focus - CSL Behring

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Anno 4
Numero 1
Febbraio 2011
Guest Editor
Giovanni Di Minno
Editorial Board
Flora Peyvandi
Cristina Santoro
Giancarlo Castaman
FOCUS:
Malattie emorragiche
ereditarie rare
Anno 4 - 1/11
FOCUS:
Malattie emorragiche
ereditarie rare
Guest Editor
Giovanni Di Minno
Editorial Board
Flora Peyvandi
Cristina Santoro
Giancarlo Castaman
INDICE
FOCUS:
Malattie emorragiche
ereditarie rare
Introduzione  3
Registri nazionali ed internazionali   5
sulle malattie rare della coagulazione
Flora Peyvandi, Andrea Cairo, Roberta Palla, Marzia Menegatti
Sintomatologia e manifestazioni cliniche
delle malattie emorragiche ereditarie rare
11
Cristina Santoro
La terapia delle malattie emorragiche ereditarie rare
19
Giancarlo Castaman
Focus Review
Focus Emostasi Anno 4 - N. 1 - Febbraio 2011
Direttore responsabile Emilio Polverino
Registrazione al Tribunale di Milano al n. 129 del 26/02/2008
Periodico quadrimestrale edito da Alter M&P S.r.l.
Piazza San Camillo de Lellis, 1 - 20124 Milano - Tel 02.48017541 - Fax 02.48194527
E-mail: [email protected]
Sede e Redazione di Milano
10AP1744 - 02/2011
Stampa Momento Medico S.r.l. - Via Terre Risaie, 13 - 84131 Salerno
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Introduzione
Malattie emorragiche ereditarie rare
In Europa, una malattia è definita rara quando colpisce non più di 5 persone su 10.000
abitanti; negli USA, quando colpisce non più di 6/7 persone su 10.000. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 5000/7000 malattie sono classificabili come rare, ed
il numero di persone da esse affette è di circa 30 milioni in Europa e di circa 25 milioni
negli Stati Uniti. La rarità di tali patologie comporta limitazioni alla loro conoscenza: minor
interesse nella ricerca eziologica e patogenetica; maggiore difficoltà nel descrivere la storia
naturale con le sue possibili varianti; minor mercato capace di ammortizzare i costi di una
ricerca farmacologica specifica, scarsa o scarsissima diffusione delle conoscenze disponibili nella pratica clinica.
Le malattie rare della coagulazione (RBDs: Rare Bleeding Disorders) sono carenze di uno
o più fattori della coagulazione (fibrinogeno, FII, FV, FVII, FX, FXI, FXIII o FV+FVIII in combinazione) che rispettano pienamente i criteri suddetti: caratterizzate da ereditarietà autosomica recessiva, hanno una prevalenza (di soggetti presumibilmente omozigoti) variabile
da 1 caso su 500.000 (carenza del FVII) fino ad 1 caso su 2 milioni (carenza di protrombina o di FXIII); mostrano differente gravità di sintomi emorragici e costanti complicanze
emorragiche dopo procedure invasive (quando non si instauri adeguata profilassi), e sono
difficili da trattare (in quanto poco è noto ai non addetti ai lavori sul loro trattamento).
Negli ultimi anni, vi sono stati tentativi di risolvere la mancanza di informazioni concernenti
le malattie rare mediante la creazione di registri dedicati ad aspetti importanti (fenotipici
e genotipici) di ogni singola carenza. Questa attitudine è però agli esordi nel caso delle
RBDs e/o del loro trattamento.
Un’indicazione sulla prevalenza globale delle RBDs si ricava dal censimento effettuato
dalla World Federation of Haemophilia: le carenze di FVII e FXI sembrano essere più
prevalenti (frequenza di circa il 34% e 32% delle RBDs totali rispettivamente, seguite da
carenza di FV e FX (8%), del fibrinogeno (7.5%) e del FXIII (6%). La carenza combinata
di FV+FVIII (2.5%) e quella del FII (2%) sembrano essere le più rare. Tuttavia questo censimento fornisce un’indicazione generale sulla diversità di frequenza delle singole carenze,
ma non un quadro della loro distribuzione reale nel mondo: è noto infatti che le RBDs
raggiungono frequenze più alte, quasi pari a quelle dell’emofilia B (1 caso su 60.000), in
aree geografiche dove il matrimonio fra consanguinei è frequente (Nord-Africa, MedioOriente, sud dell’India). Peraltro, i dati disponibili sulla distribuzione dei pazienti affetti da
RBDs nei Paesi in via di sviluppo sono limitati, in quanto l’eterogeneità biologica e la pre-
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sentazione varia di queste malattie rende difficile un’accurata diagnosi. L’ondata migratoria
di popolazioni da questi Paesi verso l’Europa pone problemi clinici e diagnostici poiché la
medicina di base, così come quella specialistica non sempre sono preparate ad affrontare
il paziente che si presenti con una diatesi emorragica dovuta a queste carenze.
Nella documentazione che segue, i dati qui sintetizzati, sono trattati con minuziosità e
precisione: il contributo di Peyvandi tratta la problematica dei Registri nazionali ed internazionali sulle malattie rare della coagulazione, quello di Santoro tratta dei fenotipi clinici
più comuni. Per quanto concerne il trattamento, il contributo di Castaman prende in considerazione la terapia delle RBDs. Viene chiarito che nei Paesi Occidentali, la disponibilità
di concentrati plasmaderivati virus-inattivati di fattori carenti e l’uso di plasma fresco congelato virus-inattivato, hanno migliorato in maniera significativa la qualità di vita di questi
pazienti, permettendo il trattamento efficace della stragrande maggioranza dei sintomi
emorragici, e consentendo la chirurgia e la profilassi in casi selezionati. Nelle donne con
poliabortività dovuta ad alcune di queste carenze, la profilassi periodica in corso di gravidanza è sicura ed efficace. Sono anche in corso sperimentazioni cliniche di concentrati di
fattori ottenuti con le tecniche del DNA ricombinante.
Nell’insieme, viene fuori un documento agile e prezioso, utile sia dal punto di vista pratico
che conoscitivo, e ricco di importanti spunti di discussione che verosimilmente aumenteranno l’attenzione degli esperti a questo problema “orfano”. Va ad esempio sottolineato
che, accanto alle difficoltà di diagnosi, un gran numero di questi pazienti vive in Paesi nei
quali non è semplice avere accesso ad un efficace e sicuro trattamento. Lo sforzo futuro
dovrà quindi anche essere rivolto a migliorare l’attuale diseguaglianza nelle potenzialità di
diagnosi, di trattamento e quindi di qualità della vita dei pazienti con RBD.
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Focusemostasi
Giovanni Di Minno
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
AOUP “Federico II”, Napoli
Registri nazionali
ed internazionali sulle malattie
rare della coagulazione
Flora Peyvandi, Andrea Cairo, Roberta Palla, Marzia Menegatti
U.O.S. Dipartimentale per la Diagnosi e la Terapia delle Coagulopatie, “Angelo Bianchi Bonomi”
Hemophilia and Thrombosis Center, Luigi Villa Foundation, Fondazione IRCCS Cà Granda
Ospedale Maggiore Policlinico e Università degli Studi di Milano, Milano
Introduzione
In Europa, una malattia è definita rara quando colpisce non più di 5 persone su 10.000 abitanti, e similmente negli Stati Uniti, quando colpisce non più di 200.000 persone sull’intera popolazione (quindi
1 su 1500) (1,2). Il numero di malattie che coincide con questa definizione è maggiore di 5000/7000
secondo la Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ed il numero di persone che ne sono affette
è di circa 30 milioni in Europa e 25 negli Stati Uniti (3).
Le malattie rare della coagulazione (Rare Bleeding Disorders: RBDs) quali carenza di fibrinogeno,
protrombina (FII), FV, FVII, FX, FXI, FXIII e carenza combinata dei FV+FVIII con una prevalenza dei
soggetti presumibilmente omozigoti che varia da 1 caso su 500.000 per la carenza del FVII fino ad 1
caso in 2 milioni per la carenza di FII e FXIII (4) rispettano pienamente questo criterio. Queste carenze
pur essendo molto rare nella maggior parte delle popolazioni, raggiungono frequenze più alte, quasi
pari a quelle dell’emofilia B (1 caso su 60.000), in quelle aree geografiche dove il matrimonio fra consanguinei è frequente, come Nord-Africa, Medio-Oriente o il sud dell’India (5,6).
L’ondata migratoria di popolazioni da questi Paesi verso l’Europa pone un problema clinico e diagnostico poiché la medicina di base, così come quella specialistica non sempre sono preparate ad
affrontare il paziente che si presenti con una diatesi emorragica dovuta a queste carenze.
In particolare, la rarità delle RBDs comporta una serie di limitazioni alla loro conoscenza quali un minor interesse della ricerca eziologica e patogenetica, una maggiore difficoltà nel descrivere la storia
naturale con le sue possibili varianti e nel progettare ricerche cliniche, un minore mercato capace di
ammortizzare i costi di una ricerca farmacologica specifica e una scarsa o scarsissima diffusione delle
conoscenze disponibili nella pratica clinica corrente.
I dati disponibili sulla distribuzione dei pazienti affetti da RBDs sono limitati, particolarmente nei Paesi
in via di sviluppo, anche perché l’eterogeneità biologica e la presentazione varia di queste malattie
rende difficile effettuarne un’accurata diagnosi.
Un’indicazione sulla prevalenza globale delle RBDs (Figura 1) si può ottenere sulla base del censimento effettuato dal World Federation of Haemophilia (http://www.wfh.org/2/docs/Publications/
Statistics/2008_Global_Survey_Report.pd).
Secondo questi dati, le carenze di FVII e FXI sembrano essere le RBDs più prevalenti in tutto il mondo
con una frequenza rispettiva di circa il 34% e 32% delle RBDs totali, seguite da carenza di FV e FX
(8%), fibrinogeno (7.5%) e FXIII (6%). La carenza combinata di FV+FVIII (2.5%) e quella del FII (2%)
sembrano essere le più rare. Tuttavia, questa raccolta di dati a livello globale fornisce un’indicazione
generale sulla diversità di frequenza delle singole carenze, ma non riesce ancora a fornire un quadro
della loro distribuzione reale nel mondo.
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35
34%
32%
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%
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8%
8%
7.5%
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5
2.5%
2%
0
FVII
FXI
FV
FX
Fibrinogeno
FXIII
FV+FVIII FII
Figura 1. Prevalenza di ogni singola RBD secondo il censimento del 2008 effettuato dal WFH.
Registri e database esistenti
È ormai risaputo che ogni singola carenza può presentare diversi sintomi emorragici dai più leggeri
ai più gravi, che possono apparire alla nascita o più avanti nel corso della vita. In alcune carenze l’attività coagulante residua è direttamente proporzionale alla probabilità di sviluppare un’emorragia, ma
questo non è vero per tutte le carenze. Per esempio, alcuni pazienti affetti da carenza di FVII possono
avere un’attività estremamente bassa o non misurabile e non mostrare alcun sintomo, mentre altri con
la stessa attività possono avere sintomi gravi (come il sanguinamento cerebrale) (7,8). L’alta variabilità
fenotipica delle RBDs è comprovata da alcuni studi che riportano eventi trombotici in pazienti affetti
da afibrinogenemia, carenza di FVII e FXI, in particolare in presenza di chirurgia o trattamento, indipendentemente dal livello funzionale residuo della proteina; al contrario, non sono mai stati riportati
casi di trombosi, arteriosa o venosa, in pazienti con carenza di FII o FX (9-13). Queste informazioni
sono state raccolte negli anni più recenti, grazie all’incremento della letteratura scientifica pubblicata
su riviste la cui missione è fornire informazioni nel campo dell’emostasi. Tuttavia, a causa della rarità
delle RBDs, i dati disponibili derivano da piccole coorti di pazienti o case reports, poiché pochi centri
hanno la possibilità di seguire e trattare un consistente numero di pazienti e sviluppare una reale
conoscenza della malattia. Quindi, anche se in sensibile aumento, la quantità di dati disponibile non
è ancora sufficiente e ben organizzata per produrre delle linee guida, basate sull’evidenza, che possano aiutare il clinico, integrando la sua esperienza personale con la miglior evidenza clinica esterna
derivante dalla ricerca sistematica (raccomandazioni di livello A o B, cioè derivanti da clinical trials
controllati o da studi di coorte retrospettivi) (14,15).
Negli ultimi anni, vi sono stati tentativi di risolvere questa mancanza di informazione con la creazione
di registri nazionali che comprendessero tutti gli aspetti di ogni singola carenza, dai sintomi alla caratterizzazione fenotipica e genotipica. Raramente si registrano database che raccolgano dati su tutte le
RBDs e/o sul trattamento ed il consumo di prodotti terapeutici. Sulla base di questi criteri i database
possono essere molto diversi tra loro. Per esempio, vi sono database che sono ospitati e gestiti da
centri di rilevanza governativa ad accesso libero come può essere il National Center for Biotechnology
Information (NCBI: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) che al suo interno raccoglie e incrocia banche dati
genetiche e proteiche, di descrizione di malattie, nonché su un enorme numero di citazioni bibliografiche. Alla stessa stregua società scientifiche come la Società Internazionale di Trombosi ed Emostasi
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Focusemostasi
(International Society on Thrombosis and Haemostasis: ISTH, http://www.isth.org/default/index.cfm)
ospitano sul proprio sito web registri e database specifici della comunità scientifica a cui si rivolgono,
ed in questo caso, a quella delle malattie della coagulazione. Tuttavia, non vi è ancora una gestione
organica di questo enorme ammontare di dati. Spesso registri di livello nazionale, che si riferiscano a
singole carenze della coagulazione o a singoli aspetti delle RBDs (genotipo, fenotipo o trattamento),
pur molto ben mantenuti, rischiano di perdere potenzialità ed importanza perché raggiungono con
difficoltà l’utente finale o contengono numeri limitati e poco utili alla pratica clinica.
La necessità di incrementare la quantità e la qualità delle informazioni relative alle RBDs ha quindi
portato allo sviluppo di database nazionali ed internazionali basati sulla raccolta di dati anagrafici,
genetici, fenotipici, clinici e sul trattamento di ogni singolo paziente. A livello nazionale le informazioni vengono raccolte in registri dedicati principalmente all’emofilia A e B e non quindi in network
specializzati. Registri nazionali sono ormai presenti in gran parte delle regioni mondo: Australia, Nord
e Sud-Africa, Medio-Oriente, Sudamerica, India, Asia, ma particolare attenzione al loro sviluppo è
stata osservata principalmente in Europa (ad esempio, Francia: www.francecoag.org, Svizzera: www.
aekreg.ch, Regno Unito, www.ukhcdo.org; Italia http://www.aiceonline.it, Polonia, Repubblica Ceca,
Irlanda, questi ultimi non hanno una corrispondente pagina web) e Nord America (Stati Uniti:http://
www.athn.org (16) e Canada: http://fhs.mcmaster.ca/chr/). Questi database sono normalmente gestiti e finanziati da organi governativi e l’inserimento e l’analisi dei dati viene effettuata solamente dal
personale addetto e regolarmente registrato. Per dare maggiore forza ai dati contenuti all’interno dei
vari registri nazionali sono stati sviluppati anche database a livello internazionale che hanno come
scopo principale quello di raggruppare ed uniformare tutte le informazioni relative a pazienti provenienti dalle diverse aree geografiche: HemoRec (18), RBDD (www.rbdd.org), EN-RBD (www.rbdd.
eu). HemoRec è una piattaforma sviluppata nel 2006 dall’Istituto di Biostatistica ed Analisi dell’Università di Masaryk in Brno (Repubblica Ceca) contenente dati su 4294 pazienti con emofilia di cui
495 con RBDs in Europa Centro-Orientale: Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Serbia, Macedonia,
Ungheria, Lituania e Slovenia. Registri dedicati unicamente alla raccolta dati nelle RBDs sono invece
il database internazionale RBDD, contenente principalmente dati genetici di pazienti provenienti da
tutto il mondo e dati relativi alla frequenza e distribuzione delle RBDs, e quello europeo EN-RBD dove
sono invece raccolte informazioni su fenotipo di laboratorio e genotipo, sulle manifestazioni cliniche
e sul trattamento di pazienti provenienti da diversi centri europei. Esistono anche database relativi ad
alcune singole carenze (FXIII: http://www.f13-database.de/(tonjduvyxwqmr045y10v4mee)/index.
aspx, FXI: http://www.factorxi.org, Fibrinogeno: http://www.geht.org/databaseang/fibrinogen/). Tali
database sono liberamente consultabili in internet, ma le informazioni che contengono sono quasi
esclusivamente di tipo genetico e mancano totalmente della parte clinica e di trattamento. Anche per
quanto riguarda il FVII è stato creato un database (http://www.targetseven.org/) consultabile on-line
per quanto riguarda la parte genetica ma non per quella relativa al trattamento, che è comunque parte
integrante del database.
Il crescente interesse del mondo scientifico per le RBDs ha portato anche le case farmaceutiche a
mostrare maggiore interesse nei confronti di queste patologie e di conseguenza allo sviluppo di nuovi
strumenti per l’approfondimento delle conoscenze, soprattutto per quanto riguarda il trattamento. A
tale scopo, ad esempio, è stato creato nel 2005 un database, Haemostasis Registry (http://www.med.
monash.edu.au/epidemiology/traumaepi/haemostasis.html), per ottenere informazioni sulla sicurezza, efficacia, appropriatezza d’uso e dosi di FVII ricombinante attivato (rFVIIa) in pazienti non affetti
da emofilia.
Iniziative in Europa
La frammentazione dell’informazione è anche causa diretta degli investimenti limitati che fino ad oggi
sono stati effettuati dalle istituzioni pubbliche coinvolte nell’ambito sanitario, così come dello scarso
interesse economico delle aziende farmaceutiche nella produzione di farmaci per il trattamento delle
Focusemostasi
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RBDs, che vengono così chiamate “orfane”. Tutto ciò è avvenuto, fino a tempi recenti, quando la Commissione Europea ha posto le malattie rare come un problema di salute pubblica grave e una priorità
nella ricerca sanitaria Europea.
Con la Decisione N. 1295/1999/EC del Parlamento Europeo (29 aprile 1999) tra gli obiettivi che la
comunità Europea si è posta vi è la promozione dello sviluppo dell’informazione sulle malattie rare
tramite creazione di database e network sui diversi aspetti delle malattie rare che ne raccolgano
principalmente definizione, descrizione, sintomi, cause e dati epidemiologici. All’interno del programma di salute pubblica promosso dall’agenzia esecutiva (Public Health Executive Agency: PHEA ora
Executive Agency for Health and Consumers: EAHC) è stato sviluppato un progetto finanziato dalla
Commissione Europea e dal Direttorato generale per la salute ed i consumatori (Directorate-General
for Health and Consumers: DG SANCO) (http://ec.europa.eu/phea/documents/2006_Health_Information.pdf) intitolato “Establishment of an European network of the Rare Bleeding Disorders
(EN-RBD)” che comprendeva originariamente 10 centri europei allo scopo di creare un nuovo ed
omogeneo strumento di comunicazione per inserire, gestire, rivedere e revisionare informazioni su
pazienti affetti da RBDs (www.rbdd.eu). I dati raccolti riguardavano prevalentemente il fenotipo, il
genotipo ed il trattamento (con le sue complicazioni) di pazienti affetti da RBDs, a prescindere dalla
gravità della malattia. Ad aprile del 2010 il progetto si è concluso dopo tre anni di raccolta ed analisi
dei dati. Lo strumento di analisi si è basato sulla creazione di queries mirate e sulla produzione di
report. All’interno del database sono stati raccolti dati su 592 pazienti, che, data la rarità delle malattie
in oggetto, rappresenta un ragguardevole numero di casi.
In questo database la frequenza di ogni singola carenza conferma in linea generale quella riportata
dal censimento del WFH precedentemente riportato (18). Inoltre, per la prima volta è stata condotta
un’analisi statistica che ha permesso di trovare una differenza statisticamente significativa nella proporzione di pazienti con diversi gradi di manifestazioni cliniche (dagli asintomatici a quelli con episodi
gravi, quali sanguinamento del sistema nervoso centrale o del cordone ombelicale) e il livello di attività
coagulante che definisce la gravità della carenza.
È stata anche condotta una analisi sulla varietà dei tipi di sanguinamento presenti in pazienti affetti
da diverse carenze con diversi fenotipi di laboratorio che ha rivelato come le carenze più soggette a
emorragie gravi siano l’afibrinogenemia e la carenza grave di FX e FXIII; mentre i pazienti eterozigoti
(con livelli di attività >30%) possono essere soggetti a sanguinamenti minori, quali quelli mucocutanei
e la menorragia, soprattutto dopo trauma o operazioni chirurgiche. Il trattamento d’elezione si è rivelato essere ancora quello sostitutivo e le complicanze riportate sono state quasi assenti. In conclusione,
il database on-line si è rilevato uno strumento efficace per migliorare la qualità dei dati raccolti e ha
dimostrato che uno schema di raccolta comune non può che essere il modo migliore per ottenere dati
più accurati e adatti all’analisi statistica.
Tuttavia, per poter ottenere dati conclusivi sulle manifestazioni cliniche e le conseguenti decisioni terapeutiche è necessario raccogliere una quantità ancora maggiore di dati in modo prospettico. Sulla
base di queste conclusioni il database, che si sta per dotare di una nuova pagina per la raccolta di dati
prospettici, si sta estendendo, ospitando nuovi partner sia europei che extraeuropei, sia implementandosi con l’esistente EMOWEB, rete on-line italiana che fornisce ai medici strumenti che facilitano la
gestione di pazienti con coagulopatie. Quest’ultima fase è resa possibile anche grazie ad un progetto
finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità Italiano.
Iniziative negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, da circa 10 anni è stato creato un sistema di sorveglianza sanitaria finanziato dal
Centro Controllo e Prevenzione delle Malattie (US Centers for Disease Control and Prevention: CDC)
e dal Sistema di Raccolta di Dati Universale (Universal Data Collection: UDC), che raccoglie i dati di
pazienti in cura per disordini della coagulazione in una rete di centri di trattamento di più di 125 centri
(19). I gruppi di supporto per i pazienti sono stati strumentali per la sensibilizzazione sulle condizioni
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Focusemostasi
di vita di pazienti affetti da malattie rare. Ad esempio, l’organizzazione nazionale per le malattie rare
(National Organization of Rare Disorders: NORD) è stato determinante nell’approvazione della legge
sui farmaci orfani negli Stati Uniti (Orphan Drug Act: ODA)(20).
L’ODA, approvato nel 1983, stabilisce la portata degli incentivi economici ai produttori farmaceutici
per stimolare lo sviluppo di prodotti per un trattamento efficace per le malattie rare.
Inoltre, con uno sforzo di collaborazione fra i vari servizi che coinvolgono la comunità dei disordini della coagulazione, rappresentata dalla Fondazione Nazionale di Emofilia (National Hemophilia
Foundation: NHF), la Federazione Mondiale dell’Emofilia (World Federation of Hemophilia: WFH), il
CDC (CDC), la Food and Drug Administration (FDA), l’ISTH ed il Network Americano su Trombosi ed
Emostasi (American Thrombosis and Hemostasis Network: ATHN) ha portato all’istituzione di una rete per affrontare e risolvere problemi di diversa natura legati alle RBDs. Gli obiettivi principali di questa
collaborazione sono: 1) stabilire una base di conoscenze affidabile e sufficiente per l’identificazione
e il trattamento delle RBDs; 2) nuove licenze per i prodotti, attraverso l’identificazione del soggetto e
l’accesso ai dati comparativi storici del trattamento; 3) un efficace database per raccogliere dati sui risultati della ricerca e sulla sorveglianza dei prodotti; e 4) formazione dei pazienti e dei loro medici (21).
I gruppi di lavoro statunitensi ed europei, lavorando alla realizzazione dei database nei rispettivi continenti, stanno anche monitorando i rispettivi progressi con l’obiettivo di sviluppare uno strumento di
raccolta dati comune.
Trattamento
Il trattamento delle malattie rare della coagulazione è prevalentemente basato sulla sostituzione del
fattore carente con prodotti plasmaderivati (22). Nei Paesi occidentali, il paziente affetto da RBDs può
ambire a raggiungere una buona qualità della vita, sia in termini di disponibilità, che di sicurezza dei
prodotti disponibili per il trattamento. Al contrario, nei Paesi in via di sviluppo le ristrettezze economiche, le risorse di laboratorio limitate e la scarsa disponibilità di prodotti terapeutici, spesso precludono
il raggiungimento di un livello accettabile delle cure e della qualità di vita. Anche se in ritardo rispetto
agli Stati Uniti, nel 1999 l’Unione Europea ha adottato un regolamento che consente alle aziende,
che fanno ricerca nell’area delle malattie rare, di avere alcune agevolazioni. Il Regolamento UE ha
consentito, dal 2001 ad oggi, di ottenere l’approvazione di 18 farmaci orfani, molti dei quali destinati
al trattamento dei tumori, di malattie autoimmunitarie e metaboliche. Negli Stati Uniti l’introduzione
di una normativa ad hoc (Orphan Drug Act, che risale al 1983) ha fortemente incentivato l’impegno
delle imprese nel campo delle malattie rare. Dal 1983 ad oggi sono quasi 300 i farmaci approvati dalla
FDA, con un incremento del numero dei medicinali disponibili per il trattamento delle malattie rare mai
registrato nel passato.
Sul fronte italiano, la programmazione nazionale e regionale degli interventi, volti alla tutela dei soggetti affetti da malattie rare e la sorveglianza delle stesse è assegnata all’ISS che cura il registro nazionale delle malattie rare. Nell’ambito della sorveglianza dei farmaci l’ISS, insieme al Centro Nazionale
di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, esegue l’analisi della variabilità, temporale
e territoriale, della distribuzione e dell’utilizzo dei farmaci dalla quale sia possibile trarre elementi utili
per la pianificazione di un uso più razionale delle risorse.
Conclusioni
In conclusione, negli ultimi anni ci sono stati sforzi profusi da parte del WFH e di altri gruppi, prevalentemente europei e statunitensi, per aumentare la conoscenza sulle RBDs. Tuttavia, ottenere
informazioni specifiche da ogni singolo paziente è ancora problematico, principalmente a causa della
difficoltà di raggiungere tutti i Paesi in modo omogeneo, particolarmente quelli in via di sviluppo, dove
si ha la maggior frequenza di pazienti affetti. Inoltre, in questi Paesi, a causa delle risorse limitate, la
priorità non è rappresentata da queste malattie che, seppur invalidanti e a rischio di vita, rappresentano una minoranza, così i pazienti a volte non superano l’infanzia o non sono del tutto diagnosticati
Focusemostasi
9
o trattati. Quindi, lo sviluppo di registri nazionali, seguito dalla loro unificazione ed integrazione è fortemente necessario per sviluppare linee d’azione comuni in risposta alle esigenze del paziente affetto
da malattie rare della coagulazione.
Ringraziamenti
Siamo particolarmente grati a tutti i pazienti che si sono resi disponibili ed ai medici che hanno contribuito alla raccolta dei dati per lo sviluppo del database sulle malattie rare della coagulazione (RBDD:
http://www.rbdd.org/alreadyjoined.htm); inoltre vorremmo ringraziare tutti i partner coinvolti nel progetto EN-RBD (www.rbdd.eu/partners.htm), il World Federation of Haemophilia, per i suoi continui
sforzi volti alla raccolta annuale dei dati a livello globale e tutti coloro che hanno già aderito al nascente Registro Nazionale Italiano per le malattie rare della coagulazione. Inoltre, vogliamo ringraziare
l’Istituto Superiore di Sanità Italiano (www.iss.it) che permette la prosecuzione di questi studi grazie
al Progetto ISS, “Establishment of a European network of rare bleeding disorders” (conv. 526D/29),
determinazione n. 1737 del 18/06/2007 (www.rbdd.it, pagina in costruzione). Parte di questa articolo
deriva dal progetto “Establishment of a European Network of Rare Bleeding Disorders (EN-RBD)”
finanziato dalla UE, nell'ambito del Public Health Programme.
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Sintomatologia e manifestazioni
cliniche delle malattie
emorragiche ereditarie rare
Cristina Santoro
Ematologia, Dipartimento Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, "Sapienza" Università di Roma
Introduzione
I difetti coagulativi rari comprendono la carenza congenita di fibrinogeno, di fattore (F) II, FV, FV+FVIII,
FVII, FX, FXI, FXIII e la carenza multipla dei fattori vitamina K-dipendenti. Caratteristica comune di tali
patologie è la loro bassa frequenza nella popolazione generale, rappresentando il 3-5% di tutti i difetti
coagulativi emorragici (1,2). Le malattie rare della coagulazione solitamente sono trasmesse in maniera autosomica recessiva e a causa della loro rarità spesso presentano una difficoltà diagnostica e
di gestione (3). Ci sono variazioni considerevoli nello spettro della sintomatologia emorragica, ma globalmente, sanguinamenti a rischio di vita (emorragie cerebrali) o che creano delle disabilità croniche
(emartri/ematomi), sembrano essere più rari che nell’emofilia A o B (2). Il sintomo più tipico, comune
a tutte queste patologie, è il sanguinamento eccessivo a seguito di procedure invasive, o, dopo il parto nelle donne e dopo la circoncisione negli uomini. Epistassi e menorragia sono sintomi frequenti (3).
La tabella 1 presenta i dati estrapolati dal registro internazionale delle malattie rare della coagulazione
(Rare Bleeding Disorders Database, RBDD) su 117 pazienti (3). In questo articolo vengono presi in
considerazione i singoli difetti rari della coagulazione e viene descritto il loro fenotipo clinico.
Alterazioni congenite del fibrinogeno
Le alterazioni congenite del fibrinogeno includono: l’afibrinogenemia, caratterizzata da una totale assenza del fibrinogeno misurato come antigene; l’ipofibrinogenemia in cui si riscontra un livello ridotto
di fibrinogeno; la disfibrinogenemia, in cui un’anomalia nella molecola del fibrinogeno risulta in una
funzione alterata della molecola stessa. In alcuni casi di disfibrinogenemia, il fibrinogeno misurato
come antigene può presentare livelli ridotti ed in questo caso si parla di ipo-disfibrinogenemia (1).
Afibrinogenemia
La tendenza emorragica nell’afibrinogenemia si presenta con una severità variabile; i pazienti affetti
possono andare incontro ad episodi spontanei (anche a rischio di vita), ma possono anche trascorrere lunghi periodi senza problemi. Paradossalmente, sono riportati anche eventi trombotici (4). Questo
tipo di complicanza può essere correlata alla presenza di altri fattori di rischio o al trattamento, ma in
buona parte dei casi si tratta di eventi idiopatici. L’afibrinogenemia, inoltre, è associata con sanguinamenti pre e post-parto e con aborti ricorrenti (5). Infatti, il fibrinogeno ha un ruolo importante nell’impianto dell’embrione, dato questo supportato da studi sperimentali su topi afibrinogenemici (6). Tra
i sintomi segnalati, vi è anche un’alterazione nella cicatrizzazione delle ferite. Dati clinici su pazienti
afibrinogenemici (fibrinogeno <10 mg/dl) sono riportati in due serie numerose (Tabella 2) (7,8). Nella
serie iraniana su 55 pazienti, i sintomi più frequenti sono rappresentati dai sanguinamenti dal cordone
ombelicale (85%) e dai sanguinamenti mucosi. Gli eventi muscoloscheletrici sono meno comuni che
11
Tabella 1. Sintomi emorragici nei pazienti affetti dai difetti rari della coagulazione (Peyvandi et al., 2009)
Carenze dei fattori coagulativi
Sintomi
Fibrinogeno
FII
FV
FV+FVIII
FVII
FX
FXI
FXIII
Epistassi
Ecchimosi
Menorragia
Ematuria
Emorragia
gastrointestinale
Emartri
Ematomi
Sanguinamento
dal cordone
ombelicale
Sanguinamento a
livello del sistema
nervoso centrale
Emorragia della
cavità orale
Emorragia della
gravidanza/parto°
Chirurgia
maggiore°*
Chirurgia minore*
Altro
Nessun
sanguinamento
Comune
Comune
Comune
Assente
Occasionale
Comune
ND
Comune
Raro
Occasionale
Comune
Comune
Comune
Assente
Occasionale
Occasionale
Comune
Comune
Assente
Assente
Comune
Comune
Comune
Raro
Occasionale
Comune
Comune
Occasionale
Occasionale
Comune
Comune
Comune
Comune
Assente
Occasionale
Comune
Comune
Occasionale
Occasionale
Occasionale
Comune
Comune
Comune
Comune
Comune
Occasionale
Raro
Occasionale
Assente
Raro
Occasionale
Assente
Occasionale
Occasionale
Raro
Comune
Comune
Comune
Comune
Raro
Assente
Comune
Occasionale
Comune
Occasionale
Raro
Raro
Assente
Occasionale
Occasionale
Assente
Comune
Comune
Comune
Comune
Comune
Comune
Comune
Occasionale
Comune
Assente
ND
Assente
Assente
Occasionale
Assente§
Assente
Assente§
Occasionale
Occasionale
Occasionale
Comune
Occasionale
Comune
Comune
Assente
Comune
Raro
Assente
Occasionale
ND
Assente
Occasionale
Raro
Assente
Comune
Occasionale
Assente
Comune
Assente
Assente
Comune
Occasionale
Assente
Comune
Raro
Occasionale
Comune
Assente
Assente
° Trattamento non noto
§
Percentuale calcolata su un paziente
* Percentuale calcolata sul numero delle procedure
ND: non disponibile
nell’emofilia, nonostante avvengano con una certa frequenza. In tre pazienti (5,5%) è stata osservata
emorragia cerebrale (7). Nella serie riportata da Peyvandi et al (8), i sintomi più frequenti sono invece
rappresentati da emartri (25%), ematomi (17%) ed emorragie gastrointestinali (17%). Non vengono
riportati dati sul sanguinamento dal cordone ombelicale. Trombosi ed aborti hanno una frequenza
simile nelle due serie (3-4%, 13-17%, rispettivamente).
Ipofibrinogenemia
I pazienti ipofibrinogenemici sono di solito portatori eterozigoti di mutazioni dell’afibrinogenemia, e
sono per la maggior parte asintomatici (4). Il quadro clinico è simile a quello dell’afibrinogenemia, ma
segue un decorso più lieve e i sanguinamenti sono soprattutto in relazione a manovre invasive. Anche
nell’ipofibrinogenemia sono segnalati aborti ricorrenti e sanguinamenti pre e post-parto (9).
Disfibrinogenemia
Il fenotipo clinico della disfibrinogenemia non è prevedibile. Su una serie di 250 pazienti, il 53% era
asintomatico, il 26% presentava sintomatologia emorragica e il 21% sintomatologia trombotica (10).
Possono presentarsi sanguinamenti a seguito di chirurgia, estrazioni dentarie o parto. Emorragie del
cordone ombelicale, dei tessuti molli o a livello del sistema nervoso centrale sono associate a livelli più
bassi di fibrinogeno. I pazienti possono anche sperimentare ritardo nella cicatrizzazione delle ferite.
Inoltre, in relazione alla problematica trombotica, la sottocommissione della ISTH ha ricevuto segnalazione di 51 episodi (11). Alcuni difetti molecolari sono inequivocabilmente associati con la trombosi.
12
Focusemostasi
Tabella 2. Sintomi in pazienti con livelli di fibrinogeno <10 mg/dl, riportati da Lak et al. 1999 e Peyvandi et al., 2006
Numero di pazienti
Sintomo
Sanguinamento dal cordone ombelicale
Emorragia cerebrale
Emartro
Ematoma
Emorragia gastrointestinale
Emorragia del tratto urinario
Epistassi
Menorragia
Sanguinamento della cavità orale
Sanguinamento post-operatorio
Trombosi
Aborto
Lak M et al., 1999
Peyvandi F et al., 2006
55
72
85%
10%
54%
72%
0
0
72%
70% (14/20)
72%
40%
4%
17% (3/18)
ND
4%
25%
17%
17%
ND
10%
7% (2/30)
ND
ND
3%
13% (4/30)
ND: non disponibile
Sono state riportate trombosi venose profonde, tromboflebiti, embolie polmonari, necrosi cutanee e
trombosi arteriose. Le donne disfibrinogenemiche sono a rischio di aborti spontanei, sanguinamenti
pre e post-parto e a seguito di analgesia locoregionale (11).
Carenza di FII
I difetti del FII (protrombina) possono essere classificati come una carenza vera o ipoprotrombinemia,
una forma disfunzionale o disprotrombinemia, o forme combinate di ipo-disprotrombinemia. La carenza totale di protrombina è incompatibile con la vita e fino ad oggi non è stato diagnosticato nessun
soggetto (12). Data l’estrema rarità di tale patologia, i dati pubblicati sono limitati. Emartri, ematomi e
sanguinamenti mucosi erano sintomi relativamente comuni in due serie di pazienti. Inoltre, venivano
riportati globalmente 4 casi di emorragia cerebrale (13,14). In una review recente su 32 casi con
carenza di FII, ematomi/ecchimosi spontanei sono riportati nel 60% ed emartri nel 42%; emorragie
cerebrali ed emorragie gastrointestinali nel 12%, rispettivamente. Il 20% delle pazienti omozigoti ha
sofferto di menorragia (12). I soggetti eterozigoti (FII 40-60%) sono solitamente asintomatici, ma
occasionalmente possono presentare sanguinamento eccessivo a seguito di procedure chirurgiche
maggiori e minori. I pazienti affetti da disprotrombinemia hanno una sintomatologia emorragica molto
più variabile e molti casi sono asintomatici o presentano solo problemi minori (1,12).
Carenza di FV
La maggior parte dei casi di carenza di FV si manifesta alla nascita o comunque durante l’infanzia,
ma altri possono rimanere asintomatici per tutta la vita ed essere diagnosticati in occasione di prelievi
di routine (15). I soggetti eterozigoti sono solitamente asintomatici o presentano emorragie lievi,
mentre i pazienti omozigoti e i doppi eterozigoti, mostrano una diatesi emorragica da lieve a severa
in relazione all’attività residua del FV. In realtà, per valori <5%, viene persa la correlazione tra i livelli
di FV e la sintomatologia emorragica, laddove pazienti con uguali valori plasmatici di FV possono
presentare fenotipi clinici molto diversi. Questo potrebbe essere dovuto ad un differente contenuto di
FV a livello piastrinico, dimostratosi molto importante nel mantenere un’emostasi adeguata (15,16).
Circa 200 pazienti sono descritti in letteratura, e sono disponibili dati dal registro italiano, iraniano e
nord- americano (2,17,18). In accordo con il registro iraniano e nord-americano i sintomi più comuni in
questi pazienti sono il sanguinamento mucoso (epistassi o menorragia nelle donne) e i sanguinamenti
post-trauma, -chirurgia o -parto. Emartri ed ematomi sono presenti solo in un quarto dei pazienti e
Focusemostasi
13
manifestazioni severe, quali emorragie gastrointestinali o del sistema nervoso centrale, sono rare e
fondamentalmente presenti solo nei pazienti con livelli di FV non misurabili (17,18). Tuttavia, al di fuori
dei registri sono stati descritti diversi casi di emorragia cerebrale con presentazione soprattutto nel
periodo perinatale (19). In una serie molto recente su 16 pazienti affetti, l’epistassi e la menorragia si
confermano i sintomi più frequenti (68.75% e 83.3% rispettivamente). Il 44% dei pazienti che hanno
eseguito la circoncisione senza terapia di profilassi ha presentato un sanguinamento eccessivo. In
nessun caso si sono verificati emartri (20).
Carenza di FV+FVIII
La carenza di FV+FVIII è caratterizzata dalla presenza concomitante di livelli ridotti di FV e di FVIII
(5-20%). La presenza concomitante dei due difetti coagulativi non incrementa la tendenza emorragica rispetto a ciascuna carenza valutata separatamente (21,22). La carenza di FV+FVIII è associata ad
una tendenza emorragica lieve/moderata (23). Sebbene sintomi lievi quali ecchimosi, epistassi e gengivorragia siano comuni nei pazienti affetti, i livelli circolanti di FV e di FVIII sono di solito sufficienti per
prevenire la maggior parte degli episodi spontanei severi. Sono comuni i sanguinamenti a seguito di
chirurgia, estrazioni dentarie e traumi; la menorragia e le emorragie post-parto sono sintomi riportati
nelle donne affette (22,24). Circa un quarto dei pazienti va incontro ad emartri, e si possono osservare
sanguinamenti dal cordone ombelicale. Gli ematomi non vengono comunemente riscontrati (21,23).
Altri sintomi severi quali i sanguinamenti gastrointestinali e del sistema nervoso centrale sono riportati
in pochi casi. In due serie distinte di pazienti, sanguinamento eccessivo dopo circoncisione si è verificato in due terzi (8/12) e approssimativamente metà (6/13) dei casi (21,22) ma sorprendentemente
questo dato non è stato riportato tra gli ebrei non ashkenaziti (24).
Carenza di FVII
La carenza di FVII è il difetto più comune tra i difetti coagulativi rari, avendo una prevalenza di circa
1:300.000-500.000 (1). Lo spettro dei sintomi è variabile (25). Epistassi, gengivorragia, menorragia
e altri sanguinamenti mucosi sono comuni. La menorragia e l’anemia cronica derivante sono delle
caratteristiche frequenti nelle donne affette. Emartri sono riportati, anche se non consistentemente,
in pazienti con carenza severa. Nei pazienti con livelli di FVII <2%, sanguinamenti a livello del sistema
nervoso centrale sono comuni e riportati nel 15-60% dei casi (26). Questi eventi di solito si presentano subito dopo la nascita e sono associati con un’elevata morbidità e mortalità. In letteratura dati clinici importanti sono riportati dal Registro Internazionale sulla carenza del FVII e dal Registro Greifswald
sulla carenza del FVII (Tabella 3) (27,28). I sintomi più comuni nelle due serie sono lievi (epistassi e
sintomatologia cutanea). Le emorragie gastrointestinali e cerebrali si presentano con la stessa frequenza nei pazienti dei due registri ad eccezione dei soggetti eterozigoti del registro di Greifswald, nei
quali tali eventi sono completamente assenti. La menorragia si conferma un sintomo molto frequente
nelle pazienti affette. Sorprendentemente episodi trombotici specialmente venosi, sono riportati nel
3-4% dei pazienti affetti da carenza di FVII, ma nella maggior parte dei casi sono associati ad altri
fattori di rischio quali chirurgia, età avanzata e terapia sostitutiva (29,30).
Carenza di FX
Sebbene la carenza di FX produca una tendenza emorragica variabile, nell’ambito dei difetti rari della
coagulazione i pazienti affetti da carenza grave di FX presentano la sintomatologia emorragica più severa e più simile a quella che si osserva nell’emofilia A e B (1,31,32). Pazienti con carenza meno severa
possono sanguinare anche solo a seguito di traumi o chirurgia, e talvolta alcuni casi possono essere
identificati casualmente durante analisi di routine o studi familiari (33). Le donne affette da carenza di
FX possono andare incontro a sanguinamenti uterini, aborti spontanei ed emorragie post-parto (32).
Le informazioni cliniche sulla carenza di FX derivano da registri e da serie di pazienti (32).
14
Focusemostasi
Tabella 3. Distribuzione dei sintomi nel Registro Internazionale sulla carenza di FVII e nel Registro Greifswald sulla carenza
di FVII (Mariani et al., 2005; Mariani et al., 2009; Herrmann et al., 2009)
Registro Greifswald sulla carenza di FVII
Registro
Internazionale sulla
carenza di FVII
Omozigoti
(FVII medio 5%)
Doppi eterozigoti
(FVII medio 6%)
Eterozigoti
(FVII medio 39%)
Numero di pazienti sintomatici
Sintomi
228
52
72
93
Epistassi
Ecchimosi
Gengivorragia
Ematomi
Emartri
Sanguinamento
gastrointestinale
Ematuria
Saguinamento a livello del
sistema nervoso centrale
Sanguinamento
post-operatorio
Menorragia
83%
62%
42%
21%
22%
14%
58%
37%
38%
15%
13%
17%
61%
36%
31%
21%
22%
14%
54%
38%
14%
23%
4%
0
12%
7%
10%
2%
7%
3%
5%
0
34%
ND
ND
ND
57% (100/174)
73% (19/26)
63% (22/35)
42% (19/45)
ND: non disponibile
Nella serie iraniana su 32 pazienti (FX 1-10%), l’epistassi è il sintomo più frequente (72%). Il 50% di 8
donne in età riproduttiva ha presentato menorragia. Emorragie gastrointestinali sono state osservate
nel 38% dei casi. Il 66% e 69% dei pazienti affetti primariamente da carenza grave o moderata hanno
sofferto rispettivamente di ematomi spontanei ed emartri ricorrenti. Emorragia cerebrale si è presentata
in 3 pazienti (9%). Nel 28% dei casi, è stato rilevato sanguinamento dal cordone ombelicale. Tale sintomo considerato peculiare della carenza di FXIII, in realtà può rappresentare anche una della manifestazioni più precoci della carenza di FX (31). In un’altra serie su 102 casi arruolati in Europa e America
Latina, in 42 pazienti sintomatici (FX mediano 13.3%), le manifestazioni emorragiche si sono presentate
in tale ordine di frequenza: ecchimosi nel 55%, ematomi nel 43%, epistassi nel 36%, ed emartri nel
33%. Emorragia cerebrale ed emorragie gastriche sono state osservate rispettivamente nel 21% e
nel 12% dei pazienti. Il 67% delle donne in età fertile ha presentato menorragia. I pazienti che hanno
presentato i sintomi più gravi (emartri, emorragie gastro intestinali o emorragie cerebrali) avevano tutti
un livello di FX <2% (34). La prevalenza dei sintomi gravi differisce quando si vanno a paragonare i
pazienti con FX 1-10% che provengono dall’Europa (n=15), dall’America Latina (n=16) e dall’Iran
(n=32): emorragia cerebrale 20/38/9%, emartri 60/31/69% ed emorragia gastrointestinale 7/25/38%
rispettivamente. Questi dati sono stati presi da registri regionali e pertanto non possono essere valutati
come uno studio di popolazione. Tuttavia alcune differenze regionali sembrano essere presenti (34).
Carenza di FXI
La carenza grave di FXI, diversamente da quanto avviene nell’emofilia A e B, viene definita tale per
livelli di attività nel plasma <15-20% (35). In tale patologia, le manifestazioni emorragiche sono poco
prevedibili. Le emorragie spontanee sono rare ed i sanguinamenti sono di solito correlati a traumi o a
chirurgia. In particolare, gli interventi chirurgici a livello di tessuti ad elevata attività fibrinolitica (tonsillectomia, estrazioni dentarie, interventi sui seni paranasali), sono noti per risultare in un’eccessiva
perdita di sangue. In uno studio retrospettivo, i pazienti che avevano eseguito procedure chirurgiche
a livello di cavità orale, naso, o tratto genitourinario senza terapia di profilassi avevano sanguinato nel
40-70% dei casi, mentre non si erano osservati sanguinamenti nella chirurgia ortopedica, gastrointestinale o per procedure che avevano coinvolto il sistema muscoloscheletrico (36). Questo può essere
spiegato dal fatto che il FXI indirettamente aumenta l’inibitore della fibrinolisi attivabile dalla trombina
Focusemostasi
15
(TAFI), riducendo la fibrinolisi e stabilizzando il coagulo (35). Uno stesso individuo può sanguinare
dopo una chirurgia e non sanguinare dopo un’altra. Individui con livelli di FXI 20-60%, vengono classificati come moderati/lievi e presentano minor rischio di sanguinamenti post-operatori. Poichè molti
soggetti sono asintomatici, la diagnosi viene fatta nella tarda infanzia, o nell’età adulta.
La variabilità delle manifestazioni cliniche potrebbe anche essere in relazione all’associazione con altri
difetti coagulativi quali la malattia di von Willebrand lieve, l’emofilia A o B e alcuni difetti piastrinici;
questo, tuttavia, non spiega le molteplici variazioni osservate nel quadro clinico (1). Le donne sono a
rischio di menorragia (1). La gravidanza nelle pazienti affette da carenza di FXI viene di solito portata
a termine senza problemi (37,38). Sono stati riportati dei casi di trombosi venosa (35) la cui natura
idiopatica è poco probabile dal momento che tali eventi si sono verificati in concomitanza con altri
fattori di rischio.
Carenza di FXIII
La carenza di FXIII è associata con una diatesi emorragica severa, emorragie cerebrali spontanee,
difetti nella cicatrizzazione delle ferite e aborti spontanei. Tipicamente i sanguinamenti avvengono
ore o giorni dopo il trauma, poiché la carenza del fattore XIII fa sì che il coagulo iniziale sia instabile
e vada incontro ad una più veloce dissoluzione da parte del sistema fibrinolitico (39). I pazienti con
livelli di FXIII <1% presentano la sintomatologia emorragica più severa. I pazienti eterozigoti possono
avere livelli ridotti di FXIII e di solito sono asintomatici. Le nostre conoscenze sul decorso clinico della
carenza di FXIII derivano primariamente dai registri costituiti in Europa ed internazionalmente negli
ultimi 15 anni (40,41).
Manifestazioni precoci della malattia possono avvenire nel periodo neonatale quando il sanguinamento dal cordone ombelicale si presenta pochi giorni dopo la nascita. Tale sintomo è caratteristico
della patologia ed è riportato in circa l’80% dei casi (42). L’incidenza dell’emorragia intracranica,
è pari al 25-30%, e questo evento è la causa principale di morte e disabilità nei pazienti affetti da
carenza di FXIII. Altri sintomi segnalati sono ecchimosi, ematomi muscolari, emartri, sanguinamenti
post-operatori, a seguito di estrazioni dentarie e sanguinamenti mucosi (43). In uno studio su 93
pazienti iraniani, il sintomo mucoso più frequente era il sanguinamento dalla cavità orale seguito dalla
menorragia e dall’epistassi. (44).
Nella carenza del FXIII si riscontra un ritardo nella cicatrizzazione della ferite. Infatti, in aggiunta al suo
ruolo emostatico, il FXIII ha un ruolo nell’angiogenesi, processo che è importante per la guarigione
delle ferite (45).
La carenza di FXIII non causa solo un aumento dei sanguinamenti uterini durante la gravidanza, ma fa
sì che ci sia un’alterata formazione del citotrofoblasto, aumentando il rischio per distacchi placentari
e quindi aborti nel primo trimestre. Inoltre, nella serie iraniana (44) si evince che circa il 20% delle
pazienti in età riproduttiva avevano sanguinamenti intraperitoneali, dovuti all’ovulazione che in alcuni
casi hanno portato ad eseguire isterectomia. I tipi di sanguinamenti più frequenti nella carenza di FXIII
sono sintetizzati nella tabella 4 (46).
Carenza congenita dei fattori vitamina K-dipendenti
La carenza congenita combinata dei fattori vitamina K-dipendenti (VKCFD), è un difetto autosomico
recessivo causato da mutazioni nei geni o della γ-glutamil carbossilasi (GGCX) o del complesso vitamina K2,3 epossido reduttasi (VKORC). Queste due proteine sono necessarie per la γ-carbossilazione,
una modificazione post-sintesi che permette alle proteine della coagulazione di svolgere la loro funzione in maniera corretta.
Pertanto, tale difetto consiste nella carenza combinata di FII, FVII, FIX, FX, così come di alcuni inibitori
fisiologici della coagulazione quali la proteina (P)C, la PS e la PZ (1,47). Tale patologia è molto rara e
la letteratura scientifica è composta di singoli casi e piccole serie di pazienti descritte in Africa, Asia e
Europa e Nord America (47).
16
Focusemostasi
Tabella 4. Tipi di sanguinamenti nella carenza di FXIII (Karimi et al., 2009)
Tipi di sanguinamenti
Percentuale di pazienti affetti (%)
Sanguinamento ombelicale
Ecchimosi superficiali
Ematomi sottocutanei
Sanguinamento cavità orale
Emorragia cerebrale
Ematomi muscolari
Lacerazioni
Emartri
Emorragia post-operatoria
Emoperitoneo
Epistassi
Emorragia del tratto genitourinario
Emorragia dei nervi periferici
Emorragia a livello di occhi, sistema gastrointestinale e milza
Emorragia a livello delle orecchie
Emorragia della pleura
80
60
55
30
30
27
26
24
17
14
10
17
6
3
2
1
I sintomi variano in accordo con i livelli delle proteine procoagulanti che dipendono dalla disponibilità
della vitamina K, per cui la gravità della sintomatologia emorragica è anche influenzata dalla dieta, e
dallo stato della flora batterica intestinale, così come dalla penetranza del difetto genetico. Nei casi
più severi l’inizio dei sintomi è neonatale, mentre nei casi più lievi ci può essere un riscontro ritardato
della patologia. Nonostante nei casi più lievi ci possa essere una modesta propensione alla trombosi, dovuta alla carenza degli inibitori fisologici della coagulazione, tale patologia è primariamente
caratterizzata da una varietà di sintomi emorragici, spesso a rischio di vita, che possono avvenire
spontaneamente o dopo chirurgia (47). Viene riscontrata comunemente la presenza di ecchimosi;
sanguinamenti del tratto gastro-intestinale possono avvenire spontaneamente o a seguito di terapia
antibiotica per ridotta produzione di vitamina K da parte della flora batterica intestinale. Sono riportati
anche sanguinamenti dal cordone ombelicale ed emartri (48,49).
Emorragie cerebrali fatali sono segnalate nelle prime settimane dopo la nascita (48,50,51). Inoltre i
pazienti affetti da tale patologia, presentano anche una serie di sintomi correlati al difetto di carbossilazione di altre proteine. Quindi, anomalie dello sviluppo e dello scheletro sono una caratteristica
tipica (50,52). Come conseguenza delle alterazioni ossee durante l’embriogenesi, alcuni autori suggeriscono un aumento di aborti spontanei, ma è difficile calcolarne l’incidenza a causa della rarità del
difetto (52,53).
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La terapia delle malattie
emorragiche ereditarie rare
Giancarlo Castaman
Dipartimento di Terapie Cellulari ed Ematologia, Centro Regionale per lo Studio
delle Malattie Emorragiche e Trombotiche, Ospedale San Bortolo, Vicenza
Abstract
Le Malattie Emorragiche Ereditarie Rare (MEER) sono un gruppo di disordini emorragici
dovuti alla carenza di uno o più fattori della coagulazione e sono caratterizzate da ereditarietà
autosomica recessiva, variabile severità dei sintomi emorragici, pressochè costanti complicanze emorragiche dopo procedure invasive se non adeguatamente profilassate. Alla stregua di
quanto si osserva nelle sindromi emofiliche, anche se in genere con minore frequenza, possono verificarsi sintomi emorragici spontanei o dopo trauma, anche potenzialmente pericolosi
per la vita. Le emorragie ginecologiche nella donna in età fertile possono condizionare significativamente la qualità della vita delle donne affette da MEER. In accordo con quanto osservato
nei pazienti affetti da emofilia, la disponibilità dei concentrati plasmaderivati di fattore carente,
fatta eccezione per il difetto di fattore V, assieme al possibile futuro utilizzo di concentrati ricombinanti, ha portato ad un significativo miglioramento della qualità di vita dei pazienti con
MEER, consentendo il pronto trattamento degli episodi emorragici, l’efficace prevenzione dei
sanguinamenti durante gli interventi chirurgici e l’adozione in casi selezionati della profilassi a
medio e lungo termine.
Introduzione
Le Malattie Emorragiche Ereditarie Rare (MEER) includono un gruppo di carenze ereditarie di fattori della coagulazione caratterizzate dalla loro rarità nella popolazione generale (circa 1 caso ogni
500.000-1.000.000 di abitanti) e da una tendenza emorragica di variabile severità, spesso ad insorgenza nei primi mesi di vita, e che può assomigliare a quella osservata nelle sindromi emofiliche gravi
(1). Tuttavia, i pazienti con MEER possono manifestare sintomi emorragici peculiari e diversi tra i vari
difetti e differenti da quelli osservati negli emofilici, a cominciare dalle problematiche emorragiche in
età fertile nelle donne affette (2).
Inoltre, a differenza di quanto si può osservare fino al 15% dei pazienti con emofilia A grave, il rischio
di sviluppare anticorpi inibitori contro il fattore carente dopo somministrazione di plasma o concentrato di fattore carente è molto raro nei pazienti con MEER, fatta eccezione dei pazienti con carenza
di FXI. La tabella 1 riassume le principali caratteristiche cliniche e terapeutiche dei pazienti affetti da
MEER.
I pazienti con MEER e storia emorragica rilevante sono solitamente omozigoti o eterozigoti compositi
e presentano livelli di attività del fattore carente <10%. I soggetti eterozigoti (genitori o figli dei pazienti
severi) hanno livelli attorno al 50% del fattore coinvolto e sono solitamente asintomatici o oligosintomatici, anche se un recente registro Nord-Americano (3) ed uno studio Europeo (4) hanno riportato
una percentuale significativa di soggetti con difetto parziale con sintomi emorragici talora richiedenti
19
Tabella 1. Principali sintomi emorragici e caratteristiche cliniche peculiari nelle MEER
Fattore Fibrinogeno Protrombina V*
VII X XI XIII Principali sintomi e
caratteristiche cliniche
Livelli
emostatici
Concentrato
disponibile#
Profilassi
secondaria
Emivita
plasmatica Emorragie dal cordone ombelicale,
articolari e dal tratto mucoso; aborti
ricorrenti; talora tromboembolismo venoso/
arterioso, anche spontaneo Emorragie dal cordone ombelicale,
articolari e dal tratto mucoso
>50 mg/dl
Sì
In casi
selezionati
2-4 giorni
20-30%
No dati
3-4 giorni
Emorragie dal tratto mucoso Emorragie dal tratto mucoso, articolari
e muscolari; talora emorragie cerebrali
neonatali; casi aneddotici di trombosi Emorragie dal cordone ombelicale,
articolari e muscolari; emorragie cerebrali 15-20%
15-20%
Concentrati
del complesso
protrombinico
No
Sì
No dati
In casi
selezionati
~ 3-4 h Emorragie post-traumatiche e postchirurgiche; possibile insorgenza di inibitori
dopo uso di plasma Emorragie dal cordone ombelicale,
emorragie cerebrali spontanee, aborti
ricorrenti, anomala cicatrizzazione delle
ferite V + VIII Carenza
multipla dei
fattori vitamina
K-dipendenti
15-20%
36 h In casi
selezionati
40-60 h 15-20%
Concentrati
del complesso
protrombinico
Sì
No dati
40-70 h 2-5%
Sì
11-14 giorni
Emorragie dal tratto mucoso
15-20%
Emorragie dal cordone ombelicale,
emorragie cerebrali 15-20%
No per FV,
Sì per FVIII;
desmopressina
utile
Concentrati
del complesso
protrombinico
Profilassi
raccomandata
in tutti i pazienti
con difetto
severo
No dati
No dati
36 h per il FV e
10-14 h per FVIII Vedi i fattori
coinvolti
(II,VII,IX,X) * La carenza di FV è l’unica MEER per la quale non esista un concentrato plasmaderivato
Il plasma fresco congelato, oggi anche virus-inattivato, è utilizzabile in tutte le MEER, tipicamente ad un dosaggio di 15-20 ml/kg
#
trattamento o profilassi durante procedure chirurgiche. Bisogna, tuttavia, sottolineare che spesso la
storia emorragica di questi soggetti con carenza parziale non è caratterizzata per quanto riguarda il
numero, la tipologia e la severità di tali eventi emorragici con strumenti oggettivi, come ad esempio lo
score emorragico utilizzato in uno studio Europeo nei pazienti con malattia di von Willebrand di tipo 1
(5). La rarità delle MEER richiede che tali pazienti siano seguiti presso Centri specializzati per garantire un approccio terapeutico globale ed un accesso facilitato a terapie non sempre immediatamente
e largamente disponibili altrove.
Chirurgia e profilassi secondaria nelle meer
La chirurgia e le manovre invasive nei pazienti con MEER sono oggi relativamente semplici da gestire,
sempre che sia somministrata una sufficiente quantità di fattore carente attraverso la terapia sostitutiva, che deve essere adeguata anche nei tempi decisi sulla base della entità e tipo di sanguinamento,
della procedura chirurgica e dell’emivita del fattore carente. La disponibilità di concentrati specifici di
fattore carente ha reso la terapia sostitutiva più semplice e sicura (1). Tuttavia, nelle rare situazioni in
cui non sia disponibile alcun concentrato (ad es., carenza di FV) il trattamento può richiedere l’uso
ricorrente e in tempi ristretti di significativi volumi di plasma, con possibili rischi di sovraccarico circolatorio, in particolare durante la chirurgia.
Attualmente, la profilassi secondaria (cioè dopo l’occorrenza di almeno 1-2 episodi emorragici articolari) sta rivestendo un ruolo sempre più rilevante nel trattamento dell’emofilia grave dopo la dimostrazione che tale approccio migliora in maniera significativa la qualità di vita e la funzionalità articolare nei
20
Focusemostasi
pazienti pediatrici trattati con infusioni regolari di FVIII rispetto ai pazienti trattati “on-demand”, anche
se con dosi e numero di infusioni maggiori di quanto comunemente adottato (6). Anche se l’utilità di
tale approccio nella maggior parte dei pazienti con MEER non è stato formalmente dimostrato tramite
studi controllati, ci sono, tuttavia, solide evidenze per la sua raccomandazione, almeno per alcune di
esse.
Naturalmente la decisione di adottare un regime di profilassi secondaria dipende dal soddisfacimento
di alcune condizioni preliminari. I presupposti clinici all’adozione della profilassi nei pazienti con MEER
sono rappresentati dalla frequenza e gravità degli episodi emorragici, dal rischio di emorragie spontaneee, potenzialmente fatali, e il rischio di disabilità a lungo termine causate dall’occorrenza dell’evento
emorragico in particolari distretti dell’organismo nonostante un’adeguata terapia “on-demand” (ad
es., emorragie articolari). Vi sono, inoltre, situazioni che non sono caratterizzate da un rischio emorragico, ma per le quali l’adozione della profilassi con il fattore carente consente la possibilità di portare
a termine le gravidanze nelle donne con MEER prevenendo gli aborti precoci come nelle donne con
afibrinogenemia (7) o difetto di FXIII (8).
Oltre a ciò, la disponibilità, la sicurezza e l’efficacia del materiale terapeutico assume un aspetto rilevante, assieme alle caratteristiche di emivita del fattore trasfuso. La produzione di concentrati facili
da ricostituire e somministrare e in grado di consentire livelli adeguati di fattore carente in un volume
di pochi millilitri ha rappresentato il progresso decisivo nel trattamento dell’emofilia, rispetto ai grandi
volumi di plasma richiesti per ottenere analoghi livelli circolanti di fattore carente. Inoltre, a differenza
del crioprecipitato, che è ancora usato, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo per alcune MEER,
questi concentrati plasmaderivati possono essere virus-inattivati. Non tutte le MEER possono essere
trattate con un concentrato plasmaderivato (ad es., la carenza di FV) e per alcune di loro non vi sono
concentrati specifici esclusivamente del fattore carente (ad es., concentrato di FX).
Dall’altro lato, devono essere prese in considerazione anche gli aspetti legati alla sicurezza dato che
sono stati descritti eventi trombotici associati all’uso di alcune concentrati (9). Infine, in alcune situazioni come il difetto di FXI i possibili vantaggi e svantaggi del trattamento sostitutivo dovrebbero
essere considerati alla luce del rischio e possible gravità delle complicanze emorragiche rispetto al
rischio di insorgenza di inibitori (10).
Passeremo ora in rassegna le principali MEER descrivendo le manifestazioni cliniche più tipiche, le
opzioni terapeutiche e il ruolo della profilassi secondaria.
Afibrinogenemia
Il fibrinogeno è una complessa glicoproteina adesiva coinvolta nella fase finale del processo coagulativo come substrato della trombina nella generazione di fibrina. Inoltre, il fibrinogeno è richiesto per
l’aggregazione piastrinica in cui interviene legandosi alla glicoproteina IIb/IIIa (aIIbb3) esposta sulla
superficie della membrana piastrinica dopo l’attivazione delle piastrine stesse (11). Esso è sintetizzato prevalentemente nel fegato ed è secreto come un esamero composto da da due dimeri uguali,
ciascuno con 3 catene polipeptidiche: Aa (67 kDa, di 610 residui aminoacidici), Bb (57 kDa, di 461
residui aminoacidici) e g (47 kDa, di 411 residui aminoacidici) (11).
Ciascuna catena è codificata da geni separati, raggruppati in una regione di circa 50 Kb sul cromosoma 4 (4q31.3). Il gene della catena A (FGA) è composto di 6 esoni per una totale di circa 7.5
Kb ed è situato tra il gene della catena g (FGG) (10 esoni, 8.5 Kb) ed il gene della catena B (FGB)
(8 esoni, 8 Kb) (11).
La conversione del fibrinogeno in fibrina avviene per opera della trombina che cliva selettivamente
dall’estremità NH2 terminale sita nel centro della molecola il fibrinopeptide A (catena Aa, tra Arg16 e
Gly17) e il fibrinopeptide B (catena Bb, tra Arg14 e Gly15) (10). Il loro rilascio determina la generazione dei monomeri di fibrina la cui polimerizzazione darà luogo alla fibrina, successivamente stabilizzata
dall’azione del FXIII (11).
Focusemostasi
21
I disordini ereditari del fibrinogeno sono suddivisi a seconda della carenza quantitativa pressoché
totale (afibrinogenemia) o parziale (ipofibrinogenemia) o della presenza di una molecola anomala
circolante (disfibrinogenemia) (11). L’ipofibrinogenemia (fibrinogeno >50-100 mg/dL) rappresenta
lo stato di eterozigosi per afibrinogenemia, è spesso causata da mutazioni eterozigoti di tipo null e
solitamente non determina un aumentato rischio emorragico, al contrario della diatesi emorragica
severa solitamente manifestata dai pazienti afibrinogenemici.
I pazienti con afibrinogenemia possono presentare sanguinamento dal cordone ombelicale, emartri
recidivanti, sanguinamenti mucosi e aborti ricorrenti. Non infrequenti sono gli emoperitonei da rottura
del corpo luteo (12) o le emorragie cerebrali. Tuttavia, tali sintomi non presentano la frequenza tipica
dell’emofilia grave e, pertanto, la profilassi con il concentrato del fattore carente non è applicata estensivamente. Sanguinamenti post-chirurgici sono stati osservati in circa il 40% degli afibrinogenemici
non trattati e pertanto la profilassi anti-emorragica è sempre raccomandata in queste situazioni (13).
È generalmente ritenuto, in assenza di studi controllati, che un livello di fibrinogeno >50 mg/dl rappresenti la soglia minima da ottenere e che livelli attorno ai 100 mg/dl dovrebbero comunque essere
mantenuti con infusioni regolari di concentrato di fibrinogeno o crioprecipitato. Una recente survey di
Peyvandi et al. (14) ha raccolto dati su procedure chirurgiche in pazienti afibrinogenemici trattati con
concentrato (52%) o crioprecipitato (42%), con risultati eccellenti in più del 90% delle procedure.
Inoltre, 19 pazienti sono stati posti in profilassi secondaria per eventi emorragici gravi ricorrenti o per
emorragie pericolose per la vita, 59% dei quali con infusione settimanale di concentrato o crioprecipitato. Sono stati osservati solo pochi episodi emorragici intercorrenti probabilmente dovuti ad un
inadeguato dosaggio o ad un intervallo di tempo eccessivo tra le infusioni. Rimane quindi da stabilire con certezza la migliore tempistica nella profilassi di questi pazienti. Esistono diversi concentrati
plasmaderivati ed in Italia è attualmente disponibile Haemocomplettan P (CSL Behring, Germania),
grazie a specifiche determine autorizzative rilasciate da AIFA (Tabella 2).
Le pazienti afibrinogenemiche possono concepire, ma si considera necessaria la profilassi con il concentrato durante la gravidanza per impedire il verificarsi di aborti precoci, mantenendo sempre livelli
>50 mg/dl (7). Raramente in queste pazienti si possono verificare fenomeni trombotici, sia venosi
che arteriosi, anche non in corso di terapia sostitutiva, che sono stati ascritti ad una esaltata attività
trombinica dovuta al mancato adsorbimento della trombina stessa da parte del fibrinogeno (15,16).
Carenza di FVII
Il FVII è una glicoproteina vitamina K-dipendente di circa 50 KDa, che circola nel plasma soprattutto
come zimogeno (≈0.5 µg/ml) e in piccole quantità come forma attiva (50-100 pmoli/l) in grado di
complessarsi con il fattore tissutale (17). Il gene del FVII è localizzato sul cromosoma 13 (13q34) e
Tabella 2. Concentrati di fibrinogeno e fattore XI attualmente disponibili
Fattore
Fibrinogeno
(Haemocomplettan HS)
Fibrinogeno (Clottagen)
Fibrinogeno
Fibrinogeno (Fibroraas)
Fattore XI
Fattore XI (Hemoleven)
22
Focusemostasi
Produttore
Frazionamento
Inattivazione virale
Commenti
CSL Behring, Marburg,
Germania
LFB, Les Ulis, Francia
Precipitazioni multiple
Pastorizzazione a 60°C
per 20 ore
TNBP/polisorbato 80
Aggiunta di Albumina
Calore secco, 80°C per
72 ore
-
TNBP/polisorbato 80
Calore secco, 80°C per
72 ore
TNBP/polisorbato e
nanofiltrazione a 15 nm
Aggiunta di eparina ed
antitrombina
Aggiunta di eparina,
antitrombina e inibitore
del C-1 esterasi)
SNBTS, Edinburgo,
Scozia
RAAS, Shangai, Cina
Bio Products
Laboratory
LFB, Francia
Crioprecipitazione,
adsorbimento su gel di
idrossido di alluminio,
cromatografia a scambio
anionico
Precipitazioni multiple,
cromatografia a scambio
ionico
Frazionamento multiplo
Cromatografia di affinità su
eparina-sefarosio
Dialisi e cromatografia a
scambio cationico
-
Tabella 3. Considerazioni sul materiale terapeutico per la terapia della carenza di FVII
Materiale
Potenza (UI/ml)
Vantaggi
Svantaggi
Plasma fresco congelato
1
Costo ridotto e facilmente
disponibile
Rischio di trasmissione virale;
sovraccarico circolatorio, non
maneggevole per la chirurgia maggiore
Plasma fresco congelato
virus-inattivato
Concentrati di complesso
protrombinico
1
Ridotto rischio di trasmissione
virale
Ridotto rischio di trasmissione virale;
utilizzabile per la chirurgia
Sovraccarico circolatorio, non utilizzabile
per la chirurgia maggiore
Presenza di altri fattori vit. K-dipendenti;
rischio di trombosi
Ridotto rischio di trasmissione virale;
utilizzabile per la chirurgia; efficacia
comprovata
Nessun rischio di trasmissione virale;
estremamente efficace
Alte concentrazione di altri fattori
vit.K-dipendenti ed inibitori fisiologici
Concentrato di FVII
plasmaderivato
rFVIIa
5-10
20-30
>25.000
Costo elevato
consiste di 9 esoni che codificano una proteina di 406 aminoacidi. La carenza di FVII rappresenta
la più frequente MEER, con una prevalenza stimata di 1 caso ogni 300.000-500.000 abitanti (1,17).
La storia emorragica è eterogenea e può andare dal verificarsi di emorragie cerebrali neonatali sino
all’assenza di sanguinamenti eccessivi dopo eventi scatenanti (18).
In parte questa variabilità può trovare spiegazione nell’alta prevalenza di molecole con alterata funzione e normale concentrazione (cross-reacting material positive, CRM+), spesso asintomatiche e
che possono essere identificate fenotipicamente esclusivamente tramite l’uso nei test diagnostici di
tromboplastina di differente origine animale. Inoltre, recenti studi hanno inoltre dimostrato l’effetto
modulatorio di alcuni polimorfismi protrombotici sia in vivo che in vitro nell’influenzare l’espressività
clinica in questi pazienti (19,20).
Il materiale terapeutico per la terapia della carenza di FVII appare ricco e variegato (Tabella 3). Il FVIIa
ricombinante è stato usato in numerose occasioni per il trattamento e la prevenzione delle emorragie post-chirurgiche. Solitamente dosi di circa 25 µg/kg ogni 3-4 ore per il primo giorno e quindi
ad intervalli più lunghi (6-8 ore) e a dosaggi inferiori per il rimanente periodo post-chirurgico sono
risultate efficaci (17). Queste infusioni ravvicinate si rendono necessarie per la breve emivita del FVII,
circa 3-4 ore, la più breve tra i fattori della coagulazione (Figura 1). Teoricamente questa breve emivita
dovrebbe impedire l’utilizzo del FVII per regimi di profilassi secondaria, data la necessità di ripetute
infusioni giornaliere per mantenere livelli emostaticamente efficaci di VII, almeno del 10-15% (17).
Sorprendentemente, ci sono state descrizioni di pazienti pediatrici con emartri ricorrenti o emorragie
cerebrali sottoposti con successo a profilassi con due o tre somministrazioni settimanali di concentrato plasmaderivato di FVII (10-50 U/kg) o di concentrato di FVIIa ricombinante (1.2–4.8 mg) (21-13).
Saranno necessari, tuttavia, ulteriori studi per stabilire su più larga scala la validità di questo approccio
per la profilassi.
Donne con difetto severo di FVII e storia emorragica presentano un rischio significativo di emorragia
post-partum e pertanto necessitano di trattamento profilattico al parto (24-27) possibilmente con
rFVIIa alla dose di 15–30 μg/kg (28).
Carenza di FX
Il FX è una proteasi vitamina-K dipendente sintetizzata dal fegato e secreta nel plasma come zimogeno composto da due catene (leggera e pesante), con una concentrazione di circa 10 μg/ml.
Il FX è attivato dal FIXa o dal FVIIa attraverso il clivaggio della sequenza Arg194-Ile195 nella catena
pesante (29). Il gene che codifica per il FX è situato sul braccio lungo del cromosoma 13 (13q34),
adiacente al gene del FVII, e consiste di 8 esoni per un totale di sequenza genomica di circa 27 kb
(29). La carenza ereditaria di FX è una delle più rare MEER e vi è scarsa correlazione con il fenotipo
di laboratorio (4). Tuttavia, in questa malattia non sono rari i sanguinamenti dal cordone ombelicale e
gli emartri ricorrenti (Figura 2).
Focusemostasi
23
isterectomia
FVII 1.8 U/dl; F7 mutazione R247C/C310F
3
INR
2.5
rFVIIa 20 µg/kg
rFVIIa 10 µg/kg
2
1.5
1
0.5
0
0
4
8
12 24 30 38 48 72 96
Ore
Figura 1. Intervento di isterectomia laparotomica in una paziente con carenza grave di FVII con l’utilizzo di rFVIIa.
Nel registro Tedesco Greisfwald, iniziato nel 1998, sono stati arruolati 102 pazienti con storia clinica
di variabile severità. Trentaquattro di loro sono stati trattati per eventi emorragici severi o per profilassi
chirurgica, con risultati eccellenti. Sette pazienti (6 bambini), tutti con livelli di FV <1%, sono stati posti
in profilassi con un concentrato (FX P, CSL Behring, Germania) caratterizzato da un alto contenuto di
90
FX
Frequenza dei sintomi emorragici (%)
80
FVIII
70
60
50
40
30
20
10
om Co
be rdo
lic ne
ale Ca
vo
or
ale
li
Ce
re
b
ra
i
M
us
co
lar
tri
ar
Em
G
en as
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Em
at
ur
ia
Ep
ist
as
si
0
Figura 2. Frequenza dei sintomi emorragici nei pazienti con carenza severa di FX confrontati con le frequenze osservate in un
gruppo di pazienti con emofilia A grave. Va osservato che in genere gli eventi emorragici sono ricorrenti più frequentemente
negli emofilici rispetto ai pazienti con carenza di FX.
24
Focusemostasi
FX, nominalmente 600-1.200 UI, oltre a FIX, (AT-III ed eparina tra gli eccipienti) a una dose di 10-20
U/Kg due/tre volte la settimana per ematomi o emartri ricorrenti (>20 episodi all’anno), risultando in
una drastica riduzione del numero e della severità degli episodi emorragici (30). Anche se la necessità
di adottare programmi di profilassi sembra piuttosto rara nella carenza di FX, la letteratura suggerisce
che questo approccio è quantomeno efficace e sicuro in casi selezionati.
Carenza di FXI
Il fattore XI (FXI) è lo zimogeno di una proteasi sierinica che nella sua forma attivata (FXIa) catalizza la
conversione del FIX nella sua forma attiva (FIXa) (31). Il FXI, prodotto dagli epatociti, è una glicoproteina di 160 kDa composta di due identiche catene polipeptidiche di 80-kDa, circolante nel plasma in
un complesso non-covalente con il chininogeno ad alto peso molecolare (HMWK) (31). La proteina
matura è composta di 607 aminoacidi ed un peptide di segnale di 18 aminoacidi. In seguito all’attivazione mediata dalla trombina, il FXII attivato o il FXI stesso catalizzano la conversione dl FIX a forma
attiva nel consolidamento della fase iniziale del processo coagulativo (31).
Il gene del FXI nell’uomo (F11) comprende 15 esoni, e copre una regione di circa 23 kb sul braccio
lungo del cromosoma 4 (4q35.2) (17). La carenza di FXI è una rara malattia recessiva della coagulazione causata da mutazioni nel gene del FXI. Questo disordine è particolarmente frequente fra gli
Ebrei Ashkenazi, con una eterozigosi del 9% (32). Due mutazioni, denominate tipo II (E117X) e tipo
III (F283L) rappresentano il 98% degli alleli in queste popolazioni (33). Solitamente gli omozigoti e gli
eterozigoti compositi presentano livelli di FXI <15 U/dl (33).
La tendenza emorragica nei pazienti con difetto di FXI correla scarsamente con i livelli plasmatici e gli
episodi emorragici sono raramente spontanei e solitamente associati a trauma o chirurgia, specialmente orale, urologica o ginecologica (34).
Un importante contributo alla delucidazione del rischio emorragico durante chirurgia nei pazienti
con carenza di FXI è stato fornito recentemente da Salomon et al. (35). Questi Autori hanno rivisto
gli interventi chirurgici eseguiti senza profilassi antiemorragica, compreso l’uso di acido tranexamico,
nei pazienti con carenza dovuta ad omozigosi o eterozigosi composita. La tonsillectomia, la chirurgia
nasale e orale, le estrazioni dentarie e gli interventi alla prostata erano complicati da emorragie nel
53% delle 152 procedure totali, mentre l’appendicectomia, la chirurgia addominale, l’ernia inguinale,
le fratture ossee, l’isterectomia e la circoncisione erano complicate da emorragia solo nel 6.5% delle
122 procedute totali (35).
L’infusione di 15-20 ml/kg di plasma fresco congelato virus-inattivato a giorni alterni (l’emivita del FXI
è di circa 40–70 ore) è solitamente sufficiente a raggiungere livelli di FXI di 15-20% nei pazienti con
difetto severo (1). Alcuni Autori suggeriscono di iniziare il trattamento nella chirurgia elettiva 12-24
ore prima. In Francia e Gran Bretagna sono stati prodotti concentrati commerciali (Tabella 2), il cui uso
inizialmente si è dimostrato associarsi a fenomeni tromboembolici o di coagulazione intravascolare
disseminata, o comunque a segni biochimici di attivazione significativa della coagulazione (9,36,37).
L’aggiunta di eparina e inibitori delle proteasi sembra avere minimizzato il rischio di tali complicanze.
Tuttavia, è consigliabile evitare dosi maggiori di 30 U/kg e il livello di FXI al picco nei pazienti severi
dovrebbe essere compreso tra 50 e 70 U/dl. Particolare cautela dovrebbe essere posta nei pazienti
anziani con fattori di rischio cardiovascolari concorrenti e la somministrazione considerata di eparina
a basso peso molecolare a bassi dosaggi. In situazioni chirurgiche ad alto rischio il monitoraggio dei
marker trombotici potrebbe essere utile.
I farmaci antifibrinolitici dovrebbero essere evitati in corso di chirurgia trattata con concentrati di
FXI, mentre essi risultano particolarmente utili nei pazienti sottoposti a chirurgia orale. In uno studio
recente, 19 pazienti con precedente storia emorragica e livelli basali di FXI <14 U/dl vennero trattati
con acido tranexamico a cominciare da 12 ore prima della procedura e per 7 giorni successivamente.
Solo 1 paziente ebbe un sanguinamento in 3a giornata, risoltosi spontaneamente (38). Un eccessivo
sanguinamento post-partum è stato osservato in 16% (4/25) parti occorsi in 11 donne con difetto seFocusemostasi
25
vero di FXI, mentre non vi sono state complicanze in 5 donne trattate con terapia sostitutiva (39). Uno
studio in 105 gravidanze occorse a 33 donne ha dimostrato che la presenza di emorragia post-partum
era associata alla presenza di storia emorragica (40) e uno studio Israeliano ha evidenziato che il 69%
di 43 donne, per un totale di 164 gravidanze, non hanno mai avuto emorragie in 93 gravidanze (inclusi
8 parti cesarei) espletate senza profilassi (41). Tuttavia, un sanguinamento eccessivo si è verificato in
24% (32/132) dei parti per via vaginale e 17% (2/12) dei parti via taglio cesareo non sottoposti a profilassi con plasma fresco congelato. Il rischio di sanguinamento non era correlato al tipo di mutazione
genetica osservata. Tuttavia, le donne con storia di emorragie post-chirurgiche erano più a rischio di
emorragia post-partum (41).
Lo sviluppo di inibitori contro il FXI in pazienti con difetto severo di FXI, sottoposti a trattamento con
plasma fresco congelato può non essere raro e sembra particolarmente associato con la mutazione
Glu117stop in omozigosi (10). Questi inibitori possono alterare l’attivazione trombino-dipendente del
FXI o da parte del FXIIa, oppure l’attivazione del FXI da parte del FXIa (10). È consigliabile una attenta
valutazione del rapporto rischio/beneficio nel singolo paziente prima di utilizzare i concentrati di FXI
o il plasma fresco congelato. Sono state comunque riportate esperienze di trattamento efficace con
rFVIIa di pazienti con carenza congenita di FXI ed inibitori (17).
Carenza di FXIII
Il FXIII è una transglutaminasi che in presenza di Ca++ e trombina introduce legami g-glutamil-e-lisina
permettendo il cross-link delle catene a- e g presenti nella fibrina, così rendendola insoluble e resistente alle forze meccaniche (42). Il FXIII è un eterotetramero composto di 4 subunità (A2B2), tenute
assieme da legami noncovalenti. La funzione catalitica è esplicata dalla subunità A, mentre la subunità
B agisce da carrier (43).
Il gene della subunità A è situato sul cromosoma 6 (p24-25) ed è composto di circa 160 Kb. Esso
consiste di 15 esoni che codificano una proteina matura di 731 aminoacidi (44). Il gene della subunità
B è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1 (q32-32.1) e contiene 12 exons codificanti per una
proteina matura di 641 aminoacidi (44). La carenza ereditaria di FXIII è una rara malattia emorragica
caratterizzata da una diatesi emorragica presente anche fin dalla nascita con il sanguinamento dal
taglio del cordone ombelicale (44-46). Gli emartri sono rari, mentre tipici sono gli aborti precoci ricorrenti e le emorragie spontanee cerebrali e retroperitoneali (44,45,47).
Vi sono due tipi di carenza di FXIII: la carenza di XIIIA, caratterizzata da mutazioni nel gene della subunità A, e la carenza di XIIIB, molto rara, caratterizzata da mutazioni nel gene della subunità B. Come
conseguenza, i pazienti con carenza di XIIIA non hanno subunità A misurabile rilevabile nel plasma e
livelli lievemente ridotti o normali di subunità B (solitamente 40-50%), mentre i pazienti con carenza
grave di subunità B hanno una marcata e consensuale riduzione di entrambe le subunità.
La clinica nei pazienti con carenza grave, solitamente da omozigosi o in minor misura da eterozigosi
composita nel gene della subunità A, è tipica e i pazienti solitamente (circa 75% dei casi) presentano emorragia dal cordone ombelicale, emorragie retroperitoneali nella prima infanzia ed un elevato
rischio di emorragie spontanee cerebrali.
In alcuni, si osserva anche una anomala cicatrizzazione delle ferite. L’emivita del FXIII come attività
transglutaminasica è la più lunga fra tutti i fattori della coagulazione (circa 10-14 giorni) e livelli circolanti di 2-5% sono sufficienti a prevenire le emorragie spontanee ed il rischio di aborti precoci (48).
Le esperienze accumulate con la profilassi secondaria sono tra le più storicamente documentate, con
risultati eccellenti.
La profilassi sia con plasma, crioprecipitato o concentrato di FXIII (Fibrogammin P, CSL Behring,
Marburg) ha consentito la gravidanza a termine in numerose donne con carenza di FXIII. Nella nostra
esperienza sono state somministrate >2000 infusioni di concentrato di FXIII (solitamente ad un dosaggio di 10-20 U/kg ogni 4 settimane, con dosaggi maggiori nei bambini) in 6 pazienti con carenza
di FXIII per un periodo fino a 20 anni di durata senza eventi avversi significativi. Non si sono osservate
26
Focusemostasi
complicanze emorragiche e una dose singola di 20-30 U/kg è risultata sufficiente nella profilassi degli
interventi chirurgici o procedure invasive. Recentemente, uno studio Francese ed uno Americano
hanno sostanzialmente confermato questo profilo di efficacia e sicurezza terapeutica (49,50). Ottanta
pazienti (61 negli USA e 19 in Francia) sono entrati in un programma di profilassi continuativa per un
periodo massimo di 8 anni di follow-up.
Non si sono osservati inibitori e solo sporadici effetti collaterali minori (soprattutto cefalea e mialgie),
senza alcuna sieroconversione per i principali virus trasmessi con il sangue. Nello studio Americano
sono stati osservati 5 episodi emorragici per mancata compliance al programma di profilassi (50).
In conclusione, questi dati confermano che la profilassi nella carenza severa di FXIII è fortemente
raccomandabile per il suo profilo di efficacia, sicurezza che permette un drastico miglioramento della
qualità di vita del paziente.
Miscellanea
La carenza di protrombina è dovuta a un difetto della sintesi della protrombina o fattore II (FII),
dovuto a una mutazione nel gene del fattore sul cromosoma 11 (11p11.2, 20.3 Kb), che raramente
può essere quantitativo (ipoprotrombinemia), più frequentemente qualitativo (disprotrombinemia).
Questa rara affezione è ereditata come carattere autosomico recessivo, e si presenta negli omozigoti,
ma anche negli eterozigoti compositi per la coesistenza delle mutazioni per l’ipoprotrombinemia e
della disprotrombinemia. La sintomatologia emorragica (emorragie mucose o post-traumatiche) si
presenta solo nella condizione di omozigosi o eterozigosi composita, e in genere non è di grave entità.
Gli eterozigoti sono in genere asintomatici. La terapia degli episodi emorragici consiste nell’infusione
sostitutiva, un tempo con plasma fresco congelato, attualmente con concentrati di complesso protrombinico virus-inattivati. Un livello di protrombina superiore al 10% è sufficiente a garantire l’emostasi, tuttavia si consiglia di raggiungere livelli attorno al 30-40% in caso di chirurgia maggiore. La
vitamina K è inefficace.
La carenza di FV è dovuta a mutazioni nel gene del FV di 72.3 Kb, localizzato nel cromosoma
1q24.2). Il difetto si traduce in una carenza di FV plasmatico di grado variabile, dal 10% a meno
dell’1% della norma; assieme ad esso è carente anche il FV associato alle piastrine. La sintomatologia
clinica emorragica è scarsamente correlata con il livello di FV plasmatico, e consiste in ecchimosi
post-traumatiche, sanguinamenti mucosi, epistassi e metrorragie; sono anche descritti emartri ed
ematomi profondi. La carenza di FV è l’unica MEER per la quale non sia attualmente disponibile un
concentrato per il trattamento. L’opzione terapeutica è rappresentata dall’uso del plasma fresco congelato virus-inattivato ad una dose di 15-20 ml/kg per mantenere livelli di FV >20 U/dl (1). Il rischio
di sovraccarico circolatorio deve essere tenuto in considerazione durante la chirurgia per la necessità
di ripetere in tempi ravvicinati le infusioni, anche se l’emivita di circa 36 ore del FV consente di dilazionare il timing delle infusioni.
La carenza di FV e FVIII è una rara coagulopatia nella quale i pazienti presentano livelli ridotti, ma
misurabili (tra 5% e 20%) di entrambi i fattori. La diagnosi si pone in presenza di un allungamento
sia del PT che del PTT associati in genere a sanguinamenti di tipo mucoso. In circa 2/3 dei casi le
mutazioni responsabili sono localizzate in un gene sito sul cromosoma 18 che codifica per una lectina
che lega il mannosio (LMAN1, lectin mannose-binding protein) (1,17). Tale proteina lega sia il FV che
il FVIII nel reticolo endoplasmico, trasportandoli intracellularmente. La terapia consiste nell’utilizzo del
plasma fresco congelato virus-inattivato (15-20 ml/kg) e nell’uso della desmopressina (0.3 mg/kg),
che ha la capacità di far aumentare i livelli di FVIII (1).
La carenza multipla dei fattori vit. K-dipendenti è molto rara e le sue basi molecolari sono prevalentemente rappresentate da mutazioni missenso nel gene della g-glutammil carbossilasi (GGCX)
Focusemostasi
27
sito sul cromosoma 2, con produzione di enzimi disfunzionali. In questo gruppo, il difetto riguarda
non solo i FII, FVII, FIX, e FX, ma anche la Proteina C e S, anch’esse vit. K-dipendenti. La carenza può
variare da <1% a 30% nel plasma. Le manifestazioni cliniche nelle carenze severe avvengono in età
precoce, come il sanguinamento dal cordone ombelicale o le emorragie cerebrali. La terapia consiste
nell’utilizzo dei concentrati di complesso protrombinico o nel plasma fresco congelato virus-inatttivato
in modo da ottenere livelli dei fattori carenti almeno del 15-20%. A questo proposito si segnala che
il concentrato protrombinico Confidex (CSL Behring, Germania) sottoposto a trattamento termico di
pasteurizzazione e di nanofiltrazione, contiene 4 fattori, II, VII, IX e X, con quantità standardizzate
di proteina S e C.
Conclusioni
Nei Paesi Occidentali, la disponibilità di concentrati plasmaderivati virus-inattivati di fattore carente e
l’uso di plasma fresco congelato virus-inattivato ha migliorato in maniera significativa la qualità di vita
dei pazienti con MEER, permettendo il trattamento efficace della stragrande maggioranza dei sintomi
emorragici, la chirurgia e la profilassi in casi selezionati.
Nelle donne con poliabortività dovuta ad alcune di queste carenze, la profilassi periodica in corso di
gravidanza è risultata sicura ed efficace.
Sono in corso di sperimentazione clinica concentrati di fattore ottenuti con le tecniche del DNA ricombinante e questo dovrebbe innalzare ulteriormente la già elevata sicurezza contro le infezioni virali
potenzialmente trasmissibili con gli emoderivati. Tuttavia, un gran numero di questi pazienti vive in
Paesi in via di sviluppo nei quali non è semplice avere accesso ad un efficace e sicuro trattamento e lo
sforzo futuro dovrà essere rivolto a migliorare l’attuale diseguaglianza nelle potenzialità di trattamento
e qualità della vita.
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Focusemostasi
29
Focus Review
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Ultrasound detects joint damage and bleeding in haemophilic arthropathy: a proposal of a
score. Haemophilia 2011;17:112-7
yyO. Salomon, D. M. Steinberg, M. Zucker, D. Varon, A. Zivelin, U. Seligsohn. Patients with severe factor XI deficiency have a reduced incidence of deep-vein thrombosis. Thrombosis and
Hemostasis 2011;105(2):269-73
30
Riassunto delle caratteristiche del prodotto
Helixate® NexGen
Fattore VIII della coagulazione ricombinante
INN: octocog alfa
Riassunto
delle caratteristiche
del prodotto
Helixate® NexGen
Haemate®P - Riassunto delle caratteristiche del prodotto
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE
Haemate P 500 UI/10 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione. Haemate P 1000 UI/15 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Haemate P si presenta come polvere e solvente per soluzione per infusione. HAEMATE P 500 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano: 500 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 1200 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina) (VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, Haemate P 500 contiene approssimativamente 50 U.I./mL (pari a 500 U.I./10
mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 120 U.I./mL (pari a 1200 U.I./10 mL) di Fattore von Willebrand
(VWF) da plasma umano. HAEMATE P 1000 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano:
1000 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 2400 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina)
(VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili Haemate P 1000 contiene approssimativamente
66,6 U.I./mL (pari a 1000 U.I./15 mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 160 U.I./mL (pari a 2400 U.I./15
mL) di VWF da plasma umano. L’attività (U.I.) del Fattore VIII è determinata utilizzando il test cromogenico secondo Farmacopea
Europea. L’attività specifica di Haemate P è di circa 2-6 U.I. di FVIII/mg di proteina. L’attività specifica di Haemate P come fattore von
Willebrand è approssimativamente pari a 3-17 U.I. di VWF:RCo/mg di proteina. Per l’elenco degli eccipienti, vedere sezione 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento e profilassi di emorragie in caso di: - emofilia A (carenza congenita di fattore VIII)
- carenza acquisita di fattore VIII. Trattamento di pazienti con anticorpi anti-fattore VIII (inibitori) (vedere anche 4.2.1). Profilassi
e trattamento delle emorragie nella malattia di von Willebrand (VWD).
4.2. Posologia e metodo di somministrazione. Il trattamento dell’emofilia A e della malattia di VWD deve essere
effettuato sotto la supervisione di un medico esperto nel trattamento dei disordini dell’emostasi. Non sono disponibili dati clinici
sufficienti per l’impiego di Haemate P nei bambini.
4.2.1. Posologia. Emofilia A. La posologia e la durata della terapia sostitutiva dipendono dalla gravità della carenza di Fattore VIII,
dalla localizzazione e dall’entità dell’emorragia nonché dalle condizioni cliniche del paziente. Il numero delle unità di Fattore VIII da
somministrare è espresso in Unità Internazionali (U.I.), con riferimento allo standard attualmente vigente dell’OMS (WHO) per prodotti di Fattore VIII. L’attività di Fattore VIII nel plasma è espressa in percentuale (relativa al plasma umano normale) oppure in U.I. (in
conformità allo Standard Internazionale per il Fattore VIII nel plasma). Una unità internazionale di attività di Fattore VIII è equivalente
alla quantità di Fattore VIII in un mL di plasma umano normale. Il calcolo della dose necessaria di Fattore VIII è basato sul reperto empirico che 1 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo aumenta l’attività di Fattore VIII nel plasma di circa il 2% dell’attività normale
(2 U.I./dL). La dose necessaria viene determinata usando la seguente formula: Unità richieste = peso corporeo [kg] x aumento
desiderato di Fattore VIII [% o U.I./dL] x 0.5. La frequenza della somministrazione dovrebbe sempre essere basata sull’efficacia clinica ottenuta nei singoli casi. Nel corso del trattamento, è consigliabile eseguire un’appropriata determinazione dei livelli di Fattore
VIII per stabilire la dose da somministrare e la frequenza di ripetizione delle infusioni. In particolare, in caso di interventi di chirurgia
maggiore, è indispensabile eseguire un attento monitoraggio della terapia sostitutiva per mezzo della determinazione dell’attività
plasmatica del Fattore VIII. Singoli pazienti possono presentare variabilità nella propria risposta al Fattore VIII, raggiungendo livelli
differenti di recupero in vivo e differente emivita. Per la profilassi a lungo termine di emorragie in pazienti affetti da emofilia A
grave, le dosi usuali sono da 20 a 40 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo ad intervalli di 2-3 giorni. In alcuni casi, soprattutto
nei pazienti più giovani, possono rendersi necessari intervalli più brevi o dosi più elevate. I pazienti devono essere monitorati per lo
sviluppo di inibitori del Fattore VIII. Se non si raggiungono i livelli plasmatici attesi di attività di Fattore VIII o se l’emorragia non è
controllata con una dose adeguata, i pazienti devono essere monitorati per verificare l’eventuale comparsa di inibitore del Fattore
VIII. Nei pazienti con elevati livelli di inibitore, la terapia con Fattore VIII può rivelarsi non efficace per cui devono essere prese in
considerazione altre misure terapeutiche. In questi casi, inoltre, il trattamento deve essere effettuato sotto la responsabilità di
medici esperti nel trattamento dell’emofilia. Si veda anche sezione 4.4. Nel caso dei seguenti episodi emorragici, l’attività del
Fattore VIII non deve scendere al di sotto del livello di attività plasmatica indicato (in % o in U.I./dL) rispetto al livello normale. La
tabella seguente può essere impiegata come riferimento per il dosaggio nel caso di eventi emorragici o di interventi chirurgici:
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Emartro in fase iniziale, emorragie
intramuscolari o della cavità orale
20 - 40
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per almeno 1 giorno fino a che,
a cessazione del dolore, l’episodio emorragico sia risolto o si sia
giunti a guarigione.
Emartri più estesi, emorragie
intramuscolari o ematomi
30 - 60
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per 3-4 giorni o più fino
alla risoluzione del dolore e dell’invalidità acuta.
Emorragie a rischio per la vita
60 - 100
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore, fino alla risoluzione dell’evento.
Emorragia
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Chirurgia minore,
estrazioni dentarie incluse
30 - 60
Ogni 24 ore, per almeno 1 giorno, fino al raggiungimento
della guarigione.
Chirurgia maggiore
80 - 100
(pre- e post-operatorio)
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore fino al raggiungimento di
un’adeguata cicatrizzazione; successivamente continuare la terapia
per almeno 7 giorni per mantenere una attività di Fattore VIII
compreso tra il 30-60% (U.I./dL).
Chirurgia
Malattia di von Willebrand La somministrazione di 1 U.I./kg di VWF:RCo determina, in genere, un aumento del titolo di
VWF:RCo in circolo pari a 0,02 U.I./mL (2 %). Devono essere conseguiti livelli di VWF:RCo > 0,6 U.I./mL (60%) e di FVIII:C > 0,4
U.I./mL (40%). Di norma, per il conseguimento dell’emostasi si raccomanda la somministrazione di 40-80 U.I./kg di VWF:RCo e
di 20-40 U.I. di FVIII:C/kg di peso corporeo. La somministrazione di una dose iniziale di 80 U.I./kg di Fattore di von Willebrand
può risultare necessaria soprattutto per pazienti con malattia di von Willebrand del Tipo 3: in questo caso, infatti, il mantenimento di titoli adeguati può richiedere il ricorso a dosi più elevate rispetto agli altri tipi della malattia di von Willebrand. Prevenzione dell’evento emorragico in caso di intervento chirurgico o di grave episodio traumatico: per prevenire un eccessivo sanguinamento durante o dopo un intervento chirurgico la somministrazione dovrebbe avvenire 1-2 ore prima dell’intervento stesso.
Dosi adeguate dovrebbero poi essere successivamente somministrate ogni 12-24 ore. La dose da somministrare e la durata del
trattamento dipendono dalla situazione clinica individuale, dal tipo e dalla gravità dell’emorragia e dai livelli di VWF:RCo e di
FVIII:C. Quando si usano preparati di Fattore VIII contenenti Fattore von Willebrand, il medico deve tener presente che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del titolo di FVIII:C. Per evitare un aumento incontrollato di FVIII:C,
dopo 24- 48 ore di trattamento sarebbe opportuno ridurre la dose e/o aumentare l’intervallo di tempo fra le somministrazioni.
Metodo di somministrazione. Il prodotto deve essere ricostituito come descritto al paragrafo 6.6. Prima della somministrazione la preparazione ricostituita deve essere portata a temperatura ambiente o corporea. Iniettare lentamente per via endovenosa, ad una velocità confortevole per il paziente. Nel caso in cui sia necessaria la somministrazione di dosi più elevate di
Fattore VIII, si può procedere mediante infusione, trasferendo il prodotto ricostituito in un sistema per infusione appropriato.
La velocità di iniezione o di infusione non deve eccedere i 4 mL/minuto. Tenere sotto osservazione il paziente per la comparsa
di qualsiasi reazione immediata. Nel caso abbia luogo una qualsiasi reazione correlabile con la somministrazione di Haemate
P, ridurre la velocità di infusione o interrompere la somministrazione a seconda delle condizioni cliniche del paziente (vedere
anche sezione 4.4).
4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità nota ad uno qualsiasi dei componenti del prodotto.
4.4. Avvertenze particolari e speciali precauzioni per l’uso. Come per qualsiasi altro prodotto di origine plasmatica somministrato per via endovenosa, sono possibili reazioni di ipersensibilità di tipo allergico. I pazienti devono essere informati circa
le reazioni di ipersensibilità di tipo immediato, compresi: orticaria, orticaria generalizzata, senso di costrizione toracica, dispnea,
ipotensione ed anafilassi. I pazienti devono essere informati che, in caso di comparsa di questi sintomi, devono interrompere
immediatamente l’utilizzo del prodotto e rivolgersi al proprio medico. In caso di shock devono essere osservate le procedure
mediche standard per il trattamento dello shock. Haemate P contiene fino a 140 mg di sodio per 1000 U.I. Ciò deve essere
tenuto in debita considerazione dai pazienti che seguono una dieta controllata per il sodio. Le misure standard per prevenire
infezioni conseguenti all’uso di prodotti medicinali derivati da sangue o plasma umano comprendono la selezione dei donatori,
il controllo delle donazioni individuali e dei pool di plasma per specifici marcatori di infezione (HbsAg, ed anticorpi HIV e HCV) e
l’adozione di procedure di produzione efficaci per l’inattivazione / rimozione di virus. Ciò nonostante, quando si somministrano
prodotti derivati da sangue o plasma umano, non può essere totalmente esclusa la possibilità di trasmissione di agenti infettivi.
Tale concetto si applica anche a virus sconosciuti o emergenti e ad altri patogeni. Le misure adottate sono considerate efficaci
per i virus capsulati quali HIV, HBV, HCV e per il virus non-capsulato HAV. Le misure adottate possono essere di limitato valore
verso virus non-capsulati quali il parvovirus B19. Le infezioni da parvovirus B19 possono essere gravi per le donne in gravidanza (infezione fetale) e per gli individui con immunodeficienza o aumentata eritropoiesi (per esempio anemia emolitica). Per i
pazienti che ricevono regolarmente / ripetutamente prodotti derivati da plasma umano, deve essere presa in considerazione
l’opportunità di procedere ad un’appropriata vaccinazione (epatite A ed epatite B). Si raccomanda vivamente che ogni volta che
Haemate P è somministrato a un paziente sia registrato il nome e il numero di lotto del prodotto allo scopo di mantenere una
correlazione tra il paziente ed il lotto del prodotto somministrato.
Emofilia A. La formazione di anticorpi neutralizzanti (inibitori) il Fattore VIII è una complicanza nota nel trattamento di soggetti
affetti da emofilia A. Questi inibitori sono generalmente immunoglobuline IgG dirette contro l’attività procoagulante del Fattore
VIII e sono misurati in unità Bethesda (BU) per mL di plasma, utilizzando il test modificato. Il rischio di sviluppare inibitori è correlato all’esposizione al Fattore VIII antiemofilico ed è più elevato entro i primi 20 giorni di esposizione. Raramente gli inibitori
possono svilupparsi dopo i primi 100 giorni di esposizione. I pazienti trattati con Fattore VIII plasmatico umano devono essere
monitorati attentamente per accertare lo sviluppo di inibitori, mediante adeguate valutazioni cliniche e test di laboratorio. Nei
pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche. Vedere anche la sezione 4.8 Effetti indesiderati.
Malattia di von Willebrand. Esiste il rischio che si verifichino episodi trombotici, in particolare in quei pazienti in cui sono
noti fattori di rischio clinico o laboratoristico. Pertanto, i pazienti a rischio devono essere monitorati per accertare l’insorgenza
dei primi segni di trombosi. Se è il caso, deve essere instaurato un regime di profilassi contro il tromboembolismo venoso, in
conformità alle vigenti raccomandazioni. In caso di impiego di prodotti contenenti VWF, il medico curante deve tener presente
che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del livello di FVIII:C. I pazienti che ricevono prodotti di
FVIII:C contenenti VWF, dovrebbero essere attentamente monitorati per evitare un eccessivo aumento dei livelli plasmatici di
FVIII:C, con conseguente aumento del rischio di eventi trombotici. Se richiesto, deve essere considerata l’opportunità di attuare
provvedimenti antitrombotici. I pazienti con malattia di von Willebrand, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare anticorpi
neutralizzanti il VWF (inibitori). Se non vengono raggiunti i livelli attesi di attività di VWF:RCo nel plasma o se la dose necessaria
somministrata non è in grado di controllare efficacemente l’emorragia, sarà opportuno effettuare un test appropriato in modo
da accertare l’eventuale presenza di inibitori del VWF. Nei pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace
e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche.
4.5. Interazioni con altri medicinali e a altre forme di interazione. Non sono note interazioni di Haemate P con altri farmaci.
4.6. Gravidanza ed allattamento. Non sono stati condotti studi sulla riproduzione animale con Haemate P. In considerazione
della rarità dell’occorrenza dell’emofilia A nella donna, non sono disponibili esperienze riguardanti l’impiego di Fattore VIII in
gravidanza e nell’allattamento. La situazione è differente per la malattia di von Willebrand, stante la sua ereditarietà autosomica. Le donne ne sono maggiormente affette degli uomini per la presenza di rischi emorragici specifici, come mestruazioni,
gravidanze, travaglio, parto e complicanze ginecologiche in genere. In base alle esperienze acquisite successivamente alla
commercializzazione del prodotto, risulta che può essere raccomandata la sostituzione di VWF nel trattamento e nella prevenzione di eventi emorragici acuti. Non sono invece disponibili studi clinici concernenti la terapia sostitutiva con VWF durante la
gravidanza o l’allattamento. Pertanto FVIII e VWF dovrebbero essere impiegati durante la gravidanza e l’allattamento soltanto
se specificatamente indicati.
4.7. Effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine. Non sono stati osservati effetti sulla capacità di guidare e
sull’uso di macchinari.
4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati qui riportati si basano sulle esperienze acquisite dalle sperimentazioni cliniche
e dall’esperienza postmarketing. Per registrare la frequenza della comparsa di tali effetti indesiderati sono state adottate le seguenti regole standard: Molto frequente >1/10; Frequente >1/100 e < 1/10; Non frequente >1/1.000 e <1/100; Raro >1/10.000
e <1/1.000; Rarissimo <1/10.000.
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi sono state osservate reazioni da ipersensibilità o di tipo allergico
(che possono comprendere: angioedema, sensazione di bruciore e di puntura nel sito dell’iniezione, brividi, flush, orticaria generalizzata, cefalea, orticaria, ipotensione, letargia, nausea, sensazione di stanchezza, tachicardia, senso di costrizione toracica,
formicolio, vomito, dispnea). In taluni casi è stato osservato un progressivo peggioramento fino ad anafilassi grave (incluso lo
shock). Per la sicurezza nei confronti di patogeni trasmissibili, vedere sezione 4.4.
• Disturbi di carattere generale. In rare occasioni è stato osservato un rialzo della temperatura corporea.
• Disturbi a carico del sistema sanguigno e del sistema linfatico. In caso siano necessarie somministrazioni di dosi molto
elevate o frequentemente ripetute, quando sono presenti degli inibitori o se si attuano provvedimenti pre- e post-chirurgici, è
opportuno tenere sotto attento monitoraggio tutti i pazienti, allo scopo di osservare l’insorgenza dei primi segni di ipervolemia.
Inoltre, i pazienti con gruppi sanguigni A, B e AB devono essere monitorati per accertare la presenza di eventuali segni di emolisi
intravascolare e/o di riduzione del valore dell’ematocrito.
Emofilia A
• Disturbi a carico del sistema immunitario. Pazienti con emofilia A possono sviluppare anticorpi (inibitori) neutralizzanti il
Fattore VIII. La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato.
In tal caso si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia. L’esperienza acquisita dagli studi
clinici con Haemate P in pazienti precedentemente non trattati (PUPs) è molto limitata. Pertanto, non possono essere forniti dati
validati sull’incidenza di specifici inibitori clinicamente rilevanti.
Malattia di von Willebrand
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi pazienti con VWD, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare
anticorpi neutralizzanti il VWF (inibitori). La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato. Tali anticorpi precipitanti possono presentarsi in concomitanza a reazioni anafilattiche. Pertanto,
i pazienti che hanno avuto esperienze di reazioni anafilattiche devono essere valutati per la presenza di inibitori. In tutti questi
casi si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia.
• Disturbi a carico del sistema vascolare. Sussiste il rischio di eventi trombotici, particolarmente in quei pazienti in cui è nota
la presenza di fattori di rischio clinico o laboratoristico. Nei pazienti sotto trattamento con prodotti contenenti VWF, la presenza
di elevati livelli plasmatici di FVIII:C può aumentare il rischio di eventi trombotici (vedere anche sezione 4.4).
4.9. Sovradosaggio. Finora non sono stati segnalati effetti da sovradosaggio di Haemate P.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1. Proprietà farmacodinamiche. Gruppo farmaco-terapeutico: Emostatici/antiemorragici Codice ATC: B02BD02 Il complesso fattore VIII/fattore von Willebrand è formato da due molecole (FVIII e VWF) con diverse funzioni fisiologiche. Il fattore VIII è
determinante per la funzione coagulatoria. Come cofattore con il fattore IX esso accelera la conversione del fattore X a fattore
X attivato (Xa). Il fattore Xa converte la protrombina in trombina; la trombina a sua volta converte il fibrinogeno in fibrina inducendo la formazione del coagulo. Poiché l’attività del fattore VIII è notevolmente ridotta nei pazienti affetti da emofilia A, la
terapia di sostituzione risulta necessaria. Il fattore von Willebrand è il mediatore dell’adesione piastrinica all’endotelio vascolare
ed è un determinante dell’aggregazione piastrinica: è pertanto indispensabile nella terapia sostitutiva nei pazienti affetti da sindrome di von Willebrand. L’attività del VWF è misurata come von Willebrand factor: co-fattore ristocetinico (VWF:RCo). In gravi
casi di sindrome di von Willebrand l’attività del fattore VIII è considerevolmente ridotta. Uno specifico passaggio produttivo di
purificazione assicura il più alto grado di rimozione del fibrinogeno (determinato secondo il metodo di Clauss).
5.2. Proprietà farmacocinetiche. Dopo iniezione del prodotto, da 2/3 a 3/4 circa del fattore VIII restano in circolo. L’obiettivo
terapeutico è il mantenimento di un’attività plasmatica del Fattore VIII compresa tra l’80 ed il 120%. Il decadimento dell’attività
del Fattore VIII nel plasma segue una cinetica esponenziale a due fasi. Nella fase iniziale la distribuzione tra spazio intravascolare
ed altri compartimenti liquidi ha un’emivita di eliminazione di 3-6 ore. Nella successiva fase più lenta (che probabilmente riflette
il consumo di Fattore VIII), l’emivita varia tra 8-20 ore, con una media di 12 ore, che sembra corrispondere all’effettiva emivita
biologica. In uno studio clinico in pazienti affetti da emofilia A il recupero in vivo di F VIII è stato del 101,5%. Con riferimento
alla somministrazione di 1 U.I. di Fattore VIII:C/kg di peso corporeo l’aumento medio di F VIII è del 2,3% della norma. L’emivita
biologica è di 15,3±5,5 ore. In singoli casi l’emivita biologica può variare. In uno studio clinico in pazienti con sindrome di von
Willebrand il recupero medio in vivo di VWF:RCo è stato del 63% nei pazienti di tipo 1, del 87% nei pazienti di tipo 2 e del 72%
nei pazienti di tipo 3. Con somministrazione di 1 U.I./kg di peso corporeo l’aumento medio di VWF:RCo è stato del 1,5±0,3%
della norma. L’emivita biologica media è risultata compresa in un intervallo tra 7 ore (pazienti di tipo 3) e 13,8±2,1 ore (pazienti
di tipo 1). A seguito della terapia sostitutiva con Haemate P si è riscontrata nel plasma dei pazienti una struttura multimerica
quasi normale per un periodo di parecchie ore.
5.3. Dati preclinici di sicurezza. Haemate P contiene il Fattore VIII e il Fattore di von Willebrand come principi attivi derivati
dal plasma umano e la cui azione è analoga a quella dei costituenti plasmatici endogeni. La somministrazione di dosi singole
di Haemate P a diverse specie di animali non ha evidenziato l’insorgenza di effetti tossici. A seguito dello sviluppo di anticorpi
conseguenti all’applicazione di proteine umane eterologhe, non è logicamente possibile - nei tradizionali modelli animali l’effettuazione di studi preclinici (tossicità cronica, cancerogenicità e mutagenicità), basati sulla somministrazione ripetuta del
prodotto.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1. Elenco degli eccipienti. Albumina umana, acido aminoacetico, sodio cloruro, sodio citrato, sodio idrossido o acido cloridrico (in piccole quantità per la correzione del pH). Solvente: acqua per preparazioni iniettabili, 10/15 mL.
6.2. Incompatibilità. Questo prodotto medicinale non deve essere miscelato con altri farmaci, solventi e diluenti, ad eccezione
di quelli forniti con la confezione.
6.3. Validità. Haemate P ha una validità di 3 anni, se conservato tra +2 e +8°C. Dopo ricostituzione, il prodotto ha dimostrato
stabilità chimicofisica per 48 ore a temperatura ambiente (max. +25 °C). Dal momento che Haemate P non contiene conservanti, dal punto di vista microbiologico il prodotto ricostituito va utilizzato immediatamente. Se non utilizzato immediatamente, il
tempo e le condizioni di conservazione in uso prima del successivo utilizzo sono responsabilità dell’utilizzatore. Non si dovranno
comunque superare le 8 ore di conservazione a temperatura ambiente (25°C), a meno che la ricostituzione del prodotto sia
avvenuta in condizioni asettiche, convalidate e controllate. Una volta ricostituito, il prodotto non deve essere congelato.
6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Haemate P deve essere conservato a temperatura tra +2° e +8°C. Non congelare. Conservare il contenuto nella confezione.
6.5. Natura e contenuto del contenitore. Flaconi di polvere 500 U.I. e 1.000 U.I.: Flaconi di vetro di tipo II (Farm. Eur.), sigillati con tappo per infusione in gomma bromobutilica, disco in plastica e cappuccio in alluminio. Flaconcini per solvente (acqua
per preparazioni iniettabili): Flaconcini di vetro di tipo I (Farm. Eur.), incolore, sigillati con tappo per infusione in gomma (senza
lattice), disco in plastica e cappuccio in alluminio.
Confezioni
• Haemate P 500. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con filtro
20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 10 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
• Haemate P 1000. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con
filtro 20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 20 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
6.6. Istruzioni per l’uso/per l’impiego.
Istruzioni generali: - Non usare dopo la data di scadenza indicata sulla confezione. - Non usare soluzioni torbide o contenenti
residui (depositi/particelle). - Ricostituzione e prelievo devono essere effettuati in condizioni asettiche. - Dopo somministrazione,
la soluzione non utilizzata e i dispositivi per la somministrazione vanno eliminati in modo appropriato.
Ricostituzione. Portare il solvente a temperatura ambiente. Accertarsi di aver tolto i cappucci flip-off dei flaconi, contenenti
rispettivamente il prodotto e il solvente. Disinfettarne i tappi con una soluzione antisettica e aspettare che questa si sia asciugata
prima di aprire la confezione di Mix2Vial.
1. Aprire la confezione di Mix2Vial,
staccandone la copertura.
2. Posizionare il flacone del diluente su una
superficie piana e pulita, tenendo il flacone
ben fermo. Prendere il Mix2Vial insieme
con tutta la confezione e fissare la parte
blu terminale sul tappo del solvente.
3. Togliere con prudenza la confezione dal set
Mix2Vial. Assicurarsi di tirare verso l’alto
soltanto la confezione esterna e non il set
Mix2Vial.
4. Posizionato in modo sicuro il flacone
della polvere su un piano d’appoggio,
capovolgere il flacone del solvente
connesso con il set e inserire l’adattatore
trasparente sul tappo del flacone
contenente la polvere. Automaticamente
il solvente sarà trasferito nel flacone che
contiene la polvere.
6. Impugnando con una mano la parte del
set Mix2Vial con la soluzione ottenuta e
con l’altra mano la parte del set Mix2Vial
con il flacone (ora vuoto) del solvente,
separare in 2 parti il set svitandolo.
Prelievo e somministrazione
7. Prendere la siringa vuota sterile fornita
con il set e aspirare aria. Con il flacone
della soluzione ricostituita in posizione
verticale, inserire la siringa nel set
Mix2Vial e iniettare l’aria nel flacone
contenente la soluzione. Mantenendo
premuto lo stantuffo della siringa
capovolgere il sistema e aspirare la
soluzione nella siringa tirando indietro lo
stantuffo lentamente.
8. Dopo che tutta la soluzione è stata
trasferita nella siringa, afferrare in modo
fermo il cilindro della siringa (tenendo
lo stantuffo della siringa rivolto verso il
basso) ed estrarre il set Mix2Vial dalla
siringa.
5. Tenendo il flacone del solvente e quello
della polvere stabilmente connessi l’uno
all’altro ruotare lentamente il flacone della
polvere in modo da ottenere la completa
solubilizzazione del suo contenuto. Non
agitare il flacone.
Somministrare lentamente la soluzione per via endovenosa
(vedere: 4.2 “Modo di somministrazione”)
7. TITOLARE DELLA AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. CSL Behring GmbH Emil-von-BehringStr. 76, D-35041 Marburg, Germania. Rappresentante per l‘Italia: CSL Behring S.p.A. Milano.
8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Haemate P 500: A.I.C. 026600080;
Haemate P 1000: A.I.C. 026600078.
9. REGIME DI DISPENSAZIONE AL PUBBLICO. Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica.
10. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Giugno 2005.
11. DATA DI (PARZIALE)/REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007.
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A8310
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Our Commitment: A Broad Range of Products for
the Treatment of Rare Bleeding Disorders
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