Il Papa a Quinto celebra la libertà

Il Papa a Quinto celebra la libertà
Messa per i 200 anni dell'indipendenza dell'America Latina: difendere i poveri
di Andrea Tornielli - La Stampa, mercoledì 8 luglio 2015
Gesù non cercava di «sdottorare», ma arrivava al cuore dell'uomo in modo che tutti potessero capire. Oggi
c'è bisogno che la scuola e l'università educhino i giovani a «sviluppare uno spirito critico, uno spirito libero,
in grado di prendersi cura del mondo d’oggi», aiutandoli a non ignorare la realtà che li circonda. Nel discorso
preparato per l'incontro con il mondo della scuola e dell'università Francesco conia un neologismo «doctorear» - per spiegare il compito delle istituzioni educative: preparare le nuove generazioni a una
«maggiore responsabilità per i problemi di oggi, rispetto alla cura dei più poveri, rispetto alla salvaguardia
dell’ambiente».
L'autentico messaggio evangelico spinge a partecipare, a perseguire la giustizia sociale, a prendersi cura
degli altri e dell'ambiente custodendo il dono del creato. Tutto si tiene nella terza giornata della visita del
Papa in America Latina, cominciata con una messa celebrata nel Parque del Bicentenario, il vecchio
aeroporto dismesso della capitale ecuadoriana, soprannominato «il polmone di Quito». I duecento anni
celebrati sono quelli dell'indipendenza dei popoli latinoamericani. Da qui, davanti a una folla immensa dove
spiccano i classici cappelli «panama» color avorio, Francesco parla della fede cristiana che è sempre
«rivoluzionaria» e dell'evangelizzazione che passa attraverso il prendersi cura degli altri, dei più poveri, di
coloro che sono esclusi. Il Papa accomuna il «sussurro di Gesù nell'ultima cena» in favore dell'unità dei
cristiani come segno «perché il mondo creda» al grido «nato dalla coscienza della mancanza di libertà» dei
popoli americani, stanchi di essere «spremuti e saccheggiati e soggetti alle convenienze contingenti dei
potenti di turno». Un grido che ha portato all'indipendenza quando quei popoli hanno saputo superare
personalismi e divisioni. E qui l’evangelizzazione e la liberazione, l'annuncio del Vangelo e la costruzione di
una società più giusta, si incontrano, perché «l'evangelizzazione può essere veicolo di unità di ispirazioni, di
sensibilità, di sogni e persino di certe utopie».
Ma il Papa avverte che è «impensabile» dare questa testimonianza «se la mondanità spirituale ci fa stare in
guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. E questo a costo dei
più poveri - aggiunge a braccio - dei più indifesi, di chi non perde la sua dignità anche se gliela colpiscono
ogni giorno». Parole significative anche per la Chiesa ecuadoriana e di tutta l'America Latina. «Che bello
sarebbe che tutti potessero ammirare - conclude Francesco - come noi ci prendiamo cura gli uni degli altri,
come ci diamo mutuamente conforto e come ci accompagniamo! Il dono di sé è quello che stabilisce la
relazione interpersonale che non si genera dando “cose”, ma dando sé stessi». Questo darsi «significa
lasciare agire in se stessi tutta la potenza dell’amore» di Dio, «questo significa evangelizzare, questa è la
nostra rivoluzione, perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria».
Nel pomeriggio, dopo l'appuntamento con il mondo universitario, Papa Bergoglio ha incontrato la società
civile nella chiesa di San Francisco, l'edificio cattolico più antico di tutta l'America Latina. Qui Francesco
spiega che la società civile si deve comportare come una famiglia, dove «nessuno è escluso. Se uno ha una
difficoltà, anche grave, anche quando “se l’è cercata”, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono; il suo
dolore è di tutti. Non dovrebbe essere così anche nella società?». Dunque «i beni sono destinati a tutti, e per
quanto uno ostenti la sua proprietà, pesa su di essi un’ipoteca sociale».