24 NOVEMBRE 2007 CONVEGNO “MEDICINA E SANITÁ A CONFRONTO CON LA MULTICULTURALITÁ” L’ultima giornata romana è dedicata al Convegno “MEDICINA E SANITÁ A CONFRONTO CON LA MULTICULTURALITÁ” che si terrà dalle ore 8.30 presso l’Aula Morgagni del Policlinico Universitario. Al convegno dopo l’introduzione del Presidente Benato parteciperanno: Giovanni Federspil, (Ordinario di Medicina Interna Università di Padova), Stefano Inglese (consulente del Ministero della salute), Andrea Lenzi (Presidente del Consiglio Universitario Nazionale), Salvatore Amato (Vice Presidente Conferenza Ordini Medici Euro-Mediterranei), M. Antonella Arras (ASL Torino – Responsabile Promozione Salute), Paolo Benciolini (Ordinario di Medicina Legale Università di Padova), Gianpaolo Braga (Vice Presidente CORIT – Consorzio Ricerca Trapianti d’Organo), Guglielmo Pitzalis (responsabile Centro di Pneumologia Sociale), Daniela Gnesutta (ASS Medio Friuli, Udine), Ettore Rossi (Direttore Sanitario Az. Osp. Piemonte) e Carmelo Scarcella (Direttore Generale ASL Brescia). Dopo il coffe break tavola rotonda su Multiculturalità e promozione della salute cui parteciperanno Mario Affronti (Responsabile Servizio Medicina delle Migrazioni Az. Osp. Palermo), Foad Aodi (Presidente AMSI - Associazione Medici Stranieri in Italia e Coordinatore Gruppo di Lavoro “Professioni Sanitarie e Mediatori Culturali” del Ministero della Salute), Issa El Hamad (Segretario SIMM – Società Italiana Medicina della Migrazione), Maurizio Marceca (Dirigente Responsabile Unità Operativa Assistente Distrettuale Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio) e Paolo Marozzo della Rocca (Rappresentante Comunità di S. Egidio). Concluderà il Convegno Amedeo Bianco (Presidente della FNOMCeO). Perché un convegno sul multiculturalismo e sul riflesso di questo fenomeno in medicina e sanità? Uno dei problemi più condizionanti nell’ambito del lavoro quotidiano del medico oggi giorno è, tra gli altri, la frammentazione culturale presente nella nostra società e di anno in anno crescente in modo esponenziale. L’Italia da paese di emigranti oggi è divenuto paese meta di immigrati e il medico nell’esercizio quotidiano della sua professione, sia in ambito ospedaliero che in ambito territoriale (vale a dire nel contesto dell’attività del medico di famiglia, del pediatra di famiglia e della guardia medica) si trova ogni giorno a doversi confrontare con una popolazione di malati tra i quali sono sempre più presenti gli stranieri, portatori di vissuti, ideologie e modi di intendere l’esistenza e gli obbiettivi di vita che spesso divergono dai nostri. Come diceva Nietzsche “Rifiutare di vedere qualcosa che si vede, significa rifiutare di vedere qualcosa come lo si vede”. I medici oggi hanno un compito di grande responsabilità: riannodare quel filo di Arianna della cultura della professione di cui sono ad un tempo portatori ed interpreti. Quando si discute di medicina, sistemi sanitari o di tutela della salute, si parla di contenuti scientifici, metodologici, di scopi, di modelli, di tecniche, di risorse, di aspetti giuridico formali, di attese e di bisogni; ma si parla anche di scelte umane a queste correlate. A fronte della crescente presenza di diverse culture nel nostro paese oggi medicina e sanità hanno bisogno di nuove definizioni: da un lato il medico deve modificare l’approccio tradizionale nei confronti con il paziente, dall’altro è necessario modificare il contesto operativo del sistema sanitario. Il pluralismo culturale costituisce uno dei caratteri fondanti e distintivi della modernità occidentale e parlare di multiculturalismo quindi non equivale solo a ragionare sulle diversità delle tradizioni ma anche sul come tali diversità possano integrarsi nel contesto sanitario, senza che questo significhi una mera assimilazione della cultura occidentale abbinata ad una perdita della propria identità culturale. Fattore oggi preoccupante è infatti l’emergere sul piano politico professionale di richieste di riconoscimento sulla base di appartenenze etniche: gruppi e comunità straniere chiedono il riconoscimento del valore in sé della propria diversità. La domanda che dobbiamo porci è: quali possono essere le basi della tolleranza e della convivenza, quali i mezzi, quali le strategie per governare la multiculturalità? Oggi discutiamo del fenomeno crescente della presenza di immigrati nel nostro paese, immigrati che richiedono l’accesso a cure sanitarie e questo necessita di una maggiore apertura mentale poiché le culture di origine condizionano la condotta del medico e del malato. Il medico non può prescindere dal suggerire, dallo spiegare e illustrare al paziente le alternative terapeutiche possibili: egli si avvale infatti di conoscenze che gli derivano dall’appartenere ad una determinata cultura e dal suo sapere che è insito al modello di società cui appartiene. Questo può dar luogo a conflitti perché le scelte terapeutiche sono condizionate da molteplici fattori, quando non addirittura dettate da opzioni culturali-religiose anziché scientifiche. Questo fattore da sempre è emerso nella cura dei Testimoni di Geova che come noto per motivi religiosi non accettano la pratica della trasfusione del sangue. Ogni straniero quindi porta con sé una cultura, tradizioni, e a volte una religione che gli impone uno stile di vita diverso dal nostro. Basti pensare che un musulmano deve osservare 40 giorni ogni anno di digiuno fino al tramonto; che l’ebreo considera il sabato giorno di riposo ma lavora la domenica; che una donna islamica può aver scelto di non mostrare il volto per non trasgredire a ciò che le impone la religione. Nella morale cattolica l’embrione è persona fin dal suo concepimento; nella dottrina ebraica l’essere vivente consegue capacità giuridica al momento della nascita. Pertanto c’è una diversa tolleranza nel giudizio di liceità delle diverse metodiche di approccio al problema. Nella medicina islamica l’embrione acquisisce una personalità dopo 120 giorni dal concepimento e si considera lecito l’aborto, così come le pratiche contraccettive, sempre che non alterino la futura fertilità. La pratica delle mutilazioni genitali femminili e’ antichissima. Nel Corano però non si fa menzione di tali pratiche ma la dottrina islamica considera raccomandabile la forma più lieve la ‘’sunnah’’ il cui termine tradotto significa ‘’seguendo la tradizione del profeta’’. Mutilazioni sessuali vengono anche particate su donne cristiane copte e diffuse anche tra donne falasha di religione ebraica . La cultura tradizionale giapponese fa coincidere la morte con l’arresto definitivo del battito cardiaco perché ritiene che la sede delle facoltà vitali sia il cuore. Pertanto non riconoscendo la morte cerebrale in Giappone non e’ possibile effettuare espianti e trapianti di organi. Molto difficile è da parte nostra capire il ricorso alle medicine non convenzionali, anche se va detto che oggigiorno sono praticate e sono molti i pazienti che fanno ricorso alle numerose cure non tradizionali: si veda ad esempio l’agopuntura o l’omeopatia. Noi occidentali riconosciamo uguale valore morale ad ogni individuo al di là delle appartenenze di gruppo. Ma nel mondo le culture per il 70% riconoscono la prevalenza dei diritti del gruppo su quelli individuali. L’UNESCO, nella sua dichiarazione su “Identità, diversità e pluralismo”, afferma che le diversità culturali sono patrimonio comune dell'umanità e ritiene il pluralismo culturale indissociabile dalla democrazia, considerando la difesa della diversità culturale un imperativo etico inseparabile dal rispetto per la dignità umana. Si possono ben capire le difficoltà entro cui il medico oggi si deve muovere. Il valore fondamentale fino in epoca recente era quello di fare il bene del paziente; negli ultimi decenni, quale trattamento rispetta il malato nei suoi valori e nella libertà delle sue scelte? Inoltre all'autonomia del medico si contrappone l'autonomia del paziente In diverse culture viene negata una autonoma decisione del paziente. Si pensi al buddismo per il quale non si configura un obbligo morale a preservare la vita ad ogni costo. Al contrario un prolungamento artificiale è considerato contrario alla natura e quindi condannato. Occorre quindi una nuova protezione giuridica per l’immigrato E se manca una nostra disponibilità non c’è diritto che possa favorirlo. È necessaria una legislazione sufficientemente ampia da non discriminare e che lasci spazio all’ autonomia, quella autonomia che la coscienza bioetica cercherà di colmare. Questo è il nostro appello alla politica. Orientarsi verso la modalità trattamento centrato non sulla malattia ma sull’individuo; una cura del malato non finalizzata al solo processo di guarigione, ma protezione, sollecitudine e attivazione di dinamiche interpersonali nel rispetto dell’individuo: una responsabilità rivolta alla persona e non al singolo evento malattia. Solidarietà significa anzitutto preoccupazione per il bene dell’altro; solidarietà significa comunicazione tra individui e riconoscimento a tutti di pari diritti. Non si tratta di promuovere una rinuncia ai propri principi ma rendere concreta una possibile mediazione tra l’applicazione dei nostri principi e il rispetto delle differenze