SOMMARIO 1. RICHIAMI SUL MODELLO CIRCUITALE .......................................... 5 ELEMENTI PER LA DESCRIZIONE DEI COMPONENTI .................................................... 6 ELEMENTI PER LA DESCRIZIONE DELLE INTERCONNESSIONI...................................... 9 FORMA CANONICA DELLE EQUAZIONI CIRCUITALI. ................................................. 10 APPUNTI DI TEORIA DEI CIRCUITI 2. BIPOLI FONDAMENTALI ................................................................... 13 ELEMENTI DI CLASSIFICAZIONE .............................................................................. 13 BIPOLI ELEMENTARI A-DINAMICI ............................................................................ 16 CONDENSATORE NON LINEARE ............................................................................... 20 INDUTTORE NON LINEARE ....................................................................................... 22 M. DE MAGISTRIS 3. DOPPI BIPOLI FONDAMENTALI....................................................... 25 GENERATORI CONTROLLATI ................................................................................... 25 TRASFORMATORE IDEALE E GIRATORE ................................................................... 28 AMPLIFICATORE OPERAZIONALE ............................................................................ 31 Funzionamento in regione lineare ....................................................................33 Funzionamento in regione non lineare .............................................................34 A.A. 2009-2010 PARTE I: APPROFONDIMENTI SU MODELLO CIRCUITALE E CIRCUITI NON LINEARI 4. CARATTERIZZAZIONI DEGLI M-PORTA LINEARI ....................... 38 RAPPRESENTAZIONE IN FORMA IMPLICITA DEI DOPPI BIPOLI LINEARI ..................... 38 RAPPRESENTAZIONI R, G, H DI DOPPI BIPOLI LINEARI PASSIVI ................................ 40 RAPPRESENTAZIONE DI TRASMISSIONE T DI UN DOPPIO BIPOLO LINEARE ............... 42 RAPPRESENTAZIONE “SCATTERING” S DI UN DOPPIO BIPOLO LINEARE.................... 44 DOPPI BIPOLI LINEARI NON RECIPROCI E ATTIVI ...................................................... 47 ALCUNI ESEMPI SUI DOPPI BIPOLI ............................................................................ 48 ESTENSIONI AI MULTI-PORTA LINEARI .................................................................... 51 5. COMPLEMENTI DI TOPOLOGIA CIRCUITALE .............................. 54 DEFINIZIONI E PROPRIETÀ RELATIVE AI GRAFI ........................................................ 54 MATRICE DI INCIDENZA DI NODO ............................................................................ 56 MATRICE DI MAGLIA ............................................................................................... 59 MATRICE DI TAGLIO ................................................................................................ 61 RELAZIONI TRA LE MATRICI TOPOLOGICHE ............................................................. 61 RICERCA AUTOMATICA DI UN ALBERO ED ALBERO OTTIMO .................................... 64 6. FORMULAZIONI ALTERNATIVE DELLE EQUAZIONI CIRCUITALI 67 POTENZIALI DI NODO E MATRICE DI INCIDENZA ...................................................... 67 Matrice delle conduttanze ai nodi.....................................................................71 Potenziali di nodo modificato: forma matriciale ..............................................74 CORRENTI DI MAGLIA E MATRICE DI MAGLIA .......................................................... 76 UNA RIVISITAZIONE DEL TEOREMA DI TELLEGEN ................................................... 77 EQUAZIONI CIRCUITALI NELLA FORMA DI STATO .................................................... 78 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Interpretazione geometrica della forma canonica e spazio delle configurazioni .......................................................................................................................... 80 Condizioni di esistenza delle equazioni di stato ............................................... 84 Circuito resistivo associato .............................................................................. 86 UNICITÀ DELLA SOLUZIONE PER UN CIRCUITO A-DINAMICO ................................... 90 ALBERO PROPRIO ED EQUAZIONI DI STATO ............................................................. 91 7. CIRCUITI MAL POSTI E FENOMENI DI “IMPASSE”...................... 93 ANALISI CIRCUITO RCDT VIA LINEARIZZAZIONE.................................................... 96 ANALISI QUALITATIVA GLOBALE PER IL CIRCUITO RCDT ....................................... 98 CIRCUITO RLDT, “IMPASSE” E FENOMENO DI SALTO .............................................. 99 CIRCUITO RLCDT E SOLUZIONE DELL’IMPASSE ................................................... 103 DINAMICA QUALITATIVA DI UN OSCILLATORE CON SALTO ................................... 105 8. ESISTENZA ED UNICITÀ DELLE SOLUZIONI.............................. 107 FUNZIONE LIPSCHITZIANA:................................................................................... 107 TEOREMA DI PEANO ............................................................................................. 110 TEOREMA DI PICARD-LIENDELOEF ....................................................................... 111 TEOREMA DI ESISTENZA ED UNICITÀ “GLOBALE” ................................................. 111 TEOREMA DI UNICITÀ NEL FUTURO ....................................................................... 118 DEFINIZIONI SULLA PASSIVITÀ E VINCOLI ENERGETICI ......................................... 118 CONDIZIONI DI UNICITÀ PER I CIRCUITI DINAMICI ................................................. 120 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 6 1. Richiami sul modello circuitale Richiami sul modello circuitale altri corsi. La distinzione tra componente ed elemento circuitale è essenziale, essendo quest’ultimo solo una rappresentazione matematica per il primo. Noi non ci occuperemo, nell’ambito di questo corso, del problema dello studio dei componenti ai fini della loro caratterizzazione; questo è argomento tipico dei corsi di modellistica. Val la pena di sottolineare comunque che, a seconda delle applicazioni e situazioni in esame, lo stesso componente può risultare rappresentato da modelli differenti; un classico esempio è il generatore, che a seconda dei casi è opportuno modellare come “ideale” o “reale”. Sostituendo dunque ai componenti i corrispondenti elementi circuitali avremo un circuito (modello), che è dunque per definizione una qualsiasi interconnessione tra elementi circuitali. Lo studio di un circuito fisico tramite il suo modello circuitale si basa (come per qualsiasi altro sistema fisico) su tre passaggi fondamentali: si deve anzitutto costruire il modello circuitale a cominciare dal circuito fisico, sfruttando intuito fisico ed esperienza ingegneristica. Poi bisogna studiare qualitativamente e quantitativamente, con i metodi più appropriati (eventualmente con la simulazione numerica) il modello matematico. Infine i risultati di tale studio vanno verificati sperimentalmente, validando così tutto il processo. Per i circuiti lineari (cioè quelli per i quali i modelli di tutti i componenti sono lineari) la soluzione del modello si basa su proprietà molto favorevoli, che consentono di esprimere in modo analitico le soluzione, e dunque di poterne determinare “a posteriori” tutte le proprietà. Per i circuiti non lineari la soluzione analitica raramente è disponibile. Bisogna dunque necessariamente affrontare la simulazione numerica. In tal caso, però, è di fondamentale importanza avere informazioni qualitative “a priori” che permettano di valutare l’attendibilità del risultato numerico. Oggetto della prima parte del corso sarà il modello circuitale con le sue principali proprietà. Vogliamo dunque richiamare i presupposti fondamentali dal punto di vista fisico e rivisitarne le leggi (assiomi) che lo definiscono. Un circuito fisico può essere definito come interconnessione di componenti circuitali. Perché tale sistema fisico sia modellabile come circuito, sappiamo che devono essere sostanzialmente trascurabili (dal punto di vista fisico) i fenomeni propagativi. Sotto tali ipotesi, dopo aver individuato nel circuito fisico i componenti e le connessioni (terminali) possiamo definire in modo univoco le grandezze tensione tra i terminali dei componenti ed intensità di corrente negli stessi. In una impostazione assiomatica possiamo guardare a queste grandezze come grandezze fisiche fondamentali, misurabili collegando ai terminali opportuni strumenti di misura (voltmetro ed amperometro). Le tensioni e le intensità di corrente sono, in generale, funzioni del tempo, ma dobbiamo escludere che dipendano dal punto specifico dei terminali dove vengono inseriti il voltmetro e l’amperometro: se ciò capitasse vorrebbe dire che il sistema in analisi non sarebbe adatto ad essere descritto dal modello circuitale! Nelle ipotesi appena richiamate (cioè che sia possibile definire in modo univoco le tensioni tra i terminali e le intensità di corrente negli stessi) il modello circuitale risulta definito dalla validità dei seguenti postulati: - per ogni maglia (percorso chiuso tra terminali) la somma (algebrica) delle tensioni è nulla (KVL); - per ogni nodo (congiunzione tra terminali) la somma (algebrica) delle intensità di corrente è nulla (KCL); - i componenti possono essere descritti in modo univoco da opportune relazioni tra le tensioni tra i terminali e le intensità di corrente negli stessi. Per eventuali richiami su tali questioni fondamentali si rimanda, ad esempio, a [2-3]. Ai componenti fisici corrispondono, nel modello circuitale, opportuni elementi circuitali che ne rappresentano i relativi modelli, quali ad esempio il resistore, generatore ideale, il diodo esponenziale etc., così come già noto da Va anzitutto richiamato che, se è verificata la legge di Kirchhoff per le tensioni, è possibile associare ai terminali (nodi) degli elementi una funzione potenziale u (t ) in modo tale che la tensione tra due terminali qualsiasi v(t ) può sempre essere espressa tramite la differenza tra i potenziali dei corrispondenti nodi: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Una volta chiariti i presupposti dell’utilizzo del modello circuitale vogliamo addentrarci maggiormente nella formulazione delle equazioni circuitali. Per far ciò è utile analizzare gli elementi necessari alla descrizione dei componenti (in termini di grandezze circuitali) e quelli necessari alla descrizione delle loro interconnessioni. Elementi per la descrizione dei componenti Elementi per la descrizione dei componenti vk (t ) = ui (t ) − u j (t ) 7 (1.1) (sull’argomento potenziali di nodo torneremo più avanti in modo diffuso). A ciascun terminale (nodo) è dunque possibile associare un potenziale u (t ) ed un’intensità di corrente i (t ) (scegliamo per convenzione sempre il verso di riferimento entrante). Come abbiamo detto un circuito è definito come una connessione di un numero (finito) di elementi. Ciascun elemento è dotato di un certo numero N di terminali. L’elemento sarà dunque caratterizzabile in generale tramite alcune relazioni tra i potenziali e le intensità di corrente. Consideriamo un generico elemento con N terminali come rappresentato in Figura 1.1. Preso un qualsiasi terminale come riferimento per i potenziali, possiamo considerare le N − 1 tensioni tra i terminali e quello preso come riferimento, e le N − 1 intensità di corrente nei terminali (escluso quello di riferimento). Osserviamo che con tale definizione le tensioni corrispondono proprio ai potenziali dei terminali considerati. 8 Richiami sul modello circuitale rappresenta dunque, un insieme minimo fondamentale. Si osservi che le variabili descrittive sono in numero pari a 2( N − 1) . Un caso estremamente importante è quello nel quale il numero di terminali è N = 2 ; in tal caso l’insieme delle grandezze descrittive si riduce ad una tensione ed una corrente, ed il componente prende il nome (ben noto) di bipolo. Nel caso di un N -polo per il quale i terminali sono caratterizzati a coppie dalla stessa intensità di corrente, tali coppie si definiscono porte e l’elemento viene chiamato M -porte; in questo caso si ha che M = N / 2 . Il vincolo che le intensità di corrente nei terminali costituenti la porta siano uguali (scelte opportunamente le convenzioni) è un vincolo ulteriore rispetto a quello già evidenziato (cioè che la somma delle intensità di corrente di tutti i terminale è nulla). Esso può essere imposto dalla costituzione dell’elemento così come dal modo in cui l’elemento è collegato al circuito. Per un M -porte, tenuto conto dei vincoli sulle correnti, le variabili descrittive sono M tensioni ed M intensità di corrente. Va osservato che un generico N -polo può sempre essere considerato come un M − porte con M = N − 1 se collegato come in Figura 1.2. Per tale motivo la caratterizzazione degli M − porte assume particolare rilievo nello studio dei circuiti. Figura 1.1 Un generico N -polo e le sue variabili descrittive Se per l’elemento valgono le leggi di Kirchhoff, è immediato constatare che: - ogni altra tensione definibile tra due terminali è immediatamente ricavabile come combinazione di quelle definite; - l’intensità di corrente del terminale assunto come riferimento è pari alla somma, cambiata di segno, di quelle degli altri N − 1 terminali. Ha senso dunque definire v d = (v1N , v2 N ,...vN −1N )T come il vettore delle Figura 1.2 Caratterizzazione come M -porte di un elemento a N = M + 1 terminali Nel caso più generale il funzionamento di ciascun dispositivo è descritto, dunque, dalle relazioni esistenti tra le “storie” delle intensità di corrente e delle tensioni descrittive, una volta scelto un insieme di grandezze descrittive: ℑ( v d , i d ) = 0, (1.2) tensioni descrittive, i d = (i1 , i2 ,...iN −1 )T quello delle correnti descrittive. Ebbene, la scelta fatta consente di caratterizzare univocamente il componente e di determinare tutte le altre grandezze definibili. L’insieme v d , i d dove ℑ è in generale un funzionale che dipende solo dall’elemento considerato. È molto importante e frequente il caso in cui tali legami si M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Elementi per la descrizione delle interconnessioni 9 riducono ad una natura puramente algebrica, legando dunque in modo istantaneo i valori delle grandezze descrittive: f ( v d , i d ) = 0. (1.3) Gli elementi circuitali per i quali le relazioni caratteristiche sono di tipo algebrico sono detti a-dinamici, mentre gli altri sono detti dinamici. Elementi per la descrizione delle interconnessioni Il circuito è dunque l’interconnessione, realizzata attraverso i terminali, di più elementi circuitali. Abbiamo già definito i nodi come le congiunzioni tra più terminali; se un terminale è connesso ad un nodo diremo che l’elemento stesso è connesso al nodo attraverso il suo terminale. Nel caso di un elemento a due terminali, esso inevitabilmente sarà connesso a due nodi. È possibile rappresentare graficamente tale circostanza, utilizzando un arco che leghi i due nodi in questione, cui diamo il nome di lato. Se l’elemento in questione ha più terminali, una volta scelto l’insieme delle tensioni e correnti rappresentative, sarà comunque possibile associare opportunamente dei “lati” all’elemento per descriverne la connessione agli altri elementi del circuito. In Figura 1.3 è mostrata la rappresentazione in termini di grafo elementare di un bipolo, di un N -polo e di un M -porte. Figura 1.3 rappresentazione in termini di grafo elementare di un bipolo, di un N-polo e di un M-porte. L’utilizzo di nodi e lati per descrivere la struttura delle interconnessioni tra gli elementi permette di introdurre ed utilizzare i concetti della teoria dei grafi nella descrizione della interconnessioni tra gli elementi nei circuiti. Ciò risulta molto utile per poter scrivere le equazioni di Kirchhoff per il circuito ed analizzarne le rispettive proprietà di indipendenza. Ricordiamo brevemente che si definisce grafo associato al circuito considerato l’insieme dei nodi, dei lati e della relazione (detta di incidenza) che lega i lati ai nodi. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 10 Richiami sul modello circuitale L’uso dei grafi per rappresentare le interconnessioni tra gli elementi circuitali, così come di altri strumenti collegati ad essi (matrici topologiche) consentiranno di approfondire le proprietà del modello circuitale e di trovare diverse formulazioni delle equazioni circuitali. Su questo torneremo diffusamente più avanti. Equazioni indipendenti di Kirchhoff per i nodi ed esempi Equazioni indipendenti di Kirchhoff per le maglie ed esempi Equazioni indipendenti di Kirchhoff per i tagli ed esempi (vedi esempi svolti in aula) Forma canonica delle equazioni circuitali. Si consideri un circuito connesso con n nodi e b lati. Se i lati sono b le incognite del circuito sono in numero pari a 2b (cioè l’insieme di tutte le tensioni e le intensità di corrente descrittive degli elementi presenti nel circuito. Quali sono le equazioni circuitali fondamentali da utilizzare per la sua analisi? In base a quanto abbiamo visto a proposito delle equazioni di Kirchhoff indipendenti, possiamo dunque costruire il nostro sistema nel modo seguente: - n − 1 equazioni linearmente indipendenti per le intensità di corrente, ottenute applicando la legge di Kirchhoff per le correnti ad n − 1 nodi qualsiasi del circuito; - b − (n − 1) equazioni linearmente indipendenti alle tensioni, ottenute applicando la legge di Kirchhoff per le tensioni a b − (n − 1) maglie indipendenti del circuito - b equazioni caratteristiche (indipendenti). Il sistema di 2b equazioni (in altrettante incognite) così formulato prende il nome di forma canonica delle equazioni circuitali. Ricordiamo che in tale sistema le equazioni di Kirchhoff sono algebriche, lineari ed omogenee. Le equazioni caratteristiche possono essere sia di tipo algebrico che di tipo differenziale, a seconda della natura degli elementi. Se il circuito è costituito da soli elementi a-dinamici, le equazioni circuitali sono di tipo algebrico. Se nel circuito ci sono anche elementi dinamici, allora le equazioni circuitali sono di tipo algebrico-differenziale. Ha senso a questo punto porsi le seguenti questioni: le 2b equazioni circuitali in forma canonica sono tutte indipendenti e compatibili? Ed in tal caso la soluzione è unica? M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Forma canonica delle equazioni circuitali. 11 Possiamo certamente affermare che, fatta eccezione di pochi casi molto particolari, le equazioni di interconnessione e le equazioni caratteristiche sono tra loro indipendenti e compatibili. Per quanto riguarda l’unicità della soluzione invece, è importante osservare che va distinto il caso dei circuiti lineari da quello dei circuiti non lineari: infatti mentre per i circuiti lineari, se le equazioni sono indipendenti e compatibili la soluzione è certamente unica, per i circuiti non lineari ciò non è più garantito in generale! Riferimenti bibliografici: [1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986, ISBN 0-89006-208-0. [2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. [3] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007 ISBN: 978-88-4700537-2. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 14 2. Bipoli fondamentali Bipoli fondamentali Un componente descritto da una relazione caratteristica algebrica del tipo dell’equazione (2.1) viene definito genericamente “resistore”. Nel caso (piuttosto frequente) in cui la caratteristica non dipenda esplicitamente dal tempo il resistore viene detto tempo invariante: f (v , i ) = 0 Nel costruire il modello circuitale è necessario introdurre un opportuno “set” di elementi circuitali (dunque non componenti fisici) che ci permetta di costruire i modelli dei circuiti che vogliamo studiare. A tal proposito andiamo a rivisitare le definizioni e la classificazione di elementi per la maggior parte già noti dai corsi precedenti, con obbiettivo di specificarne maggiormente le proprietà matematiche. È utile osservare che, da un punto di vista formale, l’insieme degli elementi circuitali che vengono generalmente introdotti non è un insieme minimo. Al contrario contiene qualche ridondanza, nel senso che alcuni elementi possono essere espressi tramite altri, e viceversa. D’altro canto tale ridondanza permette spesso una migliore corrispondenza con i componenti fisici. Elementi di classificazione Come già accennato gli elementi circuitali vanno anzitutto classificati in due grandi categorie: quelli a-dinamici (o statici, o senza memoria), e quelli dinamici (o con memoria). I primi sono caratterizzati dal fatto che il legame tra le tensioni e le intensità di corrente descrittive è di tipo algebrico, dunque “istantaneo”. Per i secondi, invece, tale legame è in generale di tipo funzionale, e dunque porta in qualche modo memoria della storia temporale precedente all’istante considerato. Ha senso poi distinguere gli elementi circuitali in tempo-varianti ovvero tempo-invarianti a seconda che le relazioni caratteristiche dipendano o meno esplicitamente dal tempo. Consideriamo dapprima i bipoli a-dinamici, cioè gli elementi circuitali con soli due terminali e caratteristica di tipo algebrico. Essi sono dunque caratterizzati da un legame costitutivo che può sempre essere espresso in forma implicita come: f (v , i , t ) = 0 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (2.1) (2.2) Possiamo definire per un generico resistore un valore di tensione ammissibile se esiste almeno un valore dell’intensità di corrente in corrispondenza del quale la caratteristica è verificata. Analogamente si definisce un’intensità di corrente ammissibile. Se la (2.2) può essere esplicitata nella forma i = g (v ) il bipolo si dice controllato in tensione: ciò implica che ad ogni valore di tensione v corrisponde un unico valore di intensità di corrente i . Analogamente, se è possibile scrivere v = r (i ) si dirà controllato in corrente. I concetti appena introdotti hanno un utilizzo alquanto immediato. Difatti: - collegando un generatore di tensione (corrente) in parallelo (serie) con un resistore per cui quel valore di tensione (corrente) non è ammissibile, il modello non ha soluzione. - collegando un generatore di tensione (corrente) in parallelo (serie) con un resistore controllato in corrente (tensione) potremmo trovare più soluzioni. In Figura 2.1 sono mostrati esempi di curve caratteristiche di bipoli per le quali si evidenziano i fenomeni appena esposti. i i I0 V0 v (a) v (b) Figura 2.1 a) esempio di tensione non ammissibile per il bipolo considerato; b) esempio di bipolo non caratterizzabile in corrente In relazione ai bipoli a-dinamici è possibile dare altre definizioni che sono di una certa rilevanza ai fini dello studio delle proprietà dei circuiti. In M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 15 Elementi di classificazione particolare, per una generica funzione algebrica f è possibile dare le due seguenti definizioni: - f funzione “smooth” (analitica, o indefinitamente derivabile) f funzione “piecewise linear” (lineare a tratti). n Ricordiamo inoltre che una funzione del tipo f ( x1 , x2 ,...xn ) = b + ∑ ai xi ,si i =1 dice “affine”. Si dice lineare se b = 0 . Tali definizioni sono importanti per classificare dal punto di vista delle proprietà matematiche gli elementi circuitali non lineari, che a loro volta determinano quelle del circuito in cui sono parte. Nel seguito del corso faremo una forte ipotesi: i nostri resistori saranno sempre o “smooth” o “piecewise linear”. Tale ipotesi, che potrebbe sembrare piuttosto restrittiva, è in realtà abbastanza realistica. Infatti, molto spesso i componenti circuitali vengono modellati con funzioni elementari analitiche, ovvero le caratteristiche note per punti (da misure) vengono interpolate con funzioni lineari a tratti. Vedremo più avanti come estendere tali criteri di classificazione agli elementi dinamici come condensatori o induttori. Osserviamo infine che le caratteristiche lineari appartengono contemporaneamente ad entrambe le classi: dunque i modelli di circuiti lineari godranno contemporaneamente delle proprietà di entrambe le classi di circuiti. 16 Bipoli fondamentali che con funzioni lineari a tratti: in dipendenza dal modello scelto il circuito potrebbe avere proprietà globali abbastanza diverse! Alla luce di quanto sin qui richiamato riprendiamo ora le definizioni di alcuni elementi circuitali fondamentali. Bipoli elementari a-dinamici I bipoli elementari a-dinamici rientrano nella generica categoria dei resistori, il cui simbolo è in generale quello in Figura 2.3. Osserviamo che esso ricorda quello di un resistore lineare, ma è riquadrato da un rettangolo che simboleggia la maggiore generalità. Inoltre, in generale, è necessario distinguere i due terminali, in quanto la caratteristica potrebbe essere non simmetrica, e ciò è simboleggiato dalla banda nera accanto ad uno dei due terminali. Figura 2.3: simbolo del generico resistore non lineare Resistore lineare ( v = Ri ) Figura 2.4: (a) simbolo del resistore lineare; (b) curva caratteristica Figura 2.2: relazione tra gli insiemi delle funzioni smooth, lineari a tratti e lineari Dal punto di vista matematico queste due classi di funzioni rappresentano due realtà complementari: le funzioni “smooth” possono essere derivate senza problemi, ma sono intrinsecamente non lineari; viceversa le funzioni lineari a tratti non sono derivabili ovunque, ma sono localmente lineari. Possiamo immaginare di modellare lo stesso componente fisico sia con funzioni smooth M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 17 Bipoli elementari a-dinamici Generatori di tensione e corrente ( v = e; 18 Bipoli fondamentali i= j) Diodo zener Figura 2.7: (a) simbolo del diodo zener; (b) curva caratteristica Diodo tunnel Figura 2.5: (a) simbolo del generatore di tensione (b) curva caratteristica (c) simbolo del generatore di corrente (d) curva caratteristica ( Diodo esponenziale i = I S e v VT − 1) Figura 2.8: (a) simbolo del diodo tunnel; (b) curva caratteristica Tiristore (a gate disconnessa) Figura 2.6: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello esponenziale Figura 2.9: (a) simbolo del tiristore; (b) curva caratteristica M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 19 Bipoli elementari a-dinamici 20 Bipoli fondamentali Nullatore e noratore Modello del diodo lineare a tratti v≥0 ⎪⎧i = G f v ⎨ v≤0 ⎪⎩i = Gi v Un ruolo a parte meritano i “bipoli” nullatore e noratore, i cui simboli sono rappresentati in Figura 2.12. Il primo è caratterizzato da v = 0, i = 0 , mentre il secondo ammette qualsiasi valore di tensione e corrente ai suoi capi. Essi non sono bipoli a-dinamici in senso stretto, cioè non possiamo descriverli con un legame del tipo f (v, i ) = 0 . Figura 2.10: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello lineare a tratti Osserviamo che siccome si ha G f ≠ 0, Gi ≠ 0 il bipolo risulterà controllabile sia in tensione che in corrente. Modello del diodo ideale i≥0 ⎧v = 0 ⎨ v≤0 ⎩i = 0 Osserviamo che esso non è controllato né in tensione né in corrente, dunque esiste solo la forma implicita f (v, i ) = 0 per la caratteristica. Figura 2.12: (a) simbolo del nullatore; (b) simbolo del noratore Condensatore non lineare Il condensatore (non lineare) è il bipolo definito dalle relazioni: ⎧ f ( q, v ) = 0 ⎪ ⎨ dq ⎪⎩i = dt (2.3) Figura 2.13: simbolo del generico condensatore non lineare Figura 2.11: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello ideale M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Come vediamo dalla definizione, esso è un bipolo dinamico, caratterizzato da un legame differenziale (lineare) tra le variabili q ed i , e da uno algebrico (in generale non lineare) tra le variabili q e v . Facciamo anzitutto l’ipotesi che la funzione f sia di tipo “smooth” o lineare a tratti. In analogia poi a quanto definito per i resistori, definiremo i concetti di: - tensione e carica ammissibili per il condensatore - condensatore controllato in tensione o carica M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Condensatore non lineare 21 Vediamo ora al solito alcuni esempi. Condensatore lineare ( q = Cv ): dv i=C dt 22 Bipoli fondamentali Induttore non lineare L’induttore (non lineare) è il bipolo definito dalle relazioni: (2.4) ⎧ f (ϕ , i ) = 0, ⎪ ⎨ dϕ ⎪v = dt ⎩ (2.5) Figura 2.16: Simbolo del generico induttore non lineare Figura 2.14: (a) simbolo del condensatore lineare; (b) curva caratteristica Diodo Varactor 2 ⎧ 3 ⎛ ⎞ 3 v ⎪ q (v ) = − C V 1 − , ⎜ ⎟ 0 0 ⎪ 2 V 0 ⎝ ⎠ ⎨ ⎪ dq ⎪i = . ⎩ dt Come vediamo dalla definizione, anch’esso è un bipolo dinamico, caratterizzato da un legame differenziale (lineare) tra le variabili ϕ ed i, e da uno algebrico (in generale non lineare) tra le variabili ϕ e v Anche in questo caso facciamo l’ipotesi che la funzione f sia smooth o lineare a tratti. In analogia poi a quanto definito per i resistori, definiremo i concetti di: - flusso e corrente ammissibili per l’induttore - induttore controllato in flusso o in corrente Vediamo anche qui alcuni esempi. Induttore lineare ( ϕ = Li ): v=L di dt (2.6) Figura 2.15: (a) simbolo del diodo varactor; (b) curva caratteristica Figura 2.17: (a) simbolo dell’induttore lineare; (b) curva caratteristica M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 23 Induttore non lineare 24 Bipoli fondamentali Induttore su un nucleo ferromagnetico (con saturazione) Giunzione Josephson a) approssimazione polinomiale i = aϕ + bϕ 3 b) approssimazione lineare a tratti ⎧ϕ ⎛1 1 ⎞ ϕ > ϕ0 ⎪ − ϕ0 ⎜ − ⎟ ⎪ L1 ⎝ L1 L0 ⎠ ⎪ ϕ ⎪ −ϕ0 ≤ ϕ ≤ ϕ0 i=⎨ L0 ⎪ ⎪ϕ ⎛ ⎞ ⎪ + ϕ0 ⎜ 1 − 1 ⎟ ϕ < −ϕ0 ⎪⎩ L1 ⎝ L1 L0 ⎠ Figura 2.19 Caratteristica di una giunzione Josephson i i (a) (b) Riferimenti bibliografici: [1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986, ISBN 0-89006-208-0. [2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. [3] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007, ISBN: 978-88470-0537-2. Figura 2.18 caratteristica di un induttore saturabile: (a) polinomiale; (b) lineare a tratti M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 26 Doppi bipoli fondamentali i1 = 0, 3. Doppi bipoli fondamentali Abbiamo già incontrato gli elementi circuitali a più terminali, definendone le tensioni e le correnti descrittive, e mettendo in evidenza come possono essere caratterizzati come N-polo. Una situazione molto frequente è che gli elementi a più terminali vengano invece caratterizzati raggruppando i terminali a due a due in “porte”, imponendo che per ciascuna porta le correnti entranti nei terminali siano uguali ed opposte; in tal caso parleremo di Mporte. E’ appena il caso di osservare che, se anche il numero di terminali dell’N-polo originale è dispari, è sempre possibile realizzare opportunamente uno schema di caratterizzazione a multi-porta: basti pensare alla tipica caratterizzazione del transistore, nella quale uno dei tre terminali viene considerato “comune” realizzando così una porta di ingresso ed una di uscita. Passiamo ora in rassegna alcuni doppi bipoli fondamentali con le loro principali proprietà. (3.1) v2 = α v1 , dove α è una costante adimensionale detta rapporto di trasferimento di tensione. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura 3.1a. La porta “1” è equivalente ad un circuito aperto e la porta “2” è equivalente ad un generatore ideale di tensione che impone una tensione dipendente linearmente dalla tensione della porta “1”. Generatore di tensione controllato in corrente Il generatore di tensione controllato in corrente è un doppio bipolo lineare definito dalle relazioni caratteristiche: v1 = 0 v2 = ri1 , (3.2) dove r è una costante, che prende il nome di trans-resistenza del generatore controllato; r si misura in ohm. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura 3.1b La porta “1” è equivalente ad un corto circuito e la porta “2” è equivalente ad un generatore ideale di tensione che impone una tensione dipendente linearmente dall’intensità di corrente della porta “1”. Generatori controllati I generatori controllati sono doppi bipoli adinamici: una delle due grandezze - tensione o intensità di corrente - ad una delle due porte è funzione una delle due grandezze - tensione o intensità di corrente - all’altra porta. Per convenzione, la porta che funziona da “generatore” è la porta “2” e la porta che “controlla” il generatore è la porta “1”. Considerando tutte le possibili combinazioni si hanno i diversi possibili generatori controllati. È particolarmente importante il caso dei generatori controllati lineari: in tal caso la grandezza controllata risulta proporzionale alla grandezza di controllo. Generatore di tensione controllato in tensione Il generatore di tensione controllato in tensione è un doppio bipolo lineare definito dalle relazioni caratteristiche: Figura 3.1: Simboli dei quattro tipi di generatori controllati lineari M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Generatori controllati 27 Generatore di corrente controllato in tensione Il generatore di corrente controllato in tensione è un doppio bipolo lineare definito dalle relazioni caratteristiche: i1 = 0 i2 = gv1 , (3.3) dove g è una costante, che prende il nome di trans-conduttanza; g si misura in siemens. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura 3.1c La porta “1” è equivalente ad un circuito aperto e la porta “2” è equivalente ad un generatore di corrente ideale che impone un’intensità di corrente dipendente linearmente dalla tensione della porta “1”. Generatore di corrente controllato in corrente Il generatore di corrente controllato in corrente è un doppio bipolo lineare definito dalle relazioni caratteristiche: v1 = 0 i2 = βi1 , (3.4) dove β è una costante adimensionale, che prende il nome di rapporto di trasferimento di corrente. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura 3.1d. La porta “1” è equivalente ad un corto circuito e la porta “2” è equivalente ad un generatore ideale di corrente che impone un’intensità di corrente dipendente linearmente dalla corrente della porta “1”. Le caratteristiche dei generatori controllati possono essere utilmente espresse utilizzando la notazione vettoriale, come abbiamo già fatto per i doppi bipoli lineari passivi. Se, ad esempio, consideriamo il generatore di tensione controllato in corrente, potremo infatti riscrivere la caratteristica come: ⎛ v1 ⎞ ⎛ 0 0 ⎞⎛ i1 ⎞ ⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟⎟⎜⎜ ⎟⎟ , ⎝ v2 ⎠ ⎝ r 0 ⎠⎝ i2 ⎠ Doppi bipoli fondamentali v2=0). Tali proprietà si rifletteranno, come avremo modo di mostrare con opportuni esempi, sui circuiti che contengano al loro interno i generatori controllati. Osserviamo anche che i generatori controllati non godono della reciprocità, e la loro caratterizzazione è unica. Consideriamo ad esempio il generatore di tensione controllato in tensione; la sua caratteristica, in forma matriciale, è data da: ⎧v 2 = α v1 ⎛i ⎞ ⎛0 ⇒ ⎜⎜ 1 ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎨ ⎩i1 = 0 ⎝ v2 ⎠ ⎝ α 0 ⎞⎛ v1 ⎞ ⎟⎜ ⎟ 0 ⎟⎠⎜⎝ i2 ⎟⎠ (3.6) Come si vede subito la matrice è non simmetrica e singolare! Come conseguenza della sua non invertibilità, si ha anche che la rappresentazione considerata è unica. Per i circuiti che contengono, oltre a resistori lineari e generatori indipendenti (ideali), anche generatori controllati vale la proprietà della sovrapposizione degli effetti. I generatori controllati appena definiti non sono in realtà tutti indipendenti, come vedremo con il seguente esempio. In particolare, da due di essi è possibile ricavare gli altri due (Figura 3.2). Figura 3.2: Esempio di dipendenza nella definizione di generatori controllati. Trasformatore ideale e giratore (3.5) E’ importante osservare le proprietà di questa rappresentazione lineare: essa è singolare (il determinante della matrice è nullo), è non simmetrica (banalmente), e da ultimo è “inerte” (ad ingresso i1=0 corrisponde l’uscita M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 28 Nella classe dei doppi bipoli lineari adinamici che stiamo considerando, assumono particolare importanza il trasformatore ideale ed il giratore, che sono due elementi circuitali in grado di realizzare importanti funzioni. Il trasformatore ideale è un doppio bipolo lineare il cui funzionamento è descritto dalle seguenti relazioni: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Trasformatore ideale e giratore v1 = nv2 29 (3.7) i2 = − ni1 dove la costante positiva n è detta rapporto di trasformazione. Il simbolo circuitale del trasformatore ideale è illustrato in Figura 3.3. Come si vede subito dalle equazioni (3.7) la proprietà fondamentale è che le grandezze tensioni alla porta “1” ed alla porta “2” sono legate tra loro dal rapporto fisso n, ed in modo inverso (ed opposto) le correnti. E’ immediato mostrare, sostituendo nell’espressione della potenza le caratteristiche, che la potenza elettrica assorbita dal trasformatore ideale è uguale a zero in qualsiasi condizione di funzionamento. Ciò si esprime anche dicendo che esso è trasparente alla potenza. In conseguenza di ciò esso è dunque è un doppio bipolo passivo che non dissipa né immagazzina energia. Per il trasformatore ideale, come si verifica subito dalla caratteristica, non vale la non amplificazione delle tensioni e delle correnti, pur essendo come abbiamo detto passivo. Stante la linearità delle equazioni caratteristiche, invece, in un circuito che contenga trasformatori ideali continua a valere la sovrapposizione degli effetti. 30 Doppi bipoli fondamentali che si stabilisce in questo modo viene spesso chiamata “trasporto al primario” di un bipolo. Figura 3.4: circuito equivalente del trasformatore ideale tramite generatori controllati Il trasformatore ideale può essere realizzato tramite generatori controllati con il circuito illustrato in Figura 3.4. Il giratore è un doppio bipolo lineare definito dalle seguenti relazioni i1 = Gv2 (3.9) i2 = −Gv1 dove la costante G è detta conduttanza di girazione; il simbolo del giratore è illustrato in Figura 3.5a. Per i circuiti che contengono, oltre a resistori lineari e generatori indipendenti (ideali), anche giratori vale la proprietà della sovrapposizione degli effetti. Figura 3.3: (a) simbolo del trasformatore ideale; (b) trasformatore terminato con un resistore La proprietà più importante del trasformatore può essere illustrata considerando il circuito di Figura 3.2b (alla porta “2” del trasformatore è connesso un resistore lineare con resistenza R). In questo caso si ha: v1 = nv2 = − nRi2 = n 2 Ri1 . (3.8) Dunque, quando alla porta “2” del trasformatore ideale è collegato un resistore lineare di resistenza R, la porta “1” si comporta come se fosse un resistore lineare di valore n2R. Pertanto il trasformatore consente di variare la resistenza di un resistore senza alterarne la costituzione fisica. L’equivalenza M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 3.5: (a) simbolo del giratore; (b) un giratore terminato alla porta di uscita con un condensatore è equivalente ad un induttore Anche per il giratore si può immediatamente verificare che la potenza elettrica assorbita è uguale a zero in qualsiasi condizione di funzionamento, quindi esso è un doppio bipolo passivo che né dissipa e né immagazzina energia. Come per il trasformatore, anche questo doppio bipolo non conserva M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 31 Amplificatore operazionale la non amplificazione delle tensioni e delle correnti. Ciò può essere verificato, ad esempio, considerando il circuito che si ottiene collegando ad una porta del giratore un generatore ideale di tensione e all’altra porta un resistore lineare. La proprietà più importante del giratore può essere illustrata considerando il circuito illustrato Figura 3.5b: alla porta “2” del giratore è connesso un condensatore lineare tempo-invariante con capacità C. In questo caso si ha v1 = − i2 C dv2 C di1 = = G G dt G 2 dt (3.10) Quando alla porta di un giratore è collegato un condensatore lineare e tempo invariante di capacità C, l’altra porta si comporta come se fosse un induttore lineare e tempo invariante di induttanza C/G2 Pertanto, il giratore consente di realizzare un bipolo induttore a partire da un condensatore. Vale anche la proprietà duale: tramite un giratore è possibile realizzare un bipolo condensatore a partire da un induttore. 32 Doppi bipoli fondamentali L’amplificatore operazionale è caratterizzato da valori tipici per I + ed I − dell’ordine dei μA, se non delle centinaia di nA. Tenuto conto di questa circostanza, normalmente si fa l’approssimazione I + = I − ≅ 0 . La tensione Esat è generalmente dell’ordine di 10-15 V (in dipendenza dalla tensione di alimentazione). Nella regione cosiddetta lineare, ovvero per − ε ≤ v ≤ ε , si definisce il guadagno in tensione Av = Esat ε che risulta generalmente dell’ordine di 105 – 106. Osserviamo anzitutto che, nell’approssimazione appena considerata, l’amplificatore operazionale diviene intrinsecamente un doppio bipolo, ed in particolare un generatore di tensione controllato in tensione con legge di controllo non lineare vo = f (vi ) . In particolare si tratta di un doppio bipolo attivo, nel senso che la potenza erogata (alla porta di uscita) può essere positiva. Tenuto conto dei valori tipici per il guadagno in tensione Av , ha senso definire l’amplificatore operazionale ideale nel limite Av → ∞ : i+ = 0 i− = 0 Amplificatore operazionale Tra i componenti a più terminali l’amplificatore operazionale riveste un ruolo di grande importanza, a causa delle innumerevoli funzioni che è possibile realizzare con circuiti basati su di esso. In linea generale esso è un quadripolo, il cui simbolo è riportato in Figura 3.6a, per il quale valgono le relazioni: ⎧i− = I − ⎨ ⎩i+ = I + v0 = ⎧ Esat ⎪ ⎪ Esat vi ⎨ ⎪ ε ⎪⎩-Esat vi > ε -ε ≤ vi ≤ ε (3.11) vi < − ε Figura 3.6: (a) simbolo dell’amplificatore operazionale; (b) caratteristica ingressouscita M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 ⎧v0 = Esat ⎪ ⎨v0 = -Esat ⎪-E ≤ v ≤ E 0 sat ⎩ sat per vi > 0 per vi < 0 (3.12) per vi = 0 Nella regione “lineare” questo particolare doppio bipolo si riduce in realtà all’insieme di due singolari elementi a due terminali. Difatti la condizione sulla porta d’ingresso ii = 0 , vi = 0 è quella che definisce il nullatore o anche “corto circuito virtuale”; invece la porta di uscita, con la condizione -Esat ≤ v0 ≤ Esat , ha un valore della tensione che risulta indeterminato, definendo il noratore. Dunque l’operazionale ideale in regione lineare può essere rappresentato circuitalmente con i simboli di Figura 3.7 che rappresentano appunto un nullatore (porta “1”) ed un noratore (porta “2”). Figura 3.7: Modello di un operazionale ideale in regione lineare tramite nullatore e noratore M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Amplificatore operazionale 33 Funzionamento in regione lineare Consideriamo il circuito in Figura 3.8, nel quale l’amplificatore operazionale ideale è collegato a due resistori. Supponiamo l’operazionale ideale ed in regione lineare. Ciò vuol dire che può essere sostituito dalla coppia nullatore-noratore, come visto in precedenza. Con tali assunzioni, tenuto conto che i+ = i− = 0 e vd = 0 è immediato, applicando opportunamente le KCL ed KVL ottenere le equazioni: i1 = −i, v = v2 , v1 = vR 2 . (3.13) 34 Doppi bipoli fondamentali i1 = 0, (3.16) v1 , R2 ottenendo in questo caso le relazioni caratteristiche di un generatore di corrente controllato in tensione. Consideriamo infine il circuito di Figura 3.9, dove la porta 2 è chiusa su di un condensatore. La tensione e l’intensità di corrente alla porta 2 sono legate dall’equazione: dv i2 = −C 2 , (3.17) dt dunque: di v1 = − R1 R2C 1 , (3.18) dt ovvero: di v1 = Leq 1 . (3.19) dt In questo caso è evidente come si riesce a realizzare un induttore a partire da un condensatore (circuito di Antoniou). i2 = − Figura 3.8 Un circuito con operazionale ideale Il doppio bipolo può allora essere descritto dalle equazioni: ⎧v2 = − R1i1 ⎨ ⎩v1 = − R2i2 (3.14) Al variare dei valori di R1 ed R2 otteniamo diversi elementi. Ad esempio, ponendo R2 = 0 si ha: v1 = 0, (3.15) v2 = − R1i1 , Figura 3.9 Un circuito con operazionale ideale chiuso su di un condensatore alla porta di uscita ottenendo dunque le relazioni caratteristiche di un generatore di tensione controllato in corrente. Ponendo invece R1 → ∞ si ha: Funzionamento in regione non lineare Abbiamo sin qui analizzato circuiti nell’ipotesi che l’amplificatore operazionale fosse in regione lineare. Esistono diversi circuiti non lineari che viceversa basano il loro funzionamento proprio sulla caratteristica dell’operazionale al passaggio tra la regione lineare e quella di saturazione. In M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 35 Amplificatore operazionale 36 Doppi bipoli fondamentali particolare è possibile mostrare come sia possibile costruire circuiti che realizzano un elemento con diversi tipi di caratteristica non lineare a tratti. Consideriamo il circuito di Figura 3.10, nel quale assumiamo l’operazionale come ideale. Supponiamo anzitutto che si trovi nella regione lineare di funzionamento, salvo poi stabilire i limiti di validità di tale assunzione. In tale ipotesi l’operazionale può essere sostituito del nullatore e noratore, come visto precedentemente. In riferimento alle notazioni ed ai riferimenti fissati possiamo scrivere: v = vR 2 = vo R2 R1 + R2 ⇒ v0 = R1 + R2 v. R2 (3.20) Figura 3.11 caratteristica i,v (a) regione lineare; (b) regione lineare e non lineare La (3.20) è stata ottenuta osservando che, nell’ipotesi di operazionale ideale i+ = 0 e dunque R1 ed R2 risultano in serie tra loro. Considerando invece che i− = 0 possiamo scrivere: v = R f i +vo = R f i + R1 + R2 v R2 ⇒ i=− R1 v. R2 R f (3.21) Passiamo ora ad analizzare la regione di saturazione positiva: In tale regione l’operazionale può essere modellato con un circuito aperto alla porta di ingresso, ed un generatore di tensione alla porta di uscita, come schematicamente indicato in Figura 3.12a. Sostituendo nel circuito il modello equivalente avremo: v − R f i − Esat = 0 ⇒ v = Esat + R f i, (3.23) che riconosciamo facilmente come la caratteristica di un generatore reale di tensione (Figura 3.12b). Figura 3.10 Un circuito con operazionale ideale Dunque, essendo tutti i valori di resistenza positivi, la caratteristica è quella di un “resistore attivo. Figura 3.12 (a) schema equivalente dell’operazionale in saturazione positiva; (b) caratteristica i,v in regione di saturazione positiva per il circuito in esame Per trovare i limiti di validità dell’espressione (3.21) basta considerare la condizione − Esat ≤ vo ≤ Esat ; tenuto conto dell’espressione (3.20) abbiamo: Se, anche ora cerchiamo i limiti di validità dell’espressione (3.23) abbiamo: R1 + R2 R2 v ≤ Esat ⇒ v≤ Esat =β Esat . R2 R1 + R2 La situazione è rappresentata in Figura 3.11a. − Esat ≤ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (3.22) vd = v − vR 2 = v − Esat R2 >0 R1 + R2 ⇒ v > β Esat . M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (3.24) Amplificatore operazionale 37 Posto v = β Esat nella caratteristica (3.23) si ha: i* = Esat β −1 Rf , (3.25) come riportato in Figura 3.11b. Riferimenti bibliografici: [1] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. [2] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007, ISBN: 978-88470-0537-2. 4. Caratterizzazioni degli M-porta lineari Lo studio degli M-porte lineari è di fondamentale importanza nell’analisi dei circuiti. In particolare la caratterizzazione come M-porte di sottoparti lineari a-dinamiche di circuiti più complessi consente di introdurre importanti semplificazioni nell’analisi e nella riduzione della complessità computazionale. Data l’importanza che riveste l’argomento, riprendiamo brevemente le rappresentazioni dei doppi bipoli di resistori lineari già introdotte nei corsi di base, per poi ampliare il campo delle nostre considerazioni. Un M-porta è un elemento per il quale è possibile definire M coppie di terminali con la medesima intensità di corrente. Nel caso a-dinamico avrà in generale una caratterizzazione in forma implicita del tipo: f ( v, i, t ) = 0, (4.1) con v ed i, rispettivamente, vettori delle tensioni e delle correnti di porta. Ad esempio, nel caso di un doppio bipolo (M=2) avremo: f1 ( v1 , v2 , i1 , i2 , t ) = 0, f 2 ( v1 , v2 , i1 , i2 , t ) = 0. (4.2) Rappresentazione in forma implicita dei doppi bipoli lineari Vogliamo ora considerare la forma più generale per la rappresentazione dei doppi bipoli lineari passivi. Consideriamo il generico circuito di Figura 4.1, nel quale identifichiamo una parte che è costituita da un doppio bipolo di resistori passivi e due bipoli che supponiamo attivi all’esterno. Supponiamo, per semplicità che i due M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Rappresentazione in forma implicita dei doppi bipoli lineari 39 bipoli esterni, che rappresentano delle “condizioni al contorno” siano lineari (ciò non è limitante). 40 Caratterizzazioni degli M-porta lineari variabili sarà dunque possibile ricavare la corrispondente forma esplicita. Ad esempio se nella (4.5) si suppone la matrice M non singolare, si può scrivere: v = -( M −1 N )i = Ri (4.6) che costituisce la classica rappresentazione controllata in corrente, ed in questo caso la matrice R prende il nome di matrice delle resistenze. Rappresentazioni R, G, H di doppi bipoli lineari passivi Figura 4.1 Doppio bipolo lineare terminato con bipoli lineari attivi Immaginando di avere accesso anche all’interno del doppio bipolo, per il circuito in questione le equazioni in forma canonica saranno necessariamente del tipo: ∑ (±)i k = 0, KCL = 0, KVL Riprendiamo ora brevemente le più note rappresentazioni esplicite dei doppi bipoli lineari passivi con le relative proprietà. Consideriamo il generico doppio bipolo di resistori lineari rappresentato in Figura 4.2. k ∑ ( ± )v k k vk − Rk ik = 0, caratteristiche resistori f1 ( v1 , i1 ) = 0, caratteristica bipolo 1 f 2 ( v2 , i2 ) = 0, caratteristica bipolo 2 (4.3) Ricordiamo che per esso, in generale, sono possibili diverse rappresentazioni esplicite, come ad esempio: Supponendo il sistema (4.3) ben posto, eliminando le ultime due equazioni e riducendo le rimanenti (che sono tutte lineari ed omogenee) a due sole equazioni nelle incognite v1, v2, i1, i2, si ottengono in generale due equazioni indipendenti lineari ed omogenee nella forma: m11v1 + m12 v2 + n11i1 + n12i2 = 0 m21v1 + m22 v2 + n21i1 + n22 i2 = 0 (4.4) ovvero, in forma compatta: Mv + Ni = 0 . Figura 4.2 Generico doppio bipolo lineare passivo i1 = G11v1 + G12 v2 , ⎫ ⎬ → i = Gv . i2 = G21v1 + G22 v2 , ⎭ La (4.7) è la rappresentazione controllata in tensione, ed in questo caso la matrice G prende il nome di matrice delle resistenze. Ricordiamo che gli elementi della matrice delle conduttanze di un doppio bipolo godono delle proprietà: Gii ≥ 0, (4.5) ( Rii ≥ 0 ) Gij = G ji , Gii ≥ Gij , La (4.5) prende il nome di rappresentazione in forma implicita dei doppi bipoli lineari. A seconda che sia possibile esplicitarla rispetto a una coppia di M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (4.7) (R ij (R ii i ≠ j, = R ji ) , ≥ Rij ) (4.8) i ≠ j. Se la matrice G risulta non singolare (cioè invertibile) dalla rappresentazione considerata è immediato ricavare la: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Rappresentazioni R, G, H di doppi bipoli lineari passivi v = Ri, con R = G -1 41 (4.9) Ricordiamo che anche per la matrice delle resistenze valgono proprietà analoghe alle (4.8). Fra le peculiarità delle diverse possibili rappresentazioni vogliamo mettere in evidenza che esse risultano più o meno comode per il collegamento fra loro di doppi bipoli. Ad esempio, la rappresentazione G è comoda quando si vogliono mettere in parallelo due doppi bipoli, come in Figura 4.3 42 Caratterizzazioni degli M-porta lineari Fra le possibili caratterizzazioni ricordiamo anche quella “ibrida” e quella cosiddetta di “trasmissione”. La caratterizzazione si dirà ibrida quando le variabili indipendenti sono una tensione ed una corrente. Ad esempio: ⎛ v1 ⎞ ⎛ i1 ⎞ ⎜ ⎟=H⎜ ⎟ ⎝ i2 ⎠ ⎝ v2 ⎠ ⎛ i1 ⎞ ⎛ v1 ⎞ ⎜ ⎟ = H ′⎜ ⎟ ⎝ v2 ⎠ ⎝ i2 ⎠ dove H ′ = H -1 , (4.11) ⎛ H 11 H 12 ⎞ con H = ⎜ ⎟. ⎝ H 21 H 22 ⎠ Per gli elementi della matrice H si hanno le seguenti proprietà: H ii ≥ 0, H ij ≤ 1, H ij = − H ji ; tale rappresentazione è comoda, tra l’altro, per connessioni miste serie-parallelo. Rappresentazione di trasmissione T di un doppio bipolo lineare Nelle rappresentazioni R , G , H , H ′ sin qui considerate le variabili indipendenti (e corrispondentemente quelle dipendenti) sono sempre state definite contemporaneamente su entrambe le porte. In realtà è possibile una scelta ulteriore, che da luogo alla rappresentazione di trasmissione: Figura 4.3 Connessione parallelo di due doppi bipoli lineari passivi Difatti, considerata la KCL e le caratteristiche si ha: i′ = G ′v, i′′ = G ′′v ⇒ i =i′+i′′ = (G ′ + G ′′) v (4.10) Per converso, la rappresentazione R risulta più comoda per i collegamenti in serie mostrati in Figura 4.4. v1 = T11v2 − T12i2 i1 = T21v2 − T22i2 ⎛ v1 ⎞ ⎛ v2 ⎞ ⎜ ⎟ =T ⎜ ⎟ ⎝ i1 ⎠ ⎝ i2 ⎠ (4.12) Il motivo del segno “-“ posto convenzionalmente davanti ai parametri T12 e T22 è in parte storico ed è legato alla interpretazione come “ingresso” della porta 1 e come “uscita” della porta 2, associata ai versi di riferimento in Figura 4.5. È possibile, come già visto per le altre rappresentazioni, considerare la rappresentazione inversa T * : v2 = T11* v1 − T12* i1 i2 = T v − T i * 21 1 * 22 1 v ⎛ v2 ⎞ * ⎛ 1⎞ ⎜ ⎟ =T ⎜ ⎟ ⎝ i2 ⎠ ⎝ i1 ⎠ T * = T -1 Figura 4.4 Connessione in serie di due doppi bipoli M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (4.13) Rappresentazione di trasmissione T di un doppio bipolo lineare 43 44 Caratterizzazioni degli M-porta lineari det(T)= R11 R22 ΔR − 2 =1 R212 R21 (4.17) La rappresentazione di trasmissione è molto utile per i collegamenti in cascata, come mostrato in Figura 4.6. Figura 4.5 Convenzioni sui versi per la rappresentazione T . E’ istruttivo trovare il legame tra la rappresentazione T ed una delle precedenti, ad esempio la R . Tenuto conto delle scelte fatte per il verso della corrente i2 , si ha: v1 = R11i1 − R12i2 v − R11i1 = − R12i2 ⇒ 1 v2 = R21i1 − R22 i2 R21i1 = v2 + R22i2 ⇓ ⎛ 1 − R11 ⎞⎛ v1 ⎞ ⎛ 0 − R12 ⎞⎛ v2 ⎞ ⎜ ⎟⎜ ⎟ = ⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎝ 0 R21 ⎠⎝ i1 ⎠ ⎝ 1 R22 ⎠⎝ i2 ⎠ Figura 4.6 Collegamento di due doppi bipoli in cascata (4.14) Difatti, indicate con T(1) e T(2) le matrici di trasmissione dei due doppi bipoli, si ha: ⎛ v1(1) ⎞ (1) ⎜⎜ (1) ⎟⎟ = T ⎝ i1 ⎠ ⎛ v2(1) ⎞ (1) (2) ⎜⎜ (1) ⎟⎟ = T T ⎝ i2 ⎠ ⎛ v2(2) ⎞ ⎜⎜ (2) ⎟⎟ ⎝ i2 ⎠ (4.18) −1 ⎛ 1 − R11 ⎞ ⎛ 0 − R12 ⎞ ⎛ 1 R11 R21 ⎞⎛ 0 − R12 ⎞ T =⎜ ⎟ ⎜ ⎟=⎜ ⎟⎜ ⎟= ⎝ 0 R21 ⎠ ⎝ 1 R22 ⎠ ⎝ 0 1 R21 ⎠⎝ 1 R22 ⎠ ⎛ R11 R22 R11 − R21 R12 ⎞ ⎜R ⎟ R21 21 ⎜ ⎟ = ⎜ 1 ⎟ R22 ⎜ ⎟ R21 ⎝ R21 ⎠ Rappresentazione “scattering” S di un doppio bipolo lineare (4.15) ovvero: ⎛R R T = ⎜ 11 21 ⎝ 1 R21 ΔR R21 ⎞ ⎟ , con ΔR = R11 R22 − R12 R21 . R22 R21 ⎠ La rappresentazione di scattering (S) di un doppio bipolo trae origine dalla descrizione di sistemi distribuiti con propagazione. Essa è però importante anche per i doppi bipoli “concentrati” in quanto possiede alcune proprietà piuttosto generali. Ricordiamo anzitutto che, a partire dalla forma implicita per i doppi bipoli lineari abbiamo le relazioni: ⎧ v = − M −1 Ni = Ri, Mv + Ni = 0 → ⎨ −1 ⎩i = − N Mv = Gv, (4.19) (4.16) Se siamo nelle condizioni di reciprocità per il doppio bipolo ( R12 R21 = R212 ), vale la proprietà det(T ) = 1. Sviluppando infatti il determinante: quando naturalmente siano M ed N non singolari, cioè invertibili. Ebbene, possiamo affermare che esistono buoni motivi per considerare come variabili di rappresentazione anziché tensioni e correnti separatamente, opportune loro combinazioni. Per far ciò è comodo considerare, su ciascuna porta, dei resistori aggiuntivi di valore fissato, generalmente unitario come rappresentato in Figura 4.15. Considerata la maglia di ingresso, posto R = 1 abbiamo: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Rappresentazione “scattering” S di un doppio bipolo lineare e1 ( t ) = v1 ( t ) + Ri1 ( t ) = v1 ( t ) + i1 ( t ) . 45 (4.20) La combinazione v1 (t ) + i1 (t ) = e1 (t ) può essere considerata come “variabile indipendente” alla porta 1 del doppio bipolo. Dalla posizione (4.20) è possibile anche ricavare: e1 ( t ) = v1 ( t ) + i1 ( t ) − i1 ( t ) + i1 ( t ) ⇒ v1 ( t ) − i1 ( t ) = e1 ( t ) − 2i1 ( t ) . (4.21) La combinazione v1 ( t ) − i1 ( t ) = e1 (t ) − 2i1 (t ) può essere considerata come “variabile dipendente” alla porta 1 del doppio bipolo. In realtà si suole definire le variabili: 1 1 v (i ) = ( v + i ) , v ( r ) = ( v − i ) , (4.22) 2 2 che vengono dette, rispettivamente, tensione incidente e tensione riflessa (in analogia con i parametri di una linea di trasmissione o di un sistema a microonde). 46 Caratterizzazioni degli M-porta lineari sempre, anche quando altre rappresentazioni sono singolari. Senza indugiare oltre sulla dimostrazione di questa proprietà, facciamo osservare che l’aver definito come variabili indipendenti opportune combinazioni di tensioni e correnti (o equivalentemente forzare le porte con un generatore “reale”) risolve in partenza i casi patologici che si possono verificare. Anche per la matrice di scattering, come per le altre, è possibile trovare i legami con le altre rappresentazioni. Un possibile modo di procedere consiste nel ricavare le corrispondenti relazioni riportando la forma di scattering alla implicita per poi utilizzare le relazioni viste in precedenza. v1 ( t ) − i1 ( t ) = S11 ⎡⎣ v1 ( t ) + i1 ( t ) ⎤⎦ + S12 ⎡⎣ v2 ( t ) + i2 ( t ) ⎤⎦ (4.24) v2 ( t ) − i2 ( t ) = S 21 ⎡⎣ v1 ( t ) + i1 ( t ) ⎤⎦ + S 22 ⎡⎣v2 ( t ) + i2 ( t ) ⎤⎦ da cui: (1 − S11 ) v1 ( t ) − S12 v2 ( t ) − (1 + S11 ) i1 ( t ) − S12i2 ( t ) = 0 − S21v1 ( t ) + (1 − S 22 ) v2 ( t ) − S21i1 ( t ) − (1 + S22 ) i2 ( t ) = 0 (4.25) Posto: S12 ⎞ ⎛ 1 − S11 − S12 ⎞ ⎛ 1 + S11 M =⎜ ⎟ = I − S, N = −⎜ ⎟ = − ( I + S ) (4.26) ⎝ − S 21 1 − S 22 ⎠ ⎝ S 21 1 + S22 ⎠ avremo: Figura 4.7 Caratterizzazione scattering di un doppio bipolo lineare R = − M −1 N = ( I − S ) −1 ( I + S ) Assumendo tali grandezze come ingressi ed uscite si definisce la matrice di scattering come: (4.27) G = − N −1M = ( I + S ) −1 ( I − S ) L’insieme dei legami sono riassunti nella seguente tabella: v ( r ) = Sv ( i ) , ovvero ⎧v ⎨ ⎩v (r ) 1 (r ) 2 = S11 v + S12 v , = S21 v + S22 v . (i ) 1 (i ) 1 (i ) 2 (i ) 2 (4.23) S12 ed S21 sono detti coefficienti di trasmissione, mentre S11 ed S 22 coefficienti di riflessione. La rappresentazione con i parametri di scattering gode di un’importante proprietà che la differenzia dalle altre rappresentazioni esplicite considerate sin qui (R, G, H, H’, T, T’). Difatti si può dimostrare che essa risulta esistere M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 S G S = S ( I - G )( I + G ) G = ( I - S )( I + S ) -1 ( I + S )( I - S ) R = -1 R -1 ( I - R )( I + R ) G R -1 G -1 R M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 -1 47 Doppi bipoli lineari non reciproci e attivi Doppi bipoli lineari non reciproci e attivi Per generalizzare quanto visto sinora dobbiamo includere il caso di doppi bipoli lineari non reciproci ed attivi, ovvero che contengono al loro interno elementi lineari passivi ma non reciproci (trasformatori, giratori), elementi attivi ma inerti (generatori controllati) ed elementi attivi e non inerti (generatori indipendenti). In Figura 4.8 è schematicamente indicato un doppio bipolo lineare con tali caratteristiche. 48 Caratterizzazioni degli M-porta lineari Tale espressione può essere interpretata come la forma vettoriale del teorema di Norton. Analogamente con la caratterizzazione in base corrente si ha il caso Thevenin vettoriale: v = Ri + v * (4.29) In maniera simile si procede per caratterizzare in forma ibrida anche i doppi bipoli attivi. È importante osservare che in presenza di elementi inerti, ma attivi e non reciproci quali quelli considerati (in particolare il trasformatore, il giratore e i generatori controllati) le matrici G, R, H etc., ad esempio nelle rappresentazioni (4.28) e (4.29), perderanno le proprietà di simmetria (reciprocità) e quelle legate alla non amplificazione (maggiorazioni sui termini fuori diagonale). Alcuni esempi sui doppi bipoli Affrontiamo ora alcuni esempi sulle rappresentazioni dei doppi bipoli. Figura 4.8 Un generico doppio bipolo lineare attivo e non reciproco In tal caso il doppio bipolo può essere caratterizzato applicando la sovrapposizione degli effetti. In riferimento alla Figura 4.9 (per semplicità si considera il caso di soli resistori e generatori indipendenti), avendo denotato con un apice il primo circuito nel quale sono stati spenti i generatori interni, e con due quello nel quale sono stati spenti quelli esterni si avrà: i = Gv + i * (4.28) dove la matrice G è definita sul circuito reso passivo come abbiamo già visto in precedenza, ed i* è il vettore dei termini noti (correnti di corto circuito con i generatori esterni spenti. C’ i’1 v1 + - Sintesi di un doppio bipolo con generatori controllati Ricordiamo anzitutto che un doppio bipolo lineare passivo può essere sintetizzato con tre resistori come segue: C’’ i’2 + - i’’1 i’’2 v2 Figura 4.10 Schema a T per la sintesi passiva di un doppio bipolo lineare v1 = R11i1 + R12 i2 v 2 = R21i1 + R22 i2 Ra = R11-R12 Rb = R12 Rc = R22 -R12 Vediamo ora come sia possibile sintetizzare attraverso dei generatori controllati il doppio bipolo considerato (Figura 4.11) Osserviamo che R12 può in tal caso, essere diverso da R21. Figura 4.9: Sovrapposizione applicata per caratterizzare un doppio bipolo attivo M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 49 Alcuni esempi sui doppi bipoli 50 Caratterizzazioni degli M-porta lineari ⎛ 3 1⎞ ⎛ 0 1 ⎞ R=⎜ ⎟+⎜ ⎟ ⎝1 4 ⎠ ⎝ 0 0 ⎠ v1 = 3i1 + 1i2 + i2 v2 = 1i1 + 4i2 Figura 4.11 Schema con generatori controllati per la sintesi di un doppio bipolo lineare A tale rappresentazione possiamo far corrispondere la sintesi di Figura 4.13, con i parametri: È evidente come tale sintesi, equivalente alla precedente nel caso di doppio bipolo reciproco e inerte, permette più in generale di trattare il caso non reciproco ed attivo. Se consideriamo il caso di una rappresentazione H: Ra = R11 - R12 = 2Ω, Rb = R12 = 1Ω, Rc = R22 - R12 = 3Ω, Rm = 1Ω, v1 = H11i1 + H12 v2 i2 = H 21i1 + H 22 v2 la sintesi diviene quella della Figura 4.12. Figura 4.13 Esempio di sintesi “mista” Se del circuito considerato facciamo viceversa l’analisi otteniamo la forma (implicita): ⎧v1 − ( Ra + Rb )i1 − Rb i2 = 0 ⎨ ⎩v2 − ( Rb + Rm )i1 − ( Rb + Rc )i2 = 0 Figura 4.12 Schema con generatori controllati per la sintesi di un dippio bipolo lineare con rappresentazione ibrida Sintesi di doppio bipolo non reciproco Consideriamo il doppio bipolo rappresentato dalla matrice della resistenze ⎛3 2⎞ (non simmetrica) R = ⎜ ⎟ che può utilmente essere scomposta come: ⎝1 4 ⎠ ⎛1 0⎞ ⎟⎟ M = ⎜⎜ ⎝0 1⎠ ⎛ R + Rb N = −⎜ a ⎝ Rb + Rm ⎛ R + Rb R = -M -1 N = ⎜ a ⎝ Rb + Rm (4.30) Rb ⎞ ⎟ Rb + Rc ⎠ Rb ⎞ ⎟ Rb + Rc ⎠ (4.32) Allo stesso risultato saremmo pervenuti applicando direttamente le definizioni per i parametri Rij; ad esempio: R11 = v1 i2 = 0 = Ra + Rc i1 Esempio: trasformatore ideale M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (4.31) M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (4.33) 51 Estensioni ai multi-porta lineari 52 Caratterizzazioni degli M-porta lineari Figura 4.14 Un generico M-porte lineare ⎧v1 − nv2 = 0 ⎨ ⎩ ni1 + i2 = 0 m11=1; m12 = -n; ⎛1 M = ⎜⎜ ⎝0 -n ⎞ ⎟ 0 ⎟⎠ (4.34) Potremo anche qui immaginare di caratterizzare in tensione, in corrente o su base ibrida, avendo le corrispondenti matrici di rappresentazione. n11 = n12 = 0, da cui segue immediatamente: ⎛0 N = ⎜⎜ ⎝n 0⎞ ⎟ 1 ⎟⎠ (4.35) i = Gv , v = Ri, (4.36) dove G ed R sono in questo caso opportune matrici M × M . Nel caso ibrido ha senso suddividere le porte in due classi, quelle controllate in tensione e quelle controllate in corrente: È evidente in questo caso come non sia possibile ricavare le rappresentazioni R o G in quanto entrambe le matrici M ed N sono singolari. Rappresentazione implicita di un doppio bipolo “degenere” Da sviluppare !!! Matrice H dalla forma implicita Da sviluppare !!! Matrice S di un trasformatore Da sviluppare !!! Estensioni ai multi-porta lineari Figura 4.15 Rappresentazione ibrida di un M-porte. ⎛ v 1 ⎞ ⎛ H11 H12 ⎞ ⎛ i 1 ⎞ ⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜ ⎟ ⎜⎜ ⎟⎟ ⎝ i 2 ⎠ ⎝ H 21 H 22 ⎠ ⎝ v 2 ⎠ ⎛H con H = ⎜⎜ 11 ⎝ H 21 H 12 ⎞ ⎟ H 22 ⎟⎠ (4.37) I concetti sin qui visti sono facilmente estendibili agli M–porte. dove: v1 = (v11 ⋅⋅⋅⋅v1k ) v 2 = (v2 k +1 ....v2 M ) i1 = (i11 ....i1k ) i 2 = (i2 k +1 ....i2M ) (4.38) Il significato delle varie sottomatrici di H può essere facilmente compreso estendendo le nozioni relative a doppi bipoli; infatti, H11 è la matrice di resistenza del K-porte quando v 2 = 0 , cioè le M-K porte M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Estensioni ai multi-porta lineari 53 secondarie sono in corto circuito. H 22 è la matrice di conduttanza del M-K porte quando le K porte primarie sono tutte aperte, e così via. Riferimenti bibliografici: [1] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7, pp. 783-809. 5. Complementi di topologia circuitale Abbiamo già avuto modo di sottolineare come la peculiarità dei circuiti, rispetto a generici sistemi dinamici, risieda principalmente nella forma e nelle proprietà delle equazioni di interconnessione (leggi di Kirchhoff), che costituiscono una parte importante delle equazioni che descrivono un circuito. Dunque, considerando per un circuito descritto da b tensioni e b intensità di corrente la forma canonica delle equazioni, vi saranno almeno b equazioni algebriche, lineari ed omogenee. L’analisi delle proprietà legate al modo in cui gli elementi circuitali sono interconnessi prende il nome di topologia circuitale, e può essere considerata una branca della teoria dei grafi. Il nostro obiettivo, molto circoscritto, sarà di analizzare più in dettaglio le principali proprietà legate alla topologia dei circuiti con l’obbiettivo di discutere le diverse possibilità che si presentano nella formulazione del modello circuitale. La topologia circuitale essenzialmente si propone di studiare tutte quelle proprietà delle equazioni circuitali che derivano dalle struttura delle interconnessioni. In particolare è importante studiare in che modo tali informazioni possono essere usate al meglio per una formulazione delle equazioni circuitali adeguata al tipo di problema in esame, anche in vista dell’utilizzo della simulazione numerica per la soluzione del modello. Definizioni e proprietà relative ai grafi In generale, una descrizione delle interconnessioni tra gli elementi circuitali dovrà certamente prendere in considerazione i seguenti elementi: - come gli elementi sono connessi tra loro in termini delle variabili descrittive scelte - i versi di riferimento per le intensità di corrente e le tensioni Il modo più immediato di rappresentare queste informazioni è associando al circuito un grafo, ed in particolare un grafo orientato. Val la pena ricordare che il concetto di grafo è stato per la prima volta introdotto da Eulero per la soluzione del cosiddetto “problema del ponte di Koenigsberg”, ed ha M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Definizioni e proprietà relative ai grafi 55 applicazioni in diversi campi delle scienze. Il primo ad applicarlo ai circuiti è stato lo stesso Kirchhoff. 56 Complementi di topologia circuitale 1. il percorso lungo T tra qualsiasi coppia di nodi è unico; 2. i lati di albero T sono n − 1 e quelli di coalbero C b − (n − 1) ; 3. ogni lato di C, assieme ad alcuni lati di T , definisce un’unica “maglia” detta fondamentale; 4. ogni lato di T, assieme ad alcuni lati di C, definisce un unico “taglio” detto fondamentale.” Osserviamo che un importante corollario del teorema (punti 3 e 4) è che le equazioni di Kirchhoff per le maglie o i tagli fondamentali risultano necessariamente indipendenti. Figura 5.1(a) Un esempio di circuito e (b) il relativo grafo orientato In maniera piuttosto informale possiamo definire il grafo di un circuito ciò che otteniamo quando, avendo fissato le variabili descrittive, descriviamo in maniera grafica con delle linee (lati) la relazione di incidenza che lega i lati ai nodi. Un esempio è dato in Figura 5.1., nel caso semplice di circuito di soli bipoli. Questa rappresentazione è “topologica” nel senso che prescinde da elementi geometrici nel descrivere le connessioni, e dunque permette di studiarne tutte le proprietà in modo generale. Quando ai lati associamo un verso per l’orientamento otteniamo un grafo orientato. Nell’utilizzo dei grafi per i circuiti vengono sempre utilizzati grafi orientati. Per le principali definizioni relative ai grafi, ed in particolare di grafo connesso, sottografo, albero, coalbero, maglia ed insieme di taglio rinviamo a [1-2]. Illustriamo con qualche esempio, in riferimento al circuito precedentemente considerato, il grafo orientato, esempi di albero, coalbero e di insiemi di taglio. Come già noto dai corsi precedenti, i concetti di nodo, maglia e di insieme di taglio sono fondamentali per la scrittura delle KVL e KCL; i concetti di albero e coalbero sono fondamentali per la scelta delle equazioni indipendenti. Per il grafo di un circuito (connesso) valgono le seguenti proprietà (Teorema fondamentale dei grafi): “sia G un grafo connesso con n nodi e b lati, T un suo albero e C il relativo coalbero, allora: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 5.2 Grafo per il circuito considerato, due diversi alberi ed i relativi coalberi Figura 5.3 Grafo per il circuito considerato, due diversi insiemi di taglio Matrice di incidenza di nodo Sebbene il grafo permetta una descrizione completa ed intuitiva delle proprietà topologiche, esso non è uno strumento particolarmente adatto ad M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 57 Matrice di incidenza di nodo una manipolazione automatica; sicuramente più adatta risulta la matrice di incidenza Aa = ⎡⎣ aij ⎤⎦ che è una matrice con n (=numero di nodi) righe e b (=numero di lati) colonne, con gli elementi definiti da: ⎧ 1 se il lato j esce dal nodo i ⎪ aij ⎨ −1 se il lato j entra nel nodo i ⎪ 0 se il lato j non incide nel nodo i ⎩ (5.1) Ad esempio, se andiamo a sviluppare la matrice di incidenza del circuito precedentemente considerato avremo: I -1 0 1 0 II 1 -1 0 0 III 0 -1 1 0 IV 0 0 1 -1 V 0 1 0 -1 VI 1 0 0 -1 (5.2) (5.3) dove al solito con i indichiamo il vettore delle intensità di corrente descrittive per il circuito. La matrice di incidenza Aa ha certamente rango non pieno (cioè < n ). Infatti, tenuto conto che ogni lato necessariamente esce da un nodo ed entra nell’altro, ogni colonna contiene sempre soltanto due elementi non nulli, un +1 e un –1, e dunque la somma delle righe è sempre identicamente nulla. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Definiamo matrice di incidenza ridotta A quella ottenuta da Aa eliminando una (qualsiasi) riga. E’ possibile dimostrare che la matrice A ha sempre rango pieno per un grafo connesso. Di conseguenza le sue righe risultano certamente indipendenti. Considerato un albero per il circuito se si sceglie opportunamente l’ordine dei lati, la matrice di incidenza ridotta A può sempre essere partizionata nel modo seguente: A = ⎡⎣ At Ac ⎤⎦ (5.4) dove i pedici “t” e “c” stanno per “tree” (albero) e = “cotree” (coalbero). Osserviamo che siccome l’albero ha n − 1 lati, la sotto-matrice At è una matrice quadrata n − 1 × n − 1 . Una proprietà molto interessante della matrice A è la seguente: Ad esempio, consideriamo il circuito precedente la cui matrice di incidenza di nodo è: Come già noto la matrice di incidenza Aa permette di scrivere in forma compatta le KCL: Aa i = 0, Complementi di topologia circuitale “se A è la matrice di incidenza ridotta di un grafo connesso, ogni insieme di colonne indipendenti di A corrisponde ad un albero e viceversa” ovvero: ⎛ −1 1 0 0 0 1 ⎞ ⎜ ⎟ 0 −1 −1 0 1 0 ⎟ ⎜ Aa = ⎜1 0 1 1 0 0⎟ ⎜ ⎟ ⎝ 0 0 0 −1 −1 −1⎠ 58 ⎡ −1 1 0 0 0 1 ⎤ ⎢ 0 −1 −1 0 1 0 ⎥ ⎥. Aa = ⎢ ⎢1 0 1 1 0 0⎥ ⎢ ⎥ ⎣ 0 0 0 −1 −1 −1⎦ (5.5) Eliminando l’ultima riga si ha: ⎡ −1 1 0 0 0 1 ⎤ A = ⎢⎢ 0 −1 −1 0 1 0 ⎥⎥ . ⎢⎣ 1 0 1 1 0 0 ⎥⎦ (5.6) Consideriamo, ad esempio, le ultime 3 colonne: esse sono certamente indipendenti; ad esse corrispondono i lati IV, V, VI che, effettivamente, costituiscono un albero nel grafo di Figura 5.1. Dimostriamo ora la proprietà appena verificata. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 59 Matrice di maglia Sufficienza: albero ⇒ colonne indipendenti. Supponiamo ad esempio, che le prime n − 1 colonne corrispondano ad un albero. At è la sottomatrice (n − 1) × (n − 1) corrispondente. Essa è, per la definizione di albero, la matrice di incidenza ridotta di un sottografo connesso, e dunque ha certamente rango pieno. Essendo una matrice quadrata, se le righe sono indipendenti lo sono anche le colonne. 60 Complementi di topologia circuitale Un modo sistematico di costruire una matrice di maglia ridotta è quello di partire da un albero, costruendo le maglie fondamentali. La matrice ridotta B che si costruisce prende il nome di matrice di maglia “fondamentale”. Necessità: colonne indipendenti ⇒ albero. Consideriamo una qualsiasi sottomatrice At di A quadrata a rango pieno ( n − 1 righe e colonne indipendenti). Essa può essere considerata come la matrice di incidenza ridotta di un grafo connesso con n nodi ed n − 1 lati. Ma in tali ipotesi il sottografo corrispondente è un albero per definizione. Esempio: Matrice di maglia B relativa alla Figura 5.4. Matrice di maglia In maniera analoga alla matrice di incidenza, è possibile introdurre la matrice di maglia Ba : considerato l’insieme di tutte le maglie (righe) e dei lati (colonne) e fissato un orientamento per le maglie (per le tensioni sui lati v j si sceglie la convenzione dell’utilizzatore in riferimento ai versi fissati per le intensità di corrente), è possibile definire la matrice di maglia Ba = ⎡⎣bij ⎤⎦ in modo analogo a quanto fatto per quella di incidenza: ⎧ 1 se il lato j appartiene alla maglia i ed è concorde ⎪ bij ⎨ − 1 se il lato j appartiene alla maglia i ed è discorde ⎪ 0 se il lato j non appartiene alla maglia i ⎩ (5.7) La matrice di maglia Ba permette di scrivere in forma compatta le KCL: Ba v = 0, (5.8) dove al solito con v indichiamo il vettore delle tensioni descrittive per il circuito. Anche per la matrice Ba le righe risulteranno in generale dipendenti, dunque Ba non ha rango pieno. Se consideriamo un insieme di righe indipendenti, esso costituisce una matrice di maglia di ridotta B . Ricordiamo che il numero di equazioni indipendenti alle maglie (KVL) è b − (n − 1) . M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 5.4 Un esempio di grafo e di un sistema di maglie indipendenti (anelli) maglia 1 maglia 2 I -1 0 II III IV V -1 1 0 0 0 −1 −1 0 lati I − II − III lati III − IV maglia 3 0 0 maglia 4 −1 −1 0 0 1 −1 1 0 lati IV − V lati I − II − IV maglia 5 −1 −1 maglia 6 0 0 0 −1 0 0 1 1 lati I − II − V lati III − V (5.9) Se, in riferimento all’esempio precedente, consideriamo l’albero costituito dai lati I e II, avremo la seguente matrice di maglia fondamentale: ⎛ I ⎜ ⎜ -1 ⎜ -1 ⎜ ⎝ -1 II III IV V ⎞ ⎟ -1 1 0 0⎟ -1 0 −1 0 ⎟ ⎟ -1 0 0 1⎠ ⎛ −1 −1 1 0 0 ⎞ ⎜ ⎟ .. ⇒ ⎜ 1 1 0 1 0 ⎟ ⎜ −1 −1 0 0 1⎟ ⎝ ⎠ (5.10) (osserviamo che cambiare segno alla riga 2 equivale a scegliere un verso di percorrenza opposto per la maglia). Si ha dunque (per come B è stata costruita): B = ⎡⎣ Bt I ⎤⎦ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (5.11) 61 Matrice di taglio dove il pedice “t” sta per “tree” (albero) e I è la matrice identità di ordine b − (n − 1) , cioè il numero dei lati del coalbero. Val la pena osservare che le righe di B sono certamente indipendenti a causa della presenza della sottomatrice I . Matrice di taglio Oltre alle matrici topologiche A e B che abbiamo trattato, è possibile introdurre una matrice (che denoteremo con D ) per gli insiemi di taglio. La matrice di taglio Da permette di scrivere in forma compatta le KCL: Da i = 0, 62 Complementi di topologia circuitale Per dimostrare le relazioni (5.15) basta considerare la (5.14) nella forma: b s = ∑ bik a jk , (5.16) k =1 dove con i indichiamo l’indice di maglia, con j indichiamo l’indice di nodo, con k quello di lato. È evidente che la somma (5.16) è composta da prodotti di elementi che possono assumere valori 0, +1, -1. Considerato un lato m che appartiene alla maglia i, ed incide nel nodo j, per la definizione stessa di maglia deve anche esistere un altro lato, che denominiamo m+1, che appartiene alla maglia ed incide nel nodo, come mostrato in Figura 5.5. (5.12) dove al solito con i indichiamo il vettore delle intensità di corrente descrittive per il circuito. Per essa valgono considerazioni molto simili alle altre due matrici topologiche. In particolare, considerata la matrice ridotta D con le righe indipendenti è possibile dimostrare che essa può essere sempre partizionata nel modo seguente: D = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ (5.13) dove il pedice “c” sta per “cotree” (coalbero) e I è la matrice identità di ordine n − 1 , cioè il numero dei lati dell’albero. A proposito della matrice D val la pena osservare che, essendo i nodi casi particolari degli insiemi di taglio, la matrice A può essere considerata un caso particolare della matrice D . Figura 5.5 Due generici lati m ed m+1 appartenenti alla maglia i ed incidenti nodo j Considerate tutte le possibili combinazioni per i versi di riferimento dei lati m ed m+1 e quello scelto per la maglia i, si ha sempre: bim a jm + bim +1a jm +1 = 0, (5.17) dunque la somma nella (5.16) è identicamente nulla, da cui le (5.15). Relazioni tra le matrici topologiche A questo punto ha senso porsi la questione: tenuto conto che le matrici topologiche sono in realtà costruite a partire dalle stesse informazioni sul grafo, esistono relazioni tra di esse? Ebbene la risposta è affermativa. In particolare, considerate ad esempio le matrici Aa e Ba per un circuito, avendo cura di utilizzare per entrambe lo stesso ordinamento per i lati (colonne), possiamo dimostrare la seguente proprietà: [ riga i di Ba ] × [ riga j di Aa ] T = 0, (BAT = 0); Aa BaT = 0 (ABT = 0). M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Ba DaT = 0 (BDT = 0), Da BaT = 0 (DBT = 0), (5.18) (5.14) Tale relazione, assieme alla (5.15) è importante al fine della costruzione automatica delle matrici B e D a partire da quella A , che come abbiamo già avuto modo di osservare risulta piuttosto semplice da costruire una volta nota la tabella di interconnessione del circuito. (5.15) Vogliamo ora soffermarci sulle relazioni che possiamo stabilire fra le grandezze descrittive (tensioni ed intensità di corrente) in relazione alla struttura che abbiamo riconosciuto per le matrici topologiche. A tale scopo ha senso partizionare i vettori v e i nel modo seguente: e dunque, in generale, si ha: Ba AaT = 0 In modo abbastanza analogo a quanto visto è possibile mostrare che: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Relazioni tra le matrici topologiche ⎛v ⎞ ⎛i ⎞ v = ⎜ t ⎟ , i = ⎜ t ⎟. ⎝ vc ⎠ ⎝ ic ⎠ 63 (5.19) 64 Complementi di topologia circuitale ⎡ BtT ⎤ AB = ⎡⎣ At Ac ⎤⎦ ⎢ ⎥ = At BtT + Ac = 0, ⎣ I ⎦ T (5.26) e dunque, tenuto conto anche della (5.26), si ha: Consideramo la KVL: ⎛v ⎞ Bv = 0 → ⎡⎣ Bt I ⎤⎦ ⎜ t ⎟ = Bt v t + v c = 0 ⎝ vc ⎠ Dc = − BtT = At−1 Ac , (5.20) (5.27) In definitiva, tenuto conto della struttura delle matrici B e D : B = ⎡⎣ Bt I ⎤⎦ , D = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ , (5.28) da cui si ricava: v c = − Bt v t possiamo ricostruire tali matrici in modo algebrico semplice a partire dalla (5.21) sola conoscenza della matrice A , una volta che sia partizionata in ⎡⎣ At Ac ⎤⎦ . Analogamente, considerando la KCL: ⎛i ⎞ Di = 0 → ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ ⎜ t ⎟ = i t + Dc i c = 0 ⎝ ic ⎠ Ricerca automatica di un albero ed albero ottimo (5.22) da cui si ricava: i t = − Dc i c Passiamo ora alle relazioni tra le matrici. Dalla relazione possiamo ricavare: (5.23) DBT = 0 ⎡ BtT ⎤ DB = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ ⎢ ⎥ = BtT + Dc = 0, ⎣ I ⎦ (5.24) Dc = − BtT , Bt = − DcT . (5.25) T da cui: Dalla relazione ABT = 0 possiamo ricavare: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 L’utilizzo delle matrici topologiche nelle diverse formulazioni delle equazioni circuitali è particolarmente importante per la simulazione numerica. Vogliamo dare quindi dei cenni alla creazione delle matrici ed alla loro manipolazione automatica. La generazione della matrice A è molto semplice. Infatti, numerando successivamente i lati ed i nodi del circuito, sarà sufficiente una tripla di numeri i,j,k per descrivere se il lato k è connesso ed in che verso, ai nodi i e j. Tale informazione può essere usata facilmente per la costruzione della matrice A . Memorizzare però l’intera matrice A è estremamente inefficiente a causa della “sparsità” della stessa (cioè, un gran numero di elementi di A è pari a zero, e solo pochi sono diversi da zero). Come vedremo meglio in seguito, molto spesso non è necessario conoscere A ; ad esempio, nella formulazione delle equazioni circuitali mediante la matrice delle conduttanze di nodo, si può partire dal prodotto AGAT . In tal caso è molto più agevole memorizzare le predette informazioni nella forma di una tabella di connessione (3 array). Per generare B o D è invece, come abbiamo visto, necessario identificare un albero. Inoltre la determinazione di un albero, magari con un preassegnato ordine preferenziale di elementi, potrà essere utile per formulare in modo più semplice le equazioni di un determinato circuito: si può parlare in tal caso di albero ottimo. Ad esempio, come vedremo più avanti, per scrivere in modo efficiente le equazioni di stato di un circuito è conveniente disporre di un albero proprio, ovvero un albero che contenga tutti i generatori M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 65 Ricerca automatica di un albero ed albero ottimo di tensione ed i condensatori e nessun generatore di corrente ed induttore. Vogliamo dunque considerare, in generale, il problema: - 66 Complementi di topologia circuitale [2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. definire un ordine preferenziale di elementi per l’albero trovare un albero con quell’ordine di elementi Un modo possibile per trovare l’albero è il seguente: supponiamo di aver costruito la matrice A , ed ordiniamo le colonne in base al criterio preassegnato, per esempio: E1 C1 C 2 R1 R 2 R3 L1 L 2 I1 A= 1 ⎡..... 2 ⎢⎢..... ⎢..... ⎢ ⎢..... n − 1 ⎢⎣..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... ..... .....⎤ .....⎥⎥ .....⎥ ⎥ .....⎥ .....⎥⎦ Si tratta ora di scegliere le prime n-1 colonne indipendenti partendo da sinistra. Sappiamo infatti che i lati corrispondenti costituiranno un albero. Esistono degli algoritmi standard per ottenere ciò. In particolare, si tratta di ridurre la matrice per operazioni di riga, nella forma cosiddetta di “Echelon” ⎡1 ⎢0 ⎢ ⎢0 ⎢ ⎢0 ⎢⎣ 0 . . .⎤ . . .⎥⎥ . . .⎥ ⎥ 0 0 0 1 1 . . .⎥ 0 0 0 0 0 . . .⎥⎦ . . . 1 . . 0 1 0 . . . . . . Poiché le operazioni elementari di riga non alterano le proprietà di indipendenza della matrice, è immediato riconoscere che le prime n − 1 colonne indipendenti della matrice A risultano quelle che, sulla corrispondente matrice in forma di Echelon presentano un “1” sopra la “gradinata” di zeri. Riferimenti bibliografici: [1] L.O. CHUA, P.M. LIN, Computer aided analysis of electronic circuits: algorithms & computational techniques, Prentice Hall, 1975, ISBN 013-165415-2. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 68 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali dove vij rappresenta la tensione tra il nodo i e quello j (il verso di riferimento 6. Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Le equazioni circuitali possono essere poste in diverse forme, in linea di principio equivalenti tra loro, ma come vedremo con differenze strutturali che assumono particolare rilevanza nella manipolazione numerica delle stesse. Abbiamo sin qui considerato la forma più classica in cui porre le equazioni circuitali, detta anche forma “canonica”: ( n − 1)⎫⎪ ⎬ Bv = 0; b - ( n − 1) ⎪⎭ ℑ ( v, i, q, φ, t ) = 0. Ai = 0; equazioni di interconnessione (6.1) Osserviamo che, per quanto visto finora, la scelta in tal caso non è unica. Ciò è conseguenza della non unicità delle matrici ridotte A e B. In particolare sappiamo che, anche avendo fissato la matrice A (cioè eliminando una riga a piacere dalla matrice Aa ) la matrice B dipende da quale sistema di maglie indipendenti stiamo considerando. Ad esempio se si considera una matrice di maglia fondamentale Bf essa viene a dipendere dalla scelta dell’albero. Vogliamo ora mostrare, anche sulla base della conoscenza delle proprietà delle matrici topologiche, altre possibili formulazioni delle equazioni circuitali, provandone a mettere in evidenza le differenze relative. Potenziali di nodo e matrice di incidenza La prima delle formulazioni alternative a quella canonica e sicuramente tra le più importanti è quella basata sull’utilizzo dei potenziali di nodo come variabili ausiliarie per la scrittura delle equazioni. Essa si basa sull’introduzione di n variabili ausiliarie uk (k =1, ..n, dunque in numero pari ai nodi del circuito) dette “potenziali di nodo”, e definite tramite relazioni del tipo: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 6.1 Un generico lato che incide due nodi, per i quali sono definiti i relativi potenziali Sulla base di tali relazioni definitorie è facile mostrare che: 1. la legge di Kirchhoff per qualsiasi maglia risulta automaticamente verificata se espressa in termini dei potenziali 2. la relazione tra tensioni e potenziali è esprimibile attraverso la matrice di incidenza come: v = AaT u a , ovvero v = AT u , caratteristiche degli elementi vij = ui − u j è quello che va da i a j ovvero con il contrassegno + su i, come indicato in Figura 6.1). (6.3) avendo rispettivamente indicato con u a ed u , rispettivamente, i vettori dei potenziali di nodo e quello ridotto (di uno) in corrispondenza con la riduzione della matrice Aa . E’ da osservare che la riduzione del numero di potenziali da n ad n-1 corrisponde al fatto che essendo le tensioni definite per differenza, l’insieme dei potenziali è noto a meno di un valore costante. Si può fissare ad arbitrio dunque il valore di uno dei potenziali, scalando tutti gli altri di un termine corrispondente. A ciò corrisponde la circostanza algebrica che mentre la matrice Aa non ha rango pieno la matrice A ha rango pieno. Mediante i potenziali di nodo è possibile dunque formulare le equazioni circuitali senza passare per le maglie, e dunque per l’identificazione di un albero per costruire la matrice B (forma “Tableau”): Ai = 0 n −1 v=A u b ℑ ( v, i , t ) = 0 b T 2b + (n − 1) (6.2) M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (6.4) Potenziali di nodo e matrice di incidenza 69 Facciamo anzitutto un esempio; consideriamo il circuito di Figura 6.2. Ad esso corrisponde la seguente matrice di incidenza: I II III IV ⎛ 1 1 0 0⎞ 1 ⎜ ⎟ Aa = ⎜ 0 −1 1 1⎟ 2 ⎜ −1 0 −1 −1⎟ 3 ⎝ ⎠ (6.5) Figura 6.2 Un semplice circuito ed il relativo grafo orientato Per il circuito in esame dunque, in base alla (6.2), si avranno le seguenti relazioni (tra tensioni e potenziali dei nodi): v1 = u1 − u3 v2 = u1 − u2 . v3 = u2 − u3 v4 = u2 − u3 (6.6) Pertanto, in forma matriciale avremo: ⎛ v1 ⎞ ⎛ 1 0 −1⎞ ⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎛ u1 ⎞ v 1 − 1 0 2 ⎜ ⎟=⎜ ⎟ .⎜ u ⎟ ⎜ v3 ⎟ ⎜ 0 1 −1⎟ ⎜⎜ 2 ⎟⎟ ⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎝ u3 ⎠ ⎝ v4 ⎠ ⎝ 0 1 −1⎠ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (6.7) 70 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Come si vede, la matrice è proprio AaT . Vediamo ora se possiamo costruire un set di equazioni in cui le incognite siano solo i potenziali dei nodi (metodo dei potenziali di nodo). Scriviamo anzitutto le equazioni di Tableau del circuito: ⎧i1 + i2 = 0 Ai = 0 → ⎨ ⎩−i2 + i3 + i4 = 0 (6.8) ⎧v1 = u1 ⎪v = u − u ⎪ 2 1 2 v = AT u → ⎨ = v u 2 ⎪ 3 ⎪⎩v4 = u2 (6.9) ⎧v1 = e(t ) ⎪v = Ri 2 ⎪⎪ 2 ℑ( v, i, t ) = 0 → ⎨i3 = g (v3 ) ⎪ ⎪i = C dv4 ⎪⎩ 4 dt (6.10) Ricavando (dove possibile) le intensità di corrente in funzione delle tensioni dalle (6.10) e sostituendo le espressioni di queste ultime in funzione dei potenziali di nodo otteniamo il sistema: u1 − u2 ⎧ ⎪i1 + R = 0 ⎪ d ⎪ u1 − u2 + g (u2 ) + C u2 = 0 ⎨ dt ⎪ R ⎪u1 = e(t ) ⎪ ⎩ (6.11) Esso è costituito da un’equazione in u1 , u2 , ma che contiene anche i1 , ed infine l’equazione caratteristica del generatore di tensione. Ciò accade perché sul lato I vi è un bipolo che non è controllato in tensione (un altro frequente esempio di bipolo non controllato in tensione è l’induttore). M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 71 Potenziali di nodo e matrice di incidenza In generale (metodo dei potenziali di nodo “modificato”) ci ridurremo ad un sistema di (n-1) + h equazioni (ed incognite), dove h è proprio il numero di bipoli non controllati in tensione. Matrice delle conduttanze ai nodi Per mostrare una applicazione del metodo dei potenziali di nodo e la procedura di riduzione delle equazioni di tableau, consideriamo dapprima il circuito di resistori lineari e di generatori indipendenti di corrente rappresentato in Figura 6.3. J7 u1 u2 R2 R1 J6 u3 R4 R3 J8 R5 Esso consta di 4 nodi e 8 lati. Abbiamo scelto di considerare il nodo 0 come riferimento dei potenziali ( u0 = 0 ) . In riferimento ai versi adottati per le correnti nei resistori, le KCL ai nodi 1, 2, 3 saranno: −i1 + i2 = J 6 + J 7 (6.12) Ogni corrente incognita del precedente sistema può essere espressa in funzione della tensione (e quindi in funzione dei soli potenziali di nodo) mediante la caratteristica dei resistori, ottenendo: In tal modo, le KCL ai nodi divengono: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 − u1 − u2 u2 u2 − u3 + + = − J7 R2 R3 R4 − u2 − u3 u3 + = − J8 R4 R5 (6.14) Esso è un sistema di tre equazioni in tre incognite (i potenziali dei nodi u1 , u2 , u3 ) che potrà essere risolto nel modo più opportuno. Una volta ricavati i valori dei potenziali dei nodi, le tensioni dei diversi bipoli potranno essere tutte espresse attraverso le relazioni con questi ultimi. Se fissiamo, ad esempio, la convenzione dell’utilizzatore per definire le tensioni di tutti i bipoli del circuito, avremo le relazioni: v3 = −u2 v4 = u2 − u3 v5 = u3 (6.15) v6 = −u1 v7 = −u1 + u2 v8 = u3 −i2 − i3 + i4 = − J 7 u − u3 u u −u −u1 −u , i2 = 1 2 , i3 = 2 , i4 = 2 , i5 = 3 . R1 R2 R3 R4 R5 u1 u1 − u2 + = J6 + J7 R1 R2 v2 = u1 − u2 Figura 6.3 Un esempio di circuito di soli resistori e generatori di corrente (il nodo 0 è assunto come riferimento dei potenziali) i1 = Formulazioni alternative delle equazioni circuitali v1 = −u1 u0=0 −i4 + i5 = − J 8 72 (6.13) In riferimento all’esempio appena considerato vogliamo ora mostrare un’importante proprietà strutturale delle equazioni per i potenziali nodali. Difatti se riordiniamo le equazioni precedentemente scritte, mettendo in evidenza a primo membro i termini che moltiplicano i potenziali incogniti, il sistema assume la forma: ⎛ 1 ⎞ 1 1 − 0 ⎟ ⎜ + R2 ⎜ R1 R2 ⎟⎛ u ⎞ ⎛ J + J ⎞ 1 6 7 ⎜ 1 1 1 1 1 ⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟ − + + − u = − J (6.16) ⎜ ⎟⎜ 2 ⎟ ⎜ 7 ⎟ R R R R R 2 2 3 4 4 ⎜ ⎟⎜ u ⎟ ⎜ −J ⎟ 8 ⎝ 3⎠ ⎝ ⎠ ⎜ 1 1 1 ⎟ − + ⎟⎟ ⎜⎜ 0 R4 R4 R5 ⎠ ⎝ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 73 Potenziali di nodo e matrice di incidenza ovvero Gu = J , dove G viene definita matrice delle conduttanze ai nodi, u è il vettore dei potenziali di nodo, J quello dei termini noti. Osserviamo subito che la costruzione del sistema nella forma appena considerata può essere realizzata per ispezione diretta del circuito. Difatti, per quanto riguarda la matrice G delle conduttanze ai nodi essa ha la seguente struttura: i termini della diagonale principale Gii contengono la somma delle conduttanze che incidono nel nodo i-esimo del circuito; quelli fuori diagonale Gi , j , i ≠ j sono l’opposto delle conduttanze esistenti tra il nodo i-esimo e j-esimo. Il vettore dei termini noti è costituito, per ciascuna riga i, dalla somma delle correnti note (dei generatori) entranti nel nodo i-esimo. Questa regolarità nella struttura delle matrici consente agevolmente di costruire il sistema da risolvere, come anticipato prima, per ispezione diretta del circuito. Ciò è alla base di molti algoritmi numerici per la simulazione circuitale. È possibile verificare direttamente che la matrice delle conduttanze ai nodi G può essere ottenuta in modo algebrico a con nel modo seguente. Si definisce anzitutto un vettore di conduttanze Y con la regola: ⎧1 ⎪ Yi = ⎨ Ri ⎪0 ⎩ 74 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali ed è facile mostrare che tramite la (6.17) otteniamo la matrice delle conduttanze ai nodi precedentemente ricavata. Potenziali di nodo modificato: forma matriciale Consideriamo ora un circuito nel quale siano presenti generatori di tensione oltre che di corrente, come ad esempio quello rappresentato in Figura 6.4. Vogliamo ad esso applicare il metodo dei potenziali di nodo “modificato”. Nel circuito si individuano n = 3 nodi, dunque avremo n − 1 = 2 equazioni indipendenti per le intensità di corrente ed altrettanti potenziali incogniti u1 , u2 , avendo assunto u3 = 0 . se sul lato i c'è un resistore, se sul lato i c'è un generatore di corrente. In tal caso è immediato verificare che: Figura 6.4 Un esempio di circuito con generatori di tensione e corrente G = Adiag(Y ) AT , (6.17) dove con diag( Y) si è indicata la matrice diagonale con gli elementi di Y sulla diagonale principale. Ad esempio, nel caso del circuito già esaminato in Figura 6.3, abbiamo: Y = (1 R1 ,1 R2 ,1 R3 ,1 R4 ,1 R5 ,0,0,0)T , I II III IV V VI VII VIII ⎛ −1 1 0 0 0 −1 −1 0 ⎞ ⎜ ⎟ 0 −1 −1 1 0 0 1 0 ⎟ Aa = ⎜ ⎜ 0 0 0 −1 −1 0 0 1 ⎟ ⎜ ⎟ ⎝ 1 0 1 0 1 1 0 −1⎠ 1 2 3 4 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Le KCL ai nodi 1 e 2 sono: i1 + i4 = 0 −i1 + i2 + i3 = J (6.18) Come possiamo notare non tutte le correnti possono essere espresse in funzione della tensione, cioè non tutti i bipoli sono caratterizzabili in tensione, (per questo stiamo parlando di metodo dei potenziali di nodo modificato). In particolare l’intensità di corrente i4 del generatore di tensione E non è direttamente esprimibile in funzione dei potenziali di nodo e rappresenta una ulteriore incognita del sistema (6.18), cui va aggiunta dunque l’ulteriore equazione. u1 = E (6.19) M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Potenziali di nodo e matrice di incidenza 75 Abbiamo dunque ottenuto un sistema in 3 equazioni ed altrettante incognite x = (u1 , u2 , i4 )T : ⎧ u1 − u2 ⎪ R + i4 = 0, 1 ⎪ ⎪ −u1 + u2 u2 u2 + + =J, ⎨ R2 R3 ⎪ R1 ⎪u = E . ⎪ 1 ⎩ ⎞ 1⎟ ⎟⎛ u ⎞ ⎛ 0 ⎞ ⎟⎜ 1 ⎟ ⎜ ⎟ ⎛ 1 1 1 ⎞ + + 0 ⎟ ⎜ u2 ⎟ = ⎜ J ⎟ . ⎜ ⎟ ⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎝ R1 R3 R3 ⎠ ⎝ i4 ⎠ ⎝ E ⎠ 0 0 ⎟⎟ ⎟ ⎠ − Formulazioni alternative delle equazioni circuitali della matrice d’incidenza A relativa ai lati con un generatore di tensione e AET la sua trasposta. Ricordiamo che la matrice G ha dimensione (n − 1) × (n − 1) mentre AE ha dimensione (n − 1) × nE ( AET ha dimensione nE × (n − 1) ) con nE numero dei generatori di tensione. Si noti la presenza della matrice nulla di dimensione nE × nE . Il vettore dei termini noti sarà dato (6.20) da (J , E)T . Correnti di maglia e matrice di maglia Accanto alla formulazione con i potenziali di nodo, sappiamo esistere una formulazione assolutamente speculare che è quella fondata sulle cosiddette correnti di maglia. Nel riprenderla faremo nuovamente riferimento al circuito di Figura 6.2, avendone scelto un certo albero (quello formato dai lati II e III), come riportato in Figura 6.5. In relazione alla scelta fatta per l’albero abbiamo che il vettore delle T correnti di coalbero risulta in questo caso i c = ( i1 , i4 ) . Esso può essere riscritto in forma matriciale: ⎛ 1 ⎜ R ⎜ 1 ⎜ 1 ⎜− ⎜ R1 ⎜ 1 ⎜ ⎜ ⎝ 76 1 R1 (6.21) Riconosciamo nella matrice a primo membro la sottomatrice 2 × 2 data dalla matrice delle conduttanze ai nodi G. Inoltre il vettore dei termini noti (0, J , E )T è costituito dal sottovettore (0, J )T delle correnti impresse ai nodi e dal sottovettore delle tensioni ( E )T dei generatori di tensione presenti nel circuito. È possibile a questo punto generalizzare i risultati di quanto visto con l’esempio. Nel caso in cui ci siano elementi non controllati in tensione il metodo dei potenziali di nodo viene modificato nel seguente modo: la matrice che moltiplica il vettore delle incognite deve essere una matrice a blocchi come schematizzato di seguito: ⎛G ⎜ T ⎝ AE AE ⎞ ⎟, 0 ⎠ (6.22) dove la sottomatrice G risulta essere proprio la matrice delle conduttanze ai nodi precedentemente definita, la sottomatrice AE risulta essere il sottoblocco M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 6.5 Grafo del circuito di Figura 6.2 con indicazione di un albero e delle correnti di maglia. Considerando ora le maglie fondamentali in relazione all’albero scelto ed indicate in figura, le relative correnti di maglia coincidono con quelle di coalbero a patto di scegliere il verso di percorrenza delle maglie in accordo con l’orientazione dei relativi lati di coalbero. Sulla base di tale scelta, evidenziata in Figura 6.5, possiamo scrivere nel modo seguente il legame tra le correnti di maglia (o di coalbero) e tutte le correnti del circuito: i1 = i1 i2 = −i1 i3 = −i1 + i4 i4 = i4 ⎛1 ⎜ −1 i =⎜ ⎜ −1 ⎜ ⎝0 0⎞ ⎟ 0⎟ ic 1⎟ ⎟ 1⎠ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (6.23) Una rivisitazione del teorema di Tellegen 77 Osserviamo ora (in analogia con quanto visto precedentemente per i potenziali di nodo, che la matrice di maglia (fondamentale) relativa all’albero scelto è: 78 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali uno stesso grafo con b lati, fissata una stessa convenzione su tutti i lati, si ha sempre: b ⎛ 1 −1 −1 0 ⎞ B=⎜ ⎟, ⎝0 0 1 1⎠ ∑v i (6.24) dunque si riconosce immediatamente che i = BT i c . (6.25) Procedendo in maniera analoga si può giungere ad un analogo risultato per quanto riguarda la matrice di taglio fondamentale relativa all’albero scelto: v = DT v t , (6.26) dove ora v è il vettore delle tensioni dei lati, e v t quello dei soli lati dell’albero. Sulla base di quanto visto possiamo affermare che le equazioni di interconnessione per un circuito possono essere poste nelle tre forme equivalenti (forma “Tableau”): Ai = 0, Bv = 0, Di = 0, v = A u; i = B ic ; v = DT v t . T T (6.27) k =1 k k = 0 , ovvero vT i = 0. Il teorema, nel caso particolare che v′ = v ed i′′ = i si riduce alla conservazione delle potenze elettriche in un circuito. Dunque esso sancisce una proprietà piuttosto generale per un circuito, che risulta basata sul solo fatto che le tensioni descrittive e le intensità di corrente descrittive debbano verificare i vincoli imposti dalle LK per un assegnato grafo. Una possibile dimostrazione del teorema di Tellegen (piuttosto usata) è basata sull’utilizzo della matrice di incidenza A e sul legame con i potenziali di nodo. Basandosi sulle proprietà di trasposizione del prodotto di matrici, si ha infatti: vT i = ( AT u ) i = uT ( Ai ) = 0 . T DBT = 0 ⇒ vTt D BT i c = 0 . NN v Una rivisitazione del teorema di Tellegen (6.29) È possibile dimostrare il teorema di Tellegen anche a partire dalla relazione DBT = 0 , utilizzando le espressioni di i c e v t date dalle (6.25) e (6.26). Si ha infatti: T Val la pena osservare che se per il circuito si utilizza in albero a stella con nodo comune il riferimento per i potenziali (è possibile sempre considerare un tale albero a patto di aggiungere eventuali circuiti aperti tra i nodi non direttamente collegati nel circuito), allora si ha che v t ≡ u ed i nodi 1 … n-1 coincidono con i tagli fondamentali: in tal caso la terza forma e la prima delle equazioni Tableau coincidono. (6.28) (6.30) i Equazioni circuitali nella forma di stato Dopo aver esaminato le formulazioni alternative delle equazioni circuitali basate sulle diverse matrici topologiche vogliamo ora considerare la formulazione tramite le equazioni di stato. Ricordiamo anzitutto che in matematica la forma normale per un problema dinamico di valore iniziale è data da: x = f ( x, t ) , Sulla base delle relazioni trovate possiamo qui dare una nuova dimostrazione del teorema di Tellegen: Come ricordiamo il teorema di Tellegen, o della conservazione della potenza virtuale pˆ k = vk′ ik′′ afferma che, per un qualsiasi sistema di tensioni v′ ed intensità di corrente i′′ che verificano le leggi di Kirchhoff associate ad Il problema espresso dalla (6.31) è noto come problema di Cauchy e su tale forma sono espressi i principali teoremi, in particolare a riguardo M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 x(t0 ) = X0 . (6.31) Equazioni circuitali nella forma di stato 79 dell’esistenza e dell’unicità della soluzione. È importante osservare che se per il caso dei circuiti lineari la possibile cattiva posizione del problema è essenzialmente dovuta ad incongruenze di tipo “topologico” e viene generalmente considerata come un fatto “patologico”, nel caso non lineare il problema dell’esistenza e dell’unicità risulta centrale ai fini della valutazione del modello che si sta considerando. Nel caso di un circuito il vettore x rappresenta un opportuno sottoinsieme delle variabili descrittive, che naturalmente deve permettere sempre di ricostruire le altre variabili in modo univoco. Le equazioni (6.31) sono dette equazioni di stato, e corrispondentemente le variabili x variabili di stato in presenza delle seguenti condizioni: a. il legame tra le variabili di stato e le altre è univoco ed esprimibile da relazioni di tipo algebrico; b. tutte le variabili di stato risultano continue nella sola ipotesi che i forzamenti del sistema si mantengano limitati; c. le variabili di stato risultano legate biunivocamente all’energia immagazzinata dal sistema; di conseguenza le condizioni iniziali in un qualsiasi istante t0 sono esprimibili dalle variabili di stato in modo univoco. È possibile che la scelta delle variabili di stato non sia univoca, nel senso che esistono più insiemi di variabili che verificano le condizioni richieste e permettono la scrittura delle equazioni nella forma canonica (6.31). In ogni caso il numero di variabili di stato coincide (di norma) con il numero di elementi dinamici, e più in generale con il numero di equazioni differenziali (indipendenti) presenti nella forma canonica. Nel caso dei circuiti lineari si scelgono tradizionalmente come variabili di stato le tensioni dei condensatori vC e le intensità di corrende degli induttori iL ed è facile mostrare che, salvo appunto casi patologici, è possibile mettere le equazioni nella forma normale e verificare le proprietà a), b), c). Vogliamo ora analizzare il problema in generale per circuiti eventualmente non lineari. In particolare vogliamo trovare le condizioni sufficienti perché le equazioni del circuito ammettano la forma di stato. Esempio da sviluppare M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 80 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Interpretazione geometrica della forma canonica e spazio delle configurazioni Al fine di studiare in generale il passaggio dalla forma canonica a quella di stato ha senso introdurre una interpretazione geometrica delle equazioni circuitali. Riscriviamo anzitutto le equazioni in forma canonica nel caso generale: Ai = 0 ⎫ ⎬ → leggi di Kirchhoff Bv = 0 ⎭ f R ( v R ,i R ) = 0 → resistori f S ( v S ,i S , t ) = 0 → generatori f P ( v P ,i P ) = 0 → multi-porta fC ( v C ,q ) = 0 → condensatori f L ( i L ,ϕ ) = 0 → induttori (6.32) dq ⎫ dt ⎪⎪ ⎬ → equazioni "dinamiche" dϕ ⎪ vL = dt ⎪⎭ iC = dove abbiamo considerato i soli generatori come elementi eventualmente tempo varianti. In riferimento al sistema (6.32) consideriamo che vi siano NC condensatori, NL induttori, NS generatori tempo varianti (s=”sources”), NR resistori (lineari e non lineari) NP doppi bipoli (p=”ports”). Il grafo corrispondente al sistema è formato da un numero di lati b = N R + N S + N C + N L + 2 N P . Corrispondentemente, il numero di equazioni (e di incognite) è pari a 2b + N C + N L di cui 2b sono algebriche ed N C + N L differenziali. Il sistema (6.32) può essere espresso in forma più sintetica come: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Equazioni circuitali nella forma di stato 82 81 F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0, dq , dt dϕ . vL = dt iC = Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Osserviamo che la generica soluzione del circuito ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) altro non è che una curva (con il tempo t come T (6.33) Una qualsiasi soluzione delle equazioni (6.32) (una volta assegnata la condizione iniziale) è esprimibile nella forma ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) , T parametro) nello spazio delle configurazioni. Possiamo darne un’immagine grafica con analogia meccanica al moto di un punto materiale su di una superficie come mostrato in Figura 6.11. In tal caso, lo spazio delle configurazioni rappresenta il vincolo sul quale si muovono le soluzioni. In sostanza, le soluzioni possono essere diverse in relazione alle diverse condizioni iniziali, ma devono soddisfare istante per istante la parte algebrica che rappresenta, appunto, il nostro vincolo. ed appartiene allo spazio \ 2b + NC + N L . Osserviamo subito che le variabili q,ϕ risultano i “candidati naturali” per esprimere le equazioni nelle forma di stato. Infatti se riusciamo a risolvere la parte algebrica delle (6.33) in funzione di esse otteniamo: dq = q , dt dϕ v L = f 2 ( q, ϕ , t ) = =ϕ , dt i C = f1 ( q,ϕ , t ) = (6.34) che è la forma di stato desiderata. Se consideriamo il sistema (algebrico) ottenuto da (6.32) escludendo le N C + N L equazioni differenziali (ovvero la F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0 nella (6.33)), abbiamo un sistema di 2b equazioni in 2b + NC + N L incognite. Quindi, in generale le soluzioni di questo sistema sono da ricercarsi nello spazio \ 2b + NC + N L e, di norma (perché ci possono essere dei casi particolari) costituiranno un sottospazio di dimensione N C + N L . Difatti, perché questa condizione sia verificata, deve accadere che le equazioni siano tutte compatibili tra di loro ed indipendenti. Se vi sono equazioni in contraddizione si abbassa la dimensione della soluzione. Se vi sono invece equazioni che sono dipendenti, aumenta la sua dimensione. Possiamo ora dare le seguenti definizioni: - si definisce punto di lavoro del circuito un qualsiasi insieme di tensioni, correnti, flussi e cariche che sia soluzione della parte algebrica del sistema. Figura 6.6. Rappresentazione grafica di una soluzione (traiettoria) poggiata (vincolata) allo spazio delle configurazioni Nelle equazioni scritte prima, i soli componenti tempo varianti si suppongono essere i generatori indipendenti. Per tenere conto di questa variazione temporale, si può pensare che la superficie si muova nel tempo, dovendo comunque la soluzione rimanere vincolata alla superficie, questa volta in moto. In talune circostanze è conveniente disfarsi di questa dipendenza dal tempo per poter utilizzare alcuni risultati. Questo lo si fa introducendo una nuova definizione: - si definisce spazio delle configurazioni generalizzato lo spazio delle configurazioni quando siano rimossi i vincoli (le equazioni) corrispondenti alle caratteristiche dei generatori indipendenti variabili nel tempo. - si definisce spazio delle configurazioni del circuito l’insieme di tutti i punti di lavoro M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 83 Equazioni circuitali nella forma di stato In tal caso il sottospazio corrispondente, sempre definito in \ 2b + NC + N L , avrà dimensione N C + N L + N S Val la pena infine di introdurre un’ulteriore definizione: 84 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali circuito a-dinamico N C + N L = 0 , dunque esso si dirà ben posto se ammette ∞ 0 = 1 soluzione. - si definisce un punto di lavoro in continua un punto di lavoro per cui si abbia i C = v L = 0 e siano spenti tutti i generatori di tensione e di corrente tempo-varianti. Condizioni di esistenza delle equazioni di stato Sulla base dei concetti introdotti proviamo a rispondere alle due questioni fondamentali circa l’esistenza della forma di stato che sono: Esempio: spazio delle configurazioni per un circuito a-dinamico lineare In un circuito lineare tali sono tutte le equazioni nel sistema (6.32). Di conseguenza lo spazio delle configurazioni sarà certamente un (iper)piano. Ha senso chiedersi: la dimensione di tale piano sarà sempre pari a N C + N L ? Ebbene, anche in un caso così semplice, la risposta a tale quesito non è sempre positiva, come vediamo subito con il seguente esempio. Consideriamo dunque il circuito in Figura 6.7, che rappresenta un classico caso limite. Nell’esempio che stiamo considerando è immediato constatare che NC + N L = 0 . 1. le funzioni f1 ed f2 nella (6.34) esistono sempre? 2. le soluzioni del sistema (6.34) sono sempre soluzioni del sistema di partenza (6.33)? Solo per semplificare la trattazione considereremo il caso di tutti generatori tempo invarianti, senza peraltro che ciò infici le conclusioni cui perverremo. Possiamo dire che le equazioni (6.34) sono le equazioni di stato per il circuito descritto dalla forma canonica (6.32) se accade contemporaneamente che: a. se ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) è una soluzione del circuito allora T q ( t ) ,ϕ ( t ) sono soluzione delle (6.34); v1 + - v2 + - Figura 6.7. Un banale circuito degenere Potremmo allora aspettarci che la dimensionalità sia ∞ 0 = 1 , cioè il sistema abbia una soluzione. Invece, come sappiamo per il circuito in esame sono possibili due situazioni: v1 ≠ v2 ⇒ il circuito non ammette soluzione. v1 = v2 ⇒ il circuito ammette infinite soluzioni A valle dell’esempio fatto, ha senso dare la seguente definizione: - un circuito si dice ben posto se il suo spazio delle configurazioni ha dimensione proprio pari a N C + N L . In particolare, siccome in un M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 b. se q ( t ) ,ϕ ( t ) sono soluzione delle (6.34) allora esiste una sola ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) soluzione del circuito. T Dal punto di vista geometrico le due condizioni citate equivalgono al fatto che ci sia una proiettabilità biunivoca tra lo spazio delle variabili di stato q ( t ) ,ϕ ( t ) e lo spazio di tutte le altre variabili. Tale circostanza va verificata nello spazio delle configurazioni generalizzato, come schematicamente indicato in Figura 6.8. In uno spazio (virtualmente) a tre dimensioni v ed i rappresentano le tensioni e le intensità di corrente (tranne quelle dei generatori) e la superficie definisce lo spazio delle configurazioni generalizzato. Quello che succede nell’esempio considerato è che per un certo valore assegnato dei generatori, e per un certo valore assegnato da q ( t ) ,ϕ ( t ) , si hanno due valori possibili per le tensioni e le correnti (in questo esempio, ma potrebbero essere anche di più in generale). Questo significa che siamo in una situazione in cui non esistono le equazioni di stato globali. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Equazioni circuitali nella forma di stato 85 86 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali In altre parole se accade che: “tutti i condensatori risultano controllati in carica, tutti gli induttori controllati in flusso, ed il circuito resistivo associato al circuito dinamico di partenza risulta ben posto per qualsiasi scelta delle variabili v C , i L , allora esiste certamente la forma di stato (6.34)”. Circuito resistivo associato Consideriamo il circuito in Figura 6.9 (si tratta di un semplice circuito del primo ordine non lineare). Consideriamo separatamente la parte a-dinamica del circuito (nel riquadro tratteggiato in figura), da quella dinamica. Se siamo in grado di ottenere la caratteristica del bipolo nel riquadro tratteggiato nella forma controllata in tensione, iC = f ( vC , t ) tenuto conto della caratteristica del condensatore abbiamo immediatamente: C Figura 6.8 spazio delle configurazioni generalizzato non parametrizzabile (globalmente) rispetto a q,φ. È possibile a questo punto dare le condizioni (necessarie e sufficienti) affinché, come si dice, la parametrizzazione dello spazio delle configurazione rispetto alle variabili q ( t ) ,ϕ ( t ) risulti globale. In particolare, considerata la funzione F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0 definita nelle (6.33) e scomposta come: dvC = f ( vC , t ) dt (6.37) Nel caso in esame è praticamente immediato ricavare la caratterizzazione in tensione del bipolo a-dinamico nel riquadro: iC = iR − i = vg ( t ) − vC R − g ( vC ) = f ( vC , t ) (6.38) FC ( v C , q ) = 0, FL ( i L ,ϕ ) = 0, (6.35) FRP ( v R , i R ) = 0, dove la FRP include tutte le relazioni algebriche degli elementi a-dinamici oltre alle leggi di Kirkhhoff, è possibile affermare che: vC = ψ 1 ( q ) q,ϕ parametri globali ⇔ i L = ψ 2 (ϕ ) ⎛ v⎞ ⎜ ⎟ = ψ 2 ( vC , i L ) ⎝i⎠ M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 6.9. Un semplice circuito dinamico del primo ordine (6.36) Osserviamo subito che la caratteristica iC = f ( vC , t ) che abbiamo trovato è, in linea di principio, la soluzione del seguente circuito “resistivo”: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Equazioni circuitali nella forma di stato 87 88 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Consideriamo in generale un circuito con N C condensatori ed N L induttori (per il momento li supponiamo tutti lineari); in tal caso la forma delle equazioni di stato sarà: x = f ( x, t ) , (6.39) ( ) dove il vettore x è definito da x = v1 ....vNC , i1....iN L . Figura 6.10. Il circuito resistivo associato al circuito dinamico precedente In altri termini, nel risolvere il circuito, abbiamo di fatto sostituito all’elemento dinamico un generatore di tensione, e su questa base abbiamo caratterizzato il bipolo a-dinamico cui risultava connesso. In generale, preso un circuito dinamico con induttori e condensatori, il circuito in cui ai condensatori sostituiamo i generatori di tensione ed agli induttori quelli di corrente viene detto circuito resistivo associato a quello di partenza. Tale concetto è importantissimo dal punto di vista pratico per scrivere le equazioni, e dal punto di vista teorico perché le proprietà della soluzione, una volta formulate le equazioni di stato, verranno a dipendere dalla funzione f ( x, t ) , dunque in definitiva dalla sola parte a-dinamica del circuito. Se ad esempio considerassimo un circuito con una capacità ed un’induttanza, il procedimento considerato ci porta a caratterizzare questa volta un doppio bipolo resistivo, come mostrato nella Figura 6.11. Analogamente a quanto visto prima possiamo considerare il circuito resistivo associato come in Figura 6.12. + - (NC+NL)-porte adinamico (NC+NL)-porte adinamico + - Circuito di partenza Circuito resistivo “associato” Figura 6.12. Generalizzazione ad un circuito dinamico di ordine qualsiasi del concetto di circuito resistivo associato Facciamo ora un passo indietro, partendo dalla forma “canonica” delle equazioni: Ai = 0 ⎫ ⎬ equazioni di interconnessione Bv = 0 ⎭ (6.40) f ( v,i, t ) = 0 caratteristiche a-dinamiche dv C ⎫ dt ⎪⎪ ⎬ caratteristiche dinamiche di L ⎪ vL = L dt ⎪⎭ dove A e B sono una matrice di incidenza di nodo (ridotta) ed una di maglia (fondamentale), e C ed L sono le matrici: iC = C Figura 6.11. Un circuito del secondo ordine visto come un doppio bipolo adinamico collegato ai due elementi dinamici; il corrispondente circuito resistivo associato M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 89 Equazioni circuitali nella forma di stato ⎛ C1 0 ⎜ 0 C2 C =⎜ ⎜0 . ⎜ ⎝0 0 . . . . . . . . . 0 ⎞ ⎛ L1 ⎟ ⎜ . . ⎟ 0 L=⎜ ⎜0 . . ⎟ ⎟ ⎜ . CN ⎠ ⎝0 0 L2 . 0 . . . . . . . . . 0 ⎞ ⎟ . . ⎟ . . ⎟ ⎟ . LM ⎠ 90 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Unicità della soluzione per un circuito a-dinamico (6.41) “se un circuito (a-dinamico) è costituito di resistori passivi con caratteristica strettamente crescente e da generatori indipendenti, e se non vi sono maglie costituite da soli generatori di tensione e tagli costituiti da soli generatori di corrente, la soluzione del circuito è unica” Il sistema può essere messo nella forma: dv C C = f C ( x, t ) dv di L L = f L ( x, t ) dt (6.42) ovvero, raggruppando i termini, Ex = f (x, t ) con: ⎛ [C ] E = ⎜⎜ ⎝ 0 0 ⎞ ⎟ [ L ] ⎟⎠ ed ⎛f ⎞ f = ⎜ C ⎟ ⎝ fL ⎠ (6.43) Naturalmente i passaggi formali fatti presuppongono implicitamente (oltre all’ipotesi di condensatori ed induttori lineari) che il circuito resistivo associato sia ben posto. A questo punto, per completare il nostro il discorso dobbiamo dunque studiare l’unicità della soluzione di un circuito resistivo: in tal modo, mediante il concetto di circuito resistivo associato, saremo in grado in modo semplice di garantire l’esistenza delle equazioni di stato globali, e di qui, come vedremo più avanti, di studiare l’unicità della soluzione. Prima enunciare il teorema di unicità per le soluzioni di un circuito adinamico, val la pena di ricordare alcune definizioni sulla passività: in particolare un bipolo statico si dice passivo quando, fatta la convenzione dell’utilizzatore, si ha che p = vi ≥ 0 in qualsiasi punto della caratteristica. Inoltre, si dice “strettamente” passivo se, oltre ad essere passivo, si ha che vi = 0 ⇔ v = i = 0 . Si dice infine “localmente” passivo in un generico punto di lavoro sulla sua caratteristica se in tale punto la pendenza della caratteristica è positiva. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 E’ semplice ed istruttivo dimostrare tale risultato. Basta procedere per assurdo, ipotizzando che esistano due soluzioni diverse per il circuito, ovvero due sistemi di tensioni e di correnti descrittive vk′ ik′ e vk′′ik′′ che soddisfano tutte le equazioni, vale a dire le leggi di Kirchhoff e le caratteristiche degli elementi. Consideriamo a tal fine le quantità Δvk = v ' k − v ''k e Δik = i 'k − i '' k . Esse verificano le leggi di Kirchhoff (per la linearità di queste ultime). Di conseguenza alle grandezze Δvk e Δik possiamo applicare il teorema di Tellegen: ∑ Δv Δi k k =0 (6.44) k Analizziamo ora in modo puntuale i diversi tipi di termini che possono presentarsi nella sommatoria (6.44). Nel caso di lati con resistori lineari (passivi) avremo termini del tipo Δvk Δik = Rk Δik2 ≥ 0 , che risulteranno sempre positivi. Per il lati con generatori di tensione, invece, Δvk = 0 ⇒ Δvk Δik = 0 dunque i termini saranno tutti nulli. Stessa cosa per i lati con generatori di corrente Δik = 0 ⇒ Δvk Δik = 0 . Infine, per i lati con bipoli non lineari di caratteristica ik = g ( vk ) avremo che Δvk Δik = Δvk ⎡⎣ g ( v ''k ) − g ( v 'k ) ⎤⎦ . Tenuto conto di quanto osservato, potremo riscrivere la sommatoria (6.44) come: ∑ Δv k ⎡ g ( v ''k ) − g ( v ' k ) ⎤ + ∑ RΔ 2 ik = 0 ⎣ ⎦ (6.45) A causa della stretta monotonia ipotizzata per tutti i bipoli passivi, si ha che se Δvk ≥ 0 allora certamente sarà g ( v ''k ) − g ( v 'k ) > 0 , e viceversa. Perché dunque l’uguaglianza sia valida dovrà necessariamente accadere che Δvk = 0 e Δik = 0 , c.v.d. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Albero proprio ed equazioni di stato 91 92 Formulazioni alternative delle equazioni circuitali Albero proprio ed equazioni di stato A completamento del discorso sull’esistenza delle equazioni di stato per un circuito vogliamo a questo punto descrivere un metodo, che poi possa tradursi in algoritmo, per la ricerca sistematica delle equazioni di stato in un circuito. Esso si basa sul concetto di albero proprio, ovvero un albero che contenga tutti i condensatori del circuito e nessun induttore. Illustreremo la procedura con un esempio: consideriamo il circuito di Figura 6.13 iL i1 e + - R1 i2 L + + vC1 - C1 C2 vC2 - gvC1 R2 (a) Le variabili di stato per il circuito sono vC1 , vC 2 , iL . Consideriamo ora le KCL per i tagli fondamentali che includono i condensatori e le KVL per le maglie fondamentali che includono gli induttori (è chiaro che per far ciò è necessario l’albero proprio). Si ha: C1 dvC1 e(t ) − vC1 = i1 − iL = − iL , dt R1 dv v C2 C 2 = iL − gvC1 − i2 = − gvC1 − C 2 + iL , dt R2 L (b) (6.46) diL = vC1 − vC 2 , dt ovvero, posto x = (vC1 , vC 2 , iL )T in forma normale: ⎡ 1 ⎢− R C ⎢ 1 1 ⎢ g x = ⎢ − ⎢ C2 ⎢ 1 ⎢ ⎣ L 0 − 1 R2C2 − 1 L 1⎤ ⎛ e (t ) ⎞ C1 ⎥ ⎜ RC ⎟ ⎥ ⎜ 1 1⎟ 1 ⎥ x+⎜ 0 ⎟. C2 ⎥⎥ ⎜ ⎟ 0 ⎟ ⎜ ⎥ ⎜ ⎟ 0 ⎥ ⎝ ⎠ ⎦ − M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (6.47) Figura 6.13 (a) un circuito del terzo ordine, (b) un suo albero proprio ed i relativi insiemi di taglio fondamentali con i condensatori Generalizzando quanto visto nell’esempio possiamo dunque affermare che: se in un circuito dotato di albero proprio scriviamo le KVL alle maglie fondamentali con gli induttori e le KCL ai tagli fondamentali con i condensatori, sostituendo tutte le caratteristiche degli elementi dinamici otteniamo un sistema di equazioni in cui le derivate delle variabili iL e vC (o φ e q nel caso non lineare) compaiono in maniera isolata all’interno di ciascuna equazione. Queste equazioni rappresentano le sole equazioni dinamiche del sistema. Riducendo la parte algebrica delle equazioni in modo da eliminare le altre variabili (è possibile realizzare ciò in forma algoritmica) otteniamo le equazioni di stato del circuito in modo diretto. Riferimenti bibliografici: [1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986, ISBN 0-89006-208-0. [1] L.O. CHUA, P.M. LIN, Computer aided analysis of electronic circuits: algorithms & computational techniques, Prentice Hall, 1975, ISBN 013-165415-2. [2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. [3] C.A. DESOER, E.S. KUH, Fondamenti di Teoria dei Circuiti, Franco Angeli, 1999, ISBN 88-2042-756-7. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 94 7. Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” Abbiamo sin qui ragionato della formulazione delle equazioni circuitali. Quando si passa al problema della soluzione, la prima questione da affrontare è quella dell’esistenza ed unicità. Potrebbe sembrare una questione superflua, in quanto dal punto di vista fisico essa è certamente garantita. Dobbiamo però ricordare che il modello non coincide con la realtà, e dunque possono esservi sorprese ed insidie. Il problema dell’esistenza ed unicità della soluzione in un circuito viene solitamente fugacemente introdotto a proposito dei circuiti lineari. In tal caso però esso è quasi sempre banale; vedremo che non lo è altrettanto nel caso non lineare. Consideriamo un classico circuito non lineare a-dinamico, come quello di Figura 7.1, dove un resistore non lineare (diodo tunnel) a caratteristica non monotona è collegato ad un generatore reale. Il circuito è descritto dalle equazioni: vD = E − RiD , (7.1) iD = g (vD ), dove abbiamo supposto che il diodo abbia una caratteristica controllata in tensione. L’analisi stazionaria può facilmente essere condotta con il metodo grafico (Figura 7.2). iD R E + - + vD - Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” due soluzioni (Figura 7.2c) oppure tre soluzioni distinte (Figura 7.2d), allo stato indistinguibili tra loro. Figura 7.2: analisi grafica delle soluzioni Supponiamo di essere nel caso di Figura 7.2d in una certa “condizione iniziale” in un istante t0 , compatibile con le equazioni del circuito, ovvero in una delle tre possibili soluzioni, ad esempio P1 ; ci domandiamo: cosa accade al circuito successivamente a t0 ? si permane in P1 , o si può passare nelle altre soluzioni? Il modello, allo stato, non è in grado di darci una risposta, e dunque, da questo punto di vista, è inadeguato. Andiamo ora a complicare ulteriormente le cose, aggiungendo al circuito, che immaginiamo in una specificata condizione di funzionamento, un generatore di tensione variabile Δe ( t ) , di modo che sia e ( t ) = E + Δe ( t ) (Figura 7.3). Se immaginiamo al solito di partire dal punto P1 , cosa accade al “muoversi” della retta di carico per effetto del generatore Δe ( t ) ? Potremmo Figura 7.1: circuito con generatore reale e diodo tunnel A seconda della pendenza e delle intercette della retta di carico possono presentarsi diversi casi: il circuito può avere una soluzione (Figura 7.2a,b), invocare un principio di “continuità e dire che la soluzione si sposta solidalmente con l’intersezione della retta di carico alla caratteristica. Ma, anche ammesso ciò, cosa accade se (vedi retta tratteggiata) ci si sposta più in M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 95 96 Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” ⎧iR = iD + iC , ⎪ ⎪i = e ( t ) − vD , ⎪R R ⎨ ⎪iD = g ( vD ) , ⎪ dv ⎪iC = C C , dt ⎩ alto del massimo della curva? Ancora una volta il modello non dà risposta, dunque risulta inadeguato! (7.2) da cui: Figura 7.3: analisi grafica con generatore variabile Il modello che stimo adottando è incongruente dal punto di vista fisico. Ciò accade quasi sempre per un difetto di modellazione, ovvero per aver trascurato qualcosa che, evidentemente, non può essere trascurato. Proviamo a sanare le incongruenze sin qui viste. In effetti i problemi nascono nel considerare il circuito fisico (e corrispondentemente il modello) come adinamico. Un modo naturale per introdurre la dinamica è quello di considerare l’inevitabile capacità parassita associata alla giunzione del diodo, con il che il circuito da studiare risulta quello in Figura 7.4. g (vD ) + C dvD e ( t ) − vD . = dt R (7.3) Osserviamo che abbiamo ridotto il sistema all’equazione: ⎤ dvD 1 ⎡ e ( t ) − vD = ⎢ − g ( vD ) ⎥ dt C⎣ R ⎦ (7.4) che altro non è che l’“equazione di stato” del circuito, essendo nella forma x = f ( x, t ) . Nel caso che stiamo considerando f ( x, t ) è una funzione ad un sol valore di vD ed e ( t ) , e ciò è condizione necessaria perché la (7.4) possa essere considerata una equazione di stato. Analisi circuito RCDt via linearizzazione Figura 7.4: il circuito precedente con la capacità di giunzione Andiamo a scrivere le equazioni del circuito; in accordo con le notazioni e le convenzioni scelte, avremo: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Vogliamo anzitutto studiare la stabilità (locale) delle soluzioni stazionarie attraverso la linearizzazione. Il circuito equivalente a “piccolo segnale” è quello riportato in Figura 7.5, nel quale al posto dell’elemento non lineare è stato sostituito un resistore di valore opportuno. Nel circuito con rD indichiamo con la cosiddetta “resistenza differenziale” dv calcolata nel punto di lavoro considerato. del diodo, ovvero rD = di M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Analisi circuito RCDt via linearizzazione 97 98 Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” Geq ( P1 ) > 0, ( gD > 0 Geq ( P2 ) < 0, (g Geq ( P3 ) > 0, ( gD > 0 D G > 0) gD > G ) <0 (7.7) G > 0) Nel caso invece di una sola intersezione si avrà: Geq ( P2 ) > 0, Figura 7.5: il precedente circuito “linearizzato” vC ( t ) = A ⋅ e dove Req = 1 ; Geq D < G) (7.8) + vp (t ) (7.5) Osserviamo subito che nel punto P2 , poiché esso risulta instabile, non ha senso fare l’analisi a piccolo segnale. Sappiamo bene, infatti, che l’analisi a piccolo segnale ha una validità solo se le oscillazioni sono ristrette ad un opportuno intorno del punto di lavoro. con Geq = G + g D (7.6) Analisi qualitativa globale per il circuito RCDt In tal caso, avendo un circuito lineare, sappiamo già che la soluzione sarà del tipo: −t Req C (g L’interpretazione geometrica del parametro g D è data nelle Figura 7.6a e Figura 7.6b. Proviamo ora a valutare la stabilità globale dal punto di vista qualitativo. Riscriviamoci per comodità l’equazione di stato: ⎤ dvD 1 ⎡ v ( t ) − vD = ⎢ − g ( vD ) ⎥ dt C⎣ R ⎦ (7.9) e consideriamo i diversi casi, rappresentati in Figura 7.7. Nei casi a,b e d l’unica soluzione è anche globalmente asintoticamente stabile. Nel caso c abbiamo invece tre soluzioni di cui solo due sono stabili ed una (quella intermedia) risulta instabile. Per ogni regione di condizioni iniziali (tensione minore di quella corrispondente a P1 , compresa tra P1 e P2 , compresa tra P2 Figura 7.6: conduttanze differenziali nei punti di lavoro Per analizzare i casi che possono presentarsi, appunto consideriamo separatamente la situazione in cui abbiamo tre intersezioni (Figura 7.6a) e quella in cui ne abbiamo una sola (Figura 7.6b). Nella prima situazione, sono tre i possibili punti di lavoro attorno ai quali linearizzare e si avrà: M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 e P3 , maggiore di P3 ) è possibile individuare univocamente la dinamica in modo qualitativo. Ciascuna regione ha uno dei punti di lavoro stabili come soluzione di regime stazionario, e per tale ragione prenderà il nome di bacino d’attrazione della soluzione. Verifichiamo così (a posteriori) che l’aver introdotto la capacità parassita nel modello del circuito in esame ha risolto tutta una serie di incongruenze del modello! Potremmo allora pensare che il problema fosse quello di aggiungere un elemento dinamico al circuito. Ma le cose non stanno in modo così semplice come vedremo con un nuovo esempio. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 99 Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto 100 Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” Potrebbe sembrare un’equazione di stato; così sarebbe se potessimo scrivere vD = g −1 ( iD ) , ma sappiamo che non è possibile, essendo il bipolo non controllabile in corrente a causa della caratteristica (non monotona). Dunque, per le considerazioni fatte in precedenza possiamo concludere che per il circuito non esistono le equazioni di stato (globali). Ricordiamo anzitutto che l’analisi stazionaria del circuito in esame non è cambiata rispetto al circuito precedente, nel senso che sostituendo questa volta all’induttore un corto circuito si ottiene ancora una volta il circuito adinamico con il solo generatore reale ed il diodo tunnel in serie. Per procedere ad un’analisi qualitativa analoga a quella già vista peri il circuito con la capacità proviamo allora a ricondurre l’equazione (7.10) ad una forma più possibile simile alla (7.9). Ciò può essere fatto ricorrendo ad un “trucco” algebrico, cioè: di dg dg dvD = = dt dt dvD dt Figura 7.7: diagrammi di stabilità globale nei diversi casi dove Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto Consideriamo ora il circuito in Figura 7.8, dove la dinamica viene introdotta attraverso un induttore in serie piuttosto che, come nel caso precedente, con una capacità in parallelo. Essa potrebbe rappresentare l’induttanza parassita del resistore o dei collegamenti del diodo. (7.11) dg è la conduttanza differenziale del diodo. Sostituendo la (7.11) dvD nell’eq. (7.10), si ha: L dg dvD e(t ) − vD = − g ( vD ) R dvD dt R (7.12) da cui possiamo ricavare: R e(t) L iD dvD R dvD ⎡ e(t ) − vD = − g ( vD ) dt L dg ⎢⎣ R + - ⎤ ⎥⎦ . (7.13) Osserviamo che questa volta non abbiamo la forma normale x = f ( x, t ) Figura 7.8: circuito con induttanza parassita come nell’equazione (7.9) per la presenza del fattore L’equazione differenziale che descrive il circuito in tal caso sarà data da: qualitativamente il segno della derivata L di = e(t ) − vD − Ri dt M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (7.10) dvD . Per studiare dg dvD nella (7.13) dovremo analizzare dt contemporaneamente quello dei due fattori a secondo membro. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto dvD > 0 se dt e ( t ) − vD ⎧ dg >0 e > g ( vD ) ⎪ R ⎪ dvD ⎨ ⎪ dg < 0 e e ( t ) − vD < g (v ) D ⎪ dv R ⎩ D 101 (7.14) Possiamo allora distinguere i diversi casi, che sono tutti mostrati in Figura 7.9. Le frecce disegnate sulla caratteristica indicano, per ciascun tratto, la corrispondente “direzione del moto”, e le frecce si invertono sia quando la caratteristica dell’elemento non lineare incrocia la retta di carico, ma anche quando inverte la pendenza determinando il cambio di segno del fattore dg dvD . Dall’analisi dei diversi possibili casi (in relazione alle possibilità di intersezione delle due curve rappresentate in figura) risulta evidente che in alcuni di essi le frecce che indicano la direzione di movimento possibile lungo la caratteristica convergono verso i punti Q1 e Q2, pur non essendo essi punti di equilibrio per il circuito. Per questo motivo detti punti vengono chiamati di “impasse”. Questo è ad esempio il caso della Figura 7.9d: in corrispondenza dei punti Q1 e Q2 le frecce convergono da entrambi i lati. Ciò vuol dire che una soluzione che perviene ad uno di essi, indipendentemente dal lato da cui proviene, non può “proseguire” lungo la caratteristica; nello stesso tempo non può arrestarsi in quanto essi non sono punti di equilibrio (la 102 Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” derivata dvD dt non si annulla mai in Q1 e Q2,). In termini matematici dobbiamo constatare che, per il modello considerato, se nella dinamica raggiungiamo un punto siffatto, la soluzione “muore” in quel punto, e non è possibile proseguire nell’analisi. In altri termini viene a mancare l’esistenza della soluzione una volta raggiunto il punto di impasse. Tali apparenti “stranezze” si giustificano perfettamente ricordando che, nel caso in esame, non esistono le equazioni di stato (globali) e dunque manca una condizione essenziale a garanzia dell’esistenza della soluzione ∀t ≥ t0 . Dunque ancora una volta il modello del circuito che abbiamo considerato risulta inadeguato. Ma ci chiediamo: cosa accade nella realtà? Ebbene, studiando “sperimentalmente” un circuito reale siffatto, osserveremmo il cosiddetto fenomeno di “salto”. Cioè una volta raggiunto il punto di impasse, la soluzione presenta una discontinuità in una delle grandezze saltando bruscamente sull’altro ramo della caratteristica, come descritto in Figura 7.10. Val la pena osservare che se proviamo ad includere (in modo euristico) nel modello una regola di “salto”, la soluzione diviene discontinua; in secondo luogo, chi ci assicura che il salto debba per forza avvenire in corrispondenza del punto di impasse? (vedi Figura 7.11). Dunque, includendo il “salto” nel nostro modello, la soluzione non solo non è continua, ma non è unica. Figura 7.10: Fenomeno di salto Figura 7.9: analisi qualitativa del circuito con induttanza parassita M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 103 Circuito RLCDt e soluzione dell’impasse Circuito RLCDt e soluzione dell’impasse Proviamo ora nuovamente a raccordare quanto osservabile in un esperimento reale (il fenomeno del “salto”) con un modello circuitale più realistico. Ciò può essere realizzato con una tecnica detta della “perturbazione singolare”. Per far ciò, al solito, dovremo considerare un modello più complesso di quello sinora considerato. Ancora una volta ci viene in aiuto l’uso di una capacità parassita in parallelo all’elemento non lineare, capacità che poi faremo tendere a zero tornando al caso precedente. Consideriamo allora il circuito di Figura 7.12. Le equazioni, in tal caso, sono: → diL 1 = ⎡ e ( t ) − vC − RiL ⎤⎦ dt L ⎣ dvC iL − g (vC ) = dt C Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” È facile rendersi conto direttamente che le equazioni (7.15) sono effettivamente equazioni di stato (globali) per il circuito considerato. Dunque l’aggiunta della capacità ha ancora una volta corretto il modello! Possiamo ora provare a fare un’analisi qualitativa nell’ipotesi di C → 0 (ricordiamo che C è la capacità “parassita” del diodo), anche senza risolvere analiticamente le equazioni. Consideriamo a tal fine il piano delle variabili di stato vC ed iL , dove rappresentiamo per comodità anche la caratteristica del diodo. Osserviamo anzitutto che, mentre nei circuiti precedentemente considerati la tensione del diodo coincideva con quella del condensatore, ovvero la corrente del diodo con quella dell’induttore, sicché le dinamiche nei piani considerati inevitabilmente dovevano svolgersi lungo la caratteristica (in sostanza essa coincideva con una sezione dello spazio delle configurazioni), nel rappresentare ora il piano delle due variabili di stato vC , iL le traiettorie possono essere in punti arbitrari del piano. È però utile distinguere, per la nostra analisi qualitativa, i punti “vicini” alla caratteristica (dove iL ≈ iD = g ( vC ) ) rispetto a quelli “lontani”. Difatti, nel caso che iL e Figura 7.11: Molteplicità di possibili soluzioni con “salto” diL ⎧ ⎪⎪e(t ) = RiL + L dt + vC ⎨ ⎪C dvC = i − g (vc ) L ⎪⎩ dt 104 (7.15) iD = g ( vC ) siano significativamente diversi, essendo C → 0 dalle (7.15) avremo dvC di >> L : in altri termini, quando ci troviamo in un punto lontano dt dt dalla caratteristica il moto sarà sostanzialmente “orizzontale” nel piano di stato (osserviamo che in ogni punto il vettore velocità è dato proprio da ⎛ dvC diL ⎞ , ⎜ ⎟ . Quando a seguito di tale spostamento orizzontale (che ricorda ⎝ dt dt ⎠ molto il “salto” precedentemente postulato) abbiamo raggiunto la regione della caratteristica, il numeratore della seconda equazione delle (7.15) si annulla, e di nuovo le due componenti della velocità tornano ad essere confrontabili l’una all’altra. La situazione si comprende meglio aiutandosi con la Figura 7.14, dove viene riportata una mappa qualitativa delle velocità nelle diverse regioni dello spazio di stato, legata al segno di dvC dt facilmente deducibile analizzando le (7.15). In Figura 7.14 vengono rappresentati alcuni possibili salti. Essi avverranno sia in corrispondenza di condizioni iniziali (come ad esempio i punti 1 e 2 in figura) lontani dalla caratteristica, ovvero quando giunti ad un punto di impasse la soluzione deve trovare un percorso possibile per arrivare ad un punto di equilibrio. Figura 7.12: circuito con induttanza e capacità M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Dinamica qualitativa di un oscillatore con salto 105 106 Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse” iD Q1 Q2 vD Figura 7.13: mappa delle velocità nello spazio di stato (b) x(t) t (b) Figura 7.15: Dinamica qualitativa di un oscillatore: (a) spazio di stato; (b) dominio del tempo. Figura 7.14: Analisi qualitativa del circuito con induttanza e capacità Dinamica qualitativa di un oscillatore con salto Un esempio significativo dal punto di vista applicativo è dato dalla dinamica del multivibratore astabile (Figura 7.14), che si può realizzare con il circuito considerato nel con parametri della retta di carico che determinano un unico punto di lavoro stazionario instabile, come mostrato in Figura 7.15a. Da qualsiasi punto si parta, si arriva dapprima sulla caratteristica che viene percorsa fino al primo punto di impasse; a quel punto si salta sull’altro ramo della caratteristica, percorrendola, a sua volta, sino al secondo punto di impasse, e così via. Si è in questo modo realizzato un oscillatore, la cui dinamica asintotica è costituita da una oscillazione periodica. In dipendenza della condizione iniziale, per t → ∞ , si avranno (infinite) forme d’onda periodiche che possono essere sovrapposte per traslazione di una frazione dell’intervallo di periodicità, ciascuna associata ad una specifica condizione iniziale (Figura 7.15b). Tale comportamento mette in evidenza, tra l’altro, la non esistenza di un unico regime tipica dei circuiti non lineari, e di cui ci occuperemo in dettaglio più avanti. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Riferimenti bibliografici: [1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986, ISBN 0-89006-208-0. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 108 8. Esistenza ed unicità delle soluzioni Ricordiamo che un sistema di equazioni differenziali è detto in forma normale se è scritto come: x = f ( x, t ) , (8.1) osservando che in tale espressione sono implicite le seguenti proprietà: i. sono presenti solo le derivate prime (a primo membro) ii. la f ( x, t ) è definita per qualsiasi valore di x . iii. la dipendenza di x da x e t tramite f è univoca. Sappiamo che la possibilità di esprimere un’equazione differenziale in forma normale è condizione necessaria, come abbiamo visto in precedenza studiando il fenomeno dell’impasse, per l’esistenza e l’unicità della soluzione. Vogliamo ora analizzare le condizioni che garantiscono l’esistenza ed unicità della soluzione (condizioni sufficienti). Prima di illustrare i teoremi che stabiliscono le ipotesi nelle quali l’esistenza ed unicità della soluzione è garantita, è necessario riprendere la definizione di funzione Lipschitziana. Funzione Lipschitziana: Una funzione f ( x) si dice Lipschitziana se esiste una costante k tale che: f ( x2 ) − f ( x1 ) ≤ k x2 − x1 ∀ x2 , x1 ∈ D M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 (8.2) Esistenza ed unicità delle soluzioni dove D è il suo dominio di definizione. In tal caso si dice anche che la funzione f ( x) è globalmente Lipschitziana. Si osservi che la definizione di Lipschitzianità risulta indipendente da come è definita la norma. Se esiste una costante k tale che: f(x2 ) − f(x1 ) ≤ k x2 − x1 ∀ x2 ,x1 ∈ [ x0 − x, x0 + x ] ⊂ D (8.3) la funzione f ( x) si dice localmente Lipschitziana in x0 , ovvero esiste un intorno del punto in cui la funzione risulta Lipschitziana. In relazione alla proprietà di Lipschitzianità è possibile dimostrare le seguenti relazioni: f(x) derivabile in x0 ⇒ f(x) Lipschitziana (loc.) in x0 f(x) Lipschitziana (loc.) in x0 ⇒ f(x) continua in x0 La condizione di Lipschitzianità (locale) risulta dunque una condizione intermedia tra la derivabilità e la continuità. Come conseguenza si ha anche che condizione sufficiente per la Lipschitzianità di una funzione f ( x, t ) è la sua derivabilità. Per renderci conto del legame tra Lipschitzianità e derivabilità basta dividere entrambi i membri della (8.3) (1) per x2 − x1 : f(x2 ) − f(x1 ) x2 − x1 ≤k (8.4) dove al tendere di x2 → x1 essa rappresenta il limite del rapporto incrementale. Possiamo concludere che basta trovare punti di flesso verticali o punti che determinano asintoti verticali nella f per fare divergere irrimediabilmente il rapporto dato dalla (8.4). Si potrebbe allora concludere che le funzioni Lipshitziane sono tutte e sole quelle derivabili. Un importante contro esempio è costituito dall’importante classe delle funzioni piecewise-linear che non sono chiaramente derivabili per via dei punti angolosi ma sono Lipshitziane. Difatti basta prendere la pendenza massima tra tutte le restrizioni lineari per individuare la costante di Lipschitz k. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 109 Funzione Lipschitziana: 110 Esistenza ed unicità delle soluzioni Esempio 1 (funzione continua ma non Lipshitziana) f(x) Consideriamo la funzione: f ( x ) = sgn ( x ) x. (8.5) Essa è continua in tutto l’asse reale, ma nell’origine non è derivabile ed inoltre non è Lipschitziana. Nell’origine infatti la funzione ha pendenza verticale e quindi non è possibile racchiuderla in un cono, cioè non è possibile trovare una retta di pendenza finita che maggiori la curva. Per questo la funzione non è Lipschitziana pur essendo continua. x Figura 8.2. Esempio di funzione Lipschitziana ma non derivabile. La Lipschitzianità della funzione f ( x, t ) , a secondo membro delle equazioni di stato in forma normale, è di fondamentale importanza nello studio delle proprietà della soluzione delle stesse. Passeremo ora in rassegna alcuni risultati fondamentali dell’analisi di sistemi di equazioni differenziali ordinarie, mettendo in evidenza dal punto di vista circuitale gli enunciati. f(x) x Teorema di Peano Considerato il sistema: Figura 8.1. Esempio di funzione continua ma non Lipschitziana ⎧x = f (x, t ) ⎨ ⎩ x (t 0 ) = x 0 Esempio 2 (funzione Lipshitziana ma non derivabile) (8.7) Consideriamo la funzione: ⎧ x x < 0, f ( x) = ⎨ ⎩ 2 x x ≥ 0. dove t0 è l’istante iniziale si ha: (8.6) Essa è continua e Lipschitziana in tutto l’asse reale, ma nell’origine non è derivabile in quanto presenta un punto angoloso e la derivata sinistra è diversa dalla derivata destra. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 se la f (x, t ) è continua in x 0 (rispetto ad x e t ), allora esiste almeno una soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , definita in un intervallo (t0 ≤ t ≤ T ) con T finito. Questo teorema è fondamentale perché ci assicura l’esistenza di almeno una soluzione, però non ci garantisce che essa sia unica. Tra l’altro è un teorema di esistenza locale, nel senso che questa soluzione esiste soltanto in un intervallo che contiene t0 e non ci dà nessuna informazione su quanto è grande questo intervallo. M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Teorema di Picard-Liendeloef 111 Teorema di Picard-Liendeloef Se alle ipotesi del teorema di Peano aggiungiamo anche che la funzione oltre ad essere continua è anche Lipschitziana in x0 si ha: se la f (x, t ) è continua in x0 ed ivi (localmente) Lipschitziana, allora esiste un’unica soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , definita in un intervallo (t0 ≤ t ≤ T ) con T finito. Il teorema garantisce esistenza ed unicità dalla soluzione; l’esistenza è però solo locale in un intervallo che contiene t0 e di nuovo non abbiamo nessuna informazione su quanto è grande questo intervallo. Osserviamo che l’esistenza della soluzione a partire da ogni condizione iniziale almeno in un intervallo nel futuro esclude esplicitamente situazioni di impasse. 112 Esistenza ed unicità delle soluzioni fisica, per esempio di un circuito fisico, a interessa che verifichi soprattutto l’unicità nel futuro (ovvero che il sistema sia, come si dice, “deterministico”). A partire da determinate condizioni iniziali devo evolvere in maniera univoca, cioè la dinamica è univoca. Il fatto che poi si vada a guardare la soluzione per t<t0, e che questa risulti univoca o meno, dal punto di vista della corrispondenza tra modello e circuito fisico, è una cosa di scarso interesse. Questa circostanza è, come vedremo, assai importante perché permetterà di rilassare un po’ la condizione di Lipschitzianità globale, che invece è molto onerosa. Infatti, sfruttando le condizioni di Lipschitzianità “al finito” e aggiungendo un’ipotesi sulla limitatezza della soluzione x(t ) , potremo pervenire ugualmente ad una condizione di unicità mediante un nuovo teorema. Prima di affrontare tale questione, analizziamo qualche esempio istruttivo. Esempio 3 (Unicità solo nel futuro) Consideriamo il circuito in figura: i(t) In entrambi i teoremi considerati ancora un elemento fondamentale perché il modello sia realistico dal punto di vista fisico, cioè l’esistenza ed unicità globale della soluzione (ovvero per un intervallo arbitrariamente esteso, almeno nel futuro rispetto a t0 ). A tal riguardo, in effetti, si può enunciare il seguente: + C v=r i3 v(t) - Teorema di esistenza ed unicità “globale” se la f (x, t ) è continua in x0 e globalmente Lipschitziana, allora esiste un’unica soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , definita per ogni t. In questa formulazione non ci sono più restrizioni all’intervallo in cui la soluzione è definita. Ciò comporta che la soluzione è univoca sia nel futuro che nel passato, vale a dire sia per t>0 che per t<0. Il prezzo pagato è però piuttosto alto, perché si richiede la Lipschitzianità globale. È importante a tal riguardo ricordare che, nella maggioranza dei modelli di componenti circuitali, e dunque delle relazioni caratteristiche che li rappresentano, vengono usate frequentemente funzioni che non sono globalmente Lipschitziane. D’altro possiamo anche osservare che la proprietà di unicità per il passato rispetto all’istante iniziale t0 è sovrabbondante rispetto alle esigenze, in quanto affinché un sistema sia un buon modello di una realtà M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 8.3. Esempio su esistenza ed unicità: unicità nel futuro Le equazioni del circuito sono: dv , dt v = r ⋅ i3 , iC = C dove, tenuto conto che con le convenzioni fatte l’equazione di stato: (8.8) iC = −i : Si ottiene M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 113 Teorema di esistenza ed unicità “globale” 1 1 dv ⎛ v ⎞3 ⎛ v ⎞3 v = r ⋅i ⇒ i = ⎜ ⎟ ⇒ C = −⎜ ⎟ dt ⎝r⎠ ⎝r⎠ 3 (8.9) 1 ⎛ v ⎞3 La funzione f (v) = − ⎜ ⎟ non è Lipschitziana nell’origine (questo caso è ⎝r⎠ simile all’esempio visto prima della ( x) x , abbiamo ora la 3 che ha lo stesso effetto, perché in 0 ha pendenza infinita ed il fatto che abbiamo una potenza dispari ci da il segno che prima era dato dalla funzione sgn(x)). La soluzione (si può verificare per sostituzione diretta) è del tipo: 114 Esistenza ed unicità delle soluzioni garantire l’unicità. v = 0 è in questo caso l’unico punto in cui non è Lipschitziana, ma ciò basta a creare questo problema. Il sistema considerato potrebbe anche essere un modello di un sistema fisico perché in fondo l’unicità manca soltanto “nel passato”. Possiamo però facilmente mostrare altri esempi in cui l’unicità manca nel futuro! Esempio 4 (Unicità solo nel passato) Consideriamo il circuito in Figura 8.5; esso è uguale a quello precedente, salvo che viene inserito un amplificatore operazionale ideale per invertire il segno dell’intensità di corrente. Rispetto a prima, dunque, l’equazione del circuito è: 1 − 1 2 t < t0 (8.10) t ≥ t0 − 3 2 con t0 ≤ 0 ed a = r (3C / 2) . Si vede che per ogni t0 , con t0 arbitrario purché minore di zero, ottengo una soluzione che ha l’andamento riportato in Figura 8.4. dv ⎛ v ⎞ 3 C =⎜ ⎟ , dt ⎝ r ⎠ C (8.11) R i(t) + R - + ⎧ ⎪ v(t ) = ⎨a(t0 − t ) ⎪⎩0 3 2 v=r i3 v(t) - Figura 8.5. Esempio su esistenza ed unicità: unicità nel passato v(t) Rispetto al caso precedente non c’è il segno meno, e quello che succede è giusto l’opposto. Pertanto in questo caso la soluzione è del tipo: t’0 t’’0 t ⎧0 ⎪ v(t ) = ⎨ 3 ⎪⎩a(t − t0 ) 2 t < t0 (8.12) t ≥ t0 Figura 8.4. Soluzioni dell’equazione (8.10). − Essa coincide con la soluzione banale per t>t0, però per t<t0 è arbitraria. Se scelgo un altro t0, ad esempio t 0′ , ottengo un’altra soluzione, e quindi, in definitiva, ho infinite soluzioni. Però, in realtà, queste soluzioni sono differenti tra loro solo nella zona t< t0, invece per t> t0 sono uguali. Questo esempio mostra il caso in cui non c’è l’unicità nel passato, ma in realtà c’è l’unicità nel futuro. Il fatto che non ci sia unicità dipende dal fatto che la funzione f (v) non è globalmente Lipschitziana, dunque non possiamo M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 1 − 3 con t0 ≥ 0 perché v(t) sia soluzione ed a = r 2 (3C / 2) 2 . M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 115 Teorema di esistenza ed unicità “globale” 116 Esistenza ed unicità delle soluzioni È possibile verificare direttamente che in questo caso la soluzione è data da: v(t) 1 1 − ⎛ L ⎞2 i (t ) = ± ⎜ ⎟ ( t − T ) 2 , ⎝ 2r ⎠ t0 t (8.14) L ed il segno da considerare nella (8.14), dipenderà da i0 , 2ri0 2 ovvero se la condizione iniziale sarà positiva o negativa. L’andamento grafico della soluzione è riportato in Figura 8.8. Essa è definita nell’intervallo ]T , +∞[ con t0 > T . Per ogni t0 che considero come punto di partenza della dove T = t0 − Figura 8.6. Soluzioni dell’equazione (8.12). Quindi, siccome t0, come prima, è arbitrario, abbiamo infinite soluzioni ciascuna per ogni t0. Queste sono tutte uguali, in generale, per t<0 e diverse per t>0. Rispetto al caso precedente, oltre al fatto che la soluzione non è unica, abbiamo anche un modello che non è deterministico. Esempio 5 Consideriamo il circuito in Figura 8.7. In questo caso le equazioni divengono: soluzione, a cui corrisponde il valore i0 della variabile di stato, guardando in “avanti”la funzione è univocamente definita ∀t . Guardando invece “indietro” trovo la soluzione solo fino a T, che è un numero “precedente” a t0 prima ancora non ho più la soluzione. v = r ⋅ i3 , L di = − ri 3 . dt (8.13) Figura 8.8 La funzione f (i ) = ri 3 è localmente Lipschitziana per ogni valore finito i0 , non lo è globalmente perché tende all’infinito per i che tende all’infinito. Questo significa che, fissato un qualunque i0 (che per noi può rappresentare una condizione iniziale) abbiamo un certo intervallo dove esiste un’unica soluzione. Questo è un esempio importante, perché ora ci chiediamo: questa soluzione che esiste definita in un certo intervallo, per quanto tempo rimane valida, cioè quanto dura prima di perdere l’unicità o di cessare di esistere? A questo punto, premesso che la funzione è solo localmente Lipschitziana, ci si pone la domanda: è un caso che la soluzione è univoca nel futuro, oppure dipende da qualche proprietà del circuito? Tale questione è per noi di grande interesse, perché se riusciamo a legare questo fatto alle proprietà del circuito, come detto prima, possiamo rilassare le ipotesi di Lipschitzianità globale e lo stesso avere una soluzione che è deterministica. Sulla base di quanto sin qui visto ha senso porsi un quesito: perché utilizziamo molto spesso altre funzioni come i polinomi e gli esponenziali, che sono generalmente solo localmente Lipschitziane, ma non lo sono globalmente? Ha senso usare queste funzioni per modellare i circuiti, al fine di ottenere un modello deterministico, e cioè con l’unicità nel futuro? Per provare a rispondere positivamente a tali quesiti val la pena di riconsiderare M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Figura 8.7 Teorema di esistenza ed unicità “globale” 117 un esempio di modello “smooth”. Consideriamo il caso di un diodo zener, che come sappiamo ha la caratteristica riportata in Figura 8.9. Essa, come ben sappiamo, ha una regione di tensione che non è ammissibile. Se immagino di avere una dinamica che mi porta a scorrere la caratteristica verso sinistra, ad un certo punto la soluzione dovrà divergere. In tal caso potrei trovare una soluzione che è valida fini ad un certo t0, poi diverge e quindi non l’avrò nel futuro. In realtà sta accadendo che il modello non tiene conto di un fatto fisico fondamentale. Per dar conto di ciò consideriamo ancora una volta il circuito dell’esempio precedente. Ricordiamo che il resistore non lineare considerato è un resistore passivo e ciò, come vedremo, ha una conseguenza molto importante. 118 Esistenza ed unicità delle soluzioni corrispondenza tra modello e realtà fisica. Questa considerazione legata all’energia è fondamentale, in quanto, come vedremo attraverso un nuovo teorema, ci permette di garantire l’unicità della soluzione nel futuro anche in presenza della sola Lipschitzianità locale. Teorema di unicità nel futuro Considerato il solito problema di valore iniziale in forma normale: ⎧ x = f (x, t ) ⎨ ⎩ x(t0 ) = x 0 se la funzione f (x, t ) è continua e Lipschitziana in qualsiasi dominio D tale che: x ≤ r , e se esiste una soluzione x(t ) limitata a tale dominio ( x(t ) ≤ r ) che verifichi la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , allora x(t) è unica in [t0 , ∞[ . Senza voler dimostrare il teorema, proviamo a capire quale sia il ragionamento di fondo. Sappiamo che la f (x, t ) è Lipschitziana nei punti in Figura 8.9. Simbolo e caratteristica di un diodo zener Consideriamo infatti l’energia immagazzinata all’istante iniziale nel circuito, che in questo caso è data da: W ( t0 ) = 1 2 Li (t ). 2 (8.15) Essa siccome in questo caso non ci sono generatori nel circuito, è destinata a decrescere nel tempo, o al più a rimanere uguale: W ( t ) ≤ W ( t0 ) ∀t ≥ t0 , (8.16) ciò che, nel nostro caso, significa anche che i (t ) ≤ i (t0 ) ∀t ≥ t0 e cioè non posso avere nessuna divergenza, non è vero che la soluzione può divergere. Quindi ciò vuol dire che se il modello mi porta alla divergenza, non sto tenendo conto di qualcosa che è ancora una volta essenziale ai fini della M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 cui x ≤ r . Se qualcosa o qualcun altro dall’esterno assicura che la soluzione x(t ) non uscirà mai da quella sfera, come, per esempio, considerazioni di tipo energetico, allora mettere insieme queste due cose equivale difatto alla globale Lipschitzianità della funzione f (x, t ) . Essa è Lipschitziana, infatti, in tutti i punti della traiettoria effettiva e ciò mi garantisce l’unicità. Questa era l’altra condizione fondamentale che ci serviva per assicurare l’unicità. Definizioni sulla passività e vincoli energetici Prima di enunciare altri criteri di unicità è però necessario riprendere alcune definizioni e considerazioni sulla passività. In relazione al concetto di bipolo passivo ricordiamo anzitutto le definizioni: - passività: vi ≥ 0 ∀v, i passività locale ΔvΔi ≥ 0 v ∈ ( v0 − α , v0 − β ) , i ∈ ( i0 − γ , i0 − η ) passività “stretta”: vi ≥ 0 ∀v, i, vi = 0 sse v = 0, i = 0 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 119 Definizioni sulla passività e vincoli energetici 120 Esistenza ed unicità delle soluzioni Accanto a tali definizioni si possono dare le seguenti: - i(t) passività “asintotica”: vi > 0 se (v, i ) > k , ovvero il bipolo può essere attivo, ma la potenza erogata è sempre limitata superiormente; debole attività: vi ≥ I 0 v o vi ≤ −V0 i , ovvero il bipolo è attivo e la potenze erogata non è limitata, ma può crescere al più linearmente con la tensione o con la corrente (a seconda dei casi) Un bipolo attivo che non è debolmente attivo si definisce fortemente attivo. In Figura 8.10 sono mostrati alcuni esempi di caratteristiche che rientrano in tali definizioni. resistore lineare i resistore piecewise-linear ...fortemente attivo ...asintoticamente passivo v generatore indipendente i v + C v(t) - Figura 8.11 Si ha: 1 W (t ) = Cv 2 (t ) ⇒ v = 2 / C W (t ) 2 dW 1 dW PR (t ) = − ≥ − I0 2 / C W ⇒ ≤ I0 2 / C dt W dt d v I0 d 2 W ≤ I0 2 / C ⇒ ≤ dt dt C ( ) Dunque la tensione (in modulo) può crescere all’infinito ma con una pendenza limitata. i i=I0 ...debolmente attivo v Figura 8.10. alcuni esempi di caratteristiche in relazione alla passività Esempio 6 Consideriamo il circuito in Figura 8.7. Supponiamo il resistore debolmente attivo, ovvero: p = vi ≥ − I 0 v . Inoltre l’energia immagazzinata nel circuito all’istante iniziale è data da: 1 W (t0 ) = Cv 2 (t0 ) 2 M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 A valle dell’esempio considerato e sulla scorta delle definizioni date per la passività enunciamo il seguente criterio “No Finite Forward Escape Time”: se in un circuito non vi sono maglie di soli condensatori e generatori di tensione ed insiemi di taglio di soli induttori e generatori di corrente ed i resistori sono tutti al più debolmente attivi, allora le soluzioni non possono divergere in un intervallo di tempo finito; eventualmente esse divergono per t → ∞ Condizioni di unicità per i circuiti dinamici Val la pena ora riassumere le considerazioni sin qui viste per sintetizzarle in chiave prettamente circuitale. In un circuito l’esistenza e l’unicità della soluzione sono dunque legate alle seguenti circostanze: - come è fatto lo spazio delle configurazioni (e cioè posso ottenere le equazioni di stato globali?) - in quale classe fi funzioni ricade la f (x, t ) (cioè quali proprietà la caratterizzano?) M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009 Condizioni di unicità per i circuiti dinamici - 121 posso considerare la soluzione limitata (esistono vincoli di tipo energetico che limitino la soluzione?) Osserviamo che le condizioni considerate sono tutte strettamente dipendenti dalla sola parte a-dinamica del circuito! Nelle ipotesi in cui esistono le equazioni di stato globali avremo: 1. (esistenza ed unicità globali) se il circuito è lineare a tratti (cioè sono tali tutte le caratteristiche dei bipoli resistivi) la soluzione è unica (nel passato e nel futuro) 2. (esistenza ed unicità locali) se il circuito è “smooth” (cioè tutte le caratteristiche sono continue e derivabili indefinitamente) esiste un intorno di t0 in cui la soluzione esiste ed è unica, ed è “smooth” 3. (esistenza ed unicità nel futuro) se il circuito è “smooth” e la soluzione x(t ) è limitata per ogni t > t0 al finito la soluzione esiste ed è unica. Riferimenti bibliografici: [1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986, ISBN 0-89006-208-0. [2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari, Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7. [3] G. MIANO, Comportamento dinamico di circuiti non lineari, dispense in formato PDF disponibili sul sito www.elettrotecnica.unina.it M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009