e confermata da una massa imponente di d

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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
DIFFRAZIONE E INTERFERENZA DI ONDE MATERIALI
Attualmente l’equazione di Schrödinger è confermata
da una massa imponente di dati sperimentali nei campi fenomenologici più disparati.
Sono tuttavia interessanti anche le verifiche dirette
dell’esistenza di onde associate al movimento di particelle materiali.
Queste sono state ottenute per la prima volta nel 1927
mediante esperimenti di diffrazione e interferenza con elettroni
analoghi a quelli che si eseguono con le onde elettromagnetiche.
Valutiamo innanzitutto la lunghezza dell’onda associata
al movimento di una particella materiale di data energia.
Secondo la relazione di de Broglie si ha
λ= √
h
,
2mE
h = 6, 626069 10−27 erg s.
Per una particella macroscopica, anche piccola e lenta,
λ è talmente piccola da rendere impossibile qualsiasi esperimento di diffrazione.
Per esempio, per m = 10−5 g e una velocità di qualche cm s−1 , λ risulta dell’ordine di 10−22 cm.
Occorre quindi ricorrere a particelle microscopiche leggere, come gli elettroni.
Poiché me = 9, 109382 10−28 g e 1 eV = 1, 602176 10−12 erg, per un elettrone risulta
12, 26
λ= p
Å.
E(eV)
Per E dell’ordine di 100 eV, λ è dell’ordine di 1 Å.
Occorre quindi utilizzare come reticoli di diffrazione cristalli (come per i raggi X).
La diffrazione di fasci di elettroni per riflessione su cristalli
(analoga alla diffrazione alla Bragg di raggi X)
è stata realizzata da Davisson e Germer (1927).
La diffrazione di fasci di elettroni per trasmissione attraverso cristalli
(analoga alla diffrazione alla von Laue di raggi X)
è stata realizzata da G. P. Thomson (1927).
In entrambi i casi, la rivelazione degli elettroni
produce figure aventi l’andamento tipico delle figure d’interferenza.
Attualmente la tecnica permette di realizzare esperimenti di diffrazione e interferenza
con fasci di particelle più pesanti.
Ad esempio
si fanno raffinatissime esperienze di interferometria con fasci di neutroni (cosiddetti ultrafreddi).
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
09/10
INTERPRETAZIONE DELLA FUNZIONE D’ONDA
Accertata l’esistenza di fenomeni ondulatori nella propagazione di particelle materiali
e accettata l’equazione di Schrödinger
∂
}2
i} ψ(x, t) = −
4 + V (x, t) ψ(x, t)
∂t
2m
come equazione che regge tali fenomeni,
resta il problema di interpretare la funzione d’onda ψ(x, t).
L’interpretazione deve conciliare l’esistenza di aspetti corpuscolari e aspetti ondulatori
nel comportamento delle particelle materiali.
L’esistenza, sulla quale torneremo fra breve, di entrambi tali aspetti apparentemente inconciliabili
è di solito indicata come dualismo onda–corpuscolo.
Prima di enunciare il principio interpretativo oggi universalmente accettato
(talvolta con qualche distinguo che, pur concettualmente importante, non ha alcuna rilevanza pratica),
conviene stabilire alcune proprietà dell’equazione di Schrödinger e delle sue soluzioni.
Linearità dell’equazione di Schrödinger
L’equazione di Schrödinger è lineare.
Ciò significa che se ψ1 (x, t) e ψ2 (x, t) sono due soluzioni
anche a ψ1 (x, t) + b ψ2 (x, t) (con a e b costanti complesse) è soluzione.
In particolare, una soluzione può sempre essere moltiplicata per una costante arbitraria.
Carattere scalare della funzione d’onda di Schrödinger
L’equazione di Schrödinger è compatibile con l’assunzione
che la funzione d’onda ψ(x, t) sia un campo scalare.
2
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Equazione di continuità
Il campo scalare reale non negativo
(1)
%(x, t) = ψ ∗ ψ
soddisfa un’equazione di continuità,
cioè è possibile abbinare a esso un campo vettoriale (pure costruito con ψ(x, t))
(2)
j(x, t) =
−i}
ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗
2m
in modo che
∂
% + ∇·j = 0.
∂t
(3)
Infatti, moltiplicando l’equazione di Schrödinger per ψ ∗ si ottiene
∂
}2
∗
i} ψ
ψ=ψ −
4 + V (x, t) ψ
∂t
2m
∗
e, sottraendo a questa la sua complessa coniugata,
i}
∂ ∗
}2
}2
}2
ψ ψ=−
ψ ∗ 4ψ − ψ4ψ ∗ = −
ψ ∗ ∇·∇ψ − ψ∇·∇ψ ∗ = −
∇· ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ .
∂t
2m
2m
2m
Da questa segue immediatamente l’equazione (3) con le espressioni (1) e (2) dei suoi ingredienti,
che è detta equazione di continuità quantistica.
Significato di un’equazione di continuità
Sia Q la quantità di cui % è la densità e Q(V ) l’ammontare di Q contenuto nel volume V .
Allora, integrando su un volume V l’equazione di continuità
∂
% + ∇·j = 0,
∂t
si ottiene
(4)
d
d
Q(V ) ≡
dt
dt
Z
Z
d x % = − d x ∇·j = −
V
3
V
3
Z
dσ jn ≡ −J(Σ),
Σ
cioè l’aumento per unità di tempo dell’ammontare di Q contenuto nel volume V
è pari al flusso entrante −J(Σ) del vettore j attraverso la superficie Σ che delimita V .
Interpretando j come la densità di corrente della quantità Q di cui % è la densità,
l’equazione di continuità esprime la conservazione locale della quantità medesima.
3
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Conservazione della norma e normalizzazione della funzione d’onda
Se l’integrale esteso a tutto lo spazio di una densità % è finito,
cioè se è definita la corrispondente quantità totale,
la conservazione locale della quantità
implica evidentemente la conservazione globale della quantità medesima.
E infatti, inserendo nell’equazione (4) le espressioni di % e di j, si ha
d
dt
Z
d3x % =
V
d
dt
Z
d3x ψ ∗ ψ =
V
i}
2m
Z
∂
∂
dσ ψ ∗ ψ − ψ ψ ∗ .
∂n
∂n
Σ
Sotto opportune condizioni sul comportamento all’infinito della funzione d’onda ψ,
l’integrale al primo e secondo membro è convergente per V → R3
e l’integrale all’ultimo membro tende a 0.
Allora
(5)
d
dt
Z
d
d x% =
dt
3
Z
d3x ψ ∗ ψ = 0.
Se l’integrale che compare nella (5) è convergente la funzione d’onda ψ si dice normalizzabile
e il numero reale positivo
kψk ≡
sZ
d3x ψ ∗ ψ
si dice norma di ψ.
L’equazione (5) significa che l’equazione di Schrödinger conserva la norma della funzione d’onda.
Se una funzione d’onda è normalizzabile
la costante arbitraria in essa contenuta può sempre essere scelta in modo che sia
Z
2
kψk = d3x ψ ∗ ψ = 1.
La funzione d’onda si dice allora normalizzata.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
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Comportamento ondulatorio e comportamento corpuscolare
L’esistenza di fatto di un comportamento ondulatorio delle particelle materiali
è dimostrata dagli esperimenti di diffrazione e interferenza già menzionati.
Esistono d’altra parte certamente comportamenti corpuscolari delle particelle materiali
(e infatti cosı̀ continuiamo a chiamarle):
in opportune condizioni esse si comportano come particelle classiche di data massa.
Se ψ(x, t) è un pacchetto ben localizzato e l’evoluzione temporale lo mantiene tale,
il dualismo tra i due comportamenti può non apparire drammatico.
Ma ci sono casi in cui una funzione d’onda, anche inizialmente ben localizzata,
va incontro a sparpagliamenti notevoli (ad esempio nei fenomeni di diffrazione).
Appare allora difficile associare una funzione d’onda spazialmente molto estesa
a un oggetto che dovrebbe essere sostanzialmente puntiforme.
Tuttavia esiste un aspetto del comportamento delle particelle materiali
che ne rivela il carattere corpuscolare in ogni caso,
anche quando la funzione d’onda è estesa.
Occorre precisare che le figure di interferenza cui abbiamo accennato
si formano solo quando il fascio con il quale si effettua l’esperimento
è costituito da un grande numero di elettroni.
Se l’intensità del fascio è debole
e se il dispositivo rivelatore è in grado di rivelare elettroni singoli,
l’immagine che si forma è il risultato del progressivo accumulo di un grande numero di punti,
ciascuno corrispondente al risultato della rivelazione di un singolo elettrone.
In altri termini il risultato della determinazione della posizione di un singolo elettrone
è sempre l’attivazione di un elemento rivelatore e uno solo
(naturalmente assumendo che essi elementi funzionino in modo perfetto)
e l’estensione spaziale e la forma della funzione ψ
governano solo la distribuzione dei diversi risultati associati ai diversi elettroni costituenti il fascio.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
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Interpretazione statistica di Born
Superamento del dualismo onda–corpuscolo
L’interpretazione della funzione d’onda oggi generalmente accettata fu proposta da Born.
Sia la funzione d’onda normalizzabile e normalizzata in modo che sia
Z
d3x ψ ∗ ψ = 1.
Allora, secondo Born, posto %(x, t) = ψ ∗ ψ,
%(x, t)
=
densità di probabilità di osservare la particella nel punto x
in una rivelazione eseguita al tempo t,
cioè %(x, t) d3x è la probabilità
di osservare la particella entro l’elemento di volume d3x attorno a x
in una rivelazione che sia eseguita al tempo t.
La distribuzione di probabilità
(di osservare la particella nel punto x in una rivelazione eseguita al tempo t)
cambia nel tempo obbedendo all’equazione di continuità quantistica.
Di conseguenza, posto j(x, t) =
j(x, t)
=
−i}
ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ ,
2m
densità di corrente di probabilità al tempo t
di osservare la particella nel punto x,
cioè j(x, t)·n dσ dt è la probabilità (di osservare la particella in una certa regione dello spazio)
che attraversa l’elemento di superficie dσ (contenente il punto x) durante il tempo da t a t + dt
nel verso indicato dal vettore unitario n (ortogonale a dσ),
ovvero, un po’ impropriamente, la probabilità che la particella attraversi l’elemento . . . .
L’interpretazione statistica di Born supera il dualismo onda–corpuscolo,
nel senso che attribuisce alla particella una posizione definita quando questa viene rivelata
mentre la funzione d’onda determina la distribuzione di probabilità delle diverse possibili posizioni.
In modo pittorico, anche se un po’ alla buona, si può dire
che la particella si comporta effettivamente come tale quando viene rivelata
mentre si comporta come un’onda quando si propaga.
Nota
La conservazione della norma di ψ
equivale alla conservazione della probabilità totale di osservare la particella in tutto lo spazio
che idealmente deve essere e rimanere uguale a 1.
Nota
L’interpretazione di Born non è applicabile a funzioni d’onda non normalizzabili.
Vedremo tuttavia che esistono funzioni d’onda non normalizzabili
alle quali, pur con opportune cautele, può essere attribuito un significato fisico.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
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Un’interpretazione che prescinde dall’osservazione della particella
L’interpretazione di Born, se presa alla lettera,
non attribuisce alcun valore o dominio di valori alla posizione di una particella
se questa non viene osservata.
Ciò può apparire insoddisfacente.
Supponiamo che la funzione d’onda della particella considerata sia confinata nel nostro laboratorio.
L’affermazione "la particella non è sulla luna" ci appare allora del tutto ragionevole.
Un piccolo ulteriore passo ci conduce all’affermazione "la particella è nel nostro laboratorio".
Questo punto di vista può essere formalizzato
attribuendo alla posizione della particella al tempo t una distribuzione di valori
con densità dei valori data da %(x, t) = ψ ∗ ψ,
anziché un valore definito come avviene in meccanica classica.
Allora
%(x, t)
=
densità di valori di x al tempo t,
cioè %(x, t) d3x è l’ammontare dei valori di x
entro l’elemento di volume d3x attorno a x al tempo t.
La distribuzione dei valori di x cambia nel tempo obbedendo all’equazione di continuità quantistica.
Di conseguenza, posto j(x, t) =
j(x, t)
−i}
ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ ,
2m
=
densità di corrente dei valori di x al tempo t nel punto x,
cioè j(x, t)·n dσ dt è l’ammontare dei valori di x
che attraversa l’elemento di superficie dσ (contenente il punto x) durante il tempo da t a t + dt
nel verso indicato dal vettore unitario n (ortogonale a dσ).
L’interpretazione della funzione d’onda ora esposta
è completata aggiungendo che, ove l’osservazione della posizione venga fatta,
la distribuzione di probabilità dei risultati coincide con la distribuzione dei valori.
L’interpretazione descritta sopra e completata come detto
è del tutto equivalente a quella di Born per quanto riguarda le previsioni.
Tuttavia essa permette (sembra a me), data la funzione d’onda,
una più ricca attribuzione di proprietà fisiche alla particella.
Ciò sarà ancora più chiaro quando il principio enunciato per la posizione
sarà affiancato da proposizioni analoghe riguardanti altre grandezze.
Adotteremo nel seguito l’atteggiamento interpretativo esposto in questa pagina,
come credo faccia più o meno consapevolmente la maggior parte dei fisici
nell’uso concreto della meccanica quantistica.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Osservazioni sul concetto di probabilità in fisica
Nell’ambito della fisica, si possono attribuire al concetto di probabilità due diversi significati
come è illustrato di seguito:
probabilità
misura della tendenza intrinseca di quell’evento a verificarsi
di un evento
(ha significato per un singolo evento)
oppure
probabilità
frequenza relativa di quell’evento su un gran numero di eventi
di un evento
(ha significato solo considerando un gran numero di eventi)
Naturalmente, se si adotta la prima definizione, si aggiunge anche che tale tendenza intrinseca
si traduce nel valore della frequenza relativa dell’evento considerato su un gran numero di eventi.
Quindi in ogni caso la verifica sperimentale di una distribuzione di probabilità tra diversi eventi
richiede la determinazione del numero di eventi di ciascun tipo
che si verificano in un gran numero di prove ripetute in condizioni identiche.
Un insieme di (un gran numero di) prove ripetute in condizione identiche
prende il nome di insieme statistico, o anche ensemble.
Nel caso della rivelazione della posizione di particelle,
considerando un ensemble di particelle tutte descritte dalla medesima funzione d’onda ψ(x, t),
%(x, t) d3x sarà la frazione di particelle
effettivamente osservata nel volume d3x attorno a x al tempo t.
Se si ha a che fare con un fascio di N particelle (non interagenti),
N % fornirà la densità macroscopica effettivamente osservata
e N j la densità di corrente macroscopica effettivamente osservata.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Esperimento delle due fenditure
È stato per lungo tempo un esperimento ideale;
attualmente può essere realizzato con fasci di neutroni o anche particelle più pesanti ultralente.
È la riduzione all’essenziale di un esperimento di diffrazione e interferenza.
Un fascio monocinetico di particelle è fatto incidere ortogonalmente
su uno schermo riflettente F nel quale sono praticate due fenditure parallele
al di là del quale si trova un secondo schermo R, parallelo a F, costituito da una batteria di rivelatori.
/
O OO O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
/
O OO O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
/
O OO O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
/
O OO O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
O O O
1
x↑
→
z
2
F
R
A ciascuna particella del fascio è associata un’onda
che è in parte riflessa da F e in parte diffratta attraverso le fenditure.
Siano ψ1 (x, t) e ψ2 (x, t) le funzioni che descrivono le onde diffratte dalle fenditure 1 e 2;
nello spazio tra F e R ciascuna particella è descritta dalla funzione d’onda
ψ1 (x, t) se la sola fenditura 1 è lasciata aperta,
ψ2 (x, t) se la sola fenditura 2 è lasciata aperta,
ψ1 (x, t) + ψ2 (x, t) se entrambe le fenditure sono aperte.
Sia z l’asse parallelo alla direzione di propagazione del fascio e ortogonale ai due schermi,
y l’asse parallelo alle due fenditure e x l’asse trasversale a queste.
Per effetto della diffrazione ψ1 e ψ2 si allargano nella direzione dell’asse x
e, scelta opportunamente la lunghezza d’onda associata alla velocità delle particelle
nonché i parametri geometrici del dispositivo,
esse si sovrappongono nello spazio antistante lo schermo R.
Se dx dy è la superficie frontale di un rivelatore,
jz (x, t) dxdy =
=
−i}
d
d
(ψ1 + ψ2 )∗ (ψ1 + ψ2 ) − (ψ1 + ψ2 ) (ψ1 + ψ2 )∗ dxdy
2m
dz
dz
−i} ∗ d
d
−i}
d
d
ψ1 ψ1 − ψ1 ψ1∗ dxdy +
ψ2∗ ψ2 − ψ2 ψ2∗ dxdy + termini incrociati
dz
dz
|2m
{z dz
} |2m
{z dz
}
j1z dxdy
j2z dxdy
dà, nel caso in cui entrambe le fenditure siano aperte,
l’ammontare di probabilità di rivelazione che entra nel rivelatore considerato nell’unità di tempo,
mentre i primi due termini danno il medesimo ammontare
nel caso in cui solo l’una o l’altra delle due fenditure siano lasciate aperte.
1
9
x↑
1/2
x↑
x↑
x↑
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Se zR è la coordinata dello schermo R,
Z Z
%(x) dx = dt dy jz (x, y, zR , t) dx
→
%
→
%
rappresenta il numero totale di conteggi dei rivelatori di dato x
→
%
→
%
riferito al numero di particelle nel fascio.
Se la sola fenditura 1 oppure la sola fenditura 2 sono lasciate aperte
il diagramma dei conteggi ha l’andamento indicato rispettivamente nelle figure (a) e (b).
x↑
x↑
x↑
→
%
(a)
x↑
→
%
(b)
(c)
→
%
(d)
→
%
Ma se entrambe le fenditure sono aperte
i termini incrociati danno luogo a interferenza
e il diagramma dei conteggi ha l’aspetto indicato nella figura (d).
A causa dell’interferenza, i conteggi con entrambe le fenditure aperte
sono diversi dalla somma, figura (c), dei conteggi con una sola fenditura aperta.
Ma il bello viene adesso
Poniamo a ridosso delle fenditure, entrambe aperte, due rivelatori ideali
(cioè in grado di rivelare il passaggio della particella senza alterare le onde diffratte).
!
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!" !" !"
1
2
F
R
Per il carattere corpuscolare delle nostre particelle
solo uno dei due rivelatori può indicare il passaggio di ciascuna particella
e corrispondentemente ciascuna particella è descritta dalla sola ψ1 o dalla sola ψ2 .
Tra i due schermi possiamo dividere il fascio in due sottofasci
ciascuno costituito dalle particelle che sono passate per una data fenditura
e sono descritte dalla corrispondente funzione d’onda, ψ1 o ψ2 .
Il diagramma dei conteggi relativi a ciascun sottofascio corrisponde alle figure (a) e (b).
Ci aspettiamo, pur con entrambe le fenditure aperte, ma dotate dei rivelatori,
di ottenere il diagramma somma (c).
E cosı̀ è.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
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Domande e risposte
Domanda:
nel caso delle due fenditure senza rivelatori
possiamo ritenere che ciascuna particella
passi per l’una o per l’altra delle due fenditure?
Risposta:
no, perché se cosı̀ fosse otterremmo lo stesso risultato che con i rivelatori.
Domanda:
che tipo di comportamento evidenzia l’esperimento senza i rivelatori alle fenditure?
Risposta:
evidenzia un tipico comportamento ondulatorio, l’interferenza.
Domanda:
come si manifesta il comportamento corpuscolare?
Risposta:
per bassa intensità del fascio
(quando possiamo ritenere che le particelle siano inviate una per volta)
solo uno dei rivelatori di R risulta attivato ogni volta;
e se mettiamo i rivelatori a ridosso delle fenditure
solo uno dei due rivelatori risulta attivato ogni volta.
Attenzione!
Abbiamo fatto passare di soppiatto una caratteristica stupefacente del comportamento quantistico.
Il confronto dei risultati dell’esperimento con e senza i rivelatori addossati alle due fenditure
mostra che dobbiamo ammettere che
la semplice rivelazione del passaggio della particella provoca un cambiamento della funzione d’onda :
solo l’onda emergente dalla fenditura attraverso la quale è rivelato il passaggio sopravvive alla rivelazione.
Nota
È interessante notare
che il risultato di un esperimento in cui si ponga un rivelatore a ridosso di una sola fenditura
!
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1
2
F
R
è identico a quello dell’esperimento con rivelatori a ridosso di entrambe le fenditure.
Infatti, se risultano attivati un rivelatore di R e il rivelatore a ridosso di 1,
la particella è certamente passata per 1;
ma se risulta attivato un rivelatore di R e non il rivelatore a ridosso di 1,
la particella è altrettanto certamente passata per 2.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Osservazione sul ruolo della probabilità in fisica quantistica
L’uso del concetto di probabilità in fisica non è nato con l’avvento della meccanica quantistica.
Anche nell’ambito delle fisica classica il concetto di probabilità è stato ed è ampiamente usato.
Esiste tuttavia una profonda differenza
concettuale tra la probabilità in fisica classica e la probabilità in meccanica quantistica.
In fisica classica l’introduzione di considerazioni probabilistiche
è sempre la conseguenza della nostra ignoranza e della nostra incapacità,
ignoranza delle condizioni iniziali dettagliate e precise di un sistema complesso
e incapacità di risolvere le equazioni di evoluzione del sistema complesso.
È la situazione tipica che si presenta in meccanica statistica.
In meccanica quantistica il concetto di probabilità si deve introdurre necessariamente
anche per il più semplice dei sistemi, quello costituito da una sola particella.
Anche se conosciamo tutto (in concreto la funzione d’onda) di una particella
le previsioni della teoria sui risultati di un’osservazione della particella
restano inevitabilmente probabilistiche.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
RELAZIONI DI INCERTEZZA
Il comportamento ondulatorio delle particelle materiali e dei quanti di radiazione (fotoni)
ha come conseguenza il sussistere di limitazioni di principio
alla possibilità di attribuire (in sensi diversi) valori arbitrariamente precisi
alla posizione e al momento lineare (o alla velocità) di una particella.
Tali limitazioni si traducono in relazioni del tipo
∆x ∆px & h,
∆y ∆py & h,
∆x ∆vx & h/m,
ovvero
∆z ∆pz & h,
∆y ∆vy & h/m,
∆z ∆vz & h/m.
Queste si dicono relazioni di incertezza (o di indeterminazione);
furono stabilite da Heisenberg attraverso l’analisi di diversi esperimenti ideali
e furono dallo stesso elevate al rango di principio.
Discutiamo due significativi esperimenti ideali di Heisenberg.
Diffrazione attraverso una fenditura
Un fascio di particelle (o anche una singola particella) di momento lineare ben definito
incide ortogonalmente su uno schermo parallelo al piano yz
nel quale è praticata una fenditura di larghezza d parallela all’asse z.
La coordinata y di una particella che attraversa la fenditura è cosı̀ determinata con l’incertezza
∆y ∼ d.
Ma a una particella di momento p è associata un’onda di lunghezza λ = h/p,
che viene diffratta dalla fenditura entro un angolo di ampiezza α0 tale che sin α0 ∼ λ/d.
Alla direzione di propagazione individuata dall’angolo α (compreso tra α0 e −α0 )
corrisponde un momento nella direzione y dato da py = p sin α.
L’incertezza di py è quindi
∆py ∼ p sin α0 ∼ p λ/d = h/d.
Il prodotto delle due incertezze vale pertanto ∆y ∆py ∼ h.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Localizzazione per mezzo di un microscopio.
Misuriamo la posizione di un elettrone illuminandolo con un fascetto di luce di lunghezza d’onda λ
e raccogliendo su uno schermo sensibile l’immagine creata da una lente.
Un fotone diffuso dall’elettrone crea sullo schermo un’immagine P 0 della posizione P dell’elettrone.
L’apertura finita della lente dà luogo a diffrazione,
per cui la posizione di P 0 è affetta da un’imprecisione
che permette di risalire alla coordinata x di P con un incertezza
∆x ∼ λ/ sin ε,
dove ε è la semiapertura della lente vista da P .
D’altra parte, a causa dell’apertura non nulla della lente,
la direzione nella quale è stato diffuso il fotone è incerta
e quindi la componente x del momento del fotone è affetta da un’incertezza p sin ε = (h/λ) sin ε.
Poiché nell’urto fotone–elettrone il momento si conserva,
all’incertezza del momento del fotone dopo l’urto
corrisponde l’introduzione di un’uguale incertezza del momento dell’elettrone dopo l’urto.
Anche se il momento dell’elettrone era prima della misurazione perfettamente definito,
esso acquisisce per effetto della stessa un’incertezza
∆px ∼ (h/λ) sin ε.
Quindi il prodotto delle due incertezze vale almeno ∆x ∆px ∼ h.
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ONDE, CORPUSCOLI E FUNZIONE D’ONDA
Osservazioni
I due esempi ideali di Heisenberg descritti sopra sono piuttosto diversi anche concettualmente.
Nel caso della diffrazione attraverso una fenditura
si dimostra l’impossibilità di preparare una funzione d’onda della particella
che abbia sia un "contenuto" perfettamente definito in posizione,
sia un "contenuto" perfettamente definito in momento.
Si tratta in sostanza di una esemplificazione del fatto che,
per ottenere una funzione d’onda spazialmente localizzata
occorre sovrapporre onde piane di numero d’onda e quindi di momento diverso
e che, tanto più si vuole stretta la localizzazione spaziale,
tanto più deve essere larga la sovrapposizione in momento.
Nel caso della localizzazione per mezzo di un microscopio,
abbiamo a che fare con una vera misurazione della posizione dell’elettrone
e si dimostra che questa agisce sull’elettrone:
possiamo (idealmente, con una lente grande) misurare in modo arbitrariamente preciso la posizione,
ma ciò introduce necessariamente una corrispondentemente grande incertezza del momento
(e, viceversa, se rinunciamo alla precisione in posizione diminuiamo l’incertezza del momento).
Osserviamo anche che nel caso del primo esempio
all’origine della relazione di incertezza
è il comportamento ondulatorio delle particella considerata.
Nel caso del secondo esempio invece
all’origine della relazione di incertezza
è il comportamento ondulatorio di una parte microscopica (il fotone) dell’apparato misuratore.
Relazioni di incertezza tempo–energia
Si possono anche stabilire relazioni di incertezza del tipo
∆E ∆t & h.
In queste ∆E, e corrispondentemente ∆t, può assumere significati diversi
dei quali per ora non ci occupiamo.
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