Parte Ventunesima Corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità Introduzione La Corte dei conti è un organo polifunzionale in cui grande importanza riveste la funzione giurisdizionale, che è svolta dal giudice speciale amministrativo previsto dall’art. 103 della Costituzione nelle materie della contabilità pubblica e nelle altre materie previste dalla legge. La Corte dei conti è chiamata a decidere in merito alle controversie in materia di contabilità pubblica ed in particolare alle azioni di responsabilità amministrativa nei confronti dei pubblici dipendenti e dei pubblici amministratori, nonché degli amministratori e funzionari delle società sottoposte al controllo pubblico, e in merito al contenzioso pensionistico. La quantità di risorse recuperate in sede di condanna non deve essere considerata come l’unico indicatore del grado di efficacia della lotta agli sprechi ed agli illeciti, dovendosi riconoscere alle pronunce della magistratura contabile anche un ruolo monitorio e dissuasivo, pur se di difficile misurazione. Alla Corte è anche commesso un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e della pubblica amministrazione, ed un controllo di gestione a consuntivo sui bilanci dello Stato, delle amministrazioni pubbliche e di quegli enti per i quali lo Stato contribuisce alla gestione ordinaria. Vi è infine un controllo di tipo collaborativo introdotto normativamente dalla legge n. 131/2003, ma già elaborato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29/1995, relativa al nuovo controllo sulla gestione affidato, in via generalizzata, su tutta la P.A. alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994. Tale “compito collaborativo” che caratterizza questo controllo è pur sempre “posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate” tra le quali spicca quella del “buon andamento” dell’amministrazione (art. 97 Cost.). La collaborazione, quindi, è rivolta all’ente nella sua oggettività; non mira a far conseguire successi o a evitare rischi di responsabilità personali agli amministratori, ma a rendere l’amministrazione controllata più corretta, efficace, efficiente ed economica, nell’ottica del perseguimento dell’interesse genera- Mario D’Antino le. Ciò, per corrispondere alla diffusa esigenza delle amministrazioni locali di disporre di un ausilio tecnico, autorevole e indipendente, che permetta loro di muoversi con maggiore sicurezza nella sovente oscura normazione contabile e finanziaria. Alla stessa Corte fa capo la giurisdizione sulla responsabilità amministrativa e contabile per i danni causati all’ente pubblico per la spendita non dovuta di risorse pubbliche o per il colpevole mancato introito di entrate dovute per legge. Al riguardo importantissima novità nel sistema è stata l’emanazione del recentissimo D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174 recante il Codice di giustizia contabile, da sempre auspicato e adottato in ottemperanza e ai sensi dell’art. 20 della legge di delega 7 agosto 2015, n. 124 (v. amplius, oltre). La responsabilità amministrativa è la risposta che l’ordinamento ha dato in armonia con la propria cultura e tradizione giuridica. Le norme di recepimento delle direttive comunitarie e il disposto dell’art. 97 della Costituzione hanno conferito agli atti delle imprese un rilievo pubblicistico. Ne deriva che l’attività amministrativa e la correlata responsabilità sono configurabili sia quando l’amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, sia quando persegua le sue finalità mediante un’attività sottoposta alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti privati. La legge, infatti, non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato. Alla luce di tali criteri, andrebbe letta anche la previsione di cui all’art. 1, c. 12, legge n. 190/2012, che ha previsto una possibile responsabilità amministrativa (sia per danno patrimoniale che all’immagine della pubblica amministrazione) del dirigente addetto alla prevenzione della corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche, nel caso della commissione di tale reato, accertato con sentenza passata in giudicato (salvo che provi la predisposizione del piano anticorruzione, previsto dalla legge, 1221 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini e di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza dello stesso). Il sistema delle funzioni attribuite al requirente, nei giudizi di responsabilità amministrativa, al fine dell’attuazione del principio, di rilevanza costituzionale, di effettività dell’azione giurisdizionale, ha trovato una necessaria integrazione nella previsione di cui all’art. 1, c. 174, della legge n. 266/2005, che ha affidato al pubblico ministero tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dal codice di rito, comprese l’azione surrogatoria, revocatoria ed il sequestro conservativo nei confronti del terzo. Estendendo l’ambito della giurisdizione a tutti i pubblici funzionari e dipendenti e attuando il decentramento regionale, il legislatore ha apportato una serie d’innovazioni che vanno in direzione di un’attenuazione della gravosità di questo illecito, di un istituto radicalmente rinnovato, sia pure con connotazioni distinte da quelle dell’illecito civile. L’ottica è quella di assumere come prioritaria l’esigenza di assicurare la buona gestione amministrativa, accentuando gli aspetti sanzionatori e di prevenzione dell’illecito, in una logica di ragionevolezza e di proporzionalità. La responsabilità amministrativa è quindi complementare ai controlli esterni e rappresenta elemento di chiusura del sistema di garanzie del buon andamento, che ha come vertice la Corte dei conti, ma che si snoda attraverso un “sistema” di interventi diversi, in rapporto alla natura e al grado delle irregolarità da prevenire o da reprimere. Nel sistema nazionale, l’avvertita esigenza di tutelare la finanza e i beni pubblici ha condotto a rivestire una responsabilità fondamentalmente patrimoniale, delle forme più rigorose in cui si attuano i pubblici poteri. Chi gestisce cose e valori pubblici assume quindi una particolare configurazione ed è sottoposto a una speciale forma di responsabilità detta «contabile», cui è tenuta una serie di agenti. L’azione amministrativa, assai più che in passato, si avvale indifferentemente delle norme del diritto pubblico e di quelle del diritto privato. L’irruzione del diritto privato nei campi di attività in cui opera l’amministrazione pubblica vuole essere affermazione dei principi di economicità, efficacia, efficienza e risultato. Lo strumento del diritto privato, e in particolare il contratto, consente una maggiore efficacia e flessibilità dell’azione che si pone in essere, in quanto affida alle parti di regolare autonomamente i propri interessi. In virtù dell’autonomia privata, opportunamente vigilata dai poteri pubblici, gli effetti giuridici che si producono non sono 1222 quelli ipotizzati in via astratta dalla legge, ma quelli voluti dalle parti in rapporto ai casi concreti e alle circostanze in cui si versa, e si lascia all’agente ampia facoltà di scelta in riferimento alla situazione concreta in cui è chiamato ad operare. Il moltiplicarsi delle autorità amministrative indipendenti, a livello europeo, è collegato alle situazioni di osmosi nell’economia, proprie dello Stato moderno: esse si pongono come nuovo metodo e nuova amministrazione e sono correlate ad un tipo di economia policentrica organizzata, quale effetto di una crisi di rappresentanza. Vi è una domanda che richiede una risposta tecnica, indipendente e non politica, alle esigenze della società. È, infatti, la domanda sociale che finisce con l’accrescere di fatto il potere della magistratura, rendendola, al pari delle autorità garanti, contropotere del governo e degli organi rappresentativi. Ed è tuttora viva la domanda sulla validità ed attualità della giurisdizione di responsabilità come strumento di garanzia della finanza pubblica, l’accertamento della funzionalità del “servizio” giustizia nel suo complesso, secondo criteri di garanzia di difesa, trasparenza, certezza, celerità, effettività. Assurgono a valori costituzionali, anche nel giudizio di responsabilità, da un lato, il diritto del convenuto ad un giusto processo, da celebrarsi in tempi ragionevoli e, dall’altro, l’effettività della tutela giurisdizionale di tutti gli interessi pubblici e collettivi. Per consolidare un’area di certezza del diritto, la legge n. 69 del 16 giugno 2009 ha attribuito alle Sezioni riunite della Corte dei conti un potere di interpretazione nomofilattica analogo a quello esercitato dalla Corte di Cassazione, diretto ad evitare macroscopiche oscillazioni giurisprudenziali. Ora, l’introduzione del Codice di giustizia contabile ha inteso dare risposta a tali istanze. Oggi, alla concezione etica della responsabilità civile viene preferita una concezione secondo la quale la responsabilità è uno strumento di riequilibrio economico del danno e si afferma una teoria secondo la quale il fondamento della responsabilità civile va ricercato nei principi generali della colpa e del rischio che fa gravare sul soggetto i danni derivanti da attività pericolose come rischio connesso a queste. Attraverso l’iniziativa della Procura la Corte dei conti ha dato voce alla collettività sulla corretta destinazione delle risorse finanziarie pubbliche, ad evitare che le entrate legittimamente acquisibili o le risorse destinate a scopi produttivi o sociali rimangano non utilizzate per l’inerzia degli amministratori o per la vischiosità delle procedure. Si vogliono, corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 inoltre, sanzionare colpevoli distrazioni o improprio uso delle risorse stesse. La Corte ha parallelamente proceduto al potenziamento degli strumenti di analisi allo scopo di consentire valutazioni autonome e tecnicamente fondate degli andamenti economici e adeguate al suo ruolo di verifica dei conti pubblici, in aderenza all’invito della Commissione europea di assisterla nelle procedure d’indagine sulla “manipolazione” dei dati relativi al disavanzo e al debito pubblico (UE 678 del 29.6.2012). Il recupero di efficienza e di attualità si deve poter realizzare anche mediante azioni collettive, con la presentazione di documenti, reclami o istanze di gruppi o di associazioni che la Corte sia tenuta, attraverso idonea normativa, a prendere in considerazione. In situazioni in cui si riduce la capacità rappresentativa e di ascolto da parte delle istituzioni, alle quali era stata tradizionalmente affidata questa funzione, il canale giudiziario vedrebbe rafforzata la sua “funzione di rappresentanza”. I giudici, specie quelli contabili, sono così divenuti i primi destinatari delle nuove domande sociali ed i primi soggetti che alle richieste dei consociati danno una risposta in termini giuridici. Il sistema giudiziario è divenuto, suo malgrado, uno strumento di intervento della collettività o degli organismi che attendono una tutela per il danno da loro ingiustamente subito, un’arena dove soggetti pubblici o privati, lesi nei loro diritti, con danno all’erario, riescono a far sentire la loro voce. La giurisdizione della Corte rafforza, con la sanzione risarcitoria e la connessa funzione preventiva, gli strumenti creati dall’ordinamento a tutela del pubblico erario, evidenzia e tutela gli interessi della collettività e dei singoli consociati. Ma la domanda di giustizia nei confronti del giudice contabile richiede più approfondite riflessioni. La giurisdizione contabile è esclusiva e speciale, ossia radicata in un giudice diverso e separato da quello ordinario, ed è connotata dalla pubblicità e dalla obbligatorietà dell’esercizio dell’azione. La sua area di intervento, prima legata a profili soggettivi (rapporto di servizio pubblico o esercizio di funzioni pubbliche), va ora assumendo connotazioni più connesse alla materia. Inoltre, si sottolinea la natura sanzionatoria o risarcitoria dei suoi poteri, il rapporto con la funzione di controllo, l’adeguatezza del sistema processuale. Allo stato attuale la giurisdizione contabile rappresenta la migliore soluzione per il recupero del danno all’erario, avuto riguardo al suo carattere pe- culiare che la distingue nettamente da quella civile. Ciò può affermarsi specialmente dopo la riforma degli anni ‘90, che ha previsto la perseguibilità dei convenuti nei soli casi di dolo o colpa grave, la limitazione della responsabilità e della trasmissibilità dell’obbligo di restituzione agli eredi, l’esclusione del sindacato giudiziale sulle scelte discrezionali, la responsabilità limitata alla partecipazione all’atto produttivo di danni, la rilevanza del danno all’immagine, l’uso del potere riduttivo come accollo di parte del danno sulla collettività, come una sorta di “rischio d’impresa”. Permane un grande allarme, anche in sede europea, per l’aspetto della corruzione nella gestione del pubblico danaro in sede locale, nazionale e nell’ambito delle frodi comunitarie, per cui si pone sempre di più l’esigenza della diffusione della cultura della legalità nelle P.A, della trasparenza, della deterrenza e del contrasto delle illegalità. Si può affermare che mentre la responsabilità civile pone al centro la figura del creditore, tutelandone le aspettative, quella amministrativo-contabile pone al centro la figura del debitore, ossia dell’amministratore o dipendente pubblico, vigilando sul buon andamento dell’amministrazione, e garantendo gli operatori dai possibili abnormi effetti della responsabilità. Indefettibili sono le caratteristiche di pubblicità e di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione. L’esperienza dimostra che dove l’azione risarcitoria è affidata alla discrezionalità dell’amministrazione anziché all’iniziativa del pubblico ministero, essa diventa casuale e ipotetica e talvolta improbabile (basti pensare alla situazione di pratica irresponsabilità di amministratori e dipendenti di enti locali in epoca precedente alla legge n. 142/1990, o al danno ambientale e alla responsabilità degli amministratori degli enti pubblici economici). La responsabilità dirigenziale, a sua volta, si affaccia progressivamente nel panorama delle tradizionali responsabilità dei dipendenti pubblici già con il d.P.R. n. 748/1972, i cui artt. 2 e 19 fissavano puntuali responsabilità nei confronti dei dirigenti dello Stato che non avessero conseguito i risultati ad essi assegnati dagli organismi di vertice delle amministrazioni pubbliche. Quindi si è accentuata con l’affermarsi della distinzione tra le funzioni di indirizzo e di controllo commesse agli organi di governo e le funzioni di gestione ed attuazione degli indirizzi affidate ai dirigenti, affermata in maniera sempre più marcata a partire, per i dipendenti statali, dalle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 9/1993 e n. 165/2001, nonché, per i dipendenti degli enti locali, dalle leggi 1223 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini n. 192/1990 e 267/2000, e dai successivi decreti integrativi e correttivi. Si è posto quindi il problema di collegare la valutazione dei dirigenti non più a parametri fondati sull’accertamento della legittimità degli atti, ma anche ad una valutazione sulla capacità del dirigente di conseguire gli obiettivi assegnati e di dare attuazione ai programmi, in una prospettiva di realizzazione di obiettivi strategici di implementazione della produttività, di contenimento della spesa pubblica e di ottimizzazione del servizio. Al riguardo il D.Lgs. n. 150/2009, nell’integrare il D.Lgs. n. 165/2001 agli artt. 21 (responsabilità dirigenziale) e 22 (comitato dei garanti), fa sorgere la responsabilità dirigenziale dal mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso i risultati del sistema di misurazione e valutazione della performance introdotta con il titolo II del citato D.Lgs. n. 150 e dall’inosservanza delle direttive. La responsabilità dirigenziale consegue all’accertamento della riconducibilità al dirigente di tali due situazioni, prescindendo da ogni indagine sull’imputabilità delle medesime a titolo di colpa grave o di dolo. Non consegue alla valutazione negativa del singolo atto o provvedimento, ma si riferisce ai risultati dell’attività complessivamente svolta in relazione agli obiettivi affidati nel contesto del ciclo di gestione della performance di cui agli artt. 2 e segg. del citato D.Lgs. n. 150/2009. Di fatto sorge una responsabilità erariale in tutti i casi in cui il mancato raggiungimento del risultato atteso comporti un danno per l’erario. Un’ultima considerazione: le leggi n. 19 e 20 del 1994, che recavano una prima e rinnovata disciplina al regime della responsabilità hanno costituito una positiva reazione dell’ordinamento a «tangentopoli», sia sul fronte del rafforzamento dei controlli che su quello della evidenziazione e repressione delle responsabilità personali degli amministratori. In ciò l’Italia non si è comportata diversamente dagli altri paesi, i quali hanno tutti potenziato gli strumenti per prevenire o sanzionare i fenomeni di corruzione e cattiva gestione del pubblico denaro. Per effetto del decentramento nei capoluoghi di regione delle procure e delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti si era determinato l’assoggettamento degli amministratori a un maggior controllo del giudice e ad una maggiore pressione giudiziaria complessiva dovuta anche alla presenza del giudice penale sullo stesso territorio. Di qui il rischio di reciproche sovrapposizioni e invasioni di campo in un’area ove sono preminenti le scelte amministrative. Ne è 1224 seguita una reazione emotiva volta alla sostanziale mutilazione del regime delle responsabilità, poiché limitare la responsabilità al solo dolo, avrebbe significato in pratica, cancellarla. Quindi, con un emendamento approvato in aula, in sede di approvazione della legge n. 639/1996, si è estesa la responsabilità anche alla colpa grave (ma non alla colpa lieve, come pur era stato proposto per gli atti dovuti), ferma rimanendo la insindacabilità da parte del giudice contabile delle scelte discrezionali delle P.A. Tale normativa - alla quale fa ora seguito l’introduzione del Codice di giustizia contabile - ha rappresentato un tentativo per contemperare l’esigenza di autonomia degli amministratori, garantendoli dal rischio di sistematiche invasioni da parte del giudice nel merito di ogni singola scelta compiuta, con l’esigenza, del pari insopprimibile, che l’attività gestoria non si sottragga, comunque, a una verifica giudiziale, quanto meno per accertare i più importanti fenomeni ove è presente una colpa grave dell’amministratore. Negli anni successivi, e fino all’attualità, il legislatore ha sempre ribadito questa linea di tendenza mirata a rendere l’amministratore sempre più accountable. TITOLO I La struttura e l’attività di controllo 1. L’assetto organizzativo nell’attuale fase storica La Corte dei conti è un organismo che risale ai primi anni di vita dello Stato italiano, essendo stata istituita con la legge 14 agosto 1862, n. 800, perché vigilasse sulle amministrazioni dello Stato. Fu solennemente inaugurata a Torino il 10 ottobre 1862. Essa raccolse l’eredità di istituzioni che già da tempo negli stati preunitari vigilavano sulle pubbliche finanze: ad esempio, la Camera dei conti del Ducato di Savoia, poi Regno di Sardegna, risalente al 1351 e sostituita nel 1859 dalla Corte dei conti, sulla quale verrà modellata la nuova istituzione dello stato unitario; la Camera dei conti del Regno Lombardo - Veneto, istituita nel 1771; la Regia Camera della Sommaria del Regno di Napoli, fondata nel 1444 e sostituita nel 1807 dalla Regia Corte dei conti. La normativa che regola la Corte dei conti è frammentata. Va segnalato, in particolare, il T.U. relativo al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 integrato dal D.L. 15 novembre 1993, n. 453 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e dalla legge corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 14 gennaio 1994, n. 20 e innovato dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639. Modifiche sono state introdotte anche dalla legge n. 205/2000 e da alcune recenti leggi finanziarie. La Corte dei conti è strutturata su uffici centrali e territoriali. Al vertice vi è il Presidente, definito dalla legge n. 15 del 4 marzo 2009, art. 11, comma 7, “Organo di governo dell’istituto”. Poi vi è il Consiglio di Presidenza, quale organo di amministrazione della magistratura contabile istituito con l’art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117, modificato dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 7 febbraio 2006, n. 62, e con funzioni ridotte a seguito della già citata legge n. 15/2009, art. 11, con compiti minori ma assimilabili al Consiglio Superiore della Magistratura per i magistrati ordinari. Il Consiglio di Presidenza ha sede a Roma. È composto: dal Presidente della Corte dei conti, che lo presiede; dal Procuratore Generale della Corte dei conti; dal Presidente aggiunto della Corte dei conti o del Presidente di sezione più anziano; da quattro cittadini eletti, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i professori ordinari in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale; da quattro magistrati ripartiti tra le diverse qualifiche in proporzione alla rispettiva effettiva consistenza numerica quale risulta dal ruolo alla data del 1º gennaio dell’anno di costituzione dell’organo. L’organizzazione della Corte prevede Sezioni giurisdizionali e Sezioni di controllo, sia a livello centrale che territoriale. Presso la Corte dei conti a livello centrale vi è la Procura Generale contabile retta dal Procuratore Generale e da 20 Vice Procuratori Generali. Connotazione particolare ha la Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, considerata quale sezione della Procura centrale nel territorio siciliano. La Corte dei conti annovera tre Sezioni giurisdizionali centrali d’Appello, con sede a Roma, nonché la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con sede a Palermo. Le Sezioni centrali di controllo, in numero di cinque, sono: la Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e sugli atti delle amministrazioni dello Stato, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Sezione di controllo sugli enti, Sezione delle Autonomie, Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali. Infine, vanno menzionate le Sezioni Riunite della Corte dei conti, quali organi di chiusura del sistema di giurisdizione amministrativo-contabile con competenza a decidere sulle questioni di massima e sui conflitti di competenza. La competenza è articolata in quattro sezioni, con funzioni: giurisdizionale, di controllo, deliberante, consultiva, aventi sede a Roma, nonché tre sezioni speciali: Sezioni riunite per la Sardegna con sede a Cagliari, per la Sicilia con sede a Palermo e per il Trentino-Alto Adige con sede a Roma. Presso le seguenti quattordici Regioni sono presenti la Sezione giurisdizionale e la Sezione di controllo quali organi territoriali di giurisdizione contabile, nonché la Procura Regionale: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria. Le Regioni a statuto speciale hanno una configurazione diversa. La Corte dei conti, per l’espletamento delle funzioni giurisdizionali si articola in: - sezioni giurisdizionali regionali, che giudicano in primo grado; hanno sede in ciascun capoluogo di regione (ma vi è una sezione giurisdizionale per la provincia autonoma di Bolzano); - sezioni giurisdizionali centrali di appello, che giudicano in secondo grado; sono tre ed hanno tutte sede presso la sede della Corte dei conti di Roma; vi è inoltre una sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, con sede a Palermo; - sezioni riunite, che risolvono i conflitti di competenza tra le varie sezioni regionali e/o centrali; su richiesta del Presidente della Corte dei conti, del Procuratore Generale presso la Corte dei conti o di una Sezione, sono chiamate anche a pronunciarsi su “questioni di massima” (quando si è in presenza di dubbi o “conflitti” interpretativi tra le diverse sezioni). Presso ogni sezione giurisdizionale regionale opera una Procura regionale, con funzioni di Pubblico Ministero nei giudizi di responsabilità patrimoniale-amministrativa e contabile ed in generale nelle materie di contabilità pubblica. I magistrati del pubblico ministero hanno le medesime garanzie di indipendenza e inamovibilità dei magistrati dei collegi giudicanti; dispongono dei poteri istruttori previsti dagli artt. 55-65 del Codice di giustizia contabile. Il Procuratore generale e i vice procuratori generali svolgono le funzioni di pubblico ministero presso le sezioni centrali di appello e presso le se1225 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini zioni riunite. Il Procuratore generale ha anche una funzioni di coordinamento generale delle procure regionali. Le funzioni della Corte oggi sono rivitalizzate per effetto delle nuove competenze affidate all’Istituto dalle più recenti leggi, che ne esaltano il ruolo di garante dell’equilibrio economico-finanziario e dell’integrità delle pubbliche risorse, in particolare nella gestione finanziaria degli enti territoriali (v. il novellato art. 148 TUEL per l’assenza o inadeguatezza degli strumenti di controllo). 2. Funzioni di controllo il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e ad emettere entro il giugno dell’anno successivo il giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato. In una speciale composizione (ai sensi del D.Lgs. n. 174/2012) esse giudicano: a) sui ricorsi avverso le delibere delle Sezioni regionali di controllo di approvazione o diniego dei piani di equilibrio finanziario poliennale (nuovo art. 203-quater TUEL); b) sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione a “fondo di rotazione” ai fini della stabilità finanziaria degli enti locali; La Corte dei conti in sede di controllo è articolata come segue: c) sui ricorsi avverso gli atti di ricognizione delle P.A. - Sezione Controllo Stato: svolge le sue funzioni ai sensi della legge n. 20/1994, modificata dalla legge n. 639/1996, seguendo i criteri indicati dalle Sezioni Riunite secondo un doppio filo conduttore: la verifica di legittimità e la verifica di efficienza - efficacia - economicità. Si articola in quattro collegi, uno per il controllo sugli atti, uno per il controllo sulla gestione delle entrate, e due per il controllo sulla gestione delle spese; Nella Corte dei conti, organo polifunzionale, grande importanza riveste la funzione giurisdizionale svolta dal giudice speciale amministrativo previsto dall’art. 103 della Costituzione. In tale veste la Corte ha giurisdizione nelle materie della contabilità pubblica e nelle altre materie previste dalla legge, è chiamata a decidere in merito alle controversie in materia di contabilità pubblica ed in particolare alle azioni di responsabilità amministrativa nei confronti dei pubblici dipendenti e amministratori, nonché degli amministratori e funzionari delle società sottoposte al controllo pubblico, e in merito al contenzioso pensionistico. La Corte dei conti effettua un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e della pubblica amministrazione, ed un controllo di gestione a consuntivo sui bilanci dello stato, delle amministrazioni pubbliche e di quegli enti per i quali lo stato contribuisce alla gestione ordinaria. Le funzioni di controllo della Corte sono estese alle amministrazioni decentrate dello stato (Regioni, province e comuni), al fine di garantire i vincoli di stabilità interni all’Italia e quelli derivanti dall’appartenenza alla Comunità Europea. Anche per i controlli sulle amministrazioni locali, il controllo è sia preventivo, sulla legittimità degli atti, che consuntivo, sui risultati della gestione finanziaria. In questo caso le Sezioni decentrate della Corte riferiscono ai Consigli Regionali degli enti interessati. La Corte svolge le sue funzioni consultive predisponendo pareri e referti, quando è invitata a riferire direttamente alle Camere sul risultato dei controlli. La Corte dei conti svolge il ruolo di magistratura contabile della pubblica amministrazione. In sede di controllo, può disporre la sospensione o la non - la Sezione di Controllo Enti sovvenzionati dallo Stato: nonostante l’imponente privatizzazione di molti enti iniziata negli anni ‘90, in ragione del fatto che lo Stato contribuisce al capitale sociale degli enti o delle società in maniera esclusiva o preponderante, la Sezione continua ad operare ai sensi della legge n. 259/1958, controllando la gestione complessiva e rilevandone gli squilibri gestionali specie in materia di appalti, di aiuti statali e di concorrenza; - la Sezione di Controllo delle Autonomie estende il suo controllo in particolare sui progetti di opere pubbliche finanziate dalla Cassa Depositi e Prestiti, sui progetti cofinanziati dalla Comunità Europea, sui parcheggi finanziati ai sensi della legge n. 122/1989, e sulla gestione diretta o indiretta da parte degli enti locali di alcuni servizi pubblici (piscine, scuole, ospedali, ecc.); - la Sezione di Controllo Affari comunitari e internazionali, istituita ai sensi della legge n. 20/1994, svolge un controllo successivo di tipo diffuso e un controllo di tipo specifico (controllo-referto), al fine di riferire al Parlamento italiano ed ai Consigli Regionali sui programmi nazionali che utilizzano fondi comunitari. Le Sezioni Riunite hanno competenza a definire i criteri generali e gli indirizzi di coordinamento per 1226 corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 registrazione di provvedimenti di altri organi dello Stato ove non sia dimostrata una sufficiente copertura finanziaria o vi sia stato l’impiego non ottimale delle risorse pubbliche. 3. La riforma del titolo V della Costituzione e la nuova disciplina dei controlli Con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 è stata attuata una profonda riforma del sistema costituzionale italiano concernente le Regioni e i minori enti locali (Titolo V, parte II della Costituzione). Fondamentale è la nuova formulazione dell’art. 114 Cost. che ha sancito il principio della pari dignità degli enti territoriali, statuendo che “la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”. La riforma del Titolo V della Costituzione - oggi sottoposta a severa revisione critica e oggetto di specifico referendum - ha fatto assumere al nostro sistema caratteri sempre più spiccatamente pluralistici, con il potenziamento delle autonomie regionali locali e l’abrogazione degli artt. 125 e 130 che disciplinavano i controlli esterni sulle Regioni e gli enti locali. La legislazione d’attuazione ha, comunque, dato una configurazione collegiale all’organo di controllo, consentendo la partecipazione ad esso di componenti di diversa estrazione e professionalità e non di meri rappresentanti dell’ente sovraordinato. L’amministrazione moderna, che privilegia l’efficienza e procede per obiettivi, è ormai ovunque ritenuta compatibile soltanto con controlli successivi sulla gestione: controlli, cioè, che seguano lo svolgimento dell’azione amministrativa, considerata nel suo complesso, e non suddivisa in singoli atti, per accertare il rispetto dei programmi e stimolarne l’efficienza e l’economicità. Purtroppo all’abrogazione delle norme che prevedevano i controlli descritti non è seguita, nel testo costituzionale, la previsione di altri controlli di tipo diverso; ciò però non significa che non ne possano essere introdotti dal legislatore ordinario, sulla base di specifiche disposizioni di rango costituzionale. In questo senso si è pronunciata la Corte costituzionale riconoscendo la legittimità della riforma dei controlli della Corte dei conti, operata dalla legge n. 20/1994, che ha ridotto a pochi atti fondamentali il controllo preventivo di legittimità sull’amministrazione statale e ha introdotto su tutte le pubbliche amministrazioni un generalizzato controllo successivo sulla gestione. Quest’ultimo controllo assume caratteristiche di collaborazione, sia pure su un piano dialettico, essendo rivolto, attraverso la verifica dei risultati e il confronto degli stessi con gli obiettivi programmati a stimolare nell’amministrazione controllata la ricerca e l’adozione delle opportune misure correttive. La Corte costituzionale lo ha ritenuto legittimo anche nei confronti delle autonomie regionali sulla base di una serie di norme (i principi del buon andamento, della responsabilità dei funzionari, ecc.) emergenti da articoli della Costituzione diversi da quelli ora abrogati (i già citati artt. 125 e 130 che prevedevano il controllo preventivo di legittimità). La successiva riforma costituzionale, d’altra parte, non solo non ha introdotto nessuna disposizione contrastante con questa decisione, ma al contrario, contiene nuovi principi, segnatamente quelli sul coordinamento finanziario e sulla perequazione tributaria, che legittimano la previsione di controlli esterni sull’andamento gestionale e finanziario. Questi ultimi non vanno confusi con i controlli interni che ciascun ente nella sua autonomia ordinamentale deve istituire e che si caratterizzano per essere strumento a disposizione dell’autorità di governo dell’ente per conoscere lo svolgimento e orientare la direzione dell’attività amministrativa. I controlli esterni, invece, si rapportano, in particolare all’organo legislativo e d’indirizzo politico dell’ente e sono caratterizzati dall’indipendenza e neutralità dei controllori rispetto alle amministrazioni controllate. Si distinguono quindi nettamente dai primi, perché tra i loro compiti c’è anche quello di valutare il funzionamento dei controlli interni. Si sottolinea che controlli esterni e controlli interni coesistono in quasi tutti gli ordinamenti moderni, compresi quelli degli Stati aderenti alla Comunità Europea. Purtroppo, le nuove attribuzioni conferite alla Corte dei conti dal D.L. n. 174/2012 in materia di enti territoriali manifestano elementi di criticità: così, il potenziamento di attività giustiziali su deliberazioni di controllo e di provvedimenti quali i piani di riequilibrio, la parificazione dei conti regionali, i rendiconti delle spese dei gruppi consiliari, le delibere di diniego, non è stato accompagnato da regole procedurali e di giudizio. Ciononostante, la sentenza n. 140/14/R del 10 ottobre 2014 - Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna - ha affrontato la nota tematica della gestione dei fondi pubblici erogati ai Gruppi consiliari regionali secondo le norme regionali attuative della legge 6 dicembre 1973, n. 853 (c.d. spese dei gruppi 1227 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini consiliari). In detta pronuncia è stata configurata la responsabilità amministrativa dei Presidenti dei Gruppi consiliari, in relazione all’indebito utilizzo di fondi dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna assegnati ai gruppi consiliari, per il pagamento di spazi di comunicazione forniti da emittenti radiotelevisive locali. 4. Il controllo “collaborativo” della Corte dei conti La legge n. 131 del 5 giugno 2003, che contiene le disposizioni per una prima attuazione dei nuovi principi costituzionali, ha confermato in capo alla Corte dei conti, con alcune significative innovazioni, la missione del controllo finanziario e gestionale sulle autonomie già assegnatale dalla legge n. 20 del ‘94 ed oggetto delle prime iniziative di attuazione. Hanno influito, su questa scelta, le peculiarità del nostro sistema costituzionale, la posizione di pari dignità riconosciuta con la riforma del 2001 a Comuni e Province (oltre che alle Città metropolitane) rispetto alle Regioni. Tale particolarità non si riscontra in altri Stati, dove invece generalmente gli enti minori sono ricompresi nell’ordinamento di quelli maggiori e soggetti alla disciplina organizzativa e funzionale da questi dettata. Nel nostro attuale sistema costituzionale gli enti locali non potrebbero essere controllati da un organo della Regione, neppure se configurato con le prerogative di indipendenza generalmente riconosciute alle Istituzioni di controllo esterno, proprio per la posizione costituzionale di estraneità e di pari ordinazione dei rispettivi ordinamenti. L’altra caratteristica tipica del nostro sistema è rappresentata dalla sua configurazione come fortemente solidaristica. L’art. 119 della Costituzione, infatti, prevede risorse aggiuntive e interventi speciali dello Stato in favore di Comuni, Province e Regioni per motivi di solidarietà sociale e per promuoverne lo sviluppo economico; inoltre stabilisce che, con legge dello Stato, sia istituito un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, in modo da consentire loro, con il concorso delle altre risorse ordinarie, l’esercizio di tutte le funzioni di competenza, ivi comprese quelle consistenti nell’erogazione delle prestazioni sociali al livello minimo, “essenziale” (art. 117, lett. m), uniforme per tutti i cittadini. Ha concorso a tale scelta legislativa la constatazione degli inconvenienti registrati nei paesi in cui si è adottato il modello della pluralità di organi di 1228 controllo esterno (ad es., in Germania e Spagna). L’esistenza di funzioni amministrative dei Länder o Comunità autonome cofinanziate dallo Stato federale o dalla Comunità europea è alla base di conflitti di competenza, tra l’organo di controllo nazionale e quelli regionali, con possibilità di duplicazioni o di omissioni di controlli. Si è inoltre lamentata la mancanza di omogeneità nei diversi referti ai rispettivi Parlamenti e la difficoltà di estendere la comparazione tra gestioni al di là del territorio di propria competenza. Un organo di controllo unitario, pur se articolato in modo da corrispondere alle esigenze connesse allo statuto di autonomia degli enti controllati, consente di superare queste criticità. Più in dettaglio, il nuovo ordinamento dei controlli così come prefigurato e, nelle linee essenziali, disciplinato dall’art. 7 della legge n. 131, ai commi 7, 8 e 9, si articola come segue. È attribuito alla Corte dei conti un controllo finanziario, diretto ad assicurare il rispetto degli equilibri di bilancio, anche in relazione ai vincoli discendenti dall’appartenenza all’Unione europea. Alla stessa è anche attribuito un controllo più strettamente gestionale, di carattere collaborativo con le Amministrazioni controllate per il conseguimento degli obiettivi programmatici e di livelli sempre più avanzati di efficienza e di economicità. Con riguardo al controllo di natura finanziaria, la legge conferma, in primo luogo, il disegno di una Corte dei conti unitaria alla quale, ai fini del coordinamento di tutta la finanza pubblica, è affidato il compito di riferire al Parlamento sul rispetto complessivo degli equilibri di bilancio da parte di tutti gli enti di autonomia, con particolare riguardo ai vincoli di derivazione comunitaria. È prevista, inoltre, l’istituzione in ogni capoluogo di Regione di una sezione della Corte dei conti per il controllo della gestione amministrativa e finanziaria di tutti gli enti territoriali, con il compito di riferire agli organi rappresentativi delle rispettive collettività locali. Questo controllo - che comprende anche la verifica del funzionamento dei servizi di controllo interno per quanto concerne le Regioni, si esplica in analisi dirette ad accertare il perseguimento degli obiettivi posti sia dalle leggi regionali di principio e di programma (ed in particolare dalla legge di bilancio) sia dalle leggi statali che abbiano uguale valenza; quanto agli enti locali, si esplica nella verifica della “sana gestione finanziaria” e che, nella sostanza, si identifica nell’accertamento dell’efficienza, efficacia corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 ed economicità dell’azione amministrativa dell’ente. La legge n. 131/2003 ha inteso anche evitare che l’organo di controllo, per la sua appartenenza a una struttura unitaria, potesse operare come un organo dello Stato centrale, introducendo alcune innovazioni dirette a collegare, sul piano organico e funzionale, le sezioni regionali con gli enti controllati. Sotto il profilo organizzativo, la legge di attuazione prevede che le Sezioni regionali di controllo siano integrate da due componenti - che acquistano ad ogni effetto lo status di magistrati contabili - designati dalle stesse amministrazioni controllate e precisamente, uno dal Consiglio regionale e l’altro dal Consiglio delle autonomie, organo di rappresentanza delle autonomie locali nella regione. Circa gli aspetti funzionali delle Sezioni, è previsto che ciascuna Regione, in relazione a proprie particolari esigenze, correlate alla verifica della regolarità della gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, possa, con sua autonoma disciplina, avvalersi dell’ausilio della locale Sezione regionale del controllo. Le modalità attraverso le quali tale collaborazione può realizzarsi non sono dalla legge tipizzate e possono consistere di un’ampia gamma di attività, che vanno da referti su temi specifici e dalla richiesta di audizione di magistrati della Sezione presso il Consiglio e le sue articolazioni interne fino alla previsione di forme di certificazione della affidabilità dei bilanci. Analoga facoltà è riconosciuta anche agli enti locali, sia pure, almeno di norma, attraverso l’intervento del Consiglio delle autonomie locali; organo di nuova istituzione (è previsto dall’art. 123, u.c., Cost.) con compiti di raccordo e consultazione tra regioni ed enti locali. Alle sezioni regionali di controllo è, poi, attribuita la possibilità di esprimere, su richiesta, pareri nella materia della contabilità pubblica (Staderini). In seguito all’entrata in vigore della citata legge, è stata adeguata la struttura organizzativa della Corte al fine di raccordare l’attività di controllo finanziario di competenza di ciascuna Sezione regionale con quelle funzioni, da svolgersi a livello centrale, di referto generale sulla intera finanza regionale e locale di cui è destinatario il Parlamento e che debbono necessariamente avvalersi dei risultati delle analisi finanziarie effettuate nelle sedi periferiche. Si è anche assicurato un coordinamento agevole ed efficace, ma rispettoso dell’autonomia delle singole Sezioni, che consentisse la definizione di metodologie e di linee comuni di verifica delle risultanze con- tabili nonché il raffronto dei modelli organizzativi e metodi di lavoro con gli obiettivi conseguiti nelle diverse realtà locali. Pertanto, nell’esercizio del potere regolamentare riconosciuto dalla legge alla Corte dei conti per quanto attiene all’organizzazione dei suoi uffici, è stata istituita un’apposita “Sezione delle autonomie”. La composizione dell’organo, che è presieduto dal Presidente della Corte e del quale fanno parte tutti i Presidenti delle Sezioni regionali di controllo, consente di qualificarlo come “espressione delle sezioni regionali”. In tal modo le funzioni di coordinamento assumono una valenza che non nasce dalla gerarchia di rapporti, ma da scelte condivise. 5. Il nuovo controllo di regolarità contabile La legge 131/2003 attribuisce alla Corte dei conti, che opera come organo della Repubblica e, cioè dello Stato e delle autonomie territoriali, controlli sia meramente gestionali che contabili e finanziari. La distinzione tra di essi è nettamente tracciata nel testo legislativo, che affida il controllo sulla gestione unicamente alle Sezioni regionali, ponendo in evidenza la sua natura collaborativa e strumentale per le assemblee elettive locali, e il controllo finanziario alla Corte dei conti, unitariamente considerata, chiamata ad operare, nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica, per garantire il rispetto degli equilibri di bilancio e dei vincoli comunitari. In definitiva, il controllo sulla gestione corrisponde ad una finalità di mera collaborazione con le Amministrazioni locali, al fine di consentire loro di perseguire livelli di maggiore efficienza, efficacia ed economicità. L’altro controllo, invece, accanto a questa finalità, ha anche quella di corrispondere alle esigenze generali della finanza pubblica di cui deve farsi carico lo Stato/Repubblica, ponendo regole e controlli adeguati. Alla sana gestione finanziaria degli enti locali lo Stato è, quindi, direttamente interessato avendo l’onere di dettare regole e prevedere controlli in sede di coordinamento della finanza pubblica che devono essere più stringenti di quanto sia ipotizzabile per la restante gestione amministrativa, per l’interesse generale per il quale sono preordinati. Per corrispondere alle esigenze evidenziate, il legislatore si è dato carico di integrare e sviluppare quanto già previsto in materia dalla legge n. 131/2001, introducendo una speciale normativa nella legge n. 266/2005 (art. 1, commi 166-171), diretta a rendere immediatamente operativa la colla1229 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini borazione dell’organo di revisione contabile con le Sezioni regionali della Corte. In sostanza è posta a carico degli organi di revisione contabile degli enti locali e delle A.S.L. l’obbligo di trasmettere alle Sezioni regionali una relazione sul bilancio preventivo e una sul rendiconto, “che, in ogni caso, deve dar conto del rispetto degli obiettivi annuali del patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’art. 119, ultimo comma, della Costituzione e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione”. Ciascuna relazione deve essere redatta secondo “criteri e linee guida” unitariamente predisposti dalla Corte dei conti e che precisano non solo i tempi e le modalità formali per la redazione e l’invio, ma anche il contenuto concreto che essa deve assumere. La norma di legge individua soltanto il contenuto obbligatorio del referto dei revisori, lasciando alla discrezionalità della Corte - Sezione delle autonomie - la possibilità di aggiungere altre segnalazioni, a quelle che “in ogni caso” devono essere effettuate, di dati e profili potenzialmente critici o comunque con valore sintomatico sull’andamento della gestione contabile e finanziaria. Le Sezioni regionali - prosegue la normativa - “qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni” conseguenti alla violazione del patto. L’espressione usata dalla norma, “comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria”, va interpretata restrittivamente con riguardo soltanto a violazioni di regole contabili (particolarmente gravi), chiama in causa unicamente l’organo di revisione contabile e si prefigge la “tutela dell’unità economica della Repubblica e il coordinamento della finanza pubblica”. È quindi da escludere che la specifica pronuncia richiesta debba essere adottata ove siano accertate generiche disfunzioni gestionali. La normativa nulla stabilisce in ordine alle “misure correttive” da adottare e alle conseguenze della loro mancata adozione (così come sugli effetti delle gravi irregolarità non più correggibili, quali quelle emergenti dal rendiconto). Più puntuali disposizioni sono contenute nella legge n. 174/2012 e ss.mm., anch’esse però aperte ad un ampio margine di superamento. 1230 Questo tipo di controllo, che la Corte esercita con il concorso degli organi di revisione, non perde il carattere collaborativo con le Amministrazioni locali e non va confuso con il tradizionale controllo di legittimità di carattere repressivo, attesa la peculiarità, e la maggiore incisività, di questa collaborazione che agisce anche sul momento programmatico della gestione. Il controllo di regolarità contabile corrisponde certamente all’interesse generale dell’ordinamento, ma questo non esclude la sussistenza anche dell’interesse dell’ente controllato tutte le volte che le “pronunce” delle Sezioni regionali pongano all’attenzione “gravi irregolarità contabili” relative al bilancio preventivo, che possono essere eliminate nel corso dell’esercizio adottando le necessarie “misure correttive” di variazione del bilancio. Collaborativo è anche il controllo della Corte che si realizza con riguardo al rendiconto. In questo caso, infatti, se non è più possibile intervenire per modificare un atto contabile divenuto definitivo nella rappresentazione di una gestione che si è svolta in modo irregolare, tuttavia gli accertamenti e le pronunce della Corte sono ancora in grado di produrre effetti diretti e indiretti a vantaggio dell’ente, tenuto a seguire percorsi di risanamento in gran parte già previsti dalla legge. La nozione di controllo collaborativo è stata introdotta normativamente dalla legge n. 131/2003, ma già era stata elaborata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29/1995, relativa al nuovo controllo sulla gestione affidato, in via generalizzata, su tutta la P.A. alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994 (Staderini). E, come ha sostenuto la Corte costituzionale il “compito collaborativo” che caratterizza questo controllo è pur sempre “posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate”, tra le quali spicca quella del “buon andamento” dell’amministrazione (art. 97 Cost.). La collaborazione, quindi, è rivolta all’ente nella sua oggettività; non mira a far conseguire successi o a evitare rischi di responsabilità personali agli amministratori, ma a rendere l’amministrazione controllata più corretta, efficace, efficiente ed economica, nell’ottica di perseguire l’interesse generale. Il carattere collaborativo di tale tipo di controllo permane pur se può verificarsi la possibilità che da esso discendano limitazioni gestionali o, addirittura, sanzioni personali per gli amministratori, dal momento che tali misure sono rivolte a tutelare l’ente locale (e la comunità rappresentata) dagli effetti negativi del deterioramento finanziario e dal possibile dissesto. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 È auspicabile che l’introduzione per via legislativa di uno strumento di giustiziabilità delle deliberazioni delle sezioni di controllo nelle materie di “dissesto guidato”, di cui al D.Lgs. n. 149/2011, consentirebbe di tutelare in maniera ottimale gli interessi della collettività e quelli più generali di finanza pubblica, ponendo anche termine alle incertezze che attualmente si riscontrano in tale settore circa il riparto di competenze tra organi giurisdizionali diversi. 6. Il nuovo quadro normativo del controllo Il sistema dei controlli della Corte per gli enti locali, già delineato con la legge finanziaria per il 2006 (art. 1, c. 166-170, legge 23 dicembre 2005, n. 266) è stato emendato dal D.L. n. 174/2012 con l’abrogazione del c. 168 della citata legge finanziaria e la concomitante introduzione della lettera e), c. 1, art. 3 dell’art. 148-bis del TUEL dedicato al rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali. Con la “costituzionalizzazione” dell’equilibrio dei bilanci si estende a tutti gli enti delle amministrazioni pubbliche l’obbligo di una gestione finanziaria in equilibrio e quello di assicurare la sostenibilità del debito pubblico. L’intera gestione finanziaria delle Regioni, qual è riflessa nei rispettivi bilanci preventivi e consuntivi, diviene oggetto di controllo da parte delle sezioni regionali della Corte, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento, della sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico finanziari degli enti. Inoltre, ogni sei mesi le Sezioni regionali di controllo della Corte dovranno trasmettere ai consigli regionali una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. Il rendiconto generale di ciascuna regione è sottoposto - come accade per il rendiconto dello Stato e per i rendiconti di quasi tutte le Regioni a statuto speciale - al “giudizio di parificazione” delle Sezioni regionali di controllo. Di eguale rilevanza, nella legge 213/2012, la portata delle disposizioni concernenti il rafforzamento del sistema dei controlli sugli enti locali e la disciplina per gli enti a rischio di dissesto, la c.d. procedura di riequilibrio finanziario pluriennale; pur trattandosi di disposizioni recenti, la Corte ne ha già dato applicazione con pronunce che potranno avviare un processo di risanamento dei conti di alcune significative realtà territoriali. Il complesso delle nuove norme dà vita a un sistema di “sorveglianza preventiva e successiva” sul rispetto, da parte degli enti territoriali, degli equilibri finanziari quali derivano dagli obiettivi della finanza pubblica nazionale, a loro volta condizionati dal vincolo di pareggio del bilancio e dalle regole del patto europeo di stabilità e crescita. Si tratta di un sistema essenzialmente imperniato su vari elementi. In primo luogo, i controlli mettono capo a un organo indipendente dai Governi - da quello centrale, come da quelli regionali e locali - e ciò rappresenta la migliore garanzia delle autonomie regionali e locali. Inoltre, i giudizi emessi dalla Corte sono neutrali e non condizionati e mirano all’assunzione di decisioni che ricadono nell’ordine delle attribuzioni proprie di altri soggetti: gli amministratori e dirigenti degli enti, i Governi locali o regionali, il Governo centrale. I controlli hanno poi carattere ricognitivo, anzi di accertamento, e referente, poiché l’esito di questi costituisce il presupposto per chiamare eventualmente in causa le responsabilità del sistema politico amministrativo, richiedendogli di adottare, entro tempi predefiniti per legge, le misure necessarie a risolvere le criticità riscontrate. L’ultima caratteristica riguarda la tempestività e l’efficacia dei controlli della Corte, verso le cui Sezioni regionali dovrà essere attivato - da parte delle amministrazioni - un flusso costante e coordinato di dati e informazioni, idoneo a costruire indicatori significativi della regolarità e della proficuità delle gestioni, oltre che ad analizzare andamenti e tendenze, generali e specifiche, dei diversi aggregati rilevanti. 7. Le linee guida della Sezione Autonomie Le linee guida adottate dalla Sezione delle autonomie negli anni più recenti hanno ricalcato l’impostazione degli anni precedenti ma con significative innovazioni, in rapporto alle modifiche normative intervenute, particolarmente nella formulazione del patto di stabilità, e dell’esperienza maturata con la prima applicazione della nuova disciplina. Tra le più frequenti irregolarità riscontrate nei controlli delle Sezioni regionali relativi ai più recenti bilanci di previsione vanno segnalate le seguenti tipologie: 1231 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini - la ritardata o mancata approvazione del bilancio; - la ritardata o mancata trasmissione della relazione dell’organo di revisione; - la ritardata o mancata trasmissione dei questionari; - il mancato rispetto del patto di stabilità interno; - il mancato rispetto del patto di stabilità interno pluriennale; - il mancato rispetto del limite dell’indebitamento; - il pareggio di bilancio ottenuto con l’applicazione dell’avanzo presunto di amministrazione; - il disavanzo nella gestione di competenza degli esercizi precedenti; - l’utilizzo dell’avanzo presunto di amministrazione per la copertura delle spese di investimento. Non infrequenti sono le criticità in ordine alla gestione delle società partecipate; tra le quali, la non chiara rappresentazione contabile della situazione finanziaria e patrimoniale nonché la mancanza di adeguate previsioni in bilancio per ricapitalizzare società controllate in perdita abituale. Iniziative della Procura hanno riguardato nel più recente periodo il dissesto finanziario degli ee.ll., il mancato rispetto del patto di stabilità, la gestione delle risorse trasferite ai gruppi consiliari dei consigli regionali, l’indebito uso di fondi nazionali e comunitari stanziati per lo sviluppo dell’imprenditoria e dell’agricoltura, i danni ambientali, i danni al sistema sanitario, l’omessa riscossione di proventi pubblici e tributi, le illegittime erogazioni a personale dipendente, le consulenze esterne contra legem, gli illeciti di gestione negli enti a partecipazione pubblica. Con deliberazione n. 18 del 12.7.2013 la Sezione delle autonomie ha dettato le linee guida cui devono attenersi gli organi di revisione nel predisporre la relazione sul rendiconto e con la delibera n. 23 del 14 ottobre 2013 ha dettato primi indirizzi per comuni e province ex art. 1, c. 166 e ss., legge n. 266/2005 per una gestione in esercizio provvisorio ispirata ai principi di prudenza e di equilibrio del bilancio. Con delibera n. 19/2013 sono state emanate dalla Corte (che si è dotata di più moderni sistemi informatici) linee guida cui devono attenersi i collegi sindacali del s.s.n. per l’attuazione dell’art. 1, c. 170, legge n. 266/2005. Sono inoltre da menzionare le seguenti pronunce di indirizzo e di orientamento della Sezione autonomie, raccolte in uno specifico elaborato: 1232 - n. 1/2013/QMIG per la presentazione della deliberazione di ricorso alla procedura di equilibrio ex art. 243-bis c.1 del TUEL nel testo modificato dalla legge n. 213/2012, di conversione del D.L. n. 174/2012 che prevede la sospensione della procedura di dissesto guidato, salvo eccezioni; - nn. 13 e 14/2013 sulla mancata presentazione del piano pluriennale di riequilibrio e sugli aspetti afferenti al tema dei debiti f.b., la natura dell’anticipazione a valere sul fondo di rotazione e sulla possibilità di deroga ai limiti di copertura dei disavanzi; - n. 110/2013 INPR per la relazione semestrale sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate dalle leggi di spesa (art. 1, c. 2, D.L. n. 174/2012). Sul punto sono intervenute le sentenze della C. Cost. nn. 51/2013 e 192/2012; - n. 9/2013 INPR linee sul giudizio di parificazione (art. 1, c. 5, D.L. n. 174/2012); - n. 24/2013/INPR che approva i primi indirizzi interpretativi sull’applicazione dell’art. 13, legge n. 96/2012 sul controllo spese elettorali nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti; - n. 11/2013/INPR su questioni applicative concernenti la procedura di riequilibrio finanziario poliennale (art. 3, c. 1, lett. r, D.L. n. 174/2012). Circa il mantenimento delle partecipazioni in società quotate in borsa e in società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica nei comuni con popolazioni fino a 30.000 abitanti o fino a 50.000 abitanti, si veda la delibera della Corte dei conti, Sez. controllo Emilia-Romagna, parere del 13 febbraio 2012. Tra le delibere di carattere generale e gli atti di indirizzo della Sezione delle Autonomie vanno ricordate le seguenti: - 29 settembre 2015 - Sezione delle Autonomie - Delibera n. 29/2015/sezaut/qmig sulla corretta interpretazione del comma 3 dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010 convertito dalla legge n. 122/2010 - Riduzione costi amministrativi; - 22 settembre 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 28/2015/ sezaut/qmig sui limiti di assunzioni e sulla corretta interpretazione dell’art. 3, c. 5 e c. 5-quater, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114; - 18 settembre 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 27/2015/ sezaut/qmig sui limiti di assunzioni e sulla corretta interpretazione dell’art. 1, c. 557, legge 27 dicembre 2006, n. 296, a seguito dell’introduzione del c. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 557-quater ad opera dell’art. 3, c. 5-bis, del D.L. n. 90/2014; - 28 luglio 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 26/2015/sezaut/ qmig - Questione di massima sulla corretta interpretazione del c. 424 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015); - 25 giugno 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 22/2015/sezaut/ qmig: Questione di massima in merito ai vincoli da applicare sulle somme accantonate a titolo di previdenza complementare per la polizia municipale; - 24 giugno 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 21/2015/sezaut/ qmig sui diritti di rogito dei segretari comunali Questione di massima per la corretta interpretazione dell’art. 10, c. 2-bis, del D.L. n. 90/2014; - 16 giugno 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 19/2015/sezaut/ qmig: Questioni di massima rimesse dalle Sezioni Regionali di controllo per il Piemonte e per la Lombardia sulla corretta interpretazione dell’art. 1, c. 424, legge n. 190/2014; - 12 giugno 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 18/2015/sezaut/ qmig: Questione di massima in merito al contrasto interpretativo sul comma 2-bis dell’art.18 del D.L. 112/2008; - 30 aprile 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 15/2015/sezaut/ qmig sull’art. 4, c. 6, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149: Questione di massima in merito alla decurtazione dell’indennità di fine mandato del sindaco, degli emolumenti del responsabile del servizio finanziario o del segretario generale del comune; - 27 marzo 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 12/2015/sezaut/ qmig, sulla corretta attuazione degli obblighi previsti dall’art. 61, c. 9 e 17, del D.L. n. 112/2008 e sull’individuazione dell’ente pubblico cui riversare la metà del compenso professionale per collaudo o arbitrato, nel caso in cui il soggetto incaricato sia dipendente di altra amministrazione; - 24 marzo 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 11/2015/sezaut/ qmig: questione di massima sollevata dalla Sezione di controllo per la Liguria in merito alla corretta interpretazione del c. 7-ter, art. 93 del D.Lgs. n. 163/2006; - 24 marzo 2015 - Sez. Aut. - Del. n. 10/2015/sezaut/ qmig: questione di massima sollevata dalla Sez. contr. Sardegna in ordine alla corretta determinazione del corrispettivo relativo alla trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà - legge n. 147/2013, art. 1, c. 392; - 5 marzo 2015 - Sez. Aut. - Delibera n. 9/2015/ sezaut/qmig: questione di massima concernente la corretta applicazione della disciplina recata dall’art. 1, c. 563-568, legge 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di mobilità del personale dipendente da società controllate direttamente o indirettamente dalle P.A., di cui all’art. 1, c. 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, o dai loro enti strumentali; - 19 febbraio 2015- Sez. Aut. - Del. n. 3/2015/sezaut/ qmig: modalità di calcolo dei compensi degli amministratori, con specifico riferimento alla perdurante vigenza del meccanismo previsto dall’art. 2, c. 1 lett. b) del D.M. 119/2000; - 9 febbraio 2015 - Sez. Aut.- Del. n. 2/2015/sezaut/ qmig: questione di massima sulla corretta applicazione dell’art. 9, c. 28, D.L. n. 78/2010, riguardante le limitazioni al tetto di spesa del 2009 per il lavoro flessibile agli enti in regola con l’obbligo di ridurre la spesa di personale, di cui ai c. 557 e 562 dell’art. 1, legge n. 296/2006; -22 giugno 2016 - Sezione delle Autonomie - Delibera n. 24/2016/SEZAUT/INPR (PDF,449 Kb) Delibera di approvazione delle linee guida e relativo questionario per gli organi di revisione economico finanziaria degli enti locali per l’attuazione dell’articolo 1, commi 166 e seguenti della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Bilancio di previsione 2016-2018; -22 giugno 2016 - Sezione delle Autonomie - Linee guida approvate con Delibera n. 24/2016/SEZAUT/ INPR per gli organi di revisione economico finanziaria degli enti locali per l’attuazione dell’articolo 1, commi 166 e seguenti della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Bilancio di previsione 2016-2018. - 30 settembre 2016 - Sezione delle autonomie - Delibera n. 27/2016/SEZAUT/FRG e Relazione - Gli organismi partecipati dagli Enti territoriali. Osservatorio sugli organismi partecipati/controllati dai Comuni, Province e Regioni e relative analisi. Relazione 2016. Ulteriori analitiche indicazioni sono reperibili nella relazione scritta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015 della Corte dei conti. Particolare importanza riveste, infine, l’ampia e dettagliata pronuncia n. 24/2015/sezaut/frg del 20 luglio 2015 sugli organismi partecipati dagli enti territoriali. 8. Le Sezioni regionali di controllo La legge n. 131/2003 assegna alle Sezioni regionali, potenziando il loro ruolo collaborativo, anche una funzione consultiva da espletarsi, nella “materia di 1233 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini contabilità pubblica”, su richiesta delle Regioni nonché dei Comuni, Province e Città metropolitane; questi ultimi, di norma, tramite il Consiglio delle autonomie, se istituito. Circa i soggetti legittimati a richiedere pareri, si è preferito optare per una interpretazione restrittiva della norma, escludendo Unioni di comuni, Consorzi e Comunità montane; mentre si è riconosciuto che la mancata istituzione del Consiglio delle autonomie non rappresenti un ostacolo all’iniziativa diretta del singolo ente locale. Quanto all’oggetto della consulenza, individuato dal legislatore nella contabilità pubblica, si è ritenuto che possa ricomprendere, in particolare, “la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli”. Le richieste di pareri devono riguardare ambiti ed oggetti di portata generale e non fatti gestionali specifici, né, tanto meno, questioni che involgano giudizi su comportamenti amministrativi, interferendo con ambiti di competenza delle Procure regionali della Corte. Per le questioni di rilevanza generale o, comunque, di particolare interesse le Sezioni regionali chiedono una disamina preventiva alla Sezione delle autonomie, al fine di scongiurare il rischio di pareri territorialmente differenti o contrastanti con precedenti pronunce della stessa Sezione centrale. Attesa l’esigenza di riaffermare l’unitarietà dell’Istituzione di controllo esterno, si è resa necessaria una maggiore incisività dell’attività di coordinamento cui è chiamata la Sezione delle autonomie; pur con il più ampio coinvolgimento e la salvaguardia dell’autonomia delle Sezioni regionali di cui essa è “espressione”. La prevalenza dei quesiti proposti ha riguardato l’interpretazione della disciplina annuale del patto di stabilità contenuta nelle leggi finanziarie, ma sono stati anche temi tradizionali dell’ordinamento contabile a suscitare ancora incertezze e divergenze operative e a coinvolgere la funzione consultiva della Corte. Si verifica assai frequentemente che il dissesto delle società partecipate trascina con sé gli enti locali di riferimento. L’eventuale azione per il risarcimento danni - malgrado le società operino con danaro pubblico - è stato attribuito al giudice ordinario. Ma l’art. 1, c. 4, D.L. n. 174/2012 assegna alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di valutare l’operato delle partecipate e il c. 3 contempla l’istituzione di un sistema di controllo da parte degli 1234 ee.ll. sulle società partecipate non quotate. Recentemente la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione contabile per le c.d. “società in house” (soc. di diritto privato definite dalla natura pubblica dei soci, dall’esercizio prevalente dell’attività in favore dei soci stessi e dalla sottoposizione a un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici). Le società partecipate - di numero variabile per essere soggette a frequenti modifiche dell’assetto societario - nell’ultima rilevazione della Corte sono: 50 quelle partecipate dallo Stato; 5.258 quelle partecipate da ee.ll. (alle quali vanno aggiunti 2.214 organismi di varia natura, come consorzi, fondazioni, ecc.). Circa un terzo delle società partecipate dagli ee.ll. è in perdita. La costituzione di società partecipate risponde all’esigenza di snellezza dell’azione amministrativa, ma ha l’effetto di sottrarre la loro attività al regime della concorrenza e talvolta di eludere i vincoli di finanza pubblica specie nell’attività contrattuale e nell’assunzione del personale per cui è in corso, da parte del Governo e del Parlamento un processo di riduzione del loro numero. 9. Le esigenze di tutela della finanza pubblica e i vincoli comunitari nella giurisprudenza costituzionale in materia La Corte costituzionale ha inteso definire i confini della materia “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica”, affidata alla competenza ripartita di Stato e Regioni. Al riguardo ha seguito un indirizzo che privilegia, nel bilanciamento degli interessi in gioco, le esigenze di tutela della finanza pubblica e il rispetto dei vincoli all’uopo predisposti in sede comunitaria, anche se ciò comporta inevitabili limitazioni indirette all’autonomia di spesa delle Regioni e degli enti locali. Tra i principi fondamentali della materia vanno annoverati anche quelli che riconoscono “poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento possa essere concretamente realizzata”, nella convinzione che “il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri d’ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo” (v. sentenza n. 376 del 2003). Questo orientamento è stato successivamente più volte confermato anche con riguardo al controllo della Corte dei conti con le sentenze n. 36 del 2004, n. 35 e n. 64 del 2005 e n. 267 del 2006. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 La stessa Corte, con la sentenza n. 179 del 23 marzo 2007, ha ribadito la non incompatibilità tra controllo interno istituito dalle Regioni e controllo esterno affidato alla Corte dei conti, quale “organo della Repubblica per garantire il rispetto dell’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva”. È da sottolineare il carattere di novità che detto controllo riveste e la sua distinzione dal controllo sulla gestione in senso stretto. Esso, infatti - dice il giudice costituzionale - appartiene alla categoria dei controlli deputati al “riesame di legalità e regolarità”, è “dichiaratamente finalizzato ad assicurare in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica la sana gestione finanziaria degli enti locali nonché il rispetto del patto di stabilità interno”e trova il suo precipuo fondamento costituzionale nell’art. 117, comma 3, Cost., che riserva allo Stato la competenza a dettare principi nella materia concorrente dell’armonizzazione dei bilanci e del coordinamento della finanza pubblica. Invero, il controllo sulla gestione in senso stretto, come nota la sentenza, serve ad assicurare l’uso delle risorse nel modo più efficace, più economico e più efficiente e si attua attraverso programmi e su materie scelte a campione e secondo autonome valutazioni dell’organo di controllo. Invece, il controllo in questione “si svolge su documenti di carattere complessivo e necessario e con cadenza annuale”, quali i bilanci e i rendiconti. Anche questo controllo ha natura collaborativa, in quanto si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie, pur riservando al controllore la necessaria vigilanza, “indispensabile per l’effettività del controllo”. Inoltre, esso completa la disciplina già contenuta nella legge n. 131/2003, individuando, nell’utilizzazione strumentale dell’opera dei revisori degli enti locali, il percorso operativo idoneo a dare concreta e generalizzata attuazione al controllo sugli aspetti economici e finanziari della gestione (Staderini). plina introdotta con l’art. 11 della legge n. 15 del 4 marzo 2009, che innova sia l’oggetto del controllo che le modalità di svolgimento del medesimo ed incide profondamente sulla titolarità delle competenze e dei poteri all’interno dell’Istituto. 10. Le più recenti trasformazioni nella disciplina dei controlli La legge n. 15 del 4 marzo 2009, che conferisce al Governo una delega “finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, contiene, all’art. 11, una serie di disposizioni che, da un lato, sono del tutto estranee all’oggetto della delega, dall’altro, sono in grado di sconvolgere l’assetto tradizionale della Corte dei conti, sia quanto a Le disposizioni legislative che apportano novità, al sistema dei controlli (generalmente in modo estemporaneo e disorganico), sono state numerose e in continua crescita in questi ultimi anni, emanate soprattutto in occasione delle leggi finanziarie. Merita comunque segnalare per la sua importanza la disci- 10.1. Controllo successivo su singoli atti di gestione La previsione di controlli di questo tipo ha assunto un rilievo straordinario, creando nuovi problemi e difficoltà operative. Così, l’art. 1, c. 173, legge n. 266/2005 (L.F. 2006) obbliga tutte le P.A. a trasmettere alla competente sezione della Corte gli atti di spesa che si riferiscono a incarichi di consulenza (per verificare la loro riduzione) nonché a relazioni pubbliche, convegni, mostre e spese di rappresentanza. L’art. 3, c. 44, legge n. 244/2007 (L.F. 2008) ha imposto l’obbligo a tutte le amministrazioni, enti e società pubblici della comunicazione “preventiva” alla Corte dei conti degli atti di attribuzione di emolumenti o retribuzioni e di conferimento di incarichi, perché si accerti, in sede di controllo successivo (come precisa il successivo c. 53), il rispetto dei limiti imposti. La stessa legge, ai commi 54-57, si occupa dei regolamenti degli enti locali sugli affidamenti di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza. In particolare, vi è l’obbligo imposto a tutti gli enti locali di inviare alle Sezioni regionali, entro 30 giorni dalla loro adozione, le nuove disposizioni regolamentari sui limiti, criteri e modalità di affidamento nonché sulla spesa massima consentita. A giudizio della Sezione delle Autonomie, la nuova competenza configura un controllo di legittimità sui singoli atti regolamentari in discorso, rivolto ad accertare la loro conformità al quadro normativo di riferimento; controllo che può comportare un procedimento in contraddittorio con l’Amministrazione per contestare i vizi di legittimità e suggerire correzioni o integrazioni e può sfociare in una pronuncia dichiarativa di inadempienza. 10.2. Controllo concomitante sulla gestione 1235 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini competenze e procedure che in relazione all’ordinamento interno. In particolare, sul piano funzionale, è introdotta una nuova forma di controllo sulle gestioni pubbliche, statali, regionali e locali, in corso di svolgimento. Il controllo della Corte non riguarderà più soltanto, come in passato, gestioni già svolte, per valutarne i risultati e le modalità di svolgimento, ma anche mentre si realizzano, per verificare la loro idoneità a raggiungere, nei tempi programmati e nel rispetto delle regole di buona amministrazione, gli obiettivi prefissati. Più in dettaglio, la Corte ha il potere, ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi d’attuazione stabiliti da norme o da direttive governative, di individuare le cause, in contraddittorio con l’Amministrazione, e darne comunicazione al Ministro competente, il quale, sulla base di sue valutazioni anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensione dell’impegno delle somme stanziate. Del pari, la Corte può individuare le cause di rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, nell’erogazione di contributi o nel trasferimento di fondi, comunicandole al Ministro competente: l’Amministrazione ha sessanta giorni di tempo per adottare i provvedimenti atti a rimuovere gli impedimenti, ma il Ministro può sospendere il termine stesso per il tempo ritenuto necessario o comunicare al Parlamento e alla Presidenza della Corte le ragioni che impediscono di ottemperare ai rilievi. Le Sezioni regionali della Corte possono anch’esse esercitare gli stessi poteri di controllo concomitante sulle gestioni regionali e locali, ma solo “previo concerto con il Presidente della Corte”; in questo caso la facoltà attribuita al Ministro competente spetta ai rispettivi organi di governo ed il referto al Parlamento è sostituito da quello alle relative assemblee elettive. 10.3. Le trasformazioni nel governo dell’Istituto La legge finanziaria 2008, ai commi 60, 61 e 62 dell’art. 3, ha dettato disposizioni rivolte ad accentrare il controllo: estendendo la competenza delle Sezioni riunite alla verifica anche degli aspetti meramente gestionali delle Amministrazioni regionali e locali; abrogando la norma (ora, peraltro, ripristinata dall’art. 8-bis della legge n. 15/2009) della legge n. 131/2003 che prevedeva la presenza nelle sezioni di due consiglieri designati dalle autonomie; infine riconoscendo al Presidente della Corte 1236 poteri di iniziativa in ordine alla regolamentazione del controllo attribuita al Consiglio di presidenza. La tendenza all’accentramento delle funzioni ha poi trovato conferma nel nuovo regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo approvato il 19 giugno 2008, con l’assegnazione, tra l’altro, alle Sezioni riunite, nei casi di particolare rilevanza, su iniziativa del Presidente, la competenza a pronunciarsi definitivamente in ordine a indagini di controllo di competenza di qualsiasi sezione. Questa tendenza è continuata nel 2009 in quanto recepita in particolare nell’art. 11 della legge n. 15/2009. Il Presidente viene ora posto al vertice di tutta la funzione di controllo, spettando a lui, ove si accertino gravi irregolarità e inadempienze, comunicare le risultanze del controllo, con “decreto motivato”, al Ministro competente; parimenti è richiesto il concerto con il Presidente perché le Sezioni regionali possano fare applicazione della stessa normativa nei confronti delle autonomie locali. Importante è l’innovazione recata dalla legge n. 15/2009, con l’introduzione del controllo concomitante e la previsione di un diretto rapporto di strumentalità della Corte con l’Esecutivo. Questo controllo, per il fatto di svolgersi nel corso della gestione per correggerne irregolarità e deviazioni e favorire il conseguimento degli obiettivi e le direttive del Governo, con referto prioritario al Ministro competente, presenta molti caratteri comuni con il controllo interno, che spetta, nello Stato, alla Ragioneria generale e agli organi previsti dal D.Lgs. n. 29/1993 e ss.mm., nonché, nelle Regioni e negli enti locali, ai corrispondenti organi di controllo interno. Nel nostro ordinamento, come negli altri Stati, secondo l’insegnamento dell’Organizzazione internazionale delle Istituzioni superiori di controllo (INTOSAI), controllo interno e controllo esterno coesistono in ambiti distinti, ciascuno con le proprie caratteristiche nei modi e tempi del controllo esercitato e, soprattutto, per quanto riguarda gli organi destinatari dei referti. A questi principi si ispira l’art. 7 della legge 131/2003, che affida alle Sezioni regionali della Corte il compito di riferire “esclusivamente ai Consigli degli enti controllati”. La Corte dei conti ha da sempre operato come organo di controllo esterno, legato al Parlamento; soltanto nel periodo fascista si è manifestata la chiara intenzione di spostare l’asse gravitazionale dell’Istituto dal Parlamento al Governo, con l’imposizione dell’obbligo di presentare anche al Capo del Gover- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 no la deliberazione di parifica del rendiconto generale dello Stato e annessa relazione. Sul versante delle autonomie territoriali, si assiste al netto superamento del modello di controllo delineato dalla legge n. 131, in cui le Sezioni regionali operavano come organi indipendenti, nell’ambito di un coordinamento equiordinato e condiviso della Sezione delle autonomie. In questa funzione stanno assumendo un ruolo preminente le Sezioni riunite, che non costituiscono “espressione” delle Sezioni regionali. È da considerare assolutamente extra ordinem la disposizione che consente alle Sezioni regionali di esercitare il controllo concomitante, di cui alla nuova disciplina esaminata, soltanto previo “concerto” con il Presidente della Corte, che assume, nella sostanza, un ruolo censorio, quasi di superiore gerarchico. Infine, a conferma della tendenza all’accentramento del controllo e al ruolo preminente assunto dal Presidente della Corte, va segnalata la disposizione di cui all’art. 17, comma 31, del D.L. n. 78 del 1° luglio 2009 (legge di conversione n. 102 del 3 agosto 2009): “Il Presidente della Corte può disporre che le Sezioni riunite adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in maniera difforme dalle Sezioni regionali di controllo nonché nei casi che presentino questioni di massima di particolare rilevanza. Tutte le Sezioni regionali di controllo si conformano alle pronunce di orientamento adottate dalle Sezioni riunite”. Con questa nuova attribuzione, su iniziativa discrezionale del Presidente, si realizza, da un lato, un coordinamento di tipo gerarchico, e, dall’altro, per le questioni di particolare rilevanza, una sostituzione di competenza non giustificata da esigenze di coordinamento. Tra le leggi più recenti che concernono anche la Corte dei conti sotto il profilo dei controlli vanno citate le seguenti: - legge 18 giugno 2009, n. 69: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile; - D.L. 1° luglio 2009, n. 78: Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini; - legge 4 marzo 2009, n. 15: Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza nelle P.A. nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al CNEL e alla Corte dei conti (in particolare v. l’intero art. 11); - D.L. 25 giugno 2008, n. 112 in particolare, artt. 1-bis e 30-ter, 30-quater e 31 (quest’ultimo in tema di esonero da colpa grave se il fatto dannoso trae origine da atto registrato in sede di controllo preventivo di legittimità): Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria; - D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e di funzionamento degli enti territoriali...), come convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. In particolare, quest’ultima normativa reca disposizioni volte a favorire la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali, nonché a riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali in difficoltà, nell’obiettivo di assicurare negli enti territoriali una gestione amministrativa e contabile efficiente e trasparente, in un quadro generale che vede le regioni e gli enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio. Lungo tale linea, il D.L. innanzi citato, ha introdotto disposizioni finalizzate a creare un sistema coordinato di controlli sugli enti territoriali. Tra le novità di maggior impatto, vi è l’istituzione di un “giudice in speciale composizione” presso le Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, espressione della sinergia tra le due funzioni fondamentali della Corte, il controllo e la giurisdizione, nonché l’estensione ai rendiconti generali delle Regioni a Statuto ordinario del giudizio di parifica. Invero, il collegamento teleologico con la legge di approvazione del bilancio regionale “fa sì che la parifica occupi, ormai, un ruolo centrale nel sistema coordinato degli strumenti di controllo della finanza pubblica. In effetti, la cadenza temporale della verifica e il suo inserimento nel processo legislativo regionale si prestano anche ad un’analisi, anno per anno, delle misure e delle iniziative adottate dalle Regioni” (Inaugurazione anno giudiziario 2015). Un profilo d’interesse che si ricava dalla lettura del decreto legislativo n. 149 del 6 settembre 2011 e smi., riguarda la previsione di un “inventario di fine legislatura” e dell’inventario di fine mandato provinciale e comunale, nonché la previsione di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni conseguenti al mancato rispetto del patto di stabilità: tra le sanzioni previste vi è anche la riduzione dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori. Il provvedimento, diretto a rafforzare la responsabilizzazione, la tra1237 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini sparenza e l’effettività del governo delle autonomie territoriali, individua nella relazione di fine legislatura, o mandato, che costituisce un rendiconto finale dell’attività svolta, un vero e proprio strumento pubblico di controllo democratico nei confronti degli amministratori regionali e locali, in vista delle successive elezioni. In tal modo l’accertamento sul versante finanziario demandato alla Corte in sede di controllo vede accresciuto di molto il principio della responsabilità nell’ambito della pubblica amministrazione, in quanto colpisce sul piano personale comportamenti non coerenti con i principi innanzi enunciati. Gli effetti sanzionatori rivolti agli amministratori degli enti che non rispettino i predetti obiettivi giungono fino all`incandidabilità per dieci anni degli stessi. È stato attribuito alla Corte dei conti in sede di controllo dall’articolo 6, comma 2 - qualora dalle pronunce delle Sezioni regionali emergano comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, la violazione degli obiettivi di finanza pubblica, o squilibri del bilancio in grado di provocare il dissesto - il potere di indicare all’ente locale l’adozione, entro un congruo termine, delle misure correttive necessarie per il conseguimento dell’equilibrio finanziario. Nel caso in cui queste misure vengano disattese, la norma prevede la trasmissione degli atti al Prefetto, ai fini della deliberazione dello stato di dissesto e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell’ente locale. In tal modo la dichiarazione dello stato di dissesto effettuata dal Prefetto viene correlata alle risultanze dei controlli effettuati dalla Corte dei conti. Il legislatore, nel chiaro intento di rendere effettivo il risanamento delle amministrazioni in crisi, ha affidato ad autorità quali la Corte dei conti e la Prefettura, l’accertamento della situazione di dissesto, alla quale vanno collegate le nuove sanzioni nei confronti degli amministratori locali previste dal citato decreto legislativo (art. 6, comma 1). In questo caso, il ruolo della Corte viene inserito nel meccanismo sanzionatorio che può portare alla deliberazione dello stato di dissesto e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell’ente ad opera del Prefetto. In questa nuova e più ampia prospettiva, anche il sistema dei controlli, ed in particolare di quelli esterni e di garanzia, è chiamato a svolgere una funzione più articolata, con il riconoscimento di funzioni più incisive nell’ambito dei meccanismi sanzionatori e premiali. Si rende, pertanto, più energico il ruolo della Corte nel sistema di coordinamento della 1238 finanza pubblica; in un modello di Stato che valorizza le autonomie locali con il riconoscimento di ampie prerogative a livello costituzionale,ma anche di misure sia premiali che sanzionatorie. (Sulle importanti innovazioni sul processo contabile in dipendenza dell’entrata in vigore del D.Lgs. 26 agosto 2016, n.174 recante il Codice di giustizia contabile adottato ai sensi dell’art. 20 L. 7 agosto 2015). 11. Gli interventi sugli apparati regionali Per quanto concerne le nuove regole in materia di finanza e funzionamento delle regioni, il D.L. n. 174/2012 reca all’art. 1 disposizioni volte a rafforzare i poteri di controllo della Corte dei conti ed i sistemi di controllo interno, nonché misure di contenimento della spesa degli organi politici degli enti territoriali e di riduzione dell’apparato politico. La linea ispiratrice del nuovo testo è di aumentare in modo sostanziale il controllo sulla gestione finanziaria delle regioni attraverso la garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, oltre quella già prevista del rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica: si prevede pertanto un modello di controllo sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi, che comporta l’esame da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del complesso dei documenti di bilancio regionali sotto il profilo del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza dei vincoli costituzionali, della sostenibilità dell’indebitamento, dell’assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti. A tal fine i relativi rendiconti dovranno tener conto anche degli effetti finanziari derivanti da partecipazioni societarie nei soggetti che gestiscono servizi pubblici regionali (o servizi strumentali alla regione) nonché dei risultati della gestione degli enti del settore sanitario. La relativa procedura prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte potranno emettere una pronuncia di accertamento qualora riscontrino squilibri economicofinanziari o altre rilevanti irregolarità: entro i successivi 60 giorni le regioni interessate dovranno adottare provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio e, in caso di inerzia o di inidoneità di tali provvedimenti. Alle regioni medesime è preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 Inoltre ogni dodici mesi il presidente della regione dovrà trasmettere alla Corte una relazione sulla regolarità della gestione e sul sistema dei controlli interni. È anche introdotto il giudizio di parificazione, da parte delle sezioni regionali di controllo, dei rendiconti regionali ed una relazione semestrale della Corte dei conti sulla tipologie delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri adottate per i provvedimenti approvati dalle regioni in ciascun semestre. Il nuovo sistema di controllo si estende anche ai rendiconti dei gruppi consiliari del Consiglio regionale, ciascuno dei quali deve approvare un rendiconto di esercizio annuale (redatto secondo idonee modalità stabilite con dPCM), trasmesso al presidente del Consiglio regionale e da questo al presidente della regione che, entro i successivi 60 giorni, lo invia alla Corte dei conti. In presenza di irregolarità, quest’ultima (entro 30 giorni, decorsi i quali si determina il silenzio-assenso) può richiederne le opportune modifiche ed integrazioni, da effettuarsi ad opera del gruppo consiliare interessato che, qualora non provveda (o anche qualora non abbia provveduto alla trasmissione stessa del rendiconto) decade dal diritto all’erogazione di risorse da parte del consiglio regionale, con contestuale obbligo di restituzione delle risorse nel frattempo ricevute e non rendicontate. Nel giudizio di parifica dei rendiconti generali delle singole Regioni è presente anche il Procuratore contabile. Ai fini della riduzione dei costi della politica, l’art. 2 introduce una serie di misure che incidono sulle spese per gli organi regionali, tra le quali si segnalano: a) la conferma della riduzione, già disposta dal precedente D.L. n. 138/2011, del numero dei consiglieri ed assessori regionali; b) la riduzione dell’indennità di consiglieri ed assessori; c) il divieto di cumulo di indennità e emolumenti; d) la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari. Viene poi novellata (art. 1-bis) la disciplina sanzionatoria e premiale degli enti territoriali contenuta nel D.Lgs. n. 149/2011, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal medesimo decreto per le regioni e gli enti locali. Si prevede la trasmissione della stessa relazione anche alla Corte dei conti, e si estendono anche alle autonomie speciali, in presenza di specifici presupposti, le verifiche di regolarità amministrativo-contabile previste nel medesimo decreto legislativo ed, infine, si introduce per gli enti locali la relazione di inizio mandato 12. Le disposizioni relative agli enti locali Il decreto 174/2012 reca, negli articoli da 3 a 8, numerose disposizioni concernenti gli enti locali: si prevede l’obbligo di trasparenza dei redditi degli amministratori dei comuni con più di 15mila abitanti (il cui stato patrimoniale dovrà essere pubblicato annualmente, nonché all’inizio ed alla fine del mandato) e si ridisegna il sistema dei controlli interni degli enti locali. In proposito si dispone, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, in particolare sulle società partecipate per gli enti locali con popolazione superiore, in prima applicazione della norma, a 100mila abitanti (limite dimensionale che poi è sceso a 50mila abitanti nel 2014 ed a 15mila abitanti a decorrere dal 2015). È stata, inoltre, potenziata la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che ricomprende, anche in corso di esercizio, la verifica della regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione e la verifica del funzionamento del sistema di controllo interno di ciascun ente. In tal modo, si attribuisce al giudice contabile, nei confronti degli amministratori degli enti, un potere sanzionatorio per un importo che può variare da cinque a venti volte la retribuzione del soggetto interessato. In particolare, l’art 3 lett r) introduce nel TUEL i nuovi articoli 243 bis, 243 ter, 243 quater e 243 quinquies. Il nuovo articolo 243 bis reca la disciplina generale della nuova procedura di riequilibrio finanziario, volta ad evitare la dichiarazione di dissesto di quei comuni con popolazione non inferiore a 20.000 abitanti e delle province per i quali, anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario. La predetta procedura prevede che il consiglio dell’ente locale deliberi un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di 10 anni nel quale si deve tenere conto di tutte le misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate. Si tratta di una terza fattispecie che si aggiunge alle situazioni, 1239 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini elencate dagli artt. 242 del TUEL e 244 del TUEL, di Enti in condizioni strutturalmente “deficitarie” e di Enti in situazioni di dissesto finanziario. L’art. 243 ter “ istituisce e disciplina l’accesso degli enti locali al “Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali”, il quale è finalizzato al risanamento finanziario degli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario di cui all’articolo 243 bis. L’art. 243 quater definisce le procedure di esame del “piano di riequilibrio finanziario pluriennale” e quelle che garantiscono il controllo sulla relativa attuazione: la sezione regionale della Corte dei conti svolge un ruolo essenziale in quanto, a seguito dell’istruttoria condotta dalla sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (ex art. 155 del TUEL) condotta sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti e delle indicazioni fornite dalla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, è chiamata a deliberare sull’approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio. In caso di approvazione del piano, la Corte vigila sull’esecuzione dello stesso. Nell’art. 243 quinquies sono infine disciplinate le “Misure per garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”. L’art. 6 della L. 174/2012 affida alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali (c.d.spending review) sulla base di metodologie appropriate definite dalla Sezione autonomie della stessa Corte di conti. Inoltre, la Corte dovrà esaminare il bilancio preventivo e consuntivo dell’ente locale, comprensivi delle risultanze delle partecipazioni in società controllate. Gli effetti del controllo potranno condurre ad una pronuncia di accertamento dalla quale deriva l’obbligo per l’ente di adottare provvedimenti correttivi che, se ritenuti inidonei dalla Corte, comportano la preclusione, per l’ente, dei programmi di spesa per i quali è emersa la non sostenibilità finanziaria. Specifiche norme sono poi volte a rafforzare le sanzioni per gli amministratori che abbiano cagionato il dissesto finanziario degli enti locali: si sopprime il limite temporale dei cinque anni che precedono il dissesto accertato dalla magistratura contabile; si inserisce l’espresso richiamo alle condotte omissive rilevanti ai fini delle cause ostative a ricoprire determinati incarichi ivi previste; si introduce una 1240 sanzione pecuniaria da irrogare nei confronti degli amministratori giudicati responsabili. Misure sanzionatorie sono anche introdotte per i componenti del collegio dei revisori degli enti locali di cui la Corte abbia accertato le responsabilità. TITOLO II Il Codice di giustizia contabile Cap. I Il nuovo processo presso la Corte dei conti 1. La nuova giustizia contabile Nel s.o. n. 41 alla Gazzetta Ufficiale n. 209 del 7 settembre 2016 è stato pubblicato il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 relativo al Codice di giustizia contabile adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Si tratta di un testo che, in attuazione della cd. Riforma Madia, racchiude le disposizioni processuali di tutte le tipologie di giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti, dai più noti giudizi di responsabilità erariale, ai giudizi di conto, a quelli sanzionatori e pensionistici. Il Codice, entrato in vigore il 7 ottobre 2016, raccoglie organicamente e sistematizza le disposizioni già esistenti e, sulla base dei principi e criteri direttivi della legge delega, contiene significativi elementi di novità, soprattutto sul fronte dei giudizi di responsabilità per danno erariale. Come si legge nel relativo comunicato stampa del Governo, datato 10 agosto 2016: «Sono stati recepiti i principi del “giusto processo”, ed in particolare quello della parità delle parti. Sono stati disciplinati i poteri del pubblico ministero, al quale si chiede di svolgere attività di indagine non solo per provare gli elementi costitutivi della responsabilità erariale, ma anche per accertare gli elementi che escludono tale responsabilità; è stato previsto l’obbligo di motivazione degli atti istruttori e introdotta, in difetto, una specifica causa di nullità; sono state valorizzate le tutele difensive sin dalla fase istruttoria; sono stati introdotti riti alternativi e semplificati, con l’obiettivo di ridurre il volume del contenzioso senza trascurare le finalità risarcitorie, in parallelismo con gli analoghi sistemi deflattivi del contenzioso introdotti per i giudizi ordinari; sono state dettate norme per rendere più certa l’esecuzione delle sentenze di condanna. In sintesi, il processo contabile, fin qui corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 disciplinato da norme risalenti molte addirittura agli anni ‘30, diventa più celere, le garanzie della difesa sono adeguatamente rafforzate, il principio del giusto processo permea tutti gli istituti processuali». Si riportano, per un’illustrazione complessiva, alcune considerazioni tratte dalla Relazione illustrativa al Codice. «Le novità di maggior rilievo si sono concentrate nella parte dedicata al giudizio di responsabilità amministrativa, mentre gli interventi che hanno riguardato le altre tipologie di giudizi sono stati principalmente finalizzati alla loro sistematizzazione, razionalizzazione e semplificazione. Sono stati tuttavia colti aspetti di novità in ambiti di recente introduzione di nuove competenze della Corte: a tale riguardo, merita sottolineare il rilievo specifico e distinto attribuito dal codice, anche in relazione al relativo procedimento, ai giudizi per l’applicazione di sanzioni pecuniarie, nei casi previsti dalla legge. La scelta è stata quella di non assimilare tali peculiari giudizi all’ordinario giudizio di responsabilità amministrativa, ferme restando le piene garanzie di difesa. Fra le tante innovazioni e i numerosi interventi sul piano legislativo che si sono registrati negli ultimi anni in materia di responsabilità amministrativa, infatti, sia sul piano sostanziale che sul piano formale, ha assunto un particolare rilievo la tendenza del legislatore, rilevabile nelle leggi finanziarie degli ultimi anni, a procedere alla tipizzazione di alcune fattispecie di responsabilità sanzionate. Invero l’ordinamento già conosceva fattispecie di questo tipo, quale, ad esempio, quella prevista dal combinato disposto delle disposizioni di cui agli articoli 45, comma 2, lett. c), e 46, comma 1, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, in materia di mancata presentazione del conto giudiziale, ma è con la fattispecie di responsabilità sanzionatoria prevista dall’articolo 30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) che si registra una innovazione sul piano legislativo che segna una nuova tendenza del legislatore a prevedere, accanto alla generale responsabilità amministrativa per danno, di tipo risarcitorio, devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti, fattispecie di responsabilità amministrativa tipizzate e sanzionate, pur in assenza di danno patrimoniale, con una sanzione previamente prevista dalla legge, e devolute anch’esse alla cognizione del giudice contabile. Le linee di fondo, del tutto coerenti con la delega, sono state quelle di semplificare, di dettare regole certe sull’attività istruttoria, di valorizzare le ga- ranzie difensive sin dalla fase preprocessuale, di far venir meno i presunti profili “inquisitori” del giudizio di responsabilità (incidendo sul c.d. potere sindacatorio del giudice), e di introdurre infine, nello stesso, i principi del c.d. giusto processo. L’obiettivo perseguito è stato la ricerca di una sintesi tra le esigenze di un processo equilibrato e dalla durata ragionevole, la tutela dell’erario (in considerazione del prevalente carattere risarcitorio del giudizio di responsabilità amministrativa) e il rispetto delle garanzie difensive in ogni momento del procedimento. Sullo sfondo di tali obiettivi, concordemente condivisi dalla Commissione redigente, il primo tema è stato quello dei principi generali, comuni a tutti i diversi giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti. Nell’analisi di impatto della regolamentazione (a.i.r.) è contenuta la rappresentazione del problema da risolvere e delle criticità constatate, anche con riferimento al contesto internazionale ed europeo, nonché delle esigenze sociali ed economiche considerate. Da tale analisi vengono tratti alcuni salienti aspetti, idonei a chiarire le principali novità legislative». 2. Le attribuzioni giurisdizionali Le attribuzioni giurisdizionali della Corte dei conti risalgono a norme preunitarie (si richiama, ad esempio, il “giudizio speciale” nei confronti “degli uffiziali e inverificatori delle casse e dei magazzini”, previsto dal R.D. 3 novembre 1853, n. 302) dalle quali sono derivate le norme prerepubblicane (legge n. 800 del 1861, legge di contabilità generale dello Stato del 1923, T.U. della Corte dei conti del 1934) che tuttora, in larga parte, segnano il perimetro, sostanziale e processuale, della giurisdizione contabile. Questo è stato rimodulato negli anni successivi da sporadici e frammentari interventi normativi e, soprattutto, anche per i profili sostanziali della responsabilità amministrativa, dalla riforma del 1994 (leggi 19 e 20 del 14 gennaio 1994, e successive modificazioni). Tale quadro normativo nel corso degli anni è stato interessato dalla giurisprudenza costituzionale, dagli interventi della Suprema Corte di Cassazione - in tema di riparto delle giurisdizioni - e della stessa magistratura contabile, che in via interpretativa si è impegnata ad introdurre nel processo contabile, e nelle sue diverse declinazioni, i principi del cosiddetto “giusto processo”, pur se le norme processuali di riferimento erano comunque precedenti al novellato art. 111 della Costituzione. 1241 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini «Le principali criticità della situazione attuale possono essere sintetizzate come segue: cipio costituzionale del “giusto processo” (art. 111 Costituzione); - perimetro sostanziale e processuale della giurisdizione contabile determinato da norme prerepubblicane; - la cointestazione alla Corte dei conti di funzioni di controllo e della giurisdizione determina in talune circostanze asimmetrie informative nei confronti degli indagati ovvero comportamenti contraddittori delle Procure in contrasto con le risultanze di pregressi controlli collaborativi; - quadro normativo segnato da giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione e da soluzioni interpretative della stessa Corte dei conti; - mancanza di coordinamento formale e sostanziale delle norme, disposizioni e prassi vigenti; - il cosiddetto “rinvio dinamico” alla norme del processo civile “in quanto applicabili” ha prodotto margini di incertezza e applicazioni interpretative; - se da un lato tali rinvii al processo civile hanno consentito adeguamenti della fase processuale, hanno tuttavia cristallizzato e reso in parte incoerente la fase preprocessuale del giudizio di responsabilità amministrativa, che non poteva trovare riscontro nel codice di procedura civile; - permane una sostanziale differenza con il processo civile, retto dal principio dispositivo, per il quale il giudice è terzo fra le parti convenute e giudica sulle prove da queste portate, mentre l’istruttoria dei giudizi di responsabilità - che sono quelli di maggior rilievo per la natura degli interessi pubblici coinvolti - è affidata alle procure regionali della Corte dei conti, che svolgono le funzioni di pubblico ministero e che esercitano pregnanti poteri istruttori, ad esse attribuiti da specifiche norme, peraltro molto risalenti nel tempo e tipici del “processo inquisitorio”, quali, ad es. la chiamata in giudizio in corso di procedimento; - ne è scaturito un sistema asimmetrico, nel quale la fase processuale è regolata da norme processuali civilistiche, “in quanto applicabili”, come già detto, mentre quella istruttoria e preprocessuale si è poggiata su norme prerepubblicane, disorganiche e lacunose, per come interpretate e, appunto, cristallizzate, nelle prassi operative; - genericità e indeterminatezza di alcune disposizioni relativa all’attività del pubblico ministero; - asimmetrie evidenti tra possibilità e strumenti a disposizione del P.M. e dell’indagato nella fase preprocessuale; - termini di prescrizione di fatto non definibili; - mancanza di trasparenza e di tempestività nella procedura di archiviazione; - conseguenti difficoltà a dare attuazione al prin1242 - livello insoddisfacente delle segnalazioni di danno da parte del dipendente pubblico, anche a fronte dell’obbligo di denuncia, in assenza di un adeguato sistema di tutela (istituto del “whistleblowing”); - esecuzione delle sentenze di recupero del credito erariale esogena all’attività della Corte, ma diretta responsabilità delle amministrazioni pubbliche beneficiarie, che procedono con procedure macchinose, diverse, tale da rendere lo strumento privo dell’efficacia che normalmente assiste la riscossione del credito erariale; - livelli di recupero dei crediti molto contenuto sull’ammontare delle condanne (un terzo ca.); - mancanza di un sistema ordinario e paritetico di definizione agevolata del danno erariale, anche in funzione deflattiva e di maggiore certezza di introiti per l’erario; - assenza di un effettivo sistema di garanzie sul recupero dei crediti; - incertezza anche sull’ammontare effettivo dei crediti recuperati (...)». 3. La legge delega L’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte. I principi e i criteri direttivi dettati dalla legge delega cui (avrebbe dovuto) (n.d.r.) attenersi la normativa delegata sono, in sintesi, i seguenti: - adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza costituzionale e della Corte di cassazione; l’adeguamento va coordinato con le norme del codice processuale civile, da considerare espressione di principi generali; - disciplinare i giudizi tenendo conto degli interessi pubblici e dei diritti soggettivi da tutelare, in base al principio di concentrazione ed effettività della corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 tutela e nel rispetto del principio costituzionale di ragionevole durata del processo; co denunciante; si tratta di norme che hanno anche funzioni esplicite di prevenzione; - ispirare le disposizioni processuali sulle azioni del pubblico ministero (PM) e sulle funzioni e attività del giudice e delle parti convenute a principi di semplificazione, razionalizzazione, trasparenza e riparto delle competenze; - riordinare le disposizioni processuali vigenti integrandole e coordinandole con le disposizioni e i principi del codice di rito civile in relazione a specifici aspetti, che vengono dettagliatamente indicati; - prevedere, per una sola volta e per un massimo di 2 anni, l’interruzione - con atto di costituzione in mora - del termine di prescrizione di 5 anni, ferma restando la sospensione del termine di prescrizione per la durata del processo: detto criterio introduce termini certi per la prescrizione; - elevare il limite attuale (di 5.000 euro) per il “rito monitorio” previsto dall’art. 55 del TU del 1934 per gli atti dannosi di lieve entità patrimoniale; il limite va periodicamente aggiornato sulla base delle rilevazioni Istat; - prevedere, nei giudizi di responsabilità amministrativa, l’introduzione di un rito abbreviato con riduzione dell’addebito, che permetta all’Erario, definendo il giudizio di primo grado, di incamerare rapidamente e in modo certo una somma di denaro, a titolo di risarcimento non superiore al 50% del danno economico imputato; l’accesso al rito abbreviato è condizionato dal parere favorevole del PM ed è precluso in caso di dolo del responsabile del danno; l’introduzione del rito abbreviato ha anche funzioni deflattive delle procedure (si riducono notevolmente i tempi sia delle procedure sia delle successive fasi di recupero dell’addebito); - riordino della fase istruttoria secondo principi di equilibrio e trasparenza, in particolare: specificità e concretezza della notizia di danno erariale; pieno accesso agli atti dopo l’emissione dell’invito a dedurre; obbligatorietà dell’audizione personale del presunto responsabile; specificazione delle modalità di esercizio dei poteri del PM; formalizzazione dell’archiviazione; preclusione di chiamata in causa su ordine del giudice, in assenza di nuovi elementi, di un soggetto destinatario di archiviazione. Si tratta di vere innovazioni in quanto non esiste alcuna disposizione che preveda espressamente il diritto di accesso agli atti processuali mentre l’audizione del presunto responsabile del danno erariale è attualmente facoltativa, così come la comunicazione di archiviazione; - unificazione delle norme sull’obbligo di denuncia del danno erariale e di tutela del dipendente pubbli- - riordino e ridefinizione delle disposizioni sull’esecuzione di sentenze di condanna definitive al risarcimento del danno (riassetto delle misure cautelari a garanzia del credito erariale, con particolare attenzione al ruolo del P.M. contabile nella fase dell’esecuzione delle sentenze di condanna, inclusione del credito erariale tra i crediti privilegiati); - disciplinare chiaramente le connessioni tra risultanze ed esiti accertativi raggiunti dalla Corte in sede di controllo ed elementi probatori producibili in giudizio; - prevedere che i pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo, nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi, siano idoneamente considerati, nell’ambito di un eventuale procedimento per responsabilità amministrativa, anche in sede istruttoria, ai fini della valutazione dell’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità. A tali principi si aggiungono quelli di ordine generale indicati dalla legge di semplificazione quali la definizione del riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia; il coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; l’indicazione esplicita delle norme abrogate. La legge delega ha, infine, stabilito che dalle nuove disposizioni processuali non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza. 4. Le ragioni dell’intervento di codificazione Le ragioni della codificazione muovono dal richiamo all’art. 103, 2° comma della Costituzione, che attribuisce alla giurisdizione della Corte dei conti le materie di contabilità pubblica e le altre materie specificate dalla legge. Le attribuzioni giurisdizionali della Corte dei conti risalgono a norme preunitarie dalle quali sono derivate le norme prerepubblicane che tuttora, in larga parte, segnano il perimetro, sostanziale e processuale, della giurisdizione conta1243 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini bile. Questo è stato rimodulato negli anni successivi da sporadici e frammentari interventi normativi e, soprattutto, anche per i profili sostanziali della responsabilità amministrativa, dalla riforma del 1994 (leggi 19 e 20 del 14 gennaio 1994, e successive modificazioni). Tale quadro normativo nel corso degli anni è stato interessato dalla giurisprudenza costituzionale, dagli interventi della Suprema Corte di Cassazione in tema di riparto delle giurisdizioni - e della stessa magistratura contabile, che in via interpretativa ha introdotto nel processo contabile, e nelle sue diverse declinazioni, i principi del cosiddetto “giusto processo”, pur se le norme processuali di riferimento erano comunque precedenti al novellato art. 111 della Costituzione. I diversi giudizi davanti alla Corte, per ciò che concerne il relativo regime processuale, trovarono un assetto regolamentare con il R.D. n. 1038 del 1933, l’art. 26 del quale prevedeva un rinvio c.d. dinamico ai termini e alle norme del codice di procedura civile, “in quanto applicabili”. È naturale considerare che l’applicabilità o meno di istituti processuali civili implicasse di per sé margini di incertezza, incompatibili con le necessarie esigenze di certezza che devono informare un ordinato assetto processuale. A parte ciò, se per un verso il rinvio alle norme del codice di procedura civile ha consentito gli adeguamenti recati dalle riforme che hanno riguardato nel tempo tale comparto, per altro verso lo stesso rinvio a regole processuali civili ha, per così dire, cristallizzato in prassi operative la fase preprocessuale del giudizio di responsabilità amministrativa. Infatti tale fase non poteva trovare alcun riscontro nel codice di procedura civile. La ragione di ciò sta nel fatto che il processo civile è un processo tra parti private, retto dal principio dispositivo, mentre l’istruttoria dei giudizi di responsabilità - che sono quelli di maggior rilievo per la natura degli interessi pubblici coinvolti - è affidata alle procure regionali della Corte dei conti, che svolgono le funzioni di pubblico ministero, e che esercitano pregnanti poteri istruttori, ad esse attribuiti da specifiche norme, peraltro molto risalenti nel tempo. Ne è scaturito un sistema asimmetrico, nel quale la fase processuale è regolata da norme processuali civilistiche, “in quanto applicabili”, mentre quella istruttoria e preprocessuale si è poggiata su norme risalenti, disorganiche e lacunose, per come interpretate e, appunto, cristallizzate, nelle prassi operative. In questo contesto sono apparse talvolta sacrificate, proprio nella fase istruttoria e preprocessuale che viceversa dovrebbe caratterizzarsi per una più 1244 accentuata attenzione alle stesse, le garanzie della difesa. Appaiono dunque evidenti le ragioni di ordine formale e sostanziale sottese alla necessità di pervenire ad una codificazione che avesse l’obiettivo di dettare una disciplina attualizzata e moderna per la tutela delle ragioni dell’Erario senza tuttavia perdere di vista le fondamentali esigenze difensive del presunto responsabile. Il Legislatore delegante ha inteso valorizzare lo strumento codicistico. Una codificazione richiede tuttavia un periodo adeguato di ricognizione delle norme e della giurisprudenza, ricostruzione, confronto con i soggetti pubblici a vario titolo interessati, al fine di apprestare un sistema di regole chiare, univoche e ben coordinate. E soprattutto richiede una verifica di impatto della regolazione postuma, “sul campo”, in particolare in ragione della innovatività degli istituti introdotti. In questa logica si è mosso il legislatore delegato in ragione della complessità della materia; consapevole della possibilità, di intervenire con correttivi entro due anni dall’entrata in vigore del codice: termine congruo per testare l’efficacia delle novità del sistema preprocessuale e della chiarezza di regole di quello processuale. La finalità generale dell’intervento legislativo è quella di realizzare un processo equilibrato, in grado di rafforzare le esigenze di tutela effettiva dell’Erario (in considerazione del prevalente carattere risarcitorio del giudizio di responsabilità amministrativa) e i conseguenti effetti di deterrenza conseguenti l’esecuzione della sanzione, contemperandole con il rispetto dei principi del giusto processo e delle garanzie difensive, in ogni momento del procedimento. Obiettivi specifici In vista del raggiungimento di tale finalità generale, l’intervento persegue, in particolare, i seguenti obiettivi specifici (di brevemedio-termine): I) sistematizzare, semplificare in modo sostanziale e dare certezza al quadro normativo, raccogliendo in un unico testo tutte le disposizioni processuali della giurisdizione contabile e mettendo a fattor comune un insieme di principi generali applicabili alle varie tipologie di procedimenti davanti alla Corte dei conti, senza vanificarne e disperderne le peculiarità di disciplina; II) rafforzare le garanzie della difesa, assicurando una partecipazione piena e consapevole dei presunti responsabili, anche nella fase istruttoria e preprocessuale, e introdurre nel giudizio di responsabilità i principi del c.d. “giusto processo”, anche rimuovendo gli elementi del cosiddetto “processo inquisi- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 torio”, a tutela sia della terzietà del giudice che della certezza delle posizioni dei presunti responsabili; III) stabilire termini certi per la prescrizione e trasparenza e tempestività nella procedura di archiviazione; IV) assicurare la necessaria coerenza tra pareri resi in sede di controllo e in via consultiva e azioni in sede giurisdizionale; V) incentivare le segnalazioni di illecito amministrativo dannoso assicurando adeguata tutela al dipendente pubblico segnalante; VI) aumentare l’effettività della giurisdizione di responsabilità e dei diritti dell’erario all’incameramento risarcitorio, mediante un rafforzamento delle procedure di esecuzione dei titoli giudiziali di condanna emessi, anche mediante rito abbreviato con riduzione dell’importo risarcitorio (sistema ordinario e paritetico di definizione agevolata del danno), e attività potenziate di vigilanza e monitoraggio del P.M. sull’esecuzione da parte delle Amministrazioni danneggiate. Si prevede, inoltre, per ogni atto del giudice e del pubblico ministero, l’obbligo di motivazione a pena di nullità. 5. Denuncia di danno e attività istruttoria del pubblico ministero Come si rileva dalla Relazione illustrativa, il nuovo codice, in attuazione del criterio di delega che ha previsto la “specificazione delle modalità di esercizio dei poteri istruttori del pubblico ministero, anche attraverso l’impiego delle forze di polizia, anche locali”, non introduce nuovi o diversi poteri istruttori oltre quelli che ad esso erano già attribuiti. Pertanto, il codice si è posto nell’ottica di disciplinare e dettagliare i poteri istruttori del pubblico ministero, prevedendo in parallelo le più opportune garanzie della difesa sin dalla fase istruttoria. Ha un carattere di assoluta novità una previsione contenuta nell’articolo 55, secondo la quale il pubblico ministero, oltre a compiere ogni attività utile al fine di acquisire elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale, svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della 16 persona individuata come presunto autore del danno. Si è inteso esplicitare la regola - peraltro comune a quella vigente in ambito processualpenalistico - in forza della quale il pubblico ministero contabile non deve attivarsi solo per provare gli elementi a sostegno dell’accusa, ma anche ricercare elementi a favore del presunto responsabile. Viene così affermato un imprescindibile principio di garanzia che vuole l’accertamento della verità storica quale valore assoluto anche nella tutela delle ragioni dell’erario, ovviamente senza perdere di vista la stessa. La norma, che non va ovviamente letta come deroga al principio generale in tema di onere probatorio, si coordina perfettamente con la previsione contenuta nell’articolo 67, comma 7 del codice, ove si prevede che l’attività istruttoria del pubblico ministero contabile successiva all’invito a dedurre debba trovare fondamento nelle argomentazioni difensive acquisite in sede di controdeduzioni o di audizione personale dell’invitato. Creare uno iato assoluto (...) tra le attività istruttorie ante invito a dedurre e le successive, avrebbe compromesso gravemente le esigenze di difesa delle parti e ancor più l’interesse superiore, appena menzionato come esplicitamente declinato del codice, all’accertamento della verità. I mezzi istruttori, come si è sopra indicato, sono quelli di cui all’articolo 5, comma 6, della L. 19/1994. Il pubblico ministero può pertanto disporre: l’esibizione di documenti, nonché ispezioni ed accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico di bilanci pubblici; il sequestro di documenti; audizioni personali; perizie e consulenze. Non si è ritenuto, per quanto la tesi, di sicura suggestione, sia stata approcciata nei lavori della Commissione, di inserire specifiche indicazioni in ordine all’assistenza “tecnica” (non necessariamente legale) agli atti istruttori da parte del soggetto che, a volte per mera causalità, li “subisce”, non trattandosi in alcun modo di una “parte” in senso processuale, e ancor meno di un soggetto necessitante di difesa. In altre parole, imporre un qualche onere difensivo aggiuntivo, mutuando in maniera impropria alcuni istituti del codice di rito penale, quale l’assistenza senza preavviso ai cosiddetti “atti a sorpresa” avrebbe sortito il paradossale effetto di creare una formale, ed indebita, anticipazione del piano dell’attribuzione delle responsabilità. Tutti gli atti istruttori devono essere motivati: la omessa o apparente motivazione degli atti istruttori, ovvero l’audizione assunta in violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 60 costituiscono causa di nullità dell’atto istruttorio e delle operazioni conseguenti (art. 65). Tale apparente conseguenza scontata, costituisce un ulteriore ed esplicito rafforzamento delle istanze difensive valorizzate dal codice. 1245 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Costituisce un’importante novità la specifica disposizione sulla riservatezza della fase istruttoria: in proposito la normativa prevista mira ad evitare non solo che “fughe di notizie” compromettano l’esito delle indagini o rechino nocumento a parallele attività accertative svolte dall’Autorità giudiziaria ordinaria delle quali il pubblico ministero contabile abbia avuto contezza, ma anche ad evitare che ricada sulle persone oggetto di accertamenti, la cui ipotesi di responsabilità neppure è stata formalizzata nell’invito a dedurre, il disdoro derivante da fatti dannosi la cui fenomenica esistenza e imputabilità sono ancora tutti da dimostrare. Quanto detto, nella consapevolezza che purtroppo il deplorevole fenomeno della pubblicizzazione mediatica di fatti rilevanti è difficilmente riconducibile a situazioni tipizzate e tipizzabili, ma col preciso intento di responsabilizzazione degli attori del processo contabile nell’interesse, come già detto, della buona riuscita dello stesso e nel contempo del buon nome dei presunti responsabili. Altre norme disciplinano l’effettuazione di ispezioni o accertamenti diretti, la richiesta di atti, documenti e informazioni. Va segnalata in proposito la disposizione per la quale gli atti e documenti pubblicati sui siti internet delle pubbliche amministrazioni devono essere acquisiti mediante accesso ai medesimi siti. Relativamente alle audizioni personali (art. 60) di persona informata, è previsto che la persona, se lo ritiene, possa farsi assistere da difensore di fiducia. Il soggetto sottoposto ad audizione ha l’obbligo di presentarsi e di rispondere alle domande che gli sono rivolte. Tuttavia il medesimo soggetto non è obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità: in tale caso deve essere avvertito che se intende rispondere ha facoltà di essere assistito da difensore di fiducia, la cui assenza impedisce la prosecuzione dell’audizione, che è rinviata a nuova data, secondo il noto brocardo latino “nemo tenetur se detegere”, esplicitamente richiamato come applicabile anche in questo ambito, in recepimento di principio di delega. Conseguentemente, il codice sanziona con la nullità l’audizione che si svolge in violazione delle suddette prescrizioni in ordine alla presenza del difensore di fiducia (e tale disposizione costituisce una novità assoluta). Come pure costituisce una novità la previsione di una sanzione pecuniaria (tra un minimo di 100 euro e un massimo di 1.000 euro, irrogati dalla sezione su richiesta del pubblico ministero) a carico 1246 dei soggetti che senza giustificato motivo non aderiscono all’invito del pubblico ministero. La norma sulle audizioni personali è ispirata dall’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra le esigenze di accertamento del danno erariale e le garanzie di difesa del presunto responsabile: e infatti, da un lato, prevedendosi l’obbligo di aderire all’invito del pubblico ministero a sottoporsi ad audizione personale, si rafforza oggettivamente l’attività accertativa e dall’altra, prevedendosi l’impossibilità di procedere ad audizione del presunto responsabile in assenza del difensore di fiducia e la sanzione della nullità in caso di violazione di tale ultima prescrizione, si rafforzano oggettivamente le garanzie di difesa. L’apparente accentuazione dell’inquisitorietà dello strumento, che si ravvisa in particolare nella disciplina del comma 5, laddove si prevede la sanzione pecuniaria per la mancata comparizione davanti al Pubblico ministero di chi, regolarmente intimato, non compare, se riguardato dall’ottica di chi necessita per suffragare le proprie argomentazioni difensive di avvalersi di testimonianze, ne valorizza ancora una volta la finalità garantista e difensiva. Il pubblico ministero, in base all’articolo 56, può svolgere l’attività istruttoria direttamente, oppure può delegare adempimenti istruttori alla Guardia di finanza o ad altre Forze di polizia, anche locale, agli uffici territoriali del Governo ai servizi ispettivi delle amministrazioni pubbliche. Solo in casi eccezionali e motivati può conferire incarichi di accertamento ai dirigenti di qualsiasi pubblica amministrazione individuati in base a criteri di professionalità e territorialità; può infine avvalersi di consulenti tecnici. Per le ispezioni e gli accertamenti delegati a dirigenti e funzionari regionali occorre la previa intesa con il presidente della regione (art. 61, comma 7). Il riferimento alla possibilità di delega a dirigenti di pubbliche amministrazioni, che peraltro codifica prassi diffusa già in uso, risponde all’esigenza di utilizzarne e valorizzarne in ambito accertativo le conoscenze specifiche, ma è stato doverosamente contemperato con quella di non creare soluzioni di continuità nell’attività fisiologica degli stessi in ragione degli oneri derivanti dal coinvolgimento in attività istruttoria per danno erariale. Da qui la necessità di tener conto di criteri di territorialità, evitando inutili e dispendiose trasferte, ontologicamente incompatibili con la ratio dell’intero procedimento e, ovviamente, di professionalità specifica evidentemente ritenuta infungibile dal pubblico ministero contabile operante nell’ambito della corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 valutazione dell’efficacia della propria attività a fini accertativi del fatto storico. Il sequestro documentale (art. 62) non è atto delegabile, se non per la sua esecuzione. Quanto detto, sottolinea l’importanza, ma nel contempo la natura necessariamente invasiva, che deve garantirne il dominio in chiave di garanzia da parte del pubblico ministero contabile. Deve essere disposto con decreto motivato (come tutti gli atti istruttori), copia del quale è consegnata al responsabile dell’ufficio o al soggetto che ha la disponibilità della documentazione oggetto di sequestro. Alle operazioni, che vanno eseguite dopo la consegna del decreto, mediante ricerca e acquisizione immediata degli atti e dei documenti da sequestrare, ha facoltà di assistere senza diritto ad essere avvisato il responsabile dell’area legale, purché prontamente reperibile. Quando sono oggetto di sequestro lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, questi, dal personale operante, non vanno aperti o alterati e neppure ne è consentita la conoscenza: vanno consegnati integri al pubblico ministero. Il decreto di sequestro è reclamabile davanti alla sezione giurisdizionale competente da chiunque abbia interesse, entro dieci giorni dalla consegna del decreto. Entro dieci giorni dal deposito del reclamo la sezione, in camera di consiglio e sentite le parti, decide. Se ravvisa l’estraneità dell’atto o documento sequestrato all’oggetto dell’istruttoria, la sezione annulla il decreto di sequestro e dispone l’immediato dissequestro. La connotazione dell’acquisizione documentale con l’avverbio “immediatamente” riportata al comma 3 dell’articolo 62 serve a porre fine a prassi distorte di effettuazione di sequestri “differiti”, tali cioè da non garantire l’apprensione subitanea, come tale genuina, della documentazione necessaria alla ricostruzione dei fatti. Si segnala anche, quale diretto contraltare della rafforzata incisività del sequestro, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 59, rubricato “Esibizione di documenti”: ove l’atto o il documento sia reperibile in internet, secondo obblighi peraltro anche recentemente rafforzati dal legislatore, la relativa acquisizione deve avvenire utilizzando i medesimi siti. Ciò deve indurre il pubblico ministero contabile ad una precisa ponderazione degli interessi istruttori utilizzando i mezzi più incisivi laddove ravvisi la necessità di riscontri di veridicità o integrazioni anche informali non diversamente reperibili in internet, evitando per contro inutili accessi - e conseguente clamore mediatico - per verifiche effettuabili “sfruttando” i sempre più incisivi obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (Relazione illustrativa, pagg. 15 e ss.). 6. La conclusione della fase istruttoria L’art. 66 disciplina, in attuazione dello specifico criterio di delega, gli atti interruttivi della prescrizione. La prescrizione può essere interrotta dall’invito a dedurre o da altro formale atto di costituzione in mora, ai sensi degli artt. 1219 e 2943 del codice civile. Il termine quinquennale di prescrizione può essere interrotto per una sola volta. Ai sensi del secondo comma dell’art. 66, a seguito dell’interruzione, al tempo residuo per raggiungere l’ordinario termine quinquennale di prescrizione si aggiunge un periodo massimo di due anni: ne consegue che la durata massima complessiva del termine di prescrizione non può in ogni caso eccedere i sette anni, decorrenti dall’esordio della prescrizione stessa. Si è inteso in tal modo declinare il principio di delega che, per quanto con ambiguità espressive, vuole cristallizzare in un termine finale di 7 anni quello ritenuto sufficiente dal legislatore a contemperare le esigenze delle indagini con quelle di garanzia difensiva, ovviamente pregiudicate dall’eccessiva durata del procedimento. Il termine di prescrizione è sospeso per il periodo di durata del processo. Quanto al termine di esordio della prescrizione, sono naturalmente fatti salvi i principi civilistici di ordine sostanziale relativi alla decorrenza della stessa. La regola codicistica di cui all’art. 2935 c.c. è declinata, nel processo amministrativo contabile, nella norma espressa dall’art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come sostituito dall´art. 3, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 63, secondo cui, fuori dei casi di occultamento doloso del danno, il termine di prescrizione deve essere computato dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso. In caso di occultamento doloso del danno, la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta. Prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, il pubblico ministero notifica al presunto responsabile un invito a dedurre: in tale ultimo atto (art. 67) devono essere esplicitati tutti gli elementi essenziali del fatto, di ciascuna condotta contestata e del contributo causale (dell’invitato). Il termine assegnato all’invitato per esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contestazione formulata e per depositare le proprie conclusioni non può 1247 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini essere inferiore a 45 giorni. Nello stesso termine, in calce alle deduzioni o con separato atto, il presunto responsabile può chiedere di essere personalmente sentito dal pubblico ministero. L’omessa audizione richiesta comporta l’inammissibilità dell’atto di citazione. Entro 120 giorni decorrenti dalla scadenza del termine assegnato per la presentazioni delle controdeduzioni, il pubblico ministero emette l’atto di citazione (se non ritiene ai sensi dell’art. 69 di archiviare il fascicolo, anche sulla base degli elementi difensivi offerti nelle controdeduzioni). Si segnalano, quali elementi di novità: la specificazione del contenuto necessario dell’invito a dedurre, l’elevazione del termine minimo per controdedurre (dagli attuali trenta ai previsti quarantacinque), la previsione per la quale successivamente all’invito a dedurre non sono ammesse ulteriori attività istruttorie, “salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni” (comma 7 dell’art. 67; cfr, anche art. 55). La norma deve essere letta in chiave rigorosamente garantista in quanto vuole porre un limite all’attività istruttoria d’iniziativa del pubblico ministero contabile all’esito della discovery, già effettuata con l’invito a dedurre. L’impulso all’attività integrativa deve essere di matrice difensiva, in quanto ricavabile dalle controdeduzioni, id est da indicazioni dei presunti responsabili, evidentemente necessitanti di approfondimenti ulteriori, se del caso nei confronti di altro destinatario di invito a dedurre (è noto infatti come, soprattutto nel caso di pluralità di ipotetici responsabili, le indicazioni difensive dell’uno possano risolversi in elementi accusatori dell’altro ovvero di soggetto non destinatario di invito). Il codice detta specifiche regole per la proroga del termine (di centoventi giorni) di cui al comma 5 dell’art. 67: le proroghe sono autorizzate dal giudice all’uopo designato dal presidente della sezione, nella camera di consiglio a tal fine convocata; in primo luogo le possibili proroghe sono limitate a due; avverso l’ordinanza che accoglie o nega la proroga è ammesso reclamo alla sezione nel termine perentorio di dieci giorni. 7. L’archiviazione Quando, anche a seguito di invito a dedurre, la notizia di danno risulti infondata o non vi siano elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità, il pubblico ministero dispone l’archiviazione del fascicolo istruttorio (art. 1248 69). Il Codice introduce come specifico motivo di archiviazione per assenza di colpa grave il fatto che l’azione amministrativa (ritenuta dannosa) del presunto responsabile si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consultiva. Sulla questione si rinvia, per una più esauriente esposizione e commento, al successivo punto 8. In tema di archiviazione sono altresì presenti altre due novità: il visto necessario del procuratore regionale sul decreto di archiviazione e il potere di avocazione del fascicolo istruttorio conferito a quest’ultimo quando permanga un formale dissenso con il magistrato istruttore sulle ragioni dell’archiviazione. Le due disposizioni accentuano il ruolo e la responsabilità dei procuratori regionali, quali responsabili dell’ufficio del pubblico ministero. Il comma 2 dell’art. 69 contempla una specifica ipotesi di archiviazione della notizia di danno, per assenza dell’elemento psicologico: ove l’azione degli enti locali (rectius, l’azione degli amministratori, dei dirigenti e dei funzionari degli enti locali) si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti, nei confronti dei medesimi enti locali, in sede di controllo e in via consultiva, la notizia di danno (ovviamente concernente l’azione conforme al parere) deve essere archiviata, per assenza di colpa grave. La disposizione normativa attua il principio e criterio direttivo di cui all’art. 20, comma 2, lett. p), della legge n. 124/2015: “disciplinare esplicitamente le connessioni tra risultanze ed esiti accertativi raggiunti in sede di controllo e documentazione ed elementi probatori producibili in giudizio, assicurando altresì il rispetto del principio secondo cui i pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi, siano idoneamente considerati, nell’ambito di un eventuale procedimento per responsabilità amministrativa, anche in sede istruttoria, ai fini della valutazione dell’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità”. Con riferimento alla tipologia dei pareri in questione, ed in via esemplificativa, ci si può riferire a quanto dispone l’art. 7, comma 7, secondo periodo, della legge n. 131/2003: “Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati (...)”. re. In caso di diniego di proroga da parte del pubblico ministero, il relativo decreto è reclamabile davanti alla sezione giurisdizionale. 8. Attività preprocessuali di parte Gli artt. 71 e 72 riguardano le attività difensive. L’obiettivo al quale si è mirato è stato quello di consentire al presunto responsabile, già nella fase processuale, la più ampia difesa, in attuazione dello specifico criterio di delega, secondo il quale “dopo l’avvenuta emissione dell’invito a dedurre, nel quale devono essere esplicitati gli elementi essenziali del fatto, (deve essere garantito) pieno accesso agli atti e ai documenti messi a base della contestazione”. È stato di conseguenza previsto che il destinatario dell’invito a dedurre ha diritto di visionare ed estrarre copia di tutti i documenti inseriti nel fascicolo istruttorio depositato presso la segreteria della procura regionale. In un quadro di coerenza anche con i principi del giusto processo e per la miglior tutela delle ragioni difensive è stato previsto che per l’invitato a dedurre tutti i termini per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e per il diritto di accesso civico siano ridotti della metà. Ed ancora, è stato previsto che in caso di diniego all’accesso o decorsi inutilmente i termini per l’adozione del provvedimento espresso, il destinatario dell’invito a dedurre possa chiedere al pubblico ministero (con effetto sospensivo del termine per controdedurre) l’attivazione dei poteri istruttori di cui gli artt. 58 (richieste di atti) e 62 (sequestro di documenti), motivando in ordine alla rilevanza 22 dei documenti specificamente individuati per la sua difesa. Se il pubblico ministero non ritiene di accogliere la richiesta, è comunque tenuto a trasmetterla entro tre giorni, dandone comunicazione al ricorrente, al presidente della sezione giurisdizionale, che decide entro cinque giorni. Tale disposizione trova fonte non solo nell’enunciato criterio di delega (di piena accessibilità agli atti posti a fondamento della contestazione), ma anche nei principi del giusto processo e più in generale della più ampia tutela del diritto di difesa. Nel dibattito interno alla Commissione redigente è infatti emerso che spesso le attività tese all’acquisizione di elementi difensivi sono ostacolate dall’inerzia o da ingiustificati ritardi delle amministrazioni. Sempre in un’ottica di tutela della difesa, è stato previsto, all’art. 72, che il presunto responsabile possa presentare, entro cinque giorni dalla notificazione dell’invito a dedurre, istanza di proroga del termine assegnatogli per controdedur- 9. Azioni a tutela del credito erariale Il titolo II della Parte II del Codice disciplina le azioni a tutela del credito erariale ed è attuativo del criterio di delega che prevede di applicare “gli istituti processuali in tema di tutela cautelare anche ante causam e di tutela delle ragioni del credito erariale tramite le azioni previste dal codice di procedura civile, nonché i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile”. L’art. 73 esplicita pertanto la possibilità per il pubblico ministero contabile di esercitare “tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V del codice civile”. L’espresso richiamo alla disciplina codicistica civile in tema di azioni surrogatoria e revocatoria evita la previsione di specifica o diversa disciplina, che sarebbe meramente ripetitiva di quella civile. Una specifica disciplina è stata invece formulata relativamente al sequestro conservativo. Le novità di rilievo, apportate dal codice, consistono nella disciplina sulla reclamabilità dei provvedimenti cautelari (art. 76) e nella previsione di una cauzione o fideiussione bancaria (art. 81) in luogo del sequestro. È previsto lo svolgimento, da parte del P.M., di accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona individuata come presunto autore del danno, oltre a quelli utili al fine di acquisire elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale. (Ciò, in analogia a quanto previsto dall’art. 358 c.p.p. per il pubblico ministero nel processo penale: n.d.r.) L’attività istruttoria del P.M. contabile successiva all’invito a dedurre deve trovare fondamento nelle argomentazioni difensive acquisite in sede di controdeduzioni o di audizione personale dell’invitato. In sostanza, è preclusa un’attività istruttoria di iniziativa post invito a dedurre, affinché quest’ultimo costituisca un momento di ineludibile garanzia informativa per il presunto responsabile, diversamente esposto a supplementi istruttori ad libitum (principio che trova il proprio corollario nella corrispondenza tra atto di citazione e invito a dedurre, che egualmente garantisce la messa a disposizione del quadro probatorio nella fase preistruttoria e allo scopo di potersi agevolmente difendere). 1249 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Al riguardo, è stata esaminata la seguente alternativa: - Inserimento di specifiche tutele in ordine all’assistenza “tecnica” (non necessariamente legale) agli atti istruttori per il soggetto che, a volte per mera casualità, ne viene coinvolto. Tale opzione è stata scartata in quanto avrebbe imposto a tali soggetti - che non sono in alcun modo “parti” in senso processuale o soggetti necessitanti di difesa - oneri difensivi aggiuntivi, peraltro connotando loro in anticipo e del tutto indebitamente di un’aura di inesistente responsabilità al momento dell’effettuazione dell’atto. - Previsione, nell’ambito delle audizioni personali di persona informata, che la persona, se lo ritiene, possa farsi assistere da difensore di fiducia. Il soggetto sottoposto ad audizione, pur avendo l’obbligo di presentarsi e di rispondere alle domande, non ha l’obbligo a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità. In tale ultimo caso, deve essere avvertito, a pena di nullità, che se intende rispondere ha facoltà di essere assistito da difensore di fiducia, la cui assenza impedisce la prosecuzione dell’audizione, che è rinviata a nuova data. - Introduzione di una disciplina a tutela della riservatezza della fase istruttoria. - Introduzione di criteri di territorialità in merito alle attività delegate a dirigenti e funzionari dell’amministrazione. - Specificazione del contenuto necessario dell’invito a dedurre, elevazione del termine minimo per controdedurre (dagli attuali trenta ai previsti quarantacinque), previsione per la quale successivamente all’invito a dedurre non sono ammesse ulteriori attività istruttorie, “salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni”. In merito a quest’ultimo punto, è stata esaminata la seguente alternativa: • interruzione senza eccezioni delle attività di indagine successivamente all’invito a dedurre. È stato valutato che tale opzione avrebbe compromesso le esigenze di difesa delle parti e ancor più l’interesse superiore dell’accertamento della verità. - In merito alla questione delle denunce anonime, è stata preferita l’opzione zero, ovvero l’assenza di una disciplina esplicita, essendo gli anonimi riconducibili alla dicitura di “notizia di danno comunque acquisita”, purché, ovviamente, sempre filtrata dalla necessaria sussistenza degli elementi di garanzia della concretezza e specificità dei contenuti. La scelta di non introdurre una disciplina esplicita degli 1250 anonimi deriva anche dalla volontà di conformare indirettamente il dettato normativo alle “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, contenute nella determina dell’ANAC n. 6 del 28 aprile 2015, e all’attuale Piano Nazionale Anticorruzione, che prevede nell’All. 1, par. B.12.1, “... che l’amministrazione deve prendere in considerazione anche le segnalazioni anonime, ove queste siano adeguatamente circostanziate e rese con dovizia di particolari, ove cioè siano in grado di far emergere fatti e situazioni relazionandoli a contesti determinati”. 10. Questioni di massima e questioni di particolare importanza In attuazione dei principi e criteri di delega sopra citati, è stata ridefinita la disciplina sul deferimento delle questioni di massima e di particolare importanza già regolata dall’art. 7 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, con l’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 19. Accogliendo gli spunti offerti dal consolidato orientamento giurisprudenziale, la possibilità di deferire la soluzione di questioni di massima alle sezioni riunite viene attribuita alle sezioni giurisdizionali di appello, in ragione della c.d. “difformità orizzontale” tra pronunce di secondo grado. Tale possibilità viene, invece, preclusa alle sezioni giurisdizionali territoriali, con ciò riportando la c.d. “difformità verticale” nell’ ambito più propriamente fisiologico della divergenza tra orientamenti giurisprudenziali, e valorizzando per converso, in ragione del principio di ragionevole durata, il vaglio del giudice di appello (...). L’art. 117 regola l’ipotesi del motivato dissenso da parte della sezione giurisdizionale di appello che ritenga di non condividere un principio di diritto, di cui debba fare applicazione. In tal caso la decisione dell’impugnazione viene rimessa alla sezione. 11. Regolamento di competenza e giudizi in unico grado Il conflitto di competenza, che si configura avanti alla giurisdizione contabile soltanto come conflitto di competenza territoriale, viene definito all’art. 118 in analogia alla disciplina processualcivilistica dell’art. 45 c.p.c. L’istanza di regolamento di competenza può essere proposta da tutte le parti del processo, nel quale sia stata disposta ordinanza di sospensione e l’articolazione del giudizio segue, in corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 quanto compatibile, la struttura delineata nel processo civile. Gli articoli da 123 a 129 compongono il Capo III e riguardano i giudizi in unico grado. Tali articoli attuano, con specifico riferimento ai “giudizi in unico grado”, la delega recata nell’art. 20, comma 1, della legge n. 124/2015 in base alla quale: “Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte”. il 30%, e tra il 10 ed il 25%, dell’importo del danno quantificato nella sentenza di primo grado. L’odierno rito abbreviato consente, invece, la definizione del giudizio di responsabilità, sia immediatamente in primo grado, che in appello, graduando progressivamente la percentuale della definizione: sino al 50% del danno quantificato nell’atto di citazione al primo grado di giudizio; non inferiore al 70%, ancora del danno quantificato nell’atto di citazione, qualora il rito abbreviato si perfezioni in appello. In entrambi i gradi processuali la sentenza definisce il giudizio, dopo avere verificato l’avvenuto versamento, in unica soluzione, della somma determinata dal collegio giudicante. 12. Riti speciali - Il rito abbreviato All’interno del Titolo V, dedicato ai “Riti speciali”, il Capo I composto da un unico articolo, disciplina l’ambito di applicazione ed il procedimento del “Rito abbreviato”. La codificazione normativa, ora introdotta in questo Capo, istituisce il rito e ne reca la disciplina processuale di riferimento, in attuazione puntuale del principio e criterio direttivo recato nell’art. 20, comma 2, lett. f), della legge n. 124/2015 che delega il Governo a “prevedere l’introduzione, in alternativa al rito ordinario, con funzione deflativa e anche per garantire l’incameramento certo e immediato di somme risarcitorie all’erario, di un rito abbreviato per la responsabilità amministrativa che, esclusi i casi di doloso arricchimento del danneggiante, su previo e concorde parere del pubblico ministero consenta la definizione del giudizio di primo grado per somma non superiore al 50 per cento del danno economico imputato, con immediata esecutività della sentenza, non appellabile; prevedere che, in caso di richiesta del rito abbreviato formulata in appello, il giudice emetta sentenza per somma non inferiore al 70 per cento del quantum della pretesa risarcitoria azionata in citazione, restando in ogni caso precluso l’esercizio del potere di riduzione”. Sino ad oggi, la possibilità di una apposita “definizione agevolata” dei giudizi di responsabilità amministrativa è stata prevista soltanto in appello, con esclusivo riferimento alle sentenze di condanna in primo grado. Ciò è avvenuto con la legge n. 266/2005, e con il D.L. n. 102/2013. In entrambi i casi, si è consentita la definizione, in appello, delle sentenze di condanna di primo grado, e la conseguente estinzione del giudizio, mediante il pagamento, da parte dell’agente pubblico condannato, di una somma rispettivamente compresa tra il 10 ed 12.1. Rito monitorio Il rito monitorio si colloca anch’esso, nell’ambito del riti speciali. Ha fonte nell’art. 55 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e trova applicazione nel giudizio dei conti ai sensi del comma 1 del citato art. 55, esteso, ai sensi del comma 2, ai giudizi di responsabilità amministrativa. Si tratta di una procedura speciale che, in ragione della lieve entità del danno patrimoniale, ovvero nei casi in cui l’addebito non superi l’importo di euro 10.000, prevede che con decreto venga determinato l’importo da pagare entro un termine fissato per l’accettazione. Spirato il termine senza esito, ovvero in caso di mancata espressa accettazione oppure nel caso di irreperibilità della parte, il giudizio prosegue secondo il rito ordinario. Permane, rispetto alla disciplina previgente, il carattere vincolante del parere del pubblico ministero. In attuazione del principio di delega di cui all’art. 20, comma 2, lettera e) che autorizza a “procedere all’elevazione del limite di somma per il rito monitorio di cui all’art. 55 del testo unico di cui al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, concernente fatti dannosi di lieve entità patrimonialmente lesiva, prevedendo che esso sia periodicamente aggiornabile in base alle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati”, l’importo da euro 5.000 è stato elevato a 10.000 euro. 12.2. Rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria All’interno del Titolo V, dedicato ai “Riti speciali”, il Capo III (articoli da 133 a 136), disciplina il “Rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria”, in attuazione del generale principio e 1251 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini criterio direttivo recato nell’art. 20, comma 1, della legge n. 124/2015 prevedente l’emanazione di un “decreto legislativo recante il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte”. La codificazione normativa, ora introdotta nel Capo III, dà certezza ai giudizi in questione, sino ad oggi privi di una disciplina processuale, legislativa, di riferimento. Sui medesimi giudizi si erano invece espresse, di fatto riconducendo tali giudizi al “rito ordinario”, le sezioni riunite della Corte dei conti, con la sentenza n. 12 del 2007. Con riferimento alle fattispecie oggetto del rito in questione, si tratta di casi nei quali la legge prevede che la Corte dei conti commini, ai responsabili della violazione di specifiche disposizioni normative, una sanzione pecuniaria stabilita tra un minimo ed un massimo edittale. Esempio paradigmatico di tali fattispecie, è quella contenuta nell’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002 secondo cui “qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art. 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le Sezioni Giurisdizionali Regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”. 12.3. Giudizi di conto Gli articoli dal 137 al 176 trattano dei giudizi di conto, dei giudizi pensionistici e dei giudizi ad istanza di parte. Va precisato che relativamente ai giudizi in questione la delega non detta criteri direttivi specifici, per cui si deve concludere che l’inserimento della relative disposizioni nel codice risponde ad una esigenza di razionalizzazione e semplificazione, essendosi colto l’obiettivo di racchiudere in un unico “corpus” la disciplina processuale di tutti i diversi giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti. Va tuttavia precisato che i principi generali di cui alla prima parte del Codice riguardando tutti i detti giudizi, per cui sono estesi ai giudizi di conto, pensionistici e ad istanza di parte quei principi che integrano il c.d. giusto processo, come pure sono applicabili ai giudizi in questione le prescrizioni relative agli organi, alla competenza, all’astensione e ricusa1252 zione del giudice, agli ausiliari, agli atti processuali e ai provvedimenti, nonché alle nullità. Il giudizio di conto è disciplinato dagli articoli dal 137 al 150. Le norme introducono, quali elementi di novità, l’anagrafe degli agenti contabili, la trasmissione per via telematica dei conti giudiziali, una più dettagliata disciplina del c.d. giudizio per la resa del conto (art. 141), che la vigente normativa non qualificava adeguatamente. Merita segnalare, quale ulteriore elemento di novità, la previsione di un decreto del presidente della sezione che all’inizio di ciascun anno, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, fissa le priorità cui i magistrati relatori, nella pianificazione dell’esame dei conti, dovranno attenersi. Più specificamente, l’obiettivo è quello di attribuire un carattere di priorità, nel calendarizzare l’esame, ai conti depositati da agenti contabili relativamente ai quali sono già emerse criticità in occasione di giudizi di responsabilità, ovvero ai conti di gestioni che presentino maggiore interesse per le dimensioni delle stesse, per gli eventuali risultati o per il loro carattere di novità. 13. Le impugnazioni Al Capo I figurano alcune norme a carattere generale: enunciazione dei singoli rimedi contro le decisioni, definizione della cosa giudicata formale, disposizioni in merito ai termini da rispettare e al luogo della notificazione, disciplina sul deposito dell’atto di impugnazione e sulla fissazione dell’udienza, disposizioni per l’ipotesi di una pluralità di parti nel giudizio d’impugnazione e disciplina dei rapporti intercorrenti tra impugnazioni avverso la medesima sentenza; seguono disposizioni in materia di intervento, sugli effetti della riforma o dell’annullamento della decisione, sulla sospensione del procedimento d’impugnazione e sugli effetti dell’estinzione dello stesso. Il Capo II riguarda la fase dell’appello. Sono ivi disciplinate la legittimazione a proporre appello, la forma e il contenuto di quest’ultimo, nonché gli effetti sospensivi sull’esecuzione della sentenza di primo grado. Il Capo II contiene, altresì, un rinvio in materia di costituzione delle parti e definisce la riserva facoltativa di appello, oltre al divieto di nuove domande ed eccezioni e al divieto di nuovi mezzi di prova; infine, è disciplinata la mancata comparizione dell’appellante, con conseguente improcedibilità dell’appello, è operato un rinvio alla disciplina del primo grado corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 in materia di trattazione della causa, si sancisce la non riproponibilità dell’appello dichiarato improcedibile o inammissibile e si disciplinano le ipotesi di rinvio al primo giudice. Peculiare è la disciplina di tale rinvio, nell’ipotesi di accoglimento del gravame per le sentenze che abbiano deciso solo questioni preliminari o pregiudiziali. Si è preferito in tal caso optare per la rimessione al primo giudice ai fini 36 della prosecuzione del giudizio sul merito - con ogni conseguenza in ordine al regime delle spese - essendosi reputata prevalente la garanzia del doppio grado di giudizio. È difatti sembrata stringente la considerazione che la sentenza d’appello è in questo caso soggetta al ricorso per cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Il Capo III riguarda l’opposizione del terzo. Sono enunciati i soggetti legittimati a proporla e le fattispecie che possono darvi origine, la forma della domanda e le caratteristiche del procedimento, tra cui la mancanza di effetti sospensivi nei confronti della sentenza impugnata e la possibilità di incorrere nel pagamento di una pena pecuniaria laddove il giudice dichiari inammissibile o improcedibile la domanda o la rigetti per infondatezza dei motivi. Il Capo IV concerne il rimedio della revocazione: sono disciplinati i casi in cui è possibile agire in revocazione, le modalità ed i termini per la proposizione della domanda, con adattamento ai giudizi di conto attraverso l’espressa previsione d’impugnazione anche per le ipotesi di omissione, doppio impiego o errore di calcolo. Quanto al procedimento, vengono richiamate le norme per il procedimento davanti al giudice adito in revocazione, se non espressamente derogate; sono altresì disciplinate le ipotesi di eventuale sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata e le impugnazioni ammissibili avverso una sentenza emessa in giudizio di revocazione. Il Capo V attiene infine al ricorso per cassazione. Le disposizioni ivi contenute ineriscono ai motivi di ricorso, alla mancanza di effetto sospensivo sull’esecutività della sentenza impugnata, ai rapporti tra revocazione e ricorso per cassazione e alle ipotesi di riassunzione della causa. Il pubblico ministero contabile non è intestatario di alcun titolo di legittimazione, se non quello di “monitorare” l’innesco ed il consequenziale svolgimento delle procedure di esecuzione dei titoli giudiziali di condanna risarcitoria emessi. Ciò ha implicato molteplici effetti negativi, quali tolleranze, ritardi, se non addirittura inerzie ed omissioni, dovute anche a difficoltà organizzative e funzionali delle pubbliche amministrazioni centrali o periferiche, nazionali e degli enti locali, con un correlato e persistente basso tasso di riscossione effettiva dei crediti erariali (inferiore al 10% annuo). Infine, la natura del credito erariale, puramente chirografario, nel caso in cui più creditori anche privati, concorrano in esecuzione sul patrimonio dell’agente responsabile di danno erariale condannato a risarcimento e divenuto debitore dell’ente creditore esecutante, ha sovente determinato inevitabili effetti di incapienza nella massa passiva esecutata. Con la nuova normativa è previsto: - il potenziamento delle attività di vigilanza e monitoraggio costante da parte del pubblico ministero contabile. Il pubblico ministero, senza che ciò comporti alcuna “cogestione” delle procedure, potrà supportare l’azione amministrativa attraverso accertamenti patrimoniali od altre istruzioni impartibili a richiesta. In merito a quest’ultimo punto, è stata esaminata la seguente alternativa; - l’attribuzione al pubblico ministero contabile della titolarità di agire e di resistere innanzi al giudice civile dell’esecuzione e non di un mero ruolo di supporto dell’azione amministrativa. Tale opzione ha dovuto confrontarsi con due diversi limiti di carattere ordinamentale generale: da un lato, la competenza giurisdizionale in tema di esecuzione forzata si radica innanzi al giudice ordinario, sicché è inattuabile una intestazione diretta dell’azione per espropriazione forzata al pubblico ministero contabile; dall’altro, appare di difficile attuazione la previsione di un’interferenza cogente nell’esercizio di attività spiccatamente amministrative - e, dunque, assistite da riserva di amministrazione - quali le opzioni tra le varie ed assentite modalità di recupero del credito erariale; 14. Esecuzione delle sentenze di condanna e privilegio dei crediti erariali - la regolazione espressa della possibilità, a richiesta, di rateizzare il debito, presidiata da decadenza dal beneficio in caso di mancato versamento di cinque rate anche non consecutive. Ai fini del recupero del credito erariale agiscono, dunque, direttamente ed esclusivamente le amministrazioni ed enti danneggiati. In attuazione dell’esplicita e puntuale indicazione di delega, attribuzione al credito erariale di un maggior grado di preferenza, collocandolo dopo quelli 1253 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini elencati, rispettivamente, negli artt. 2778 e 2780 del codice civile. Cap. II Applicazione del processo contabile e sue modalità 1. Responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione pubblica Una responsabilità per danno erariale si pone con riferimento a società a totale o prevalente partecipazione pubblica, nelle quali le finalità pubbliche costituiscono un dato essenziale. Non si pone invece nelle ipotesi di partecipazione meramente finanziaria che è difficile far rientrare nel quadro di scelte di tipo economico volte a realizzare il soddisfacimento di specifiche esigenze ed interessi pubblici. Alla luce, poi, del pacifico orientamento della Corte di giustizia comunitaria (ex multis v. sent. 10 maggio 2001, C-223/99 e C-260/99) e del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 5902/2003) la responsabilità va anche esclusa nei casi di società con partecipazione pubblica aventi carattere industriale o commerciale. Tale principio, nei limiti innanzi detti, era stato ribadito in una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del febbraio 2004, ove si afferma la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di amministratori di società per azioni il cui capitale è detenuto in misura assolutamente maggioritaria dalla pubblica amministrazione, non rilevando in contrario la natura privatistica dell’ente affidatario o lo strumento contrattuale con il quale si è attuato il rapporto. La circostanza che un organismo possa beneficiare di un determinato finanziamento pubblico per il raggiungimento di uno specifico obiettivo (ad es., mutui ad industrie in crisi, sovvenzioni per fronteggiare i disagi derivanti da calamità naturali, aiuti all’agricoltura, ecc.) fa sorgere un vincolo di destinazione per le risorse oggetto di pubblico finanziamento. Proprio in rapporto alla finalizzazione delle risorse pubbliche - che normalmente è prevista dalla legge istitutiva del finanziamento vanno identificati quegli obblighi dalla cui violazione può conseguire per il beneficiario del contributo una responsabilità per danno all’erario. L’operare di istituti di diritto pubblico come quelli della responsabilità amministrativa e della giurisdizione contabile in un settore che è regolato e nel qua1254 le si agisce secondo regole di diritto privato, pone problemi assai delicati sia per le Procure sia per le Sezioni giudicanti. È da stabilire con quale metro e con quali criteri si devono selezionare e valutare i comportamenti, e come si definisce la colpevolezza e, nella specie, la colpa grave in relazione a quella che non è più discrezionalità amministrativa, ma è autonomia imprenditoriale. Probabilmente i due aspetti vanno considerati parallelamente. Sarebbe necessario un chiaro precetto di legge che delimiti i confini dell’attività giudiziaria in materia, in particolare quando l’ipotesi dell’eventuale danno all’erario concorra con le altre ipotesi di responsabilità civilistiche contemplate dagli artt. 2392 e 2393 c.c. (responsabilità degli amministratori verso la società e azione sociale di responsabilità), 2407 e 2409 c.c. (responsabilità dei sindaci verso la società). Occorre anche identificare il soggetto che, nell’ambito della società, abbia il dovere di informare la Corte dell’eventuale danno all’erario. Dalla lettura delle sentenze della Corte di Cassazione si evince che l’azione di danno è proponibile civilmente dal socio o dal terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori della società (art. 2395 c.c.). Nel caso di società a capitale misto (ad es., per la fornitura e gestione di pubblici servizi) vi sono due orientamenti: quello che considera gli interessi di carattere generale perseguiti dal socio pubblico come interessi esterni alla società, ed è la tesi prevalente; l’altro che ritiene il fine di cui è portatore il socio pubblico di maggioranza come la causa stessa della società. Il considerare la relazione funzionale tra l’amministratore e il socio pubblico come obbligazione di risultato porta a ritenere che il giudice competente, per affermare la responsabilità, è tenuto ad effettuare una duplice valutazione negativa: l’una di mancato o insufficiente conseguimento del risultato atteso; l’altra di colpevolezza dell’amministratore in ordine al mancato conseguimento. Ammettere la cognizione del giudice sulla determinazione del danno risarcibile e sulla responsabilità, oltre i limiti della diminuzione patrimoniale o del mancato conseguimento del profitto, significa attribuire un valore di maggiore completezza alla funzione di garanzia della finanza pubblica che si era inteso realizzare con il riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti. L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, come ricorda la Cassazione, va posta in relazione corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 all’art. 1 della legge n. 241/1990, e ss. mm.,secondo il quale l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia. Tali criteri, per la loro derivazione dall’art. 97 della Costituzione, hanno acquistato dignità normativa assumendo rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità (Cass. n. 14488/2003). Di massima gli strumenti del diritto privato consentono maggiore flessibilità, ma le esigenze d’imparzialità e di buon andamento devono essere presenti sia nell’attività volta all’emanazione di provvedimenti, sia in quella in cui sorgono e sono gestiti rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato. In epoca più recente la Cassazione ha affermato che per le società di capitali partecipate dall’ente pubblico, la responsabilità in cui possono incorrere gli organi sociali è quella contemplata dagli artt. 2393 e ss., 2476, ss c.c. Nei confronti degli amministratori degli enti partecipanti può essere invece proposta l’azione di responsabilità amministrativa in caso di danno all’immagine (con i limiti derivanti dalle prescrizioni dell’art. 17, c. 30 del D.L. n. 78/2009) e, in caso di perdita di valore della partecipazione, per il mancato esercizio, da parte del rappresentante del socio pubblico, dell’azione civilistica di responsabilità nei confronti degli amministratori della società. La Cassazione, s.u., n. 1419 e n. 1420 del 2012 ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario e non di quello contabile - anche nei casi di s.p.a. interamente partecipate dai comuni che svolgono servizi pubblici locali. Ciò in quanto le s.p.a. a partecipazione pubblica non mutano la loro natura di soggetto privato solo perché l’ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni (Cass., ss.uu., n. 7799/2005). È infatti in questi casi determinante la distinzione tra danni direttamente inferti al patrimonio dell’azionista, da quelli che sono il mero riflesso di danni direttamente sofferti dalla società, alla quale soltanto compete la richiesta di risarcimento (Cass., ss.uu., n. 519/2010). Recentemente, tuttavia, la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione contabile per le c.d. “società in house”. Occorre considerare, infatti, che frequentemente il dissesto delle società partecipate (significativo è l’esempio della Capitale) trascina con sé quello degli enti locali di riferimento. 2. Sulla natura risarcitoria delle pronunce della Corte dei conti È emerso, anche recentemente, il problema se debba assegnarsi alle pronunce della giurisdizione di responsabilità la natura risarcitoria o quella sanzionatoria. La distinzione è forse più apparente che reale, poiché la funzione di risarcimento del danno contiene in sé un aspetto sanzionatorio e una finalità di deterrenza, non disgiunti da un aspetto (rilevante anche sul piano etico) della reintegrazione dell’ordinamento contabile. In realtà, il carattere fondamentale, anzi la stessa ragion d’essere della giurisdizione di responsabilità è quella del recupero, per quanto possibile, del danno cagionato all’erario. Sarebbero certo auspicabili soluzioni non necessariamente giurisdizionali. Ma attenuare ancor più il sistema della responsabilità amministrativa allontanerebbe il nostro paese dall’Europa, ove è in atto un processo opposto e costituisce l’unica seria alternativa alla responsabilità penale. Sarebbe anzi da considerare contraddittorio il sistema che, invece di puntare su una più ridotta attività del giudice penale per rivolgersi ad altre forme di tutela, scegliesse una linea opposta, quale quella di sottrarre importanti contenuti alla giurisdizione contabile. Da rilevare che l’art. 130 del nuovo Codice prevede il “rito abbreviato” e una definizione agevolata mediante il pagamento in primo grado di una somma non superiore al 50% della pretesa risarcitoria azionata in citazione e, in appello, mediante il pagamento di una somma non inferiore al 70% del danno contestato in citazione. L’art. 133 del Codice di giustizia contabile prevede un apposito giudizio per l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Ricorrendo i presupposti indicati nel successivo art. 134 il giudice fissa una sanzione in misura ridotta, pari al trenta per cento per il caso di pagamento immediato della stessa da versare entro 30 giorni. 3. La verifica giudiziale della gestione Con il sistema normativo costituito dalle leggi n. 19 e 20 del 1994 e n. 639 del 1996 si era cercato di contemperare l’esigenza di autonomia degli amministratori, garantendoli dal rischio di possibili invasioni da parte del giudice nel merito di ogni singola scelta compiuta, con l’esigenza, del pari insopprimibile, che l’attività gestoria non si sottraesse a una verifica giudiziale, quanto meno per accertare i più importanti fenomeni ove è presente la colpa 1255 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini grave dell’amministratore. Sul punto gran parte della dottrina ritiene che sarebbe stato opportuno mantenere principi e regole che si affidano poi alla prudente interpretazione giurisprudenziale, piuttosto che procedere a drastiche amputazioni della responsabilità amministrativa che l’ordinamento non potrebbe tollerare se non a costo di una caduta di credibilità e di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. In realtà, la responsabilità amministrativa è la risposta che l’ordinamento ha dato in armonia con la propria cultura e tradizione giuridica e che nel tempo la giurisprudenza della Corte costituzionale, della Cassazione e del Consiglio di Stato hanno esteso anche all’attività dei concessionari di pubblici servizi e delle stesse imprese private. Invero, le norme di recepimento delle direttive comunitarie e lo stesso disposto dell’art. 97 della Costituzione hanno conferito agli atti delle imprese un rilievo pubblicistico. Ne deriva che l’attività amministrativa e la correlata responsabilità sono configurabili sia quando l’Amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, sia quando persegua le sue finalità mediante un’attività sottoposta alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti privati. La legge, infatti, non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato. Nella logica della effettività della tutela dei crediti erariali si iscrive la disposizione recata dalla legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 174), secondo la quale il procuratore regionale della Corte dei conti può disporre di tutte le azioni a garanzia delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale considerati dal codice civile. Nella stessa ottica della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica si colloca la norma della stessa legge finanziaria (comma 166) che impone agli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria ed anche agli enti del Servizio sanitario nazionale (comma 170) di trasmettere alla Corte una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo. Si ricorda che il bilancio di previsione di un ente locale presenta una situazione di criticità strutturale quando l’equilibrio di parte corrente non risulti garantito con continuità dalle risorse necessarie per 1256 la copertura delle spese a carattere obbligatorio. Ora una disciplina compiuta delle azioni a tutela delle ragioni del credito erariale è contenuta negli artt. 73 e segg. del Codice di giustizia contabile. La relazione deve dimostrare che sono stati rispettati gli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno nonché il vincolo previsto in tema di indebitamento dall’art. 119 u.c. della Costituzione. Deve anche segnalare ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione. Compete alla Corte dei conti definire in maniera unitaria criteri e linee-guida ai quali devono attenersi gli organi degli enti locali di revisione nella predisposizione della detta relazione. Ove le sezioni regionali di controllo accertino, anche sulla base delle indicate relazioni, comportamenti in contrasto con i principi di sana gestione finanziaria, o il mancato rispetto degli obiettivi posti dal patto, devono adottare specifica pronuncia che, a norma del comma 170 della L.F. 2006, viene segnalata alla Regione interessata per i conseguenti provvedimenti. Si è voluto imprimere una forte spinta al sistema decentrato delle verifiche sulla sana gestione finanziaria e sugli equilibri di bilancio degli enti locali e degli enti sanitari, chiamati a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli imposti ai Paesi dell’Unione europea. Tali verifiche sono affidate alle sezioni regionali di controllo della Corte, composte da magistrati, e presiedute da un presidente di sezione della Corte (ma anche integrabili con la nomina di due membri esterni designati rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali) che operano in posizione di separatezza organizzativa e funzionale rispetto alle sezioni giurisdizionali ed alle Procure regionali. Esse riferiscono sul risultato del controllo eseguito “esclusivamente” agli organi rappresentativi delle comunità territoriali, cui spetta il controllo politico-amministrativo sulla condotta gestionale dell’esecutivo. Si è inteso, in tal modo, rafforzare, attraverso un collegamento diretto e sistematico con i revisori dei conti, i controlli di natura contabile e finanziaria sulle gestioni locali, per far emergere le gravi irregolarità poste in essere, in contrasto con la disciplina finanziaria e contabile dettata ai fini del coordinamento e del rispetto del quadro delle compatibilità generali di finanza pubblica. Tutto ciò, nello spirito di collaborazione che connota i controlli successivi corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 sulla gestione che hanno come “misura” la finalità di stimolare, nell’interesse generale della collettività, processi virtuosi di autocorrezione in sede amministrativa. Allo scopo di garantire la coerenza nell’attività svolta dalla Corte dei conti in materia di coordinamento della finanza pubblica, il Presidente della stessa può disporre che le sezioni riunite adottino pronunce generali sulle questioni risolte in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo, oltre che nei casi che presentano una questione di massima di particolare importanza. Le sezioni devono conformarsi a dette pronunce. Con l’estensione dell’ambito della giurisdizione a tutti i pubblici funzionari e dipendenti e con il decentramento regionale, il legislatore ha apportato una serie di innovazioni attenuative della gravosità di questo illecito. La prospettiva che sembra farsi strada va nel senso di un istituto radicalmente rinnovato, sia pure con connotazioni tutte proprie e distinte da quelle dell’illecito civile. Si intravede la finalità di assumere come prioritaria l’esigenza di assicurare la buona gestione amministrativa, accentuando gli aspetti sanzionatori e di prevenzione dell’illecito, in una logica di ragionevolezza e di proporzionalità. La responsabilità amministrativa è quindi complementare ai controlli esterni ed è elemento di chiusura del sistema di garanzie del buon andamento, che ha come vertice la Corte dei conti, ma che si snoda attraverso un “sistema” d’interventi diversi, in rapporto alla natura e al grado delle irregolarità da prevenire o da reprimere. Finora il legislatore è intervenuto in modo disorganico, integrando normative risalenti nel tempo e determinando nodi interpretativi di difficile soluzione. Si pensi che il nostro codice di procedura risaliva a oltre 80 anni fa e la disciplina sostanziale di questo giudizio non si discosta molto da quella risalente alla legge cavourriana del 1862 istitutiva della Corte dei conti. Con il Codice di giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016) si è data risposta all’esigenza di approntare una disciplina organica e completa per un controllo giudiziario generalizzato perché economicamente proficuo per l’Erario, fondata su caratteri e finalità dell’istituto per le esigenze di tutela della finanza pubblica, compatibile con i principi del giusto processo consacrati nella Costituzione. 4. Le principali normative in tema di responsabilità L’analisi delle gestioni locali compiuta dalle Sezioni regionali della Corte dei conti ha posto in evidenza, tra le altre irregolarità, il fenomeno della mancata realizzazione di progetti di opere pubbliche finanziate dalla Cassa Depositi e prestiti, nonché, più in generale, ritardi e difetti di programmazione nella progettazione e nell’esecuzione di opere pubbliche. Circa i problemi emersi nell’esercizio della giurisdizione di responsabilità, negli ultimi anni è rimasto elevato il numero delle denunce e degli accertamenti che, conseguentemente, vengono disposti dagli organi requirenti della Corte dei conti, mentre assai inferiore risulta il numero delle iniziative giudiziarie, con citazione di amministratori e dipendenti, ritenuti responsabili, innanzi al giudice competente. Ciò si deve alle modifiche alla disciplina delle responsabilità finanziarie che sono state introdotte, principalmente con legge n. 639/1996 e che danno rilevanza ai danni arrecati alla finanza pubblica soltanto se cagionati con dolo o colpa grave, dispongono l’intrasmissibilità dell’obbligazione di risarcimento agli eredi e stabiliscono la scriminante della buona fede nell’attività degli organi politici di governo. L’accertamento se, in concreto, vi sia stato dolo o colpa grave e se sussistano tutti gli altri presupposti necessari ad un’azione di responsabilità, ha determinato in via prevalente l’archiviazione. Al giusto precetto che chiama responsabili amministratori e dipendenti pubblici per i danni arrecati sia all’ente di appartenenza che ad altro ente, è stata assegnata efficacia dal gennaio 1994, sancendosi una sostanziale impunità per i fatti commessi anteriormente alla data stessa. Con D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342 è stato previsto che gli amministratori degli enti locali che la Corte dei conti avesse riconosciuto responsabili anche in primo grado di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti al dissesto finanziario, non potessero ricoprire, per un periodo di 5 anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti negli enti locali o di rappresentante presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici o privati (T.U. n. 267/2000, art. 248, c. 5). Quanto innanzi, se la Corte, valutate le circostanze e le cause che avevano determinato il dissesto, avesse accertato che lo stesso fosse la diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore era stato ritenuto responsabile. La Corte dei conti è ora in grado di conoscere tutti i casi di sottoposizione a procedimenti penali di 1257 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini dipendenti e amministratori per fatti costituenti reato da cui possa derivare danno all’erario: ciò, ad evitare che omesse denunzie o segnalazioni possano comportare sottrazione al dovere di risarcire la collettività dei danni conseguenti ai reati da parte dei loro autori. La successiva legge n. 281 del 30 luglio 1998, concernente la «disciplina dei consumatori e degli utenti», ha previsto che agli stessi sono riconosciuti fondamentali diritti, quali quello alla tutela della salute, il diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi e il diritto all’erogazione dei servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Si assicura in tal modo la tutela giurisdizionale non solo dei diritti che riguardano l’uomo come individuo, ma anche come membro delle formazioni sociali in cui svolge la sua funzione e si conferisce una legittimazione ad agire alle stesse formazioni sociali. Ora, il Codice di giustizia contabile dedica un intero Capo alla denuncia di danno e stabilisce, in particolare, con gli artt. 51 e 52 l’obbligo di denuncia e l’onere di segnalazione a carico dei soggetti apicali delle istituzioni pubbliche, degli ispettori, dei magistrati della Corte dei conti addetti ad attività di controllo per fatti dai quali possa derivare danno erariale. Va anche segnalata una norma di carattere contabilistico relativa all’equilibrio finanziario e contabile degli enti locali. Si tratta dell’art. 2, comma 20 della c.d. «legge Bassanini ter», la quale ha precisato che i pareri che devono emettere gli organi di revisione dei comuni e delle province (T.U. n. 267/2000, art. 239, c. 1, lett. b) devono contenere un «motivato giudizio di congruità, coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto dei pareri espressi dal responsabile del servizio finanziario ai sensi dell’art. 3, delle variazioni rispetto all’anno precedente, dell’applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile». Si tratta di norma diretta a contrastare il fenomeno di deficit finanziari dovuti ad erronee previsioni, con riflessi anche sul piano delle responsabilità. L’art. 1, comma 8, della legge n. 191/1998 ha precisato che le regioni, nel trasferire le loro funzioni agli enti locali, devono ispirarsi al duplice principio di sussidiarietà e a quello di economicità e di efficienza. Ma lo stesso principio di sussidiarietà, consistendo nell’attribuzione della competenza all’autorità più vicina ai cittadini, risponde esso stesso ad un criterio di economicità ed efficienza. A quest’ultimo principio si ispirano anche tutti gli altri criteri che, 1258 ai sensi dell’art. 4, comma 3 della legge n. 59/1997, le regioni devono seguire nel trasferimento delle loro funzioni agli enti locali, e cioè i criteri di completezza, cooperazione, responsabilità, unità, omogeneità, adeguatezza, differenziazione nell’allocazione delle funzioni, di autonomia organizzativa e, infine, quello di copertura finanziaria. In realtà, autonomia ed efficienza sono termini che non vanno disgiunti e che il fine ultimo che si vuole raggiungere è sempre quello del miglior soddisfacimento degli interessi della collettività e alla tutela della persona umana. È stata infine configurata una sorta di “responsabilità da risultato” in materia di rapporti di lavoro, di ufficio o di servizio dei pubblici amministratori o dipendenti. Una successiva normativa (art. 30, punto 15, della legge n. 289/2002) ha stabilito la nullità degli atti e dei contratti di indebitamento degli enti territoriali al fine di finanziare spese diverse da quelle di investimento, con conseguente possibilità, in sede di giustizia contabile, di irrogare sanzioni a carico degli amministratori che hanno assunto la relativa delibera. Ciò, naturalmente, senza che sia necessario l’accertamento di una perdita patrimoniale che nei singoli casi può anche mancare. Si intende, cioè, sanzionare una condotta che, di per sé ha costituito lesione dell’interesse pubblico a che il finanziamento delle spese non sia distolto da quelle di investimento. Sono quindi considerati “danni da disservizio” tutte quelle situazioni caratterizzate da una minore produttività della P.A., in quanto l’azione amministrativa è stata inefficace o inefficiente. Nella pubblica funzione il disservizio si configura solo quando la pubblica funzione sia illecitamente esercitata con dolo penale (corruzione, concussione, peculato), in quanto, attesa la contrarietà dei fini perseguiti a quelli istituzionali, l’esercizio della funzione - non riferibile all’A. - ha comportato il dispendio di risorse umane o di mezzi strumentali pubblici. Ciò si verifica quando tali fenomeni si protraggono nel tempo rendendo inutile la spesa investita per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa. Quando, invece, vi sia l’erogazione di pubblici servizi - di regola gestiti in forma imprenditoriale - la presenza di investimenti e di costi di gestione ben identificati fa sì che la disorganizzazione del servizio determini un maggior costo. La sentenza della Corte dei conti, Sez. Lombardia, n. 74 del 23.2.2009, ha sostenuto che il danno da disservizio si caratterizza per l’inosservanza dei doveri del pubblico dipendente con conseguente diminuzione corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 di efficienza dell’apparato pubblico, nella mancata o ridotta prestazione del servizio o nella cattiva qualità dello stesso, come nell’ipotesi di verifica fiscale “compiacente”in cui il dipendente pubblico compie dolosi azioni criminose omissive. Anche il fenomeno dell’“assenteismo” è stato inquadrato in questa tipologia di danno, in quanto l’assenza prolungata e ingiustificata del dipendente dal servizio costituisce danno per inadempimento contrattuale che giustifica la mancata erogazione del corrispettivo retributivo. Inoltre, l’assenza ingiustificata e non programmata altera l’equilibrio funzionale del settore al quale il dipendente è addetto. Ciò comporta una possibile lievitazione di costi rispetto ai risultati conseguiti, in quanto costringe l’amministrazione ad assicurare, nonostante l’assenza arbitraria, il livello minimo garantito dalla qualità di servizio erogato (si pensi al settore sanitario, ove i livelli minimi di assistenza devono essere comunque assicurati a costi certamente maggiori, qualora si verifichino assenze arbitrarie). Infine, non è infrequente il fenomeno, sempre sanzionato dalla Corte dei conti, del danno erariale nei confronti del Servizio sanitario regionale per illeciti rimborsi di prestazioni sanitarie (da ultimo, Sez. giur. Lazio, 23.9.2014, n. 670 nei confronti della S. Raffaele ed altri). 5. Limiti della giurisdizione della Corte dei conti Per radicare la giurisdizione della Corte dei conti, come ha riconosciuto la giurisprudenza della Corte di cassazione, è sufficiente l’inserimento del soggetto agente nell’apparato organizzativo della P.A., e ciò anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza (art. 1, comma 4, legge n. 20/1994). Il Codice di giustizia contabile dedica due distinti capi, il III e il IV (artt. 13-20) alla giurisdizione e alla competenza della Corte dei conti. La Corte costituzionale ha valutato positivamente la nuova configurazione della responsabilità amministrativa e contabile che limita la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, poiché essa risponde all’intento di «predisporre, nei confronti dei dipendenti e degli amministratori pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa» (Corte cost., sent. n. 371 del 29.11.1998). Una volta stabilito che il dipendente risponde solo nell’ambito delle ipotesi di dolo o di colpa grave, e che quindi, al di là di tali ipotesi, il rischio resta a carico dell’amministrazione, si realizza un’ulteriore ripartizione del rischio: una parte del danno può restare a carico della P.A., mentre è addossata al dipendente solo quella parte che gli è imputabile in base al criterio della gravità della colpa. Sul tema di graduazione della colpa, acquista rilievo un concetto ben noto agli studiosi del diritto penale, il concetto di «antidoverosità» del comportamento. Per giudicare la gravità di un comportamento secondo le norme di contabilità pubblica è del tutto insufficiente riferirsi al concetto psicologico di «colpa grave» ricavato dal confronto con il modello astratto del buon padre di famiglia: esso serve per stabilire che l’agente versa in uno stato di colpa, ma non serve per stabilire quanta parte del danno gli sia imputabile a causa della gravità della colpa stessa. A questi fini occorre stabilire di quanto si sia discostato dalla prescrizione normativa, secondo un giudizio concreto, in riferimento alle circostanze in cui si svolsero i fatti, se l’agente poteva essere in grado di conoscere o prevedere il verificarsi dell’evento dannoso e se era in grado di evitarlo. Non ci sarà quindi solo un modello astratto, quello del buon padre di famiglia, ma tanti modelli, quanti sono i casi concreti. È, invece, evidente che nei casi di dolo si deve senza dubbio rispondere dell’intero danno, non potendosi parlare di un rischio da accollare all’amministrazione se il danno è stato volutamente causato dal dipendente pubblico. Graduare la responsabilità significa innanzitutto stabilire che ciascuno risponde individualmente, perché il giudizio di responsabilità amministrativa deve tendere a fini di deterrenza, ed è per questo che non può mai parlarsi di responsabilità solidale. Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 453 del 30 dicembre 1998, secondo la quale è costituzionalmente legittimo l’art. 1-quinquies della legge n. 20 del 1994 nella parte in cui limita, nelle ipotesi di concorso, la responsabilità solidale ai soli soggetti che abbiano agito per dolo. La stessa sentenza ha stabilito che se vi è il concorso di quanti hanno agito con dolo e di altri responsabili a titolo di colpa grave, questi ultimi «restano obbligati solo in via eventuale, dopo l’infruttuosa escussione di coloro che abbiano agito con dolo» (v. anche C. dei conti, Sez. Riunite, sent. 29 del 25.2.1997). Sul tema dell’efficienza dell’azione amministrativa, va ricordata un’altra sentenza della Corte costituzionale che, nel dichiarare costituzionalmente legit1259 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini tima la norma della legge n. 639/1996 secondo cui «l’azione di responsabilità per danno erariale non si esercita nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi comunali», ha ribadito che il sindacato della Corte dei conti deve arrestarsi di fronte alle scelte di carattere politico o che attengono al merito della scelta stessa. In realtà, la responsabilità amministrativa è cosa diversa da quella civile e la relativa azione del P.M. contabile è un’azione civile pubblica a tutela di interessi permanenti dell’ordinamento e della collettività. In ordine ad essa l’amministrazione non ha alcuna disponibilità, per cui diviene difficile pensare ad una costituzione di parte civile di quest’ultima, per il risarcimento dei danni in sede penale. Una diversa considerazione riguarda il fatto che i soggetti convenuti in giudizio rappresentano spesso l’anello terminale e più debole della catena delle responsabilità e spesso si trovano nella impossibilità di addurre elementi probatori a discarico di fronte a poteri forti o ad A. che non collaborano nelle indagini e nelle istruttorie disposte dalla Procura, talvolta anche a copertura di altre responsabilità. Già alla stregua della stessa normativa civilistica, che riconosce al giudice ordinario ampi poteri istruttori, sarebbe stata legittima l’attribuzione al giudice contabile del potere istruttorio, senza che con ciò fosse violato il principio del giudice terzo e imparziale. Ciò per garantire una più efficace tutela ai convenuti. La norma costituzionale stabilisce che nel processo deve essere assicurata la piena parità delle parti ed il rispetto del principio del contraddittorio. Occorre coordinare quindi il principio della terzietà con il principio che tende ad assicurare la pienezza della difesa nel rispetto del contraddittorio. Nel procedimento contabile era una situazione di tendenziale diseguaglianza fra le parti per la posizione di debolezza in cui vengono a trovarsi i convenuti di fronte all’ampio potere inquisitorio del Procuratore regionale. Tale situazione era bilanciata dal potere istruttorio di carattere integrativo che opportunamente l’ordinamento conferisce al giudice. A tali esigenze ha cercato di dare risposta il recente Codice di giustizia contabile attraverso i rimedi illustrati al cap. I. 1260 TITOLO III La responsabilità patrimoniale Cap. I La responsabilità degli amministratori e dei funzionari degli enti locali 1. Le responsabilità giuridiche e quelle extragiuridiche - La responsabilità politica Il pubblico dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, può astrattamente incorrere in cinque fondamentali responsabilità: a) quella civile (se arreca danni a terzi, anche estranei all’amministrazione, o alla stessa amministrazione); b) penale (se pone in essere comportamenti qualificati dalla legge come reato); c) amministrativo-contabile (se arreca un danno erariale all’amministrazione di appartenenza o ad altra amministrazione); d) disciplinare (se viola obblighi previsti dalla contrattazione collettiva, dalla legge o dal codice di comportamento); e) dirigenziale per il solo personale dirigenziale che non raggiunga i risultati posti dal vertice politico o si discosti dalle direttive dell’organo politico. La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego ha ex novo disciplinato la responsabilità disciplinare (art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) e la responsabilità dirigenziale (art. 21 del medesimo D.Lgs. n. 165), mentre non ha innovato la previgente disciplina sulle tre restanti responsabilità (ovvero civile, penale ed amministrativo-contabile), per le quali viene richiamata la relativa disciplina legislativa di settore dall’art. 55, c. 2 del D.Lgs. n. 165. Tali cinque responsabilità non sono tra loro incompatibili o alternative, in quanto spesso la medesima condotta illecita viola diversi precetti legislativi o contrattuali, originando concorrenti reazioni ad opera dell’ordinamento. Si pensi al caso di un dipendente che accetti tangenti per aggiudicare una gara ad una ditta “amica”: tale comportamento configura un reato (corruzione, art. 319 cod. pen.), un illecito civile verso le imprese partecipanti non vincitrici danneggiate (art. 2043 cod. civ.), un illecito amministrativo-contabile (danno erariale da tangente e danno all’immagine dell’amministrazione), corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 un illecito disciplinare. Si pensi ancora al dipendente, che, dopo aver timbrato il badge di ingresso, si allontana dall’ufficio per ore per motivi personali: oltre ai risvolti penali (delitto di false attestazioni e certificazioni) e disciplinari, si configura anche un illecito amministrativo-contabile (danno da erogazione di retribuzione da parte della p.a. senza fruire di controprestazione). Al contrario, talune condotte, che assumono valenza di illecito penale potrebbero non avere rilevanza civile o disciplinare e viceversa, in quanto i presupposti di ciascun illecito non sono sempre coincidenti: si pensi alla commissione di un illecito civile che non assuma valenza penale in assenza di dolo, oppure alla commissione di un reato che non abbia però arrecato alcun danno patrimoniale a terzi o alla P.A. L’ordinamento appresta alcune norme volte a disciplinare, sul piano procedurale, il concorso di tali concorrenti reazioni, che tuttavia sono tra loro autonome e seguono distinti binari. Nel quadro delle responsabilità facenti capo ad un dipendente o ad un amministratore di ente locale si iscrivono quelle discendenti dall’ordinamento generale e le responsabilità scaturenti dagli ordinamenti particolari. Derivano dall’ordinamento generale la responsabilità civile e quella penale; dai singoli ordinamenti particolari derivano la responsabilità amministrativa (che si riparte in amministrativa-disciplinare e amministrativa-patrimoniale) e quella contabile. Le prime due si riferiscono a tutti i cittadini in generale (uti cives); le altre responsabilità di tipo amministrativo sono caratterizzate dal fatto di essere «particolari» in quanto fanno carico a soggetti incardinati nell’ente pubblico e possono cumularsi tra di loro, quando ne ricorrano i presupposti. A tali forme di responsabilità si dà il nome di responsabilità giuridiche. Oltre ad esse esistono altre responsabilità, non disciplinate positivamente, a cui ogni singolo soggetto soggiace secondo parametri diversi da quelli giuridici: si tratta di responsabilità morale, o educativa o intellettuale, rilevanti nel foro interno della coscienza, od anche, politica, la quale emerge in svariate situazioni non fisse né predeterminate. La sanzione più grave connessa a tale ultima forma di responsabilità è quella della rimozione dall’incarico ricoperto. Quest’ultima forma di responsabilità - in correlazione non solo con i risultati delle singole gestioni, ma anche con la capacità di equilibrio politico - riguarda i vertici delle amministrazioni statali, i presidenti e amministratori degli enti pubblici, il Presidente della Giunta regionale, dell’amministrazione provinciale, i sindaci, gli assessori regionali, provinciali e comunali. Soggiacciono alle particolari responsabilità innanzi indicate tutti i soggetti legati alle amministrazioni pubbliche da un rapporto di impiego o di servizio, o anche quelli che abbiano comunque instaurato, anche informalmente, un rapporto di impiego (funzionari di fatto). Così, un impiegato comunale, dopo la riforma di cui alla legge n. 142/1990, è sottoposto alla forma di responsabilità ivi prevista, integrata dalla prescrizione del relativo statuto e regolamento. Nell’ambito più propriamente amministrativo, possono distinguersi diverse specie di responsabilità. Vi è, innanzitutto, una responsabilità amministrativa, del tipo disciplinare, per mancato adempimento di tipici doveri previsti dal complesso delle norme ordinamentali. Vi è poi una responsabilità per danno patrimoniale recato all’ente pubblico (es., mancato incasso di una entrata dell’ente, omessa vigilanza su un dipendente che abbia potuto così commettere peculato, ecc.). Questa responsabilità dà luogo, in concreto, ad un processo contenzioso che si svolge davanti alla Corte dei conti, su iniziativa del Procuratore regionale, per la quantificazione del danno e la condanna alla restituzione. Altra responsabilità particolare è la c.d. responsabilità contabile che grava su quanti hanno comunque maneggio di danaro pubblico e si instaura a carico degli agenti contabili al termine della loro gestione (giudizio di conto), a prescindere dal fatto che essi abbiano o meno commesso irregolarità. 2. La responsabilità patrimoniale nell’ordinamento delle autonomie locali La disposizione fondamentale in materia di responsabilità extracontrattuale della P.A. è contenuta nell’art. 28 della Costituzione, il quale, con norma di carattere precettivo, stabilisce che «i funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici». Si ritiene comunemente che la disposizione stessa postuli due distinte norme: a) quella che stabilisce il principio della responsabilità in proprio di chi agisce quale organo della P.A.; b) quella che riferisce alla P.A. la responsabilità per gli illeciti commessi dai suoi funzionari e dipendenti, che ha natura di1261 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini retta in virtù del rapporto che immedesima l’attività degli organi con quella dell’ente pubblico. In entrambi i casi l’art. 28 della Costituzione opera un rinvio alle disposizioni contenute nelle leggi che regolano i rapporti tra privati nel settore delle responsabilità per fatto illecito. Tali disposizioni si ritengono applicabili nei confronti di qualunque Pubblica Amministrazione, anche provinciale o comunale, salvo che vi sia una disposizione contraria o sussista una ragione di incompatibilità della norma in relazione alla natura soggettiva dell’ente pubblico, della relativa attività e dei rapporti cui inerisce. Si inserisce qui il tema della responsabilità degli amministratori e del personale degli enti locali che, nella prospettiva recata dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (T.U. n. 267/2000, art. 93), appare chiaramente delineata e ampliata. Secondo la relazione alla legge «è indispensabile che la dirigenza sia pienamente responsabilizzata sui risultati, sia nel senso di poterli padroneggiare pienamente, sia nel senso di averne un pieno riscontro positivo o negativo: in ciò consiste il meccanismo automatico di regolazione della funzione dirigenziale, che a sua volta potrà determinare il miglior funzionamento del sistema organizzativo». È innanzi tutto sancito un principio di separazione delle responsabilità tra eletti e dirigenti. A quelle c.d. «manageriali», si aggiungono tutte le responsabilità di carattere generale e, in particolare, quelle derivanti, in maniera incisiva, dal disposto del Testo unico 18 agosto 2000, n. 267, ed in particolare quelle previste dall’art. 191, c. 4, per spese ordinate in mancanza di deliberazione. Vi è poi il fondamentale art. 93 del citato T.U. che tratta delle responsabilità in linea generale e che pone amministratori e personale degli enti locali sullo stesso piano degli impiegati civili dello Stato. Occorre poi richiamare l’attenzione su due opzioni legislative che interessano amministratori e dipendenti dei comuni e delle province: la prescrizione dell’azione di responsabilità in cinque anni e l’affermazione che siffatta responsabilità è soltanto personale e non si estende di massima agli eredi, salvo che gli stessi abbiano tratto beneficio dai proventi dell’azione dannosa. 3. La responsabilità nel Testo unico 18 agosto 2000, n. 267 Nell’ambito della responsabilità amministrativa e contabile del dipendente dell’ente locale, è di fon1262 damentale importanza l’art. 93 (Responsabilità patrimoniale) del D.Lgs. del 18 agosto 2000, n. 267. Secondo la disposizione in esame il dipendente o il funzionario risponde con il proprio patrimonio dei danni arrecati alla P.A., derivanti dal suo comportamento, caratterizzato da dolo o colpa grave. Per aversi responsabilità amministrativa, la condotta deve essere riprovevole e contraria alle norme giuridiche (leggi, regolamenti) poste a tutela dell’interesse della P.A. Le disposizioni sulla responsabilità amministrativa si considerano applicabili alle ipotesi di responsabilità contabile, che concernono gli agenti contabili. Il giudice naturale delle questioni relative alle suddette responsabilità è la Corte dei conti secondo l’art. 103, c. 2 Cost. Il termine prescrizionale decorre dal momento del fatto. La previsione in esame si integra con quella dell’art. 1, c. 3, legge n. 20/1994 in virtù del quale l’azione di responsabilità si esercita nei confronti dei funzionari i quali hanno consentito il decorrere del termine prescrizionale per non aver denunciato tempestivamente l’illecito al Procuratore regionale della Corte dei conti. In tal caso la prescrizione decorre dal momento in cui matura il termine prescrizionale precedente. Il rapporto tra i dipendenti pubblici e gli amministratori è caratterizzato dalla distinzione netta tra il potere gestionale dei primi e il potere politico dei secondi (D.Lgs. 267/2000; legge 127/1997; D.Lgs. 29/1993; legge 421/1992; art. 97 Cost.). Nella realtà delle cose, tuttavia, la distinzione delle due sfere, gestionale e politica, non è così netta. Infatti, l’organo politico (es. Giunta) è legittimato ad emettere in taluni casi provvedimenti di carattere gestionale amministrativo (es. predisposizione e variazione della pianta organica). In questa ipotesi il funzionario competente ha l’obbligo di eseguire e mettere a punto il provvedimento dell’organo politico, cui si aggiunge l’altro obbligo più generale concernente l’attuazione degli obiettivi contenuti nel PEG. Pertanto, ove il danno all’Amministrazione discenda direttamente dal provvedimento dell’organo politico, quest’ultimo ne dovrà rispondere in via amministrativa. In realtà, il comma 1 dell’art. 93 del T.U. non detta una nuova disciplina delle responsabilità degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, ma stabilisce che per gli stessi si dovranno applicare le disposizioni vigenti per gli impiegati civili dello Stato, abrogando implicitamente la normativa già esistente, attraverso un rinvio ricettizio alle norme richiamate. In sostanza, nel sistema normativo corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 degli enti locali viene colmato il vuoto conseguente all’abrogazione della precedente normativa con il recepimento in blocco della disciplina in vigore nell’ordinamento dello Stato in materia di responsabilità. La soluzione prevista dal legislatore è quella di assoggettare amministratori e dipendenti di enti locali alla giurisdizione della Corte dei conti: scelta divenuta inevitabile sia per la consolidata interpretazione del comma 2 dell’art. 103 Cost., accolta dalle SS.UU. della Corte di Cassazione e dalla Corte costituzionale, che per le soluzioni legislative già adottate negli altri settori pubblici. La Cassazione ha sempre affermato il carattere generale della giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, precisando che tale espressione ha riferimento a tutti i rapporti, connessi alla gestione finanziaria e patrimoniale svolta dall’amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico, con l’eccezione, poi caduta (con decisione della Cassaz. S.U. n. 19667 del 2003) degli enti pubblici economici. A sua volta, la Corte costituzionale (sent. n. 129/81) aveva riaffermato il principio del carattere generale della disposizione dell’art. 103 Cost. La disciplina della responsabilità amministrativa dei dipendenti dello Stato - poi estesa ai dipendenti degli enti locali - è contenuta negli artt. 82 e 83 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, nell’art. 52 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e negli artt. 18, 19 e 20 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Dispone l’art. 82 della legge di contabilità generale dello Stato che «l’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo». Quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire. L’art. 83 della stessa legge stabilisce che i funzionari di cui ai precedenti articoli sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. Analoghe disposizioni sono contenute negli altri due provvedimenti legislativi. In particolare, le norme del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, si applicano solo al personale civile dello Stato, mentre le altre hanno coinvolgono sia i soggetti legati allo Stato da un rapporto di impiego, sia quelli che versano soltanto in un rapporto di servizio. Se si trasferiscono tali disposizioni nel settore degli enti locali, deve affermarsi che incorre nella respon- sabilità amministrativa non soltanto l’amministratore o l’impiegato, ma chiunque versi in un rapporto di servizio e che nell’esercizio delle sue funzioni e per violazione dolosa o colposa dei suoi obblighi di servizio abbia cagionato all’ente un danno economico. La responsabilità assume una configurazione di tipo contrattuale, potendo verificarsi solo nell’ambito di un precostituito rapporto tra l’ente e il soggetto responsabile e sorgere per effetto della violazione di obblighi di servizio. 4. Le modifiche in materia di responsabilità alla legge n. 20/1994 4.1. Considerazioni generali Il concetto di gravità della colpa dell’amministratore è relativo, nel senso che la stessa va valutata in rapporto alla diversa natura delle funzioni, o mansioni svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo. La colpa è grave, quando si discosta notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta. In realtà, la responsabilità amministrativa è la risposta che il nostro ordinamento ha dato in armonia alla propria cultura e tradizione giuridica, affidando detta giurisdizione a un giudice speciale e l’iniziativa a una parte pubblica, il pubblico ministero. In altri ordinamenti lo stesso tipo di responsabilità è stato collocato altrove e la legittimazione a farla valere è stata attribuita anche ai cittadini. Da noi si è ritenuto che attenuare il sistema delle responsabilità allontanerebbe il nostro paese dall’Europa, ove è in atto un processo opposto e che la responsabilità amministrativa ha solo bisogno di nuove regole, ma non può essere cancellata in quanto costituisce l’unica seria alternativa alla responsabilità penale. In linea generale, il funzionario può invocare a propria discolpa l’errore professionale (complessità o contraddittorietà della normativa, oscillanti orientamenti della giurisprudenza, ecc.) ovvero un’irrazionale situazione organizzativa addebitabile all’amministrazione. Nel caso di organi collegiali, è responsabile solo chi ha espresso voto favorevole alla deliberazione assunta. Per quanto riguarda i titolari di organi politici, gli stessi di massima non rispondono se hanno approvato in buona fede gli atti di uffici tecnici o amministrativi. 1263 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini 4.2. L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali Secondo il primo comma dell’art. 1 della legge n. 20/1994, come novellato dall’art. 3 della legge n. 639/1996, si è responsabili solo per fatti od omissioni compiuti con dolo o colpa grave, ma sono insindacabili nel merito le scelte discrezionali. Se il disposto normativo ha il pregio della chiarezza, va detto che esso è il punto di arrivo di un’ampia polemica tra coloro che, in nome della difesa degli interessi dell’erario, invocavano la censurabilità per ogni tipo di atto delle varie amministrazioni e coloro che volevano limitare la responsabilità per attività discrezionale alle sole ipotesi di dolo. La colpa grave deve intendersi come la mancata osservanza di quel minimo di diligenza richiesta dalla natura delle mansioni esercitate cui, secondo la comune accezione, si attiene o dovrebbe attenersi la generalità dei soggetti che svolgono le medesime funzioni (C.d.c., Sez. III, 23.7.1996, n. 320/A e 321/A). La Corte ha precisato che «nel sindacare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, la valutazione del giudice contabile va svolta in limiti ben circoscritti, dovendo essere compiuta con giudizio ex ante e con il parametro della irragionevolezza, dal momento che solo in presenza di una palese irragionevolezza il comportamento psicologico dell’amministratore decidente può configurarsi come colposo. Pertanto - ha proseguito la Corte - in ipotesi di discrezionalità piena e non tecnica, il giudizio del giudice deve limitarsi a una valutazione sulla razionalità e congruità dei comportamenti, che va effettuata in relazione al momento in cui concretamente gli amministratori hanno operato e alla esigenza concreta da perseguire». Non sussiste quindi la responsabilità dell’amministratore comunale e del segretario comunale per la decisione di abbandonare un’opera pubblica voluta dalla giunta precedente risolvendo i contratti con le ditte qualora le scelte operate abbiano costituito manifestazione di una legittima facoltà politico amministrativa propria degli organi rappresentativi e l’uso di questa facoltà non sia inficiata da comportamenti del tutto arbitrari o assolutamente irragionevoli (C.d.c., Sez. Veneto, 18.2.2009, n.166). In definitiva, in base alla normativa vigente occorre operare una distinzione tra attività discrezionale, non censurabile dal giudice contabile, e attività non discrezionale, con riguardo alla quale l’innalzamento della soglia di punibilità non appare sor1264 retto da valide giustificazioni. In sostanza, è stata soddisfatta l’esigenza degli amministratori locali di vedere ristabiliti i termini di certezza nell’esercizio dell’attività discrezionale, ma non si è evitato che possano determinarsi delle sacche di impunità per attività che richiederebbero una maggiore tutela da parte del legislatore. È stato comunque ritenuto che la c.d. discrezionalità tecnica attiene non al merito del provvedimento amministrativo, ma a stime e valutazioni su materie caratterizzate da regole e prescrizioni tecnico-scientifiche di carattere obiettivo, il cui sindacato deve quindi ritenersi non solo consentito ma doveroso per il giudice contabile (C.d.c., Sez. I centrale, 20.9.2004, n. 333/A). 4.3. Il regime prescrizionale L’art. 1, c. 2 della legge n. 20/1994, come sostituito dall’art. del D.L. 543/1996, convertito dalla legge n. 639/1996, stabilisce il diritto dello Stato al risarcimento del danno da far valere entro i cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso. Ciò, salvo il caso di occultamento doloso del danno, nella quale ipotesi la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta (in applicazione dell’art. 2941, n. 8 cod. civ.). Per fatto dannoso deve intendersi non il momento del comportamento difforme dalle regole, ma quello del verificarsi dell’eventus damni, dal quale momento il P.M. può esercitare l’azione di responsabilit, si sensi dell’art. 51 e segg. del Codice di giustizia contabile. Tale termine, già previsto dalla legge n. 20/1994, rappresenta un punto di fermo rispetto agli altri e ben diversi termini previsti da precedenti normative o dalla stessa giurisprudenza della Corte dei conti, termini che avevano reso elastico e sovente incerto il limite temporale al diritto al risarcimento. Diverso è il criterio previsto per i responsabili delle unità sanitarie locali, delle regioni e degli enti ospedalieri disciolti. Tale termine non è stato innovato dal Codice di giustizia contabile. 4.4. Il problema dei danni cagionati ad amministrazioni diverse da quelle di appartenenza La fattispecie in esame abbraccia tutte le ipotesi di comando, distacco o comunque di preposizione o utilizzazione dell’amministratore, funzionario o dipendente presso amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza e di possibili danni da questi causati all’Erario nell’esercizio dei compiti ad essi attribuiti. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 L’ipotesi era già prevista dall’art. 1, c. 4, della legge 20/1994 ed aveva suscitato in sede parlamentare vivaci dispute tra chi voleva escluderla dalla previsione legislativa e chi voleva mantenerla in ogni caso, nella considerazione che il risarcimento riguarda comunque danaro pubblico. Le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno ritenuto sanzionabili anche i comportamenti avvenuti in aree di attività estranee alle «mansioni proprie» della loro qualifica. È stato, infatti, stabilito (sentenza 8 luglio 1996, n. 39/96/A), che tale responsabilità non è esclusa dal fatto che i comportamenti attribuiti «all’agente pubblico concernevano in realtà aree di attività estranee alle mansioni proprie» degli stessi. Ciò perché tali comportamenti erano «contrari al dovere di fedeltà verso l’Amministrazione ed erano caratterizzati da rilevanza causale efficiente e determinante rispetto all’evento di danno». Il dipendente pubblico - ha concluso la Corte - «deve comunque anteporre il rispetto della legge e dell’interesse pubblico agli interessi privati propri e altrui». Questa sentenza è di particolare rilievo, perché fa emergere nuovi e delicati aspetti dei doveri degli impiegati e dei funzionari e pone esattamente in luce il generale dovere di fedeltà e di lealtà dell’impiegato e del funzionario nei confronti della P.A. Questo dovere è previsto nella Costituzione (art. 98), nello statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957 (artt. 13 e 81), e nel «Codice di comportamento» emanato dal Ministero della Funzione pubblica nel 1994; dovere, quindi, che supera e assorbe il particolare problema delle «mansioni». Il codice di comportamento contenente «specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà, imparzialità», nell’art. 2, comma 3, afferma che: «il dipendente, nell’espletamento dei propri compiti, antepone il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati propri e altrui». Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno perciò puntualmente considerato questo «Codice» come uno dei parametri ai quali - in collegamento con le norme di legge - si può rapportare non soltanto la responsabilità disciplinare, ma anche e specialmente la responsabilità contabile. I doveri dell’impiegato e del funzionario riguardano, quindi, l’intera attività che essi svolgono in qualunque ambito della P.A., e non si può cercare di sfuggire alla responsabilità nascondendosi nell’interstizio dell’attività estranea alle «mansioni proprie». È stata ravvisata la responsabilità degli amministratori di un ente pubblico (nella specie l’INPDAP) per i danni derivanti dallo svolgimento a tempo indeterminato di mansioni superiori dirigenziali da parte di vari dipendenti, ben oltre i limiti temporali previsti dall’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001 (C.d.C., Sez. giur. Lazio, 10.9.2014). 4.5. Il tramonto della responsabilità per colpa lieve È apparsa a taluno preoccupante la prospettiva di limitare la responsabilità alla colpa grave, in quanto la «colpa lieve», fin qui regola della responsabilità amministrativa, che è la stessa regola del privato prestatore d’opera, non chiama a rispondere per mere irregolarità ma per violazione delle cautele sintomatiche della diligenza media del «bonus paterfamilias». Si è però sostenuto che «prevedere una responsabilità per colpa lieve significa penalizzare la p.a.» (Bassanini) e che per oltre cento anni gli impiegati dello Stato sono stati assoggettati alla responsabilità per colpa lieve per i danni allo Stato e per colpa grave per i danni a terzi. Ma va fugato il diffuso allarme sul regime delle responsabilità, perché ciò che in pratica va perseguito è l’ illecito sostanziale. L’attenuato regime delle responsabilità riverbera i suoi effetti su altri due importanti fenomeni, quello delle gestioni in situazioni di potenziale dissesto (anche per la mancata adozione di provvedimenti correttivi), e quello relativo alla mancata cura nell’accertamento e nella riscossione delle entrate. 4.6. I principali problemi della giurisdizione contabile a) Mancata acquisizione di entrate. Si tratta di inerzie e negligenze colpevoli, che conduce alla mancata acquisizione delle entrate (per canoni demaniali, per locazione di beni patrimoniali, per mancato aggiornamento di canoni o di tariffe, per mancata attivazione di procedure per acquisire entrate proprie di enti che poi incide, con la richiesta di trasferimenti, sulla finanza pubblica); a ciò si affianca il problema della scarsa utilizzazione dei fondi comunitari, e quello della mancata utilizzazione di entrate che comportano oneri, quali i mutui. In sede di conversione del D.L. n. 543/1996 è stata introdotta una norma che vieta l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori degli enti locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi. In realtà, il non assicurare con l’elevazione delle tariffe la copertura minima dei servizi si traduce in una minore entrata per l’ente locale e in maggiori trasferimenti da parte dello 1265 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Stato di somme dirette a riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali che sono destinatari di risorse minori di quelle assegnate ad altri enti aventi le stesse caratteristiche. La disciplina vigente dispone l’obbligo di copertura minima dei servizi e sancisce quale sanzione la perdita di una quota del fondo perequativo: tale disciplina è stata dettata per incentivare l’autonomia di gestione degli enti locali, per ridurre la dipendenza dalla finanza statale e attenuare l’onere che questa sostiene per sovvenire dette gestioni. Il D.Lgs. n. 422/1997 prevedeva assegnazioni e affidamenti a scadenza periodica, con introduzione da parte delle Regioni di strumenti idonei a garantire economicità ed efficienza delle gestioni, per le quali l’obiettivo è di passare dal 35% al 50% di copertura dei costi tramite i ricavi, riducendo conseguentemente il contributo pubblico. Tale previsione si è dimostrata utopistica. b) Errore professionale scusabile. Secondo un consolidato indirizzo della Corte dei conti, costituiscono esimenti l’errore professionale scusabile e la non imputabilità di danni conseguenti a carenze organizzative delle strutture pubbliche. Oggi, per effetto della vigente normativa, è onere del Pubblico Ministero acquisire i maggiori elementi probatori che consentano la migliore valutazione dei comportamenti tenuti dagli agenti pubblici nella determinazione di danni. Non è quindi più sufficiente per il P.M. addebitare responsabilità sulla base dell’inosservanza di leggi, regolamenti o regole di comportamenti materiali, ma è necessaria una più penetrante analisi dei comportamenti amministrativi e suffragare con chiari e specifici elementi la presunta grave trasgressione ai pubblici doveri. Per le attività materiali, normalmente più rischiose, occorrerà accertare se la negligenza o l’imperizia siano da collegare - per il danno che ne è derivato - in misura prevalente alla condotta dell’agente o al rischio insito nell’attività materiale. Per le attività amministrative non vengono più in rilievo l’arbitrarietà delle scelte o il mancato raggiungimento dei risultati, ma la carenza di specifico potere o la sovrapposizione non motivata o palesemente erronea o prevaricante di proprie valutazioni rispetto ai fini istituzionali. c) Responsabilità solidale. Normalmente i danni all’erario non sono il risultato dell’azione od omissione di un solo organo o ufficio, ma coinvolgono più uffici dello stesso ente o di più enti pubblici. Il legislatore ha stabilito che la responsabilità degli 1266 amministratori e dipendenti pubblici è solidale solo quando il danno sia stato determinato dal concorso di più azioni dolose o nel caso di illecito arricchimento di coautori del danno. In passato la giurisprudenza aveva seguito in prevalenza l’indirizzo di richiedere una colpevolezza qualificata nel comportamento amministrativo, in quanto riconducibile ad attività aventi connotati di professionalità, e sulle quali incidono situazioni di rischio spesso non ben note all’atto in cui si fanno le scelte, ovvero ad attività disciplinate da una legislazione né chiara e neppure di agevole interpretazione. d) Responsabilità degli organi politici. La «buona fede». Vi è poi un’altra norma, recata dalla legge n. 639/1996, che in tema di responsabilità finanziarie pone in evidenza il criterio della «buona fede», nel sancire il divieto di estendere agli organi politici la responsabilità nei casi di approvazione o di autorizzazione all’esecuzione di atti che sono di competenza di uffici amministrativi o tecnici c.d. esimente politica). In questa ipotesi la giurisprudenza deve utilizzare il criterio della «buona fede» in rapporto ai doveri di comportamento degli organi politici. Anche le scelte collegate alla valutazione politica degli interessi della collettività escludono il sindacato giudiziario, sempre che non divengano arbitrio o personale interesse degli amministratori. Non molto innovativa rispetto alla già consolidata prassi giurisprudenziale è poi la previsione, nel caso di attività di organi collegiali, dell’attribuzione di responsabilità ai soli casi in cui si sia espresso un voto favorevole (è irrilevante l’astensione). Si pongono, peraltro, problemi per l’azione amministrativa nei casi in cui si preferisca non decidere per non avere responsabilità: ciò potrebbe, invero, portare alla diffusione di un comportamento non coerente con il «dovere» di decisione e di scelta che incombe a tutti gli organi che devono amministrare. e) Gli illeciti finanziari. Circa, infine, gli illeciti finanziari, perseguibili solo per dolo o colpa grave, in cui è rara la presenza di un vincolo solidale ed è stabilita l’intrasmissibilità agli eredi del debito per danno all’erario, si è confermato lo speciale potere di riduzione dell’addebito e il dovere del giudice contabile di tenere conto, nella determinazione del danno risarcibile, dei vantaggi - di non agevole misurazione - per l’A. e la collettività, conseguiti in rapporto all’attività (illecita) dei soggetti al giudizio di responsabilità. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 Se è lecito trarre un giudizio di valore dalla normativa in commento, può dirsi che essa presenta molteplici profili che rendono difficile una valutazione unitaria, ma che gli aspetti positivi superano senz’altro quelli negativi. L’aver il legislatore ritenuto insindacabili le scelte discrezionali, significa aver indicato un punto di equilibrio su cui dovrebbe riflettere lo stesso legislatore nel porre regole al sindacato penale. 5. L’analisi dei comportamenti amministrativi e le responsabilità dei politici L’analisi dei comportamenti amministrativi da parte del giudice delle responsabilità ha avuto sin qui come punto di riferimento l’arbitrarietà delle scelte, la prevedibilità dell’evento lesivo, la consapevolezza degli eventi dannosi delle omissioni, ovvero l’attendibile previsione del mancato raggiungimento dei risultati previsti dalle norme. Quando siano presenti questi elementi, l’azione di responsabilità è apparsa giustificata, in coerenza con il moderno modo di fare amministrazione, come osservanza dei procedimenti volti al conseguimento di risultati. In virtù del principio della netta distinzione dei compiti di programmazione e direttiva, che competono ai politici, e dei compiti di gestione, che fanno capo ai funzionari, vi è la norma secondo cui, pur se gli organi politici abbiano consentito o autorizzato l’esecuzione di atti che rientrano nella competenza degli uffici tecnici o amministrativi, non sono responsabili, se non nei casi di mala fede. Ciò, in relazione al fatto che agli organi politici è precluso di fare gestione; ad essi sono attribuite funzioni in cui il profilo politico, cioè la valutazione degli interessi della collettività, assume preminente rilievo. Per tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato - e non dallo statuto o dalla legislazione regionale - le scelte, anche amministrative, non possono comportare imputazioni di responsabilità, sempre che razionalmente riconducibili all’autonomia e alle esigenze ad essa sottese e non si dimostri una ingerenza ingiustificata dell’organo politico sulle incombenze amministrative, ed è salvo il sindacato del giudice sulla razionalità delle scelte. Secondo l’art. 248, c. 5 del T.U. n. 267/2000, gli amministratori degli enti locali che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave nei cinque anni precedenti il dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni e organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze che hanno determinato il dissesto, ne accerti la diretta conseguenza dalle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. L’art. 246, c. 2, dello stesso T.U. ha espressamente previsto che gli atti relativi al dissesto degli enti locali vengano inviati alle Procure regionali della Corte dei conti per le valutazioni di competenza, ai fini del perseguimento delle responsabilità di gestione. Attualmente, i casi più frequenti di danno alla finanza pubblica riguardano, in particolare: trattative private, economicamente svantaggiose, conseguenti al ritardo nell’assumere l’iniziativa contrattuale; costi di ripristino di immobili lesionati o crollati in seguito a movimenti sismici, ma realizzati in epoca recentissima in base a programmi di edilizia economica e popolare; tollerate occupazioni abusive di beni demaniali; maggiori oneri conseguenti a sistematici ritardi nei pagamenti, ovvero alla creazione di debiti fuori bilancio; omessa acquisizione di entrate; prolungate esposizioni di cassa nei confronti dei tesorieri; situazione di avanzo solo apparente di molte gestioni pubbliche; dissesto potenziale di molti enti locali; nel settore sanitario, irregolarità nella tenuta degli elenchi di assistiti da medici di medicina generale e da pediatri convenzionati nell’acquisto a prezzi elevati di presidi medicochirurgici; progettazione di opere che non trovano realizzazione; opere iniziate non ultimate; opere ultimate e non utilizzate; mancate o ritardate iniziative di esproprio con illegittima occupazione di suoli privati, ovvero ricorso alla accessione invertita in luogo dell’esproprio, con oneri maggiori di carattere finanziario; assunzioni di invalidi civili che non risultano tali e la concessione a questi ultimi di provvidenze economiche; mancata acquisizione di entrate in generale; omessa o irregolare acquisizione di proventi di beni pubblici; truffe commesse nei confronti dell’I.N.P.S. mediante alterazione di posizioni assicurative; disfunzioni degli uffici finanziari per incapacità organizzative che determinino danno per mancate acquisizioni tributarie o per tardive notificazioni; indebite percezioni di indennità e rimborsi ingiustificati per trasporto da parte di appartenenti alle forze armate di masserizie in occasione di trasferimenti di sede; indebiti conferimenti di consulenze a soggetti estranei alla P.A., in carenza di esigenze straordinarie dell’ente; corruzioni o concussioni di organismi finanziari con compromissione del rapporto tra cittadini e P.A.; manca1267 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini ta presentazione di rendiconti da parte di enti che hanno ricevuto la concessione per l’espletamento di corsi di formazione professionale; illeciti commessi nell’ambito dell’assistenza farmaceutica, attraverso iperprescrizioni o altri fenomeni; pagamento di riserve non dovute all’appaltatore o il ricorso a transazioni troppo onerose per la P.A.; riconoscimento, da parte dei comuni, di debiti fuori bilancio; ricorso a varianti inutili, occupazioni appropriative, indebite contabilizzazioni di opere non eseguite, danni per interessi derivanti da comportamenti integranti responsabilità precontrattuale, ritardati pagamenti di materiali per opere pubbliche o di fatture varie, erogazione di corrispettivi non dovuti a causa di collaudo solo apparente, indebite prestazioni di fidejussione, acquisti o affitti di immobili con costi sproporzionati rispetto alla consistenza finanziaria dell’ente, locazioni finanziarie di sistema informatico, poi rimasto inutilizzato, omessa vigilanza sull’esecuzione del contratto. Va ricordato che per gli enti locali l’art. 202, c. 1, ammette il ricorso all’indebitamento solo nelle forme previste dalle leggi vigenti o per la realizzazione degli investimenti. 6. La natura pubblica o privata del danaro gestito come possibile discriminante dell’azione della Procura della Corte dei conti L’attenzione della Procura generale e delle procure regionali della Corte dei conti è indirizzata, tra l’altro ad iniziative, quali: - apprestare una sanzione per le violazioni delle norme a tutela dell’ambiente; - vigilare sull’adempimento dell’obbligo di rendere il conto, che grava su tutti i gestori di beni della comunità; - seguire l’esecuzione delle sentenze di condanna; - verificare gli illeciti commessi nella gestione di strutture regolate da norme di diritto privato, ma finanziate da danaro pubblico; - assumere iniziative per una quotidiana azione contro il fenomeno della corruzione. I contesti in cui essa ha occasione di svilupparsi non si limitano al mondo degli appalti, né all’aspetto dell’illecita dazione di danaro o di benefici; essa trova facile terreno nell’evasione fiscale e nell’economia sommersa ed è un mezzo congeniale agli ambienti criminali: il suo terreno di coltura è l’illegittimità in tutte le sue forme. La corruzione è agevolata dall’ec1268 cesso di leggi (“in pexima republica plurimae leges”) che causa la moltiplicazione delle competenze e delle responsabilità. Ciò, però, non deve giustificare la soppressione di regole certe e di controlli (che spesso vengono smantellati con la motivazione dell’emergenza per eludere le regole sugli appalti e i controlli preventivi e di gestione, come accaduto nel caso dell’Expo-Milano 2015 e nei provvedimenti commissariali di protezione civile). Il danno ambientale è un danno ulteriore rispetto al danno materiale arrecato al bene e le iniziative per azionare le pretese per i danni materiali arrecati a questi beni pubblici competono alla Procura presso la Corte dei conti. Si è ritenuto che questo danno ai beni pubblici sia conseguenza, prima ancora che delle iniziative private, dell’azione illecita dei poteri pubblici che lo hanno consentito con propri provvedimenti ovvero - una volta verificatosi per abusi dei privati l’evento lesivo - per non essere intervenuti con i necessari provvedimenti, idonei ad ottenere il ripristino della situazione violata. Vi sono poi i casi di mancata esecuzione di sentenze di condanna tratte da segnalazioni stampa: le procure regionali sono state attivate nei casi in cui per intervenuta prescrizione del credito derivante dall’actio judicati, vi erano solo da perseguire le responsabilità relative. Nei casi di ritardata esecuzione, viene verificato se dal ritardo consegua la perdita di garanzie per il recupero del credito, ovvero la sottrazione di cespiti aggredibili. È noto che anche per l’incidenza della normativa comunitaria, il nostro ordinamento tende a non ravvisare più la distinzione «pubblico-privato», ma risulteranno sempre più determinanti elementi sostanziali come il finanziamento, cioè la natura del danaro gestito, l’effettiva subordinazione alle regole del mercato, il controllo del danaro pubblico. I fatti corruttivi, e gli altri delitti contro la P.A. si presentano con due distinte connotazioni. Possono consistere nel pagamento indebito di danaro per un’attività legittima e dovuta della P.A., e di ciò è competente il giudice penale. Ovvero si concretano in una prestazione a favore dell’amministratore o del funzionario infedele, cui però deve corrispondere un’illecita controprestazione di questo, un beneficio non dovuto che avvantaggia il corruttore e lo compensa dell’importo versato. Deve essere, però, dimostrato che sia stato liquidato illegittimamente al corruttore più di quanto dovutogli e se oneri maggiori e non dovuti siano stati messi a carico della pubblica finanza. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 La legge n. 190/2012 sulla prevenzione della corruzione e obblighi di pubblicità e trasparenza, menziona, tra i soggetti destinatari della normativa, anche gli enti locali (art. 1, comma 60) e le società a partecipazione pubblica. Inoltre, la legge 22 maggio 2015, n. 68, che si applica anche nei confronti degli enti locali, reca disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente. Una sentenza della Corte dei conti (Sez. Lombardia 17.2.2009, n. 69) ha ritenuto sussistere il danno erariale derivante dalla condotta di amministratori comunali per aver arbitrariamente mancato di dare esecuzione alla pronuncia definitiva del giudice amministrativo che imponeva l’adozione di una procedura selettiva ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi di igiene urbana del comune, effettuando altra scelta gestionale (affidamento diretto in via temporanea a favore delle medesime ditte risultate aggiudicatarie della trattativa privata annullata dal TAR), con conseguente soccombenza nel successivo giudizio di ottemperanza. 7. Riferibilità all’amministrazione degli atti illeciti dei dipendenti. Limiti L’ente pubblico risponde, di massima, a titolo diretto per l’attività illecita dei suoi dipendenti, realizzata nell’esercizio delle loro funzioni per il perseguimento dei fini della persona giuridica. In tal caso, infatti, queste attività non possono che essere riferite all’Amministrazione, anche se la responsabilità di questa non può essere assimilata a quella dei padroni o committenti, e configurarsi come una culpa in eligendo o in vigilando. In deroga a tale principio, tuttavia, il D.L. 26 marzo 1989, n. 66, convertito dalla legge n. 144/1989, ha previsto che per i debiti fuori bilancio non ritenuti legittimi, rispondono i soggetti che hanno disposto l’esecuzione delle relative spese, senza oneri per l’ente (T.U. 267/2000, art. 191, c. 4). Le considerazioni sulla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione valgono a gettare luce sulla responsabilità del funzionario, stabilita dalla prima parte dell’art. 28 della Costituzione. Pur sussistendo, infatti, la responsabilità diretta dell’Amministrazione, è evidente che tale norma ha inteso dar vita a una responsabilità personale del funzionario direttamente nei confronti del danneggiato. Tale responsabilità non dovrebbe ammettersi in mancanza di una espressa disposizione di legge, in quanto a due soggetti distinti non può normalmente essere imputato in via diretta un medesimo fatto dannoso. Si possono quindi esperire due distinte azioni di responsabilità, che possono essere cumulate, ovvero proposte disgiuntamente: l’una contro l’ente pubblico (art. 113 Cost.) e l’altra direttamente contro il funzionario che fisicamente ha determinato il fatto illecito. L’art. 28 della Costituzione costituisce il fondamento giuridico di questa azione, che non potrebbe trovare alcuna altra base nei principi generali. 8. La responsabilità amministrativa patrimoniale dei dipendenti È noto che nell’ambito della responsabilità giuridica dei funzionari e degli impiegati, cioè della responsabilità nascente dalla violazione di norme giuridiche, si distinguono tre forme di responsabilità: quella penale, quella civile e quella amministrativa. In questa sede, non rileva la responsabilità penale, mentre interessa la responsabilità civile dell’Amministratore o del funzionario, disciplinata dal codice civile, la quale non può che scaturire dalla violazione di obblighi di diritto privato. Essa ha carattere extracontrattuale e si ispira al principio del “neminem laedere”. Va, però, fatta una fondamentale precisazione: quando siano stati violati dall’amministratore o dal funzionario obblighi di diritto pubblico, nell’esercizio di pubbliche funzioni, si è in presenza di una diversa responsabilità, di natura contrattuale, verso l’amministrazione. Tale responsabilità, anche se la relativa sanzione ha contenuto patrimoniale, non può qualificarsi civile, ma è responsabilità di diritto pubblico. Quest’ultima forma di responsabilità riguarda i funzionari e gli impiegati dell’ente locale nel loro rapporto interno ed ha carattere patrimoniale. È, invece, responsabilità civile nei confronti dell’ente quella degli impiegati che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano allo stesso arrecato un danno, imputabile alla loro condotta colposa. Tale comportamento non può configurare un illecito amministrativo e l’obbligo di risarcimento che fa capo all’impiegato colpevole del danno è, invece, di natura civile perché si ricollega ad un illecito civile. Ne consegue che le due forme di responsabilità, quella amministrativa e quella patrimoniale, pur se sovente sono trattate unitariamente, non possono ridursi ad un unico denominatore: esse si pongono su distinti livelli, in quanto l’una si ricollega ad un illecito amministrativo e l’altra ad un illecito civile. Considerato il processo di riforma dell’organizzazione dei pubblici uffici, l’obbligo di denuncia, ai 1269 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini sensi dell’art. 52 del Codice di giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016) incombe su tutti i soggetti che, nella loro qualità di responsabili di un settore dell’Amministrazione, si trovino in posizione apicale anche gli ispettori, gli organi di controllo e di revisione e vengano in possesso, in ragione del loro ufficio,degli elementi per l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni (C.d.c., Sez. I centr., appello n. 344 del 25.7.2008). Ai sensi dell’art. 53 dello stesso Codice, la denuncia del danno deve contenere la sua presumibile quantificazione e, ove possibile, l’indicazione dei responsabili presunti del danno. 9. Compiti e responsabilità dei revisori dei conti Numerosi e delicati sono i compiti che il T.U. n. 267/2000 e le altre leggi statali assegnano ai revisori. Il loro svolgimento - specie negli enti di grandi dimensioni - comporta particolari difficoltà e, considerate le connesse responsabilità, richiede una speciale capacità professionale nell’operatore. Questo è incardinato nell’ente, svolge una pubblica funzione, è soggetto al segreto d’ufficio e agli altri doveri del pubblico dipendente, nonché alla giurisdizione della Corte dei conti, secondo la disciplina prevista per l’accertamento della responsabilità per danno arrecato all’amministrazione. Il revisore soggiace quindi agli effetti reattivi dell’ordinamento giuridico nascenti dall’eventuale inadempimento dei doveri di diligenza propri dei mandatari (art. 240, T.U. n. 267/2000). Tra i singoli compiti che la legge attribuisce ai revisori, di particolare rilievo sono quelli relativi alla collaborazione con il consiglio nella sua funzione di indirizzo e di controllo dell’attività della giunta e degli altri organi e uffici cui è attribuita una competenza specifica. Per il bilancio preventivo e relative variazioni, la funzione consultiva dei revisori non può essere assimilata giuridicamente a quella del responsabile di ragioneria e del segretario (art. 53), mentre lo statuto stabilisce le forme ed i tempi dell’esercizio della collaborazione che deve essere fornita solo per le aree riconducibili alle funzioni di controllo e di indirizzo del consiglio. Uguale rilievo ha la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell’ente, che è attività sistematica, duratura ed ausiliaria. Essa non si limita agli aspetti formali emergenti dalle scritture contabili, ma si estende agli aspetti finanziari, a quello patrimoniale ed economico della gestione, alla procedura di accertamento delle entrate e dell’impegno delle spese. 1270 Come si desume dagli artt. 239, c. 1, lett. c) e 240 del T.U. n. 267/2000, i revisori rispondono della verità delle loro attestazioni e fungono da strumento per l’accertamento delle responsabilità altrui: «ove riscontrino gravi irregolarità nella gestione dell’ente, ne riferiscono immediatamente al Consiglio» e la Corte dei conti può avvalersi delle loro relazioni. Se si verifica l’ipotesi di ammanchi oggettivamente agevolati dall’inerzia dei revisori (e dello stesso presidente dell’ente) rispetto a diffuse e continue illegittimità afferenti a gestioni contabili, gli stessi vengono ascritti alla colpa grave del collegio sindacale e del presidente (C.d.c., Sez. I centrale, 23.7.2002, n. 250/A). Importante obbligo per i revisori è quello di denunciare al procuratore regionale della Corte dei conti l’indebitamento dell’ente per spese correnti, ai sensi dell’art. 239, c. 1, lett. e) del T.U.enti locali, configurandosi l’indebitamento per spese correnti una delle “gravi irregolarità di gestione” che integrano ipotesi di responsabilità contabile. La responsabilità in questione è comunque addebitabile agli amministratori che hanno adottato la relativa delibera. Inoltre, in base all’art. 52 del Codice della giustizia contabile, in quanto incaricati della revisione, sono tenuti a presentare tempestivamente denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente di fatti che possono dar luogo a responsabilità erariali. 10. La giurisdizione in materia di responsabilità - Il sequestro conservativo La giurisdizione della Corte dei conti è piena ed esclusiva: - piena, in quanto la cognizione del giudice è estesa a tutti gli aspetti della controversia, compresa la soluzione di questioni pregiudiziali ed incidentali, quali il giudizio sulla legittimità di atti prodotti, ovvero quello sulla ammissibilità dei mezzi di prova, salvo l’esclusione del giudizio relativo all’incidente di falso, riservato, per principio generale, al giudice ordinario; - esclusiva, in quanto nelle specifiche materie è esclusa qualsiasi altra giurisdizione ed in ordine alla stessa il giudizio investe sia questioni attinenti a diritti soggettivi, che ad interessi legittimi. Quanto al potere sindacatorio della Corte, non essendo previsto da alcuna disposizione di legge, deve ritenersi oggi non più esercitabile, in ossequio all’art. 111 della costituzione nella sua nuova for- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 mulazione. Ne deriva che il giudice non può d’ufficio, sostituendosi alle parti, determinare l’oggetto del contendere, né decidere su questioni che non siano state preventivamente sottoposte al necessario contraddittorio. Legittimato a proporre l’azione di responsabilità è il Procuratore generale o quello regionale presso la Corte dei conti, dotato di autonomia rispetto alla volontà dell’amministrazione (art. 51 e segg. del codice di giustizia contabile). Essa si basa sulla natura pubblica dell’azione di responsabilità. Allo stesso Procuratore incombe l’onere di provare i fatti posti a fondamento della proposta azione, trovando applicazione il principio generale dell’ordinamento secondo il quale spetta all’attore provare i fatti costitutivi della propria pretesa ed al convenuto quelli negativi della stessa. Il giudice contabile chiamato a pronunciarsi sui fatti già oggetto di processo penale ed in ordine ai quali sia stata pronunciata sentenza per intervenuta amnistia, può utilizzare, a fini probatori, l’accertamento dei fatti e il loro svolgimento quali emergono dal processo penale, pur non avendo, tale sentenza, autorità di cosa giudicata (C.d.c., Sez. Riunite, 7.4.1993, n. 875/A). In sede di giudizio di responsabilità, la sentenza penale di condanna intervenuta a seguito di «patteggiamento», non ha, in deroga a quanto stabilito dagli artt. 651 e 654 cod. proc. pen., autorità di cosa giudicata, ma può costituire oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice, ai fini dell’accertamento della colpevolezza del convenuto (C.d.c., giurisprudenza costante). Le prove acquisite nel processo penale definito con il meccanismo di cui all’art. 444 c.p.p. possono essere utilizzate nel giudizio di responsabilità amministrativa, purché valutate in modo autonomo e non acritico (C.d.c., Sez. appello Sicilia, 10.11.2008, n. 336/A). Il sequestro conservativo dei beni è una misura cautelare introdotta con nuove modalità dall’art. 5 della legge 14 gennaio 1994, n. 19. Questo può esser chiesto prima ancora che l’attore decida se introdurre il giudizio di merito, e ad esso provvede il Presidente della Sezione competente, «inaudita altera parte», con decreto motivato. Avverso le sentenze delle Sezioni giurisdizionali regionali è ammesso l’appello alle Sezioni Centrali della Corte dei conti (in Roma, v. Baiamonti, 25) che giudicano con l’intervento di cinque magistrati e solo per motivi di diritto. L’appello è proponibile dalle parti e dal procuratore regionale o da quello generale entro 60 giorni dalla notificazione o entro il diverso termine stabilito dall’art. 178 del Codice di giustizia contabile. Per inciso va detto che il termine accordato al convenuto per il deposito delle deduzioni, ove cadente nel periodo della sospensione feriale (dal 1° al 31 agosto) decorre dalla scadenza di tale periodo. 11. L’esecuzione delle decisioni di condanna È in vigore il Regolamento recante norme semplificative dei procedimenti di esecuzione delle decisioni di condanna e risarcimento del danno erariale, a norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59. Attraverso tale regolamento, approvato con D.P.R. 24 giugno 1998, n. 260, sono disciplinate le modalità del recupero dei crediti liquidati dalla Corte dei conti, mediante ritenuta su tutte le somme dovute ai responsabili in base al rapporto di lavoro o di servizio. Il pagamento può essere effettuato a rate ed è prevista l’iscrizione ipotecaria sui beni del debitore. I crediti liquidati sono iscritti in apposita voce di entrata del bilancio dello Stato o dell’ente interessato. Il Codice di giustizia contabile prevede, tra l’altro, il “rito abbreviato” a determinate condizioni (art. 130), il rito monitorio per addebiti d’importo non superiore a e 10.000 (art. 131) e un “rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria” per le violazioni di specifiche normative (artt. 133 e 136). Lo stesso Codice (artt. 212-216) prevede analiticamente l’esecuzione delle sentenze di condanna, le quali sono munite della formula esecutiva. Il P.M. competente la comunica all’amministrazione o all’ente titolare del credito erariale che lo notifica al condannato nei modi di cui all’art. 117 e segg. c.p.c.. Alla riscossione dei crediti liquidati dalla Corte dei conti provvede con decisione definitiva l’ente titolare del credito ed avvia tempestivamente l’azione di recupero del credito nei modi indicati dall’art. 214, comma 5 del Codice. Cap. II Responsabilità di gestione degli amministratori 1. Responsabilità di gestione degli amministratori locali Il sistema delle responsabilità degli amministratori pubblici e, in particolare, di quelli locali, nel quadro legislativo e nell’interpretazione vigente non si pre1271 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini senta come armonico, neppure sotto il profilo della giurisdizione, che appare ripartita tra Corte dei conti e autorità giurisdizionale ordinaria. Vi è, innanzitutto, una responsabilità di gestione, cioè per danni arrecati all’ente locale, per inosservanza di regole di gestione. Vi è, poi, una responsabilità per illeciti nella gestione e conservazione del patrimonio dell’ente locale. Vi è, ancora, una responsabilità per danni arrecati all’ente locale o a terzi verso i quali l’ente debba rispondere. Vi è, infine, una responsabilità per danni arrecati allo Stato o ad ente diverso da quello locale. Per la responsabilità di gestione, occorre fare riferimento a due elementi: quello del danno arrecato all’ente locale e quello dell’inosservanza delle regole di gestione. Con riferimento al «danno» possono considerarsi unificate tutte le responsabilità di gestione, in quanto fondate su un evento lesivo (danno); la costruzione del fatto dannoso va operata secondo i criteri comuni e comporta la messa a carico degli amministratori degli effetti dell’evento lesivo, sempre che vi sia una colpa. Vi sono, poi, attività illegittime che assumono rilievo sul piano dell’illecito. Per l’esercizio della relativa azione non è necessaria un’illegittimità accertata da organi amministrativi di controllo o giurisdizionali, né è necessario che un accertamento giurisdizionale della illegittimità preceda l’azione di responsabilità. Non è configurabile responsabilità di gestione ove non vi sia inosservanza delle regole sulla gestione. In particolare, gli illeciti nella conservazione e nella gestione del patrimonio si configurano in tutti i casi in cui si sia arrecato un danno all’ente, in violazione del suo diritto ai propri beni (v. delibera C.d.c., Sez. Enti Locali, n. 650 del 1989). Inoltre, qualunque scelta operativa discrezionale non può prescindere da una previa comparazione tra costi e benefici: pertanto i costi aggiuntivi per interessi passivi e spese accessorie per mutui contratti costituiscono danno per l’Ente quando la valutazione finale, in termini di benefici del servizio, è eccessivamente divaricata rispetto ad una soluzione differita più conforme ai canoni di buona amministrazione (C.d.c., Sez. riunite, 13.9.1993, n. 897/A). 2. Giurisdizione del giudice contabile e ordinario alla luce della legge n. 142/1990 Il riparto tra le giurisdizioni ordinaria e contabile ha costituito il risultato di una scelta legislativa, come ha sovente ricordato la Corte Costituzionale (sent. n. 102/1977; n. 189/1984; n. 241/1984) che ri1272 tenne inammissibili le questioni di costituzionalità proposte in materia (v. anche Cass. civ., Sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6437). Il problema che impegnava la giurisprudenza era quello dei limiti della giurisdizione del giudice contabile e dei rapporti con quella del giudice ordinario il quale conosce le responsabilità per danni arrecati dagli amministratori degli enti locali all’ente o a terzi verso i quali l’ente stesso debba rispondere. Con l’entrata in vigore della legge n. 142/1990 si è completamente modificata la disciplina sulla giurisdizione. Il primo comma dell’art. 58 (T.U., art. 93) ha spazzato via la diversa disciplina di responsabilità amministrativa generica, specifica e formale, accogliendo l’unica fattispecie di responsabilità amministrativa basata sugli elementi della colpa e del danno. Ha, inoltre, unificato la cognizione della stessa nella giurisdizione della Corte dei conti, secondo l’art. 103 della Costituzione. L’art. 52 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, l’art. 22 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, l’art. 15 della legge 5 marzo 1961, n. 90, l’art. 1 della legge 31 dicembre 1962, n. 1833, l’art. 11 della legge 30 marzo 1965, n. 340, l’art. 1 della legge 17 marzo 1975, n. 69, l’art. 1 della legge 4 marzo 1981, n. 67 e l’art. 61 della legge 11 luglio 1980, n. 312, delineano una linea di tendenza del legislatore volta ad operare una progressiva riduzione dell’area di applicazione del principio della responsabilità interna per danni dei pubblici operatori, escludendola allorché ricorra la colpa lieve. Secondo l’art. 1 del recente Codice di giustizia contabile “La Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica (comma 1)”, oltre agli altri giudizi nelle materie specificate dalla legge (comma 2). Laddove la limitazione di responsabilità è riconosciuta per la peculiare mansione svolta, la stessa limitazione dovrà essere riconosciuta anche al personale degli enti locali chiamato a svolgere mansioni rientranti nell’ambito delle previsioni delle norme indicate. Ai fini di una valutazione meno rigorosa della responsabilità, nella giurisprudenza della Corte dei conti hanno trovato considerazione anche altre circostanze, connesse con l’elemento psicologico della colpevolezza, ovvero attinenti ad altri aspetti dell’azione dannosa. Il contesto generale in cui si colloca il comportamento del soggetto responsabile costituisce il naturale terreno dal quale la Corte può ricavare ogni corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 possibile elemento per l’esercizio concreto della facoltà di moderazione riconosciuta sotto la denominazione di potere riduttivo. In alcune decisioni sono state ritenute influenti, ai fini dell’attenuazione delle conseguenze dannose, alcune circostanze soggettive, quali i precedenti di carriera, il comportamento del dipendente responsabile durante lo svolgimento dell’azione dannosa, ovvero il concorso di fatti colposi di terzi che abbiano contribuito alla produzione dell’evento, o, infine, la carenza di mezzi economici del responsabile. In altre decisioni assumono rilievo le circostanze contestuali all’azione causativa del danno, quale la comprovata disorganizzazione dell’ufficio in cui il dipendente prestava servizio; ovvero, in ipotesi di danno derivante da azioni fraudolente di terzi, la difficoltà di effettuare i dovuti controlli a causa degli artifici architettati dai terzi stessi. L’esame del giudice contabile non concerne solo la verifica della detta violazione di norme e dei procedimenti, ma anche tutte le regole sostanziali dell’attività di spesa e i principi comuni della responsabilità per danno. Altra ipotesi di responsabilità è quella per aver proceduto a locazioni, alienazioni, acquisti, appalti, ecc., senza avere osservato le relative disposizioni di legge: invero, nell’attività contrattuale gli enti locali sono responsabili dell’eventuale illecito pur se la deliberazione di spesa sia stata conforme alle regole generali innanzi indicate, e sempre che sussista inosservanza delle norme sull’attività contrattuale. È, infine, sottoposta alla cognizione del giudice contabile la responsabilità conseguente a danni derivanti da omissione di atti dovuti. Gli amministratori e i dipendenti degli enti locali sono tenuti a rimborsare le indennità corrisposte a commissari di cui sia stato disposto l’invio per cause ad essi imputabili, e in particolare per omissione di atti dovuti. Circa la conservazione e gestione del patrimonio, sono responsabili gli amministratori e i dipendenti degli enti locali delle carte e dei documenti loro affidati, oltre che per gli illeciti nella conservazione e gestione del patrimonio. In realtà, non vi sono atti di gestione finanziaria che non abbiano effetti sul patrimonio: così, nei casi di responsabilità per danni arrecati all’ente o a terzi, si determinano spese non precedentemente dovute e si hanno conseguentemente erogazioni che si riflettono sulla consistenza patrimoniale. Ma in tale ultimo caso si ha una giurisdizione - sia pure «residuale» - del giudice ordinario, in rapporto a quella «generale» del giudice contabile, in relazione al disposto dell’art. 103 della Costituzione. Appartengono, altresì, all’A.G.O. i giudizi sui danni derivanti da attività di gestione di spese, e le eventuali violazioni di legge rilevanti ai fini dell’illecito concernenti la disciplina sostanziale dell’attività che comporta spese, salva l’attività contrattuale assegnata alla competenza esclusiva del giudice contabile. 3. La situazione dei concessionari di pubblici servizi e gli enti pubblici economici La Corte di Cassazione ritiene che l’attività imprenditoriale svolta dagli enti pubblici economici e dalle S.p.a. a prevalente capitale pubblico, essendo soggetta alle norme del diritto privato, deve ritenersi un’attività del tutto parificata a quella dell’imprenditore privato e non una «pubblica funzione». Ne deriva che, come già accennato, i soggetti che la esercitano non possono essere sottoposti alla giurisdizione di responsabilità da parte della Corte dei conti. Invero, il termine «funzione» sta ad indicare soltanto l’assolvimento di compiti nell’interesse altrui e può essere espletata anche da semplici agenti, sprovvisti di poteri autoritativi; del resto, anche l’attività amministrativa di diritto privato attiene alla cura di interessi pubblici, pur se si svolge mediante istituti e norme di diritto privato. Inoltre, gli enti pubblici economici e le S.p.a. a prevalente capitale pubblico, che erano stati creati nell’ottica di un’economia mista, ora che lo Stato si ritrae dal mercato dismettendo il proprio patrimonio, non hanno più lo scopo di influenzare il mercato, ma quello di assicurare lo svolgimento dei servizi pubblici, in relazione ai quali essi assumono la veste di «concessionari». Come tali, essi sono inseriti nell’organizzazione amministrativa e svolgono un’attività che non può considerarsi estranea dall’attività della pubblica amministrazione centrale o locale. La Corte Costituzionale (sent. n. 466/1993) ha dichiarato che le S.p.a. provenienti dalla privatizzazione degli enti pubblici economici sono soggette al controllo della Corte dei conti, atteso il loro carattere speciale e le molteplici caratteristiche di diritto pubblico che le distinguono dalle società di diritto privato. Numerose sentenze della Corte di Cassazione hanno ritenuto sussistere un rapporto di servizio tra P.A. ed enti privati anche nei casi di affidamento a questi ultimi di attività di carattere pubblico (sent. n. 2668 del 5.3.1993). Nell’ordinamento interno, relativo all’organizzazione interna della P.A., l’Ente stru1273 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini mentale per nulla si distingue dall’Ente istituzionale, per cui non si può disconoscere un rapporto di fiducia, o di servizio tra gli amministratori della S.p.a. o dell’ente pubblico economico e l’ente istituzionale. Sul piano pratico la mancata sottoposizione di detti amministratori alla giurisdizione della Corte dei conti, previsto dall’ordinamento vigente aveva determinato un’area di irresponsabilità per gli amministratori stessi e prodotto complicazioni a carico dei componenti dei Consigli di amministrazione dell’ente pubblico economico o della S.p.a. a prevalente capitale pubblico. Infatti nei casi non improbabili in cui questi non abbiano provveduto a citare davanti al giudice ordinario gli amministratori responsabili di eventuali danni, restava l’obbligo del P.M. presso la Corte dei conti di accertare se questa omissione abbia, a sua volta, prodotto danni. Il che determinava una responsabilità indiretta, ad accertamento tardivo e talvolta inefficace, mentre si sarebbe potuto agire in maniera più efficace per gli interessi della collettività nei confronti dei responsabili diretti. Il quadro delle responsabilità è mutato con il sopravvenire della giurisprudenza della Corte di Cassazione (ss.uu., 22.12.2003, n. 19667/2003) nella quale si è riconosciuta la legittimazione della Corte dei conti anche nei casi innanzi esaminati. Con più recenti sentenze, come già accennato, la Corte di Cassazione ha ripristinato la giurisdizione/competenza del giudice ordinario per tali fattispecie. Secondo la giurisprudenza civilistica, la responsabilità verso la società degli amministratori di una s.p.a., prevista e disciplinata dagli artt. 2392 e 2393 c.c. ha la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, o nell’inadempimento all’obbligo generale di vigilanza (giur. della Cassazione costante). La giurisprudenza della Corte d’appello Milano (n. 159040/1998) ha precisato che la responsabilità dell’amministratore verso la società è ravvisabile in ogni abuso, arbitrio od omissione che si traducano in un pregiudizio del patrimonio sociale dal punto di vista economico o della regolarità contabile. Viceversa, la remuneratività delle scelte di gestione compiute dagli amministratori, concernendo profili di merito e rientrando nell’ambito discrezionale dell’attività imprenditoriale, non è suscettibile di essere valutata dal giudice in termini di responsabilità giuridica. In sostanza, nell’adempimento delle obbligazioni verso la società l’amministratore deve dispiegare la stessa diligenza del mandatario, che non è scissa 1274 dalla perizia, prudenza e avvedutezza in relazione ad ogni attività implicata nella gestione della società. Non è però sindacabile il merito delle scelte gestionali e delle modalità della loro conduzione, se non nella misura in cui si riscontri l’omissione delle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste dall’ordinaria diligenza professionale a cui ogni amministratore è obbligato, secondo un criterio di prevedibilità e di prevenibilità delle conseguenze insoddisfacenti e pregiudizievoli (Cass., ss.uu., n. 14488/03). Invero, il merito dell’azione amministrativa riguarda la scelta secondo parametri non giuridici delle modalità di azione della P.A., in vista della realizzazione degli interessi commessi dalla legge alle sue cure, ma non attiene al profilo della legittimità. Nel giudizio di responsabilità amministrativa la titolarità dell’azione spetta in via esclusiva al Procuratore regionale della Corte dei conti e il soggetto convenibile viene chiamato in giudizio solo per fini obiettivi e neutrali, al di fuori di valutazioni di convenienza o di altro tipo. Invece i soci della società sono privi di legittimazione attiva nel giudizio di responsabilità amministrativa, i quali però possono denunciare i fatti causativi del danno al P.R. perché promuova la relativa azione di responsabilità. 4. I rapporti col giudizio penale secondo il nuovo codice di procedura Secondo il precedente codice di procedura penale era sancito il principio della preminenza del processo penale. Il nuovo codice ha mutato indirizzo ispirandosi al principio di separazione dei processi, quale conseguenza dell’assoluta autonomia di giudizi. È stata così ripudiata la pregiudizialità obbligatoria del processo penale rispetto ad altri processi, con l’effetto anche di scoraggiare la costituzione di parte civile (v. art. 75 c.p.p. e artt. 651, 652 e 654 c.p.p.). Il danneggiato non è più obbligato ad attendere l’esito del processo penale per ottenere il risarcimento del danno: valuterà caso per caso la convenienza di rivolgersi ad altro giudice. Tuttavia, la sospensione del giudizio di responsabilità si appalesa opportuna quando possa derivare utilità dall’individuazione dei fatti effettuata dal giudice, dal materiale probatorio e dalle affermazioni del giudice penale sugli elementi soggettivi del dolo e della colpa (C.d.c., giurisprudenza costante). Per quanto riguarda i rapporti tra giudizio penale e giudizio di responsabilità amministrativa, trova senz’altro applicazione in quest’ultimo giudizio corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 l’art. 651 c.p.p. e pertanto ha efficacia di giudicato nei confronti del condannato la sentenza penale irrevocabile di condanna quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Quindi è necessario accertare, nel giudizio di responsabilità amministrativa, che vi sia un nesso tra il danno erariale ed i fatti accertati nel giudizio penale (come, ad esempio, nell’ipotesi di «fatto corruttivo» (C.d.c., Sez. riunite, n. 920/A, 17.11.1993). L’art. 17 del Codice di giustizia contabile stabilisce norme sulla competenza del giudice contabile e la soluzione delle questioni attinenti al conflitto di giurisdizione. È stato abrogato dal Codice l’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, secondo il quale “la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati all’art. 3 (dipendenti di amministrazioni o enti pubblici o di enti - e società - a prevalente partecipazione pubblica) per il delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale del confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271”. La sentenza penale emessa ai sensi dell’ex art. 444, secondo comma, c.p.p. intervenuta su accordo delle parti, come innanzi accennato, non esplica efficacia nei giudizi civili e amministrativi in quanto la stessa non ha natura di sentenza di condanna. Invero, la sentenza di condanna emessa in sede di patteggiamento non può essere trasferita sic et simpliciter nel giudizio non penale, al fine dell’affermazione di responsabilità, che risulterebbe acritica e immotivata; tuttavia la stessa può essere acquisita e liberamente valutata dal giudice contabile, come gli altri elementi probatori (C.d.c., giurisprudenza costante). La sentenza penale di assoluzione per non aver commesso il fatto, esclude la responsabilità amministrativa del convenuto, ove sia accertata l’identità dei fatti posti alla base nei due giudizi (C.d.c., Sez. II, 10.5.1993, n. 115). In particolare, la sentenza penale per non aver commesso il fatto, se pronunciata a seguito di dibattimento, ha effetto di giudicato nel giudizio contabile, nel senso che va esclusa la responsabilità amministrativo-contabile dello stesso convenuto per i medesimi fatti (C.d.c., Sez. I centr., 25.1.2006, n. 23/A). Peraltro, dopo la novellazione dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2, legge 97/2001, alla condanna applicata nel giudizio penale dal GIP sull’accordo delle parti va attribuito l’effetto di provare, nel processo contabile, l’illiceità dei fatti e la colpevolezza del presunto responsabile. Questo deve quindi dare le prove necessarie a discolparsi (C.d.c., I centr., 20.9.2004, n. 334/A). 5. Imputazione delle responsabilità di gestione Salvo gli approfondimenti effettuati in seguito, si accenna fin da ora a taluni principi (tratti dalla giurisprudenza della C.d.c.) sull’imputazione di responsabilità dei componenti degli organi collegiali. Nell’ambito dell’attività deliberativa dell’organo collegiale, la responsabilità per avere partecipato alla delibera è correlata agli effetti che dalla delibera stessa sono derivati. Delle deliberazioni assunte rispondono tutti i membri dell’organo collegiale favorevoli alla delibera (litisconsorzio necessario). Ove al dissenso del membro non segua il suo voto contrario, ma solo l’astensione, non è esclusa la responsabilità dello stesso. In generale, gli amministratori sono tenuti non solo a svolgere l’attività di gestione con l’osservanza delle disposizioni di legge, ma anche a impedire che altri indebitamente pongano in essere tale attività. Non si può però far carico agli amministratori per quella parte di danno che non discende dalla loro condotta, ma che è imputabile a deficienze amministrative dell’apparato burocratico o all’avvicendarsi continuo di segretari comunali o all’intervento di commissari «ad acta». Lo stesso discorso vale per tutti gli altri enti pubblici. Un organo collegiale non può tollerare l’inerzia di un organo individuale, ma deve adottare ogni iniziativa idonea a rimuovere l’impedimento: diversamente, i suoi membri rispondono dei danni derivanti all’ente dal mancato funzionamento. Inoltre, il sindaco (o, negli altri enti pubblici, il presidente) potrà rispondere dei danni per inattività dell’organo collegiale dovuti al mancato esercizio da parte dello stesso del dovere di convocazione e scelta delle questioni da trattare. Il principio di separazione delle responsabilità tra gli amministratori e i dirigenti è contenuto nel T.U. 18 agosto 2000, n. 267 (art. 107), e, per gli altri enti pubblici, in disposizioni similari, ed ha trovato attuazione negli statuti e nei regolamenti. Detta separazione si realizza nell’attività «di indirizzo e di controllo» spettante agli eletti e nell’attività «di 1275 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini gestione amministrativa» spettante ai dirigenti. Compete ancora ai dirigenti l’adozione di atti con rilevanza esterna, la presidenza di commissioni di gara e di concorso, la responsabilità delle procedure di appalto, di concorso, la stipulazione di contratti, con le conseguenti responsabilità. I dirigenti (anche se assunti con contratto a tempo determinato) sono direttamente responsabili della traduzione in termini operativi degli obiettivi dell’Ente, della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione. 6. L’accertamento in concreto del danno Già da tempo la Corte Costituzionale (sent. 23.3.1983, n. 72) ha ritenuto che la responsabilità di cui agli artt. 252 e 253 del T.U. n. 383/1934 (ora abrogati), si identificasse nella normale responsabilità patrimoniale fondata sui requisiti del danno e dell’elemento psicologico e che «non si può considerare che ogni spesa effettuata senza il rispetto delle norme prestabilite arreca, ipso iure, all’ente pubblico un nocumento patrimoniale pari all’importo delle stesse spese». La Corte dei conti, a sua volta, ha affermato che se il danno consiste nell’effettivo nocumento patrimoniale, il giudice contabile deve «considerare l’importo della somma la cui erogazione è risultata utile all’ente pubblico, in modo che la condanna venga limitata soltanto alla differenza e quindi, in sostanza, esclusivamente al nocumento patrimoniale effettivamente subito dalla P.A.» (v. anche C.d.c., Sez. riunite, 19.4.1986, n. 471). La nozione di danno erariale comprende non solo ipotesi finanziarie (es. alterazione o turbativa dei bilanci) o patrimoniali (es. distruzione o danneggiamento di beni demaniali), ma anche la lesione di interessi più generali, di natura pubblica, purché suscettibili di valutazione economica (C.d.c., giurisprudenza costante). Tale concezione del danno consente di ricondurre alla nozione di patrimonio pubblico non solo gli elementi finanziari o più direttamente patrimoniali, ma anche l’insieme di utilità suscettibili di apprezzamento economico di cui fruisce la collettività. Negli squilibri finanziari è quindi insito il dissesto economico che grava sull’intera collettività e costituisce danno per la finanza pubblica ogni spesa che ecceda i limiti posti dalla legislazione statale in materia di finanza locale e di esso sono responsabili gli amministratori locali che colposamente non abbiano osservato tali disposizioni. 1276 Si realizza, inoltre, danno al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto la responsabilità amministrativo-contabile dei funzionari e dipendenti pubblici va inquadrata tra i mezzi per assicurare tale buon andamento (art. 97 Cost.). Sotto questo profilo è stata ritenuta regolare l’attività di indagine posta in essere dalla Procura sulla base di esposti anonimi, ai sensi dell’art. 74 del T.U. n. 1214/1934 che conferisce alla Procura stessa ampio ed informale potere di acquisire notizie di danno con tutti i mezzi. Ciò in quanto le notizie vengono vagliate nel loro fondamento attraverso mirate iniziative requirenti fondate su accertamenti diretti e richieste all’amministrazione (C.d.c., Sez. Sardegna, 26.3.1994, n. 137). Nella determinazione del danno erariale il giudice contabile, in applicazione degli artt. 1175, 1223 e ss. c.c., deve considerare che non possono far carico al debitore quelle conseguenze patrimoniali che non siano correlate al suo inadempimento, ma siano riferibili a situazioni di rischio comune, né può estendere la domanda di risarcimento proposta dal P.M. nei confronti di un soggetto di cui sia stata affermata la responsabilità, comprendendovi anche il danno addebitato ad altro soggetto dichiarato esente da responsabilità (C.d.c., Sez. app. Regione Sicilia, 21 maggio 2002, n. 93/A). 7. Stanziamento di entrate figurative destinate a pareggiare fittiziamente il bilancio Gli enti locali sono tenuti ad osservare i principi generali in tema di bilancio. In particolare, almeno in pareggio deve essere la previsione relativa alla situazione economica, per cui le entrate correnti, nel loro complesso, non possono essere inferiori alla somma delle spese correnti e di quelle per rimborso prestiti, al netto degli interessi corrisposti (v., in particolare, l’art. 191 del T.U. n. 267/2000). Secondo la Corte dei conti, la copertura finanziaria, perché abbia una sua autonomia rispetto al parere sulla regolarità contabile (art. 49 del citato T.U.) va intesa nel senso che deve sussistere effettiva disponibilità sullo stanziamento del competente capitolo di bilancio. Tale disponibilità non sussiste quando tale capitolo sia correlato ad entrate non ancora accertate in misura sufficiente o la cui utilizzazione sia subordinata alla loro effettiva realizzazione e questa non risulti ancora avvenuta (C.C., II, n. 2/1991). Peraltro, la mera infrazione di una regola contabile non è di per sé fonte di danno, salvo che da essa siano discesi effetti lesivi, anche riflessi, degli inte- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 ressi patrimoniali dell’ente (C.d.c., II, 24.1.1997, n. 11). La disposizione mira a responsabilizzare gli amministratori per il solo fatto di aver proposto lo stanziamento delle entrate figurative (v. art. 200 del R.D. 2839/1923); ma non esclude la responsabilità dei consiglieri ove essi abbiano, nella discussione del bilancio, concretamente provveduto, in sostituzione della giunta, a porre in essere un’attività amministrativa che è sanzionabile. Perché sussista la colpevolezza (elemento soggettivo), la giurisprudenza ritiene necessaria una cosciente e dolosa volontà degli amministratori diretta ad alterare fittiziamente, per indurre in errore gli organi di controllo ed i cittadini, le normali previsioni di bilancio, ovvero ad omettere colposamente l’acquisizione di elementi che possono consentire una corretta valutazione di prevedibilità. È poi necessario, oltre all’elemento soggettivo, l’«eventus damni» e cioè il verificarsi di un danno. È evidente che un danno non può derivare dallo stanziamento in sé, ma è conseguente al fatto che la gestione si svolga sulla base di previsioni di entrate che non saranno realizzate e che quindi determineranno un disavanzo. È anche fonte di danno una figuratività sopravvenuta di entrate, o una determinazione inattendibile delle spese, che vengono pareggiate con le disponibilità effettive, ovvero erronee previsioni che producano danno, e simili. Va infine segnalato l’avviso del Consiglio di Stato in ordine alla corresponsabilità degli organi di controllo nei casi di mancata rilevazione delle irregolarità. È assimilabile ai casi precedenti quello dello stanziamento di entrate per la cui realizzazione sono necessari adempimenti, quali l’istituzione del tributo o l’attivazione del servizio da cui sarà ricavata la prevista contribuzione, cui l’amministrazione non dà attuazione. La giurisprudenza ha assimilato ai casi suddetti quelli di maggiore inattendibile entrata figurativa o di figurative variazioni di bilancio, con elusione sostanziale delle norme intese ad assicurare il pareggio del bilancio. 8. Atti di gestione irregolari Nei casi di difetto del potere di spesa, non può esservi mai sanatoria e neppure un accertamento successivo di utilità. In tal caso il danno è pari alla spesa erogata per una finalità non rientrante nelle attribuzioni dell’ente o addirittura vietata da norma di legge. Può anche verificarsi che le spese deliberate siano del tutto inutili (es. affidamento di progetto di opera pubblica che l’ente non sarà mai in grado di realizzare, ovvero acquisto di materiali in misura eccedente il fabbisogno pubblico). In tal caso la Corte quantifica il danno tenendo conto dell’utilità diretta o riflessa della spesa irregolarmente disposta. Se al bene acquisito corrisponde una utilità minore rispetto alla somma erogata, il danno è pari alla differenza. Se si verificano conseguenze lesive per effetto di maggiori spese che il ritardo nei pagamenti può determinare, non può opporsi una possibile compensazione tra interessi pagati e quelli che presumibilmente avrebbe dovuto corrispondere l’ente se avesse dovuto accendere un mutuo. Lo stesso squilibrio economico-finanziario (cui fa riferimento la legge sulle autonomie locali) configura ipotesi di danno in relazione al fatto che fatalmente lo squilibrio si traduce in carenti risorse finanziarie rispetto alle iniziative economiche intraprese, e tale dissesto, se non eliminato, finisce con il gravare sull’erario. Il titolare del Servizio ragioneria comunale è responsabile se attesta falsamente la copertura finanziaria su un capitolo di spesa non pertinente, in violazione del principio contabile di specificazione della spesa previsto nell’art. 20 T.U. Corte dei conti, con conseguente nullità del provvedimento di spesa (C.d.C., Sez. giur. Reg. siciliana, n. 1337 del 24 aprile 2012). 9. Le irregolarità di gestione e nella gestione dei residui Elemento soggettivo per la colpevolezza è la violazione di norme di legge e l’inosservanza dei principi di normale diligenza e prudenza nel comportamento prescritto. La giurisprudenza non fa riferimento alle regole di gestione, ma fa coincidere la colpa con le violazioni tipiche indicate nelle norme sulla responsabilità, in esse comprese anche le omissioni. Gli atti di gestione irregolari non necessariamente sono dannosi, ma l’esistenza dell’irregolarità nell’atto di gestione radica la competenza del giudice contabile e la valutazione compiuta da questo ai fini della responsabilità degli amministratori riflette la colposa violazione degli obblighi riguardanti la funzione. Nella gestione dei residui conservati nel relativo conto, le irregolarità che riguardano le fasi dell’accertamento delle entrate o dell’impegno delle spese, possono determinare responsabilità. Il riaccertamento dei residui può comportare irregolarità di gestione propria di questa operazione, ovvero può 1277 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini evidenziare una irregolarità pregressa: l’eliminazione di residui attivi può essere conseguenza di mancata vigilanza nella riscossione di entrate ovvero dello stanziamento nelle previsioni di entrate puramente figurative. L’eliminazione di residui passivi non comporta, in generale, responsabilità degli amministratori. L’irregolare dichiarazione d’inesigibilità, il non avere esercitato le azioni per il recupero di somme costituenti residui attivi, la mancata revisione dei residui inesigibili ma conservati nelle scritture patrimoniali, danno luogo a possibile azione di responsabilità per non avere curato la riscossione di entrate o per cattiva gestione del patrimonio. La Corte dei conti (Sez. Riun., decisione del 7.4.1992, n. 758/A) ha ritenuto che il quarto comma dell’art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U., art. 93, c. 4) è norma attinente alla giurisdizione nei limiti in cui trasferisce alla Corte dei conti la competenza a conoscere della responsabilità degli amministratori e dipendenti degli enti locali già di spettanza dell’A.G.O., con conseguente immediata applicabilità ai giudizi in corso. La stessa previsione è da ritenere di diritto sostanziale e quindi irretroattiva nella parte in cui dà una diversa configurazione alla responsabilità dei predetti soggetti. Da rilevare, per inciso, che gli atti interruttivi della prescrizione hanno natura tipicamente recettizia. Quindi, ove fossero indirizzati ad un soggetto deceduto, non possono spiegare effetti interruttivi nei confronti di altri soggetti, pur se eredi del de cuius, anche se questi ultimi abbiano avuto conoscenza degli stessi. Non può comunque ravvisarsi responsabilità del funzionario quando questi non abbia dimostrato colpevole inerzia rispetto a pagamenti scaduti e ad interessi maturati in epoca precedente alla sua incardinazione nell’ufficio (C.d.c., Sez. II, 13.6.1994, n. 150). I modi di utilizzazione dell’avanzo d’amministrazione sono previsti da varie norme, tra cui, innanzitutto, quella dell’art. 187 del Testo unico n. 267/2000, cui fanno seguito altre che consentono d’imputare all’esercizio successivo le maggiori spese emerse nella gestione. Gli oneri di un esercizio precedente possono essere coperti con le disponibilità di un esercizio successivo e, d’altra parte, oneri di un esercizio successivo possono trovare copertura in disponibilità accumulate, solo se il risultato di amministrazione lo consente. Si avrà quindi una situazione lesiva quando l’ente risulta esposto verso i suoi creditori per cifre che superano le sue capacità economiche, con la determinazione di un disavanzo d’amministrazione. Finché sussiste disavanzo di parte corrente o della gestione di competenza, potrà sempre essere utilizzato, a copertura, l’avanzo di esercizi precedenti, purché effettivo e veritiero. È soprattutto nell’ambito delle scelte amministrative e del controllo che valgono le regole e i criteri prima individuati, da osservare nella gestione: la loro inosservanza, peraltro, può venire in rilievo sotto il profilo dell’illecito solo quando si determini la situazione lesiva costituita dal disavanzo di amministrazione. Non sussiste in tal caso responsabilità per i componenti del consiglio comunale, in quanto ad essi non incombe l’obbligo di accertare se il documento contabile proposto per l’approvazione sia perfettamente rispondente alle scritture contabili, quanto, piuttosto, se i dati previsionali siano attendibili e coerenti con gli obiettivi di gestione che si intendono perseguire (C.d.c., II, settembre 1995, n. 82). Nel pronunciare sui conti possono essere disposte condanne per i danni verificatisi nell’esercizio finanziario cui il conto si riferisce, fin quando non siano stati attuati i provvedimenti di riequilibrio della gestione. 10. Risultati di gestione e responsabilità 11. Prescrizione dell’azione di responsabilità ed intrasmissibilità agli eredi Il disavanzo può essere effetto di specifiche irregolarità di gestione. L’inosservanza dei precetti contenuti nell’art. 1 bis della legge n. 488/1986 e succ. mod. in ordine al pareggio e agli equilibri di bilancio, può costituire fonte di responsabilità, in quanto rende necessaria l’adozione di provvedimenti intesi al riequilibrio della gestione. Del pari, può esservi responsabilità in caso di utilizzazione dell’avanzo di amministrazione che consegue alle ordinazioni di spese effettuate prima che lo stesso avanzo si sia realizzato. 1278 Il comma ultimo dell’art. 93 del Testo unico introduce rilevanti innovazioni nella materia, stabilendo che a) l’azione di responsabilità si prescrive nel termine di cinque anni; b) tale termine decorre dalla commissione del fatto; c) la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti degli e. locali è personale e non si estende agli eredi. L’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 aveva previsto che gli eredi possono essere convenuti in corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 giudizio solo nei casi in cui il dante causa si sia arricchito ai danni dell’Erario nella presunzione che gli stessi si sono ingiustificatamente avvantaggiati ereditando una ricchezza che illecitamente è stata fatta propria dal loro dante causa e che sono tenuti perciò a restituire. Occorre, tuttavia, la prova che la locupletazione sia incontestabilmente avvenuta e a questo scopo non può applicarsi il principio dell’accettazione pura e semplice o beneficiata dell’eredità (C.d.c., II, 10.3.1994, n. 71). Anche nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, l’erede resta legittimato passivamente nel processo contabile, se sussista un illecito arricchimento del dante causa e un conseguente arricchimento indebito dello stesso erede, atteso che il beneficio d’inventario limita soltanto la responsabilità, ma non la elimina in radice (C.d.c., Sez. I centrale, 19.12.2005, n. 413/A). Tale principio non è applicabile agli agenti contabili che, pur essendo consegnatari di beni pubblici e avendo maneggio di denaro, non sappiano dimostrarne l’esito (C.d.c., Sez. giur. Reg. Puglia, n. 36/1993 e n. 20/1994). Il dies a quo del termine prescrizionale decorre da ogni evento giuridicamente rilevante che determini causalmente una spesa senza utilità o una mancata entrata (C.d.c., giurisprudenza costante). Ora, l’art.66 del Codice di giustizia contabile stabilisce che il termine quinquennale di prescrizione è interrotto dall’invito a dedurre di cui all’art. 67, c.8 dello stesso Codice, e dal formale atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1219 e 2943 cod. civ., e l’interruzione può avvenire una sola volta. TITOLO IV La responsabilità contabile Cap. I Lineamenti generali della responsabilità contabile 1. Fondamento dell’esigenza di rendere il conto da parte dell’agente contabile Nell’ambito della responsabilità amministrativa assume singolare importanza la responsabilità degli agenti contabili dello Stato, degli enti pubblici e, in particolare, degli enti locali, dei quali, invero, assai poco si è fin qui occupata la dottrina. Il rendimento dei conti costituisce un istituto comune al diritto privato e al diritto pubblico, perché tanto nell’uno quanto nell’altro settore risponde all’identica esigenza della gestione di cose altrui. Sotto il profilo sostanziale, il soggetto è posto in una situazione obbligatoria verso un altro soggetto, per il quale esso deve eseguire varie prestazioni, tutte informate all’identica causa, che è appunto la dimostrazione della situazione prodotta dal fatto della gestione. L’obbligo del rendimento del conto non si connette ad un particolare obbligo di amministrazione, ma al semplice fatto che si sia verificata una gestione, ed è diverso e indipendente dall’obbligo di rispondere delle attività cui l’amministrazione tenuta o il fatto compiuto. Già il compianto Chiovenda affermava che anche un amministratore che nulla deve e che forse è creditore dell’amministrato, deve a costui il conto dell’amministrazione. Appunto per questo l’azione ha uno svolgimento tutto suo proprio e può essere promossa anche indipendentemente da quella creditoria. A sua volta chi rende il conto ha a proprio favore la mancanza assoluta di qualsiasi presunzione di debito: “ante rationes redditas, neque debitor neque creditor”. Nel sistema italiano, l’avvertita esigenza di tutelare la finanza e i beni pubblici, ha condotto a rivestire una responsabilità fondamentalmente patrimoniale, delle forme più rigorose in cui si attuano i pubblici poteri. Colui che gestisce cose e valori pubblici assume quindi una particolare configurazione ed è sottoposto a una speciale forma di responsabilità detta «contabile», cui è tenuta una serie di agenti la cui elencazione è contenuta nell’art. 73 della legge di contabilità e nell’art. 187 del regolamento, oltreché nell’art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U. art. 93). Possono definirsi agenti contabili «quelle persone fisiche o giuridiche, e queste ultime sia pubbliche sia private, che con qualsiasi titolo sono incaricate di riscuotere le entrate dello Stato e di versarne l’ammontare (agenti di riscossione), che ricevono dallo Stato somme di denaro per effettuare i pagamenti per conto dello Stato (agenti pagatori); che hanno comunque maneggio di pubblico danaro; che abbiano in consegna oggetti o materie appartenenti allo Stato e di cui lo Stato stesso debba rispondere (agenti consegnatari); ed infine tutti coloro che senza legale autorizzazione si ingeriscono nelle funzioni affidate agli agenti di cui sopra (contabili di fatto)». L’elemento essenziale per la individuazione della categoria dei contabili pubblici è costituito dal maneggio attuale ed effettivo di denari, valori o di 1279 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini materie di proprietà dello Stato o di un ente pubblico. Il termine «maneggio di denaro» non va inteso nella comune accezione letterale, ma in quello più lato di «disponibilità» che può consistere, nella detenzione del denaro, ad esempio per i fondi depositati in banca. Tutti i contabili, per espressa previsione normativa, sono tenuti a scadenze fisse a rendere conto dei valori maneggiati e delle materie di proprietà dell’ente pubblico avute in consegna. Ciò devono fare con la presentazione alla Corte dei conti di apposito rendiconto giudiziale, redatto secondo determinate formalità, che non va confuso con il rendiconto amministrativo, che il contabile deve rendere all’autorità amministrativa da cui dipende. Nei confronti dei soggetti che incorrono in responsabilità amministrativa in senso stretto, l’onere di provare, oltre il danno, la colpa, nel giudizio dinanzi al magistrato, incombe al titolare dell’azione. Invece, nei confronti di coloro che incorrono in responsabilità contabile, il pubblico ministero si limita a far rilevare il danno o quanto meno la tradizione dei valori, e l’onere della prova circa la colpa è invertito, nel senso che spetta al convenuto contabile dimostrare la eventuale sussistenza della forza maggiore o del caso fortuito dirimente la sua responsabilità. Duplicità di funzione assume la rendicontazione, cioè sia di resa del conto da parte del tesoriere nei confronti dell’ente, sia di rendiconto da parte della Giunta nei confronti del Consiglio. Il rendiconto negli enti locali si compone, per la parte finanziaria, sia del conto del tesoriere nel quale sono evidenziate le operazioni di riscossione e di pagamento compiute in esecuzione degli ordini dell’ente, sia del rendiconto della Giunta al Consiglio, nel quale viene illustrata l’attività svolta e la gestione dei mezzi di bilancio. Nel rendiconto vi è una parte, denominata “conto”, in cui viene esposta la consistenza del patrimonio dell’ente alla fine dell’esercizio. Secondo gli artt. 227 e 239 del T.U. n. 267/2000, il rendiconto, dopo essere stato sottoposto all’esame dei revisori, che concludono con una relazione, viene portato all’approvazione del Consiglio. Il giudizio di conto nei confronti del tesoriere s’instaura mediante la presentazione del conto approvato direttamente alla Corte dei conti: adempimento, questo, che costituisce in giudizio il tesoriere medesimo. Se l’amministrazione non provvede ad effettuare tale deposito, il giudizio viene iniziato su istanza del Procuratore generale, sulla cui base la Sezione competente emana un decreto con il quale 1280 fissa un termine per la presentazione del conto. è, questo, il giudizio per resa di conto, derivazione diretta del principio della obbligatorietà del giudizio di conto. In giurisprudenza si sostiene che l’art. 58 della legge 142 (T.U., art. 93), nello stabilire che tenuto alla resa del conto è solo il tesoriere dell’Ente locale, ha escluso che d’ufficio possano essere convenuti gli amministratori in ordine alla responsabilità alla gestione del bilancio (C.d.c., Sez. I, 21 gennaio 1991, n. 32 e giur. costante). Il giudizio sul conto del tesoriere di Ente locale non è circoscritto alla mera dimostrazione contabile per il carico e l’effettivo discarico, ma va esteso alla regolarità dei titoli di spesa, alle disposizioni in materia di residui e di imputazione della spesa, all’accertamento delle disponibilità di bilancio, avuto riguardo ai vincoli prescritti a salvaguardia della finanza locale. Sebbene il giudizio sul consuntivo degli enti locali riguardi il conto del tesoriere, in caso di connessione dell’attività di questo con quella deliberativa dell’ente locale, la Corte dei conti può estendere le valutazioni di propria competenza ai singoli fatti di gestione ed alle risultanze finali (Sez. I, 1994, n. 200). 2. Il maggior rigore della responsabilità contabile Il rapporto contabile non si pone in derivazione dell’obbligo della resa del conto che incombe all’agente e della speciale giurisdizione sulla regolare esecuzione del rapporto stesso cui esso è sottoposto. È assiomatico che l’agente non diviene contabile perché rende il conto, ma è vero l’inverso: rende il conto solo il contabile, e la resa del conto accompagna l’esecuzione del rapporto. Il rapporto contabile, pur non essendo sinonimo di servizio, è un aspetto particolare di questo, in quanto è contenuto nel più ampio rapporto in cui l’agente è posto anche per l’esercizio della funzione contabile. Ma non è sufficiente identificare il rapporto contabile come una relazione di fiducia, in quanto il rapporto di fiducia è sempre alla base del rapporto del pubblico impiego, e i doveri dei contabili riposano nella natura stessa del rapporto di servizio. La norma di cui all’art. 1768 cod. civ. permette di affermare che sempre la responsabilità inerente all’esercizio di un’attività professionale rientra nel tipo contrattuale, e quindi è ammissibile una differenziazione di grado che consente di graduare con maggiore o minor rigore la colpa professionale, a seconda del grado di diligenza che si ritiene neces- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 sario per la prestazione. Dall’obbligo di presentare il rendiconto, a documentazione della propria gestione, imposto al contabile, dottrina e giurisprudenza hanno preso le mosse per individuare la nozione e la disciplina della responsabilità contabile. Secondo il nuovo ordinamento, solo il conto del tesoriere, parificato dal Comune e non più il conto consuntivo nel suo complesso, va presentato alla Corte dei conti. Il conto consuntivo, comprensivo anche del conto del patrimonio, deve essere presentato, dagli enti tenuti, alla Sezione autonomie locali della Corte dei conti ai fini dell’esame e del referto al Parlamento. In analogia col regime statale, il tesoriere non è l’unico agente contabile tenuto alla presentazione del conto ma, accanto ad esso, a tale adempimento soggiace chiunque abbia maneggio di danaro o gestione di beni. Inoltre, nei casi di responsabilità amministrativa, la Corte dei conti ha il potere di graduare la condanna in relazione all’intensità della colpa, mentre nei casi di responsabilità contabile, di massima, lo stesso giudice non dispone di poteri di graduazione. Peraltro tale principio è stato recentemente più volte derogato. Così, si è ammesso l’esercizio del potere riduttivo anche in relazione al concorso di colpa, sia pure applicato nel rapporto di pubblico impiego con gli adattamenti resi necessari dal carattere impersonale dell’organizzazione amministrativa che sospinge verso una rappresentazione oggettiva del danno, peraltro riscontrabile anche nelle recenti prospettazioni della responsabilità civile in termini oggettivi di rischio. 3. Il danno nella responsabilità contabile Le persone incaricate di gestire denaro o valori o che comunque si sono ingerite nel maneggio di denaro, sono tenute alla resa del conto e non possono ottenere il discarico se non producono le scritture nelle forme di legge. Ove non forniscano idonee prove documentali, l’ente resta in credito delle somme non giustificate: non sarebbe, infatti, possibile attribuire il discarico in quanto la regolarità delle scritture ha funzione legale di prova. La responsabilità contabile come, del resto, la responsabilità amministrativa generale, è soggetta a prescrizione quinquennale, salva la più complessa determinazione del dies a quo per la decorrenza degli interessi. In tal senso appare innovativa la norma di cui al comma 4, art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U. art. 93, c. 4). La giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere imprescindibile il danno, dietro l’affermazione autorevole che «nell’ordinamento amministrativo contabile pubblico non è configurabile una responsabilità cosiddetta formale e pertanto nessuna irregolarità può indurre ad affermazioni di colpevolezza, ove non si sia verificato danno per l’amministrazione» (Giannini). Questa avvertita esigenza di pervenire all’effettiva esistenza del danno patrimoniale è da ritenere un risultato del tutto positivo, in quanto alieno da rigorosi formalismi e fondato su una più realistica visione del fenomeno. In sostanza il contabile, attesa la tipicità delle sue mansioni, deve rigorosamente attenersi, nella redazione del rendiconto, al rispetto di precise esigenze formali, mentre le eventuali violazioni saranno suscettibili di valutazione in sede amministrativa, sempre che sia dimostrata la sussistenza di una responsabilità amministrativa vera e propria. Solo l’effettività del danno può concretare quell’illecito civile che deve essere dal giudice accertato perché sia affermata la responsabilità del contabile, cui incombe un’obbligazione di risarcimento, che è la tipica sanzione dell’illecito civile. Occorre, inoltre, che il danno sia imputabile all’agente contabile, perché possa affermarsi una sua responsabilità. Così, l’assoluzione penale esclude di per sé la sussistenza di un qualche danno contabile per lesioni alla reputazione e all’estimazione di un ente pubblico (C.d.c., Sez. I centrale, 8.7.2002, n. 221/A). La giurisprudenza ha ritenuto la responsabilità contabile del titolare di ufficio postale per omessa preparazione di un plico, ovvero dell’accollatario del servizio di effetti postali. Solo quando la detenzione del bene è meramente strumentale rispetto alla sua utilizzazione da parte del medesimo soggetto, la responsabilità ha natura amministrativa. La responsabilità contabile scaturisce non dall’irregolare od omessa tenuta delle scritture, ma dalla concreta mancata custodia del bene causa della perdita dello stesso. Ne deriva che, pur in assenza di caso fortuito o di forza maggiore e di idonee scritture che dimostrino come quei beni siano stati amministrati, il furto perpetrato con artificio, in locali in cui era consentito l’accesso ad un rilevante numero di persone non si configura come colpa grave (C.d.c., Sez. giur.le Emilia-Romagna 28.5.2002, n. 1618). Tuttavia, il consegnatario contabile che abbia omesso di custodire con le dovute cautele le chiavi del magazzino, risponde, a titolo di colpa grave, del 1281 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini furto verificatosi, sia pure senza effrazione, ad opera di ignoti (C.d.c., Sez. I, 8.7.2002, n. 223/A). Riveste il ruolo di agente contabile (come tale sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti) il privato estraneo alla P.A. che, in virtù di un atto concessorio, sia destinatario della funzione pubblica di gestione e maneggio di danaro di pertinenza erariale (es. società concessionaria di contributi per la gestione di corsi di formazione professionale. In tal senso, C.d.c., Sez. Puglia, 9.11.1995, n. 134). I dipendenti del contabile di diritto rivestono la qualifica di agenti fiduciari e non di contabili di fatto, per cui essi non rispondono del loro operato che è, invece, addebitabile al contabile di diritto (C.d.c., Sez. I centr., 2.8.1999, n. 244/A). Vi è la tendenza giurisprudenziale a concepire il potere del giudice di ridurre l’addebito come espressione di un’istanza altamente equitativa, implicante la parziale rinuncia - attraverso una decisione della Corte - da parte dello Stato o dell’ente pubblico a un suo credito concettualmente non applicabile, di massima, nei confronti dell’agente contabile che, avendo assunto danaro o materie, esattamente di tali beni deve ottenere il discarico. Inoltre, fermo restando che il contabile di diritto risponde, in linea di principio, degli illeciti dei propri subordinati, che rivestono la qualità di fiduciari, si è ravvisata una situazione esimente di forza maggiore quando detto contabile di diritto sia stato gravato da una serie di compiti estranei alla sua funzione essenziale e quindi posto nell’impossibilità di controllare adeguatamente l’operato dei fiduciari (C.d.c., Sez. I centrale, 5.11.2002, n. 385/A). 4. Il giudizio contabile Il recente codice di giustizia contabile disciplina agli artt. 137 - 150 il giudizio sui conti. I conti giudiziali e i relativi atti e documenti sono trasmessi alla Corte mediante tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 137). Gli agenti che vi sono tenuti entro l’ordinario termine di 60 giorni o alla cessazione della gestione presentano il conto giudiziale all’amministrazione di appartenenza, il quale identifica un responsabile del procedimento che, entro 30 giorno dall’approvazione, lo deposita, insieme con la relazione degli organi di controllo interno, alla sezione giurisdizionale competente per territorio. Il conto, munito dell’attestazione di parifica, è depositato presso la segreteria della Sezione della Corte competente o anche inviato con modalità te1282 lematiche. Il deposito del conto costituisce l’agente in giudizio (art.140, c.3). Il P.M. è tenuto a promuovere il giudizio in alcuni casi particolari quali la cessazione dell’agente contabile dal proprio ufficio senza aver presentato il conto della gestione, l’accertamento di deficienze da parte dell’amministrazione (art. 141, c.1). Il giudice monocratico decide con decreto motivato in camera di consiglio entro 30 giorni dal deposito del ricorso; in caso di accoglimento, assegna al contabile un termine di almeno 30 giorni per il deposito del conto (comma 2). Decorso inutilmente il termine per il deposito del conto, il giudice dispone la compilazione dello stesso a spese del contabile e determina la sanzione pecuniaria a carico di questo, non superiore alla metà degli emolumenti a lui dovuti in relazione al periodo cui il conto si riferisce (comma 6). Avverso il decreto del giudice monocratico si può proporre ricorso al collegio nel termine fissato per il deposito del conto. Tale deposito sospende l’esecuzione del decreto. Il presidente, entro 10 giorni dal deposito del ricorso, fissa l’udienza di discussione. Il procedimento si conclude entro il termine di 40 giorni dal deposito del ricorso (art. 142). Il giudizio è definito con sentenza inappellabile e immediatamente esecutiva (art. 144). Il giudizio sul conto prevede l’assegnazione ad un giudice relatore, il quale, accertata la parificazione da parte dell’amministrazione, procede all’esame del conto e conclude o per il discarico del contabile (in caso di pareggio) o di condanna al pagamento di una somma a carico del contabile (art. 145). In caso di conto in pareggio o comunque sia dichiarato regolare, il giudice deposita la relazione e propone il discarico del contabile. Il presidente, ove non abbia obiezioni, trasmette la relazione al P.M. che esprime il proprio avviso nel termine di 30 giorni. Ove non vi siano obiezioni, il presidente approva il conto con decreto di discarico (art. 146). Ove non possa provvedersi a norma dell’art. 146, entro 30 giorni dal deposito della relazione il presidente fissa l’udienza per la discussione del giudizio, assegnando un termine per il deposito di memorie e per le conclusioni del P.M. Il decreto di fissazione dell’udienza - salvi i casi contemplati dall’art. 147, c. 3 - a cura della segreteria è comunicato all’agente contabile per il tramite della sua amministrazione. Segue l’udienza di discussione nei modi di cui all’art. 91 del Codice; l’agente può chiedere di essere sentito personalmente dal collegio ed il P.M. espri- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 me il proprio avviso. Ove sussista anche la responsabilità di soggetti non tenuti a presentare il conto, si riunisce il giudizio sul conto con quello di responsabilità (art. 148, c. 5). Ove il collegio non ravvisi la regolarità del conto, liquida il debito dell’agente; in ipotesi di accertati ammanchi o perdite, il collegio pronuncia condanna alla restituzione delle somme mancanti e all’alienazione della cauzione prestata dall’agente (art. 149), Il giudizio del conto si estingue trascorsi cinque anni dal deposito del conto presso la segreteria della sezione senza che sia stata presentata la relazione prevista dall’art. 145, c. 4 o senza che siano state elevate contestazioni a carico del contabile (art. 150). Cap. II Giudizio penale e giudizio contabile 1. Giudizio penale e giudizio contabile Il giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti è stato definito “un processo penale che si svolge nelle forme del processo civile”, in ragione delle evidenti affinità tra le due azioni pubbliche e alle evidenti difficoltà di restringere negli angusti confini degli strumenti processuali civili nell’attività di indagine e di formazione della prova nel giudizio contabile. Senza dubbio, un ricorso in via analogica - se fosse consentito - agli strumenti processuali penali o almeno ad alcuni di essi, costituirebbe una rilevante apertura sulla quale occorre porre ogni attenzione al dialogo e alla collaborazione investigativa tra P.M. penale e P.M. contabile, allo stato pressoché inesistenti. Le cause delle aree di criticità possono suddividersi in tre categorie: sostanziali, processuali e conseguenti al venir meno della pregiudiziale penale. Le corrispondenze significative incidono sotto vari profili nei rapporti fra le due giurisdizioni creando notevoli criticità in assenza di una disciplina normativa adeguata. a) Sostanziali Le ragioni sostanziali di criticità sono riconducibili alle fortissime analogie concettuali e di contenuto tra l’illecito penale e illecito contabile, in particolare alla luce della legge n. 20 del 1994 e ss.mm. Non vi è un rischio di confusione tra le due figure, distinte nella sostanza e nella forma, ma vi sono aree significative di sovrapposizione delle rispettive fattispecie quando i fatti materiali su cui si basano sono identici. In particolare, la tipologia dei reati di evento contro la pubblica amministrazione offre elementi strutturali quasi del tutto omogenei a quelli tipici dell’illecito contabile: status soggettivo dell’agente, condotta, evento, nesso causale tra condotta ed evento, elemento soggettivo (dolo per i reati contro la P.A., dolo o colpa grave per l’illecito contabile). b) Processuali Esistono delle omogeneità tra azione penale e azione contabile, entrambe intestate significativamente alla figura del P.M., definito dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (sent. 14/2000 del 20.12.2000) “soggetto terzo agente nell’interesse dello Stato, titolare dell’azione, ma non del diritto sostanziale fatto valere in giudizio”. Entrambe le azioni sono precedute da una fase d’indagine da parte del P.M., disciplinata nei termini e negli strumenti, finalizzata alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale o contabile. Esiste infatti unitarietà di attribuzioni tra i due P.M., al punto che il P.M. contabile non può costituirsi parte civile ed è rappresentato nel processo penale dal P.M. penale in ordine al danno subito dalla P.A. parte offesa del reato (C.d.c.,Sez. Riunite, 4.2.1992, n. 774). c) Venir meno della pregiudiziale penale La contemporanea pendenza del giudizio penale e di quello contabile, quando entrambi hanno ad oggetto lo stesso “fatto materiale” generatore della responsabilità penale e di quella contabile, determina, nella realtà, una interdipendenza tra i due giudizi, pur se è venuta meno la pregiudiziale penale ai sensi dell’art. 75 c.p.p. È certamente venuta meno la sospensione necessaria, come costantemente rilevato dalla Corte dei conti, la quale è sempre sollecita nel respingere ogni richiesta di sospensione per pendenza di procedimento penale sugli stessi fatti, da un lato per il venir meno della pregiudiziale penale, dall’altro per le caratteristiche di autonomia e specificità dell’azione contabile rispetto a quella penale. Continuano a sussistere, invece, le ragioni di opportunità che possono in determinati casi consigliare una sospensione facoltativa, non espressamente prevista, ma neppure preclusa dalle norme procedimentali e praticata non infrequentemente dalla Corte dei conti. 1283 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini 2. Le più importanti aree di criticità Non mancano zone di criticità che connotano i momenti più rilevanti delle due giurisdizioni e che possono sintetizzarsi come di seguito illustrato. 2.1. Canali di informazione della notitia criminis e della notitia damni È noto, e non vi è discussione sui soggetti tenuti all’informativa, tra i quali rientrano anche il P.M. penale rispetto a quello contabile in base all’art. 129 att. c.p.p. e agli artt. 6 e 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; nonché il P.M. contabile come la stessa Corte dei conti, in forza dell’art. 36 c.p. (omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale). In merito al citato art. 129 att. c.p.p., occorre sottolineare l’obbligo di informativa al P.M. contabile di reati che abbiano cagionato un danno all’erario, sia esso di natura patrimoniale, che di danno all’immagine (oggetto di più limitata considerazione oggi per effetto della più recente normativa). Poiché l’obbligo è correlato all’esercizio dell’azione penale, e tale esercizio coincide con la richiesta di rinvio a giudizio o atto equiparato, il P.M. penale non sarebbe tenuto ad informare il PM contabile durante tutto il periodo delle indagini preliminari. Orbene, da un lato sarebbe irrazionale una tale estraneità dei due P.M. durante una fase estremamente importante, quale quella di acquisizione delle prove, dall’altro, già la semplice notitia criminis nascente dalle prime indagini sul reato ancora generico di danno erariale potrebbe avere una grande rilevanza per un tempestivo avvio delle indagini propedeutiche all’azione contabile la quale è ristretta entro limiti prescrizionali piuttosto angusti. 2.2. Indagini preliminari penali e indagine ante processo contabile Nell’ordinamento processuale penale, nell’ottica della speditezza, economia ed efficacia delle indagini, l’art. 371 disciplina i rapporti tra i diversi uffici del P.M. attraverso il concetto di indagini collegate e gli strumenti di coordinamento dei rispettivi titolari, che si traducono nello scambio di atti e di informazioni, nella comunicazione delle direttive impartite alla polizia giudiziaria, nella possibilità di procedere congiuntamente al compimento di determinati atti d’indagine. Si tratta di un coordinamento ampiamente utilizzato nel processo penale per indagini tra loro 1284 omogenee, ma che investe un campo più vasto che potrebbe riguardare i rapporti tra indagini del P.M. contabile e del P.M. penale, quando le due separate istruttorie attengano ai medesimi fatti generatori della duplice responsabilità, penale e contabile. Le norme in materia, prima citate, riguardano doveri di comunicazione da entrambe le parti che postulerebbero un più puntuale adempimento, ma che non riguardano il coordinamento imposto, nel caso di collegamento tra inchieste penali e contabili, dalle esigenze di speditezza ed economia delle indagini e dalla natura stessa dell’azione contabile, rispetto all’azione pubblica penale. Si noti che si è parlato, al riguardo, di processo penale che si svolge nelle forme del processo civile. Vi è quindi un principio di unitarietà dell’ufficio del P.M. come titolare delle due azioni pubbliche, come è stato sottolineato anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (sent. 5.2.1992, n. 774). La sfasatura temporale, per effetto della legge n. 97 del 2001, secondo cui il P.M. contabile dovrebbe aprire la propria indagine dopo la chiusura dell’indagine penale si evidenzia nel caso di comunicazione delle sentenze penali di condanna. Non è mancato chi ha suggerito di anticipare i tempi della comunicazione. E tuttavia, su questo terreno si pongono notevoli problemi applicativi in quanto l’esigenza di anticipare la collaborazione si scontra con il grosso ostacolo rappresentato dal segreto delle indagini penali. Nel pubblico interesse, comunque, va avviato un dialogo costruttivo tra i due P.M., nascente dalla consapevolezza dell’unicità delle funzioni, omogenee sia sotto il profilo soggettivo (carattere pubblico delle due azioni), sia sotto quello oggettivo, nell’ottica dell’efficacia e della speditezza delle rispettive indagini. È auspicabile un rinvio alle norme processuali penali - che allo stato non è previsto - con tutte le cautele del caso, al pari del rinvio di cui all’art. 26 del predetto regolamento. Invero, un ricorso all’art. 371 c.p.p. da parte di entrambi i P.M., penale e contabile potrebbe rappresentare uno strumento di coordinamento e di collaborazione investigativa attraverso lo scambio di atti e di informazioni e l’utilizzazione delle rispettive risultanze e i diversi canali di azione sinergica consentita dalla norma richiamata. Non risolve il problema il recente Codice di giustizia contabile che pure assegna ampio rilievo ai compiti del P.M. contabile. Al riguardo, è stata abrogata la previsione di cui all’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78/2010, non è stata inserita una disciplina corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 esplicita degli anonimi, essendo gli stessi riconducibili all’espressione “notizia di danno comunque acquisita”purché dotata di concretezza e specificità. Ciò, in armonia con la “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistlerblower) contenute nella determina dell’ENAC n. 25 del 28 aprile 2015. Resta fermo quanto previsto dall’art. 129 disp. Att. Cod. proc. pen che, nella disciplina delle Informazioni sull’azione penale al c. 3 prevede espressamente l’obbligo di informativa da parte del P.M. penale a quello contabile, ove il fatto reato abbia cagionato anche danno all’erario. Diverso è il regime delle garanzie con riferimento al diritto di difesa: si pensi alla disciplina del giusto processo e al dibattito circa la sua applicabilità al rito contabile. Si noti che diritto di difesa e giusto processo hanno la massima estensione proprio nel processo penale e nelle indagini preliminari penali, mentre l’inchiesta penale conserva tutti i caratteri del rito inquisitorio. Ne deriva che prove e fonti di prova acquisite con gli strumenti processuali penali non sono censurabili in caso di utilizzazione nel processo contabile, mentre il percorso inverso nell’ottica di una collaborazione investigativa potrebbe presentare qualche problema. Si tratta quindi di superare l’estraneità tra le due inchieste e tra i due titolari delle stesse nella consapevolezza dell’unitarietà delle funzioni del P.M, e l’avvio del dialogo tra i due organismi investigativi, pur nel rispetto delle peculiarità, dell’autonomia e delle opzioni strategiche delle due inchieste. 2.3. I diversi tempi di svolgimento dei due giudizi Con la caduta della pregiudiziale penale si è stabilita la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale, anche se in molti casi vi sono ragioni importanti che suggeriscono una sospensione facoltativa. E tali ragioni vanno valutate non in astratto, in relazione alla mera pendenza del giudizio penale, ma in concreto con riferimento alle particolarità del fatto generatore del danno erariale, alla fase di sviluppo dei due procedimenti, alla struttura probatoria, ai diversi termini prescrizionali. Si tratta di una valutazione complessa, rimessa all’apprezzamento del giudice contabile e comunque necessaria a prevenire la contraddittorietà dei giudicati, con tutte le conseguenze di una sentenza contabile in conflitto con una sentenza penale irrevocabile. È d’altra parte pacifico che possono trovare libero ingresso nel processo contabile tutte le prove legittimamente acquisite nel procedimento penale essendo esse rilevanti al fine delle decisioni del giudice contabile e previa assicurazione del contraddittorio tra le parti sulle prove stesse. 3. Interazione del giudizio penale su quello contabile La sentenza penale di assoluzione per non aver commesso il fatto, esclude la responsabilità amministrativa del convenuto, ove sia accertata l’identità dei fatti posti alla base nei due giudizi (C.d.c., Sez. II, 10.5.1993, n. 115). In particolare, la sentenza penale per non aver commesso il fatto, se pronunciata a seguito di dibattimento, ha effetto di giudicato nel giudizio contabile, nel senso che va esclusa la responsabilità amministrativo-contabile dello stesso convenuto per i medesimi fatti (C.d.c., Sez. I centr., 25.1.2006, n. 23/A). Affinché il giudicato penale di assoluzione determini la preclusione dell’azione di responsabilità amministrativa, occorre non solo la perfetta coincidenza tra il fatto materiale sottoposto al vaglio del giudice penale e quello valutabile dal giudice contabile, ma anche l’accertata insussistenza di ogni censura comportamentale. Così, è stato ritenuto che l’assoluzione dal reato di abuso d’ufficio non impedisse il sindacato del giudice contabile circa il comportamento per il quale il pubblico dipendente era stato assolto, per una violazione gravemente colposa di norme procedurali interne all’amministrazione (C.d.c., Sez. Lazio, sent. 20.9.2011, n. 1354). Peraltro, dopo la novellazione dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2, legge 97/2001, alla condanna applicata nel giudizio penale dal GIP sull’accordo delle parti va attribuito l’effetto di provare, nel processo contabile, l’illiceità dei fatti e la colpevolezza del presunto responsabile che deve quindi dare le prove necessarie a discolparsi (C.d.c., I centr., 20.9.2004, n. 334/A). Si realizza, inoltre, danno al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto la responsabilità amministrativo-contabile dei funzionari e dipendenti pubblici va inquadrata tra i mezzi per assicurare tale buon andamento (art. 97 Cost.). Il D.L. n. 78/2009 e ss.mm. ha anche stabilito che le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione di responsabilità per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (passaggio in giu1285 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini dicato della pronuncia penale e limitazione delle fattispecie a quelle individuate nel codice penale). Da rilevare che l’art. 1-sexies della legge n. 20/1994, introdotto dall’art. 1, c. 62, legge n. 190/2012, il quale prevede che il danno all’immagine si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di danaro o del valore patrimoniale o di altra utilità conseguita dal dipendente, è norma sostanziale e quindi non può trovare applicazione per i danni erariali realizzatisi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge. Nei casi di concussione, ove l’amministrazione abbia rimosso il dipendente dalle sue funzioni entro pochi giorni dalla notizia del reato, il danno all’immagine si considera limitato e circoscritto; pertanto va quantificato equitativamente nelle metà della somma illecitamente percepita dal dipendente (C.d.C., Sez. giur. Sardegna, 2 settembre 2014, n. 173). In virtù di detto articolo, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti pubblici per i delitti contro la P.A. previsti dal capo I, libro II cod. pen. è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti, perché promuova entro i successivi 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. Ai sensi dell’art. 129, c. 3 D.Lgs. n. 27/1989, quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato danno all’erario, il P.M. è tenuto ad informare il competente procuratore regionale della Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione. La sanzione di nullità prevista dall’art. 17, c. 30-ter del D.L. n. 78/2009, conv. dalla legge n. 102/2009 presuppone il compimento da parte del p.m. contabile di atti istruttori o processuali in violazione di norme dello stesso comma 30-ter. Detta nuova disciplina non trova applicazione ove sia intervenuta sentenza di primo grado alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 102/2009. Dovrebbe spettare al giudice dell’esecuzione, individuato ai sensi dell’art. 665 c.p.p., l’invio al P.M. presso il giudice contabile delle sentenze penali di condanna, di cui agli artt. 6, comma 2, e 7 della legge n. 97 del 2001. Ciò in conformità con quanto stabilito dal Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia (Direzione generale della giustizia penale), con la circolare n. 027.001.04.69 del 26110/2006. Comunque, nei casi previsti dal suddetto art. 6, comma 2, della legge n. 97 del 2001, è sempre opportuno l’invio di copia delle sentenze di condanna anche al competente Procuratore regionale presso il giudice contabile. 1286 Inoltre l’art. 129, c. 3 delle disposizioni di coordinamento e transitorie al c.p.p. dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione”. Vanno poi menzionate alcune norme che prescrivono una informativa alle Procure della Corte dei conti. Così l’art. 5 della legge n. 89/2001 prevede che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione venga comunicato, tra l’altro, al P.G. della Corte dei conti. Del pari, l’art. 6, c. 2, legge n. 97/2001 prevede che nel caso di condanna per delitti di cui al capi I - Titolo II del II libro del codice penale commessi a fini patrimoniali, la sentenza sia trasmessa al P.G. della Corte dei conti, il quale procederà ad accertamenti patrimoniali a carico del condannato. Il successivo art. 7, legge n. 97/2001 stabilisce che la sentenza irrevocabile di condanna a carico di dipendenti pubblici per delitti contro la p.a. va comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova entro 30 giorni l’eventuale giudizio di responsabilità nei confronti del condannato. L’azione di risarcimento dei danni esercitata dalla P.A. dinanzi alla giurisdizione ordinaria non impedisce la contemporanea del P.M. contabile. Solo con il sopravvenire di una sentenza civile definitiva o di altro titolo parimenti satisfattivo della pretesa risarcitoria erariale, viene meno l’interesse ad agire del P.M. contabile. In caso di duplicità di titoli, la compensazione in sede esecutiva evita la duplicazione dei risarcimenti. Il carattere concorrente delle due azioni è stato inoltre affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 13 luglio 2007. Ciò, mentre l’esclusività della giurisdizione contabile è stata affermata con riferimento all’azione di rivalsa esercitata nei confronti di un pubblico dipendente in seguito a condanna della p.a. in sede civile, ai sensi dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 (Cass. ss.uu., 4.12.2001, n. 15288). In tali casi il concorso con la giurisdizione civile è escluso, attesa la peculiarità del regime sostanziale cui soggiace l’azione di rivalsa nei confronti del pubblico dipendente o dell’amministrazione, che è un regime diverso da quello civilistico. In sostanza, il regime stesso della responsabilità del dipendente nel caso all’esame esclude l’azione civilistica di regresso e quella in via di surrogazione reale ai sensi dell’art. 1203, n. 3 c.c. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 Il termine di prescrizione per l’esercizio, da parte del P.M. presso la Corte dei conti, dell’azione per il ristoro del danno erariale a seguito di comportamento delittuoso di un dipendente pubblico inizia a decorrere dall’accertamento, mediante sentenza penale irrevocabile di condanna, della condotta illecita dell’agente. Grande rilevanza assumono, infine, le disposizioni contenute nella legge 6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) che impone ad ogni amministrazione pubblica, comprese Regioni, province e comuni a effettuare l’analisi e la valutazione dei rischi specifici di corruzione e a indicare gli interventi organizzativi volti a prevenirli. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica ha più recentemente emanato il Piano Nazionale Anticorruzione, al quale devono attenersi tutte le amministrazioni pubbliche. A tale legge si affianca il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 70 che detta norme sul “Riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle scuole di formazione”. TITOLO V Il giudizio di responsabilità avanti alla Corte dei conti Cap. I Orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità degli amministratori e dei tesorieri degli enti locali 1. Responsabilità degli Amministratori locali: concetto e tipologia È, ora, da esaminare come la responsabilità amministrativa degli amministratori comunali e provinciali si collochi nel quadro del regime delle responsabilità giuridiche che, diversamente da quella politica, si fonda sulla violazione di norme giuridiche, quale soggezione agli effetti reattivi dell’ordinamento, per l’inadempimento di un dovere coercibile (T.U., art. 93, c. 1). Se al rapporto di servizio e alle pubbliche funzioni l’evento dannoso si riconnette, non si tratta di responsabilità civile, ma di responsabilità amministrativa, che è responsabilità, non di carattere penale, del Sindaco, Assessore, Consigliere comuna- le, Presidente della Provincia, Assessore e Consigliere provinciale, rispettivamente verso il Comune o la Provincia per azioni od omissioni compiute nell’esercizio delle loro funzioni, in violazione di obblighi relativi al particolare status di amministratori degli Enti pubblici. Essa si distingue in «responsabilità amministrativa disciplinare» e «responsabilità amministrativa patrimoniale». La prima, indipendentemente dal danno patrimoniale, comporta sanzioni disciplinari afflittive, erogate dall’Autorità amministrativa nell’esercizio della potestà a questa spettante per lo speciale status di supremazia insito nel rapporto di servizio, e ricorre, nonostante la mancanza di un vero e proprio vincolo di gerarchia, anche nei confronti del Sindaco, Presidente della Provincia, Assessore, Consigliere. Hanno carattere di sanzione disciplinare taluni provvedimenti come la sospensione del Sindaco disposta con decreto del Presidente della Repubblica per gravi motivi di ordine pubblico e per reiterata violazione degli obblighi di legge, l’inibizione all’esercizio delle funzioni di Ufficiale di governo. Sanzioni disciplinari sono anche costituite dalla decadenza di Assessori e di Consiglieri per mancato intervento alle sedute, lo scioglimento del Consiglio disposto con decreto del Presidente della Repubblica per gravi motivi di ordine pubblico o persistente violazione di obblighi di legge, o per i reati previsti dalla legge n. 646/1982 (T.U., art. 142). La responsabilità amministrativa patrimoniale si ha quando dall’illecito comportamento degli amministratori od impiegati sia derivato un danno all’Ente, che comporta l’obbligo del risarcimento. Pur fondandosi sui secolari principi elaborati dalla dottrina privatistica, non può identificarsi con quella civile (ossia con quella verso i terzi), trattandosi di una responsabilità, di diritto pubblico, regolata ex jure singulari, mentre la responsabilità civile è responsabilità di diritto privato ex jure communi. Nel sistema giuscontabilistico, non solo italiano, ma di tutti gli Stati europei, l’esigenza di tutela della finanza e dei beni pubblici ha portato a rivestire un’Amministrazione tipicamente patrimoniale dalle particolari garanzie cui è condizionato il pubblico potere. Ne deriva che chi gestisce le cose pubbliche, riscuotendo entrate ed erogando spese, è soggetto al particolare rapporto per l’esercizio della funzione contabile (T.U., art. 93, c. 2). 1287 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini A ciò si aggiunge la responsabilità inerente alle funzioni proprie di gestione dell’Amministratore, allorché questi operi come ordinatore di spese, in relazione alla rigorosa tutela dell’equilibrio del bilancio ed agli effetti finanziari di vari provvedimenti amministrativi il cui procedimento di formazione e di esecuzione è disciplinato tassativamente dalla legge e dal regolamento. 2. L’aggravamento di misure nella responsabilità contabile È regola generale che il denaro del Comune e della Provincia o di qualunque altro ente pubblico deve essere maneggiato esclusivamente dal tesoriere o esattore, che assume, perciò, la figura del contabile di diritto ed è assoggettato a responsabilità contabile. Soltanto il tesoriere, infatti, effettua il pagamento dei mandati che devono essergli trasmessi in doppio esemplare, uno dei quali egli deve restituire al Comune o alla Provincia, provvedendo ad estinguerli nei limiti del fondo stanziato in bilancio e delle variazioni apportate al bilancio nel corso dell’esercizio, dopo aver accertato che i mandati stessi siano muniti delle firme richieste e corredati dalle indicazioni riferibili alle prescritte deliberazioni. Proprio per questo, è il tesoriere che deve rendere il conto della gestione di cassa nel termine di due mesi dalla chiusura dell’esercizio. Il Sindaco, il Presidente della Provincia, l’Assessore e il Consigliere non devono avere maneggio di denaro, e non assumono mai la figura del contabile di diritto, ed ove uno di loro, non legittimato, s’ingerisse nel maneggio effettivo del denaro dell’Ente, assumerebbe la figura di contabile di fatto, e sarebbe tenuto alla resa del conto ed assoggettato alla giurisdizione del magistrato contabile. Gli amministratori che s’ingeriscono nel maneggio sono soggetti, per questo solo fatto, a giudizio di conto. Esso consiste nell’accertare, attraverso l’esame dei movimenti quantitativi, tutti i movimenti giuridicamente influenti ai fini della legalità ed esattezza del carico, dello scarico e del risultato della gestione. Vi è il giudizio di responsabilità contabile, avanti alla Corte dei conti, anche fuori dell’esame del conto, tutte le volte che, pur non essendo stato dedotto in giudizio alcun rendiconto, venga loro imputata la perdita di denaro o valori di cui avevano il maneggio. 1288 3. L’inosservanza delle prescrizioni contabili e la relativa responsabilità. La responsabilità degli organi collegiali Con l’espressa abrogazione del vecchio ordinamento della responsabilità degli Amministratori e dipendenti degli Enti locali, operata dall’art. 58 della legge 142/1990, non può dirsi venuta meno del tutto l’antica problematica, in quanto altre disposizioni legislative che riproducono gli stessi schemi continuano a permanere nell’ordinamento vigente o vi sono stati introdotti recentemente. Così, l’art. 23 della legge 144/1989 e l’art. 191 del T.U. n. 267/2000, subordinano l’effettuazione di qualsiasi spesa da parte di Province, Comuni e Comunità montane alla previa adozione di delibere autorizzative e all’impegno contabile regolarmente assunto e da comunicare ai terzi interessati. In questi casi l’inosservanza di prescrizioni contabili ritenute fondamentali da parte del legislatore, comporta la responsabilità di chi ha disposto la spesa per l’intero ammontare della stessa, a prescindere dalla possibile utilità che sia derivata all’Ente locale. Questa disposizione riproduce in termini ancor più rigorosi il tenore dell’art. 252 del T.U. del 1934 e la legge n. 142, che ha modificato il regime della responsabilità, si è preoccupata di richiamarla espressamente, con un ambito applicativo che sembra più ampio dell’originario. Secondo l’art. 12-bis, n. 4 del D.L. 12 gennaio 1991, n. 6 (legge 80/1991), per le opere, le forniture e le prestazioni effettuate in epoca successiva al 12 giugno 1990, si applicano le disposizioni dell’art. 23 della legge 144/1989 (art. 191 - T.U.). Circa i singoli componenti degli organi collegiali, è necessario ricordare che sono esonerati dalla responsabilità solidale gli amministratori che: 1) non abbiano preso parte per legittimi motivi alla seduta nella quale è stata adottata la deliberazione; 2) pur avendo partecipato alla seduta, abbiano fatto risultare in verbale, oltreché il voto contrario, i richiami e le proposte fatte per evitare il provvedimento adottato a maggioranza. Tra i motivi legittimi deve essere annoverata l’assenza giustificata, che assurge a ragione di materiale impossibilità di partecipazione. A esonerare dalla responsabilità un membro del collegio, non basta quindi che questi si sia astenuto puramente e semplicemente dalla votazione senza indicare le ragioni, così come non basta neppure il mero voto contrario alla proposta illegittima o co- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 munque rivelatasi dannosa, perché a tale fine la legge vuole che consti dal verbale il motivato dissenso. Questo, infatti, deve risultare o da una formale proposta contraria non approvata dalla maggioranza o da una esplicita dichiarazione di voto nella quale si sia data ragione del proprio voto sfavorevole, denunciando l’illegalità dell’oggetto della deliberazione (C.d.c., Sez. Giur. Calabria, 11.12.1995, n. 24). Le numerose e immotivate assenze da parte degli assessori o dei membri del Consiglio di amministrazione di un ente, costituendo inadempimento di un dovere di ufficio, non sono di per sé idonee ad un totale esonero da responsabilità, ma rappresentano un comportamento pur sempre valutabile dall’organo giudicante oltre che sotto il profilo soggettivo (dolo o colpa), anche nell’ambito dei principi desumibili dagli artt. 40 e 41 del cod. penale, in ordine alla c.d. «equivalenza delle cause» (C.d.c., II, 16.11.1995). Va infine sottolineato quanto dispone l’art.1-ter della legge n. 20/1994, secondo cui: “Nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”(c.d. “esimente politica”). za al bilancio. A rigore, non dovrebbe ammettersi alcuna ratifica di atti intrinsecamente invalidi né, ad esercizio chiuso, la convalida di atti di gestione viziati nell’elemento obiettivo. Tale convalida, infatti, si risolverebbe in un facile espediente per gli amministratori che dispongono di maggioranza consiliare per eludere la responsabilità derivante dal comportamento illecito. L’arricchimento - o meglio l’utilità - non può essere misurato sulla base del criterio civilistico dell’aumento del patrimonio dell’Ente. Il patrimonio è infatti costituito per soddisfare pubblici bisogni e l’utilità della spesa non si realizza soltanto con la creazione o l’incremento di beni (com’è nel caso della costruzione di un immobile o nell’acquisto di mobili assunti in carico nelle scritture dell’Ente), ma anche con servizi resi alla collettività (come nel caso della distribuzione di medicinali che scongiurino un’epidemia). Quindi la valutazione dell’utilità, ardua in quanto correlata a tutto il sistema della gestione in concreto ed ai vantaggi derivati dall’acquisizione di nuovi beni e di nuovi servizi, deve essere fatta, in sede amministrativa, solo dalle autorità amministrative con l’approvazione dell’organo di controllo, rimanendo vincolato il giudice ordinario a tale apprezzamento, allorché sia chiamato a decidere sull’utile versione. 5. Connotazioni particolari della responsabilità amministrativa generale 4. L’“actio de in rem verso” da parte degli Amministratori 5.1. Il dolo e la colpa grave Punto di notevole importanza è quello che si riferisce all’azione di utile versione attiva e passiva da parte degli amministratori. Ritiene, infatti, tutta la dottrina che se gli atti dannosi compiuti dagli amministratori sono valutabili con criteri di diritto privato e si riferiscono ad interessi pubblici o patrimoniali, è applicabile l’azione innanzi segnalata. La giurisprudenza ritiene poi che un privato possa esperire tale azione solo se l’amministrazione dichiari il suo «utile versum» goduto e cioè che la gestione sia stata effettivamente, e non solo inizialmente, fruttuosa. Dovrebbe quindi sempre esservi, a seguito dell’illecito formale, un procedimento ex officio ed una pronuncia del magistrato amministrativo. Peraltro, in pratica, tale principio deve tener conto degli effetti della ratifica, da parte del Consiglio comunale, degli eventuali provvedimenti adottati dal Sindaco e dalla Giunta pur priva di legittimazione, nonché delle spese fatte in ecceden- La responsabilità amministrativa generale in senso stretto è quella nella quale incorrono gli amministratori e i dipendenti dei Comuni, delle Province e dei relativi Consorzi i quali, nell’esercizio delle loro funzioni, con dolo o colpa grave, arrechino danno a contenuto patrimoniale, cioè con diminuzione di patrimonio, ai predetti enti. La normativa che disciplina la responsabilità amministrativa generica degli amministratori comunali e provinciali prima contenuta negli artt. 261 e 265 della legge comunale e provinciale 1934 (ai sensi dell’art. 261, gli amministratori provinciali e comunali erano tenuti a rispondere dei danni derivati da loro azioni od omissioni imputabili a dolo o colpa grave, sempre che tale colpa sia stata la causa efficiente e decisiva del danno subito dall’ente), con il rinvio disposto dall’art. 58 della legge 142/1990 (T.U. n. 267/2000, art. 93), è ora quella vigente per gli impiegati civili dello Stato, già richiamati. 1289 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini L’estremo del dolo o della colpa grave costituisce sempre uno degli elementi necessari per aversi l’azionabilità dinanzi al giudice ordinario per responsabilità jure comuni degli amministratori degli enti locali. Ma si tratta di responsabilità diversa da quella attribuita alla cognizione del giudice contabile. In particolare, la colpa grave si concreta in una situazione di macroscopica contraddizione tra il comportamento tenuto nella specifica circostanza dal pubblico dipendente e il minimum di diligenza imposto dal rapporto di servizio, in relazione alle mansioni, agli obblighi e ai doveri di servizio (C.d.c., Sez. I centrale, 4 agosto 1999, n. 246/A). Pertanto, sussiste danno erariale nell’ipotesi in cui un Comune, avendo omesso di trasformare in via definitiva un’occupazione provvisoria di suolo privato, sia stato condannato dal giudice civile a risarcire il proprietario di detto suolo (nella specie è stato ritenuto che, ove fosse stata completata la procedura espropriativa, il prezzo pagato al proprietario sarebbe stato ancorato al momento dell’occupazione del suolo e non avrebbe subito alcun aggravio finanziario per pagamento di indennizzo da occupazione illegittima per il periodo intercorrente dall’anno di scadenza dell’occupazione provvisoria fino al momento della pronuncia del giudice (C.d.c., giurisprudenza costante: vedasi, fra le altre Sez. II centrale, 12 novembre 2002, n. 340/A. Dal 1° gennaio 2003 è comunque vigente il T.U. sulle espropriazioni - D.Lgs. n. 327/2001, integrato dal D.Lgs. n. 302/2002 - v. apposita Parte in questa Guida). La Corte dei conti ha giurisdizione nei confronti degli amministratori comunali per i danni derivati dalla mancata attivazione delle procedure necessarie alla regolarizzazione dell’occupazione abusiva degli alloggi (C.d.c., Sez. II, n. 231 del 29.9.1989). Le indennità aggiuntive a quella dovuta al proprietario di aree agricole espropriate devono fare riferimento comunque al valore agricolo medio. Invece, il corrispettivo per la cessione volontaria delle aree non edificabili va determinato con le modalità vigenti per i calcolo delle indennità espropriative e non utilizzando il valore agricolo medio (C.d.c., Sez. contr. Friuli-Venezia Giulia, parere 22.3.2012). 5.2. La divisibilità del danno L’aver ricondotto il sistema di responsabilità degli amministratori e dipendenti degli enti locali a quello proprio dei dipendenti statali comporta il superamento del principio di cui all’art. 261 dell’abrogata legge 3 marzo 1934, n. 383, della responsabilità 1290 solidale di quanti, amministratori o dipendenti, abbiano recato danno. Oggi vige il principio della divisibilità del danno di cui all’art. 82, comma 2, della legge di contabilità generale dello Stato, in base al quale «quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha preso» (peraltro, sul punto, si vedano le considerazioni espresse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 453/1998, citata nella premessa). Sul punto la legge n. 20/1994 - art 1-quater dispone: “Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso”. Vige, tuttavia, il principio secondo cui la divisibilità del danno, determinante ai fini dell’individuazione della responsabilità dei singoli concorrenti, non esclude che, in sede di realizzazione del credito da parte dell’amministrazione, a favore della stessa sia riconosciuto il vincolo di solidarietà per il pagamento della somma da ciascuno dovuta. Ma oltre a tale tipo di responsabilità amministrativa generica, ne esiste una più «specifica» che incombe agli stessi soggetti nell’esercizio di un’attività gestoria, e che è assimilabile alla responsabilità contabile. Le ipotesi più rilevanti sono quella per danni derivanti dall’aver gli amministratori proceduto ad acquisti, vendite o appalti senza l’osservanza di disposizioni di legge o quella per aver trascurato l’applicazione o la riscossione di tributi o di entrate regolarmente deliberate (C.d.c., I, 1997, n. 110/A). Da rilevare che ove l’ente danneggiato si costituisca come parte civile nel giudizio penale, viene a interrompersi il corso della prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa, che resta sospesa fino alla definizione del processo penale (C.d.c., Sez. Riunite, 25.11.2004, 8/QM). 5.3. Ordinazione di spese non autorizzate o non ritualmente deliberate o eccedenti i limiti di legge I vari tipi di responsabilità patrimoniale hanno come loro comune denominatore l’esistenza di un danno economico subito dall’Amministrazione. In generale, l’amministratore comunale che ordina una spesa non deliberata né stanziata in bilancio risponde del danno causato, che non è determinato dall’acquisto di materiale realmente impiegato per le finalità dell’ente pubblico, bensì dalle spese aggiuntive ricadute sull’ente stesso per il ritardo nel pagamento della prestazione, determinato dall’assenza della relativa deliberazione di impegno. Peraltro, di massima, l’irregolare ordinazione di una corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 spesa non configura di per sé un danno illegittimo alle finanze dell’ente locale, in quanto si dovrà dimostrare l’inutilità della stessa e la sua estraneità ai fini istituzionali dell’ente o quanto meno l’insussistenza di un interesse pubblico alla erogazione disposta (ad es. spesa disposta dal sindaco in carenza di potere, ma poi sanata dal consiglio comunale C.d.c., Sez. Riunite, 1.3.1999). Essendo i bilanci comunali e provinciali informati al canone del pareggio, non possono gli amministratori, sovrapponendo le proprie scelte a quelle assunte dagli organi deliberanti, indirizzare l’attività di gestione secondo linee diverse dal tracciato prestabilito. Ne deriva che, quando gli amministratori ordinano o impegnano spese non previste in bilancio o non ritualmente deliberate, la relativa spesa, pur se in astratto riferibile a fini istituzionali, resta in concreto estranea all’ente, in quanto non rientrante nel quadro delle scelte prioritarie operate dagli organi competenti a deliberare in materia. Quando, però, la spesa determini un effetto positivo sul patrimonio dell’ente, ciò fa sorgere una pretesa dell’amministratore idonea ad annullare o modificare le conseguenze primarie dell’irregolarità. Peraltro, integra un’ipotesi di responsabilità per danno riguardante la gestione patrimoniale dell’ente locale, il comportamento del Sindaco che si concretizza nell’emanazione di deliberazioni invalide, nella mancata ottemperanza a determinazioni degli organi di controllo e nella mancata esecuzione di decisioni di organi giurisdizionali. Al riguardo, si è ravvisata la responsabilità del sindaco di un comune siciliano per il danno indiretto alla P.A. come conseguenza della condanna del comune stesso in un giudizio civile, attivato da un dipendente rimosso ingiustamente da una funzione istituzionale (comandante del corpo della polizia municipale), precedentemente assegnata dallo stesso sindaco (il quale è stato anche condannato penalmente per abuso d’ufficio) (C.d.C., Sez. giur. Reg. siciliana, n. 61 del 13.2.2012). 5.4. Danno all’erario in occasione di lavori pubblici La giurisprudenza della Corte dei conti considera con particolare attenzione il c.d. «danno finanziario». Così, l’affidamento di lavori pubblici senza il rispetto delle regole ed in assenza dei fondi, provoca un’alterazione nell’equilibrio economico-finanziario del Comune. Ne deriva, quindi, la responsabilità di colui che ha ordinato la spesa per il pagamento di interessi alla ditta, mentre l’esigenza improcra- stinabile di assicurare una fornitura ad un Ente, che non sarebbe stato possibile soddisfare seguendo le ordinarie procedure contrattuali, esclude la responsabilità di colui che ha richiesto la fornitura, anche per gli oneri aggiuntivi sopportati dall’Ente locale. È sempre responsabile in via amministrativa degli aggravi di spesa sostenuti dall’ente locale chi abbia autorizzato l’esecuzione di maggiori lavori, estranei al progetto, che l’amministrazione non abbia approvato, neppure in via di ratifica. Peraltro, ove vi siano carenze della progettazione esecutiva di un’opera pubblica che alterino significativamente il quadro economico previsto dall’amministrazione committente, sussiste responsabilità del progettista e direttore dei lavori che abbia indebitamente autorizzato lavori non previsti nel progetto (C.d.c., giurispr. costante). La Corte dei conti (Sez. giur. Sardegna, sent. 9 ottobre 2014) ha ritenuto necessario l’espletamento di una gara per l’affidamento della progettazione di una variante urbanistica, non essendo assimilabile all’affidamento di servizi legali. Dal pari, il direttore dei lavori risponde del danno costituito dal costo di un’opera eseguita in difformità dal progetto ed inidonea all’interesse pubblico che era destinata a perseguire, ove vi sia stata inerzia circa la promozione della necessaria perizia di variante idonea a ricondurre l’opera nei limiti progettuali o a far determinare l’organo deliberativo in modo diverso in ordine all’esecuzione dell’opera pubblica (C.d.c., giurisprudenza costante). Lo stesso direttore dei lavori è responsabile del ritardo con il quale abbia provveduto all’emissione di certificati di pagamento o di regolare esecuzione dei lavori determinando danno erariale per interessi moratori (C.d.c., II, 27.1.1994, n. 40; Regione Sicilia 10.11.1993, n. 111/ Resp.). Per tutta tale problematica creatasi dopo l’entrata in vigore del il D.Lgs. 163/2006 sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, occorre tener conto delle relative prescrizioni in un ambito valutativo da operarsi a stregua delle regole di trasparenza, efficacia, efficienza, rispondenza allo scopo, non senza considerare, tuttavia, che per aversi responsabilità occorre comunque il verificarsi di un danno patrimonialmente valutabile e della sussistenza di dolo o colpa grave a carico del presunto responsabile. Così, se è cagionata da arbitraria revoca di una legittima aggiudicazione di opera pubblica, la risoluzione con risarcimento dei danni subita dall’incolpevole appaltatore a seguito dell’eccessivo ritardo della consegna dei lavori va imputata agli amministra1291 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini tori della stazione appaltante che, quindi, devono rispondere verso l’ente a titolo di responsabilità amministrativa indiretta (C.d.c., Sez. I centrale, 19.6.2002, n. 203/A). Il direttore dei lavori che resti inerte dinanzi a gravi ritardi di esecuzione imputabili all’appaltatore di un’opera pubblica comunale, senza replicare neppure di fronte alle riserve dello stesso, e non abbia una contabilità regolare e tempestiva, risponde a titolo di responsabilità indiretta per colpa grave dei danni civili corrisposti dall’ente locale verso la ditta appaltatrice, oltre che dei costi del procedimento arbitrale (C.d.c., Sez. II centrale, 20.6.2002, n. 199/A). Non è invece da considerare apprezzabile un qualche ingiusto danno in pregiudizio della stazione appaltante quando un’opera pubblica, non utilizzabile a causa della sospensione sine die dei relativi lavori sia sottoposta, ad iniziativa dell’ente appaltante, ad interventi di adattamento e sia successivamente messa al servizio della collettività (C.d.c., Sez. II centrale, 1.10.2002, n. 310/A). 5.4.1. Problemi e responsabilità in tema di opere pubbliche Con specifico riferimento alla vigente disciplina sui lavori pubblici, va ricordato che la programmazione è strettamente legata alla progettazione, anche se per anni si è fatto ricorso alla c.d. «programmazione rovesciata», per cui l’esecuzione delle opere veniva decisa sulla base degli stanziamenti al momento disponibili, e non viceversa. Occorre infatti tener conto della realtà della cd. “programmazione rovesciata”, per cui la generalità delle amministrazioni - salvi i casi di calamità naturali e di interventi emergenziali - prima determinano le risorse per gli investimenti e poi, su tale parametro economico, individuano le opere da realizzare. Altro possibile elemento di criticità, dal quale potrebbero derivare responsabilità, è costituito dalle spese per le attività preliminari, di cui all’art. 22, c. 11 del Codice dei contratti. Le spese per le attività preliminari (comprese le indagini geologiche e geognostiche, ecc.) e le spese per le progettazioni di fattibilità e definitive possono “gravare sui bilanci delle stazioni appaltanti”, ma al contempo, preliminarmente al progetto di fattibilità, non si può programmare l’investimento (e quindi non si può acquisire il relativo finanziamento) e tali oneri potrebbero essere finanziati solo dalle stazioni appaltanti con proprie risorse ordinarie. Ciò a maggior ragione quando la stazione appaltante decida di far 1292 ricorso a professionalità esterne per la progettazione, i cui consistenti oneri devono essere allocati in bilancio in un momento preliminare all’effettuazione delle procedure per l’individuazione dei progettisti medesimi. In questo contesto si osserva che il comma 4 dell’art. 23 del Codice dei contratti pone sulla stazione appaltante l’onere di indicare caratteristiche e requisiti degli elaborati progettuali, in quanto l’esperienza insegna che il rischio di vedersi addossare la responsabilità penale e contabile per aver adottato un alleggerimento degli approfondimenti e degli oneri previsti o aver saltato un livello minore, induce i responsabili a scegliere sempre e comunque il livello più elevato possibile. 5.4.2. Fatto dannoso connesso a deficienze amministrative dell’ente e a stato di necessità Tra i casi meritevoli di particolare menzione, c’è quello riguardante il fatto dannoso connesso a deficienze amministrative dell’ente. Nell’ipotesi ora segnalata, ove il fatto dannoso non sia riconducibile al comportamento colposo degli amministratori stessi, il principio desumibile dall’art. 1227 c.c. (in base al quale, nella valutazione del danno da risarcire, occorre aver riguardo al concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell’evento) trova applicazione nei confronti degli amministratori di enti locali quali il Sindaco e i componenti della giunta. Il danno erariale è costituito non solo dalle somme di pertinenza di un ente pubblico incassate e non regolarmente versate nelle casse dell’ente, ma anche dalle somme che l’ente stesso aveva il diritto di riscuotere e non ha riscosso per il comportamento colpevolmente omissivo, in violazione dei doveri di ufficio dei funzionari responsabili. Di massima non può ravvisarsi una responsabilità del funzionario il quale non abbia mostrato colpevole inerzia rispetto ad un pagamento scaduto e ad interessi maturati in epoca precedente alla sua incardinazione all’ufficio. In presenza di particolari situazioni di emergenza, quali la carenza di personale idoneo al servizio di N.U., lo stato precario dell’igiene pubblica, ecc., non si è ritenuto che costituisse danno all’Erario l’affidamento in appalto a privati del servizio di nettezza urbana, sempre che esso sia avvenuto con procedure trasparenti e imparziali. Ciò, in quanto la situazione di estremo degrado igienico di un comune con grave pregiudizio della salute pubblica integra un’ipotesi di necessità corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 ed urgenza che legittima - ove non addebitabile ad inerzia degli amministratori - l’affidamento a privati di interventi immediati igienico-sanitari, pur senza il preventivo esperimento di gara. Di regola, non è ammessa alcuna sanzione di danno per violazione di regole procedimentali. Pertanto, in ipotesi di assunzione di personale stagionale, se non è provata l’inutilità delle prestazioni relative, gli amministratori non devono rispondere della relativa spesa, specie ove la pianta organica dell’ente locale preveda un ridotto numero di personale d’ordine (C.d.c., Sez. I, 30.1.1996, n. 2/A). Viceversa, configura danno erariale fare assunzioni al di fuori della dotazione organica, ove non sussistano eccezionali sopravvenute esigenze (C.d.c., Reg. Calabria, 6.2.1996, n. 1). Inoltre, nell’ipotesi di nuova internalizzazione di servizi precedentemente svolti da una società totalmente partecipata da un comune, questo non può procedere all’assunzione di personale già in servizio nella società partecipata. Ciò sia per il carattere inderogabile dei limiti imposti dalla legge statale alla spesa del personale degli enti locali, sia perché risulterebbe violato il principio costituzionale dell’accesso ai pubblici impieghi mediante pubblico concorso (C.d.c., Sez. contr. Regione Lazio, 20 ottobre 2011, n. 67). È stato considerato ipotesi di danno erariale l’erroneo inquadramento di un dipendente comunale privo del titolo di studio della laurea (ma in possesso del diploma di ottico) a capo di gabinetto di un sindaco (C.d.c., Sez. giur. Emilia Romagna, sent. 18 novembre 2014). Del pari, un’indiscriminata erogazione del premio di produttività a tutti i dipendenti di un ente pubblico senza predisposizione di parametri di valutazione delle prestazioni lavorative degli stessi o di obiettivi di lavoro determina una violazione di legge tale da evidenziare una colpa grave dell’organo deliberante (C.d.c., Sez. I centrale, 13.11.2002, n. 399/A; Sez. II, 1.9.2004, 280/A). Nello svolgimento di rapporti contrattuali di durata (ad es., rapporti di locazione), la perdita di chances per la mancata rinegoziazione di un canone più favorevole per l’ente pubblico è ravvisabile sulla base delle clausole contrattualmente stabilite e il decorso della prescrizione avviene nel momento in cui scade il termine di disdetta contrattuale (C.d.c., Sez. I centrale, 30.12.2005, n. 420/A). 5.4.3. Altre fattispecie di danno 1. Assunzione di personale - Secondo la Sez. Autonomie della Corte dei conti, “gli enti locali possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato utilizzando la capacità assunzionale del 2014 derivante dalle cessazioni di personale nel triennio 2011-2013, sempre nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; mentre, con riguardo al budget di spesa del biennio 2015-2016 (riferito alle cessazioni di personale intervenute nel 2014 e nel 2015), la capacità assunzionale è soggetta ai vincoli posti dall’articolo 1, comma 424 della legge 190/2014 finalizzati a garantire il riassorbimento del personale provinciale”. “Gli enti locali possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato utilizzando la capacità assunzionale del 2014 derivante dalle cessazioni di personale nel triennio 2011-2013, sempre nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; mentre, con riguardo al budget di spesa del biennio 2015-2016 (riferito alle cessazioni di personale intervenute nel 2014 e nel 2015), la capacità assunzionale è soggetta ai vincoli posti dall’articolo 1, comma 424 della legge 190/2014 finalizzati a garantire il riassorbimento del personale provinciale”. “Gli enti locali possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato utilizzando la capacità assunzionale del 2014 derivante dalle cessazioni di personale nel triennio 2011-2013, sempre nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; mentre, con riguardo al budget di spesa del biennio 2015-2016 (riferito alle cessazioni di personale intervenute nel 2014 e nel 2015), la capacità assunzionale è soggetta ai vincoli posti dall’articolo 1, comma 424 della legge 190/2014 finalizzati a garantire il riassorbimento del personale provinciale” (n. 26/Sez. Auton./2015 del 20.7.2015). Per fare chiarezza sulla portata applicativa della normativa sulle assunzioni sono intervenuti il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro per gli affari regionali che, con la circolare n. 1/2015, hanno chiarito, tra l’altro, che: - le risorse da destinare alle finalità di cui al citato comma 424, sono quelle disponibili per gli anni 2015 e 2016 riferite, quindi, alle cessazioni intervenute nel 2014 e nel 2015; - la predetta capacità assunzionale deve essere destinata in via prioritaria all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate al 1° gennaio 2015; 1293 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini - le risorse rimanenti devono essere destinate ai processi di mobilità del personale soprannumerario degli enti di area vasta; - rimangono consentite le assunzioni a valere sui budget degli anni precedenti. Pertanto, qualora le cessazioni siano intervenute nel 2013, la capacità di assumere del 2014, eventualmente rinviata nel 2015, non soggiace alle descritte limitazioni introdotte dalla legge n. 190/2014 (Sez. contr. Sardegna, del. 32/2015/PAR del 21.4.2015). La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti (del. n. 28 del 14.9.2015) ha poi pronunciato i seguenti principi di diritto: 1) il riferimento “al triennio precedente” inserito nell’art. 4, comma 3, del D.L. n. 78/2015, che ha integrato l’art. 3, comma 5, del D.L. n. 90/2014, è da intendersi in senso dinamico, con scorrimento e calcolo dei resti, a ritroso, rispetto all’anno in cui si intende effettuare le assunzioni; 2) con riguardo alle cessazioni di personale verificatesi in corso d’anno, il budget assunzionale di cui all’art. 3, comma 5-quater, del D.L. n. 90/2014 va calcolato imputando la spesa “a regime” per l’intera annualità. 2. È stata considerata ipotesi di danno erariale l’erroneo inquadramento di un dipendente comunale privo del titolo di studio della laurea (ma in possesso del diploma di ottico) a capo di gabinetto di un sindaco (C.d.c., Sez. giur. Emilia Romagna, sent. 18 novembre 2014). Del pari, un’indiscriminata erogazione del premio di produttività a tutti i dipendenti di un ente pubblico senza predisposizione di parametri di valutazione delle prestazioni lavorative degli stessi o di obiettivi di lavoro determina una violazione di legge tale da evidenziare una colpa grave dell’organo deliberante (C.d.c., Sez. I centrale, 13.11.2002, n. 399/A; Sez. II, 1.9.2004, 280/A). Nello svolgimento di rapporti contrattuali di durata (ad es., rapporti di locazione), la perdita di chances per la mancata rinegoziazione di un canone più favorevole per l’ente pubblico è ravvisabile sulla base delle clausole contrattualmente stabilite e il decorso della prescrizione avviene nel momento in cui scade il termine di disdetta contrattuale (C.d.c., Sez. I centrale, 30.12.2005, n. 420/A). 3. Danno all’immagine per i delitti contro la pubblica amministrazione (Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, sent. n. 8 del 19.3.2015) - La Corte costituzionale nella sentenza n. 350 del 2010, e in 1294 successive ordinanze, aveva stabilito che l’art. 17, comma 30-ter, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, andava inteso nel senso che le Procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del libro secondo del codice penale, in quanto tale principio costituiva una scelta non arbitraria del legislatore finalizzata a circoscrivere i reati da cui può derivare il “vulnus” all’immagine della P.A., in relazione alla percezione esterna che si ha del modello di azione pubblica ispirato ai principi e ai canoni che trovano la loro tutela ultima nell’art. 97 della Costituzione, con la conseguenza che, fuori da tale ambito, ogni estensione dei casi previsti dalla normativa in rassegna appare arbitraria. Tuttavia, il primo periodo del citato comma è stato abrogato dal Codice di giustizia contabile. 4. Giurisdizione contabile su attività del direttore dei lavori (Sezione giurisdizionale Veneto, sent. n. 34 del 17/03/2015) - Laddove un libero professionista svolga sia l’incarico di progettista sia quello di direttore dei lavori, anche se quest’ultima funzione risulti assolta “di fatto” e non in via esclusiva dal medesimo, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti anche per i danni che possano trovare una loro causa in difetti di progettazione. Invero, nell’ipotesi in cui lo stesso professionista cumuli le funzioni di progettazione e direzione dei lavori, sussiste il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione committente e la conseguente giurisdizione contabile, poiché il cumulo dei due incarichi professionali dà luogo ad una complessa attività professionale, nella quale la progettazione si pone come elemento prodromico della successiva attività di direzione dei lavori. 5. Lavori pubblici - Termine di prescrizione (Sezione giurisdizionale Veneto, sent. n. 34 del 17.3.2015) In materia di appalti pubblici, di norma, il termine di prescrizione decorre dal collaudo finale (definitivo) che, definendo i rapporti di dare e avere fra appaltatore e P.A. rende le eventuali erogazioni degli acconti corrisposti in eccedenza, rispetto al saldo dovuto, spese indebite e, pertanto, dannose per l’Erario (cfr. Corte dei conti, Sez. II Centr. di App., 24 settembre 2001, n. 316). Tuttavia, laddove la conoscenza dei fatti correlati all’asserito pregiudizio, da parte sia dell’Amministrazione sia del Procuratore regionale procedente, nei confronti del quale la prima è onerata di obblighi di denuncia, sia di gran lunga anteriore al certificato di collaudo, il termine corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 di prescrizione decorre senz’altro da questo primo momento. 5.5. Interessi passivi e rivalutazione monetaria a seguito di provvedimento dell’A.g.o. La Corte dei conti ha ravvisato la presenza di danno erariale nell’onere finanziario sopportato da un ente pubblico e risultante dalla differenza tra l’ammontare degli interessi passivi addebitati all’ente a causa del ritardo nei pagamenti effettuati e l’ammontare degli interessi attivi percepiti dall’ente sui fondi giacenti, durante lo stesso periodo, presso un altro istituto di credito, senza vincolo di destinazione specifica. In linea di massima, gli oneri aggiuntivi per interessi passivi, conseguenti a spesa illegittimamente erogata, che un ente locale deve sopportare, costituiscono un indubbio pregiudizio economico per la finanza dell’ente stesso e comportano, quindi, la responsabilità degli stessi amministratori. Del pari, le spese giudiziali e gli interessi conseguenti a esborsi disposti fuori dai procedimenti e dall’ordine delle competenze sancite dalla legge, costituiscono pregiudizio per le finanze comunali. Integra quindi ipotesi di danno erariale l’erogazione di somme a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria che non si sarebbero dovute versare, ove la corresponsione di quanto dovuto fosse avvenuta tempestivamente. È anche violazione di legge e causa di danno ingiusto la deliberazione di un comune di assumere a proprio carico le spese legali sostenute da dipendenti e amministratori nel corso di procedimento penale conclusosi con proscioglimento per prescrizione (C.C., II, 49/A/2004). Nel caso poi in cui il presunto responsabile sia assolto per ritenuta non gravità della colpa che ne caratterizza il comportamento ascrittogli, ferme restando tuttavia l’antidoverosità dei comportamenti e l’ingiustizia del danno che ne è derivato, non è dovuto il rimborso delle spese legali e di difesa, trattandosi di un’assoluzione sostanzialmente parziale dell’addebito contestato nel giudizio contabile (C.d.c., II Sez. centr., 12.1.2006, n. 17/A). 5.6. Applicazione di norme di obiettiva difficoltà interpretativa ed errore di fatto comportamenti costituenti applicazione di norme di obiettiva difficoltà interpretativa. E invero, l’obiettiva difficoltà di interpretazione delle norme da applicare concreta a favore del funzionario agente un errore professionale scusabile, che esclude la sua responsabilità amministrativa per il danno eventualmente subito dall’erario (ad es., in ipotesi di assegnazione in proprietà di alloggi di tipo economico e popolare, in cui l’A. risulti condannata al risarcimento dei danni). È da escludere la responsabilità degli amministratori che abbiano adottato provvedimenti di erogazione illegittima di indennità ove gli stessi si siano determinati a provvedere in base ad erronea valutazione della situazione di fatto nel cui contesto l’indennità stessa fu richiesta e concessa (ad es. sulla base di precedenti nella stessa regione o di oscillante giurisprudenza dei T.A.R. in materia). In ogni caso, l’errore scusabile, come esimente della colpa, presuppone l’incertezza sull’interpretazione di una normativa complessa, innovativa o transitoria (C.d.c., Sez. I, 31.1.1994, n. 25). Infine, la dubbia interpretazione di una norma di legge, avvalorata da circolari, anche postume, che dimostrano la possibilità di una interpretazione diversa da quella risultata poi corretta, rendono scusabile l’errore in cui sono incorsi gli Amministratori di un Ente pubblico nell’adozione di una delibera, per cui gli stessi possono essere assolti da ogni responsabilità per errore scusabile (C.d.c., Sez. riunite, 13.1.89, n. 596/A), o per difficoltà interpretative della norma (C.d.c., Sez. I, 12.9.1997, n. 178/A; Sez. III centrale, 19.6.1997, n. 182/A). Costituiscono esimenti o attenuazioni della responsabilità, la complessità del caso, l’accavallarsi dei ricorsi, l’incertezza interpretativa delle norme, il susseguirsi di atti adottati in epoche diverse da amministratori diversi (C.d.c., Reg. Molise, 28.4.1997, n. 226 e 16.7.1997, n. 367), l’interpretazione di disposizione normativa recentemente modificata in fattispecie di norma astrattamente idonea a consentire divergenti ipotesi interpretative non connotate da manifesta irragionevolezza (C.d.c., Sez. reg. Piemonte 25.2.1999, n. 354), ovvero l’incertezza interpretativa avvalorata da delibera regionale di trasformazione del posto in organico, a seguito di illegittimo inquadramento (C.d.c., Sez. I centr., 30.9.1999, n. 268/A). È giurisprudenza consolidata della Corte dei conti che, ai fini della responsabilità dei dipendenti e agenti pubblici per i danni arrecati all’erario nell’espletamento delle loro funzioni, va escluso l’elemento della colpa nelle ipotesi in cui vi siano stati 1295 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini 5.7. Non sussistenza di responsabilità in mancanza di danno economicamente valutabile e di comportamento omissivo L’art. 51 c.2 del Codice di giustizia contabile stabilisce espressamente: “La notizia di danno, comunque acquisita, è specifica e concreta quando consiste in informazioni circostanziate e non riferibili a fatti ipotetici o indifferenziati”. Il P.M. inizia l’attività istruttoria sulla base appunto di concreta e specifica notizia di danno (c. 1) e qualunque atto istruttorio posto in essere in violazione di questa disposizione è nullo e può essere fatto valere da chiunque vi abbia interesse. (c. 3). Le attività degli amministratori di un ente pubblico, pur se poste in essere al di fuori della normativa vigente, non integrano una ipotesi di responsabilità amministrativa, qualora non abbiano comportato un danno economicamente valutabile per il patrimonio dell’ente. Così, nell’ipotesi di un ente che abbia disposto assunzioni in situazione di generale disordine del settore e di carenza di effettiva vigilanza, ma che permisero all’ente stesso di dotarsi di organi utili al suo funzionamento, da non consentirne in prosieguo l’eliminazione, la Corte, pur ravvisando il provvedimento non immune da censure, nel constatare che l’attività degli amministratori non determinò un danno, ha ritenuto non sussistere una loro responsabilità. In una diversa ipotesi, è stata ritenuta non conforme a legge e produttiva di danno erariale la corresponsione di compensi aggiuntivi per incarichi straordinari di lavoro a favore di amministratori di enti pubblici che godono, proprio in funzione dell’integrale svolgimento dei propri compiti di istituto, di indennità fissa di carica. Pertanto, gli amministratori sono stati ritenuti responsabili del danno arrecato all’ente per effetto dell’illegittima determinazione assunta. Invece, un accertamento totalmente induttivo sulla quantità e sussistenza di una pretesa evasione fiscale in materia di imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni non supportato da riscontri obiettivi, non può essere censurabile, non essendo raggiunta la prova della effettività del danno (C.c., II, 10.5.1993, n. 114). Del pari, la tardiva riscossione dei tributi, ove non sia sintomatica di un comportamento «continuato» di omessa vigilanza sugli uffici amministrativi, cui i ritardi vanno addebitati, non può essere causa di responsabilità per danno degli amministratori comunali (C.d.c., Sez. II, 20.5.1993, n. 124). Né può essere addebitato all’amministratore il danno che dipenda essenzialmente dall’incuria degli uffici am1296 ministrativi nel tenere aggiornate e nel segnalare le scadenze (C.d.c., II, 20.5.1993, n. 126). Nei giudizi di responsabilità amministrativa il P.M., con l’atto di citazione non può limitarsi ad una generica prospettazione della verificazione del danno, ma deve fornire sufficienti elementi dai quali sia dato evincere sia l’ingiusto nocumento all’erario, sia il nesso causale tra il preteso danno e la volontà colpevole dell’agente, con la conseguenza che questi, in carenza di tali elementi, non può essere condannato al risarcimento. Non sono, infatti, sufficienti allegazioni di colpevolezza, non supportate neppure da indizi di prova, non essendo compito del giudice collegiale quello di supplire all’attività probatoria (C.d.c., Reg. Sardegna, 13.5.1993, n. 193). In definitiva, il danno erariale deve avere i requisiti della certezza, attualità e concretezza, verificabili su dati di fatto presunti e non su calcoli legati a mere ipotesi di futuro danno (C conti, Sez. I, 23.3.1994, n. 68). Così, ad es., in tema di tributi locali, resta escluso l’elemento soggettivo della colpa degli amministratori che non si attivarono per la concreta riscossione dei tributi, ove le ragioni giustificative abbiano coerenza logico-giuridica e non sia data piena dimostrazione del danno (C.d.c., Sez. Lazio, 11.11.1996, n. 71). Va anche esclusa la responsabilità, per difetto di colpa grave di un commissario straordinario per comportamenti omissivi tenuti nell’attività di predisposizione della riconversione dell’ente pubblico al quale era stato preposto, con incidenza sull’assetto patrimoniale dello stesso, ove tale atteggiamento sia giustificato dal variabile intendimento politico oscillante tra la completa liquidazione dell’ente e il suo mantenimento in vita con diversa configurazione giuridica, ed in assenza di indicazioni ministeriali (o comunque dell’azionista di riferimento) circa le necessarie linee guida (C.d.c. Appello - Sez. I centrale, 3.1.2007, n. 1/A). La violazione del termine di 120 giorni per il deposito della citazione da parte del P.M. comporta la sanzione di inammissibilità, che però non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, ma va eccepita dal convenuto interessato (C.d.c., Sez. I centr. Appello, 9 maggio 2012). 5.8. La responsabilità nello svolgimento di attività economica e nel danno all’ambiente In generale, il danno all’ambiente deve essere valutato, oltre che in relazione al valore economico corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 del bene come tale, anche in rapporto alle esigenze estetiche ed intellettuali che il bene oggetto di pregiudizio è destinato a soddisfare. L’azione può essere promossa soltanto dallo Stato ed Enti territoriali interessati, mentre ai singoli cittadini è dato il potere di denuncia e alle associazioni ambientalistiche anche un potere di intervento ad adiuvandum nei giudizi instaurati. In caso di condanna, la sanzione prioritaria è costituita dal «ripristino dello stato dei luoghi a spese dell’obbligato»; ove ciò non sia possibile, occorre far luogo al risarcimento del danno ovvero, come ultima possibilità, al pagamento di una somma determinata dal giudice in via equitativa, sulla base della gravità della colpa, del costo del ripristino e dei profitti conseguiti. Lo Stato per la riscossione del credito relativo può avvalersi della procedura di riscossione delle entrate patrimoniali contenuta nel R.D. 14 aprile 1910, n. 639, tuttora vigente. La responsabilità patrimoniale di un dipendente di ente locale per danno ambientale non può essere limitata ai soli casi di pregiudizio sofferto da aree già sottoposte a «vincolo» con provvedimento amministrativo. Invero, l’unica giuridica differenza tra queste ultime e le aree non formalmente vincolate sta nel fatto che per le prime è sufficiente dimostrare l’avvenuta violazione del vincolo, come inosservanza delle norme in esso richiamate, laddove per le seconde si deve muovere dalla constatazione che le bellezze naturali e le cose di interesse storico ed artistico sono, di per sé, oggetto di tutela giuridica e si deve fornire la dimostrazione concreta del comportamento negligente, imprudente ed imperito, produttivo di danno. Nell’ipotesi di più soggetti responsabili, per l’affermazione o meno del vincolo della «solidarietà» occorre avere riguardo alle singole fattispecie concrete, in particolare alla scindibilità delle partecipazioni causali con riferimento al ruolo svolto, nella cronologia dei fatti, dai singoli agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Costituisce danno erariale l’importo speso da una P.A. per un’opera pubblica non ultimata, i cui lavori risultano sospesi da lungo tempo e il cui completamento funzionale appare obiettivamente del tutto incerto ed aleatorio (C.d.c., Sez. Liguria, n. 361/1999). Ove sia accertata la solidarietà nel debito, l’eventuale interruzione della prescrizione nei confronti di uno dei corresponsabili in solido, determina, per l’applicabilità dell’art. 1310 c.c., l’interruzione della prescrizione anche per coloro che ne siano stati diretti destinatari (C.d.c., I appello, n. 343 del 24.7.2008). 5.9. La responsabilità contabile e il potere riduttivo Il riferimento normativo del potere di moderare il danno riconosciuto dalla Corte dei conti è dato dall’art. 83 della legge di contabilità di Stato, dall’art. 52 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti e dall’art. 19 della legge n. 3/1957. È, in sostanza, conferito alla Corte un potere di moderazione la cui giustificazione viene ricavata dal fatto che la fonte della obbligazione del contabile risieda sia nella responsabilità contabile che in quella amministrativa, da un precostituito rapporto di servizio tra il soggetto e la P.A. L’esercizio di tale potere è generalmente valutato quale potestà del giudice contabile, piuttosto che facoltà connessa alla specifica ipotesi della responsabilità amministrativa. Il potere riduttivo costituisce una parziale rinunzia al credito, derivante dalla valutazione del giudice contabile e non del creditore. In essa vengono in considerazione non solo gli elementi estranei all’attività dell’agente, ma ogni circostanza di fatto che, secondo il prudente apprezzamento del giudice, può indurre a una motivata meno rigorosa valutazione della responsabilità e che va individuata nella situazione obiettiva nella quale il responsabile è stato costretto ad operare, o nella situazione soggettiva concernente l’attività del danneggiato e del responsabile stesso. Per prevenire il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile occorre dichiarare l’inesistenza del danno erariale, quale mancanza di presupposto per detta azione. Al riguardo, è indispensabile provare che il danno sia stato interamente risarcito con l’avvenuto pagamento della sola sorte capitale, se effettuato prima della domanda giudiziale e, se questa è stata introdotta, anche degli interessi dovuti sulla somma richiesta fino alla data di notifica dell’atto di citazione in giudizio. Non può inoltre essere fatta ricadere sul patrimonio del dipendente pubblico quella parte del danno difficilmente valutabile che è da correlare alla rischiosità di un’attività svolta nell’interesse dell’intera collettività (caso delle forze di polizia o di vigili urbani: C.d.c., I, n. 188/90). L’uso del potere riduttivo ha per presupposto il rapporto tra l’efficienza delle cause giustificatrici accertate e la misura del risarcimento dovuto e va sempre correlato alla gravità ed intensità della colpa (C.d.c., Sez. Riunite, 22.7.1992, n. 797/A). Peraltro, la riduzione dell’addebito, mentre non è compatibi1297 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini le con una condotta dolosa, può esserlo con quella della colpa anche «grave» (azione contraddistinta da elevata sconsideratezza o imprudenza: C.d.c., II, 4.9.1992, n. 208). Per avere il discarico l’agente contabile deve o restituire quanto a suo tempo ricevuto all’atto dell’assunzione della gestione, o giustificare, con la prova di legittime e ragionevoli circostanze impeditive, la mancata restituzione. Il danno pubblico conseguente alla perdita di materiali assunti in carico dall’agente contabile va quantificato alla stregua del valore attualizzato all’atto della liquidazione e non già ai valori storici di magazzino (C.d.c., I, 23.11.2004, 379/A). 5.10. Il contabile di fatto nella giurisprudenza della Corte dei conti L’art. 93, c. 2 del T.U. dispone che è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti chi si ingerisca negli incarichi attribuiti agli agenti contabili, divenendo, in tal modo «contabile di fatto». Costituisce requisito necessario e sufficiente per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile, l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego al momento dell’azione o dell’omissione che ha dato causa al danno erariale. Nell’obbligazione di responsabilità amministrativo-contabile sono solidalmente corresponsabili del danno erariale, in virtù del principio di equivalenza delle cause ex art. 41, c. 1, del codice penale - di generale applicazione nell’ordinamento - tutti i soggetti che, mediante il loro comportamento commissivo od omissivo, in violazione di obblighi di servizio, siano stati compartecipi del processo etiologico del danno erariale. La caratteristica peculiare del rapporto contabile è la prestazione di un’attività di gestione da parte dell’agente che - pur se limitata ad un solo atto o fatto - comporti il maneggio o la custodia di denaro o di valori materiali di pertinenza dell’ente o di cui l’ente sia debitore verso terzi. Non è necessaria l’effettiva assunzione di una particolare qualifica nell’ambito della P.A., essendo sufficiente che l’agente abbia avuto l’effettivo maneggio del denaro (C.d.c., giurispr. costante). L’inosservanza delle norme di servizio concernenti la custodia e la conservazione dei valori affidati a pubblici dipendenti comporta la responsabilità dell’agente contabile solo quando sia possibile rilevare un preciso rapporto di causalità tra l’inosservanza stessa e il danno subìto dall’erario. Ma l’agente contabile che accetti senza verifiche il materiale consegnatogli dal suo predecessore, assume la re1298 sponsabilità delle deficienze che si dovessero in seguito riscontrare, senza che sia necessario effettuare ulteriori accertamenti sulla sua responsabilità nella perdita dei beni erariali. 5.11. La considerazione del danno effettivo Per affermare o escludere, in tutto o in parte, il danno patrimoniale, è necessario verificare la pertinenza delle spese ordinate dagli amministratori, in violazione delle normali procedure, agli obiettivi e agli interessi perseguibili a termini di legge dall’ente locale. Occorre poi verificare l’utilizzazione, in tutto o in parte, dei beni o servizi acquisiti all’ente stesso in funzione pubblica, valutata in modo determinato. In realtà, non ogni bene o servizio comporta sempre e comunque un accrescimento del patrimonio dell’ente, ma solo quelli che siano in rapporto di strumentalità e congruità (che siano cioè opportuni e strumentali) in ordine al perseguimento dei fini istituzionali. Al fine dell’accertamento dell’ipotesi di responsabilità è decisivo il riferimento all’elemento soggettivo (colpa grave) e a quello oggettivo (danno), il quale ultimo deve essere effettivo e patrimoniale. La valutazione del danno, poi, va fatta con riferimento alla situazione patrimoniale dell’ente locale e con riguardo alle conseguenze che l’attività di spesa irregolare abbia avuto sui risultati delle gestioni. Il danno deve consistere nella diminuzione della consistenza economica del patrimonio dell’ente, deve essere effettivo e, per la sua determinazione, si deve tener conto di eventuali incrementi derivati alle sostanze pubbliche in conseguenza dell’atto illegittimo compiuto (art. 3, legge n. 639/1996). Va posto in evidenza il concetto di disutilità sopportato dall’ente locale a seguito dell’azione illegittima posta in essere dall’amministratore, in rapporto alle utilità che da questa attività siano nondimeno derivate, al fine di accertare se e in quale misura si sia determinato un danno patrimoniale. Agli effetti dell’apprezzamento dell’eventuale danno derivante da illegittimità o da irregolarità di spesa, la comparazione fra somma di denaro erogata e utilità conseguente non può fondarsi esclusivamente sul criterio della congruità dei prezzi di mercato. Essa deve tener conto anche di altri interessi di natura pubblicistica, certamente prevalenti in rapporto ai fini da conseguire. Quindi, se il danno non sia quantificabile in maniera precisa, ben può il giudice contabile procedere ad una liquidazione secondo equità, a stregua di quanto dispone l’art. 1226 c.c. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 È configurabile un danno all’erario anche in ipotesi di erogazione complessivamente ammissibile in base alla norma, se una parte di essa risulti priva di giustificazione in quanto non supportata dal criterio dell’intrinseca economicità del bene conseguito in relazione al valore delle risorse erogate. Così, il costo di costruzione del bene acquisito non deve eccedere in modo rilevante il prezzo di acquisto. In generale, l’inutilità della prestazione, normalmente assunta dal P.M. della Corte dei conti a fondamento della pretesa risarcitoria, può essere affermata solo se correlata ad obiettivi eventi dannosi che, ricollegandosi ad accertate omissioni o mancanze, rendono apprezzabile il danno fonte di responsabilità (C.d.c., Sez. II, n. 281/1993). Lo stesso concetto di patrimonio pubblico è da intendere, agli effetti della valutazione della ipotesi di responsabilità degli amministratori di enti locali non solo come complesso di elementi finanziari e patrimoniali, ma anche come insieme di utilità suscettibili di apprezzamento economico di cui fruisce la collettività e nei cui confronti lo Stato e gli altri enti pubblici abbiano per legge obblighi di tutela. In definitiva, anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad es., l’immagine e il prestigio della p.a.) se comporta delle spese per il suo ripristino, è danno risarcibile. Secondo le regole generali, per essere risarcibile il danno deve essere certo,attuale ed effettivo. La Corte dei conti è legittimata a decidere sul risarcimento del danno d’immagine cagionato direttamente all’ente pubblico da comportamenti costituenti illeciti penali commessi da dipendenti di società partecipata (C.d.c., Sez. III appello, 14.3.2012, reg. Lombardia). 5.12. Patrimonialità e ingiustizia del danno Al fine di valutare la sussistenza del danno, occorre verificare la pertinenza delle spese illegittimamente ordinate dagli amministratori agli interessi perseguibili a termini di legge dall’ente locale, nonché l’utilizzazione del bene o del servizio acquisito dall’ente stesso, in funzione pubblica. È evidente, infatti, che non ogni bene o servizio comporta un accrescimento del patrimonio dell’ente, ma solo quelli che siano in rapporto di strumentalità e congruità rispetto al perseguimento dei fini istituzionali. D’altra parte, la disutilità sopportata dall’ente a seguito della condotta illegittima non può essere identificata solamente con la spesa sostenuta, ma va individuata tenendo conto dei vantaggi che l’ente stesso, o meglio l’erario, avrebbe potuto conseguire ove i procedimenti di spesa fossero stati correttamente seguiti e le scelte fossero state quindi effettuate dagli organi a ciò istituzionalmente delegati. Correlativamente, l’utilità è rappresentata dall’arricchimento conseguito dall’ente, a seguito della condotta illegittima, individuata con riferimento alla rispondenza alle finalità istituzionali e al grado di utilità verificatosi in concreto (art. 3, legge n. 639/1996). Il danno patrimoniale può consistere nella perdita di danaro, valori e materie di pertinenza dell’ente (danno emergente), ovvero nella mancata acquisizione di elementi patrimoniali che la p.a. avrebbe potuto realizzare (lucro cessante). Gli effetti sananti della condotta illegittima di un amministratore di ente locale che abbia causato all’ente un danno patrimoniale possono esplicarsi solo nello stesso esercizio finanziario in cui è sorta l’obbligazione. E, infatti, successive attività possono costituire solo un criterio sintomatico ai fini della valutazione dell’attività derivata da tale condotta, spettante al giudice contabile, ma non sono idonee ad escludere «ipso iure» la responsabilità. Il fatto di aver ottenuto la sanatoria da parte del competente organo deliberante dell’ente non esclude in ogni caso la responsabilità degli amministratori di enti locali per illegittimo o irregolare fatto di gestione. L’adozione della sanatoria costituisce solo un utile elemento di giudizio nell’ambito della valutazione degli elementi che caratterizzano la responsabilità amministrativo-contabile: ma l’apprezzamento del fatto gestorio che abbia prodotto il danno patrimoniale resta nella sfera di competenza del giudice contabile. Infine sussiste responsabilità amministrativa per danno all’erario nel comportamento di amministratori di enti locali i quali ordinino le spese senza l’autorizzazione in bilancio o senza previa deliberazione del competente organo collegiale, determinando ritardo nei pagamenti e la conseguente soccombenza dell’amministrazione nelle controversie giudiziarie, con la condanna della stessa al pagamento di ulteriori somme per sorte, interessi ed accessori. 5.13. Responsabilità per omissione di atti dovuti (in particolare nel danno all’ambiente) Una serie di decisioni della Corte dei conti ha riguardo ai numerosi casi di omissioni da parte del Sindaco o di amministratori locali, dalle quali sia derivato un danno all’Erario latamente inteso. Tra le varie ipotesi vi è quella della responsabilità scaturente dalla mancata applicazione, da parte del 1299 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Sindaco, della sanzione pecuniaria per abusi edilizi. Nell’ipotesi di danno all’ambiente o al territorio, derivante dalla realizzazione, non impedita, di costruzioni in contrasto con gli strumenti urbanistici, si ritiene che danneggiato non sia l’Ente comunale, ma lo Stato quale rappresentante della comunità nazionale. Ciò in quanto la compromissione del territorio o dell’ambiente - che devono essere considerati beni di interesse pubblico anche quando appartengano per singole parti a singoli privati a causa della limitata disponibilità del territorio e del progressivo deterioramento e anzi della scarsa recuperabilità dell’ambiente - può dar luogo al danno. Altra ipotesi può riguardare il caso che non sia stato effettuato l’accertamento d’ufficio o la rettifica di dichiarazioni concernenti tributi locali, con deliberazione da notificare agli interessati. In tal caso la responsabilità ricade sui sindaci e sugli assessori in carica nel biennio o nel quinquennio entro il quale, a norma dell’art. 17 della legge n. 246/1963, si sarebbe dovuto provvedere ai dovuti adempimenti. Infine, la mancata conversione in espropriazione di un provvedimento di occupazione di urgenza di un suolo da parte di amministratori e funzionari comunali, con conseguente maggiore erogazione di somme, costituisce danno patrimoniale risarcibile, di cui rispondono i soggetti predetti per le omissioni connesse alla mancata osservanza del termine quinquennale di durata dell’occupazione di urgenza (Sez. Puglia, 16.2.1994, n. 3 - vedasi, sul punto, la parte relativa alla “espropriazione” su questa Guida). In particolare, costituisce fonte di colpa grave, soprattutto per il sindaco e per il tecnico comunale, il fatto che l’ente locale venga condannato in sede civile al risarcimento del danno in favore del privato proprietario, in caso di «accessione invertita» di diritto pubblico (C.d.c., Reg. Puglia, n. 13 del 17.3.1999). La ingiustificata inottemperanza ad un provvedimento del giudice amministrativo - che abbia ordinato, sia pure in via cautelare, la riammissione in servizio di un dipendente licenziato costituisce un’evidente violazione agli obblighi di legge ed è sintomo di un aperto disprezzo dei doveri d’ufficio e degli stessi interessi dell’ente da cautelare. Il dirigente che abbia tenuto siffatto comportamento risponde quindi del danno ingiusto cagionato all’ente in ragione della successiva corresponsione di trattamenti economici in assenza di prestazioni lavorative del dipendente in questione (C.d.c., I, 24.11.2004, 383/A). 1300 5.14. Danno non patrimoniale: in particolare, danno all’immagine La nozione di danno pubblico non comprende solo la lesione dei beni pubblici patrimoniali in senso proprio, ma si estende anche alla lesione di quegli interessi pubblici, che sono da ritenere beni in senso giuridico, in quanto considerati dall’ordinamento per assicurare la conservazione e per preservarli dal possibile scadimento, nell’interesse generale della collettività. In tal senso hanno disposto la Corte Costituzionale (sent. n. 184/1986) in materia di danno biologico e la Corte di Cassazione che estende l’ambito di applicazione dell’art. 2043 c.c., includendovi anche i danni non patrimoniali (danno alla salute, alla vita di relazione, ecc.) e cioè tutte le menomazioni oggettivamente valutabili in danaro e tutti i pregiudizi che riducono la capacità del soggetto di ricevere utilità derivanti dalla sua attività. Ove da tali lesioni derivi un danno come pregiudizio arrecato alla P.A. e ne sia responsabile un pubblico dipendente, lo stesso ne risponde in sede di responsabilità (C.d.c., Sez. II, 27.4.1994, n. 114). Si è ritenuto configuri danno all’immagine di carattere patrimoniale indiretto il comportamento dei componenti del corpo della Guardia di Finanza (ma la valutazione può estendersi ad altre situazioni analoghe) che, ingenerando fenomeni di corruttela, abbiano inferto grave pregiudizio all’integrità della personalità pubblica dello Stato e alla considerazione sociale di un corpo quale la Guardia di Finanza. Del pari, si è ritenuto sussistere colpa grave del comandante del nucleo regionale della Guardia di finanza che, pur non intervenendo in prima persona con atti vessatori in fenomeni corruttivi, abbia abdicato in maniera silenziosa e celata al proprio ruolo di vigilanza e abbia sfruttato il lucro economico che gli derivava dal non ostacolare i predetti fenomeni corruttivi dei suoi sottoposti dai quali sono derivate mancate entrate tributarie in relazione ad omessi recuperi a tassazione (C.d.c., Sez. Lombardia 10.11.1998). Ove manchino puntuali elementi probatori sulla consistenza del danno per lesione di un bene immateriale, il giudice provvede alla sua determinazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., con l’obbligo di una adeguata motivazione. Nei casi di danni ai beni immateriali dell’immagine, prestigio, decoro, della P.A., ove siano intervenute dazioni illecite di danaro (c.d. tangenti), si ritengono insufficienti i criteri automatici di liquidazione del danno in una entità pari all’ammontare delle dazioni, senza che corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 il giudice dia conto dei motivi che lo hanno indotto a quantificarlo in tale misura (C.d.c., Sez. Riun. 28.5.1999, n. 16QM; Sez. I centrale, n. 28/A/2004; n. 39/A/2004). La legge n. 102 del 3 agosto 2009, di conversione del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, all’art. 17 ha dettato norme riguardanti il risarcimento del danno all’immagine, il danno erariale perseguibile avanti alla Corte dei conti e l’iniziativa del pubblico ministero contabile. Tuttavia, nella stessa data del 3 agosto 2009 è stato emanato un successivo decreto legge, n. 103/2009, convertito dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, nel quale sono sostituiti i primi tre periodi dell’art. 17, comma 30-ter, nei termini seguenti: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». Al riguardo, va ricordato che il codice di giustizia contabile ha abrogato il primo periodo dell’art. 17, c. 30 ter riguardanti appunto “i soli casi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”. Va anche rilevato che il citato art. 7 della legge n. 97/2001 si limita a stabilire che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti pubblici o ad essi assimilati per i delitti contro la P.A., è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova entro 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. L’art. 17, c. 30-ter della legge n. 102/2009 prosegue affermando che «Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento da chiunque vi abbia interesse innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». Altra importante previsione è quella contenuta nell’art. 17, c. 30-quater e 30-quinquies della stessa legge n. 78/2009 che apporta alcune modificazioni all’art. 1 della legge n. 20/1994, già riportata nel commento alla legge n. 94/1994, secondo cui “in ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità”. Al comma 1-bis dopo le parole “dell’amministrazione” sono inserite le seguenti: “di appartenenza o di altra amministrazione”. 30-quinquies: all’articolo 1-bis, comma 10 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: “procedura civile”, sono inserite le seguenti: “non può disporre la compensazione delle spese di giudizio”. Con riferimento alla previsione di cui alla lett. a), va ricordato che mai in passato si era ritenuto che la registrazione di un atto da parte della Corte dei conti potesse costituire una esimente per la valutazione di gravità della colpa ascrivibile ad un dipendente pubblico. Il legislatore, in tal modo, ha inteso conferire un crisma di legittimità assoluta agli atti che siano stati registrati dall’organo di controllo, tale da non consentire valutazioni di colpa grave a comportamenti di dipendenti che abbiano eseguito quanto costituiva oggetto degli atti stessi. Con riferimento al comma 30-quinquies, il legislatore ha inteso precludere al giudice contabile la possibilità di stabilire compensazioni delle spese di giudizio in tutti i casi in cui vi sia proscioglimento nel merito del convenuto, ad evitare aggravi di oneri per il convenuto assolto. In sede di giudizio di responsabilità amministrativa il sistema «tangentizio» costituisce prova grave, precisa e concordante di danno patrimoniale, atteso che la «tangente» è da considerarsi danaro pubblico, illecita ricchezza del pubblico dipendente a danno degli enti pubblici (C.d.C., giurisprudenza costante). Una volta determinata, in via equitativa, l’entità del danno all’immagine e al prestigio della P.A., tale determinazione assorbe anche l’eventuale richiesta di risarcimento del danno per la lesione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa (C.d.c., Sez. Lombardia 15.4.1999, n. 438). La partita concernente il danno all’immagine della P.A. può essere oggetto di autonoma azione di responsabilità amministrativa, cioè azionabile a prescindere dal verificarsi di un danno a beni materiali dell’amministrazione (C.d.c., Sez. I centrale, 18.6.2002, n. 201/A). È controverso se tale tipo di danno sia risarcibile a prescindere dalle spese di ripristino dei beni im1301 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini materiali lesi (in senso affermativo si è pronunciata parte della giurisprudenza, ad es., C.d.c., Sez. I, n. 49/A/2004). Pur se non è in grado di quantificare il danno all’immagine sulla base di spese effettivamente sostenute dall’ente danneggiato per il ripristino dei beni immateriali lesi, il P.M. ha l’onere di indicare almeno i parametri della necessaria valutazione equitativa, anche attraverso la mera esemplificazione delle spese occorrenti, comprese le spese promozionali previste nel bilancio dell’ente (C.d.c., I, 10.1.2004, n. 3/A). Tuttavia, è stata ritenuta non fondata l’azione di responsabilità per danno all’immagine, esperita in aggiunta a un diverso richiesto danno patrimoniale, senza che il P.M. contabile abbia dato la prova del clamor o strepitus loci indotti dalla vicenda sulla credibilità, onorabilità o immagine dell’A. (C.d.c., III, 20.2.2004, n. 15; Sez. Basilicata, 17.9.2004, n. 230). 5.15. Scelte discrezionali dell’Amministrazione In base alla legge n. 639/1996, il sindacato del giudice contabile nel merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione è limitato alla compatibilità della scelta medesima con gli interessi dell’ente, alla congruità del mezzo prescelto con il fine dichiarato, alla verifica del contenimento della spesa nei limiti di capienza. Non è, ad es., sindacabile da parte del giudice contabile la singola clausola di un atto di transazione allorché la scelta discrezionale di comporre un rapporto conflittuale tra Amministrazione e privato si basi su concreti presupposti di fatto e di diritto e sia ispirato a motivi razionali e logici (nella specie, congruità del canone di locazione: C.d.c., III, n. 80/A del 20.4.1999). Pur se è insindacabile la scelta amministrativa, può essere eseguito un sindacato giurisdizionale circa il corretto uso del potere discrezionale stesso, verifica che si avvale di parametri esterni, quali la competenza, il termine e la materia e di parametri interni, quali il rapporto tra il fine istituzionale e il fine concreto, la congruità e la proporzionalità delle scelte, il principio di razionalità e buona amministrazione (C.d.c., Sez. II centrale, 27.5.1999, n. 160/A; Sez. III centrale, 8.6.1999, n. 123/A). A rigore, l’unica transazione idonea a far cadere l’interesse alla prosecuzione dell’azione di responsabilità intestata dal P.R. presso la Corte dei conti, è quella che assicuri la riparazione integrale del danno erariale cagionato. In realtà, non si tratta di vera transazione, poiché quando la riparazione ri1302 sulti integrale deve escludersi che ricorra quella reciprocità di concessioni essenziale perché, sul piano civilistico, possa parlarsi di transazione (C.d.c., Sez. Lombardia, 10.12.2004, n. 1498). La transazione (o, meglio, l’offerta risarcitoria) volontariamente posta in essere dal convenuto nei confronti dell’ente danneggiato al di fuori del giudizio contabile costituisce solo implicita ricognizione di debito che non incide sulla pienezza dei poteri d’impulso processuale attribuiti al P.M. della Corte dei conti. Ciò, in quanto la materia della responsabilità per danno erariale è indisponibile e il danno va accertato dal giudice competente in piena autonomia, e nonostante che il P.M. ritenga satisfattivo il recupero effettuato in sede civile. Quanto precede, pur se si deve tener conto in sede finale delle cifre già versate a titolo di rifusione del danno (C.d.c., Trentino A. Adige, Sez. Trento n. 111/2004; Sez. Lombardia, 25.1.2005, n. 25). Ove poi un ente locale aderisca a una transazione pagando somme ad estinzione di supposti debiti, in realtà inesistenti, il relativo danno ingiusto è addebitabile al responsabile dell’ufficio legale che, pur avendo esaminato i contenuti della proposta di componimento, non si sia avveduto dell’insussistenza dei diritti pretesi dalla controparte e non ne abbia informato gli amministratori chiamati a deliberare al riguardo (C.d.c., II, 10.1.2005, n. 3/A). 6. La responsabilità dei tesorieri L’art. 58, c. 2, della legge 142/1990 (T.U., art. 93, c. 2), ha ribadito il principio per cui il tesoriere (e ogni altro agente contabile con maneggio di pubblico denaro) è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti. È noto che i tesorieri degli enti pubblici sono di diritto «contabili», in quanto hanno il maneggio e la disponibilità del danaro e, in generale, dei valori: ne discende la loro responsabilità contabile, essendo essi tenuti a rendere il conto della loro gestione, che è poi sottoposta alla giurisdizione della Corte dei conti, giudice esclusivo in materia di contabilità pubblica (C. Cost., 3.6.1966). Il servizio di cassa di un ente pubblico, indipendentemente dal titolo all’assunzione, dà vita in ogni caso ad un rapporto contabile di natura pubblica, rientrante quindi nell’ambito della giurisdizione contabile. Né può opporsi la circostanza che la banca abbia nei confronti dell’ente un semplice rapporto di natura privatistica di conto corrente, anziché di tesoreria o di cassa, bastando a stabilire la com- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 petenza della Corte dei conti la semplice gestione di pubblico danaro. Sul tesoriere, in sostanza, incombe un’obbligazione di restituzione, per cui in caso di ammanco e in assenza della dimostrazione che non ne sia derivato un danno all’ente, egli resta responsabile nei confronti dell’A. (C.c., II, 157/1994). La responsabilità presuppone anche in questo caso il danno ingiusto e cioè la violazione di un altrui interesse giuridicamente protetto dall’ordinamento giuridico. È quindi evidente che manca l’antigiuridicità quando manchi un pregiudizio concretamente sofferto dall’ente, o nei casi - da dimostrare - in cui il tesoriere ha agito per necessità, in ipotesi di spese obbligatorie (ad es. per anticipazione degli stipendi al personale dell’amministrazione impedita dal ritardo nell’approvazione dei bilanci) o nel caso di erogazioni dovute a motivi di imprescindibile urgenza. È stata pure esclusa la responsabilità dei tesorieri nei casi di pagamenti, sia pure modesti, eseguiti per evitare all’ente pregiudizi economici derivanti da sanzioni pecuniarie e liti giudiziarie a causa di errate previsioni di spesa o di insufficienti disponibilità. Nel sistema delle responsabilità, si ha comportamento doloso quando si accerti che il tesoriere ha agito con l’intenzione di recare danno all’ente, oppure di non volere adempiere coscientemente il proprio obbligo. Si ha comportamento gravemente colposo quando il tesoriere ha agito non osservando neanche un minimo di diligenza, quella che tutti solitamente osservano. La Corte, al riguardo, ha sempre censurato l’atteggiamento di cosciente violazione delle disposizioni alle quali il tesoriere è tenuto ad attenersi, nonché, in generale, del contratto di tesoreria (art. 3, legge n. 639/1996). Tra le ipotesi più frequenti di responsabilità, vi è quella per danno conseguente ad attività omissiva del tesoriere, sia per fatto proprio che dei propri collaboratori: il tesoriere è un organo con funzioni meramente esecutive che ha il dovere di controllare la regolarità dei titoli di spesa sotto il profilo meramente formale e di verificare la preventiva adozione del provvedimento autorizzativo della spesa. Non infrequenti sono le pronunce giurisprudenziali sui tesorieri. Così, l’erogazione - mediante prelievi effettuati dal Sindaco - da parte del cassiere-tesoriere al di fuori dello schema contabile di delegazione con apertura di credito, comporta la colpa grave dell’istituto bancario, nei confronti del quale non può trovare neanche applicazione il potere di riduzione dell’addebito (C.d.c., Sez. riunite, 7.9.1993, n. 895/A). Cap. II Modalità della denuncia al Procuratore regionale 1. Premessa Vi è una avvertita esigenza di ridefinire i modelli operativi e i settori rientranti a pieno titolo nella nozione di “contabilità pubblica”, nel momento in cui nuovi interventi legislativi e la conseguente elaborazione giurisprudenziale ha finito per estendere il sindacato del giudice contabile anche ai profili dell’efficacia e dell’utilità dell’azione amministrativa. Vi è in secondo luogo l’emergere di un tendenza normativa a definire come ipotesi specifiche di responsabilità amministrativa l’inosservanza di regole e vincoli di carattere finanziario. La giurisprudenza della Corte dei conti ha sempre ritenuto che la mera illegittimità del provvedimento amministrativo ovvero del comportamento ritenuto produttivo di danno per l’erario non sia sufficiente a determinare l’ingiustizia del danno stesso e quindi la responsabilità amministrativa, essendo invece necessaria la illiceità dell’azione posta in essere, come presupposto logico dell’ulteriore giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. Inoltre, negli ultimi anni la Corte di Cassazione, SS.UU., aveva prodotto una giurisprudenza che ha ricondotto sotto la giurisdizione della Corte dei conti enti e soggetti che in passato ne erano esclusi. Pertanto si era affermata la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di amministratori e dipendenti pubblici economici in precedenza esclusa, tranne nei casi in cui l’ente svolgeva la propria attività mediante l’esercizio di poteri autoritativi. Una sentenza (n. 529/2012) della Sez. giur. centrale di appello della Corte dei conti ha tuttavia escluso tale giurisdizione per le seguenti considerazioni. L’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti dei dipendenti indicati dall’art. 3 della stessa legge per delitti contro la P.A. è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. L’art. 3 richiamato accomuna nel giudizio di responsabilità avanti al giudice contabile i dipendenti di amministrazioni, quelli di enti pubblici e quelli a prevalente partecipazione pubblica. D’altra parte la Corte Costituzionale aveva affermato che la semplice trasformazione degli enti pubblici 1303 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini economici di cui all’art. 15 della legge n. 359/1992 non poteva essere ritenuta motivo sufficiente a determinare l’estinzione del controllo ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259/1958 fino a quando rimanga inalterato l’apporto finanziario dello Stato nella struttura economica dei nuovi soggetti. La Corte di Cassazione (sent. n. 12367/2001), a sua volta, aveva deciso che le società per azioni costituite dai comuni e dalle province in house (art. 22, c. 3, legge n. 142/1990) operano come persone giuridiche private ma con la qualifica di agenti contabili, come tali soggette ai giudizi di conto in relazione al maneggio di danaro che costituisce un rapporto tra l’ente pubblico ed altro soggetto “a seguito del quale la percezione del danaro avvenga, in base a un titolo di diritto pubblico o di diritto privato, in funzione della pertinenza di tale danaro all’ente pubblico e secondo uno schema procedimentale di tipo contabile”. Una successiva sentenza (n. 12192/2004) ha poi stabilito che la qualificazione di agente contabile comporta la giurisdizione della Corte dei conti anche per i danni che l’agente contabile arrechi all’ente locale per cui agisce. E un’altra sentenza (n. 13702/2004) della stessa Cassazione ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti sui sindaci di un comune che avevano omesso, durante la loro permanenza nella carica, di promuovere l’azione di responsabilità a carico degli amministratori di società di capitali partecipata, nella considerazione che tale attività non rientra nel contesto delle attività discrezionali dell’amministrazione, ma consiste nella violazione di precisi obblighi di tutela del patrimonio. Infine, la sentenza Cass. S.U., n. 7799/2005, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, in riferimento alla richiesta di annullamento di provvedimenti comunali di mancata approvazione del bilancio e conseguente revoca di amministratori di s.p.a. di cui il comune era unico socio. In quella qualità il comune avrebbe dovuto agire sulla base degli artt. 2383, 2458 e 2459 c.c., trasfusi anche nello statuto della società. Evidentemente la Cassazione aveva posto l’attenzione sulla sostanziale impunità degli amministratori degli enti pubblici economici e delle società partecipate da enti locali, cresciuti in maniera esponenziale anche in rapporto al processo inverso avvenuto nello Stato e fonte di disavanzi - dovuti peraltro non sempre a cattiva gestione ma a ritardati pagamenti dei servizi da parte del socio - e aveva disposto un allargamento della giurisdizione della Corte dei conti su detti organismi. 1304 Egualmente la Cassazione riconosceva l’attribuzione alla Corte dei conti anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici essendo irrilevante il fatto che essi perseguano le proprie finalità mediante un’attività disciplinata dal diritto privato (sent. n. 19667/2003). Inoltre, con la sent. n. 3899/2004 la Cassazione affermava che l’affidamento da parte di un comune ad un ente privato esterno della gestione del servizio relativo all’esercizio dei mercati all’ingrosso implica l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti, nonostante la natura privatistica dell’ente. Ma una brusca interruzione nell’ampliamento giurisprudenziale della giurisdizione contabile è intervenuta con la decisione n. 26806/2009 della Cassazione (confermata dalla sent. n. 519/2010), secondo cui spetta al giudice ordinario la giurisdizione sull’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica, non essendo configurabile un danno arrecato all’ente pubblico idoneo a radicare la giurisdizione del giudice contabile. Quest’ultima ha invece giurisdizione quando vi sia un comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione. Ovvero quando vi sia un comportamento dell’amministratore o del sindaco tale da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche. L’orientamento della Cassazione si è consolidato con le ordinanze nn. 14655 e 20941/2011 ove si afferma che il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla cattiva gestione degli organi sociali della società partecipata non integra il danno erariale in quanto si risolve in un vulnus gravante in via diretta ed esclusiva sul patrimonio della società stessa soggetta alle regole di diritto privato. La sentenza n. 20940/2011 non costituisce un’eccezione in quanto assegna al giudice contabile la giurisdizione nei confronti di amministratori della Croce Rossa Italiana per aver recato danno patrimoniale all’ente pubblico titolare di partecipazione societaria “per aver esercitato in modo non conforme al dovere di diligente cura del valore di tale partecipazione i diritti e le facoltà inerenti alla posizione di socio”. Inoltre, con la sent. n. 3692 del 9 marzo 2012, la Cassazione, SS.UU., con riferimento a Poste Italiane s.p.a. ha escluso la giurisdizione della corte dei conti nonostante la società sia a partecipazione pubblica corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 totalitaria. Nel caso di specie non era in questione il servizio postale c.d. universale, ma l’attività bancaria svolta da Poste Italiane. La stessa Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza 2 settembre 2013, n. 20075, ha enunciato i seguenti principi: 1. Quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione. Per tale può intendersi anche una relazione con la P.A. caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica. 2. È ricompreso nella giurisdizione contabile anche l’accertamento della responsabilità erariale conseguente all’illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investa il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest’ultima. 3. Si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. Ne consegue che, nell’attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una P.A. e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato nel quale si colloca la condotta produttiva del danno. 4. La scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta. Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini - contemplati dagli artt. 2392 c.c. e segg. - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata. Ma il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione e i cui originari conferimenti restano confusi e assorbiti nell’unico patrimonio sociale. Ancora più recentemente, la Corte dei conti (sez. I giur. centr. d’appello - sent. 20 febbraio 2015, n. 178), ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti della SO.GE.M.I. S.p.A., società incaricata della gestione dei mercati agroalimentari all’ingrosso della città di Milano) ed ha anche affermato i seguenti principi: 1. Vi è giurisdizione della Corte dei conti in ipotesi di Società partecipata totalmente dal Comune, ove vi sia la nomina della maggioranza degli amministratori da parte del Comune, vi sia svolgimento esclusivo di attività di primario interesse pubblico, utilizzo di risorse finanziarie interamente pubbliche, assenza di attività svolta dalla società in regime di concorrenza. 2. Inoltre, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per i pregiudizi finanziari prodotti al bilancio di una società la quale risulti partecipata pressoché totalmente da un Comune, il quale nomina direttamente la maggioranza degli amministratori e indirettamente tutti gli altri, svolge esclusivamente attività di primario interesse pubblico e spende risorse quasi del tutto pubbliche. 3. Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti quando, anche sotto il mero profilo finanziario, la dipendenza della società dal socio maggioritario è totale e non vi è alcuna attività che sia svolta in un vero regime di concorrenza. 2. Le denunce di danno erariale Il Codice di giustizia contabile dedica due articoli, il 52 e il 53 all’obbligo di denuncia e onere di segnalazione ed al contenuto della denuncia di danno. Le denunce provenienti dalla stessa amministrazione danneggiata possono assumere un particolare valore sia perché il contatto diretto con la fattispecie dannosa può conferire alle stesse un più significativo valore almeno indiziario (anche per la possibilità di una maggiore completezza nella descrizione del fatto), sia perché le stesse hanno un indiretto valore di deterrenza. Già nel 2007 era stata diramata dalla Procura generale una nuova nota interpretativa (2 agosto 2007, n. 9434/2007P) in materia di obbligo di denuncia di danno erariale ai Procuratori regionali presso le sezioni giurisdizionali della Corte. Le ragioni giustificative dell’intervento della Procura generale si rinvenivano nei seguenti fattori: • l’ampliamento dei confini della giurisdizione contabile, a seguito delle note pronunce della Corte di 1305 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Cassazione in merito alla sussistenza della cognizione del giudice contabile sulla responsabilità di amministratori o dipendenti per danni causati ad enti pubblici economici ed a società a partecipazione pubblica e di recenti interventi legislativi (in materia di danno ambientale, si veda ad es. l’art. 313, comma 6, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152); • le modifiche alla legge n. 241/1990, operate dalla legge n. 15/2005, per quanto attiene alle funzioni del dirigente delle unità organizzative e del responsabile del procedimento amministrativo, che ha comportato la possibilità di una più facile individuazione dei soggetti che gestiscono o controllano concretamente i vari procedimenti amministrativi o le loro varie fasi, indipendentemente dalla qualifica formale rivestita dagli stessi all’interno delle varie strutture; • gli spazi di potestà di regolamentazione, in materia di disciplina dei procedimenti amministrativi e di organizzazione interna, riconosciuti alle regioni ed agli enti locali dal nuovo titolo V della Costituzione e quindi anche nell’individuazione dei soggetti tenuti ad effettuare le denunce di danni erariali. Infatti, com’è noto, l’art. 117 della Costituzione prevede in materia di organizzazione interna una potestà regolamentare in capo agli enti locali ed alle regioni; • l’espressa previsione normativa dell’obbligo di denuncia a carico di ulteriori soggetti pubblici e la sopravvenuta modifica di alcune norme richiamate nell’indirizzo; • nuovo raccordo fra il P.M. presso il giudice contabile e le autorità giudiziarie ordinarie attraverso l’obbligo di trasmissione delle sentenze di condanna per delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, previsto dagli artt. 6 e 7 della legge n. 97/2001. L’obiettivo della nota era quello di ottenere il massimo della collaborazione nella denuncia di possibili danni erariali, da parte dei soggetti tenuti al relativo obbligo, in modo da consentire al Pubblico Ministero di attivarsi con tempestività, disponendo di ogni utile elemento di valutazione, nei confronti dei presunti responsabili, anche attraverso l’utilizzo di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore, compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale previsti dal codice civile, così come prevede l’art. 1, comma 174, della legge n. 266/2005. 1306 3. Esercizio dell’azione revocatoria da parte del P.M. - Sussistenza della giurisdizione contabile La Suprema Corte ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione contabile sull’esercizio di un’azione revocatoria da parte del P.M. (Cass., Sez. Un., ord. n. 22059/2007). Tale decisione è particolarmente rilevante in quanto riconosce espressamente che la suddetta disposizione è da considerare una vera e propria interpositio legislatoris, idonea ad ampliare l’ambito di giurisdizione del giudice contabile. Infatti, il Giudice di legittimità ha testualmente affermato che «la conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie in argomento, oltre che imposta dalla lettera della legge è anche coerente con il suo scopo, esplicitato nel fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che egualmente deve ritenersi esserle stata affidata per quelle “a tutela delle ragioni del creditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale”, in quanto rispetto alle prime hanno carattere accessorio e strumentale». Oltre al già disciplinato sequestro conservativo, la novella sembra consentire, perciò, un ampliamento dei procedimenti cautelari di cui, su iniziativa del P.M., può conoscere il giudice contabile, con particolare riguardo a quelli diretti a provvedimenti d’urgenza atipici ex art. 700 c.p.c., in modo da evitare al pubblico erario, in attesa della definizione di un giudizio di merito, il prodursi di pregiudizi che pur non essendo attuali sono però imminenti ed irreparabili (si pensi ad es. alla possibilità di richiedere la sospensione degli effetti di inquadramenti illeciti o della corresponsione di compensi non dovuti da parte delle pubbliche amministrazioni). Inoltre, dovrebbe ammettersi, sulla base della suddetta norma, il potere del P.M. di esercitare, ex art. 2900 c.c., i diritti e le azioni verso terzi, in surrogazione del presunto responsabile, al fine della conservazione della garanzia patrimoniale. Le suddette azioni andrebbero esercitate dal P.M., in sostituzione del presunto responsabile, presso i giudici forniti di giurisdizione, in base alla natura e finalità delle stesse. Inoltre, la suddetta nuova previsione potrebbe essere l’occasione anche per una riflessione circa l’ammissibilità di un ricorso per decreto ingiuntivo da parte del P.M. nei casi di responsabilità caratterizzate da mancata restituzione di somme o di beni corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 da parte di un agente contabile. In tal caso la denuncia del fatto con l’invio della prova scritta del credito, rappresentata dal documento con il quale è stato affidato il carico al contabile costituisce un elemento indispensabile per consentire il ricorso. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 635 c.p.c., il libro degli inventari ed giornale di cassa costituiscono prove idonee di crediti dello Stato, se provvisti di adeguata attestazione di regolarità da parte di un funzionario autorizzato. 4. L’azione preventiva da parte della P.A. idonea a evitare i danni: l’esigenza di un agire etico L’azione preventiva da parte dell’amministrazione diretta ad evitare danni all’erario non può che essere promossa dai vertici dell’istituto e dai dirigenti ai quali fa capo l’onere di conoscere, monitorare, indirizzare e sanzionare quei comportamenti potenzialmente produttivi di danno (art. 52 del Codice). Il D.Lgs. n. 231/2001 che è vincolante per le società ed associazioni anche prive di personalità giuridica, non lo è per lo Stato, per gli enti pubblici territoriali, per gli enti pubblici non economici e per gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Tale importante disciplina introduce la responsabilità amministrativa per le società che va ad aggiungersi a quella penale della persona fisica che ha materialmente commesso l’illecito e che è oggetto di accertamento nel corso del medesimo procedimento penale. Alla normativa posta dal citato decreto si affianca il codice etico che esprime gli impegni e le responsabilità etiche nella conduzione degli affari e delle attività aziendali assunti da quanti intrattengono rapporti con la società, siano essi dipendenti, collaboratori a vario titolo o amministratori. Normalmente costituiscono capisaldi del codice etico la centralità della persona, la conformità dei comportamenti alle disposizioni normative, la trasparenza, la correttezza gestionale, la lealtà, l’onestà, la collaborazione e il reciproco rispetto attraverso il costante dialogo partecipativo alle problematiche della società. Non v’è dubbio che un’azione preventiva idonea a scongiurare danni dovrebbe essere mutuata dall’agire delle società più avanzate, con particolare attenzione: a) alle politiche di selezione del personale a tutti i livelli ispirata a principi di correttezza ed imparzialità ed evitando favoritismi e discriminazioni; b) allo sviluppo costante della professionalità; alle risorse umane e all’ambiente di lavoro; c) alla trasparenza nell’amministrazione e nella contabilità; alla vigilanza attenta e costante sui comportamenti. 5. Caratteristiche del danno oggetto di denuncia L’attenzione della Procura generale e delle procure regionali della Corte dei conti è indirizzata, tra l’altro, ad iniziative quali l’apprestare una sanzione per le violazioni delle norme a tutela dell’ambiente; il vigilare sull’adempimento dell’obbligo di rendere il conto, che grava su tutti i gestori di beni della comunità; seguire l’esecuzione delle sentenze di condanna; il verificare gli illeciti commessi nella gestione di strutture regolate da norme di diritto privato, ma finanziate da danaro pubblico; l’assumere iniziative per una quotidiana azione contro il fenomeno della corruzione. Il danno ambientale è un danno ulteriore rispetto al danno materiale arrecato al bene e le iniziative per azionare le pretese per i danni materiali arrecati a questi beni pubblici competono alla Procura presso la Corte dei conti. Si è ritenuto che questo danno ai beni pubblici sia conseguenza, prima ancora che delle iniziative private, dell’azione illecita dei poteri pubblici che lo hanno consentito con propri provvedimenti ovvero - una volta verificatosi per abusi dei privati l’evento lesivo - per non essere intervenuti con i necessari provvedimenti, idonei ad ottenere il ripristino della situazione violata. Vi sono poi i casi di mancata esecuzione di sentenze di condanna tratte da segnalazioni stampa: le procure regionali sono state attivate nei casi in cui per intervenuta prescrizione del credito derivante dall’actio judicati, vi erano solo da perseguire le responsabilità relative. Nei casi di ritardata esecuzione, viene verificato se dal ritardo consegua la perdita di garanzie per il recupero del credito, ovvero la sottrazione di cespiti aggredibili. È noto che anche per l’incidenza della normativa comunitaria, il nostro ordinamento tende a non ravvisare più la distinzione «pubblico-privato», ma risulteranno sempre più determinanti elementi sostanziali come il finanziamento, cioè la natura del danaro gestito, l’effettiva subordinazione alle regole del mercato, il controllo del danaro pubblico. I fatti corruttivi, e gli altri delitti contro la P.A. si presentano con due distinte connotazioni. Possono 1307 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini consistere nel pagamento indebito di danaro per un’attività legittima e dovuta della P.A., e di ciò è competente il giudice penale. Ovvero si concretano in una prestazione a favore dell’amministratore o del funzionario infedele, cui però deve corrispondere una illecita controprestazione di questo, un beneficio non dovuto che avvantaggia il corruttore e lo compensa dell’importo versato. Deve essere, però, dimostrato che sia stato liquidato illegittimamente al corruttore più di quanto dovutogli e se oneri maggiori e non dovuti siano stati messi a carico della pubblica finanza. Le due forme di responsabilità, quella amministrativa e quella patrimoniale, pur se sovente sono trattate unitariamente, non possono ridursi ad un unico denominatore: esse si pongono su distinti livelli, in quanto l’una si ricollega ad un illecito amministrativo e l’altra ad un illecito civile. Considerato il processo di riforma dell’organizzazione dei pubblici uffici, l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 3/1957 e s.m.i., incombe su tutti i soggetti che, nella loro qualità di responsabili di un settore dell’amministrazione, si trovino in posizione apicale e vengano in possesso, in ragione del loro ufficio, degli elementi per l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni (C.d.c., Sez. I centr. Appello, 25.7.2008, n. 344). 6. L’interpretazione delle SS.RR. della Corte dei conti sulle nuove norme in tema di istruttoria del P.M. contabile Sulla corretta interpretazione delle nuove norme in tema di nullità dell’attività istruttoria si sono pronunciate le Sezioni Riunite della Corte dei conti con due specifiche sentenze, la n. 12/QM e la 13/QM, entrambe del 3 agosto 2011, nei modi seguenti: 1) l’art. 17, c. 30-ter e ss. mm., del D.L. n. 78/2009 di cui è stato abrogato il primo periodo dal Codice di giustizia contabile (art. 4 norme transitorie) sui requisiti che devono possedere le notizie di danno ai fini della detta attività istruttoria è suscettibile di applicazione immediata e retroattiva in relazione a situazioni istruttorie e processuali maturate nel vigore della normativa preesistente; 2) la ratio della norma è quella di ancorare l’irretroattività a un momento in cui il giudice ha già fatto la sua scelta irreversibile (giorno della pubblicazione della sentenza, ex art. 133, c. 1 c.p.c.) e non deve trattarsi di un provvedimento meramente istruttorio, come tale revocabile; 1308 3) il termine “notizia” di cui all’art. 17, c. 30-ter, non si identifica con quello di “denunzia”. È invece da intendersi come dato cognitivo derivante da apposita comunicazione, o acquisibile da strumenti di informazione di pubblico dominio; l’aggettivo “specifica” è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità e non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generica, ma ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo “concreta” è da intendersi come obiettivamente attinente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni. Quindi, costituiscono “specifica e concreta notizia di danno”: a) l’esposto anonimo, specifico e concreto; b) i fatti conosciuti attraverso l’invito a dedurre; c) i fatti conosciuti a seguito della delega alle indagini attribuita dalla Procura ad organismi quali la Guardia di Finanza. Non possono considerarsi specifiche e concrete le notizie relative alla mera condotta, in carenza di ipotesi di danno; 4) per “fattispecie direttamente sanzionate dalla legge” devono intendersi quelle in cui non è solo prevista una sanzione pecuniaria come conseguenza dell’accertamento di responsabilità amministrativa, ma quelle in cui la norma definisce anche l’automatica determinazione del danno. Sono escluse le ipotesi in cui la legge si limiti a prevedere che una certa fattispecie “determina responsabilità erariale”, o espressioni analoghe. Ora, comunque, l’art. 65 del Codice stabilisce che “La omessa o apparente motivazione dei provvedimenti istruttori del pubblico ministero ovvero l’audizione assunta in violazione dell’art. 60, comma 4, costituiscono causa di nullità dell’atto istruttorio e delle operazioni conseguenti”. 7. La configurazione del danno all’immagine È stato abrogato dal recente Codice il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (passaggio in giudicato della pronuncia penale e limitazione delle fattispecie a quelle individuate nel codice penale). In virtù di detto articolo, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti pubblici per i delitti contro la P.A. previsti dal capo I, libro II cod. pen. andava comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti, perché promuova entro i successivi 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 Ai sensi dell’art. 1 della legge n. 190/2012 nel giudizio di responsabilità l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa P.A., accertato con sentenza passato in giudicato si presume pari al doppio della somma di denaro illecitamente percepita dal dipendente. Come innanzi accennato, nelle leggi n. 102/2009 e n. 103/2009 è prevista l’esclusione della colpa grave quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto, vistato e registrato in sede di controllo preventivo, ma limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo. 8. Onere di segnalazione e contenuto della denuncia Sono tenuti a segnalare il danno erariale, ai sensi dell’art. 52 del Codice di giustizia contabile: “i responsabili delle strutture burocratiche di vertice delle amministrazioni, comunque denominate, ovvero i dirigenti o responsabili di servizi, in relazione in relazione al settore cui sono preposti, che nell’esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza, direttamente o a seguito i segnalazione di soggetti dipendenti, di fatti che possono dare luogo a responsabilità erariali, devono presentarne tempestiva denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente. Le generalità del pubblico dipendente denunziante sono tenute riservate. 2. Gli organi di controllo e di revisione delle pubbliche amministrazioni, nonché i dipendenti incaricati di funzioni ispettive, ciascuno secondo le singole leggi di settore, sono tenuti a fare immediata denuncia di danno direttamente al procuratore regionale competente, informandone i responsabili delle strutture di vertice delle amministrazioni interessate. 3. L’obbligo di denuncia riguarda anche i fatti dai quali, a norma di legge, può derivare l’applicazione, da parte delle sezioni giurisdizionali territoriali, di sanzioni pecuniarie (…). 6. Resta fermo l’obbligo per la pubblica amministrazione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione. Circa il contenuto della denuncia, l’art. 53 del citato Codice così dispone: “La denuncia di danno contiene una precisa e documentata esposizione dei fatti e delle violazioni commesse, l’indicazione ed eventualmente la quantificazione del danno, nonché ove possibile, l’individuazione dei presunti responsabili, l’indicazione delle loro generalità e del loro domicilio”. Il procuratore regionale, acquisita la notizia di danno, “ove non ritenga di provvedere alla sua immediata archiviazione per difetto dei requisiti di specificità e concretezza o per manifesta infondatezza, dispone l’apertura di un procedimento istruttorio ed assegna, secondo criteri oggettivi e predeterminati,la trattazione del relativo fascicolo” (art. 54). Una competenza piena alla denuncia dei fatti dannosi per la finanza pubblica è stata sempre ritenuta propria degli organi di controllo, sia interni che esterni, in ordine ai fatti dannosi imputabili agli organi di vertice degli enti e strutture pubbliche ovvero in via sostitutiva nei casi di omessa denuncia da parte dei soggetti a ciò tenuti. Il sistema normativo, infatti, vuole che le responsabilità siano perseguite, che siano gli autori dei fatti dannosi a doverne rispondere e costituisca eccezione l’operatività della norma di chiusura che stabilisce responsabilità per omessa denuncia. Questo obbligo, oggi, incombe agli uffici di ragioneria, sia dipendenti del Ministero del tesoro che propri delle organizzazioni pubbliche che hanno conservato competenze generali di verifica dell’azione amministrativa e di tutti gli organi di controllo interno, collegi sindacali di revisione, ecc. (come mera conferma normativa dell’esposto principio, si veda, a titolo di esempio l’art. 107 D.Lgs. n. 77/1995), tenuto conto della rilevanza che a tali controlli ha attribuito il legislatore (art. 3, c, 7, legge n. 20/1994). Incombe anche sui magistrati della Corte dei conti assegnati alle sezioni e agli uffici di controllo l’obbligo di segnalare alle procure regionali i fatti da cui possono derivare responsabilità erariali che emergano dall’esercizio delle loro funzioni (art. 52, c. 4 del Codice di giustizia contabile). Il presupposto che deve essersi verificato perché sorga detto obbligo è quello stesso che comporta il decorso del termine di prescrizione per l’azionamento della responsabilità, ossia il verificarsi di fatto dannoso per la finanza pubblica. In proposito può ricordarsi che l’indirizzo giurisprudenziale individua detto termine iniziale non nel momento della conoscenza, ma della conoscibilità dei fatti da parte non del Procuratore regionale titolare del potere d’azione, ma dell’organo dell’amministrazione che abbia obbligo di denuncia. Esiste, infatti, un principio generale, il quale, con l’escludere la decorrenza della prescrizione nel tem1309 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini po in cui il diritto non può essere fatto valere (art. 2939 cod. civ.), si riferisce solo alle cause giuridiche impeditive dell’esercizio di tale diritto e non anche ai semplici ostacoli di fatto, tra i quali l’ignoranza (colpevole o meno) del titolare in ordine alla sussistenza del diritto. In effetti è la conoscibilità in seno all’amministrazione quella che ha rilievo per individuare il momento di inizio del termine prescrizionale. La giurisprudenza costante ritiene che dà inizio al periodo prescrizionale non il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento patrimoniale all’ente pubblico, ma il verificarsi del danno che costituisce componente del “fatto” dannoso cui fa, ora, espresso riferimento la generale disciplina in materia di prescrizione (legge n. 20/1994, art. 1, c. 2.). È stato poi, recepito dal legislatore (art. cit.) il principio giurisprudenziale secondo cui, nel caso di occultamento doloso del danno, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla data della sua scoperta. E, difatti, la cognizione di situazioni pregiudizievoli all’amministrazione pubblica è l’effetto di una tipica attività di controllo, la cui impossibilità di esplicarsi, per fatto doloso dell’autore del danno, comporta un obiettivo impedimento ad agire, di carattere giuridico e non di mero fatto. È dal momento in cui si concreta il danno, o dalla scoperta del danno dolosamente occultato che, come decorre il termine di prescrizione, così si concreta l’obbligo di denuncia. In termini generali può aggiungersi che il momento iniziale della prescrizione è quello in cui si è verificato il danno erariale, e cioè la data dell’evento lesivo nel caso di danno diretto e, nel caso di danno indiretto (che deriva dal fatto che l’amministrazione risarcisca un terzo del danno causato dal dipendente: v. danno indiretto da mobbing, sent. C.d.c., Sez. giur. Calabria, 25.6.2013), dalla diversa data in cui con sentenza passata in giudicato o transazione approvata nei modi di legge viene ad esistenza un titolo esecutivo o un’obbligazione specifica di pagamento per l’amministrazione, cioè una situazione giuridica senz’altro produttiva di conseguenze dannose. Qualora si sia verificata una situazione di fatto con potenzialità lesiva, senza danno attuale, ne può essere effettuata segnalazione agli uffici di Procura per eventuali iniziative intese a coadiuvare un’azione amministrativa intesa a che la potenzialità non divenga evento lesivo per l’erario, segnalazione la cui 1310 omissione - giova precisare - non configura violazione dell’obbligo di denuncia. La denuncia non può consistere in una mera trasmissione di atti ma deve concretarsi in un documento che contenga le indicazioni che la legge prescrive. Deve pertanto contenere l’indicazione, allo stato degli atti in possesso dell’amministrazione, del fatto, nel senso di descrizione del procedimento seguito, quale previsto dalla normativa di settore ovvero quale di fatto e anche in deroga attuato, nonché dei comportamenti tenuti dai dipendenti, con precisazione delle deviazioni dalle regole normative o dai principi di sana gestione. Ciò con riferimento agli atti allegati alla denuncia. La denuncia deve, poi, indicare l’importo del danno subito dall’erario, ove ciò risulti dai fatti conosciuti, ovvero, se tale elemento non sia determinabile esattamente, i dati in base ai quali emerga la certezza dello stesso benché ne sia incerta la quantificazione. A questo fine vanno indicati gli elementi che, in base ai dati di esperienza amministrativa nel settore, ove esistano, possano servire alla quantificazione ovvero a offrire parametri per la determinazione in via equitativa del danno medesimo (art. 1226 c.c.). Altro elemento essenziale è l’indicazione, ove possibile, delle generalità e dei domicili attuali (sia privati sia di servizio) dei dipendenti la cui attività si sia posta in rapporto causale con l’evento dannoso. Non tanto è necessaria la valutazione delle responsabilità (valutazioni che potranno essere effettuate allo stato degli atti e se ritenute coerenti con gli interessi dell’amministrazione), quanto l’indicazione, in base alle realtà organizzative e funzionali, dei soggetti cui sia imputabile l’evento lesivo perché partecipi ai procedimenti ed all’attività amministrativa e perché inadempienti agli obblighi di servizio che ad essi facevano carico nella fattispecie concreta. Al riguardo è importante la figura del responsabile del procedimento, con la separazione dei compiti di governo da quelli di amministrazione, con la previsione di collaborazioni che sono a base del nuovo modo di concepire l’azione amministrativa (D.Lgs. n. 29/1993, legge n. 142/1990, legge n. 241/1990, ecc.). Se taluno dei presunti responsabili risulti deceduto, il denunciante deve provvedere, solo su richiesta della competente Procura regionale, all’acquisizione degli elementi necessari per l’individuazione degli eredi legittimi o, se del caso, testamentari (denunce di successione, atti testamentari, accertamenti sulla consistenza mobiliare e immobiliare dell’asse eredi- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 tario, documentazione relativa al diritto degli eredi a riscuotere ratei di stipendio o di altre competenze maturate dal responsabile al momento del decesso, ecc.). 9. La presentazione della denuncia nel termine prescritto La denuncia, una volta verificatosi l’evento lesivo, deve essere immediata (“tempestiva” stabilisce l’art. 52 del Codice) e sulla base degli atti in possesso. Rimane assegnato al successivo momento dell’attività istruttoria l’acquisizione di ulteriori elementi. È necessaria l’immediatezza della denuncia, tenuto conto che la responsabilità è sancita dall’art. 1, comma 3, legge n. 20/1994 non soltanto per omessa, ma anche per ritardata denuncia, ritardo che ha rilievo allorché la denuncia pervenga in tempo che tecnicamente non consente gli adempimenti necessari all’attivazione delle iniziative giudiziali. L’aver adempiuto all’obbligo di denuncia non spoglia le amministrazioni da poteri in relazione ai fatti emersi. Queste, infatti, hanno sempre il potere di richiedere, in via amministrativa, la rifusione del danno ai responsabili; con la conseguenza che le iniziative giudiziali delle Procure, cui si collegano oneri sempre maggiori per i responsabili, possono divenire superflue in caso di adempimento di questi e comunque hanno l’effetto di costituire in mora i responsabili stessi. L’obbligo di denuncia non si esaurisce con la segnalazione dell’evento ma importa il dovere di riferire costantemente alla Procura regionale competente anche in assenza di specifiche sollecitazioni - in merito ai successivi sviluppi della questione, trasmettendo di volta in volta ogni atto o documento che si ravvisi utile ai fini di giustizia. Ovviamente, ogni segnalazione integrativa deve fare chiaro e preciso riferimento alla denuncia iniziale. Oltre a possibili richieste di accertamenti da parte della Procura regionale competente, questi possono essere, dopo la denuncia, disposti di propria iniziativa dall’amministrazione ad opera di Commissioni d’inchiesta o di singoli funzionari. In tal caso, gli atti dell’inchiesta amministrativa vanno trasmessi in duplice esemplare alta Procura competente, la quale, comunque, va costantemente informata in ordine all’inizio, allo svolgimento (specie se i lavori si presentino particolarmente lunghi o difficili) ed all’esito degli accertamenti. Anche nell’ipotesi che, in relazione ai fatti che hanno formato oggetto di denuncia, siano instaurati giudizi penali, civili, amministrativi o controversie arbitrali, la Procura competente va informata del loro avvio, delle fasi dello svolgimento dei giudizi, nei vari gradi, sino all’esito definitivo, indipendentemente da sollecitazioni. Le sentenze pronunciate nei vari gradi di giudizio vanno trasmesse in duplice copia integrale autenticata, precisando, di volta in volta, se esse siano passate in giudicato o siano state impugnate. Con la “nota interpretativa” n. 9434/2007, in materia di denunce di danno erarìale, il P.G. presso la Corte dei conti, nel formulare ai Procuratori regionali presso le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti elementi chiarificatori, con riferimento ai soggetti tenuti all’obbligo di denuncia, ha ribadito che la denuncia di fatti dannosi per il pubblico erario costituisce essenziale presupposto per l’attivazione del sistema giurisdizionale diretto all’accertamento di responsabilità amministrative, a garanzia del buon uso delle risorse pubbliche, che costituisce un interesse di tutti i cittadini. La collaborazione, in tal senso, da parte dei pubblici apparati è necessaria, anche tenuto conto che l’art. 1, comma 3, della legge n. 20/1994 chiama a rispondere del danno erariale coloro che, con l’aver “omesso o ritardato la denuncia”, abbiano determinato la prescrizione del relativo diritto al risarcimento. D’altra parte, l’art. 23, comma 5, della legge n. 289/2002, stabilisce che i provvedimenti di riconoscimento del debito, posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, devono essere trasmessi alla competente Procura regionale presso il giudice contabile. La nota del 2007 ricorda che, oltre ai vertici degli enti e ai dirigenti responsabili, anche gli organi di controllo sono tenuti alla denuncia di fatti dannosi per la finanza pubblica (si veda, in proposito, l’art. 20, comma 2, del D.P.R. n. 3/1957). In particolare, l’obbligo in discorso riguarda gli organi di controllo interno, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 286/1999, competenti al riscontro della regolarità amministrativa e contabile dell’azione amministrativa. L’Ispettorato per la funzione pubblica, di cui all’art. 60, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 (come modificato dall’art. 10-bis della legge n. 248/2005), è obbligato a denunciare al P.M. presso il competente giudice contabile, anche a seguito di segnalazioni di privati cittadini o pubblici dipendenti, irregolarìtà, ritardi o inadempienze delle amministrazioni pubbliche dalle quali possano derivare danni alle stesse. 1311 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini L’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre torme di illecito all’interno della P.A., istituito con la legge n. 3/2003, è tenuto a denunciare al P.M. presso il competente giudice contabile le ipotesi di responsabilità amministrativa, che potrebbero evidenziarsi a seguito di accertamenti diretti o delegati presso le amministrazioni pubbliche; di monitoraggio su procedure contrattuali e di spesa o grazie alla collaborazione dei servizi di controllo interno. 10. In particolare: la responsabilità degli appartenenti agli organi collegiali Sulla responsabilità amministrativa degli appartenenti agli organi collegiali il P.G. ha richiamato l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20/1994 tuttora vigente, che rende, eventualmente, imputabili solo coloro che hanno espresso voto favorevole alla decisione produttiva del danno. I suddetti principi valgono in tutti i casi in cui il dovere in questione fa capo ad un organo collegiale. La citata nota interpretativa del P.G. riguardo alle società a partecipazione pubblica regolate dal sistema tradizionale di amministrazione e controllo (artt. 2380-bis e 2409-septies del codice civile), ha espresso l’avviso che sia tenuto all’obbligo in discorso, in primo luogo, il consiglio di amministrazione, in quanto si tratta dell’organo al quale spetta, di regola, in via esclusiva e con metodo collegiale, la gestione dell’impresa, salvo deleghe. In tale evenienza, il soggetto delegato è tenuto, ai sensi dell’art. 2381, quinto comma, c.c., a riferire al consiglio almeno ogni 6 mesi sull’andamento della gestione e, perciò, anche riguardo a possibili fatti dannosi per la società. Circa la fonte normativa di tale obbligo, viene in rilievo l’art. 2392, comma 2 c.c., che afferma la responsabilità degli amministratori “se essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”. Un analogo obbligo di denuncia è da ritenere che spetti al collegio sindacale, visti i doveri e poteri di vigilanza (artt. 2403 e 2403-bis c.c.) e le connesse responsabilità. Si veda, in proposito, l’art. 2407, comma 2 c.c., che dispone nel senso che i sindaci “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”). Un eguale obbligo spetta, altresì, ai soggetti tenuti al controllo contabi1312 le (2409-bis c.c.), considerato il rinvio al regime della responsabilità dei sindaci (art. 2409-sexies c.c.). Nelle società rette dal sistema c.d. dualistico o da quello monistico l’obbligo in questione è da considerarsi intestato agli analoghi organi di vertice che esercitano funzioni di amministrazione e controllo (consiglio di gestione, consiglio di sorveglianza, consiglio di amministrazione, comitato per il controllo sulla gestione, soggetti tenuti al controllo contabile), sempre in virtù delle norme civilistiche che ne delineano le funzioni, anche attraverso un rinvio alla disciplina degli organi delle società rette dal sistema tradizionale. Infine, in merito alla responsabilità amministrativa degli appartenenti agli organi collegiali, e, quindi, anche con riferimento alla particolare tipologia di responsabilità per omessa denuncia di danno erariale, opera l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20/1994 che rende, eventualmente, imputabili solo coloro che hanno espresso voto favorevole alla decisione produttiva del danno. Riguardo agli enti pubblici economici, l’obbligo di denuncia in questione, nei casi individuati dalla giurisprudenza della Cassazione, deve ritenersi faccia capo ai titolari degli organi che, secondo i rispettivi ordinamenti, esercitano funzioni di amministrazione e controllo. Ciò, in quanto è implicito nel rapporto che lega i titolari degli stessi all’ente il dovere di questi ultimi (desumibile dall’art. 2104 c.c.) di agire per eliminare o attenuare gli effetti di comportamenti dannosi subìti dal soggetto nel cui interesse operano. Quanto detto vale anche per i titolari degli organi di amministrazione e controllo delle aziende speciali ed istituzioni che fanno capo alle regioni ed agli enti autonomi locali. Le denunce di danno provenienti dall’interno di tali enti privati danneggiati (soprattutto da parte degli organi di controllo) ovvero dall’ente pubblico controllante possono, come accennato, avere, in via tendenziale, per il P.M. presso il giudice contabile, una maggiore utilità, con riguardo a quelle provenienti da fonti non tecniche (ad es. giornalistiche, di rappresentanti politici o di gruppi esponenziali di altri interessi di settore). In questi casi può essere maggiore il rischio che le stesse si soffermino soprattutto sull’opportunità di scelte discrezionali di natura imprenditoriale, elemento che, com’è noto, non è sindacabile dal giudice contabile, considerato il divieto posto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994, dell’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 Per la Corte di Cassazione quest’ultimo riguarda i limiti esterni della giurisdizione contabile e, perciò, è verificabile dal Giudice di legittimità, ai sensi degli artt. 111, c. 3, della Cost. e 360, n. 1 c.p.c. A proposito di tale divieto, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare, in primo luogo, che “il giudice contabile non può sostituire, senza una ragionevole motivazione, le sue scelte a quelle dell’amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale ad essa istituzionalmente devoluto, con una valutazione ex post e senza adeguata comparazione fra i costi sostenuti ed i risultati perseguiti e/o conseguiti” (Cass., sez. un., 20.2.2003, n. 6851). Inoltre, il giudice contabile, pur potendo verificare la conformità a legge dell’attività amministrativa, compresa la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, può valutare “la non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico amministratore solo nell’ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai fini”(Cass., sez. un., n. 33/2001; n. 1378/2006; n. 8096/2007). Tali principi, espressi con riferimento al tradizionale ambito di giurisdizione del giudice contabile, non sembrano, sostanzialmente, contrastare con quelli formulati dalla giurisprudenza del giudice ordinario in merito alla responsabilità, per violazione dell’obbligo generico di diligenza, degli amministratori di società di capitali nei confronti di queste, anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 2392 c.c. Denunce di possibili danni erariali vengono effettuate alle Procure presso le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti anche dalle articolazioni regionali e centrali di quest’ultima addette a funzioni di controllo. Tale prassi non si ritiene contrastante con l’ordinamento giuridico. Il P.G. ha anche evidenziato il fondamentale raccordo che deve sussistere fra il P.M. presso il giudice penale e quello presso il giudice contabile attraverso l’informativa, prevista dall’art. 129, comma 3, delle norme di attuazione del c.p.p., in merito all’esercizio dell’azione penale, nel caso di reati che hanno cagionato un danno all’erario. Anche se la legge stabilisce il suddetta obbligo di informativa solo nei casi di esercizio dell’azione, si è auspicato che il P.M. presso il giudice penale comunicasse anche le richieste di archiviazioni, relative a fatti che, pur non costituenti reati, potrebbero concretizzare ipotesi di responsabilità amministrativa. Deve, inoltre, ritenersi che spetti al giudice dell’esecuzione, individuato ai sensi dell’art. 665 c.p.p., l’invio al P.M. presso il giudice contabile delle sentenze penali di condanna, di cui agli artt. 6, comma 2, e 7 della legge n. 97/2001. Ciò in conformità con quanto stabilito dal Ministero della Giustizia - Dip. affari di giustizia (Dir. gen. della giustizia penale), con la circolare n. 027.001.04.69 del 26 ottobre 2006. Mentre le sentenze di cui all’art. 7 della suddetta legge vanno inviate al Procuratore regionale competente, quelle di cui all’art. 6, comma 2, di tale legge, pur se non irrevocabili, vanno trasmesse al Procuratore generale presso la Corte dei conti. Comunque, nei casi previsti dal suddetto art. 6, comma 2, della legge n. 97/2001, è sempre opportuno l’invio di copia delle sentenze di condanna anche al competente Procuratore regionale presso il giudice contabile. A seguito di ripetuti interventi del Giudice regolatore della giurisdizione (si vedano Cass., ss.uu., ord. n. 4511/2006 e sent. n. 15458/2007), è da ritenere che sussista il potere di cognizione del giudice contabile sulla responsabilità di amministratori o dipendenti per danni causati ad enti pubblici economici ed a società a partecipazione pubblica, ma con le eccezioni previste dalla sentenza di Cassazione (ss.uu., 19.12.2009, n. 26806 e 15.1.2010, nn. 519-525). Occorre, in ogni caso, tenere conto delle diverse finalità e dei differenti parametri di giudizio propri delle funzioni di controllo e di quelle requirenti e giurisdizionali intestate alla Corte. Conseguentemente, non sussiste un automatismo fra esito del controllo della Corte dei conti e denuncia di danno erariale e, quindi, una responsabilità amministrativa dell’organo di controllo. Infatti, con riguardo ad un eventuale esito negativo di un controllo preventivo di legittimità. si è visto come la denuncia presuppone la sussistenza almeno di un ragionevole fumus di una concreta ed attuale lesione patrimoniale o non patrimoniale, circostanza che, come detto, non può collegarsi, di per sé solo, alla illegittimità di un atto o di un procedimento ovvero ad una sua illegittima omissione. Tali evenienze possono essere, eventualmente, rilevanti al fine della qualificazione dell’elemento soggettivo di un illecito amministrativo. Relativamente, poi, ai controlli sulla gestione, sia l’oggetto delle indagini che riguarda, di solito, un’azione amministrativa complessivamente intesa sia la decisione finale della Corte, che attiene all’efficacia o all’efficienza della stessa, escludono che dall’esito da un controllo di tal tipo possano rilevarsi, automaticamente, danni erariali specifici e, soprattutto, soggettivamente imputabili. Anche 1313 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini eventuali valutazioni circa l’economicità dell’azione pubblica sono di solito effettuate dalla Corte in modo complessivo come rapporto di congruità fra costi e risultati finali. È necessario, perciò, al fine di una denuncia al P.M. degli esiti di un’attività di controllo, una preventiva verifica, sia pure di carattere sommario e ampiamente presuntivo, della sussistenza di un danno legato ad una specifica fattispecie ed almeno in astratto imputabile a determinati soggetti, utilizzando, a tal fine, le regole minime atte ad evidenziare la sussistenza di una responsabilità amministrativa. È ovvio poi che il materiale acquisito in sede di controllo è soggetto alle normali regole dell’onere della prova e del contraddittorio in sede di eventuale giudizio di responsabilità amministrativa. In tal senso dovrebbe, verosimilmente, interpretarsi la limitazione, posta dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 29/1995, all’utilizzo delle risultanze istruttorie strumentali al controllo sulla gestione nella distinta in sede processuale. 11. Tempestività della denuncia Va sottolineato che la denuncia, una volta verificatosi l’evento lesivo, deve essere immediata e deve essere effettuata sulla base degli atti in possesso dell’amministrazione. Rimane assegnata al successivo momento dell’attività giudiziaria istruttoria l’acquisizione di ulteriori elementi. Va osservato, al riguardo, che la necessità di una tempestiva denuncia si desumeva, indírettamente, dalla suddetta fattispecie di responsabilità, sancita dall’art. 1, comma 3, della legge n. 20/1994, che attiene a casi non soltanto di “omessa”, ma anche di “ritardata” denuncia, cioè pervenuta alla Procura competente quando non è più praticamente possibile attivare le iniziative giudiziali prima della scadenza del termine di prescrizione. Ora l’obbligo di tempestiva denuncia di fatti che danno luogo a responsabilità erariali è espressamente previsto dall’art. 52, c. 1 del Codice. La generale validità delle indicazioni finora fornite non esclude la praticabilità di una procedura più snella per l’assolvimento dell’obbligo di denuncia, nelle fattispecie di seguito indicate. Essa consiste nell’inoltro alla Procura presso la Carte dei conti territorialmente competente, a cadenza periodica (semestrale), di un sintetico rapporto-denuncia che segnala gli eventi dannosi. Tale rapporto periodico, 1314 secondo il P.G., si deve sostanziare in un prospetto riepilogativo, contenente una scheda riassuntiva per ciascuna vicenda, con la succinta descrizione del fatto, dell’ammontare dei danni, degli accertamenti svolti e delle risultanze emerse. Sarà cura della Procura destinataria del rapporto richiedere, ove ne ravvisi la necessità, ulteriori e più approfonditi elementi informativi e documentali su uno o più dei fatti segnalati. Le fattispecie suscettibili di denuncia, secondo la suddetta procedura semplificata, riguardano tipicamente i danni derivanti da incidenti stradali, nel caso di mancato risarcimento (totale o parziale) da parte di società assicuratrici.Qualora dagli accertamenti effettuati in sede di inchiesta amministrativa o dai verbali di accertamento di Polizia non si rivelino fatti dolosi, le amministrazioni potranno procedere ad inoltrare alla Procura regionale competente un rapporto sintetico sui fatti occorsi, salvi successivi approfondimenti da parte della Procura stessa. 12. L’ulteriore attività amministrativa dell’ente in ordine ai fatti dannosi ed il raccordo con il giudice penale ex art. 129, c. 3 disposizioni di coordinamento e transitorie del c.p.p. Non basta adempiere con tempestività ed esaustività all’obbligo di denuncia, ma occorre che l’Amministrazione faccia uso dei poteri ad essa direttamente intestati in relazione ai fatti emersi. In primo luogo essa ha la facoltà di “costituire in mora”, mediante intimazione o richiesta scritta, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1219 e 2940 del codice civile, i responsabili del danno, al fine di interrompere la decorrenza del termine di prescrizione. L’amministrazione ha, poi, il potere - nelle more di decisioni definitive del P.M. presso il giudice contabile - di assumere proprie iniziative nei confronti del dipendente per conseguire, in via amministrativa, la rifusione del danno. Tale eventuale circostanza va tempestivamente segnalata al P.M. contabile competente. Infine, l’obbligo di denuncia non si esaurisce con la segnalazione dell’evento, ma importa il dovere di riferire costantemente alla Procura regionale competente anche in assenza di specifiche sollecitazioni in merito ai successivi sviluppi della questione, trasmettendo, con chiaro e preciso riferimento alla denuncia iniziale: - i risultati di ulteriori indagini disposte di propria iniziativa dall’amministrazione, compresa l’eventuale attivazione e l’esito di procedimenti disciplinari; corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 - i dati concernenti l’instaurazione di giudizi penali, civili, amministrativi o controversie arbitrali; - le sentenze pronunciate nei vari gradi di detti giudizi, in copia integrale autenticata, con la precisazione se esse siano passate, in giudicato o siano state impugnate. Inoltre l’art. 129, c. 3 delle disposizioni di coordinamento e transitorie al c.p.p. dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione”. Infine, al fine di consentire, nei termini di legge, al Requirente la prosecuzione del giudizio presso il giudice contabile competente, in applicazione dei principi della c.d. translatio iudicii, affermati dalle recenti sentenze n. 77 della Corte Costituzionale e n. 4109 della Corte di cassazione, entrambe del 2007, si segnala l’importanza dell’invio da parte delle amministrazioni pubbliche al P.M. contabile delle sentenze del giudice del merito o della Suprema Corte dichiarative della giurisdizione del giudice contabile relativamente ad una fattispecie di responsabilità azionata dall’amministrazione danneggiata presso il giudice civile. Decisiva è la rilevanza che assumono le informazioni, provenienti dall’amministrazione creditrice, circa l’esecuzione delle sentenze di condanna definitive a titolo di responsabilità amministrativa. Ciò non solo per una generica funzione di vigilanza o di repressione di eventuali inerzie che dovessero manifestarsi in materia all’interno dell’amministrazione danneggiata, ma anche perché il citato art. 1, comma 174 della legge finanziaria per il 2006, ha riaperto il problema del riconoscimento dell’esercizio dell’azione esecutiva da parte del P.M. innanzi al giudice contabile (o a quello ordinario). Tale riconoscimento, attraverso una maggiore effettività nel concreto soddisfacimento dei crediti erariali derivati da accertate responsabilità amministrative, completerebbe il sistema delle garanzie degli interessi di cui il Requirente presso il giudice contabile si fa portatore. In definitiva, la tempestività e completezza delle denunce di danno erariale da parte dei soggetti obbligati che operano all’interno delle amministrazioni pubbliche danneggiate o vigilanti gli enti danneggiati - espressamente menzionata e prevista quale stretto dovere dei vertici amministrativi dall’art. 52 del Codice - è necessaria non solo per una proficua attivazione, da parte del P.M., del procedimento diretto ad una citazione in giudizio nei termini di prescrizione dell’azione, ma, altresì, per consentire eventualmente al Requirente di esercitare le nuove azioni che ha oggi a disposizione, dirette anch’esse a rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei crediti erariali derivanti da responsabilità amministrative. Vanno poi menzionate alcune norme che prescrivono un’informativa alle Procure della Corte dei conti. Così, l’art. 5 della legge n. 89/2001 prevede che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione venga comunicato, tra l’altro al P.G. della Corte dei conti. Del pari, l’art. 6, c. 2, legge n. 97/2001 prevede che nel caso di condanna per delitti di cui al capi I - Titolo II del II libro del c. p. commessi a fini patrimoniali, la sentenza sia trasmessa al P.G. della Corte dei conti, il quale procederà ad accertamenti patrimoniali a carico del condannato. Infine, l’art. 23, u.c., della legge n. 289/2002 prevede che i riconoscimenti di debito posti in essere dalla p.a. sono trasmessi agli organi di controllo e alla competente procura della Corte dei conti. Tale prescrizione implicherebbe un controllo generalizzato di regolarità su un’ampia categoria di atti amministrativi da parte delle Procure, pur in presenza dell’art. 1 del D.Lgs. n. 286/1999 che esonera gli organi di controllo da tale obbligo. Sono state innanzi ricordate le norme di cui all’art. 17, c. 30 e segg. del D.L. n. 28/2009 ed in particolare l’art. 30-ter - il cui primo periodo è stato abrogato dal Codice - secondo il quale le Procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’azione per danno erariale a fronte di specifica e concreta azione di danno. Dovrebbero essere considerati attendibili quegli esposti, eventualmente non completi ma sufficientemente circostanziati e documentati avanzati da cittadini, associazioni ambientali, consumatori, come è stato ritenuto dalla Sez. Lombardia (sent. n. 648/2009), la quale ha affermato l’idoneità di un articolo di stampa - piuttosto circostanziato e documentato sulla base di affermazioni di consiglieri dell’ente locale - a costituire la base per un’indagine. Infine, ai sensi dell’art. 24, c. 2 del D.Lgs. n. 123/2011 nell’ipotesi che la relazione redatta dagli ispettori dei Servizi ispettivi di finanza pubblica evidenzi ipotesi di danno erariale, va effettuata apposita segnalazione alla Procura regionale della Corte dei conti competente per territorio, ai sensi dell’art. 6, legge n. 1291/1962. 13. Rapporti tra azione civile e azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti L’azione di risarcimento dei danni esercitata dalla P.A. dinanzi alla giurisdizione ordinaria non impe1315 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini disce la contemporanea azione del P.M. contabile. Solo con il sopravvenire di una sentenza civile definitiva o di altro titolo parimenti satisfattivo della pretesa risarcitoria erariale, viene meno l’interesse ad agire del P.M. contabile. In caso di duplicità di titoli, la compensazione in sede esecutiva evita la duplicazione dei risarcimenti. Il carattere concorrente delle due azioni è stato inoltre affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 13 luglio 2007. Ciò, mentre l’esclusività della giurisdizione contabile è stata affermata con riferimento all’azione di rivalsa esercitata nei confronti di un pubblico dipendente in seguito a condanna della p.a. in sede civile, ai sensi dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 (Cass., ss.uu., 4.12.2001, n. 15288). In tali casi il concorso con la giurisdizione civile è escluso, attesa la peculiarità del regime sostanziale cui soggiace l’azione di rivalsa nei confronti del pubblico dipendente o dell’amministrazione, che è un regime diverso da quello civilistico. In sostanza, il regime stesso della responsabilità del dipendente nel caso all’esame esclude l’azione civilistica di regresso e quella in via di surrogazione reale ai sensi dell’art. 1203, n. 3 c.c. Cap. III Il procedimento nel giudizio di responsabilità 1. L’iniziativa del pubblico ministero Va premesso che l’azione di responsabilità è esercitata dal pubblico ministero contabile presso le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti. Il P.M. è l’unico soggetto che può attivare l’azione di responsabilità, ove ritenga sussisterne i presupposti, non potendo il giudice procedere d’ufficio, in assenza di domanda di parte. A sua volta, l’ente danneggiato, mentre è tenuto a segnalare i fatti dannosi alla competente Procura della Corte dei conti, non può sostituirsi al P.M., attivando il giudizio nei confronti dei presunti responsabili, non essendo titolare dell’azione amministrativa. Il giudizio in materia di responsabilità per danni all’erario si attiva attraverso l’iniziativa del Procuratore regionale della Corte dei conti presente in tutti i capoluoghi di Regioni, oltre che a Trento e Bolzano. L’art. 51 del Codice di giustizia contabile, al primo comma stabilisce che il P.M. inizia l’attività 1316 istruttoria sulla base di specifica e concreta notizia di danno. L’organizzazione delle funzioni del P.M. è disciplinata dall’art. 2 del D.L. n. 453/1994. Esse sono esercitate davanti alle Sezioni riunite della Corte e alle Sezioni centrali d’appello, dal Procuratore generale o da vice procuratori assegnati alla procura generale; presso le sezioni giurisdizionali regionali da un procuratore regionale a da altri magistrati addetti all’Ufficio. Norme più specifiche sono dettate riguardo alla legittimazione a proporre appello contro le sentenze di primo grado, che è attribuita sia al Procuratore generale che al procuratore regionale. Il Procuratore generale coordina l’attività dei procuratori regionali e questi ultimi coordinano l’attività dei magistrati addetti agli uffici. Le modalità del coordinamento, in assenza di norme specifiche, sono tratte dalle disposizioni sull’ordinamento giudiziario (D.Lgs. n. 106/2006, come modificate dalla legge. n. 269/2006). Il P.M., titolare in via esclusiva del potere di azione, è organo neutrale e agisce nell’interesse obiettivo dell’erario. La sua azione è autonoma, doverosa e irretrattabile. I poteri istruttori, già presenti nella legge n. 800 del 1862 e, successivamente, nell’art. 74 del T.U. del 1934, sono stati modificati con l’art. 16, c. 3 del D.L. n. 152/1991 in occasione dell’istituzione delle sezioni giurisdizionali meridionali. L’art. 2, c. 4 del D.L. n. 453/1993 ha stabilito che per l’esercizio delle sue attribuzioni la Corte dei conti può delegare l’esercizio di adempimenti istruttori a funzionari delle p.a. e avvalersi di consulenti tecnici. La delega di adempimenti istruttori a funzionari regionali è disposta d’intesa con il Presidente della regione o provincia autonoma (art. 1, legge n. 639/1996, di conversione del D.L. n. 543/1996). La funzione del P.M. - in analogia con quanto previsto dall’art. 385 c.p.p. per il P.M. penale - è tenuto a svolgere “accertamenti su fatti e circostanze a favore della parte individuata quale presunto responsabile” (art. 55, c. 1 del codice). L’art. 67 del Codice prevede che il P.R. emetta un “invito a dedurre” nei confronti della persona che intende citare in giudizio, assegnandole il termine di 30 giorni per le deduzioni e la documentazione. Ciò costituisce da un lato, un garanzia di difesa, dall’altro un’acquisizione per il P.M. di ulteriori elementi di valutazione. La mancata emissione di tale invito costituisce motivo di nullità della succes- corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 siva citazione e inammissibilità della reiterazione dell’invito stesso (C.d.c., Sez. III, n. 267/A /2007). 1. Prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, il pubblico ministero notifica al presunto responsabile un atto di invito a dedurre, nel quale sono esplicitati gli elementi essenziali del fatto, di ciascuna condotta contestata e del suo contributo causale alla realizzazione del danno contestato, fissando un termine non inferiore a quarantacinque giorni, che decorre dal perfezionamento dell’ultima notificazione dell’invito, entro il quale il presunto responsabile può esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contestazione formulata e depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti. 2. Nello stesso termine il presunto responsabile, con istanza da formulare in calce alle deduzioni di cui al comma 1, ovvero in separato atto, da depositare nella segreteria del pubblico ministero,può chiedere di essere sentito personalmente; in tal caso l’omessa audizione personale, determina l’inammissibilità della citazione. 3. Il pubblico ministero fissa il luogo e il giorno dell’audizione che, ad istanza del presunto responsabile, per motivate e comprovate ragioni, può essere differito comunque entro il termine di cui al comma 1. 4. Le audizioni personali, alle quali il presunto responsabile ha la facoltà di farsi assistere dal difensore, sono sempre verbalizzate a cura di un funzionario della Corte dei conti o da un appartenente agli organi di cui al comma 1, dell’articolo 56. 5. Il procuratore regionale deposita l’atto di citazione in giudizio, a pena di inammissibilità dello stesso, entro centoventi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno, salvo quanto disposto dall’articolo 86. Notificato l’invito a dedurre, l’interessato ha diritto ad accedere ai documenti menzionati nello stesso e a farsi assistere da un avvocato nell’eventuale audizione personale. Nei 120 giorni successivi al deposito delle deduzioni, il P.R. può emettere l’atto di citazione, salva l’interruzione feriale dall’1 agosto al 31 agosto sia per le deduzioni che per l’atto di citazione (C.d.c., ss.rr., 15.2.2007, n. 1/QM). Non trovano applicazione le regole del contraddittorio (C.d.c., I, n. 651/2009), né il destinatario dell’invito acquista la qualità di parte processuale e quindi non può partecipare al procedimento di proroga del termine di 120 giorni, che rappresenta l’unico caso normativamente disciplinato, di intervento del giudice sull’istruttoria del P.M. 2. Sequestro conservativo ante causam La disciplina del sequestro conservativo, ante causam, già dettata dall’art. 5, c. 3, 4, 5 del D.L. n. 453/1993 è integrata dalle disposizioni del c.p.c. sui procedimenti cautelari e in particolare dagli artt. 669 bis e segg. che disciplinano il procedimento cautelare in generale e dagli artt. 671 e ss. che riguardano il sequestro conservativo, è oggi disciplinata dall’art. 74 del Codice di giustizia contabile. Secondo l’art. 75la domanda di sequestro conservativo in corso di causa va proposta non al collegio, ma al presidente, ai sensi dell’art. 669-quater c.p.c. e il processo segue come se si trattasse di un sequestro ante causam. Tuttavia, poiché nel processo contabile manca la figura del giudice istruttore, si obietta che il giudice competente per la causa di merito non può che identificarsi nello stesso collegio giudicante. La decisione sul reclamo previsto dall’art. 76 del Codice spetta allo stesso giudice di primo grado in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 76, c. 3 e 4: «3. Il collegio, convocate le parti, omessa ogni formalità non necessaria al contraddittorio e svolti gli atti di istruzione ritenuti indispensabili in relazione ai presupposti e alle finalità del sequestro, decide in camera di consiglio non oltre venti giorni dal deposito del ricorso, pronunciando ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca l’ordinanza del giudice designato. 4. Il reclamo non sospende il provvedimento tuttavia il collegio,quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione». 3. Il giudizio di responsabilità L’applicazione della disciplina generale della responsabilità a tutti i dipendenti pubblici è confermata dall’art. 55 del D.Lgs.165/2001 e dall’art. 93 del T.U. Enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) il quale ha stabilito che per gli amministratori e il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato. La responsabilità amministrativa non richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto d’impiego o la qualità di dipendente, ma il semplice inserimento nell’organizzazione della p.a. con lo svolgimento di funzioni proprie della stessa amministrazione. Il giudizio di responsabilità per danni cagionati allo Stato dai suoi funzionari o agenti è istituito ad 1317 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini istanza del Procuratore 51 e seguenti del Codice di giustizia contabile. La citazione in giudizio con in calce il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza, va notificata nelle forme previste dal c.p.c. In ipotesi di responsabilità solidale, il valutare l’incidenza partecipativa di ciascun responsabile nella commissione del fatto dannoso è devoluta al giudice nel suo potere sindacatorio. Ne consegue che la domanda attrice non è nulla se contiene in merito indicazioni sufficienti per orientare il collegio, quanto meno desumibili dal contesto dei fatti e dei motivi di diritto enunciati (C.d.c., Sez. Marche, n. 389/1995). La costituzione del convenuto deve avvenire (art. 166 c.p.c.) almeno 20 giorni prima dell’udienza fissata e questa è l’indicazione dei termini che è contenuta nel decreto del Presidente che fissa l’udienza. Non è ammesso l’intervento autonomo o adesivo autonomo o ad adiuvandum del convenuto della P.A., ma solo quello adesivo dipendente, purché non introduca domande nuove o sia ampliativo del thema decidendum. L’introduzione del codice di giustizia contabile ha accentuato il carattere accusatorio del procedimento giurisdizionale per dare effettività ai principi costituzionali del contraddittorio e del diritto di difesa ma anche di giusto processo, per cui il giudice ha il potere di integrare il materiale probatorio ove esista un principio di prova posto a fondamento della domanda (C.d.c., Sez. Sicilia, n. 390/1998). 4. Vicende del processo Il processo viene introdotto con l’atto di citazione (art. 86 del codice), la quale è nulla se è omessa o assolutamente incerta l’identificazione del convenuto (c. 3) o se il convenuto non si costituisce in giudizio. La citazione è del pari nulla ove non vi sia corrispondenza tra i fatti indicati all’art. 86, c. 2, lett. e) e gli elementi essenziali del fatto specificati nell’invito a dedurre (art. 87 del codice). Sono fissate regole sulla pubblicità dell’udienza (art. 91, sul rinvio e la contumacia del convenuto (artt. 92 e 93), sull’assunzione dei mezzi di prova, tra cui la consulenza tecnica d’ufficio e la prova per testimoni (artt. 9499). La sentenza deve essere depositata in segreteria entro 60 gg. dalla conclusione della camera di consiglio nella quale è stata deliberata (art. 101: termine ordinatorio); è presa a maggioranza, ed è stesa dal relatore, a meno che no decida di stenderla il presidente (art. 101). Regole particolari sono fissate in 1318 ipotesi di incidente di falso (art. 105), di sospensione o di interruzione (per morte di una delle parti o la cessazione della rappresentanza)), per rinunzia agli atti del processo o per la sua estinzione con sentenza (artt. 104-111). È regolata dagli artt. 112 e 113, in analogia con quanto accade nel processo civile e in quello tributario, la procedura di correzione degli errori materiali. Norme particolari valgono per i giudizi innanzi alle Sezioni riunite (art. 114 e ss.) per le questioni di massima, per i regolamenti di competenza (artt. 118 e ss.), per i giudizi in unico grado, tra i quali quelli in materia di piani di riequilibrio degli enti territoriali di cui all’art. 11, c. 6, lett. a) (v. artt. 123 e seguenti). Importante novità è costituita dal rito abbreviato, di cui all’art. 130, nei casi in cui il convenuto voglia ottenere la definizione alternativa del giudizio mediante il pagamento della somma non inferiore al 50% della pretesa risarcitoria oggetto della citazione o, in caso di sentenza di condanna del convenuto (e mai nei casi di arricchimento doloso) mediante il pagamento di somma non inferiore al 70%. Il giudice provvede sulle spese nei casi di condanna, ma non è disposta la condanna alle stesse in caso si assoluzione da parte dei convenuti. Anzi, in base alla legge n. 135/1997, di conversione del D.L. n. 67/1997, e solo con riferimento ai dipendenti di amministrazioni statali, è previsto il rimborso, da parte dell’amministrazione delle spese legali sostenute nel caso che il giudizio si sia concluso con sentenza di assoluzione del convenuto e sempre che i limiti del rimborso siano da ritenere congrui da parte dell’Avvocatura dello Stato. La norma è tuttora vigente in quanto non abrogata dal Codice di giustizia contabile. Anche nel giudizio di responsabilità è previsto il giudizio monitorio, il cui limite di somma è stato elevato a 10.000 euro, da aggiornare ogni tre anni (art.131). Sulla determinazione presidenziale dell’addebito deve essere sentito il P.M., il cui parere è obbligatorio. Pertanto, nel caso che la richiesta di condanna sia mantenuta entro detto limite, l’atto di citazione deve contenere anche l’avviso del P.M. sull’entità della riduzione dell’addebito. 5. Il giudizio sui conti La parte III del Codice tratta del giudizio sui conti, che devono essere presentati alla chiusura dell’esercizio annuale o, comunque, alla cessazione della gestione (art. 139). corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 L’art. 141, c. 1 disciplina le ipotesi di promozione del giudizio da parte del P.M., che viene deciso dal giudice monocratico entro 30 giorni dal deposito del ricorso (comma 4). Avverso il suo decreto si può proporre gravame al collegio entro il termine fissato dalla sezione (art. 142) ed è definito con sentenza non appellabile (art. 144). Ove il conto chiuda in pareggio e risulti regolare, il giudice propone il discarico del contabile; il presidente trasmette la relativa relazione al P.M. che esprime il proprio avviso nei successivi 30 giorni, superati i quali il presidente ordina il discarico del conto (art. 146). 6. Il giudizio cautelare È anche disciplinato il procedimento cautelare (art. 161 e segg.), quando si lamenti un pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato. In particolare, nell’udienza di discussione il giudice, sentite le parti provvede con ordinanza in camera di consiglio all’accoglimento o al rigetto della domanda. Contro l’ordinanza è ammesso reclamo da proporsi entro 15 giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione/ notificazione, se anteriore. (art.162). All’udienza di discussione il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione, o, se questa viene rifiutata, fissa altra udienza nei dieci giorni successivi concedendo alle parti un termine perentorio non superiore a 5 giorni per il deposito in segreteria di note difensive (art. 164). Quindi pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo; ove la fattispecie risulta complessa, fissa nel dispositivo un termine non superiore a 60 giorni per il deposito della sentenza. Infine, la Corte dei conti giudica su giudizi ad istanza di parte, tra i quali i ricorsi a titolo cautelativo, su stipendi o altri emolumenti di funzionari o in materia di contabilità pubblica (art. 172 e segg.). Cap. IV Il Giudizio di appello 1. Appellabilità delle sentenze di I grado delle Sezioni regionali Gli artt. 177 e ss. prevedono i mezzi di gravame, quali l’appello, l’opposizione di terzo la revocazione e il ricorso per cassazione per i soli motivi attinenti alla giurisdizione. A Roma hanno sede le Sezioni centrali a cui il D.L. n. 453/1993 ha attribuito competenze di appello, attualmente in numero di tre, con competenza promiscua su tutti gli appelli contro le sentenze di primo grado delle sezioni regionali. Esse giudicano in numero di cinque magistrati, compreso il presidente. A Palermo ha sede una sezione d’appello per la Sicilia, istituita con D.Lgs. n. 200/1999. L’appello ha effetto devolutivo, per cui l’oggetto di cognizione del giudizio di primo grado si trasferisce a quello d’appello, nei limiti di cui ai motivi di impugnazione, mentre le domande non accolte in primo grado, se non espressamente riproposte, s’intendono rinunciate (art. 346 c.p.c.). Non sono ammesse domande né eccezioni (o documenti) nuove, tranne quelle rilevabili d’ufficio e neppure il richiamo per relationem alla comparsa di costituzione del primo grado (art. 193 del codice). Se proposte, le nuove domande sono dichiarate inammissibili d’ufficio. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova né possono essere prodotti nuovi documenti (art. 194). Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non siano riproposte in appello, s’intendono rinunciate (art. 195). In casi particolari, indicati all’art. 199 del codice, il giudice d’appello deve disporre il rinvio al giudice di primo grado. L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge (art. 198). È anche previsto che un terzo possa fare opposizione contro la sentenza esecutiva pronunciata tra altri soggetti quando essa pregiudica i suoi diritti. Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando la stessa è l’effetto di dolo o collusione a loro danno (art. 200). 2. Pronunce appellabili. Legittimazione e parti in appello Sono oggetto di appello le sentenze delle Sezioni giurisdizionali regionali in tutti i tipi di giudizio, compreso quello pensionistico. Sono appellabili anche i provvedimenti emanati in forma di ordinanza, se l’appello è consentito per soli motivi di diritto nella sostanza contengono decisioni di tutta o parte della controversia. Nei giudizi in materia di pensioni l’appello è consentito per soli motivi di diritto, ma la giurisprudenza ammette anche la deduzione del vizio per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in quanto configurante un motivo di diritto. 1319 area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini Presupposto dell’appello è l’interesse all’impugnazione, che si identifica con la soccombenza. Quest’interesse per il P.M. contabile non viene meno nel caso che la sentenza impugnata abbia accolto le conclusioni del P.M. di udienza, che siano diverse da quelle presenti nell’atto introduttivo del giudizio, in quanto le conclusioni assolutorie non equivalgono a rinuncia all’azione. La legittimazione ad appellare spetta sia al Procuratore generale che al procuratore regionale quando il P.M. sia stato parte nel giudizio di primo grado. Il che pone la questione se si tratta di uno stesso potere, pur se esercitato disgiuntamente, o di due distinti poteri. Appare più plausibile che si tratti dello stesso potere, in coerenza con l’appello civile, con la conseguenza che la notifica dell’appello ad uno dei due uffici di procura fa decorrere il termine breve anche per l’altro e l’appello proposto da uno dei due uffici consuma il potere di proporlo anche per l’altro, ed egualmente dicasi per la decadenza o l’acquiescenza (C.d.c., ss.rr., 14.5.2007, n. 2/QM). Il litisconsorzio necessario viene di regola escluso nei casi di responsabilità solidale ed anche in appello. Invero, esclusivo è il potere di azione del P.M., anche se ciò determina un vuoto di tutela incompatibile con l’art. 24 Cost. Del pari, il giudice di appello può eseguire un accertamento incidentale di responsabilità nei confronti di soggetti presenti in primo grado (e non anche in appello), solo al fine di determinare le quote di danno da porre a carico dei soggetti in giudizio, senza che tale accertamento possa esplicare effetti sulle posizioni ormai definitive degli assenti (C.d.c., ss.rr., 20.6.2001, n. 5/QM). 3. Forma e termini dell’appello. L’appello incidentale L’art. 178 del codice fissa in 60 giorni il termine per proporre l’appello, la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione. I termini sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza ed il ricorso nei primi tre casi va depositato nella segreteria del giudice adito, entro 30 giorni dall’ultima notificazione, insieme con la sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni. Il gravame è proposto alle sezioni centrali d’appello della Corte dei conti ed è proposto a cura della parte che impugna e nelle forme stabilite dagli artt. 285 e 286 c.p.c. In pratica il deposito è effettuato presso il ruolo unico e successivamente il gravame è assegnato ad una delle tre sezioni centrali d’appello, secondo criteri predeterminati. La notifica del gravame si considera tempestiva entro il termine è avvenuta la 1320 consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, che può desumersi dal timbro apposto (C.d.c., II, 13.5.2008, n. 146). Viceversa, ai fini del decorso del termine di 30 gg. per il deposito dell’appello si ha riguardo al giorno in cui la notifica si è perfezionata per il destinatario, non da quello in cui essa deve considerarsi compiuta per l’appellante (C.d.c., ss.rr., 21.12.2009, n. 8/QM). Tuttavia qualche recente pronuncia ha affermato che il termine del deposito decorre dalla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Il presidente della sezione, su richiesta della parte più diligente, fissa con decreto il giorno dell’udienza e i termini entro i quali provvedere alla notificazione del decreto e al deposito di documenti e memorie difensive (art. 181). La parte che abbia ottenuto il decreto di fissazione dell’udienza deve notificarlo all’altra parte entro il termine stabilito (art. 182). Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza, vanno riunite, anche d’ufficio, in un solo processo. L’impugnazione incidentale può essere rivolta contro qualsiasi capo della sentenza entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza. Le parti contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate a integrare il contraddittorio possono proporre impugnazione incidentale anche se per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza (art. 184). La riforma o l’annullamento parziale della sentenza ha effetto anche sulle parti della decisione dipendenti dalla parte riformata o annullata (art. 186). L’appello è proponibile tra le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado, dal procuratore regionale competente o dal procuratore generale (art. 189). La motivazione dell’appello deve contenere, a pena d’inammissibilità, la precisazione delle ragioni in fatto e in diritto sulle quali si fonda il gravame, con l’indicazione dei capi della sentenza che si intende appellare e delle circostanze dalle quali deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. La proposizione dell’appello sospende l’esecuzione della sentenza impugnata (art. 190). La costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini previsti per i procedimenti in primo grado (art. 191). Contro le sentenze previste dall’art. 102, comma 6, lett. d) del codice, l’appello può essere differito se la parte soccombente ne fa riserva entro il termine per appellare (art. 192). Nell’appello non possono essere proposte nuove domande, né nuove eccezioni (art. 193), né sono ammessi nuovi documenti o nuove prove (art. 194). L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto (art. 198). corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità - parte 21 4. Il ricorso per revocazione e per cassazione Secondo la giurisprudenza, le disposizioni contenute nel T.U. del 1934 (artt. 68-70) e nel Regolamento (artt. 106 e segg.) si integravano con quelle corrispondenti del c.p.c. Ora il codice di giustizia contabile, all’art. 202 nello stabilire quando le sentenze in primo grado o in appello possono essere impugnate per revocazione, riproduce pressoché integralmente il disposto dell’art. 395 c.p.c., aggiungendovi la facoltà per il P.M. di impugnare per revocazione la sentenza pronunciata senza che egli sia stato sentito, ovvero quando la sentenza è l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge (comma 2). La revocazione va proposta allo stesso giudice che pronunciò la decisione impugnata, che, in caso di composizione collegiale, può essere costituito dagli stessi giudici che hanno partecipato alla deliberazione della sentenza impugnata (art. 204). Si osservano, per il resto, le norme di cui agli artt. 202 e ss. del codice. In particolare, l’errore di fatto ha le stesse caratteristiche indicate dall’art. 395, n. 4 c.p.c. Si tratta di un errore estraneo al dibattito processuale che riguarda un fatto specifico e incontrovertibile nella sua esistenza; non è un errore del giudizio, ma una svista del giudice immediatamente rilevabile dagli atti, senza necessità di particolari indagini (C.d.c., Sez. app. Sicilia, 23.2.2010, n. 45/A). Non è invece un errore oggetto di revocazione quello determinato da un vizio logico o giuridico, quale quello sull’interpretazione della domanda, che riguarda l’attività valutativa del giudice (C.d.c., II, n. 368/2008). Quindi, il giudice della revocazione non procede a nuove valutazioni di merito degli stessi fatti, ma ad una valutazione per la prima volta di fatti nuovi non controversi e non più controvertibili nel giudizio oggetto di revocatoria. Da segnalare che talvolta si è riconosciuto l’errore revocatorio nell’omesso esame di domande ed eccezioni delle parti; il che non significa decisione implicita di rigetto, ma sentenza che integra un’omessa pronuncia obiettivamente rilevabile dalla motivazione delle sentenza, come nell’ipotesi che il travisamento delle risultanze processuali ha condotto il giudice d’appello a ritenere inesistente un fatto e cioè la proposizione degli appelli incidentali, invece esistente (C.d.c., II, n. 203/2007). Le decisioni in primo grado o in appello possono essere impugnate avanti alla Corte di cassazione ai sensi degli artt. 362 c.p.c. e 111, c. 8 della Costituzio- ne, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione; tale ricorso non sospende l’esecutività della sentenza impugnata, salvo il disposto di cui all’art. 209. Se avverso una sentenza definitiva della Corte dei conti sia stato proposto ricorso per cassazione, la parte che ha proposto domanda di revocazione può fare istanza di sospensione ai sensi dell’art. 205, dando dimostrazione di avere già depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza stessa (art. 209). 5. Interpretazione del titolo giudiziale ed esecuzione Se ai fini dell’esecuzione sorga questione sull’interpretazione di una decisione della Corte dei conti, le parti, la P.A. o l’ente interessato possono promuovere il giudizio di interpretazione del titolo giudiziale, ed il relativo procedimento è regolato dalle disposizioni che disciplinano il giudizio ad istanza di parte (art. 211). Le decisioni definitive di condanna e gli altri provvedimenti indicati dall’art. 212, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, sono muniti della formula esecutiva. Il P.M. competente per territorio, ottenuta copia della sentenza esecutiva, la comunica all’amministrazione titolare del credito erariale, e questa la notifica con la formula esecutiva al condannato, ai sensi dell’art. 137 e ss. c.p.,c., al fine di dare avvio all’esecuzione (art. 213). L’amministrazione titolare del credito erariale, ricevuta la comunicazione del titolo esecutivo, ha l’obbligo di avviare immediatamente l’azione di recupero del credito nel modi previsti dall’art. 214, c. 5, sotto la vigilanza del P.M. Trascorsi tre mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario, il responsabile del procedimento è tenuto a trasmettere al P.M. un prospetto informativo con indicazione delle partite riscosse e di quelle che restano da riscuotere, con relativi documenti giustificative (art. 214, c. 8). Si applicano, inoltre, le norme concernenti il recupero del credito erariale in via amministrativa (art. 215) e l’esecuzione forzata innanzi al giudice ordinario (art. 216). È, infine, previsto il giudizio di ottemperanza avanti al giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza, con le modalità previste dagli artt. 217 e 218 del codice. Particolarmente importanti le norme contenute nell’allegato 3 al Codice concernenti le abrogazioni, con particolare riferimento al R.D. n. 1038/1933, agli artt. 1, 2, 3, 6, 7 del d.P.R. n. 260/1998 e dell’art. 7 della legge n. 97/2001, oltre agli altri articoli del pari indicati. 1321