Dossier relatori - Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna

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TRIATHL ON
DOSSIER ABSTRACT
RELATORI
Eugenio Aguglia
Presidente Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (SINPF)
Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Catania
Beatrice Bergamasco
Past President di Progetto ITACA Milano e ambasciatrice nel mondo
della metodologia del modello Club Itaca
Serafino De Giorgi
Direttore Dipartimento Salute Mentale di Lecce
Presidente Società Italiana di Psichiatria Sociale (SIPS)
Silvana Galderisi
Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Napoli SUN
Presidente eletto European Psychiatric Association (EPA)
Claudio Mencacci
Presidente Società Italiana di Psichiatria (SIP)
Francesca Merzagora
Presidente ONDA, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna
Emilio Sacchetti
Past President della Società Italiana di Psichiatria (SIP)
Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Brescia
Direttore Dipartimento Salute Mentale dell’ASST Spedali Civili di Brescia
Alberto Siracusano
Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Direttore U.O.C. Psichiatria e Psicologia Clinica Fondazione Policlinico Tor Vergata
Antonio Vita
Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Brescia
Direttore Unità Operativa di Psichiatria 20 dell’ASST Spedali Civili di Brescia
Eugenio Aguglia Presidente Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (SINPF) Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Catania La continuità, aspetto fondamentale nella terapia della schizofrenia: i farmaci LAI di nuova generazione favoriscono l’autonomia e l’integrazione dei pazienti La terapia farmacologica della schizofrenia è basata su un intervento con antipsicotici, che deve avere caratteristiche d’immediatezza e di continuità. La ragione di questa esigenza nasce dal fatto che la continuità terapeutica con i farmaci antipsicotici riduce di circa il 60% l’incidenza delle ricadute e delle ospedalizzazioni dei pazienti con schizofrenia. I fattori che favoriscono la discontinuità possono essere diversi: la gravità del quadro clinico, la mancanza di consapevolezza del paziente, la possibile scarsa efficacia terapeutica, l’emergenza di effetti collaterali indesiderati. Nell’ottica di un approccio innovativo della presa in carico del paziente con schizofrenia, occorre scegliere farmaci che consentano la continuità delle cure, come si realizza con l’utilizzo di farmaci cosiddetti LAI, long acting injectable. Il vantaggio che scaturisce dal trattamento con questi farmaci è la possibilità che il paziente con schizofrenia, non condizionato dalla necessità di assumere il farmaco ogni giorno, possa partecipare con maggiore impegno al percorso riabilitativo, orientato a migliorare le sue capacità cognitive e relazionali, con ricaduta positiva sull’obiettivo finale della terapia, che non è semplicemente il mantenimento della remissione dei sintomi, ma la possibilità di un’integrazione sociale e la restituzione al paziente schizofrenico del “diritto alla cittadinanza”. È evidente l’esigenza che la ricerca scientifica continui a perseguire l’obiettivo di individuare ulteriori presidi farmacologici utili alla terapia della schizofrenia. Dobbiamo però essere pienamente consapevoli delle potenzialità importanti offerte dagli attuali presidi terapeutici disponibili, se opportunamente valorizzati in termini di adeguatezza prescrittiva. Da questo punto di vista, i farmaci long acting injectable, di cosiddetta seconda generazione, non devono essere considerati come farmaci da utilizzare nei casi di resistenza o non risposta clinica agli antipsicotici orali. Il loro impiego si inserisce bene in una modalità di presa in carico tempestiva, che si concretizza come intervento integrato nell’ambito del quale la sinergia di terapie psicoriabilitative, psicoterapiche e psicofarmacologiche, oltre che psicoeducazionali, concretizzano l’attualità e la modernità della terapia della schizofrenia. Beatrice Bergamasco Past President di Progetto ITACA Milano e ambasciatrice nel mondo della metodologia del modello Club Itaca Sinergia tra DSM, psichiatri, famiglie e privato sociale per agevolare il reinserimento e superare lo stigma
Il progetto TRIATHLON è basato sull’approccio integrato al paziente con malattia psicotica e l’integrazione di cure e interventi da praticare su questo tipo di paziente fa parte del DNA di Itaca. Aderire a TRIATHLON per noi significa condividere una visione d’insieme del problema: cure e riabilitazione sono la chiave del successo, per questo è necessario coinvolgere le tre dimensioni: organizzativa, clinica e sociale. L’Associazione Itaca collabora da sempre con i Dipartimenti di Salute Mentale, con i quali abbiamo portato avanti negli anni molti progetti, ma condivide diverse iniziative anche con le ASL e le Istituzioni a vari livelli. Il progetto TRIATHLON intende promuovere la sinergia tra DSM e componente sociale; Itaca fa sinergia attraverso l’informazione e la collaborazione con le diverse realtà rappresentate non solo da psichiatri e da figure che ruotano intorno alla terapia, ma anche dal privato sociale. Soltanto attraverso l’integrazione dell’intero percorso di presa in carico dei pazienti si può contribuire al reinserimento delle persone con malattia psicotica, che hanno bisogno, per prima cosa, di riappropriarsi delle proprie capacità. Il primo e più importante ostacolo è l’isolamento del paziente e della famiglia. Il fatto di essere isolato e di sentirsi solo determina l’impossibilità a trovare la strada per il recupero per il paziente ma anche per i suoi familiari, che vanno coinvolti ed educati perché sono le persone più vicine al paziente. Occorre creare un ambiente accogliente, non giudicante, in grado di far accettare la malattia e di far superare lo stigma che è ancora fortissimo. Serafino De Giorgi Direttore Dipartimento Salute Mentale di Lecce Presidente Società Italiana di Psichiatria Sociale (SIPS) Dal progetto TRIATHLON un nuovo modello organizzativo, basato sulla centralità del paziente nel percorso di cura La salute mentale è storicamente sottofinanziata rispetto alla media europea e agli stessi standard previsti dalle leggi nazionali e così, a fronte di un aumento quali-­‐quantitativo della domanda, si registra un impoverimento dei servizi, con evidente riduzione delle risorse disponibili; il personale dei Dipartimenti si è ridotto in maniera significativa, per esigenze di bilancio, blocco del turn-­‐over, talvolta per una capacità contrattuale debole, mentre viene richiesto di mettere in campo programmi ambiziosi (intervento sugli esordi psicotici, riabilitazione evidence-­‐based, presa in carico dei pazienti psichiatrici autori di reato, attivazione delle REMS e delle sezioni di psichiatria negli istituti di pena, etc.), sfide tutte molto impegnative, cui peraltro gli operatori non intendono sottrarsi. Nonostante i richiami dell’OMS sull’enorme diffusione della malattia mentale, l’attenzione dei decisori politici è scarsa o discontinua, mentre la voce delle società scientifiche e delle associazioni delle famiglie e degli utenti è flebile. In tempi di crisi e tagli lineari (indiscriminati), è concreto il rischio che gli ultimi rimangano ultimi. Il progetto TRIATHLON è un progetto complesso e molto ambizioso, con elementi di grande innovazione per promuovere un approccio multidimensionale nella presa in carico e gestione del paziente. Gli interventi sono efficaci se inseriti in un modello organizzativo strutturato, in Italia storicamente ancorato alla “Psichiatria di Comunità”, da aggiornare però sulla base delle nuove indicazioni contenute nel Piano d’Azione Nazionale per la Salute Mentale, centrato sullo sviluppo e sull’implementazione dei PDTA, i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali. È necessario un cambio di mentalità che preveda il passaggio dall’organizzazione per unità operative a quello basato su percorsi di cura, più funzionali alle esigenze dei pazienti. Per le direzioni dei Dipartimenti di Salute Mentale, il progetto TRIATHLON è un’occasione importante di confronto per evidenziare punti di forza e criticità dei modelli organizzativi: bisogna andare oltre la visione locale e, talvolta, autoreferenziale basata su tanti modelli organizzativi quanti sono i dipartimenti; occorre stimolare i Direttori e tutti i professionisti coinvolti nel TRIATHLON a farsi promotori di un nuovo progetto per la salute mentale. In tal senso TRIATHLON propone un modello di formazione che va per step, coinvolgendo in primis i Direttori di Dipartimento e poi tutte le altre professionalità: psicologi, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione, infermieri. L’appropriatezza organizzativa è premessa indispensabile per l’appropriatezza assistenziale, finalizzata a ridurre i costi indiretti e migliorare la qualità della vita. Vorrei ricordare un principio etico poco frequentato: l’equità nella distribuzione delle risorse e la conseguente possibilità per tutti di ricevere le cure migliori, più innovative, più efficaci. Questo vale sia per le cure farmacologiche, ma anche per gli interventi non farmacologici, per i quali mancano i professionisti: mi riferisco agli interventi di psicoterapia e riabilitazione. Il fenomeno del “treatment gap” nell’area della salute mentale resta molto elevato. Secondo dati recenti solo un quarto dei pazienti riceve un trattamento di qualche tipo e solo il 10% riceve ciò che può essere descritto come un trattamento “notionally adequate”, fondato cioè su conoscenze ed evidenze. Silvana Galderisi Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Napoli SUN Presidente eletto European Psychiatric Association (EPA) Dal controllo dei sintomi al recupero della persona: TRIATHLON, un cambio di passo nella gestione della malattia psicotica Il progetto TRIATHLON prende forma dalla collaborazione tra un’azienda farmaceutica, la Janssen, alcune delle principali Società scientifiche nell’ambito della psichiatria, come SIP, SIPB e SINPF, Associazioni di volontariato come la Fondazione Progetto ITACA, e l’Osservatorio Nazionale sulla salute della donna. Questa forte sinergia d’intenti su una tematica così importante come la malattia psicotica è di per sé un progresso e una novità. Il progetto è molto vasto e si propone di far fronte a criticità rilevanti per quanto riguarda i trattamenti e la riabilitazione; esiste, infatti, e va affrontato, un grave treatment gap per le persone affette da psicosi schizofreniche, che riguarda non solo l’accesso alle cure ma anche l’integrazione dei vari momenti del percorso terapeutico. Uno studio condotto dal Network italiano per la ricerca sulla psicosi, che ha coinvolto 26 Centri universitari e i DSM ad essi collegati, arruolando più di 900 pazienti con diagnosi di schizofrenia e 380 familiari di primo grado non affetti da psicosi, ha evidenziato come il recupero della persona con schizofrenia sia influenzata non solo dai sintomi, ma anche da altre variabili, come l’alterazione delle funzioni cognitive, lo stigma internalizzato, il rapporto con i servizi di Salute mentale, la disponibilità di incentivi sociali. Tutti questi fattori devono essere affrontati e le conclusioni dello studio sono in perfetta sintonia con gli obiettivi del progetto TRIATHLON, iniziativa che promuove l’integrazione del paziente e la formazione degli operatori sul tema del trattamento integrato e personalizzato. TRIATHLON propone un reale cambio di passo nella gestione delle malattie psicotiche: i trattamenti non sono più volti solo a migliorare la sintomatologia, ma finalizzati al recupero della persona e a migliorare la sua qualità di vita. Non è un caso che il progetto TRIATHLON venga declinato secondo 3 dimensioni chiave per il recupero dei pazienti: la dimensione clinica, la dimensione organizzativa e la dimensione sociale. La dimensione clinica includerà eventi formativi orientati alla diagnosi e all’intervento precoci. Vi sono infatti numerose evidenze che quanto più a lungo il paziente resta senza trattamento tanto più sfavorevole sarà il decorso della malattia e meno probabile la possibilità di recuperare una dimensione di vita soddisfacente. Sempre nell’ambito della dimensione clinica gli eventi formativi affronteranno il tema del trattamento farmacologico, che deve rispondere a tre fondamentali requisiti: personalizzato, ben tollerato e continuativo nel tempo; va ricordato, infatti, che questi pazienti spesso sono poco aderenti alle terapie con conseguenti ricadute che allontanano la persona dalla dimensione sociale. I farmaci da soli però non bastano. Dunque, l’altro aspetto che verrà affrontato è l’intervento psico-­‐sociale con un focus su due trattamenti: la riabilitazione cognitiva, per facilitare il recupero funzionale, e la psicoeducazione, volta a migliorare il clima familiare e a ridurre lo stress del paziente, della famiglia e del caregiver. Claudio Mencacci Presidente Società Italiana di Psichiatria (SIP) La schizofrenia, una delle maggiori cause di disabilità cronica. Continuità delle cure e qualità di vita: compiti primari della rete dei servizi La rete psichiatrica italiana è quella più diffusa sul territorio a livello europeo ed è organizzata in oltre 210 Dipartimenti di Salute Mentale, DSM, articolati in strutture (CSM-­‐SPDC-­‐CD-­‐Comunità) che garantiscono una continuità di cure tra l’ospedale-­‐territorio e la comunità. A fronte di una domanda di salute mentale in costante crescita e cambiamento si osserva però, anche a causa della crisi economica, un progressivo impoverimento delle risorse disponibili e soprattutto umane. Nel nostro Paese non si è ancora ben realizzato quanto gli investimenti in salute mentale possano produrre ampi benefici per l'intera popolazione. In parte questo è dovuto anche alla difficoltà da parte della psichiatria di comunicare i risultati positivi che ottiene. La schizofrenia è tra le patologie che hanno un impatto maggiore sulla vita del paziente e dei familiari ed è inclusa tra le prime dieci cause di grave disabilità cronica. I pazienti schizofrenici presentano severi problemi di disabilità che spesso provocano gravi ripercussioni nella sfera sociale, professionale e familiare. La schizofrenia, la cui prevalenza è dello 0,5% con un’incidenza annua dello 0,1%, pur essendo guaribile e sempre curabile, è una patologia spesso cronica che accompagna il paziente per tutta la vita. Il tasso di mortalità associato a questa patologia risulta essere doppio rispetto a quello della popolazione generale in quanto i pazienti schizofrenici evidenziano spesso maggiori rischi di comorbilità, di esclusione sociale e alto rischio di suicidio. Questo spiega come, a prescindere dallo stato di salute direttamente correlato alla patologia, le condizioni generali di salute di un paziente schizofrenico siano caratterizzate da un’aspettativa di vita mediamente inferiore del 20% rispetto a quella della popolazione generale. Oltre ai costi diretti di tipo sanitario, vanno considerati i costi indiretti, a carico della società, che comprendono la perdita/diminuzione della capacità lavorativa del paziente e/o dei familiari che prestano assistenza a causa della patologia. I costi, oltre che economici, sono sempre anche di ricaduta emotiva, legati al pesante fardello che ricade sulla famiglia. Francesca Merzagora Presidente ONDA, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna Salute mentale, donne in prima linea: l’impegno di ONDA per l’informazione alle pazienti e il supporto alle caregiver La salute mentale è una delle priorità di ONDA, Osservatorio che da 10 anni promuove attività a favore della salute della donna, che si è occupato in particolare di due condizioni: la depressione, patologia tanto frequente e importante tra le donne, alla quale è stato dedicato un Libro bianco, e la psicosi, nei confronti della quale sono state poste in atto una serie di iniziative che coinvolgono i 248 ospedali italiani segnalati e premiati per i “Bollini rosa”: in occasione della giornata mondiale sulla salute mentale vengono ogni anno resi disponibili servizi specifici gratuiti per le pazienti. ONDA ha realizzato due indagini conoscitive, con risultati ancora inediti, sull’impatto della schizofrenia sulla qualità di vita dei familiari dei pazienti e sull'impatto sulle donne delle malattie psichiche. La prima indagine ha riguardato i caregiver, quasi tutte donne di età compresa tra i 30 e i 65 anni. Ne è emerso uno scenario interessante: l’età media è 55 anni, convivono con l’ammalato e dedicano 9 ore al giorno a cura ed assistenza, inclusa la gestione dell’aggressività, delle terapie e delle attività quotidiane. Uno dei dati più interessanti riguarda come questa attività incide sulla qualità di vita della caregiver, che viene completamente stravolta con conseguente insorgenza di diversi disturbi tra i quali ansia (70%), insonnia, disturbi gastrici, depressione e fatigue. La maggior parte delle caregiver, secondo questa indagine, si dichiara soddisfatta dei farmaci prescritti ai loro familiari non solo perché si rivelano efficaci, ma anche per gli effetti collaterali contenuti che consentono il recupero dell’autonomia del paziente e per la facilità di somministrazione che favorisce l’aderenza. Dall’altra indagine, su donne e malattie psichiche, emerge in primo luogo un problema di scarsa informazione: le partecipanti coinvolte nella ricerca – con un’età media di 38 anni – dichiarano in almeno 2 casi su 5 di aver ricevuto una informazione non esaustiva sulla patologia di cui soffrono. I media sono il canale privilegiato, soprattutto per le donne che non hanno avuto disturbi psichici. Lo psichiatra è la figura di riferimento subito dopo Internet e il passaparola di amici e conoscenti. Quanto all’efficacia dei farmaci, queste donne temono in modo particolare i problemi legati alla dipendenza e agli effetti collaterali, così nella graduatoria degli interventi possibili, le terapie farmacologiche si posizionano al terzo posto, dopo le terapie di supporto psicologico (82%) e quelle ludico-­‐ricreative (56%). Altro dato interessante riguarda il vissuto delle donne con un problema di salute mentale, caratterizzato da scarsa consapevolezza, riduzione dell’autostima e dalla presenza, dopo la diagnosi, di una sorta di “etichettatura” o stigma responsabile di un impoverimento della rete sociale. La malattia psicotica determina molto spesso la perdita del lavoro e un conseguente stato di dipendenza, in cui la figura del caregiver diventa sempre più importante. Lo stigma è fortissimo, così come i sentimenti di autosvalutazione e di autoesclusione. La risposta dell’Osservatorio a questi bisogni è avvicinare alle cure anche attraverso l'annuale open day dei Bollini rosa in cui il 10 ottobre di ogni anno gli ospedali su base volontaria offrono servizi clinico-­‐diagnostici e informativi alla popolazione per migliorare l’aderenza terapeutica, l’informazione e per ridurre l’isolamento delle pazienti. Emilio Sacchetti Past President della Società Italiana di Psichiatria (SIP) Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Brescia Direttore Dipartimento Salute Mentale dell’ASST Spedali Civili di Brescia Lo sport, parte integrante del percorso di reinserimento dei pazienti con malattia psicotica In questi ultimi anni, rispetto al concetto di successo terapeutico, siamo passati dalla “soppressione dei sintomi” al “benessere psico-­‐fisico” della persona con psicosi. Sappiamo che questi pazienti presentano alcune caratteristiche peculiari: ad esempio, l’uso di sostanze stupefacenti, stili di vita incongrui caratterizzati da diete alimentari inadeguate ed eccessive, sedentarietà e aumento del peso corporeo, ipercolesterolemia, diabete; tutto questo si correla a un’aspettativa di vita che può essere anche di 10-­‐15 anni inferiore rispetto alla media della popolazione generale. Inoltre, spesso questi comportamenti sono pre-­‐esistenti alla comparsa del disturbo psicotico e addirittura per alcune co-­‐morbilità legate ad alterazioni del metabolismo molti dati indicano una familiarità. A questo quadro si aggiunge l’effetto di alcune terapie farmacologiche che tendono a sedare il paziente aumentando la propensione alla vita sedentaria e favorendo l’aumento del peso corporeo. In questo quadro, l’attività fisica potrebbe essere uno strumento efficace per ridurre e migliorare una situazione così compromessa. L’attività fisica è innanzitutto un utile supporto per contrastare fisiologicamente i disturbi metabolici che tanto spesso accompagnano le psicosi. Inoltre, negli ultimi 5-­‐6 anni numerosi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico può avere un effetto positivo e benefico sui sintomi propriamente psicotici e sulle performance cognitive dei pazienti. Dunque, movimento, sempre e in ogni caso se possibile, inteso come sport codificato o come palestra oppure quale attività complementare. È tale l’importanza attribuita all’attività fisica che i Dipartimenti di Salute Mentale con maggiori risorse dispongono ormai di consulenti sportivi al loro interno. Il progetto TRIATHLON si svolgerà nell’arco di due anni. I Dipartimenti di Salute Mentale coinvolti saranno dotati di un supporto tecnico specializzato nelle specialità del Triathlon, nuoto, bicicletta e corsa, che provvederà a una sorta di “acculturazione” in queste specifiche attività. Nei DSM verrà promossa la costituzione di squadre miste formate da pazienti, medici e personale sanitario. Verrà avviato un percorso di training sostenuto da supporti educazionali cartacei e on-­‐line. Si svolgeranno tre eventi non competitivi dedicati alle tre specialità del Triathlon in altrettante città, andando così a realizzare il primo campionato di Triathlon a squadre della salute mentale. Il messaggio forte che vorremmo veicolare è che la schizofrenia è una malattia che, oggi, si può compensare molto bene e che permette, se ci si cura veramente, un reinserimento quasi completo e l’attività fisica è parte integrante della cura. Alberto Siracusano Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Direttore U.O.C. Psichiatria e Psicologia Clinica Fondazione Policlinico Tor Vergata La schizofrenia e il suo “spettro”: una serie di disturbi cronici, debilitanti, di forte impatto sociale e sanitario. A rischio la fascia d’età 15-­‐35 anni Psicosi e schizofrenia sono termini usati nel linguaggio comune in maniera sovrapponibile. Schizofrenia è una parola fortemente stigmatizzante, anche se in realtà oggi è possibile affrontarla e curarla nonostante il lungo intervallo che spesso intercorre tra l’esordio dei sintomi e la prima diagnosi. Sarebbe in realtà corretto parlare di “disturbi dello spettro schizofrenico” e di “psicosi affettive”. La schizofrenia rientra nel primo gruppo di patologie insieme ad altre problematiche, quali il disturbo schizoaffettivo, il disturbo delirante, la catatonia, ed altre ancora. Secondo uno studio del 2010, in Europa sono circa 5 milioni le persone affette da un disturbo psicotico, compresa la schizofrenia che è uno dei disturbi psichiatrici più complessi, definita in genere come una condizione cronica e debilitante, a causa del deterioramento funzionale collegato alla malattia, che ha un forte impatto dal punto di vista cognitivo, affettivo e sociale. Alcuni pazienti riescono comunque a mantenere una buona condizione di benessere fisico e mentale e ad avere buone relazioni famigliari e sociali. In tutto il mondo, secondo le stime dell’OMS, la schizofrenia ha una prevalenza di circa il 7 per mille della popolazione adulta, vale a dire più o meno 24 milioni di persone, soprattutto nella fascia d’età tra i 15 e i 35 anni. In Italia si stima che le persone affette da disturbi di tipo schizofrenico siano circa 300.000, tuttavia, se consideriamo l’intero spettro dei disturbi schizofrenici, i numeri sono più elevati. La schizofrenia è un disturbo psichico grave che compromette il rapporto tra la persona e la realtà esterna e che frequentemente si presenta con disturbi di tipo delirante, comportamento disorganizzato e problematiche del funzionamento cognitivo (attenzione, concentrazione, programmazione, etc.). La schizofrenia è tra le patologie con maggior impatto sulla vita del paziente e dei familiari ed è inclusa tra le prime 10 cause di grave disabilità cronica. La spesa complessiva per la schizofrenia assorbe dall’1,5% al 3% del budget annuale dei sistemi sanitari (BMC Psychiatry 2013). Nel nostro Paese questa patologia ha un forte impatto economico sul sistema sanitario e sull’utilizzo delle risorse. Il costo totale (Cost of Illness), generato dall’aggregazione dei costi diretti e indiretti, supera i 3,2 miliardi di euro l’anno. Di questa cifra, il 60% è costituito dai costi indiretti dovuti alla perdita di produttività dei pazienti e dei familiari che li assistono; questo dato è in linea con una ricerca che l’Università di Tor Vergata sta conducendo insieme a un DSM di Roma. Il restante 40% è generato dai costi diretti che comprendono i costi dell’assistenza ospedaliera, domiciliare e residenziale; i trattamenti farmacologici incidono solo per il 10%. A conti fatti la spesa per la terapia farmacologica è la voce che incide meno sul costo medio annuo di trattamento del paziente affetto da schizofrenia. Un dato interessante riguarda il costo medio di trattamento per età: i soggetti tra i 26 anni e i 35 anni sono quelli che producono il costo più elevato a paziente per anno; il costo medio più basso riguarda, invece, i pazienti over 75. Il carico di questa patologia cronica, che inizia dalla tarda adolescenza, è molto pesante: per questo è fondamentale intervenire sulle 3 dimensioni del problema, quella organizzativa, clinica e sociale, che sono l’obiettivo del progetto TRIATHLON. Antonio Vita Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Brescia Direttore Unità Operativa di Psichiatria 20 dell’ASST Spedali Civili di Brescia 3 dimensioni, 36 DSM, più di 3.000 medici e operatori coinvolti: tutti i numeri di TRIATHLON, uno dei progetti più ampi in ambito psichiatrico TRIATHLON è un progetto innovativo e di grande respiro che coinvolgerà, in un’articolazione spazio-­‐
temporale di due anni, 36 Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) di tutta Italia e oltre 3.000 operatori sanitari, ma anche Associazioni e caregiver. Il progetto metterà in atto una serie di attività che hanno l’obiettivo di favorire un approccio integrato alle persone con diagnosi di psicosi, in particolare di schizofrenia. Il focus e la ragion d’essere di TRIATHLON sono proprio in questo approccio integrato, finalizzato a sostenere i pazienti e permettere loro il recupero e la reintegrazione nella vita di tutti i giorni. Oltre alla grande novità della struttura progettuale, è la stessa estensione geografica e temporale che rende unica l’iniziativa, articolata in 3 dimensioni. La dimensione organizzativa prevede eventi formativi locali e nazionali su aspetti clinico-­‐organizzativi (PDTA) e di farmacoeconomia legati alla gestione dei DSM e alle risposte che essi offrono ai bisogni dei pazienti con disturbi schizofrenici. La dimensione clinica con sessioni formative specifiche entrerà nel merito dei trattamenti farmacologici, delle evidenze scientifiche che vanno armonizzate con il real world, dell’importanza della terapia farmacologica efficace e continuativa, ma anche del problema dell’uso di sostanze stupefacenti, la cui concomitanza con la psicosi è molto frequente; si occuperà poi in modo specifico di alcuni interventi psico-­‐sociali di comprovata efficacia: in particolare, da un lato la psico-­‐educazione, che permette di ridurre le ricadute e di migliorare la gestione del disturbo schizofrenico all’interno del nucleo famigliare; dall’altro la riabilitazione cognitiva, un nuovo approccio riabilitativo che consente di migliorare le funzioni cognitive e il funzionamento nella vita reale delle persone affette da schizofrenia. La terza dimensione, quella sociale, attiene proprio al reinserimento delle persone con psicosi nella vita di tutti i giorni e prevede diverse attività, inclusa l’attività fisica, oltre allo sviluppo e all’utilizzo di strumenti e supporti digitali e cartacei utili a migliorare la gestione della patologia da parte dei servizi e degli stessi pazienti. L’obiettivo finale è quello di migliorare l’indipendenza e il benessere soggettivo del paziente e favorire l’integrazione nella società e nella vita di tutti i giorni delle persone che presentano questi disturbi. 
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