2. L’esatta epidemiologia dei DSAB non è nota; si stima che la prevalenza di questi disordini in Europa sia pari a 1-9 soggetti/1.000.000 persone. Si ritiene inoltre che i DSAB siano responsabili di circa l’1-2% di tutte le epatopatie croniche in età pediatrica 2. L’obiettivo di questa revisione è quello di fornire indicazioni utili per sospettare, diagnosticare e trattare le epatopatie secondarie a DSAB in età pediatrica. Acidi biliari: basi biochimiche e fisiologiche Gli acidi biliari sono un gruppo eterogeneo di steroli acidici (molecole anfipatiche costituite da un nucleo sterolico idrofobico e da un gruppo acido carbossilico idrofilico) sintetizzati tramite multiple reazioni enzimatiche a partire dal colesterolo (Fig. 1). Il processo di sintesi degli acidi biliari avviene esclusivamente negli epatociti e consiste nella produzione degli acidi biliari primari (acido colico [cholic acid, CA] e acido chenodesossicolico [chenodeoxycholic acid, CDCA]) e dei loro coniugati (Fig. 2). Gli acidi biliari secondari sono prodotti nel lume intestinale tramite processi di deidrossilazione e deconiugazione operati dalla Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:14-20 PEDIATRIC HEPATOLOGY I difetti di sintesi degli acidi biliari Figura 1. Classificazione degli acidi biliari e loro strutture molecolari. flora batterica; la loro sintesi non è pertanto rilevante ai fini dei DSAB 3. Gli acidi biliari possiedono numerose funzioni: stimolano la produzione biliare; consentono l’escrezione di colesterolo e di tossici esogeni ed endogeni con la bile; permettono di assorbire i grassi e le vitamine liposolubili; facilitano l’assorbimento intestinale di calcio; prevengono l’eccessiva crescita batterica intestinale. In condizioni di colestasi, tuttavia, l’aumento della concentrazione intraepatocitaria degli acidi biliari produce effetti epatotossici. A causa del loro elevato potere detergente, in concentrazioni troppo elevate, gli acidi biliari innescano meccanismi di stress ossidativo e generano effetti citotossici e pro-apoptotici 3. DSAB: classificazione e aspetti fisiopatologici I DSAB sono classificati in “primitivi” e “secondari” 2. I DSAB primitivi sono causati da deficit congeniti di specifici enzimi epatici coinvolti nel processo di sintesi degli acidi biliari. I DSAB secondari si realizzano nell’ambito delle malattie perossisomiali (es. sindrome di Zellweger, adrenoleucodistrofia neonatale) in cui l’alterato assemblaggio dei perossisomi impedisce lo svolgimento delle reazioni enzimatiche a sede perossisomiale implicate nella biosintesi degli acidi biliari. In questo articolo sono trattati soltanto i DSAB primitivi. Dal 1974 fino ad oggi sono stati descritti 8 difetti primitivi di sintesi degli acidi biliari (Fig. 2, Tab. I), tutti a trasmissione au- tosomica recessiva; fra questi i più frequenti sono costituiti dal deficit di 3-β-idrossi-C27steroido deidrogenasi e dal deficit di δ4-3-ossisteroide-5-β reduttasi, seguiti dalla xantomatosi cerebrotendinea e dai difetti di coniugazione 1. Nonostante le loro singole peculiarità, i DSAB condividono i medesimi principi fisiopatologici: il deficit di un enzima causa, “a monte” del blocco enzimatico, un accumulo di intermedi tossici e, “a valle” del blocco enzimatico, una ridotta produzione biliare. In condizioni fisiologiche gli acidi biliari primari regolano la loro sintesi tramite un meccanismo di feedback negativo modulato dal recettore nucleare X Farnesoide (FXR). Nei DSAB l’assenza degli acidi biliari primari impedisce l’attivazione di questo meccanismo di auto-regolazio- 15 M. Cananzi, G. Giordano Figura 2. Sintesi degli acidi biliari all’interno degli epatociti. La principale via biosintetica (in arancione) è costituita dalla via classica, responsabile della formazione del 90% degli acidi biliari primari (CA e CDCA). La via alternativa di sintesi degli acidi biliari (in rosa) è responsabile della formazione di una quantità di CDCA pari a circa il 10% di tutto il pool di acidi biliari primari. La terza via di sintesi (in azzurro) è costituita dal percorso di 25-idrossilazione che porta alla formazione di un’ulteriore piccola quota di CA. Dopo la sintesi, gli acidi biliari primari vengono coniugati. Il processo di coniugazione con glicina o taurina, è indispensabile per la loro escrezione nella bile poiché ne garantisce la solubilità in ambiente acquoso a diversi pH (ovvero nella bile e nel liquido enterico); per tale ragione, sia in condizioni fisiologiche che in corso di colestasi, gli acidi biliari presenti nella bile sono quasi esclusivamente costituiti da acidi biliari coniugati. In giallo e blu sono rappresentati gli enzimi i cui deficit sono responsabili dei DSAB attualmente noti (da Heubi et al., 2007 2, mod.). ne per cui gli epatociti, nel tentativo di ripristinare un normale pool di acidi biliari, continuano a metabolizzare il colesterolo sintetizzando un accumulo inarrestabile di metaboliti epato- e/o neuro-tossici 4. 16 In condizioni normali, gli acidi biliari rappresentano i principali componenti organici della bile e, una volta secreti nelle vie biliari, sono i maggiori determinanti del gradiente osmotico responsabile dell’e- screzione biliare. Nei DSAB l’assenza degli acidi biliari determina una riduzione della produzione di bile con conseguente malassorbimento intestinale di lipidi e vitamine liposolubili (Fig. 3) 4. PEDIATRIC HEPATOLOGY I difetti di sintesi degli acidi biliari Tabella I. Principali caratteristiche dei DSAB attualmente noti. #OMIM Gene/i Sede intracellulare della reazione biochimica Deficit di colesterolo 7α-idrossilasi 118455 CYP7A1 microsomi A IperC, LB Deficit di ossisterolo 7α-idrossilasi (DSAB3) * 613812 CYP7B1 microsomi I E Deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido deidrogenasi (DSAB1) 607765 HSD3B7 microsomi I E, M Deficit di δ4-3-oxosteroide-5-β reduttasi (DSAB2) 235555 AKR1D1 citosol I E Deficit di sterolo 27 idrossilasi (xantomatosi cerebrotendinea) 213700 CYP27A1 mitocondri I, A E, N, X, C, IpoC Deficit di 25-idrossilasi ** 604551 CH25H microsomi I E Deficit di 2-metilacil-CoA racemasi (DSAB4) 214950 AMACR perossisomi I, A E, M, N, IpoC Deficit di CoA ligasi e difetti dell’amidazione (Ipercolanemia familiare) 607748 EPHX1, TJP2, BAAT perossisomi I E, M Reazione biochimica Deficit enzimatico (DSAB) Modificazioni dell’anello sterolico Modificazioni delle catene laterali dell’anello sterolico Coniugazione Età di esordio Quadro clinico Abbreviazioni. E = epatopatia, M = segni malassorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili, N = neuropatia, IpoC = ipocolesterolemia, IperC = ipercolesterolemia, LB = litiasi biliare, X = xantomi, C = cataratta, I = età pediatrica, A = età adulta. * Il deficit di ossisterolo 7α-idrossilasi è stato descritto in un unico paziente: lattante di 10 settimane affetto da una grave epatopatia colestatica a GGT bassa e con assenti acidi biliari plasmatici. L’epatopatia, a causa dell’importante tossicità dei precursori monoidrossilati, non ha risposto alla terapia con CA ed il bambino ha necessitato di un trapianto di fegato. ** Il deficit di 25 idrossilasi è stato descritto in un unico paziente: lattante di 9 settimane affetto da epatite colestatica a GGT bassa associata a ridotti livelli plasmatici di acidi biliari. L’epatopatia è stata curata con CA + CDCA. DSAB: quadri clinici e bioumorali I DSAB possono manifestarsi in modo eterogeneo sia per età di insorgenza dei sintomi (pediatrica o adulta) che per manifestazioni cliniche; queste possono essere costituite da quadri di epatopatia cronica, di malassorbimento intestinale e di disturbi neurologici progressivi. Il principale fattore che determina la variabilità clinica dei DSAB è costituito dal difetto enzimatico. In generale, i DSAB causati da deficit di enzimi implicati nelle reazioni di modificazione del nucleo sterolico (con l’eccezione del deficit di colesterolo 7α-idrossilasi) sono più precoci e più severi ed esordiscono nell’infanzia con quadri di epatopatia associati a segni di malassorbimento delle vitamine liposolubili. Nei DSAB causati da deficit di enzimi implicati nelle reazioni di modificazione delle catene laterali dell’anello sterolico e nei processi di coniugazione degli acidi biliari primari sono invece prevalenti i sintomi extra-epatici 2. I DSAB determinati da deficit enzimatici di enzimi implicati nelle reazioni di modificazione del nucleo sterolico rappresentano i DSAB più frequenti e di maggiore interesse per l’epatologo pediatra. Essi sono principalmente costituiti dal deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido deidrogenasi e dal deficit di δ4-3-ossisteroide-5-β reduttasi. Da un punto di vista clinico si manifestano in età pediatrica con quadri variabili di epatopatia (epatite neonatale, epatite cronica, cirrosi) e con segni di malassorbimento delle vitamine liposolubili talora con 17 M. Cananzi, G. Giordano Figura 3. A. In condizioni fisiologiche gli acidi biliari primari auto-regolano la loro sintesi tramite un meccanismo di feedback negativo modulato da FXR. In presenza di sufficienti quantità di CA e CDCA, FXR riduce la sintesi di nuovi acidi biliari inibendo la trascrizione di 3 enzimi: colesterolo 7 α-idrossilasi (via classica), sterolo-27 idrossilasi (via alternativa), 12α-idrossilasi (via classica e pathway di 25-idrossilazione). B. Nei DSAB l’assenza degli acidi biliari primari impedisce l’attivazione di FXR con conseguente accumulo di metaboliti tossici a monte del difetto enzimatico e ridotta escrezione biliare nel lume intestinale. franca steatorrea. L’età media alla diagnosi è di circa 1,3 anni (range: 4 settimane-11 anni di vita). I segni clinici di esordio sono principalmente costituiti da: ittero, epatomegalia, steatorrea, scarsa crescita, rachitismo. Il prurito è di regola assente anche se è stato segnalato in rari casi 5. Il deficit di δ4-3-ossisteroide-5-β reduttasi tende a manifestarsi più precocemente e ad avere un decorso più rapidamente evolutivo verso la cirrosi e l’insufficienza epatica rispetto al deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido deidrogenasi. I test epatici dimostrano valori bassi di GGT (mediana 20U/L, range 11-53) e valori variabili di transaminasi (ALT mediana 157U/L, range 55-600) e bilirubina (mediana 110umol/L, range 40-350). Da un punto di vista bioumorale questi disordini sono contraddistinti da valori bassi di acidi 18 biliari plasmatici e da abnormi livelli di precursori anomali degli acidi biliari nel plasma e nelle urine 2, 4, 5-8. I DSAB determinati da deficit degli enzimi deputati a catalizzare le reazioni di modificazione delle catene laterali dell’anello sterolico del colesterolo sono principalmente costituiti dalla xantomatosi cerebrotendinea e dal deficit di 2-metilacil-CoA racemasi. Si manifestano principalmente in età adulta con disordini neurologici degenerativi e sintomi quali atassia, paralisi pseudobulbare, demenza precoce. A questi si associano segni di malassorbimento delle vitamine liposolubili talora con franca steatorrea. Il quadro epatologico è variabile ma nella maggior parte dei casi consiste in un quadro di epatite colestatica neonatale a GGT bassa, con acidi biliari plasmatici bassi e a risoluzione spontanea nel primo anno di vita. Da un punto di vista bioumorale questi disordini sono contraddistinti da ridotti valori ematici di colesterolo e acidi biliari, e da abnormi livelli di precursori anomali degli acidi biliari nel plasma e nelle urine 2. I DSAB determinati da deficit di enzimi deputati alla coniugazione degli acidi biliari primari sono raggruppati sotto il termine di Ipercolanemia Familiare. Da un punto di vista bioumorale sono contraddistinti dalla completa assenza di acidi biliari coniugati nella bile e da elevati livelli plasmatici e urinari di CA. Da un punto di vista clinico sono principalmente caratterizzati dai segni del malassorbimento delle vitamine liposolubili in assenza di evidente steatorrea. A causa degli elevati livelli plasmatici di CA, molti soggetti lamentano PEDIATRIC HEPATOLOGY I difetti di sintesi degli acidi biliari prurito pur in assenza di una vera e propria epatopatia. Solo nel corso dei primi mesi di vita una quota di pazienti si presenta con un quadro di epatite colestatica neonatale a GGT bassa usualmente a risoluzione spontanea ma, in rari casi, potenzialmente severa 9. Dsab: diagnosi In età pediatrica i DSAB devono essere sospettati in presenza di: •un’epatopatia colestatica cronica a GGT bassa, associata a normali livelli degli acidi biliari plasmatici, soprattutto se in assenza di prurito; •un’epatopatia cronica criptogenetica; •segni di malassorbimento intestinale di lipidi e vitamine liposolubili (es. scarsa crescita, steatorrea, rachitismo, ariflessia, discoagulopatia) 1. La biopsia epatica può mostrare quadri istologici con gradi variabili di necrosi epatocitaria, fibrosi, colestasi canalicolare ed epatocellulare, sempre in assenza di reazione duttulare; l’esame istologico pertanto, è utile nella diagnosi differenziale dell’epatopatia ma non permette di formulare una diagnosi di certezza 5. La diagnosi si basa sull’utilizzo della spettrometria di massa che non solo consente di diagnosticare la presenza di DSAB ma anche di riconoscere il deficit enzimatico presente. In condizioni normali l’escrezione urinaria degli acidi biliari è irrilevante; in caso di colestasi, invece, l’escrezione urinaria degli acidi biliari aumenta in modo direttamente proporzionale alla severità della colestasi. Analogamente, nei DSAB, i metaboliti “atipici” degli acidi biliari prodotti a monte del blocco enzimatico vengono eliminati con l’urina dove possono essere identificati e quantificati tramite l’indagine spettrometrica. Per ciascun DSAB, quindi, la spettrometria di massa permette di riconoscere “l’impronta metabolica” dei singoli difetti in modo non invasivo (Fig. 4) 1, 2. L’analisi genetica è necessaria per stabilire il difetto molecolare alla base del deficit funzionale enzimatico e per effettuare una consulenza genetica alla famiglia. Trattamento La terapia dei difetti di sintesi degli acidi biliari primari si basa sulla somministrazione per via orale di CA e/o CDCA con lo scopo di ricostituire un normale pool di acidi biliari 1. Ciò permette da un lato di inibire, tramite l’attivazione di FXR, il Figura 4. Profili degli acidi biliari urinari ottenuti tramite spettrometria di massa rispettivamente da un soggetto sano (A) e da un paziente affetto da deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido deidrogenasi (B). IS = standard interni marcati. A, B, C, D = metaboliti biliari atipici presenti nel DSAB e non presenti in condizioni normali 19 M. Cananzi, G. Giordano processo endogeno di biosintesi di precursori “tossici” degli acidi biliari e, dall’altro, di ripristinare la produzione di bile acido biliare-dipendente 2. CA e CDCA si sono dimostrati efficaci nel trattamento di tutti i DSAB (i.e. scomparsa dei precursori tossici degli acidi biliari nell’urina, guarigione dell’epatopatia) fatta eccezione per il deficit di ossisterolo 7α-idrossilasi (Tab. I). CA e CDCA possono essere utilizzati singolarmente e in combinazione; le dosi di partenza sono di 5-15 mg/kg/die per CA o CDCA in monoterapia 4-8, e di 7 + 7 mg/kg/die per l’associazione di CA + CDCA 5. In corso di trattamento la spettrometria di massa permette di stabilire l’adeguatezza della dose monitorando la quantità dei metaboliti degli acidi biliari nell’urina 7. La terapia con acidi biliari primari è priva di effetti collaterali e sicura a lungo termine. Sono stati segnalati casi di transitoria epatotossicità (ipertransaminase- mia, colestasi a GGT elevata, prurito, diarrea) in caso di assunzione accidentale di dosi elevate. Nei pazienti con difetti di coniugazione degli acidi biliari primari si è recentemente dimostrata efficace la terapia con acido glicocolico (15 mg/ kg/die) 10. Bibliografia 1 Setchell KD, Heubi JE. Defects in bile acid biosynthesis-diagnosis and treatment. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2006;43(Suppl 1):S17-22. 2 Heubi JE, Setchell KD, Bove KE. Inborn errors of bile acid metabolism. Semin Liver Dis 2007;27:282-94. Monte MJ, Marin JJ, Antelo A, et al. Bile acids: chemistry, physiology, and pathophysiology. World J Gastroenterol 2009;15:804-16. 3 Gonzales E, Gerhardt MF, Fabre M, et al. Oral cholic acid for hereditary defects of primary bile acid synthesis: a safe and effective long-term therapy. Gastroenterology 2009;137:1310-20. 4 Subramaniam P, Clayton PT, Port- 5 mann BC, et al. Variable clinical spectrum of the most common inborn error of bile acid metabolism-3beta-hydroxy-Delta 5-C27steroid dehydrogenase deficiency. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;50:61-6. Mizuochi T, Kimura A, Ueki I, et al. Molecular genetic and bile acid profiles in two Japanese patients with 3beta-hydroxy-DELTA5-C27-steroid dehydrogenase/ isomerase deficiency. Pediatr Res 2010;68:258-63. 6 Riello L, D’Antiga L, Guido M, et al. Titration of bile acid supplements in 3beta-hydroxy-Delta 5-C27steroid dehydrogenase/isomerase deficiency. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;50:655-60. 7 Seki Y, Mizuochi T, Kimura A, et al. Two neonatal cholestasis patients with mutations in the SRD5B1 (AKR1D1) gene: diagnosis and bile acid profiles during chenodeoxycholic acid treatment. J Inherit Metab Dis 2013;36:565-73. 8 Setchell KD, Heubi JE, Shah S, et al. Genetic defects in bile acid conjugation cause fat-soluble vitamin deficiency. Gastroenterology 2013;144:945-55. 9 Heubi JE, Setchell KD, Jha P, et al. Treatment of bile acid amidation defects with glycocholic acid. Hepatology 2015;61:268-74. 10 I difetti di sintesi degli acidi biliari: • sono rari disordini epatici causati da deficit geneticamente determinati degli enzimi coinvolti nel metabolismo degli acidi biliari; • nel bambino si manifestano tipicamente con quadri di colestasi a GGT bassa e con i segni del malassorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili; • sono diagnosticati tramite l’identificazione di metaboliti “atipici” degli acidi biliari nei liquidi biologici (siero, urine) mediante spettrometria di massa; • se non trattati possono evolvere verso la cirrosi e l’insufficienza epatica; • rispondono prontamente al trattamento con acidi biliari che, nella maggior parte dei casi, determina la completa regressione dell’epatopatia. 20 a cura di Antonella Diamanti PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Latte vaccino intero o latte di crescita dopo l’anno di vita: quali evidenze? What evidences for whole cow’s milk or growing up milk after the first year of life? Il latte materno, alimento naturale specie-specifico, viene legittimamente considerato un complesso sistema biologico dinamico e inimitabile, in grado di soddisfare le esigenze nutritive e metaboliche del neonato/lattante. L’elevata biodisponibilità dei suoi nutrienti strutturali e funzionali, la presenza di cellule, un sofisticato network di fattori bioattivi con funzioni trofiche, metaboliche, ormonali e immunomodulanti conferiscono alla sua composizione dignità di gold standard. In considerazione degli inconfutabili benefici sullo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del bambino un documento redatto nel 2014 dal Ministero della Salute (Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al seno) ribadisce posizioni sostenute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da società scientifiche pediatriche che raccomandano l’allattamento al seno con modalità esclusiva per i primi 6 mesi di vita, integrato con alimenti complementari nel secondo semestre e proponibile oltre il primo anno. Se la valenza funzionale dell’allattamento al seno prolungato è condivisa da tutti, non c’è accordo su quale sia il latte più idoneo a sostituire quello materno dopo il primo anno di vita, in caso di indisponibilità. La vivace querelle scientifica verte sull’alternativa tra latte vaccino intero pastorizzato e i cosiddetti “latti di crescita” (LdC) 1-3, alimenti a base di latte (vaccino, caprino) o di vegetali (soia, riso). Il razionale per il loro utilizzo si basa fondamentalmente su due parametri compositivi: il tasso proteico inferiore a quello del latte vaccino intero e la supplementazione con micronutrienti (ferro, zinco, acidi grassi polinsaturi, vitamina D). L’alimentazione in età evolutiva è determinante per il futuro biologico dell’individuo. Secondo la teoria del programming, postulata dall’epidemiologo britannico David Barker, il regime dietetico Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:21-25 Vito Leonardo Miniello (foto) Lucia Diaferio U.O. “Bruno Trambusti”, Dipartimento di Assistenza Integrata, Scienze e Chirurgia Pediatrica, Università di Bari “Aldo Moro”, Azienda Ospedaliero Universitaria, Consorziale Policlinico di Bari, Ospedale Giovanni XXIII, Bari Key words Whole cow’s milk • Growing up milk • Toddler • Dietary protein adequacy • Iron intake Abstract As recommended by WHO, breastfeeding should ideally continue beyond infancy. When breastfeeding decreases or stops after 12 months of age, whole cow’s milk or growing up milks are the first-line choices for young children. Different views exist in the scientific community on whether growing up milk have any nutritional benefits when compared to other foods that can constitute the normal diet. Indirizzo per la corrispondenza Vito Leonardo Miniello via Amendola 207, 70126 Bari E-mail: [email protected] 21 V.L. Miniello, L. Diaferio adottato in periodi critici dello sviluppo (gestazione e infanzia) svolgerebbe un ruolo chiave nella programmazione endocrino-metabolica del bambino e del soggetto adulto, agendo quale cofattore ambientale nello sviluppo di malattie cronicodegenerative ad eziologia multifattoriale. Il nostro organismo contiene centinaia di tipologie cellulari che espletano differenti funzioni, nonostante presentino lo stesso DNA. Tutte le informazioni genetiche sono racchiuse nel genoma (ereditarietà “dura”): alcune restano continuamente attive (geni housekeeping) mentre altre vengono attivate in relazione alle specifiche funzioni da svolgere. Pertanto, non tutte le cellule utilizzano gli stessi geni. La programmazione viene governata dal silenziamento selettivo di alcuni geni a seguito di segnalazioni ambientali definite “epigenetiche” in quanto non modificano la sequenza del genoma, ma ne regolano la sua lettura (ereditarietà “morbida”). L’indagine epigenetica ha rivoluzionato l’approccio interpretativo delle patologie umane, ampliando un panorama relegato fino ad un recente passato al fatalismo del corredo genetico. In epoche precoci della vita macro e micronutrienti (funzionali e strutturali), insieme con il microbiota intestinale che condizionano, rappresentano i principali driver della segnatura epigenetica. Questa scoperta ha avuto un impatto culturale tale da meritare la copertina del Time (Why your DNA isn’t your destiny). 22 Per decenni l’obesità, considerata dall’OMS “emergenza sanitaria del terzo millennio”, è stata affrontata limitandosi ad interventi dietetici, realizzati prevalentemente in età scolare e adolescenziale. I risultati sconfortanti e una mole di evidenze scientifiche hanno successivamente suggerito la necessità di spostare l’attenzione delle strategie preventive nei confronti dell’obesità su epoche più precoci della vita, adottando un nuovo e differente approccio concettuale ed operativo al problema. L’intake proteico del lattante e del bambino nella prima infanzia (indicato nella letteratura internazionale con il termine toddler) è un argomento sensibile nell’ambito della comunità scientifica in quanto imputato nella multifattoriale eziopatogenesi dell’obesità. Con meccanismo adipogenico sequenziale l’elevato intake proteico (> 15% delle kcal totali) incrementerebbe i livelli plasmatici e tissutali di aminoacidi ramificati, la produzione di insulina e insulin like growth factor-1 (IGF-1), il numero di preadipociti (early protein hypothesis) 4. Fisiologicamente la curva del BMI (Body Mass Index) presenta un progressivo incremento durante il primo anno per poi diminuire e riprendere ad aumentare a partire dai 5-6 anni di vita. La precoce inversione della curva di adiposità (early adiposity rebound) in epoca prescolare, registrata nella ricostruzione dei grafici antropometrici di adolescenti e adulti obesi, suggerisce l’influenza di fattori di rischio ambientali presenti già durante le prime epoche di vita 5. Al fine di individuare il periodo critico dell’età evolutiva in cui l’eccessiva assunzione di proteine può ipotecare l’alterata composizione corporea è stata realizzata una recente revisione sistematica, validata dall’adozione della rigorosa metodologia GRADE (Grading of Recommendations Assessment and Evaluation). Dopo aver classificato le evidenze in convincing, probable, limitedsuggestive e limited-inconclusive, il panel di esperti conclude che un alto intake proteico nella dieta del lattante e del toddler è “convincingly” associato ad un più elevato BMI in epoche successive 6. Nell’ambito dell’Early Nutrition Project, finalizzato a valutare l’impatto a medio e lungo termine di interventi nutrizionali precoci, i risultati del progetto europeo CHOP (CHildhood Obesity Programm) inducono profonde riflessioni. Il followup a 6 anni del trial prospettico ha confermato valori elevati di BMI e precoce adiposity rebound (2-3 anni) nel gruppo alimentato con formula a più alto tasso proteico. In questi lattanti, inoltre è stato riscontrato un maggior rischio di sviluppare obesità (circa 2,5 volte) rispetto al gruppo che assumeva formula a basso apporto proteico 7. L’assunzione di micronutrienti funzionali ed in particolare di ferro riveste un ruolo cruciale nel programming dei primi anni di vita. Il ferro è un elemento indispensabile per la maturazione postnatale del sistema nervoso centrale, periodo in cui i neu- PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Latte di crescita dopo il primo anno roni completano il complesso network di connessioni. I primi due anni risultano particolarmente critici considerando la concomitanza temporale del consolidamento dei processi maturativi (sinaptogenesi, arborizzazione dendritica, mielinizzazione) e l’elevato rischio di incorrere in condizioni di depauperamento marziale (“finestra di vulnerabilità”). “La sequenza del DNA non è che l’inizio” recitava l’aforisma di J. Craig Venter e in effetti nel lattante il tessuto cerebrale è soggetto a sensibili variazioni dell’espressione genica, processo che permette alla cellula di rispondere dinamicamente agli stimoli ambientali compresi quelli nutrizionali. La biologia dei sistemi e l’impiego delle tecnologie molecolari cosiddette “omiche” ha rivelato che alcuni geni coinvolti nello sviluppo del linguaggio e delle abilità linguistiche sono altamente espressi solo nella vita fetale e nella prima infanzia. I latti di crescita sono stati commercializzati come “latti per la prima infanzia” e in quanto tali “adeguati per l’alimentazione di bambini da 1 a 3 anni”. In realtà il claim è rimasto per lungo tempo solo teorico considerando il gap legislativo e la mancanza di indicazioni nutrizionali evidence-based o perlomeno consensus-based. Sebbene disciplinati da atti giuridici dell’Unione Europea (Direttiva 2009/39/CE), i LdC non sono contemplati dalle misure specifiche in vigore, applicabili agli alimenti destinati ai lattanti e ai toddler. Dato che “esistono opinioni diverse sul fatto che tali prodotti rispon- dano alle esigenze nutrizionali specifiche della popolazione a cui sono destinati” (Regolamento 609/2013) il Parlamento europeo è ricorso all’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) perché potesse esprimersi a riguardo. Il documento EFSA (Scientific Opinion on nutrient requirements and dietary intakes of infants and young children in the European Union) afferma che i latti di crescita non possono essere considerati as a necessity per soddisfare i fabbisogni nutrizionali dei bambini nella prima infanzia, considerando l’apporto di altri alimenti presenti in una dieta bilanciata. è altrettanto doveroso segnalare che il panel di esperti EFSA ha evidenziato nei lattanti e toddler europei elevati apporti proteici, calorici e salini e ridotti intake di ferro, vit.D, acidi a-linolenico e docosaesaenoico (DHA). Partendo dal fondamentale assunto che il bambino non è un ‘piccolo adulto’, la componente lattea della sua alimentazione deve contribuire a soddisfare specifici fabbisogni nutrizionali, evitando al tempo stesso alterate assunzioni di macro e micronutrienti 8, 9. L’ultima revisione dei LARN (2012) ha prestato particolare attenzione al problema riducendo i valori di assunzione raccomandata (PRI) delle proteine nell’alimentazione del lattante (1,32 g/kg/die) e del toddler (1 g/kg/die). L’autorevole posizione dei LARN, il cui acronimo non indica più “raccomandazioni” ma livelli di assunzione di “riferimento”, dovrebbe indurre la revisione della percentuale compositiva proteica anche per i latti formula (alimenti per lattanti, alimenti di proseguimento). Il latte vaccino intero contiene un tasso proteico sensibilmente superiore a quello del LdC ed un’esigua quantità di ferro scarsamente biodisponibile (Tab. I). Il rischio di incorrere in errori nutrizionali è più frequente di quanto si creda. Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla comune abitudine di somministrare nella prima infanzia latte vaccino parzialmente scremato, caratterizzato da una maggiore percentuale proteica e un minore appor- Tabella I. Differenze compositive tra latte vaccino intero e latte di crescita (100 ml). Composizione Latte vaccino intero Latte di crescita Proteine (g) 3,3 1,6-1,8 Carboidrati (g) 4,5 7,4-8,5 Grassi (g) 3,5 3,0-3,3 Ferro (mg) 0,03 1,2 tracce 1,5-1,7 274 274-289 Vitamina D (mg) Energia (KJ) 23 V.L. Miniello, L. Diaferio to energetico rispetto a quello intero (rispettivamente 122 kcal e 157 kcal in una tazza da 250 ml). In questo periodo di elevato fabbisogno energetico un insufficiente intake calorico potrebbe indurre la precoce programmazione epigenetica di un “fenotipo a risparmio energetico”, come accade nell’iponutrizione fetale e perinatale. L’ultimo adattamento evolutivo del genoma umano risale a 150.000 anni fa. Essendo originariamente progettati per risparmiare energia da utilizzare in condizioni di deficit alimentare, tale programma genetico comporta la tendenza ad accumulare grasso di riserva e pertanto un indubbio svantaggio metabolico in epoche successive della vita, considerando l’attuale contesto sociale di eccessiva disponibilità alimentare. Nel corso della prima infanzia un regime dietetico inadeguato a soddisfare il fabbisogno marziale non può più essere integrato dal ferro di deposito, risorsa a cui solo il lattante attinge nel primo semestre 10. Apparentemente paradossale risulta pertanto l’elevata prevalenza di sideropenia (fino al 30%) riscontrata in toddler di Paesi industrializzati, gratificati da soddisfacenti standard economici. Dati epidemiologici di tutto riguardo, se si considera che durante la prima infanzia la potenziale progressione in anemia condiziona negativamente future performance cognitivo/comportamentali. In un trial neozelandese furono arruolati toddler non sideropenici (12–20 mesi), randomizzati in 3 gruppi per ricevere latte vaccino fortificato con ferro (1,5 mg/100 g), latte vaccino non supplementato (0,01 mg/100 g) o carne rossa che garantisse l’apporto di 2.6 mg di ferro. Alla fine dello studio i valori di ferritina sierica risultarono incrementati del 44% (p = 0,002) nel gruppo che assumeva latte arricchito con ferro, immodificati in quello della carne rossa e ridotti (-14%) nei bambini alimentati con latte non fortificato 11. Da quanto esposto, risulta opportuno smarcarsi dal pattugliamento di rigidi fronti culturali: la promozione del latte di crescita o la demonizzazione del latte vaccino intero devono essere stemperate da un’attenta analisi delle abitudini alimentari del bambino. L’alternativa non può pertanto prescindere dalla valutazione complessiva, da parte dei caregivers (genitori e pediatra), della composizione quali-quantitativa dei vari pasti giornalieri del bambino, con particolare riguardo all’apporto proteico e marziale in questa stagione della vita tanto straordinaria quanto vulnerabile. Bibliografia Przyrembel H, Agostoni C. Growing-up milk: a necessity or marketing? World Rev Nutr Diet 2013;108:49-55. 1 Lippman H, Desjeux JF, Ding ZY, et al. Nutrient recommendations for growing-up milk: a report of an expert panel. Crit Rev Food Sci Nutr 2013;17. 2 Ghisolfi J, Fantino M, Turck D, et al. Nutrient intakes of children aged 1-2 years as a function of milk consumption, cows’ milk or growing-up milk. Public Health Nutr 2013;16:524-34. 3 Rolland-Cachera MF, Deheeger M, Akrout M, et al. Influence of macronutrients on adiposity development: a follow up study of nutrition and growth from 10 months to 8 years of age. Int J Obes Relat Metab Disord 1995;19:573-8. 4 Rolland-Cachera MF, Péneau S. Growth trajectories associated with adult obesity (5).World Rev Nutr Diet 2013;106:127-34. 5 • L’Organizzazione Mondiale della Sanità e Società scientifiche pediatriche consigliano l’allattamento al seno anche dopo il primo anno di vita. • L’alternativa all’indisponibilità del latte materno dopo il primo anno di vita è rappresentata dal latte vaccino intero pastorizzato o dal latte di crescita. • Rispetto al latte vaccino i latti di crescita sono caratterizzati da un minore tasso proteico e dalla supplementazione con micronutrienti. • La scelta del latte da parte dei caregivers deve considerare la composizione quali-quantitativa degli altri pasti gior- nalieri del bambino. 24 PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Latte di crescita dopo il primo anno Hörnell A, Lagström H, Lande B, et al. Protein intake from 0 to 18 years of age and its relation to health: a systematic literature review for the 5th Nordic Nutrition Recommendations. Food Nutr Res 2013;57:1-42. low-up of a randomized trial. Am J Clin Nutr 2014;99:1041-51. 6 Weber M, Grote V, Closa-Monasterolo R, et al. Lower protein content in infant formula reduces BMI and obesity risk at school age: fol- 7 Miniello VL, Armenio L. Beikost, follow-on milk formulas and growingup formulas for the prevention of iron deficiency. The Nest 2001;10:6-8. 8 9 Walton J, Flynn A. Nutritional adequacy of diets containing growing up milks or unfortified cow’s milk in Irish children (aged 12-24 months). Food Nutr Res 2013;2:57. Faldella G, Giorgi PL, Miniello VL. La nutrizione del bambino sano. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore 2004. 10 11 Szymlek-Gay EA, Ferguson EL, Heath AL, et al. Food-based strategies improve iron status in toddlers: a randomized controlled trial. Am J Clin Nutr. 2009;90:541-5. 25 IBD HIGHLIGHTS a cura di Fortunata Civitelli Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD Pancreatic involvement in IBD Antonio Amodio1 Armando Gabbrielli2 (foto) Cattedra di Gastroenterologia, UOC Gastroenterologia Università di Verona, AOUI Verona; 2 Endoscopia digestiva, UOC Gastroenterologia, AOUI Verona 1 Key words Acute pancreatitis • Chronic pancreatitis • Azathioprine • Autoimmune pancreatitis • Inflammatory bowel diseases Abstract Inflammatory bowel disease (IBD) is characterized by a number of extraintestinal manifestations, including acute and chronic pancreatitis. Acute pancreatitis in cd can be explained by the presence of biliary stones as a result of ileal disease, anatomic abnormalities of the duodenum, side effects of many medications. Autoimmune pancreatitis is a novel entity associated with ibd, with typical immunological mechanisms. Nonspecific elevations of serum pancreatic enzymes make it difficult to avoid over diagnosis of acute pancreatitis, particularly in Crohn’s disease (cd). Indirizzo per la corrispondenza Armando Gabbrielli largo L.A. Scuro 10, 37134 Verona E-mail: [email protected] 26 Introduzione Le manifestazioni pancreatiche sono importanti manifestazioni extra-intestinali delle malattie infiammatorie intestinali (Inflammatory bowel diseases, IBD), sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica. Numerosi sono i fattori coinvolti nella eziopatogenesi del danno pancreatico nelle IBD: autoimmunità, farmaci, alterazioni anatomiche, etc. Questo articolo illustrerà i principali meccanismi patogenetici, le manifestazioni cliniche, le più recenti classificazioni e la prognosi a lungo termine delle manifestazioni pancreatiche nelle IBD, sia nell’adulto che nel bambino. Il punto di vista del gastroenterologo dell'adulto Il morbo di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU) sono le due principali malattie infiammatorie croniche intestinali, caratterizzate da un interessamento infiammatorio della mucosa colica nella CU o transmurale di tutto il tratto intestinale nel MC. Le complicanze extra-intestinali delle IBD possono coinvolgere l’apparato muscolo-scheletrico (artrite, sacro ileite, spondilite), la cute e le mucose (eritema nodoso, pioderma gangrenoso, uveite, afte), il tratto epato-biliare (colangite sclerosante, litiasi biliare, cirrosi epatica, steatosi epatica), il pancreas (pancreatite acuta e cronica). La pancreatite acuta è caratterizzata da una infiammazione della ghiandola pancreatica determinante un quadro clinico tipico, con intenso ed improvviso dolore epigastrico irradiato a sbarra e al dorso, a volte associato a vomito, con interessamento flogistico che può coinvolgere il tessuto peripancreatico ma anche divenire malattia sistemica per il rilascio di citochine pro-infiammatorie che possono indurre un quadro di insufficienza Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:26-33 IBD HIGHLIGHTS Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD multiorgano (polmonare, renale, epatica). Nella pancreatite cronica il danno flogistico è lento e progressivo nel tempo, con ricorrenti riacutizzazioni dolorose, sostituzione fibrotica del parenchima ghiandolare, dilatazione del sistema duttale, formazione di calcoli, e, dal punto di vista funzionale, comparsa di insufficienza esocrina ed endocrina pancreatica (diabete mellito pancreatogenico). Nei Paesi Occidentali l’incidenza della pancreatite acuta nelle IBD varia fra 5 e 38/100.000 pazienti; l’incidenza della pancreatite acuta nel MC può essere calcolata tra 1% e 1.4% in un periodo di follow-up di 10 anni 1. La relazione tra pancreatite e IBD, nota da moltissimi anni, è stata proposta per la prima volta da Ball et al. nel 1950: in uno studio autoptico di pazienti affetti da colite ulcerosa ha documentato che nel 53% dei casi erano presenti segni di pancreatite cronica 2. Un dato di tale entità tuttavia non è stato più confermato nei vari studi pubblicati successivamente. Diverse sono le cause associate all’insorgenza di flogosi pancreatica nel corso di IBD (Tab. I). La litiasi delle via biliare determina circa il 60% dei casi di pancreatite acuta nei Paesi del Mediterraneo 3; nel MC la prevalenza di litiasi biliare varia fra il 13-34% 4, 5, il doppio circa rispetto alla popolazione generale. La genesi di tale condizione è legata all’interruzione del circolo enteroepatico degli acidi biliari per la presenza di alterazioni localizzate a livello Tabella I. Fattori associate ad insorgenza di pancreatite nelle IBD. I. Litiasi biliare II. Farmaci a.Salicilati (sulfasalazina e 5-ASA) b.Azatioprina/ 6-mercaptopurina c.Metronidazolo d.Corticosteroidi e.Ciclosporina III. Alterazioni anatomiche nella malattia di Crohn IV. Autoimmunità ileale o post-resezione ileale, all’incremento dei livelli di colesterolo, alla dismotilità della colecisti, alla facilità delle infezioni, al digiuno e al calo ponderale repentino in caso di malattia intestinale attiva. In letteratura è documentata l’associazione fra alcuni farmaci usati nelle IBD e l’insorgenza di pancreatite acuta, sebbene gli studi siano ormai datati nel tempo. I meccanismi non sono stati del tutto spiegati, e probabilmente sono legati ad un danno tossico diretto del farmaco sulle cellule acinari pancreatiche o alle modificazioni metaboliche associate (dislipidemia e ipercalcemia secondaria). Sono stati documentati episodi di pancreatite necrotico-emorragica dovuti all’uso di sulfasalazina 6, mentre sono state descritti pancreatiti acute lievi legate all’uso di mesalazina. Gli effetti collaterali sul pancreas sembrano essere imprevedibili e non dose-correlati, verosimilmente legati ad una reazione idiosincrasica. L’azatioprina, un analogo delle tioguanine, ed il suo metabolita attivo, la 6-mercaptopurina, sono farmaci utilizzati in larga scala nel mantenimento della remissione nelle IBD. L’insorgenza di pancreatite acuta è uno dei vari effetti collaterali che limitano l’uso di tale farmaco, oltre alla soppressione midollare e al danno epatico; la pancreatite associata all’uso di azatioprina è un evento avverso ben documentato da anni, con diversi studi che hanno confermato un rischio intorno al 4-7% nei pazienti con IBD 7. Il rischio di pancreatite acuta associata ad azatioprina appare essere 8 volte maggiore nei pazienti con MC rispetto a pazienti che usano l’azatioprina per altre malattie autoimmuni, per motivi ancora ignoti 8. Il meccanismo attraverso cui l’azatioprina determini la flogosi a livello pancreatico non è ancora conosciuto, tuttavia recentemente 9 sono stati identificati due aplotipi dell’HLA (DQA *02:01 e DRB *07:01) che sono associati a suscettibilità di pancreatite: i pazienti eterozigoti in rs2647087 hanno un rischio del 9% di sviluppare pancreatite dopo la somministrazione di una tiopurina, mentre gli omozigoti hanno un rischio del 17%. L’associazione fra pancreatite e uso di altri farmaci quali gli steroidi, il metronidazolo e la ciclosporina è infine ancora molto dibattuta e con pochi casi riportati in letteratura. Le alterazioni anatomiche legate al coinvolgimento flogistico duodenale nel MC possono determinare pancreatite per meccanismi ostruttivi, per esempio per stenosi della papilla di Vater, per reflusso da 27 A. Amodio, A. Gabbrielli stenosi duodenale nella II-III porzione duodenale o per fistole col sistema duttale pancreatico 10. In passato, in assenza delle cause sopracitate, la pancreatite associata a IBD veniva etichettata come “idiopatica”, con una frequenza di circa 1,5% 11. Nel corso degli ultimi anni ci sono stati molti studi che hanno documentato l’associazione tra colite ulcerosa e lo pseudotumor pancreatico, attualmente codificato a livello internazionale come pancreatite autoimmune. Tale condizione, negli ultimi anni sempre meglio riconosciuta e codificata, spiegherebbe gran parte delle pancreatiti acute e croniche definite fino a qualche tempo fa come “idiopatiche”. In uno studio retrospettivo della Mayo Clinic 12, gli autori hanno trovato che, in una coorte di 71 pazienti con pancreatite autoimmune, il 5,6% soffriva di IBD. Inoltre, la positività alla immunoistochimica per IgG4 nelle biopsie del colon di un paziente con pancreatite autoimmune e colite ulcerosa ha suggerito che alcuni pazienti con pancreatite autoimmune potrebbero avere una coliteIgG4 mediata che simula una IBD. Nel 2011 la International Association of Pancreatology ha proposto dei criteri per la classificazione dei pazienti con pancreatite autoimmune (International Consensus Diagnostic Criteria-ICDC), stratificando i pazienti in AIP (Autoimmune Pancreatitis) tipo 1 e tipo 2 13 (Tab. II). Tra i criteri per fare diagnosi è presente, oltre l’imaging pancreatico, la sierologia (IgG4), l’istologia e la risposta alla terapia steroidea, anche l’associazione con altre patologie autoimmuni, tra cui in principal modo le IBD. In particolare, la colite ulcerosa sembra associarsi al tipo 2 di pancreatite autoimmune. La terapia di tale forma di pancreatite è lo steroide in prima battuta, con necessità di somministrazione di immunosoppressori (azatioprina) o di farmaci biologici (rituximab) nei casi di recidiva (Fig. 1). La casistica maggiore italiana è quella della scuola veronese, che recentemente ha pubblicato una revisione della classificazione dei pazienti affetti da pancreatite autoimmune seguendo i nuovi criteri diagnostici ICDC: il 22% dei pazienti con pancreatite autoimmune presentava una malattia infiammatoria cronica intestinale associata 14. Una condizione particolare infine è quella della iperenzimemia pancreatica cronica asintomatica, definita come rialzo delle amilasi e lipasi sieriche in assenza di sintomi di pertinenza pancreatica. La frequenza riportata di tale condizione nelle IBD varia fra il 7% e il 15% 15, e probabilmente deriva da un maggiore riassorbimento degli enzimi pancreatici nel lume intestinale per l’incrementata permeabilità intestinale. Spesso l’iperenzimemia pancreatica Tabella II. Differenze fra i due sottotipi di AIP. Tipo 1 Tipo 2 2.8:1 1:1 Manifestazioni cliniche Pancreatiche Extra-pancreatiche Ittero, dolore Colangite sclerosante, scialoadenite, nefrite interstiziale, ecc Ittero con dolore addominale acuto Istologia Plasmacellule IgG4-positive e infiltrazione linfociti-T, fibrosi storiforme, flebite obliterativa Infiltrazione neutrofila intorno al dotto pancreatico, distruzione duttale Sierologia Elevati livelli di IgG4, auto-anticorpi No IgG4 Massa pancreatica, ingrossamento del pancreas, multiple stenosi del dotto Massa pancreatica, ingrossamento del pancreas, multiple stenosi del dotto SI Alta SI Bassa Maschi/Femmine Imaging Trattamento Risposta agli steroidi Recidiva 28 Colite ulcerosa IBD HIGHLIGHTS Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD tipo autoimmunitario, definito negli ultimi anni come “Pancreatite Autoimmune”. A Bibliografia Weber P, Seibold F, Jenss H. Acute pancreatitis in Crohn’s disease. J Clin Gastroenterol 1993;17:286-91. 1 Ball WP, Baggenstoss AH, Bargen JA. Pancreatic lesions associated with chronic ulcerative colitis. Arch Pathol (Chic) 1950;50:347-58. 2 B Gullo L, Migliori M, Pezzilli R et al. An update on recurrent acute pancreatitis: data from five european countries. Am J Gastroenterol 2002;97:1959-62. 3 Hutchinson R, Tyrrell PN, Kumar D, et al. Pathogenesis of gall stones in Crohn’s disease: an alternative explanation. Gut 1994;35:94-7. 4 Figura 1. A. Paziente con pancreatite autoimmune: visibile una massa al corpo del pancreas con una lunga stenosi e lieve dilatazione a monte del dotto pancreatico principale. B. Risoluzione della massa e della stenosi dopo il trattamento con steroidi. Lapidus A, Bangstad M, Astrom M, et al. The prevalence of gallstone disease in a defined cohort of patients with Crohn’s disease. Am J Gastroenterol 1999;94:1261-6. 5 Debongnie JC, Dekoninck X. Sulfasalazine, 5-ASA and acute pancreatitis in Crohn’s disease. J Clin Gastroenterol 1994;19:348-9. 6 determina una errata classificazione nosografica delle malattie. Infatti, in caso di dolore addominale in pazienti con IBD in fase acuta e coesistenza di iperenzimemia pancreatica, è possibile che venga formulata una diagnosi di pancreatite acuta, portando quindi ad una sovrastima dell’incidenza. È tuttavia possibile, al contrario, che il dolore addominale in un attacco di pancreatite possa essere falsamente attribuito ad un MC, e non vengano dosate le amilasi o lipasi, con conseguente errore diagnostico e quindi sottostima del numero dei casi di pancreatite. L’esecuzione di una colangiopancreatografia in RMN con secretina deve essere eseguita per escludere patologie pancrea- tiche associate con l’iperenzimemia. In caso di negatività il paziente dovrà essere seguito con un follow-up radiologico adeguato 16. Chaparro, M. et al. Safety of thiopurine therapy in inflammatory bowel disease: long-term follow-up study of 3931 patients. Inflamm Bowel Dis 2013;19:1404-10. 7 Floyd A, Pedersen L, Nielsen GL, et al. Risk of acute pancreatitis in users of azathioprine: a population-based case-control study. Am J Gastroenterol 2003;98:1305-8. 8 Conclusioni L’associazione fra IBD e malattie pancreatiche è stata sempre meglio definita nel corso degli anni. Varie cause possono determinare interessamento pancreatico, come la litiasi biliare, l’uso di farmaci specifici, cause ostruttive dovute al coinvolgimento flogistico nel MC. Quella che in passato era stata inquadrata come una forma idiopatica di pancreatite è verosimilmente imputabile in gran parte alla presenza di un coinvolgimento flogistico di Heap GA, Weedon M, Bewshea CM et al. HLA-DQA1-HLADRB1 variants confer susceptibility to pancreatitis induced by thiopurine immunosuppressants. Nat Genet 2014;46:1131-4. 9 Legge DA, Hoffman HN II, Carlson HC. Pancreatitis as a complication of regional enteritis of the duodenum. Gastroenterology 1971;61:834-7. 10 Seyrig JA, Jian R, Modigliani R, et al. Idiopathic pancreatitis associated with inflammatory bowel disease. Dig Dis Sci 1985;30:1121-6. 11 29 A. Amodio, A. Gabbrielli Ravi K, Chari ST, Vege SS, et al. Inflammatory bowel disease in the setting of autoimmune pancreatitis. Inflamm Bowel Dis 2009;15:1326-30 atology Pancreas. 2011;40:352-8. 12 Shimosegawa T, Chari S, Frulloni L, et al. International consensus diagnostic criteria for autoimmune pancreatitis: guidelines of the International Association of Pancre- Ikeura T, Manfredi R, Zamboni G et al. Application of international consensus diagnostic criteria to an Italian series of autoimmune pancreatitis. United European Gastroenterology Journal 2013;1:276. 13 15 Heikius B, Niemela S, Lehtola J, et al. Elevated pancreatic Massimo Martinelli Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università di Napoli “Federico II” Key words Pancreatitis • Pancreatic involvement • Inflammatory bowel disease • Extra-intestinal manifestations Abstract Patients with IBD are at increased risk of developing both acute and chronic pancreatitis. There are only limited published data on the incidence of acute pancreatitis in pediatric patients with IBD. Although pancreatitis can be seen in association to drugs assumption, biliary lithiasis, Crohn’s disease duodenal involvement or sclerosing cholangitis, IBD itself seems to contribute to the pathogenesis. Indirizzo per la corrispondenza Massimo Martinelli via Pansini 5, 80128 Napoli E-mail: [email protected] 30 enzymes in inflammatory bowel disease are associated with extensive disease. Am J Gastroenterol 1999;94:1062-9. 14 Amodio A, Manfredi R, Gabbrielli A et al. Prospective evaluation of subjects with chronic asymptomatic pancreatic hyperenzymemia. Am J Gastroenterol 2012;107:1089-9. 16 Il punto di vista del gastroenterologo pediatra Background Il quadro dell’interessamento pancreatico nel contesto di una IBD è particolarmente complesso in età pediatrica. Infatti, sebbene i bambini affetti da IBD presentino un rischio aumentato di sviluppare pancreatiti, sia acute che croniche, sintomi clinici riconducibili ad un’infiammazione pancreatica sono riportati soltanto in circa il 2% dei pazienti 2. Al contrario è molto più frequente il riscontro di un aumento degli enzimi isolato (iperamilasemia e/o iperlipasemia) in assenza di criteri per la diagnosi di pancreatite (Tab. I) 3. Epidemiologia I dati disponibili riguardo l’incidenza del coinvolgimento pancreatico in pazienti pediatrici affetti da IBD sono limitati 4, 5. Molto recentemente il nostro gruppo, in collaborazione con l’area IMIBD della SIGENP, ha retrospettivamente analizzato i dati del registro nazionale delle IBD al fine di caratterizzare la prevalenza dell’interessamento pancreatico nelle IBD pediatriche 6. Tutti i pazienti con iperamilasemia ed iperlipasemia sono stati inclusi nello studio. Sono stati identificati 27 (4,1%) pazienti con iperamilasemia/iperlipasemia su 649 pazienti totali inseriti nel registro dal Gennaio 2009 al novembre 2012. Di questi 27 pazienti, 11 (40,7%) rispondevano ai criteri diagnostici di pancreatite acuta, pari a circa l’1,6% della popolazione totale del registro (11/649) (6%). Il sesso femminile risultava l’unico fattore di rischio mag- IBD HIGHLIGHTS Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD Tabella I. Criteri per la diagnosi* di pancreatite acuta in età pediatrica. • Dolore addominale caratteristico (ad insorgenza acuta, in regione epigastrica) • Amilasi pancreatica e/o lipasi ≥3 volte il range di normalità • Imaging compatibile * La diagnosi richiede che vengano soddisfatti almeno 2 dei 3 criteri. (da Morinville et al., 2012 9, mod.). giore per sviluppare pancreatite. Non sono state riscontrate differenze significative riguardo l’età dei pazienti, l’età di esordio di malattia, l’estensione e il tipo di IBD. In accordo con la precedente letteratura la maggior parte dei pazienti con Malattia di Crohn e pancreatite mostrava un interessamento colonico 6. Eziopatogenesi L’eziopatogenesi del coinvolgimento pancreatico nelle IBD è estremamente complessa e sembra di origine multifattoriale. Sebbene alla base del coinvolgimento pancreatico debbano sempre essere presi in considerazione fattori eziologici quali l’assunzione di farmaci (azatioprina, mesalazina, metronidazolo, ecc.), la litiasi biliare, l’interessamento duodenale da MC o la colangite sclerosante, la malattia di per sè sembra poter contribuire primitivamente al coinvolgimento pancreatico (Tab. II) 1. È possibile che le cellule epiteliali del tratto gastrointestinale e del tessuto pancreatico possano condividere strutture cellu- lari simili, egualmente vulnerabili alla risposta infiammatoria. Questa ipotesi è fortemente supportata dal modello murino di colite indotta dall’acido solfonico-trinitrobenzene, nel quale sono state dimostrate lesioni pancreatiche in concomitanza con le lesioni intestinali 7. In accordo con questa ipotesi vi è uno studio pediatrico pubblicato da Broide e colleghi 4 in cui gli autori descrivono una casistica di pazienti, nei quali l’insorgenza di pancreatite precede l’esordio del quadro intestinale, dimostrando come i due processi infiammatori, a carico di tratto gastrointestinale e pancreas, possano essere parte di un unico processo sistemico 4. Menzione a parte merita il riscontro di pancreatite autoimmune propriamente detta nel corso di IBD 8, anche se i dati in età pediatrica sono molto limitati. Esistono diverse possibili teorie patogenetiche anche per ciò che riguarda il semplice Tabella II. Fattori eziologici alla base del coinvolgimento pancreatico nelle MICI pediatriche. • Pancreatite da farmaci (Azatioprina/6-mercaptopurina, mesalazina, ciclosporina, corticosteroidi, metronidazolo) • Litiasi biliare • Alterazioni anatomiche della malattia di Crohn (interessamento duodenale) • Colangite sclerosante • Pancreatite autoimmune (IgG4 positiva) • Disordine autoimmune sistemico coinvolgente intestino e pancreas rialzo enzimatico, in assenza di criteri diagnostici di pancreatite. La più accreditata deriva dall’osservazione che spesso l’elevazione degli enzimi pancreatici è osservata nel corso di malattia più estesa. L’iperenzimemia pertanto potrebbe semplicemente rappresentare il passaggio anomalo degli enzimi pancreatici dal lume intestinale al sangue a causa di un aumento della permeabilità intestinale della mucosa infiammata 1. Tuttavia nonostante l’apparente natura benigna, non è noto quale sia il decorso e la storia naturale dell’ipenzinemia pancreatica isolata nelle IBD pediatriche. Diagnosi La diagnosi di pancreatite nei bambini affetti da IBD pone una serie di difficoltà interpretative. Nausea e vomito sono le caratteristiche più frequentemente associate ad una diagnosi di pancreatite. Più spesso nella malattia di Crohn, rispetto alla rettocolite ulcerosa, il dolore addominale è la principale manifestazione clinica. Come già sottolineato, è molto frequente il riscontro di una semplice iperenzimemia nei pazienti affetti da IBD, in assenza di altri criteri diagnostici di pancreatite. In aggiunta, a complicare il quadro, i sintomi di pancreatite sono spesso aspecifici, e si sovrappongono a quelli della patologia intestinale di base. Il dolore addominale di una pancreatite può essere falsamente attribuito alla IBD e gli enzimi pancreatici possono non essere dosati, con conseguente sottostima dell’incidenza di 31 M. Martinelli pancreatite acuta 1. Pertanto, considerato il rischio aumentato rispetto alla popolazione generale, tutti i pazienti affetti da IBD dovrebbero essere sottoposti ad uno screening routinario della funzionalità pancreatica, ed in caso di iperenzimemia, una valutazione imaging appare obbligatoria, non solo per confermare l’eventuale diagnosi di pancreatite acuta, ma soprattutto per individuare precocemente segni di pancreatite cronica. Nel caso siano soddisfatti i criteri diagnostici di pancreatite cronica (Tab. III), anche nei pazienti affetti da IBD non dovrebbe essere omessa un’appropriata diagnostica differenziale con la ricerca di cause genetiche (CFTR, SPINK1, PRSS1) e di pancreatite autoimmune (dosaggio IgG4). Non è raro, infatti, riscontrare più fattori concomitanti alla cronicizzazione del danno pancreatico. Terapia La gestione terapeutica di un episodio di pancreatite acuta in bambini affetti da IBD non differisce in maniera significativa dalla gestione del paziente non affetto da IBD. Sebbene tuttora controverso, il provvedimento terapeutico più frequente risulta tuttavia la sospensione di mesalazina e/o azatioprina, farmaci abitualmente usati nella gestione della IBD e messi in relazione causale con lo screzio pancreatico. Anche nella nostra casistica l’85% dei soggetti in corso di screzio pancreatico ha ridotto il dosaggio o sospeso la terapia con aza- 32 Tabella III. Criteri per la diagnosi di pancreatite cronica in età pediatrica*. • Dolore addominale caratteristico più imaging compatibile • Insufficienza esocrina più imaging compatibile • Insufficienza esocrina più imaging comaptibile * La diagnosi richiede che venga soddisfatto almeno 1 dei 3 criteri. (da Morinville et al., 2012 9, mod.). tioprina e/o mesalazina come principale provvedimento terapeutico, seguito dal digiuno con reidratazione endovenosa e dalla terapia antibiotica 6. Prognosi e storia naturale Esistono pochissimi dati nella letteratura pediatrica che caratterizzino la prognosi e la storia naturale dei pazienti affetti da IBD con coinvolgimento pancreatico. La valutazione prognostica del singolo episodio pancreatitico si avvale dello score di De Banto (Tab. IV). Non necessariamente gli episodi pancreatitici sono più severi rispetto alla popolazione normale. Nella nostra casistica la maggioranza dei singoli episodi era caratterizzata da un basso score, indicativo di episodi di lievi entità 6. Ciononostante una percentuale non trascurabile di pazienti tende a recidivare durante il follow-up e in 1 (9%) paziente su 11 con diagnosi di pancreatite acuta il danno è diventato cronico con insufficienza pancreatica esocrina ad un anno di follow-up 6. La nostra casistica dimostra inoltre come l’iperenzimemia isolata non debba essere considerata necessariamente benigna. Dei 16 pazienti arruolati nello studio con iperamilasemia e iperlipasemia isolata nel corso del follow-up, 4 (25%) hanno sviluppato pancreatite acuta 6. Conclusioni I bambini affetti da IBD sono ad aumentato rischio di sviluppare un danno pancreatico rispetto alla popolazione generale. Il danno sembra essere in qualche maniera correlato alla patologia intestinale. Pertanto, è necessario un attento monitoraggio della funzione pancreatica nei bambini con IBD, considerando che in alcuni casi il danno può evolvere fino all’insufficienza esocrina/endocrina. Nuovi studi sono necessari per chiarire la patogenesi del danno pancreatico nel decorso della IBD pediatrica. Tabella IV. Score prognostico della pancreatite acuta pediatrica secondo DeBanto*. Criteri all’ingresso Età < 7 anni Peso < 23 kg Globuli bianchi > 18.500 x 103/mm LDH > 2000 U/L Criteri a 48 h Calcio < 8,3 mg/dl Albumina < 2,6 mg/dl Sequestro di fluidi > 75 ml/kg/48 h Aumento BUN > 5 mg/dl * A ciascun criterio corrisponde 1 punto; un punteggio 3 è predittivo di un decorso severo. (da DeBanto et al., 2002 10, mod.). IBD HIGHLIGHTS Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD Bibliografia Pitchumoni CS, Rubin A, Das K. Pancreatitis in inflammatory bowel diseases. J Clin Gastroenterol 2010;44:246-53. ing the diagnosis of inflammatory bowel disease is more frequent in pediatric patients. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;52:714-7. 1 Barthet M, Lesavre N, Desplats S, et al. Frequency and characteristics of pancreatitis in patients with inflammatory bowel disease. Pancreatology 2006;6:464-71. 5 2 Heikius B, Niemelä S, Lehtola J, et al. Elevated pancreatic enzymes in inflammatory bowel disease are associated with extensive disease. Am J Gastroenterol 1999;94:1062-9. 3 Broide E, Dotan I, Weiss B, et al. Idiopathic pancreatitis preced- 4 Stawarski A, Iwanczak F. Incidence of acute pancreatitis in children with inflammatory bowel disease. Pol Merkur Lekarski 2004;17:33-6. Martinelli M, Strisciuglio C, Illiceto MT et al. On behalf of IMIBD Group of the Italian Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition. Natural history of pancreatic involvement in paediatric inflammatory bowel disease. Dig Liver Dis 2015 [Epub ahead of print] 6 Barthet M, Dubucquoy L, Garcia S, et al. Pancreatic changes in TN- 7 BS-induced colitis in mice. Gastroenterol Clin Biol 2003;27:895900. Ravi K, Chari ST, Vege SS, et al. Inflammatory bowel disease in the setting of autoimmune pancreatitis. Inflamm Bowel Dis 2009;15:1326-30. 8 9 Morinville VD, Husain SZ, Bai H, et al.; INSPPIRE Group. Definitions of pediatric pancreatitis and survey of present clinical practices. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012; 55:261-5. DeBanto JR, Goday PS, Pedroso MR, et al. Midwest Multicenter Pancreatic Study Group. Acute pancreatitis in children. Am J Gastroenterol. 2002; 97:1726-31. 10 • Un’associazione fra IBD e malattie pancreatiche è nota da tempo, ma attualmente i criteri di definizione sono stati meglio caratterizzati. • Fra le varie cause di pancreatite è importante riconoscere le forme dovute a litiasi biliare, a farmaci, ad alterazioni anatomiche conseguenti al coinvolgimento flogistico duodenale. Una nuova entità, chiamata Pancreatite Autoimmune, può spiegare la maggior parte dei casi non inquadrabili nelle cause sopracitate. • A prescindere dai fattori eziologici noti, la IBD di per sé sembra poter contribuire primitivamente al danno pancreatico. • L’iperenzimemia pancreatica cronica deve essere riconosciuta per evitare errori di classificazione nosologica. • Le manifestazioni pancreatiche sono frequenti anche nelle IBD pediatriche e, considerato il rischio di progressione del danno nel tempo, è necessario un attento follow-up sia di laboratorio che strumentale nel bambino con IBD e coinvolgimento pancreatico. 33 CASE REPORT a cura di Mariella Baldassarre Sapere per riconoscere... Quando l’intestino ci mette alla prova Learn to recognize... When the intestine challanges us Graziella Guariso1 (foto) Marco Gasparetto2 Università degli Studi di Padova Università degli Studi di Padova, Cambridge University Hospitals Paediatric Gastroenterology Unit 1 2 Key words Chronic diarrhoea • Immunodeficiency • CD25 deficiency • IPEXlike immunodeficiency • Haematopoietic stem cell transplantation Abstract We report the case of a child with severe diarrhea in the first weeks of life, and progressive deterioration with dehydration and metabolic acidosis. Lymphocytic phenotype testing and subsequent sequencing of the gene IL2RA/CD25 confirmed a diagnosis of CD25 deficiency. A prompt molecular diagnosis enabled an early and successful hematopoietic stem cell transplantation. Indirizzo per la corrispondenza Graziella Guariso via Giustiniani 3, 35128 Padova E-mail: [email protected] 34 Presentazione del caso clinico Lattante maschio, italiano, unicogenito, nato a 41 settimane gestazionali da parto naturale dopo gravidanza normodecorsa, peso alla nascita 3,280 kg. Allattamento al seno, crescita soddisfacente nel primo mese di vita. All’età di 6 settimane, i genitori riscontrano la comparsa di un rash cutaneo a livello del volto e degli arti inferiori, associato a scariche liquide, mucose e con componente ematica. Condotto all’Ospedale locale, gli esami ematochimici di base risultano nella norma, mentre viene riscontrata la presenza di Rotavirus nelle feci. Dopo idratazione e stabilizzazione, il piccolo viene dimesso con diagnosi di gastroenterite acuta virale. Una settimana dopo la dimissione, il bambino si dimostra nuovamente irritabile, con ricomparsa di feci liquide, vomito e significativo calo ponderale (9,3% in 5 giorni). Esame obiettivo Ricondotto in Ospedale, il piccolo si presenta con disidratazione lieve-moderata (peso 3,720 kg, calo ponderale di 280 g in 5 giorni), lieve tachicardia (130 bpm) e tachipnea (43 apm), normale SaO2, pallore, presenza di rash eczematoso al volto ed agli arti inferiori. L’obiettività cardiotoraco-addominale appare nella norma. Diarrea acquosa. Sviluppo del caso clinico Gli esami ematochimici eseguiti in occasione del secondo ricovero evidenziano acidosi metabolica severa, leucocitosi, piastrinosi, iponatriemia, cloro nella norma, iperlattacidemia (21,6 mg/dL, v.n. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:34-35 CASE REPORT Quando l’intestino ci mette alla prova 4,5-19,8) ed ipoalbuminemia (16 g/dL). In questa occasione le indagini infettivologiche su urine e feci (comprendenti CMV) risultavano negative. Un rx-addome esclude pneumomatosi, mentre un’ecografia addominale evidenzia ispessimento delle pareti delle anse intestinali, presenza di liquido libero tra le anse e ridotta peristalsi. Nonostante la stabilizzazione avviata presso l’ospedale locale (idratazione, supplementazione di elettroliti e bicarbonato, infusioni di al- bumina e terapia antibiotica parenterale con ampicillina, netilmicina e metronidazolo), il bambino continua a presentare diarrea acquosa intrattabile (output fecale 140 ml/kg/ die). La somministrazione di formule estesamente idrolisate o aminoacidiche non porta alcun beneficio: viene quindi avviata nutrizione parenterale totale,senza modificazione del volume e delle caratteristiche delle feci. Il piccolo viene quindi trasferito presso il centro di terzo livello di riferimento. Possibili ipotesi diagnostiche •Gastroenterite acuta infettiva •Allergia alle proteine del latte vaccino •Malattia infiammatoria intestinale ad esordio precoce •Diarrea congenita (da difetti di digestione, assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti, da alterazione dell’enterocita, da disregolazione della risposta immune). Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 55 35 NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY a cura di Monica Paci Gemelli diversi? I farmaci biosimilari nelle malattie infiammatorie croniche intestinali del bambino Different twins? Use of biosimilars in paediatric inflammatory bowel disease Paolo Lionetti (foto) Silvia Ghione Monica Paci Dipartimento Neurofarba, Università di Firenze - SOD Gastroenterologia, Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze Key words Inflammatory bowel disease • Biosimilars • Biologico • Infliximab Abstract Recently, with the expiration of patents for biopharmaceutical monoclonal antibodies, biosimilars are coming to the market. It is likely a substantial decrease of costs of these expensive therapies. Evidence of their effectiveness and safety has been obtained from studies in adults with rheumatological disease. Extrapolation of safety and efficacy to children with IBD should be done with caution. Comparative paediatric trials and post-marketing studies of surveillance are needed. Indirizzo per la corrispondenza Paolo Lionetti viale Pieraccini 24, 50139 Firenze E-mail: [email protected] 36 Introduzione I farmaci biosimilari hanno origine biotecnologica e sono simili in termini di qualità, sicurezza ed efficacia al farmaco di riferimento biologico originale già registrato 1. Il loro utilizzo è regolato dagli organismi preposti per l’autorizzazione all’immissione in commercio dopo la scadenza del brevetto del farmaco originale (European Medicine Agency, EMA in Europa e Food and Drug Administration, FDA negli Stati Uniti). La loro commercializzazione è subordinata alla dimostrazione di pari efficacia e sicurezza nel corso di test clinici comparativi rispetto al farmaco originale, ma non è necessario che la dimostrazione di efficacia venga ottenuta per tutte le indicazioni del farmaco originale 2. I farmaci biologici sono prodotti terapeutici il cui principio attivo è derivato da un organismo vivente (es. colture cellulari) e si caratterizzano per la complessa struttura proteica ad elevato peso molecolare, significativamente superiore rispetto ai farmaci tradizionali derivati da sintesi chimica 3. Nel trattamento dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) l’uso dei farmaci biologici, in particolare degli anticorpi monoclonali rivolti contro il tumor necrosis factor alpha (TNF-α) (infliximab, IFX e adalimumab, ADA), ha permesso di stabilire e raggiungere obiettivi terapeutici molto più ambiziosi rispetto al passato. Il loro uso, negli ultimi anni, è andato sempre più aumentando, in particolare in ambito pediatrico, in cui l’espressività clinica di queste malattie è spesso più aggressiva. L’uso dei farmaci monoclonali non è scevro da rischi, ed il loro utilizzo ha determinato un incremento rilevante dei costi medici per la cura di questi pazienti. La scadenza del brevetto per l’IFX in Europa è prevista nel triennio 2013-2015 (in base alla Nazione considerata) e nel settembre 2013 l’EMA ha approvato per la prima volta due farmaci biosimilari Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:36-39 NEWS IN PEDIATRIC dell’IFX (Inflectra e Remsima). Sebbene l’uso dei farmaci biosimilari possa ridurre i costi delle terapie dei pazienti (giacché il processo di approvazione di questi farmaci è più rapido), esistono ancora numerose domande aperte rispetto alla loro introduzione al posto del farmaco originale. L’autorizzazione all’uso dei farmaci biosimilari per il trattamento nei pazienti con MICI, infatti, deriva da studi clinici condotti su pazienti con malattie autoimmuni diverse dalle MICI (spondilite anchilosante, artrite reumatoide). Differenze tra farmaci biosimilari e farmaci biologici Il farmaco biosimilare deve essere simile in termini di qualità, sicurezza ed efficacia a un farmaco già registrato. Nel caso dei farmaci biologici le difficoltà a creare un farmaco biosimilare con queste caratteristiche sono numerose per diverse ragioni. Il farmaco originale è una proteina complessa ed eterogenea essendo un prodotto ad alto peso molecolare con una struttura primaria, secondaria e terziaria articolata. Inoltre il farmaco biologico è prodotto da colture cellulari sensibili a cambiamenti ambientali a carico del terreno di coltura, dei processi di purificazione o di conservazione 4 e, nonostante sia in scadenza il brevetto del prodotto originale, il processo di produzione nei suoi precisi passaggi (vettore, sistema cellulare, procedura di espansione cellulare, processo di puri- ficazione) rimane coperto dal segreto industriale. Bisogna inoltre considerare che, per i motivi appena citati, anche il prodotto originale negli anni può essere andato incontro a cambiamenti nel processo di produzione. Allo scopo di disciplinare la sintesi di farmaci così complessi, nel 2012 l’EMA ha fornito linee guida specifiche per i biosimilari di farmaci monoclonali, in accordo con le linee guida della FDA. Le linee guida stabiliscono che gli studi in vitro sono necessari per provare la biosimilarità in termini di qualità tra i due farmaci (biosimilare e originale) basandosi sulla comparazione di test che studiano il legame e la funzione della proteina. Gli studi in vivo possono essere richiesti laddove persistano dubbi dagli studi in vitro (alterazione nel legame al recettore, stabilità della proteina) che potenzialmente potrebbero inficiare la sicurezza e l’efficacia del farmaco. Gli studi clinici sono invece alla base della valutazione di farmacocinetica, farmacodinamica, efficacia e sicurezza. I farmaci biosimilari in commercio per il trattamento delle MICI Dati sull’efficacia A oggi non esistono ancora nella letteratura scientifica studi clinici randomizzati controllati (RCT) sull’uso di biosimilari dell’IFX (o di altri agenti anti TNF-α) nel trattamento di pazienti con MICI. Gli unici dati clinici disponibili provengono da due studi GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY I farmaci biosimilari nelle IBD RCT condotti su pazienti adulti affetti da spondilite anchilosante (PLANETAS) e da artrite reumatoide (PLANETRA) trattati con CT-P13 (Immunoglobulina chimerica umana-murina IgG1, biosimilare dell’IFX) 5, 6. È necessaria estrema cautela nell’estensione dell’uso di questi farmaci ai bambini e ai ragazzi affetti da MICI. In entrambi gli studi citati (PLANETAS: 250 pazienti trattati per un periodo di 30 settimane, esteso poi a 88 settimane; PLANETRA: 494 pazienti trattati per un periodo di 30 settimane, esteso poi a 78 settimane) le valutazioni di farmacocinetica, farmacodinamica e di efficacia non sono risultate significativamente diverse tra i due farmaci. Sebbene quindi nel trattamento di spondilite anchilosante e artrite reumatoide IFX e CTP13 siano risultati comparabili, l’estrapolazione di questi dati al trattamento dei pazienti affetti da MICI solleva qualche perplessità. In primo luogo MICI e spondilite anchilosante/ artrite reumatoide hanno diversa patogenesi e numerosi sono gli esempi di farmaci attivi nelle malattie reumatologiche che risultano invece non efficaci o addirittura dannosi nelle MICI. La seconda considerazione riguarda la dose poiché questa è diversa nel trattamento dell’artrite reumatoide (3 mg/kg) rispetto a quella adottata nello schema dei pazienti con MICI (5 mg/kg). Infine bisogna considerare che i bambini in trattamento con IFX di solito non assumono altri trattamenti immunosoppressivi (monoterapia), diversamente dai pazienti 37 P. Lionetti et al. inclusi nello studio PLANETRA che assumevano methotrexate in concomitanza al farmaco biologico. L’assunzione di un immunosoppressore può condizionare la produzione di anticorpi diretti contro il farmaco biologico (riducendone la produzione) potendo così migliorare l’efficacia e riducendo la possibilità di reazioni avverse all’infusione del farmaco. L’estrapolazione dei dati di efficacia e d’immunogenicità di questo studio è quindi difficilmente estendibile ai bambini con MICI. Dati sulla sicurezza Anche per quanto riguarda la sicurezza, i dati provengono dagli studi già citati, PLANETAS e PLANETRA. In entrambi gli studi non sono state riportate significative differenze tra i due gruppi di trattamento (CT-P13 o IFX) sia per quanto riguarda le reazioni avverse all’infusione (PLANETAS 3,9% vs 4,9% e PLANETRA 6,6% vs 8,3%) che per quanto riguarda il rilievo di anticorpi rivolti contro il farmaco (PLANETAS 27,4% vs 22,5%; PLANETRA 48,4% vs 48,2%). Nello studio PLANETRA inoltre sono state valutate le possibili reazioni avverse legate al trattamento e anche in questo caso non sono state notate differenze significative tra i due gruppi di pazienti (35,3% vs 35,9%). In entrambi gli studi la maggioranza delle reazioni avverse era d’intensità leggera/moderata (elevazione transaminasi, tubercolosi latente, infezioni vie urinarie, cefalea) e non è stato registrato nessun caso di morte. Sicuramente sarà necessa- 38 rio estendere nel lungo periodo la farmacovigilanza per valutare la sicurezza a lungo termine di questi farmaci, considerando in particolar modo l’immunogenicità: ad oggi non sono ancora stati pubblicati dati sulla sicurezza dopo la loro immissione in commercio. Immunogenicità L’immunogenicità è la capacità posseduta da una sostanza di indurre una risposta immunitaria studiata valutando la formazione di anticorpi neutralizzanti diretti contro la sostanza in esame ed è una caratteristica molto importante nell’utilizzo dei farmaci biologici poiché può condizionarne l’efficacia. I dati posseduti finora sull’immunogenicità dei farmaci biosimilari dell’eritropoietina e dei fattori di crescita, oggi ampiamente utilizzati, sono confortanti 7. I biosimilari di anticorpi monoclonali anti-TNF sono tuttavia proteine più complesse rispetto, per esempio, all’eritropoietina (148.000 daltons vs 18.464 daltons). I dati che possediamo sulla cross reattività degli anticorpi diretti contro Remicade® e contro il biosimilare Remsima®, valutati recentemente da BenHorin et al. (pubblicati come abstract), sono rassicuranti. I pazienti con anticorpi contro Remicade® sono anche positivi per Remsima® e lo studio sull’inibizione funzionale rispetto alla capacità di legare il TNF-α è risultato anch’esso simile. Questi dati suggeriscono quindi che esiste una “forte somiglianza”, anche in termini d’immunogenicità, tra farmaco originale e biosimilare 8. È importante sottolineare che i dati discussi finora riguardano solo pazienti adulti: non ci sono dati ad oggi disponibili in età pediatrica. Inoltre, nei bambini, il rischio di sviluppare anticorpi neutralizzanti nei confronti dei farmaci biologici è più elevato rispetto agli adulti poiché in età pediatrica le MICI hanno spesso una maggiore aggressività clinica con necessità di un trattamento prolungato con il farmaco biologico. Aspetti importanti per la ricerca L’effettuazione di nuovi studi clinici nei pazienti con MICI sicuramente risolverà alcune delle perplessità esposte. Sarà necessario stabilire con attenzione l’ampiezza del campione in esame per evitare errori di valutazione nell’effetto terapeutico (gli studi di “non inferiorità” nella comparazione di due farmaci richiedono un numero di pazienti molto elevato). Sarà importante inoltre valutare se i biosimilari hanno azione simile all’originale anche nel mantenimento della remissione oltre che nell’induzione. Fondamentale sarà poi la sorveglianza successiva all’immissione in commercio, in particolare per i bambini. A questo scopo la comunità pediatrica che si occupa del trattamento di bambini e ragazzi con IBD ha allestito nel settembre 2014 una piattaforma comune (PIBD-net) per condividere e monitorizzare le informazioni sulla sicurezza e l’efficacia delle attuali e future terapie nei bambini e nei ragazzi con MICI. NEWS IN PEDIATRIC Conclusioni L’immissione in commercio dei farmaci biosimilari apre sicuramente prospettive interessanti per il trattamento delle MICI, soprattutto in termini di riduzione dei costi sanitari. Rimangono però varie perplessità circa l’utilizzo di tali farmaci, in particolare in ambito pediatrico. I buoni risultati ottenuti in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità in ambito reumatologico, sono sicuramente elementi a favore di un’estensione del loro utilizzo in altre patologie. In mancanza però di dati clinici sui pazienti affetti da MICI (sia adulti che bambini) l’estensione del trattamento a questi pazienti impone di effettuare prima possibile studi clinici randomizzati controllati GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY I farmaci biosimilari nelle IBD per supportare, anche in questo campo, l’efficacia e la sicurezza dei biosimilari monoclonali. netics, safety, and efficacy of biosimilar CT-P13 and innovator infliximab in patients with ankylosing spondylitis: the PLANETAS study. Ann Rheum Dis 2013;72:1605-12. Yoo DH, Hrycaj P, Miranda P, et al. A randomised, double-blind, parallel-group study to demonstrate equivalence in efficacy and safety of CT-P13 compared with innovator infliximab when coadministered with methotrexate in patients with active rheumatoid arthritis: the PLANETRA study. Ann Rheum Dis 2013;72:1613-20. 6 Bibliografia 1 Weise M, Bielsky MC, De Smet K, et al. Biosimilars - why terminology matters. Nat Biotechnol 2011;29:690-3. 2 McCamish M, Woollett G. The state of the art in the development of biosimilars. Clin Pharmacol Ther 2012;91:405-17. 3 European Medicines Agency. Biosimilar medicines 2012. 4 Declerck PJ. Biosimilar monoclonal antibodies: a science-based regulatory challenge. Expert Opin Biol Ther 2013;13:153-6. 5 Park W, Hrycaj P, Jeka S, et al. A randomised, double-blind, multicentre, parallel-group, prospective study comparing the pharmacoki- Horl WH, Locatelli F, Haag-Weber M, et al., Prospective multicenter study of HX575 (biosimilar epoetin-alpha) in patients with chronic kidney disease applying a target hemoglobin of 10-12 g/dl. Clinical nephrology 2012;78:24-32. 7 Ben-Horin S, Yavzori M, Fudim E, et al. Cross-Immunogenicity: antibodies to infliximab in Remicadetreated IBD patients similarly recognize the bio-similar Remsima. EUG Journal 2014;2(supp. 1). 8 • Nel settembre 2013 l’EMA ha approvato l’uso dei biosimilari dell’IFX in tutte le sue indicazioni, compresi i pazienti adulti e pediatrici affetti da MICI. • I due studi RCT condotti su pazienti adulti affetti da malattie reumatologiche (spondilite anchilosante e artrite reuma- toide) forniscono dati rassicuranti in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità tra IFX originale e biosimilare (CT-P13). • È necessario effettuare prima possibile studi clinici nei pazienti con MICI (in particolare nei bambini) per supportare i buoni risultati ottenuti in ambito reumatologico. • Nel bambino con MICI in trattamento con IFX in remissione, non è consigliato il passaggio al biosimilare finché non verranno condotti studi clinici in pazienti pediatrici con MICI che supportino la sicurezza e l’efficacia di questo cambiamento. • Data la provata cross-reattività degli anticorpi tra biosimilare (in particolare Remsima®) e IFX (Remicade®), i pazienti positivi per anticorpi neutralizzanti contro Remicade® non sono candidati a passare a Remsima®. 39 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE a cura di Salvatore Accomando Pancreatiti acute e croniche: quando i geni hanno un ruolo importante Acute and chronic pancreatitis: when some genes play an important role Floriana Adragna1 Pasquale Mansueto1 Claudio Enna1 Aurelio Seidita1 Antonio Carroccio1, 2 (foto) Dipartimento Biomedico di Medicina interna e specialistica, Università degli Studi di Palermo, Palermo; 2 U.O.C. di Medicina interna, Ospedale Giovanni Paolo II, Sciacca (AG) 1 Key words Pancreatitis • Genetic • Pancreatic enzymes • Hypertriglyceridemia Abstract Pancreatic inflammatory disease are determined by a set of individual genetic predisposition and environmental triggers. Many genes have been isolated in pancreatic tissues, whose mutation would result in an increased risk of developing pancreatitis. Some of these mutations seem more related to the onset of chronic forms of pancreatitis, others to the onset of acute ones. Indirizzo per la corrispondenza Antonio Carroccio via Ciaculli 207, 90124 Palermo E-mail: [email protected] 40 Introduzione La pancreatite si manifesta generalmente attraverso complicanze locali, quali necrosi, ascessi e pseudocisti, con possibile coinvolgimento dei tessuti peripancreatici e degli organi a distanza. Spesso si classifica in base alla gravità, ma altrettanto rilevante è la classificazione clinica: pancreatite acuta (PA), pancreatite acuta ricorrente (PAR) e pancreatite cronica (PC). Lo sviluppo di queste varianti e, in genere, di qualsiasi tipo di patologia infiammatoria a carico dei tessuti pancreatici, prevede una predisposizione genetica dell’individuo, associata alla presenza di fattori scatenanti ambientali (Tabb. I, II). Alla base dello sviluppo della PA e della PC vi è l’attivazione enzimatica prematura ed intrapancreatica del tripsinogeno in tripsina o la mancata eliminazione della tripsina attiva, all’interno del pancreas, da parte dei sistemi di clearance. La presenza di tripsina attiva innescherà la cascata infiammatoria e citochinica ed i processi immuno-flogistici tissutali tipici della malattia 1. Molti sono i geni regolatori dell’attività enzimatica del pancreas, in particolari quelli preposti alla formazione del tripsinogeno cationico (PRSS1), del tripsinogeno anionico (PRSS2), dell’inibitore della secrezione pancreatica della tripsina (PSTI), meglio noto come “gene inibitore della serina-proteasi Kazal tipo 1” (SPINK1), del chimotripsinogeno C (CTRC), del recettore sensibile al calcio (CASR), del regolatore della conduttanza transmembrana nella fibrosi cistica (CFTR) e delle citochine coinvolte nella patogenesi della pancreatite, sia acuta che cronica (Fig. 1). I pazienti che possiedono nel proprio codice genetico mutazioni a carico di questi geni presenterebbero un rischio maggiore di sviluppare pancreatite 2. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:40-44 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Geni e pancreas Pancreatite acuta Mutazioni genetiche delle citochine In fase di studio sono i polimorfismi dei geni per le citochine coinvolte nella patogenesi della pancreatite, soprattutto acuta. Alcune ricerche hanno analizzato le citochine maggiormente coinvolte nello sviluppo della PA, come il tumor necrosis factor-α (TNF-α), l’interleuchina (IL)-1, l’antagonista recettoriale dell’IL-1 (IL-1RA), l’IL-6 e l’IL- 10. Ad esempio è stata rilevata un’associazione fra una mutazione del gene del TNF-α (TNF-α-308 SNP) e la gravità della pancreatite e l’associazione all’insorgenza di shock in pazienti affetti da PA di grado severo 3. Ipertrigliceridemia e varianti genetiche L’ipertrigliceremia familiare da mutazioni della lipoproteinlipasi (LPL) o deficit di apolipoproteina C-II determina una predisposizione all’insorgenza della PA, ma solo una piccola percentuale dei pazienti affetti sviluppa effettivamente la malattia 4. La presenza di lesioni pancreatiche iniziali provocherebbe il rilascio della lipasi pancreatica, con successiva e conseguente attivazione dei processi di flogosi. In uno studio su 126 pazienti con ipertrigliceridemia, di cui 46 con una pregressa diagnosi di PA, si sono rilevate differenze significative (p < 0,05) nei livelli medi dei trigliceridi ma senza mutazioni significa- Tabella I. Fattori di rischio per la pancreatite acuta. Ostruzione duttale • anomalie anatomiche • calcoli biliari • parassiti • tumori • colangiopancreatografia retrograda transendoscopica Fattori metabolici • iperlipidemia • ipercalcemia • acidosi (ad esempio, chetoacidosi diabetica) Tossine • alcool etilico (alte dosi ) • insetticidi organofosforici (inibitori dell’acetilcolinesterasi) • tossina dello scorpione (varietà Caraibica e Sudamericana) Medicamenti (elenco parziale) • acetaminofene • azatioprina • eritromicina • estrogeni • exenatide • furosemide • 6-mercaptopurina • metronidazolo • FANS • pentamidina • stavudina • sulindac • tetraciclina • acido valproico Infezioni • virus • batteri Trauma • penetrante o meno • chirurgico Ischemia • idiopatica Fattori genetici • gene del tripsinogeno cationico (PRSS1) • gene di PSTI/SPINK1 • gene del chimotripsinogeno C (CTRC) • gene del recettore sensibile al calcio (CASR) • gene della fibrosi cistica (CFTR) (da Whitcomb, 2010 11, mod.). tive di PRSS1 e PSTI/SPINK1. Al contrario, la mutazione CFTR I556V CFmild-variant è stata dimostrata in 12/46 pazienti 41 F. Adragna et al. Tabella II. Fattori di rischio per la pancreatite acuta ricorrente e cronica. Pancreatite cronica associata a pancreatite acuta di grado severo e pancreatite acuta ricorrente • post-necrotica (pancreatite acuta di grado severo) • da malattia vascolare/ischemica • post-attinica Idiopatica • esordio precoce • insorgenza tardiva • tropicale Ostruttiva • pancreas divisum • ostruzione del dotto pancreatico (ad esempio, tumore) • cicatrice post-traumatica del dotto pancreatico • disturbi dello sfintere di Oddi • cisti della parete duodenale pre-ampollare Tossico-metabolica • alcool • fumo di tabacco • ipercalcemia • iperlipidemia • insufficienza renale cronica • farmaci • tossine Autoimmune • pancreatite cronica autoimmune isolata • pancreatite cronica autoimmune sindromica - associata alla sindrome di Sjogren - associata a malattia infiammatoria cronica dell’intestino - associata a cirrosi biliare primitiva • altro Fattori genetici • geni per citochine pro-infiammatorie • gene del tripsinogeno cationico (PRSS1) • gene di PSTI/SPINK1 • gene della fibrosi cistica (CFTR) • gene alfa-1 antitripsina (da Whitcomb, 2010 11, mod.). con PA. Questi dati indicano che, in pazienti con ipertrigliceridemia, la compresenza di mutazioni dei geni coinvolti nella produzione degli enzimi pancreatici e delle citochine proinfiammatorie può svolgere un ruolo sinergico nello sviluppo della PA 4. 42 Pancreatite cronica Mutazioni genetiche del tripsinogeno Il tripsinogeno è il più importante enzima pancreatico perché la sua attivazione a tripsina innesca una cascata enzimati- ca attivante gli altri proenzimi. Esistono 3 diversi tipi di tripsinogeno: cationico, anionico e mesotripsinogeno. Il più abbondante è il tripsinogeno cationico, codificato dal gene PRSS1, che attiva il 60% circa dall’attività totale della tripsina, seguito dall’anionico, o PRSS2, responsabile dell’attivazione del restante 30-40%. Nel lume intestinale l’enterochinasi trasforma il tripsinogeno in tripsina, che è in grado di attivare gli altri proenzimi digestivi prodotti dal pancreas. Il tripsinogeno può essere attivato anche dalla tripsina, fenomeno che prende il nome di “autoattivazione”. L’enzima attivo è pure in grado di degradare il suo precursore (autolisi). Fattori modulanti l’(auto) attivazione del tripsinogeno e l’inattivazione della tripsina sono il pH, lo ione calcio e gli acidi biliari 2. La compartimentalizzazione degli enzimi all’interno di specifici granuli (granuli di zimogeno) e l’inibizione intraduttale della tripsina da parte di PSTI/SPINK1 ne impediscono l’autoattivazione intrapancreatica. PSTI/SPINK1 è stata studiata su topi “knockout”; le cellule acinose pancreatiche embrionali mostravano una degenerazione vacuolare, che, alla nascita, portava all’agenesia acinare. Il tipo di morte cellulare dimostrato non era né necrotico né apoptotico, ma autofagico 5. Studi su famiglie con PC ereditaria hanno riportato una mutazione puntiforme nell’esone 3 del gene PRSS1 (365G > A: R122H) capace di aumentare l’attivazione della tripsina. Altra mutazione responsabile di aumentata attività della tripsina è nota nell’esone 2 (85A > T: RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Geni e pancreas Figura 1. Meccanismi patogenetici del danno cellulare nelle pancreatiti. N29I). Almeno altre 20 mutazioni sono state riscontrate in famiglie con storia di PC ereditaria, ma solo 3 (A16V, D22G e K23R) sono realmente associate all’insorgenza di PC nella popolazione caucasica 6. Tali mutazioni sono di tipo autosomico dominante, con una penetranza dell’80-90%. La correlazione fra mutazione e incremento dell’attività tripsinica è stata spiegata su cavie: R122H aumenta l’autoattivazione del tripsinogeno e impedisce l’inattivazione della tripsina 7; N29I favorisce l’autoattivazione dell’enzima e riduce l’attività di PSTI/SPINK1; A16V, D22G e K23R inducono un’aumentata autoattivazione della tripsina, modificandone il sito attivo di clivaggio 6. Il rischio relativo di cancro del pancreas in pazienti con PC ereditaria da mutazioni di PRSS1 è 50-70 volte superiore alla media, e circa il 40% svilupperà la neoplasia entro i 70 anni 7. Mutazioni genetiche del chimotripsinogeno C (CTRC) Il CTRC è una proteina ad attività chimotripsina-simile, capace di distruggere la tripsina, attaccando la molecole all’interno del sito legante il calcio e bloccando il potenziale autocatalitico dell’enzima. Uno studio tedesco ha identificato varianti di CTRC nel 3,3% dei pazienti con PC (mutazione missense R254W e delezione in-frame K247_R254del) vs lo 0,7% dei controlli, con un aumento di 5 volte della probabilità di pancreatite 8. Altre 18 varianti, ma con una frequenza molto inferiore, sono state identificate da uno studio francese 9. Mutazione geniche del recettore sensibile al calcio (CASR) Il CASR è associato ad una proteina G di membrana capace di “percepire” i livelli extracellulari del calcio. Varianti ge- niche di CASR (circa 200) sono associate a sindromi ipercalcemiche 10. Uno studio su una famiglia affetta da FHH (familial hypocalciuric hypercalcemia), con storia anche di PC familiare, ha mostrato che solo i pazienti con mutazioni a carico sia di SPINK1 che di CASR (c.518T > C SNP) avevano sviluppato la PC. La presenza di anomalie a carico dei sistemi di controllo dell’attivazione della tripsina (SPINK1) rende più pericolosa, per il rischio di pancreatite, l’ipercalcemia da iperparatiroidismo. Altre varianti di CASR associate a PC sono poi risultate L173P, V477A e A986S, in associazione o meno con varianti di SPINK1 10. Mutazioni genetiche del CFTR Il CFTR è un canale del cloro che nel pancreas regola la secrezione di acqua, sodio, cloro e bicarbonato. Le sue mutazioni, come nella fibrosi cistica (FC), provocano un’alterazione della secrezione di ioni cloro ed un maggior riassorbimento di acqua e sodio. Alcune mutazioni del CFTR sono associate alla PC, con o senza FC. Audretz ha identificato 28 mutazioni e 22 polimorfismi 9 che, riducendo il contenuto di acqua e sodio nel succo pancreatico, rendendolo più denso e viscoso e più difficilmente escreto nei dotti pancreatici, porterebbero all’attivazione intraparenchimale dei proenzimi. Bibliografia Bruno MJ. Current insights into the pathogenesis of acute and chronic pancreatitis. Scand J Gastroenterol Suppl 2001;234:103-8. 1 43 F. Adragna et al. Le Bodic L, Bignon JD, Raguénès O, et al. The hereditary pancreatitis gene maps to long arm of chromosome 7. Hum Mol Genet 1996;5:549-54. 2 Audrezet MP, Dabricot A, Le Marechal C, et al. Validation of highresolution DNA melting analysis for mutation scanning of the cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR) gene. J Mol Diagn 2008;10:424-34. 5 3 Coca-Prieto I, Valdivielso P, Olivecrona G, et al. Lipoprotein lipase activity and mass, apolipoprotein C-II mass and polymorphisms of apolipoproteins E and A5 in subjects with prior acute hypertriglyceridaemic pancreatitis. BMC Gastroenterol 2009;9:46. 4 Ohmuraya M, Hirota M, Araki M, et al. Autophagic cell death of pancreatic acinar cells in serine protease inhibitor Kazal type 3-deficient mice. Gastroenterology 2005;129: 696-705. Németh BC, Sahin-Tóth M. Human cationic trypsinogen (PRSS1) variants and chronic pancreatitis. Am J Physiol Gastrointest Liver Physiol 2014;306:G466-73. 6 Lowenfels AB, Maisonneuve P, DiMagno EP, et al. Hereditary pancreatitis and the risk of pancreatic cancer. International Hereditary Pancreatitis Study Group. J Natl Cancer Inst 1997;89:442-6. 7 Rosendahl J, Witt H, Szmola R, et al. Chymotrypsin C (CTRC) variants that diminish activity or 8 secretion are associated with chronic pancreatitis. Nat Genet 2008;40:78-82. Felderbauer P, Hoffmann P, Einwächter H, et al. A novel mutation of the calcium sensing receptor gene is associated with chronic pancreatitis in a family with heterozygous SPINK1 mutations. BMC Gastroenterol 2003;3:34. 9 Masson E, Chen JM, Scotet V, Le Maréchal C, et al. Association of rare chymotrypsinogen C (CTRC) gene variations in patients with idiopathic chronic pancreatitis. Hum Genet 2008;123:83-91. 10 Whitcomb DC. Genetic aspects of pancreatitis. Annu Rev Med 2010;61:413-24. 11 • Le patologie infiammatorie del pancreas sono causate da un’associazione di fattori genetici ed ambientali. • Mutazioni a carico dei geni del tripsinogeno (PRSS), del chimotripsinogeno C (CTRC), del recettore sensibile al calcio (CASR) e del “Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator” (CFTR) sono coinvolti nell’eziopatogenesi delle pancreatiti croniche. • Sembrano essere coinvolti nell’eziopatogenesi della pancreatite acuta alcune varianti dei geni che codificano il tumor necrosis factor-α (TNF-α), l’interleuchina (IL)-1, antagonista recettoriale dell’IL-1 (IL-1RA), l’IL-6 e l’IL-10, citochine coinvolte nei processi flogistici acuti. • I soggetti affetti da iperlipoproteinemia di tipo I hanno una maggiore predisposizione verso l’insorgenza della pancre- atite acuta a causa di mutazioni della lipoproteinlipasi (LPL) o deficit di apolipoproteina C-II. 44 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY a cura di Salvatore Oliva Ingestione di batterie a bottone: descrizione di due casi con complicazioni esofagee e proposta di un protocollo multidisciplinare di trattamento Ingestion of button batteries: report of two clinical cases with esophageal complication and proposal for a multidisciplinary protocol of treatment Introduzione Negli ultimi anni sono comparse segnalazioni di casi mortali, conseguenti all’ingestione in età pediatrica di “button batteries” (BB) di tipo alcalino (1,5V) o delle più recenti e potenti (3V) pile al litio (LB). Al momento attuale (febbraio 2015) sono riportati nel mondo 38 decessi, il 70% dei quali dovuti alla formazione di una fistola tra esofago e aorta o altri grossi vasi mediastinici 1. Il rischio di sequele maggiori o di morte si verifica quando la BB è in stretto contatto con le mucose, come nelle localizzazioni esofagee. Nei liquidi tissutali la BB attiva un flusso elettrico di ioni idrossido fortemente alcalini al polo negativo, con ustioni ulcerative già dopo 2 ore dall’ingestione. La potenzialità lesiva è direttamente proporzionale al voltaggio 2-4. È stato dimostrato che un “sanguinamento sentinella” (isolata ematemesi o melena) nelle ore o nei giorni prima dell’emorragia fatale da fistola esofago-vascolare, può essere un sintomo di presentazione atipico 5. Il sanguinamento massivo può insorgere mentre la pila è ancora presente nel tratto gastro-intestinale o dopo la sua rimozione, con un intervallo riportato da 2 a 28 giorni 1, 4. Ciò evidenzia come si tratti di una lesione che si aggrava progressivamente nel tempo, anche dopo la rimozione della pila stessa. Nei pazienti con “sanguinamento sentinella” emodinamicamente stabili vi è una finestra di tempo che permette la riparazione chirurgica del danno vascolare ed esofageo con alte probabilità di successo, come indicato nel protocollo di Brumbaugh 5. È pertanto necessaria una rivisitazione del comportamento da osservare in caso di ingestione di BB, in quanto in alcune condizioni la rimozione endoscopica può risultare inadeguata. Gli endoscopisti, i chirurghi generali e vascolari dovrebbero costituire una task force pronta a fronteggiare, in un setting adeguato, ogni pos- Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:45-48 Arrigo Barabino1 (foto) Silvia Vignola1 Paolo Gandullia1 Serena Arrigo1 Angela Calvi1 Luigi Dall’Oglio2 Filippo Torroni2 Paola De’Angelis2 Marta Bini3 Alfredo Rossi3 UO Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, Istituto G. Gaslini (IGG), Genova; 2 UO Chirurgia digestiva ed Endoscopia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 3 UO Endoscopia digestiva, Ospedale Niguarda, Milano 1 Key words Button battery ingestion • Children • Aortoesophageal fistula Abstract Two children with a lithium battery lodged into esophagus are described. One died because of aorto-esophageal fistula, the other surviving despite esophageal perforation. These experiences induced specialists of two tertiary Italian pediatric hospitals and two adult’s gastroenterologists to upgrade a panel of experts in the field. A new protocol for the management of disk battery ingestion in children was developed, representing the opinion of some members of the Italian Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (SIGENP). Indirizzo per la corrispondenza Arrigo Barabino via G. Gaslini 5, 16148 Genova E-mail: [email protected] 45 A. Barabino et al. sibile drammatica evenienza. Due casi emblematici hanno indotto specialisti di due ospedali pediatrici di terzo livello e due endoscopisti dell’adulto a costituire un “panel” sul trattamento dell’ingestione di BB nel bambino. Dalle riunioni del panel e dalla revisione della letteratura è scaturita la proposta di un nuovo protocollo rappresentante l’opinione di esperti appartenenti alla SIGENP. Caso 1 Una bimba di 2 anni nel Giugno del 2010 viene accompagnata alle h. 8:30 al Pronto Soccorso (PS) dell’Istituto “Giannina Gaslini” (IGG) per la comparsa, in pieno benessere, di un unico vomito ematico insorto circa un’ora prima. L’anamnesi è muta per ingestione di corpo estraneo o altro. All’esame obiettivo si riscontra solo una modesta tachicardia; gli altri parametri vitali sono nella norma, le indagini di laboratorio rivelano: Hb 7,7 g/dl, piastrinosi, iperfibrinogenemia e ipoalbuminemia. Si programma gastroscopia entro le 12 ore dall’ematemesi e viene somministrato omeprazolo e.v. Alle h. 13:30 si verifica un ulteriore calo dell’Hb (6,6 g/dl), pur in assenza di ulteriori sintomi, con parametri vitali stabili. Si procede ad effettuare emotrasfusione e si infonde octreotide. Alle h. 16:15, mentre la piccola è in procinto di essere trasferita in sala operatoria, compare ematemesi incontrollabile e successivo arresto cardio-respiratorio. Nonostante le pronte manovre rianimatorie da parte del team di terapia intensiva, la bambina 46 muore alle h 19. L’autopsia rivela una fistola aorto-esofagea dovuta alla presenza di una pila al litio CR2032 incarcerata in esofago. Caso 2 Un bambino di 5 anni, a settembre 2012, viene accompagnato alle h. 19:30 al PS dell’IGG per dolori epigastrici persistenti. Per lo stesso motivo era stato visitato tre giorni prima con prescrizione di omeprazolo. La madre sospetta l’ingestione di una moneta. L’obiettività e gli esami di laboratorio sono negativi. L’Rx torace-addome rivela una LB in sede medio esofagea. Alle 20:30 si esegue gastroscopia in sala operatoria con riscontro di una CR2032 incarcerata in un’ampia ulcera della parete, con gemizio di sangue. La pila non viene rimossa. Viene convocato d’urgenza il chirurgo vascolare reperibile che, dopo circa 25 minuti, esegue toracotomia laterale: non si evidenziano lesioni dell’aorta. A torace aperto si ripete l’endoscopia e, mediante transilluminazione, sono esclusi rapporti direzionali tra aorta e batteria, che viene quindi spinta in stomaco e recuperata. Il bambino viene posto in nutrizione parenterale totale con somministrazione di antibiotici e omeprazolo ev. Dopo 7 gg si assiste a perforazione spontanea dell’esofago trattata conservativamente, senza alcuna sequela. Protocollo Il protocollo è schematicamente sintetizzato in Figura 1. L’Rx torace-addome definisce localizzazione, diametro e tipologia della batteria con il caratteristico doppio anello o “effetto alone”. Le LB sono più piatte e più larghe (> 20 mm) rispetto alle BB alcaline. Le prime sono più frequentemente intrappolate in esofago nei bambini più piccoli. Solo in caso di sanguinamento attivo la localizzazione della BB non è cruciale. Una batteria può aver soggiornato in esofago il tempo sufficiente per indurre gravi lesioni prima di migrare in altri organi. In accordo con la presentazione clinica è necessario monitorare i parametri vitali e allertare l’endoscopista, il team di rianimazione e i chirurghi generale e vascolare. È raccomandata l’esecuzione di emocromo, coagulazione e prove crociate. L’otorino può avere un ruolo nella rimozione mediante esofagoscopio rigido in caso di BB localizzate nel terzo superiore dell’ esofago o di severo edema mucoso. Comparando il protocollo proposto con quello di Brumbaugh 5, i seguenti punti richiedono ancora conferme cliniche: 1)l’uso del tubo di Blakemore potrebbe non essere indicato quale trattamento di emergenza del sanguinamento aortico; 2) la toracotomia potrebbe essere evitata in caso di sanguinamento sentinella, BB non in esofago e angio-TC negativa per compromissione vascolare; 3)in un bambino senza sanguinamento e BB in esofago la rimozione immediata della pila è da considerare con attenzione. È nostra opinio- ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Ingestione di batterie a bottone Figura 1. Management operativo in caso di ingestione di “button battery” (BB) alcalina o litio. 47 A. Barabino et al. ne che la presenza di ulcerazioni severe, sanguinanti, con BB incarcerata nella parete esofagea, anche in assenza di emorragia sentinella, potrebbe controindicarne la rimozione per il rischio di attivare una fistola aorto-esofagea sottostante con immediate e fatali conseguenze. L’endoscopia dovrebbe essere interrotta al fine di procedere alla toracotomia esplorativa. 4)I bambini senza sanguinamento e pila in stomaco potrebbero essere approcciati a seconda della presenza o meno di sintomi. Lesioni gravi possono essere riscontrate nella mucosa gastrica poche ore dopo l’ingestione, soprattutto in età pediatrica 6. La letteratura disponibile non permette di stabilire un tempo limite prima di eseguire l’endoscopia. Tuttavia, considerando la possibilità di lesioni gravi ed evolventi anche nello stomaco, il panel suggerisce una riduzione prudenziale del tempo d’attesa. Il protocollo presuppone un’organizzazione complessa allestibile solo in ospedali a carattere regionale. Il comportamento dei sanitari di ospedali non attrezzati a fronteggiare le situazioni a rischio, dovrebbe essere improntato a: 1)conoscere la gravità del problema; 2) aver individuato il più vicino centro di riferimento, con il quale sia stato stabilito il tipo di collaborazione ed il canale più rapido per il trasferimento del bambino (attivazione di “reti regionali”); 3)provvedere al trasferimento con la tempistica più adatta in base alla presentazione clinica ed al riscontro radiologico; 4)fornire un trasporto “protetto” utilizzando personale coerente con questo tipo di emergenza (team medicoinfermieristico di terapia intensiva). Bibliografia National Capital Poison Center: http://www.poison.org/battery/fatalcases.asp 1 Jatana KR, Litovitz T, Reilly JS, et al. Pediatric button battery injuries: 2013 task force update. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2013;77:1392-99. 2 Litovitz T, Whitaker N, Clark L. Preventing battery ingestions: an analysis of 8648 cases. Pediatrics 2010;125:1178-83. 3 Litovitz T, Whitaker N, Clark L, et al. Emerging battery ingestion hazard: clinical implications. Pediatrics 2010;125:1168-77. 4 5 Brumbaugh DE, Colson SB, Sandoval JA, et al. Management of button battery–induced hemorrhage in children. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;52:585-9. 6 Takagaki K, Perito ER, Jose FA, et al. Gastric mucosal damage from ingestion of 3 button cell batteries. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;53:222-3. • L’ingestione di batterie a bottone nei bambini sta diventando un problema emergente, soprattutto in seguito alla mes- sa in commercio delle potenti pile al litio. • Se localizzate nell’esofago le batterie a bottone (in particolar modo quelle al litio) possono causare in poche ore com- plicazioni anche fatali, come nel caso di formazione di fistola aorto-esofagea. • Sulla base dell’esperienza acquisita da due significativi casi clinici e dalla revisione della letteratura, un panel di esperti ha redatto una proposta di un nuovo protocollo gestionale multidisciplinare. • Anche se le emergenze prospettate dal protocollo possono essere fronteggiate solo in un centro di riferimento di terzo livello, vengono forniti suggerimenti per guidare il comportamento dei sanitari operanti in strutture periferiche. 48 a cura di Teresa Capriati GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Le nuove linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo: quali sono le raccomandazioni? Quali le considerazioni? The new National Institute for Health and Care Excellence (NICE) guidelines on gastroesophageal reflux: what are the recommendations? What are the considerations? Il primo numero di questa nuova rubrica è dedicato alle recentissime linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo e sulla malattia da reflusso gastroesofageo. Tali linee guida suggeriscono al pediatra, a cui sono principalmente dirette, un approccio chiaro e ragionato al problema. Il “format” della rubrica prevede una presentazione, in forma sintetica ma completa, delle linee guida esaminate affiancata da un commento critico e attento da parte di un esperto nel settore. In questo primo numero è la dottoressa Silvia Salvatore a mettere in luce punti di forza e di debolezza delle linee guida presentate. Speriamo con questo di fare cosa gradita a quanti, pediatri e specialisti, non si stancano e non si stancheranno mai di esercitarsi nella difficile e sottile arte di tradurre l’evidenza scientifica in pratica clinica quotidiana. Teresa Capriati Quali sono le raccomandazioni? Nel mese di gennaio 2015 sono state pubblicate le nuove linee-guida (LG) britanniche del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) su reflusso gastroesofageo (RGE) e malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) in età pediatrica 1. In queste LG, come già nelle precedenti europee e americane (ESPGHAN-NASPGHAN e AAP) 2, 3, si ribadisce che il RGE è un fenomeno frequente e fisiologico e che la maggioranza dei lattanti con RGE, in assenza di sintomi o segni di allarme, necessita unicamente di consigli e rassicurazioni per Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:49-54 Teresa Capriati Unità Operativa Semplice di Nutrizione artificiale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Key words Gastroesophageal reflux (GER) • Endoscopy • PH-monitoring • Thickened formula • Alginate • Acid inhibitors Abstract A new (National Institute for Health and Care Excellence (NICE) guideline for gastroesophageal reflux (GER) has recently been published. GER-disease (GERD) is defined as GER complications or symptoms severe enough to merit treatment. Parental advices, “red flags” symptoms, differential diagnosis, at risk conditions and indications for endoscopy and pH(impedance)-monitoring are presented. Initial management for GER and GERD and nutritional, pharmacological and surgical treatment for GERD are also illustrated. Indirizzo per la corrispondenza Teresa Capriati piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma E-mail: [email protected] 49 T. Capriati i genitori ed eventuali indicazioni su quando necessaria una rivalutazione pediatrica o una visita specialistica (Tab I). La discriminante fondamentale nella valutazione di un bambino con RGE è rappresentata dalla presenza di un’evidente sintomatologia di rigurgito/vomito. In assenza di rigurgito/vomito evidente non è indicato indagare di routine o trattare un neonato/bambino che presenti uno solo dei seguenti segni/sintomi: difficoltà inspiegabili di alimentazione (ad esempio rifiuto dei pasti, conati di vomito o crisi di soffocamento), agitazione, scarsa crescita, tosse cronica, raucedine o un singolo episodio di polmonite. Si prenderà in considerazione, invece, una valutazione specialistica gastroenterologica, anche in assenza di evidente rigurgito/vomito, in alcuni casi bene definiti: •neonati/lattanti con sindrome di Sandifer (episodico torcicollo con estensione e rotazione del collo) o persistente inarcamento della schiena •adolescenti che riferiscono: bruciore di stomaco, dolore retrosternale, dolore epigastrico. •casi in cui si sospettino, sulla base dei sintomi, complicanze dovute al RGE: polmoniti ricorrenti da aspirazione, frequenti otiti medie (più di 3 episodi in 6 mesi), erosione dentale in bambini/adolescenti con handicap neuromotorio (in particolare con paralisi cerebrale). •condizioni in cui è descritta una aumentata prevalenza di MRGE: parto prematuro, storia familiare di pirosi o rigurgito acido, obesità , ernia iatale, storia di ernia diaframmatica congenita (operata) o atresia 50 Tabella I. Cosa fare in caso di rigurgito fisiologico? Rassicurare i genitori/tutori dei lattanti, in buono stato di salute, con rigurgito con le seguenti argomentazioni: • il RGE è molto comune (colpisce almeno il 40% dei neonati) • di solito inizia prima che il bambino abbia 8 settimane di vita • può essere frequente (5% dei lattanti presentano 6 o più episodi al giorno) • solitamente diventa meno frequente con il tempo (si risolve nel 90% dei bambini affetti prima di 1 anno di età) • generalmente non ha bisogno di ulteriori indagini o trattamenti Dire ai genitori/tutori di far rivalutare il bambino se si verifica una delle seguenti condizioni: • il rigurgito diventa persistentemente a getto • il vomito è biliare (verde o giallo-verde) o con sangue • compaiono segni/sintomi nuovi quali agitazione o irritabilità importante, difficoltà di alimentazione o arresto della crescita • persiste un frequente rigurgito oltre il primo anno di vita. esofagea congenita (operata), handicap neuromotorio, asma (nei bambini asmatici il RGE è più frequente ma non c’è evidenza che esso causi o peggiori l’asma), MRGE già diagnosticata, eventi apparentemente pericolosi per la vita (Apparent Life Treatening Episodes, ALTEs) o apnee inspiegabili. In neonati/bambini/adolescenti con vomito o rigurgito devono, d’altra parte, essere esclusi segni/sintomi di allarme (le cosiddette “bandiere rosse”) possibili indicatori di disturbi diversi dal RGE. In particolare va posta attenzione alla presenza di segni/ sintomi gastrointestinali che possono rappresentare un’indicazione chirurgica: vomito ripetuto nei primi mesi di vita o vomito biliare, distensione o resistenza addominale, presenza di una massa palpabile. È indicata, inoltre, una valutazione gastroenterologica nel caso di ematemesi (escludere preventivamente ingestione di sangue da epistassi nel bambino più grande o da ragadi al seno negli allattati con latte materno), di esordio tardivo di rigurgito/vomito (> 6 mesi di età) e/o sua persistenza oltre il primo anno di età, di diarrea cronica e/o sangue nelle feci o di un alto rischio di atopia (in questo caso potrebbe essere indicata anche una valutazione allergologica). Ci sono, inoltre, segni generali di allarme che associati al sintomo vomito/rigurgito devono sempre far pensare a patologie diverse dal RGE/MRGE e pertanto spingere a indagini e valutazioni non strettamente gastroenterologiche: aspetto sofferente, malessere generale, febbre, disuria, fontanella pulsante, rapido aumento della circonferenza cranica (più di 1 cm a settimana), persistente cefalea, vomito mattutino, alterata reattività (per es. letargia o irritabilità). Le indicazioni per esami radiologici, endoscopia (EGDS) e pH-(impedenzo) metria sono illustrate nella Tabella II mentre nella Tabella III sono riassunti i principali suggerimenti di management medico, farmacologico, nutrizionale e chirurgico secondo le linee guida NICE. GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Linee guida NICE sul GER Tabella II. Procedure diagnostiche per RGE/MRGE e loro indicazioni. Indagini diagnostiche pH metria (o pH-impedenzometria laddove possibile) Solo pH-metria Quando effettuarle • Sospetta ricorrente polmonite ab ingestis • Inspiegabili apnee o infiammazione delle vie aeree superiori o episodi simil-convulsivi non epilettici • Frequenti otiti medie (> 3 episodi in 6 mesi) • Erosione dentale associata a neurodisabilità • Qualora il bambino debba essere sottoposto a fundoplicatio • In caso di sospetta sindrome di Sandifer • Se clinicamente necessario provare l’efficacia della soppressione acida Radiografia dell’apparato digerente con pasto baritato • Non consigliato né per diagnosticare né per valutare la gravità della MRGE • Da eseguire se vomito biliare (persistente e/o ricorrente) o disfagia EGDS + biopsie • Ematemesi non causata da sangue ingerito (epistassi o ragadi), melena o disfagia (con esame in urgenza se clinicamente indicato) • Non miglioramento del rigurgito dopo l’anno di vita • Scarsa crescita persistente associata a rigurgito • Agitazione inspiegabile in bambini/adolescenti con difficoltà di comunicazione • Dolore retrosternale, epigastrico o addominale superiore che necessita di una terapia medica continua o è refrattario alla terapia medica • Rifiuto ad alimentarsi e storia di rigurgito • Anemia sideropenica inspiegabile • Sospetta sindrome di Sandifer Tabella III. Management medico-comportamentale, farmacologico, nutrizionale e chirurgico del RGE/MRGE. Gestione iniziale di RGE e MRGE Non utilizzare la posizione antireflusso per trattare il RGE durante il sonno nei lattanti (i lattanti dovrebbero dormire supini). In lattanti allattati al seno con frequenti rigurgiti e distress o agitazione importante valutare se la modalità di allattamento al seno è corretta. Nei lattanti allattati con formula con frequenti rigurgiti e distress o agitazione importante: • rivedere l’alimentazione; • ridurre i volumi dei pasti (solo se eccessivi per il peso del bambino) poi; • offrire pasti più piccoli ma più frequenti (mantenendo una quantità giornaliera totale adeguata di latte); • se i pasti sono già piccoli e frequenti, allora provare una formula ispessita (per esempio, contenente amido di riso, amido di mais, farina o semi di carruba). Nei lattanti sia allattati al seno sia con formula con frequenti rigurgiti e segni di distress o agitazione importante nei quali l’approccio precedente non abbia migliorato i sintomi si consideri la terapia con alginato per un periodo di 1-2 settimane. Se la terapia con alginato ha successo continuare con questa, provando con intervalli di sospensione. Trattamento farmacologico Prendere in considerazione 1.In coloro che non sono in grado di riferire circa i loro sintomi (per esempio, i lattanti e bambini piccoli, e quelli con neurodisabilità) che presentano rigurgito associato a 1 o più dei seguenti sintomi: una terapia per 4 settima• difficoltà di alimentazione inspiegabili (ad es. rifiuto dei pasti, conati di vomito o soffocamento); ne con inibitori di pompa • agitazione; protonica (PPI) o farmaci • arresto o scarsa crescita. anti recettori H2 dell’istamina (H2RA) nei casi se- 2.In bambini/adolescenti con pirosi persistente, dolore retrosternale o epigastrico. guenti: 3.In caso di esofagite da reflusso diagnosticata con endoscopia (considerare l’ipotesi di ripetere l’esame endoscopico se necessario per guidare il successivo trattamento). Valutare la risposta alla terapia di 4 settimane con PPI o H2RA, e considerare di rivolgersi ad uno specialista per una possibile endoscopia se i sintomi non si risolvono o si ripresentano dopo l’interruzione del trattamento. segue 51 T. Capriati continua Tabella III. Trattamento farmacologico Come scegliere tra PPI e H2RA? Tener conto di: • disponibilità di preparati adatti alla età; • preferenza del genitore/tutore, bambino o adolescente; • costo del farmaco. Raccomandazioni sulla terapia farmacologica Non dare farmaci acido-soppressori (come PPI o H2RA), per il trattamento di lattanti e bambini in cui il rigurgito sia un sintomo isolato. Non dare metoclopramide, domperidone o eritromicina per trattare RGE o MRGE senza una consulenza specialistica e tenendo conto dei loro potenziali effetti avversi. Nutrizione enterale (NE) per MRGE Prendere in considerazione la nutrizione enterale solo per promuovere l’aumento di peso nei bambini con rigurgito e scarsa crescita se: • sono state escluse altre possibili cause di scarsa crescita e/o; • le raccomandazioni nutrizionali e l’approccio terapeutico al rigurgito sono inefficaci. Prima di iniziare la NE programmare: • un piano nutrizionale specifico e personalizzato; • una strategia per ridurre la NE quanto prima e una strategia di salvataggio nel caso in cui sia necessario arrestare in breve tempo la NE. Una volta avviata la NE ricordarsi di: • continuare, durante la NE, a fornire una stimolazione orale con un’alimentazione per bocca nelle quantità tollerate; • seguire un piano nutrizionale che permetta di raggiungere il peso target e poi di mantenere un adeguato incremento ponderale; • ridurre e interrompere la NE appena possibile. Considerare l’alimentazione digiunale per pazienti che hanno bisogno di NE ma che non possono tollerare i pasti intragastrici a causa di importante reflusso gastroesofageo o della possibilità di una polmonite ab ingestis. Chirurgia per MRGE Prima di eseguire una fundoplicatio effettuare una EGDS con biopsie esofagee e considerare l’esecuzione di altre indagini (pHmetria esofagea o pH-impedenziometria esofagea se disponibile) e uno studio radiologico contrastografico Considerare la fundoplicatio in pazienti con grave MRGE intrattabile se: • un adeguato trattamento medico non ha avuto successo; • il regime alimentare non riesce a gestire la MRGE: per esempio nel caso di NE continua e ispessita a lungo termine. 52 a cura di Teresa Capriati Quali sono le considerazioni? Le linee guida NICE sono focalizzate sull’iter diagnostico e sul management terapeutico del lattante/ bambino/adolescente con RGE/MRGE e offrono un approccio pratico e delle precise indicazioni sia per le valutazioni strumentali che per la terapia farmacologica, nutrizionale e chirurgica. In queste nuove linee guida, come già in quelle europee (ESPGHAN) e americane (NASPGHAN e AAP) 2, 3, si ribadisce come il RGE sia un fenomeno frequente e fisiologico e come la maggioranza dei lattanti con RGE, in assenza di altri sintomi o segni di allarme, non necessiti di valutazioni specialistiche, esami o terapia ma unicamente di consigli e rassicurazioni rivolte ai genitori e/o a chi li accudisce. D’altra parte nelle NICE troviamo una definizione di MRGE che, pur differendo apparentemente solo leggermente da quella delle altre linee guida, porta con sé ripercussioni pratiche importanti. La MRGE nelle NICE, infatti, è definita come una condizione che è determinata da un RGE con complicanze o sintomi tanto severi da meritare un trattamento medico. Il trattamento delle complicanze del RGE nelle raccomandazioni NICE è simile a quello proposto nelle precedenti LG sebbene nelle NICE tra le complicanze siano riportate l’esofagite, le ricorrenti polmoniti ab ingestis, le erosioni dentali nei pazienti con neurodiasabilità e le otiti ricorrenti intese come più di 3 episodi in 6 mesi (nonostante la relazione delle otiti con il RGE sia ancora poco chiaro) e non venga, invece, citata la stenosi esofagea. L’indicazione ad avviare una terapia sulla base del sintomo, invece, differenzia queste raccomandazioni dalle precedenti linee guida. In effetti nelle LG ESPGHAN, NASPGHAN e AAP la presenza di “troublesome symptoms” cioè “sintomi che determinano problemi” può indicare non un semplice RGE bensì una MRGE ma in ogni caso la condizione necessaria per avviare una terapia farmacologica rimane sempre la presenza di una esofagite documentata o di una pH(impedenziometria) patologica o comunque di una indicazione strumentale mentre l’unica indicazione clinica all’avvio della terapia rimane la presenza di pirosi. È stato ampiamente dimostrato, infatti, che nessun altro sintomo o segno (esofageo o extraesofageo) risulta altamente sensibile o specifico di MRGE. Il pianto, l’agitazione e l’irritabilità possono accompagnare il rigurgito e il vomito del lattante tuttavia, la loro intensità, frequenza o durata non sono predittivi di MRGE né di rispo- GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Silvia Salvatore Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, Università dell’Insubria Pediatria, Ospedale “F. Del Ponte” Indirizzo per la corrispondenza Silvia Salvatore via F. Del Ponte 19, 21100 Varese E-mail: [email protected] sta a terapia con acido-inibitori 2-4. Nelle NICE, invece, si (re)introduce la possibilità di iniziare il trattamento farmacologico anche solo sulla base di sintomi aspecifici quali, per esempio, i disturbi di alimentazione, la scarsa crescita ed il “marked distress”, cioè il pianto/agitazione/irritabilità giudicato “eccessivo” che non rispondono all’approccio comportamentale e dietetico. In questo modo si ritorna a considerare, come nelle vecchie linee guida NASPGHAN del 2001 5, per il lattante ed il bambino piccolo, un approccio empirico con inibitori dell’acidità gastrica (sia ranitidina sia inibitori di pompa protonica o PPI) per un periodo fino a 4 settimane. La rilevanza del sintomo “distress” è, tuttavia, molto soggettiva e diversi studi hanno dimostrato una scarsa relazione con il RGE acido soprattutto nei primi mesi di vita 2, 6. Negli ultimi anni l’utilizzo dei farmaci acido soppressori è aumentato in modo enorme ed ingiustificato, soprattutto nel bambino piccolo, e sono stati dimostrati importanti effetti collaterali (in particolare infezioni gastrointestinali e respiratorie) 2, 7. Se le LG Europee e Americane cercano di ridurre queste prescrizioni proponendo un approccio terapeutico più limitato ed oggettivo (basato sui risultati di endoscopia e pH(impedenzo)metria, le linee guida NICE offrono un possibile nuovo “stimolo” ad un’ipertrattamento farmacologico nel bambino più piccolo. Inoltre, in caso di miglioramento la durata della terapia (dopo l’iniziale ciclo di 4 settimane) non è precisata, l’opportu- 53 S. Salvatore nità della sua riduzione graduale prima della sospensione non viene riportata e la scelta del tipo di acido inibitori (ranitidina o PPI) non viene analizzata in termini di efficacia ma viene praticamente equiparata e lasciata alla scelta individuale e alla disponibilità della formulazione. Viene, invece, ribadita la mancanza di evidenza di efficacia dei procinetici nel RGE/MRGE e la possibilità di effetti collaterali di questi farmaci. Per quanto riguarda l’approccio dietetico non viene considerato e ritenuto giustificato nel lattante, sia in termini clinici sia economici, un trial con formule idrolisate spinte, come invece consigliato nelle LG ESPGHAN e NASPGHAN 2, mentre assume un maggiore ruolo terapeutico iniziale l’alginato sia per gli allattati al seno sia per gli allattati con latte formula che non rispondano ad un primo approccio comportamentale-dietetico. Viene, inoltre, suggerita come importante discriminante nell’approccio al lattante la presenza di rigurgito, nonostante sia già stato dimostrato come la MRGE possa essere presente anche in assenza di questo sintomo 2-4. Una maggior prevalenza di MRGE viene indicata nei pazienti con familiarità per MRGE, ernia iatale o affetti da ernia diaframmatica, atresia esofagea, neurodisabilità, obesità e prematurità, nonostante per queste due ultime condizioni i dati in letteratura siano scarsi e controversi. Come nelle linee guida precedenti, viene, inoltre, riportato che il RGE è più frequente nei bambini con asma (ma non è dimostrato che la causi o la peggiori), che alcuni sintomi dell’allergia alle proteine del latte vaccino sono simili a quelli della MRGE, e che il RGE solo raramente causa apnee o ALTE ma, qualora se ne abbia il sospetto, dopo la valutazione pediatrica generale andrebbero considerate una valutazione clinica ed indagini strumentali specialistiche. In termini di indagini viene confermato come la MRGE non possa essere diagnosticata con esami radiologici ma solo con l’endoscopia (EGDS) associata a biopsie o con la pH-(impedenzo) metria esami per i quali vengono chiaramente esplicitate le indi- cazioni. Una sezione finale viene dedicata anche alle raccomandazioni per la nutrizione enterale e vengono proposti ulteriori studi per chiarire la correlazione tra RGE/MRGE e neurodisabilità, tra RGE/MRGE e allergia alle proteine del latte vaccino e per definire meglio le indicazioni al trattamento chirurgico. In conclusione abbiamo sottolineato alcuni aspetti differenti delle linee guida NICE 2015 rispetto alle LG ESPGHAN-NASPGHAN del 2009 2 le cui raccomandazioni principali sono approvate e confermate anche dall’AAP nel 2013 3. Queste differenze sono, almeno in parte, determinate dalla metodologia applicata (a differenza di quelle ESPGHAN/NASPGHAN le NICE non sono basate sulla revisione sistematica della letteratura e su raccomandazioni con grading e livelli di evidenza) e dall’eterogeneità della tipologia di autori coinvolti nella redazione delle LG NICE rispetto alle altre (pediatri gastroenterologi, neurologi, chirurgi, medici sul territorio, dietiste, infermiere, rappresentanti di pazienti). Bibliografia 3 Lightdale JR, Gremse DA. American Academy of Pediatrics Clinical Report Section on Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition. Gastroesophageal reflux: management guidance for the pediatrician. Pediatrics 2013;131:e1684 tric Gastroenterology and Nutrition. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2001;32(S2):S1-31. National Institute of Health and Care Excellence (NICE). Clinical knowledge summaries on gastroesophageal reflux disease in children available on www.nice. org.uk/guidance/NG1 1 Vandenplas Y, Rudolph CD, Di Lorenzo C, et al. Pediatric gastroesophageal reflux clinical practice guidelines: joint recommendations of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition (NASPGHAN) and the European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition (ESPGHAN). J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;49:498-547. 2 54 Salvatore S, Hauser B, Vandemaele K, et al. Gastroesophageal reflux disease in infants: how much is predictable with questionnaires, pH-metry, endoscopy and histology? J Pediatr Gastroenterol Nutr 2005;40:210-5. 4 Rudolph CD, Mazur LJ, Liptak GS et al. Guidelines for evaluation and treatment of gastroesophageal reflux in infants and children: recommendations of the North American Society of Pedia- 5 Orenstein SR, Hassall E, Furmaga-Jablonska W, et al. Multicenter, double-blind, randomized, placebo-controlled trial assessing efficacy and safety of proton pump inhibitor lansoprazole in infants with symptoms of gastroesophageal reflux disease. J Pediatr 2009;154:514-20. 6 Quitadamo P, Papadopoulou A, Wenzl T, et al. European pediatricians’ approach to children with GERsymptoms: survey of the implementation of 2009 NASPGHAN-ESPGHAN guidelines. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2014;58:505-9. 7 CASE REPORT a cura di Mariella Baldassarre Soluzione del caso clinico di pagina 34 Sviluppo del caso clinico e risoluzione In questa sede, gli accertamenti eseguiti al fine di approfondire la diagnosi comprendono,oltre agli esami routinari biochimici, infettivologici su sangue,feci ed urine, l’esecuzione di IgE totali, che risultano molto elevate (3000 UI), e la fenotipizzazione linfocitaria, che evidenzia un alterato rapporto tra linfociti T CD4 + naive (37%) e linfociti T CD4 + memoria (56%), a favore di questi ultimi. L’espressione di CD25 da parte dei linfociti T risulta assente. I dati riscontrati suggeriscono una sindrome IPEX-like. Viene quindi avviato presso un laboratorio specializzato il sequenziamento diretto del gene IL2RA/CD25. e viene identificata una mutazione in omozigosi a livello dell’esone 2 (presente in eterozigosi in entrambi i genitori), a conferma della diagnosi di immunodeficienza (deficit di CD25)*. Contemporaneamente le stesse ricerche venivano effettuate ai genitori,assieme alla valutazione della loro compatibilità nell’eventualità della necessità della donazione di cellule staminali ematopoietiche. Confermata la diagnosi di sindrome da deficit di CD25, il Graziella Guariso1 Marco Gasparetto2 Università degli Studi di Padova; 2 Università degli Studi di Padova, Cambridge University Hospitals Paediatric Gastroenterology Unit 1 bambino viene trattato con aplo-trapianto di cellule staminali ematopoietiche dal padre, previo condizionamento con Treosulfan e Fludarabina ed immunoprofilassi per GVHD con globuline anti-timociti (ATG), Rituximab e Ciclosporina. Il decorso post-trapianto è complicato da trombosi del seno venoso trasverso, fortunatamente risolta con terapia eparinica. L’engraftment è completo e parallelamente si osserva una riduzione dell’output fecale ed una progressiva normalizzazione del quadro gastrointestinale, cutaneo e sistemico, completo recupero ponderale con sospensione della nutrizione parenterale e progressiva completa tolleranza della alimentazione per os. Punti critici della diagnostica differenziale Nella gestione clinica di questo piccolo paziente, il riscontro iniziale di rotavirus nelle feci ha portato a considerare, in prima battuta, l’ipotesi di un episodio di gastroenterite acuta virale. La persistenza della diarrea ed il peggioramento severo delle condizioni cliniche in termini di bilancio idro-elettrolitico-me- tabolico hanno rappresentato il primo campanello di allarme per il nostro lattantino, che viene infatti trasferito ad una terapia intensiva in un centro di terzo livello per la stabilizzazione clinica e la prosecuzione delle indagini. L’esecuzione di uno screening infettivologico completo su sangue, feci ed urine (comprendente la ricerca del CMV, di fondamentale importanza considerata l’età del bambino) dà esiti negativi in questa occasione. A questo punto, diventa stringente considerare le altre possibili diagnosi differenziali, ponderandole in ordine di frequenza per età e considerandone la compatibilità con la presentazione clinica. L’allergia alle proteine del latte vaccino può manifestarsi con un esordio clinico molto severo 2 (1a, A). Nel nostro caso, i trial con formula estesamente idrolisata – prima – ed elementare – in una seconda fase – non hanno dimostrato alcun sostanziale beneficio ed è stato pertanto necessario avviare nutrizione parenterale totale,peraltro senza successo, e considerare altre ipotesi. Una malattia infiammatoria cronica intestinale ad esordio precoce (< 2 anni di vita) è un’altra diagnosi compatibile * Dott.ssa Eleonora Gambineri, Dipartimento di “NEUROFARBA”, Sezione della Salute del Bambino, Università di Firenze; Dipartimento di Ematologia-Oncologia: Unità Trapianto di Midollo, Dipartimento di Medicina Fetale e Neonatale: Malattie Rare; Ospedale dei bambini “Anna Meyer”. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:55-57 55 G. Guariso, M. Gasparetto con la presentazione clinica del nostro paziente, ma come sappiamo questo sottogruppo di MICI generalmente è sotteso da mutazioni monogeniche e l’infiammazione cronica dell’intestino rappresenta solo una parte di un complesso disordine immunologico. Tra le varie forme descritte, un deficit del recettore dell’IL10 è parso poco probabile data l’ assenza di patologia perianale, caratteristica frequente in questi casi 3 (1b, A). Le gravi condizioni cliniche non avrebbero in ogni caso permesso di eseguire uno studio morfologico della mucosa intestinale,mentre risultava di estrema urgenza la diagnosi. Il sesso maschile, l’assenza di dismorfismi facciali, la presenza di rash eczematoso, l’alto valore delle IgE, la diarrea precoce ed intrattabile ci hanno indotto a indagare tempestivamente il fenotipo delle sottopopolazioni linfocitarie, indirizzandoci verso accertamenti più specifici per la conferma della diagnosi, ovvero una rara forma di immunodeficienza 1 (1b, A). Altre forme di enteropatie neonatali da difetti genetici non si presentano solitamente con il corredo di sintomi del nostro piccolo paziente 4 (1a, A). Commento Il recettore dell’interleuchina 2 (IL-2) è costituito dalle subunità α (ILR-2A, CD25), β (IL2RB, CD122) e γ common (IL2RG, CD132). L’espressione di CD25 sulla superficie cellulare 56 è fondamentale per mantenere la funzione immunologica e l’omeostasi 1(1b, A). CD25 è coinvolto nella via di segnalazione dell’IL2 durante la risposta immunitaria. Tale pathway molecolare include STAT5 come mediatore e culmina nell’attivazione di FOXP3 1 (1b, A). Alla luce dei pochi casi riportati in letteratura, i pazienti con deficit di CD25 manifestano per lo più già nel primo mese di vita manifestazioni cliniche importanti che possono inizialmente simulare una grave allergia al latte vaccino (dermatite,enteropatia) ed infezioni virali ricorrenti. Il quadro clinico di tale condizione richiama le caratteristiche della sindrome IPEX (Immunodisregolazione, Poliendocrinopatia, Enteropatia, X-linked) causata da mutazioni nel gene FOXP3, coinvolto nello stesso pathway molecolare 1 (1b, A). Il deficit di CD25 si associa a profonda alterazione dei sottogruppi cellulari dei linfociti T periferici, con linfoproliferazione pronunciata dei linfociti T CD8 positivi, espansione del compartimento delle cellule T della memoria, preservazione delle cellule T regolatorie FOXP3 + ed aumento dei markers di attivazione dei linfociti T e delle citochine plasmatiche. Le cellule B ed NK risultano significativamente deplete 1 (1b, A). Nonostante la similarità nel fenotipo tra questa forma di immunodeficienza e la IPEX, sostanziali sono le differenze dal punto di vista molecolare ed immunologico. Nella IPEX, infatti, la linfoproliferazione coinvolge primariamente i linfociti T CD4 + ed il meccanismo principale consiste nella perdita di regolazione dei linfociti T reg (FOXP3mut T reg). Non si tratta quindi di un processo mediato da citochine, come avviene invece nel deficit di CD25. Inoltre, la risposta a patogeni risulta preservata nella IPEX e le infezioni si verificano prevalentemente come evento secondario alle compromesse condizioni cliniche dei pazienti o ad immunosoppressione dovuta alla terapia in atto 1 (1b, A). Altra differenza sostanziale tra le due forme, è che nel deficit di CD25 non sono dosabili autoanticorpi, come avviene, invece, nella IPEX 1 (1b, A). Bibliografia Goudy K, Aydin D, Barzaghi F, et al. Human IL2RA null mutation mediates immunodeficiency with lymphoproliferation and autoimmunity. Clinical Immunology 2013;146: 248-61. 1 Koletzko S, Niggemann B, Arato A, et al. Diagnostic approach and management of cow’s milk protein allergy in infants and children: ESPGHAN GI Committee practical guidelines. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;55:221-9. 2 Uhlig HH, Schwerd T, Koletzko S, et al. The diagnostic approach to monogenic very early onset inflammatory bowel disease. Gastroenterology 2014;147:9901007.e3. 3 Berni Canani R, Terrin G, Cardillo G, et al. Congenital Diarrheal disorders:improved understanding of gene defects is leading to advances in intestinal physiology and clinical management. JPGN 2010;50:360-6. 4 CASE REPORT Soluzione del caso clinico • La diarrea cronica nel neonato e nel lattante rappresenta una condizione potenzialmente severa, che richiede stabilizza- zione immediata al fine di prevenire lo scompenso idro-elettrolitico e metabolico con possibili esiti letali. • L’inquadramento diagnostico della diarrea cronica nel neonato e nel lattante è complesso e si fonda su un’analisi ponderata di molteplici diagnosi differenziali comprendenti cause infettive (da non dimenticare, il CMV), e condizioni congenite (difetti di digestione, assorbimento, trasporto di nutrienti ed elettroliti, difetti della differenziazione e polarizzazione dell’enterocita o delle cellule entero-endocrine, difetti della modulazione della risposta immunologica). • Indagini di primo e secondo livello mirate al sistema immunitario sono fondamentali al fine di indirizzare eventuali ulteriori accertamenti (es. sequenziamento), qualora emerga il sospetto di un’immunodeficienza. • L’aplotrapianto di cellule staminali ematopoietiche rappresenta una cura efficace per pazienti con difetto di IL-2RA (CD25). I casi con sospetto deficit immunologico andrebbero pertanto inviati a centri provvisti di un’unità di Oncoematologia Pediatrica, provvista di un centro trapianti, al fine di una presa in cura globale. errata corrige Nel numero 4/2014 nell’articolo “Che fare se la diarrea riprende dopo un quadro di enterite”, a pagina 44, la frase del penultimo capoverso riporta erroneamente: “diosmectite: riduce la durata della diarrea, aumentando consistenza delle feci e numero di evacuazioni”. La frase corretta è: “diosmectite: riduce la durata della diarrea, aumentando consistenza delle feci e riducendo numero di evacuazioni”. Ce ne scusiamo con i lettori. 57 Focus on a cura di Mariella Baldassarre Il ruolo degli alginati nell’era degli inibitori di pompa protonica Antonio Dimauro, Mariella Baldassarre L’ARNO, osservatorio multicentrico delle prestazioni sanitarie erogate dal SSN, registra da tempo la tendenza a utilizzare anti-H2 e inibitori di pompa protonica (IPP) nei primi anni di vita per far fronte a sintomi quali rigurgito frequente, vomito, inarcamento, irrequietezza e pianto inconsolabile. Tali sintomi sarebbero riferibili alla manifestazione di una malattia da reflusso gastro esofageo (GERD) soltanto nell’1-2‰ della popolazione al di sotto dei tre anni mentre, nella maggior parte dei casi in questa fascia d’età, sottendono ad un disturbo di tipo “funzionale”, in cui non vi è quindi nessuna flogosi o patologia ulcerosa da curare. L’approccio ai suddetti sintomi è tuttavia spesso quello di trattare una “possibile” (ma, come già sottolineato, piuttosto improbabile) GERD senza compiere indagini strumentali che ne confermerebbero la diagnosi. Da qui deriva l’aumentata prescrizione ex adjuvantibus di farmaci quali anti-H2 e IPP, a discapito di quelli che sono i documentati effetti collaterali associati al loro uso (in particolar modo un significativo aumento delle infezioni gastrointestinali e respiratorie). Nel 2014 la Cochrane colla- boration ha analizzato in una meta-analisi quelle che sono le evidenze disponibili riguardo al trattamento farmacologico dei bambini con reflusso gastroesofageo. è stato evidenziato che l’utilizzo di farmaci a base di alginato di sodio o di magnesio risulta essere efficace nel migliorare la sintomatologia correlabile al rigurgito funzionale, in assenza di seri effetti avversi. Tale indicazione è ugualmente riportata nelle piu’ recenti linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo. Naturalmente sia la Cochrane del 2014 che le linee guida NICE confermano l’efficacia di PPIs e anti H2 nella GERD appropriatamente diagnosticata. Il pediatra, di fronte ad una sintomatologia riferibile a reflusso gastro-esofageo, in assenza di “segnali di allarme” tali da ipotizzare una GERD, dovrebbe soltanto fornire istruzione e sostegno ai genitori circa la normale evoluzione fisiologica di questo disturbo funzionale, che migliora nel corso del primo anno, e scompare a 12-18 mesi di vita. Qualora poi la percezione dei genitori riguardo alla gravità del sintomo dovesse spingere il pediatra ad effettuare una prescrizione medica, la sua scelta dovrebbe ricadere su farmaci a base di alginato di sodio o di magnesio (quest’ultimo di più recente introduzione, presenta maggiore viscosità rispetto al primo), in modo da ridurre, come dimostrato, la frequenza e l’intensità degli episodi di rigurgito senza incorrere in dimostrati effetti collaterali. In assenza di una diagnosi certa di GERD, infatti, l’uso improprio di anti-H2 o di IPP provoca, nella bilancia di valutazione rischio/beneficio, uno sbilanciamento eccessivo verso il rischio. Bibliografia Vandenplas Y, Rudolph CD, Di Lorenzo C, et al. Pediatric gastroesophageal reflux clinical practice guidelines: joint recommendations of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition (NASPGHAN) and the European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition (ESPGHAN). Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;49:498-547. 1 Tighe M, Afzal NA, Bevan A, et al. Pharmacological treatment of children with gastro-oesophageal reflux. Cochrane Database Syst Rev 2014;24;11:CD008550. 2 National Institute of Health and Care Excellence (NICE) Clinical knowledge summaries on gastroesophageal reflux disease in children. www.nice.org.uk/guidance/ NG1. 3 C'è vita nelle …Aree a cura di Mariella Baldassarre Il Pediatric Nutrition Day Sergio Amarri Le aree tematiche della SIGENP sono l’anima della nostra società. È nell’ambito delle Aree, infatti, in cui avviene il “brainstorming”, in cui più spesso si muovono idee e progetti, in cui emergono forze giovani. Sergio Amarri, Segretario dell’area di Nutrizione, ci parla di un importante progetto lanciato a livello nazionale, il SIGENP Pediatric Nutrition Day. Save the date! 16 aprile 2015 Numerosi studi riconoscono l’influenza della malnutrizione su esiti come la durata della degenza, la mortalità, la morbilità ed i costi sanitari di trattamento dei pazienti malnutriti rispetto ai pazienti normonutriti. La letteratura è ricca di spunti in tal direzione: la mancanza di una definizione uniforme e condivisa di malnutrizione è responsabile del mancato riconoscimento di questa condizione, della apparente bassa prevalenza e del suo impatto sugli esiti nei bambini (JPGN 2013). La società nordamericana di nutrizione parenterale ed enterale (ASPEN) incoraggia l’utilizzo dello standard deviation score (SDS) nella pratica clinica (sia per il BMI che per il rapporto peso su altezza – WFH). SIGENP ritiene importante “investire” sulla malnutrizione pediatrica poiché questa ha un’elevata prevalenza e porta ad effetti negativi anche a lungo termine. Il 19 febbraio 2015 a Roma presso l’ospedale Bambino Gesù, alla presenza del Dr. Alberto Villani, vice-presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) è stato presentato il SIGENP Italian Pediatric Nutrition Day. Dopo le relazioni di Antonella Diamanti sul ruolo del team nutrizionale e di Angelo Campanozzi sulla malnutrizione ospedaliera, Sergio Amari ha presentato obiettivi e modalità di esecuzione del progetto. Il SIGENP Italian Pediatric Nutrition Day è un progetto che, ispirandosi al Nutrition Day proposto tutti gli anni a livello internazionale (solo per pazienti di età superiore ai sette anni), prevede la misurazione di peso, altezza e la raccolta di alcuni dati clinici e organizzativi esclusivamente il giorno 16 aprile 2015 in tutti pazienti di età 0-18 anni ricoverati presso i reparti pediatrici del nostro paese per valutare la prevalenza della malnutrizione nei bambini e adolescenti in ospedale. A partire dal 20 febbraio e fino al 14 aprile sarà possibile registrarsi come centro per aderire sul sito http:// nday.biomedia.net che contiene il materiale informativo completo sul progetto. Gli obiettivi di questa rilevazione sono: a)valutare la nutrizione dei bambini ricoverati in degenza ordinaria presso i reparti pediatrici italiani, calcolare la prevalenza di malnutrizione; b)misurare l’entità della nutrizione artificiale erogata in ospedale; c) stimare i casi in cui si effettua nutrizione artificiale domiciliare; d) sensibilizzare le pediatrie italiane sullo screening e terapia della malnutrizione correlata alle malattie. Il gesto apparentemente semplice di raccolta dei parametri di crescita per ogni bambino ricoverato viene infatti spesso disatteso. La raccolta dati avverrà chiedendo la collaborazione di medici, infermieri e dietisti dei singoli reparti che potranno accedere direttamente al database online sul sito web. Una scheda informativa illustra le semplici modalità di compilazione. La raccolta e l’immissione dei dati è stata organizzata per garantire la non riconoscibilità del singolo paziente, così da poter eseguire questo studio senza autorizzazione di comitati etici. I dati dell’Italian Pediatric Nutrition Day saranno raccolti dalle singole pediatrie e reparti pediatrici e immessi nel database online sul sito web, quindi sottoposti ad elaborazione centralizzata. I dati saranno poi analizzati generando lo SDS per peso e altezza e saranno valutate eventuali correlazioni con patologie croniche o patologie d’organo; al termine dell’analisi i singoli centri potranno visualizzare sul sito le statistiche del proprio centro rispetto ai dati nazionali. Sarà interessante raccogliere dati provenienti da tutti i reparti di pediatria del nostro paese, inclusi quelli di piccole dimensioni. Tutti i partecipanti contribuiranno a “fotografare” il panorama nutrizionale attuale. L’obiettivo è quello di ripetere annualmente questo evento per continuare a “scattare fotografie” sulla nutrizione dei bambini in ospedale, e di creare un progetto permanente di “crowdsourcing” presso i pediatri che si prendono cura dei bambini italiani. pagine pub blicitarie_con gresso ES of the Euro PGHAN 11/ 03/2015 15. 15 Pagina 1 pean Soci ety for Pa ediatric G astroenter ology, Hep pagine pubblicitarie_congresso SIGENP 11/03/2015 15.16 Pagina 1 Aspettando il... Save the date Dalla ricerca all’ambulatorio del pediatra 6-9 AMSTERD May 2015 AM, NETH ERL ANDS www.espgh an2015.org gresso SIP blicitarie_con pagine pub ina 1 15.17 Pag 11/03/2015 te S a v e th e d a liano Congresso Ita di PEDIATRIAnGIUnTo nAzIonAlE Co ConGRESSo a liana di Pediatri he Pediatriche Ita tà cie So P SI Malattie Genetic di na lia Ita tà cie So D Pe P SI Ge SIM diatrica io Ecografia Pe Gruppo di Stud nsione SIP rte Ipe io ud St Gruppo di Network per i RomA 15 4-6 giugno 20 t Park Hotel Rome marriot atology an d Nutrition 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. DIOSMECTAL 3 g polvere per sospensione orale. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Una bustina contiene: principio attivo: diosmectite 3 g. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere per sospensione orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. Numerose sono le esperienze cliniche condotte con diosmectite nell’adulto e nel bambino, con affezioni del: - tratto digerente superiore, che sono di tipo prevalentemente funzionale o iatrogeno: ipersecrezione acida, associata a ridotta attività protettiva della mucosa gastroduodenale, reflusso gastroesofageo e/o duodeno-gastrico, discinesie, assunzione di farmaci potenzialmente lesivi a carico delle mucose; - tratto digerente inferiore, che sono di tipo prevalentemente infettivo: virulentazione della flora batterica saprofita e/o colonizzazione da parte di agenti patogeni. La patologia funzionale o iatrogena è più frequente nell’adulto, mentre quella infettiva è dominante nel bambino. I risultati di queste esperienze sono concordi nel riconoscere un’elevata incidenza di guarigioni o di miglioramenti marcati della sintomatologia ottenuti con diosmectite rispetto a quelli dei gruppi omogenei di confronto trattati con farmaci attivi di pari indicazione e, soprattutto, a quelli trattati in doppio cieco con placebo. 4.1. Indicazioni terapeutiche. • trattamento sintomatico orale della sintomatologia dolorosa delle affezioni esofago-gastro-intestinali, quali reflusso esofageo e sue complicazioni (esofagite), ernia dello hiatus, gastrite, ulcera gastroduodenale, bulbite, colite, colopatie funzionali, meteorismo. • trattamento delle diarree acute e croniche nei bambini (inclusi i neonati) e negli adulti, in aggiunta ai trattamenti con soluzioni reidratanti saline. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Posologia Trattamento della diarrea acuta: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno: 2 bustine al giorno per 3 giorni, poi 1 bustina al giorno fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il medico. - al di sopra di 1 anno: 4 bustine al giorno per 3 giorni, poi 2 bustine al giorno fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il medico. Adulti:- la dose giornaliera raccomandata è di 6 bustine al giorno Trattamento delle altre indicazioni: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno:1 bustina/die; - da 1 a 2 anni:1-2 bustine/die; - al di sopra dei 2 anni:23 bustine/die. Adulti: - in media 3 bustine al giorno. Modo di somministrazione: Il contenuto della bustina deve essere disperso in sospensione poco prima dell’uso. Si consiglia di somministrare preferibilmente dopo i pasti nella esofagite ed a distanza dei pasti nelle altre indicazioni. Bambini e neonati: Il contenuto della bustina può essere disperso in sospensione nel biberon in 50 ml di acqua e suddiviso in 2-3 dosi nel corso della giornata o mescolato con qualsiasi altra bevanda o alimento semiliquido. Adulti: Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare. 4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. La somministrazione di altri eventuali farmaci orali deve essere effettuata a distanza dall’assunzione di DIOSMECTAL. Usare con prudenza nell’adulto con storia pregressa di stipsi cronica grave. Il trattamento della diarrea acuta nei bambini deve essere associato ad una somministrazione precoce di sali minerali (integratori salini orali) per evitare la disidratazione. Negli adulti, il trattamento con Diosmectal non esime dalla reidratazione, quando questa appaia necessaria. L’entità della integrazione con sali minerali e della reidratazione, eventualmente anche per via venosa, deve essere adattata sulla base della gravità della diarrea ed in funzione dell’età e del quadro clinico del paziente. Il medicinale contiene glucosio monoidrato quindi i pazienti affetti da rari problemi di malassorbimento di glucosio-galattosio, non devono assumere questo medicinale. 4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Il suo elevato potere adsorbente può interferire con l’assorbimento gastrointestinale di alcuni farmaci somministrati per via orale. Le altre eventuali terapie orali devono, pertanto, essere assunte a distanza da DIOSMECTAL. 4.6. Fertilità, gravidanza e allattamento. Diosmectal non viene assorbito. Pertanto, non presenta limitazione d’impiego nelle suddette condizioni. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non pertinente. 4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati riportati durante gli studi clinici con le seguenti frequenze, sono sempre stati lievi e transitori ed hanno interessato il sistema gastrointestinale: - non comune (≥ 1/1.000, ≤ 1/100): episodi di stipsi. Questi episodi sono migliorati dopo aggiustamenti individuali della posologia. Ulteriori informazioni derivanti dall’esperienza post-marketing includono casi molto rari (frequenza non nota) di reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria, rash, prurito o angioedema. 4.9. Sovradosaggio. Non sono segnalati casi di sovradosaggio o di intossicazione. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: adsorbenti intestinali, codice ATC: A07BC05. DIOSMECTAL possiede proprietà gastroprotettive in quanto interagisce con le glicoproteine del film mucoso che riveste la parete gastroduodenale, modificandone le caratteristiche fisico chimiche in modo tale da accentuare le funzioni protettive nei confronti dell’ipersecrezione acida, che è implicata nella patogenesi dell’ulcera gastroduodenale, degli enzimi proteolitici, di talune sostanze gastrolesive e di microrganismi patogeni. Possiede inoltre attività antifermentative, legate essenzialmente alla sua struttura cristallina in lamelle sovrapposte che gli conferisce un elevato potere adsorbente. Questo potere si esercita nei confronti di sostanze neutre o ionizzate, della flora e delle tossine microbiche, dei gas intestinali. Infine ha la proprietà di attivare alcuni fattori della coagulazione (VII, VIII, XII) che può risultare utile in sede locale in caso di sanguinamento da erosioni o ulcerazioni della mucosa. È radiotrasparente e non influisce sul tempo di transito gastrointestinale. I risultati dei dati combinati di due studi clinici randomizzati in doppio cieco controllati con placebo condotti su 602 bambini di età compresa tra 1 e 36 mesi con diarrea acuta ai quali è stato somministrato Diosmectal o placebo in combinazione con integratori salini orali, hanno mostrato una diminuzione significativa nelle prime 72 ore della emissione di feci nella popolazione complessiva: in media 94,5 (deviazione standard 74,4) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 104,1 (94,2) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0016). Nella sottopopolazione (n = 91) positiva a rotavirus, la media di emissione di feci (g / kg di peso corporeo) è 124,3 (deviazione standard 98,3) nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 186,8 (147,2) nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0005). Un terzo studio in doppio cieco controllato con placebo condotto su 243 bambini di età compresa tra 2 e 36 mesi con diarrea acquosa acuta trattato con diosmectite in combinazione con integratori salini orali non ha mostrato alcuna significativa differenza nell’emissione media di feci: la quantità media (± Deviazione standard) cumulativa nelle prime 48 ore è stata di 98.5 ± 78.0 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con diosmectite rispetto a 112.1 ± 91.8 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con placebo (NS). Tuttavia, l’endpoint secondario “diminuzione della durata degli episodi di diarrea” è stato raggiunto in maniera significativa nel gruppo trattato con diosmectite: mediana [range] 43 ore (10-289) nel gruppo trattato con diosmectite, 72 ore (12-287.5) nel gruppo placebo (p=0.0263). I risultati di uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 329 adulti con diarrea acquosa acuta hanno evidenziato un significativo decremento della durata della diarrea nel gruppo di pazienti trattati con la diosmectite (mediana di 53.8 ore [3,7 – 167,3] rispetto al gruppo di pazienti trattati con placebo (mediana di 69 ore [2,2-165,2]), p=0.029. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che il preparato non supera la barriera gastroenterica neppure nei pazienti con alterazioni funzionali e strutturali della mucosa gastroenterica, che potrebbero costituire un fattore favorente sull’assorbimento. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Gli studi di tossicità cronica condotti nel ratto e nel cane per un periodo di un anno, dimostrano che il principio attivo del preparato anche a dosi 10-15 volte superiori a quella terapeutica non induce modificazioni ed alterazioni specifiche a carico di organi e funzioni, in considerazione anche del suo non assorbimento. Si sono registrate in alcuni animali modificazioni a carico del metabolismo lipidico in particolare aumento di trigliceridemia alle alte dosi che non trovano una spiegazione ragionevole ma che in ogni caso non sono mai dose-dipendente, spesso regrediscono nel tempo e non raggiungono livelli patologici. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Saccarina sodica, glucosio monoidrato, aroma vaniglia, aroma arancio. 6.2. Incompatibilità. Nessuna, ad esclusione delle interferenze in fase di assorbimento nei confronti di alcuni altri farmaci somministrati contemporaneamente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni a confezione integra. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Astuccio di cartone contenente 30 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 20 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 10 bustine termosaldate da 3,760 g. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare regolarmente. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. - Via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli FI. Su licenza: SCRAS S.A. - Parigi (Francia). 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. AIC n. 028852010 (30 bustine). AIC n. 028852034 (20 bustine). AIC n. 028852022 (10 bustine). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data di prima autorizzazione: - 30 bustine: 31.10.1995. - 10 e 20 bustine: 18.11.1999. Data dell’ultimo rinnovo: 31.10.2010. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Luglio 2011. CONFEZIONI: 3g 30 bustine PREZZO AL PUBBLICO: € 14,30 CLASSE C Concessionario per la vendita: F.I.R.M.A. S.p.A. - Via di Scandicci, 37 - Firenze Titolare A.I.C.: Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A., via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli, Firenze. Su licenza SCRAS S.A. - Parigi (Francia)