appunti di teoria dei circuiti parte i: approfondimenti

SOMMARIO
1.
RICHIAMI SUL MODELLO CIRCUITALE .......................................... 5
ELEMENTI PER LA DESCRIZIONE DEI COMPONENTI .................................................... 6
ELEMENTI PER LA DESCRIZIONE DELLE INTERCONNESSIONI...................................... 9
FORMA CANONICA DELLE EQUAZIONI CIRCUITALI. ................................................. 10
APPUNTI DI TEORIA DEI CIRCUITI
2.
BIPOLI FONDAMENTALI ................................................................... 13
ELEMENTI DI CLASSIFICAZIONE .............................................................................. 13
BIPOLI ELEMENTARI A-DINAMICI ............................................................................ 16
CONDENSATORE NON LINEARE ............................................................................... 20
INDUTTORE NON LINEARE ....................................................................................... 22
M. DE MAGISTRIS
3.
DOPPI BIPOLI FONDAMENTALI....................................................... 25
GENERATORI CONTROLLATI ................................................................................... 25
TRASFORMATORE IDEALE E GIRATORE ................................................................... 28
AMPLIFICATORE OPERAZIONALE ............................................................................ 31
Funzionamento in regione lineare ....................................................................33
Funzionamento in regione non lineare .............................................................34
A.A. 2009-2010
PARTE I:
APPROFONDIMENTI SU
MODELLO CIRCUITALE
E CIRCUITI NON LINEARI
4.
CARATTERIZZAZIONI DEGLI M-PORTA LINEARI ....................... 38
RAPPRESENTAZIONE IN FORMA IMPLICITA DEI DOPPI BIPOLI LINEARI ..................... 38
RAPPRESENTAZIONI R, G, H DI DOPPI BIPOLI LINEARI PASSIVI ................................ 40
RAPPRESENTAZIONE DI TRASMISSIONE T DI UN DOPPIO BIPOLO LINEARE ............... 42
RAPPRESENTAZIONE “SCATTERING” S DI UN DOPPIO BIPOLO LINEARE.................... 44
DOPPI BIPOLI LINEARI NON RECIPROCI E ATTIVI ...................................................... 47
ALCUNI ESEMPI SUI DOPPI BIPOLI ............................................................................ 48
ESTENSIONI AI MULTI-PORTA LINEARI .................................................................... 51
5.
COMPLEMENTI DI TOPOLOGIA CIRCUITALE .............................. 54
DEFINIZIONI E PROPRIETÀ RELATIVE AI GRAFI ........................................................ 54
MATRICE DI INCIDENZA DI NODO ............................................................................ 56
MATRICE DI MAGLIA ............................................................................................... 59
MATRICE DI TAGLIO ................................................................................................ 61
RELAZIONI TRA LE MATRICI TOPOLOGICHE ............................................................. 61
RICERCA AUTOMATICA DI UN ALBERO ED ALBERO OTTIMO .................................... 64
6.
FORMULAZIONI ALTERNATIVE DELLE EQUAZIONI CIRCUITALI
67
POTENZIALI DI NODO E MATRICE DI INCIDENZA ...................................................... 67
Matrice delle conduttanze ai nodi.....................................................................71
Potenziali di nodo modificato: forma matriciale ..............................................74
CORRENTI DI MAGLIA E MATRICE DI MAGLIA .......................................................... 76
UNA RIVISITAZIONE DEL TEOREMA DI TELLEGEN ................................................... 77
EQUAZIONI CIRCUITALI NELLA FORMA DI STATO .................................................... 78
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Interpretazione geometrica della forma canonica e spazio delle configurazioni
.......................................................................................................................... 80
Condizioni di esistenza delle equazioni di stato ............................................... 84
Circuito resistivo associato .............................................................................. 86
UNICITÀ DELLA SOLUZIONE PER UN CIRCUITO A-DINAMICO ................................... 90
ALBERO PROPRIO ED EQUAZIONI DI STATO ............................................................. 91
7.
CIRCUITI MAL POSTI E FENOMENI DI “IMPASSE”...................... 93
ANALISI CIRCUITO RCDT VIA LINEARIZZAZIONE.................................................... 96
ANALISI QUALITATIVA GLOBALE PER IL CIRCUITO RCDT ....................................... 98
CIRCUITO RLDT, “IMPASSE” E FENOMENO DI SALTO .............................................. 99
CIRCUITO RLCDT E SOLUZIONE DELL’IMPASSE ................................................... 103
DINAMICA QUALITATIVA DI UN OSCILLATORE CON SALTO ................................... 105
8.
ESISTENZA ED UNICITÀ DELLE SOLUZIONI.............................. 107
FUNZIONE LIPSCHITZIANA:................................................................................... 107
TEOREMA DI PEANO ............................................................................................. 110
TEOREMA DI PICARD-LIENDELOEF ....................................................................... 111
TEOREMA DI ESISTENZA ED UNICITÀ “GLOBALE” ................................................. 111
TEOREMA DI UNICITÀ NEL FUTURO ....................................................................... 118
DEFINIZIONI SULLA PASSIVITÀ E VINCOLI ENERGETICI ......................................... 118
CONDIZIONI DI UNICITÀ PER I CIRCUITI DINAMICI ................................................. 120
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
6
1. Richiami sul modello circuitale
Richiami sul modello circuitale
altri corsi. La distinzione tra componente ed elemento circuitale è essenziale,
essendo quest’ultimo solo una rappresentazione matematica per il primo. Noi
non ci occuperemo, nell’ambito di questo corso, del problema dello studio dei
componenti ai fini della loro caratterizzazione; questo è argomento tipico dei
corsi di modellistica. Val la pena di sottolineare comunque che, a seconda
delle applicazioni e situazioni in esame, lo stesso componente può risultare
rappresentato da modelli differenti; un classico esempio è il generatore, che a
seconda dei casi è opportuno modellare come “ideale” o “reale”.
Sostituendo dunque ai componenti i corrispondenti elementi circuitali
avremo un circuito (modello), che è dunque per definizione una qualsiasi
interconnessione tra elementi circuitali.
Lo studio di un circuito fisico tramite il suo modello circuitale si basa
(come per qualsiasi altro sistema fisico) su tre passaggi fondamentali: si deve
anzitutto costruire il modello circuitale a cominciare dal circuito fisico,
sfruttando intuito fisico ed esperienza ingegneristica. Poi bisogna studiare
qualitativamente e quantitativamente, con i metodi più appropriati
(eventualmente con la simulazione numerica) il modello matematico. Infine i
risultati di tale studio vanno verificati sperimentalmente, validando così tutto
il processo.
Per i circuiti lineari (cioè quelli per i quali i modelli di tutti i componenti
sono lineari) la soluzione del modello si basa su proprietà molto favorevoli,
che consentono di esprimere in modo analitico le soluzione, e dunque di
poterne determinare “a posteriori” tutte le proprietà. Per i circuiti non lineari
la soluzione analitica raramente è disponibile. Bisogna dunque
necessariamente affrontare la simulazione numerica. In tal caso, però, è di
fondamentale importanza avere informazioni qualitative “a priori” che
permettano di valutare l’attendibilità del risultato numerico.
Oggetto della prima parte del corso sarà il modello circuitale con le sue
principali proprietà. Vogliamo dunque richiamare i presupposti fondamentali
dal punto di vista fisico e rivisitarne le leggi (assiomi) che lo definiscono.
Un circuito fisico può essere definito come interconnessione di
componenti circuitali. Perché tale sistema fisico sia modellabile come
circuito, sappiamo che devono essere sostanzialmente trascurabili (dal punto
di vista fisico) i fenomeni propagativi. Sotto tali ipotesi, dopo aver
individuato nel circuito fisico i componenti e le connessioni (terminali)
possiamo definire in modo univoco le grandezze tensione tra i terminali dei
componenti ed intensità di corrente negli stessi. In una impostazione
assiomatica possiamo guardare a queste grandezze come grandezze fisiche
fondamentali, misurabili collegando ai terminali opportuni strumenti di
misura (voltmetro ed amperometro). Le tensioni e le intensità di corrente
sono, in generale, funzioni del tempo, ma dobbiamo escludere che dipendano
dal punto specifico dei terminali dove vengono inseriti il voltmetro e
l’amperometro: se ciò capitasse vorrebbe dire che il sistema in analisi non
sarebbe adatto ad essere descritto dal modello circuitale!
Nelle ipotesi appena richiamate (cioè che sia possibile definire in modo
univoco le tensioni tra i terminali e le intensità di corrente negli stessi) il
modello circuitale risulta definito dalla validità dei seguenti postulati:
- per ogni maglia (percorso chiuso tra terminali) la somma (algebrica)
delle tensioni è nulla (KVL);
- per ogni nodo (congiunzione tra terminali) la somma (algebrica) delle
intensità di corrente è nulla (KCL);
- i componenti possono essere descritti in modo univoco da opportune
relazioni tra le tensioni tra i terminali e le intensità di corrente negli
stessi.
Per eventuali richiami su tali questioni fondamentali si rimanda, ad
esempio, a [2-3].
Ai componenti fisici corrispondono, nel modello circuitale, opportuni
elementi circuitali che ne rappresentano i relativi modelli, quali ad esempio il
resistore, generatore ideale, il diodo esponenziale etc., così come già noto da
Va anzitutto richiamato che, se è verificata la legge di Kirchhoff per le
tensioni, è possibile associare ai terminali (nodi) degli elementi una funzione
potenziale u (t ) in modo tale che la tensione tra due terminali qualsiasi v(t )
può sempre essere espressa tramite la differenza tra i potenziali dei
corrispondenti nodi:
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M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Una volta chiariti i presupposti dell’utilizzo del modello circuitale
vogliamo addentrarci maggiormente nella formulazione delle equazioni
circuitali. Per far ciò è utile analizzare gli elementi necessari alla descrizione
dei componenti (in termini di grandezze circuitali) e quelli necessari alla
descrizione delle loro interconnessioni.
Elementi per la descrizione dei componenti
Elementi per la descrizione dei componenti
vk (t ) = ui (t ) − u j (t )
7
(1.1)
(sull’argomento potenziali di nodo torneremo più avanti in modo diffuso). A
ciascun terminale (nodo) è dunque possibile associare un potenziale u (t ) ed
un’intensità di corrente i (t ) (scegliamo per convenzione sempre il verso di
riferimento entrante).
Come abbiamo detto un circuito è definito come una connessione di un
numero (finito) di elementi. Ciascun elemento è dotato di un certo numero N
di terminali. L’elemento sarà dunque caratterizzabile in generale tramite
alcune relazioni tra i potenziali e le intensità di corrente.
Consideriamo un generico elemento con N terminali come rappresentato
in Figura 1.1. Preso un qualsiasi terminale come riferimento per i potenziali,
possiamo considerare le N − 1 tensioni tra i terminali e quello preso come
riferimento, e le N − 1 intensità di corrente nei terminali (escluso quello di
riferimento). Osserviamo che con tale definizione le tensioni corrispondono
proprio ai potenziali dei terminali considerati.
8
Richiami sul modello circuitale
rappresenta dunque, un insieme minimo fondamentale. Si osservi che le
variabili descrittive sono in numero pari a 2( N − 1) .
Un caso estremamente importante è quello nel quale il numero di terminali
è N = 2 ; in tal caso l’insieme delle grandezze descrittive si riduce ad una
tensione ed una corrente, ed il componente prende il nome (ben noto) di
bipolo.
Nel caso di un N -polo per il quale i terminali sono caratterizzati a coppie
dalla stessa intensità di corrente, tali coppie si definiscono porte e l’elemento
viene chiamato M -porte; in questo caso si ha che M = N / 2 . Il vincolo che
le intensità di corrente nei terminali costituenti la porta siano uguali (scelte
opportunamente le convenzioni) è un vincolo ulteriore rispetto a quello già
evidenziato (cioè che la somma delle intensità di corrente di tutti i terminale è
nulla). Esso può essere imposto dalla costituzione dell’elemento così come
dal modo in cui l’elemento è collegato al circuito. Per un M -porte, tenuto
conto dei vincoli sulle correnti, le variabili descrittive sono M tensioni ed
M intensità di corrente.
Va osservato che un generico N -polo può sempre essere considerato
come un M − porte con M = N − 1 se collegato come in Figura 1.2. Per tale
motivo la caratterizzazione degli M − porte assume particolare rilievo nello
studio dei circuiti.
Figura 1.1 Un generico N -polo e le sue variabili descrittive
Se per l’elemento valgono le leggi di Kirchhoff, è immediato constatare
che:
- ogni altra tensione definibile tra due terminali è immediatamente
ricavabile come combinazione di quelle definite;
- l’intensità di corrente del terminale assunto come riferimento è pari
alla somma, cambiata di segno, di quelle degli altri N − 1 terminali.
Ha senso dunque definire v d = (v1N , v2 N ,...vN −1N )T come il vettore delle
Figura 1.2 Caratterizzazione come M -porte di un elemento a N = M + 1
terminali
Nel caso più generale il funzionamento di ciascun dispositivo è descritto,
dunque, dalle relazioni esistenti tra le “storie” delle intensità di corrente e
delle tensioni descrittive, una volta scelto un insieme di grandezze descrittive:
ℑ( v d , i d ) = 0,
(1.2)
tensioni descrittive, i d = (i1 , i2 ,...iN −1 )T quello delle correnti descrittive.
Ebbene, la scelta fatta consente di caratterizzare univocamente il componente
e di determinare tutte le altre grandezze definibili. L’insieme v d , i d
dove ℑ è in generale un funzionale che dipende solo dall’elemento
considerato. È molto importante e frequente il caso in cui tali legami si
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
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Elementi per la descrizione delle interconnessioni
9
riducono ad una natura puramente algebrica, legando dunque in modo
istantaneo i valori delle grandezze descrittive:
f ( v d , i d ) = 0.
(1.3)
Gli elementi circuitali per i quali le relazioni caratteristiche sono di tipo
algebrico sono detti a-dinamici, mentre gli altri sono detti dinamici.
Elementi per la descrizione delle interconnessioni
Il circuito è dunque l’interconnessione, realizzata attraverso i terminali, di
più elementi circuitali. Abbiamo già definito i nodi come le congiunzioni tra
più terminali; se un terminale è connesso ad un nodo diremo che l’elemento
stesso è connesso al nodo attraverso il suo terminale.
Nel caso di un elemento a due terminali, esso inevitabilmente sarà
connesso a due nodi. È possibile rappresentare graficamente tale circostanza,
utilizzando un arco che leghi i due nodi in questione, cui diamo il nome di
lato. Se l’elemento in questione ha più terminali, una volta scelto l’insieme
delle tensioni e correnti rappresentative, sarà comunque possibile associare
opportunamente dei “lati” all’elemento per descriverne la connessione agli
altri elementi del circuito. In Figura 1.3 è mostrata la rappresentazione in
termini di grafo elementare di un bipolo, di un N -polo e di un M -porte.
Figura 1.3 rappresentazione in termini di grafo elementare di un bipolo, di un
N-polo e di un M-porte.
L’utilizzo di nodi e lati per descrivere la struttura delle interconnessioni tra
gli elementi permette di introdurre ed utilizzare i concetti della teoria dei grafi
nella descrizione della interconnessioni tra gli elementi nei circuiti. Ciò risulta
molto utile per poter scrivere le equazioni di Kirchhoff per il circuito ed
analizzarne le rispettive proprietà di indipendenza. Ricordiamo brevemente
che si definisce grafo associato al circuito considerato l’insieme dei nodi, dei
lati e della relazione (detta di incidenza) che lega i lati ai nodi.
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10
Richiami sul modello circuitale
L’uso dei grafi per rappresentare le interconnessioni tra gli elementi
circuitali, così come di altri strumenti collegati ad essi (matrici topologiche)
consentiranno di approfondire le proprietà del modello circuitale e di trovare
diverse formulazioni delle equazioni circuitali. Su questo torneremo
diffusamente più avanti.
Equazioni indipendenti di Kirchhoff per i nodi ed esempi
Equazioni indipendenti di Kirchhoff per le maglie ed esempi
Equazioni indipendenti di Kirchhoff per i tagli ed esempi
(vedi esempi svolti in aula)
Forma canonica delle equazioni circuitali.
Si consideri un circuito connesso con n nodi e b lati. Se i lati sono b le
incognite del circuito sono in numero pari a 2b (cioè l’insieme di tutte le
tensioni e le intensità di corrente descrittive degli elementi presenti nel
circuito. Quali sono le equazioni circuitali fondamentali da utilizzare per la
sua analisi? In base a quanto abbiamo visto a proposito delle equazioni di
Kirchhoff indipendenti, possiamo dunque costruire il nostro sistema nel modo
seguente:
- n − 1 equazioni linearmente indipendenti per le intensità di corrente,
ottenute applicando la legge di Kirchhoff per le correnti ad n − 1 nodi
qualsiasi del circuito;
- b − (n − 1) equazioni linearmente indipendenti alle tensioni, ottenute
applicando la legge di Kirchhoff per le tensioni a b − (n − 1) maglie
indipendenti del circuito
- b equazioni caratteristiche (indipendenti).
Il sistema di 2b equazioni (in altrettante incognite) così formulato prende
il nome di forma canonica delle equazioni circuitali. Ricordiamo che in tale
sistema le equazioni di Kirchhoff sono algebriche, lineari ed omogenee. Le
equazioni caratteristiche possono essere sia di tipo algebrico che di tipo
differenziale, a seconda della natura degli elementi. Se il circuito è costituito
da soli elementi a-dinamici, le equazioni circuitali sono di tipo algebrico. Se
nel circuito ci sono anche elementi dinamici, allora le equazioni circuitali
sono di tipo algebrico-differenziale.
Ha senso a questo punto porsi le seguenti questioni: le 2b equazioni
circuitali in forma canonica sono tutte indipendenti e compatibili? Ed in tal
caso la soluzione è unica?
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Forma canonica delle equazioni circuitali.
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Possiamo certamente affermare che, fatta eccezione di pochi casi molto
particolari, le equazioni di interconnessione e le equazioni caratteristiche sono
tra loro indipendenti e compatibili. Per quanto riguarda l’unicità della
soluzione invece, è importante osservare che va distinto il caso dei circuiti
lineari da quello dei circuiti non lineari: infatti mentre per i circuiti lineari, se
le equazioni sono indipendenti e compatibili la soluzione è certamente unica,
per i circuiti non lineari ciò non è più garantito in generale!
Riferimenti bibliografici:
[1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986,
ISBN 0-89006-208-0.
[2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
[3] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007 ISBN: 978-88-4700537-2.
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2. Bipoli fondamentali
Bipoli fondamentali
Un componente descritto da una relazione caratteristica algebrica del tipo
dell’equazione (2.1) viene definito genericamente “resistore”. Nel caso
(piuttosto frequente) in cui la caratteristica non dipenda esplicitamente dal
tempo il resistore viene detto tempo invariante:
f (v , i ) = 0
Nel costruire il modello circuitale è necessario introdurre un opportuno
“set” di elementi circuitali (dunque non componenti fisici) che ci permetta di
costruire i modelli dei circuiti che vogliamo studiare. A tal proposito andiamo
a rivisitare le definizioni e la classificazione di elementi per la maggior parte
già noti dai corsi precedenti, con obbiettivo di specificarne maggiormente le
proprietà matematiche.
È utile osservare che, da un punto di vista formale, l’insieme degli
elementi circuitali che vengono generalmente introdotti non è un insieme
minimo. Al contrario contiene qualche ridondanza, nel senso che alcuni
elementi possono essere espressi tramite altri, e viceversa. D’altro canto tale
ridondanza permette spesso una migliore corrispondenza con i componenti
fisici.
Elementi di classificazione
Come già accennato gli elementi circuitali vanno anzitutto classificati in
due grandi categorie: quelli a-dinamici (o statici, o senza memoria), e quelli
dinamici (o con memoria). I primi sono caratterizzati dal fatto che il legame
tra le tensioni e le intensità di corrente descrittive è di tipo algebrico, dunque
“istantaneo”. Per i secondi, invece, tale legame è in generale di tipo
funzionale, e dunque porta in qualche modo memoria della storia temporale
precedente all’istante considerato.
Ha senso poi distinguere gli elementi circuitali in tempo-varianti ovvero
tempo-invarianti a seconda che le relazioni caratteristiche dipendano o meno
esplicitamente dal tempo.
Consideriamo dapprima i bipoli a-dinamici, cioè gli elementi circuitali con
soli due terminali e caratteristica di tipo algebrico. Essi sono dunque
caratterizzati da un legame costitutivo che può sempre essere espresso in
forma implicita come:
f (v , i , t ) = 0
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(2.1)
(2.2)
Possiamo definire per un generico resistore un valore di tensione
ammissibile se esiste almeno un valore dell’intensità di corrente in
corrispondenza del quale la caratteristica è verificata. Analogamente si
definisce un’intensità di corrente ammissibile.
Se la (2.2) può essere esplicitata nella forma i = g (v ) il bipolo si dice
controllato in tensione: ciò implica che ad ogni valore di tensione v
corrisponde un unico valore di intensità di corrente i . Analogamente, se è
possibile scrivere v = r (i ) si dirà controllato in corrente.
I concetti appena introdotti hanno un utilizzo alquanto immediato. Difatti:
- collegando un generatore di tensione (corrente) in parallelo (serie)
con un resistore per cui quel valore di tensione (corrente) non è
ammissibile, il modello non ha soluzione.
- collegando un generatore di tensione (corrente) in parallelo (serie)
con un resistore controllato in corrente (tensione) potremmo
trovare più soluzioni.
In Figura 2.1 sono mostrati esempi di curve caratteristiche di bipoli per le
quali si evidenziano i fenomeni appena esposti.
i
i
I0
V0
v
(a)
v
(b)
Figura 2.1 a) esempio di tensione non ammissibile per il bipolo considerato; b)
esempio di bipolo non caratterizzabile in corrente
In relazione ai bipoli a-dinamici è possibile dare altre definizioni che sono
di una certa rilevanza ai fini dello studio delle proprietà dei circuiti. In
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Elementi di classificazione
particolare, per una generica funzione algebrica f è possibile dare le due
seguenti definizioni:
-
f funzione “smooth” (analitica, o indefinitamente derivabile)
f funzione “piecewise linear” (lineare a tratti).
n
Ricordiamo inoltre che una funzione del tipo f ( x1 , x2 ,...xn ) = b + ∑ ai xi ,si
i =1
dice “affine”. Si dice lineare se b = 0 .
Tali definizioni sono importanti per classificare dal punto di vista delle
proprietà matematiche gli elementi circuitali non lineari, che a loro volta
determinano quelle del circuito in cui sono parte.
Nel seguito del corso faremo una forte ipotesi: i nostri resistori saranno
sempre o “smooth” o “piecewise linear”. Tale ipotesi, che potrebbe sembrare
piuttosto restrittiva, è in realtà abbastanza realistica. Infatti, molto spesso i
componenti circuitali vengono modellati con funzioni elementari analitiche,
ovvero le caratteristiche note per punti (da misure) vengono interpolate con
funzioni lineari a tratti. Vedremo più avanti come estendere tali criteri di
classificazione agli elementi dinamici come condensatori o induttori.
Osserviamo infine che le caratteristiche lineari appartengono contemporaneamente ad entrambe le classi: dunque i modelli di circuiti lineari
godranno contemporaneamente delle proprietà di entrambe le classi di
circuiti.
16
Bipoli fondamentali
che con funzioni lineari a tratti: in dipendenza dal modello scelto il circuito
potrebbe avere proprietà globali abbastanza diverse!
Alla luce di quanto sin qui richiamato riprendiamo ora le definizioni di
alcuni elementi circuitali fondamentali.
Bipoli elementari a-dinamici
I bipoli elementari a-dinamici rientrano nella generica categoria dei
resistori, il cui simbolo è in generale quello in Figura 2.3. Osserviamo che
esso ricorda quello di un resistore lineare, ma è riquadrato da un rettangolo
che simboleggia la maggiore generalità. Inoltre, in generale, è necessario
distinguere i due terminali, in quanto la caratteristica potrebbe essere non
simmetrica, e ciò è simboleggiato dalla banda nera accanto ad uno dei due
terminali.
Figura 2.3: simbolo del generico resistore non lineare
Resistore lineare ( v = Ri )
Figura 2.4: (a) simbolo del resistore lineare; (b) curva caratteristica
Figura 2.2: relazione tra gli insiemi delle funzioni smooth, lineari a tratti e lineari
Dal punto di vista matematico queste due classi di funzioni rappresentano
due realtà complementari: le funzioni “smooth” possono essere derivate senza
problemi, ma sono intrinsecamente non lineari; viceversa le funzioni lineari a
tratti non sono derivabili ovunque, ma sono localmente lineari. Possiamo
immaginare di modellare lo stesso componente fisico sia con funzioni smooth
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Bipoli elementari a-dinamici
Generatori di tensione e corrente ( v = e;
18
Bipoli fondamentali
i= j)
Diodo zener
Figura 2.7: (a) simbolo del diodo zener; (b) curva caratteristica
Diodo tunnel
Figura 2.5: (a) simbolo del generatore di tensione (b) curva caratteristica (c)
simbolo del generatore di corrente (d) curva caratteristica
(
Diodo esponenziale i = I S e
v VT
− 1)
Figura 2.8: (a) simbolo del diodo tunnel; (b) curva caratteristica
Tiristore (a gate disconnessa)
Figura 2.6: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello
esponenziale
Figura 2.9: (a) simbolo del tiristore; (b) curva caratteristica
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Bipoli elementari a-dinamici
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Bipoli fondamentali
Nullatore e noratore
Modello del diodo lineare a tratti
v≥0
⎪⎧i = G f v
⎨
v≤0
⎪⎩i = Gi v
Un ruolo a parte meritano i “bipoli” nullatore e noratore, i cui simboli
sono rappresentati in Figura 2.12. Il primo è caratterizzato da v = 0, i = 0 ,
mentre il secondo ammette qualsiasi valore di tensione e corrente ai suoi capi.
Essi non sono bipoli a-dinamici in senso stretto, cioè non possiamo
descriverli con un legame del tipo f (v, i ) = 0 .
Figura 2.10: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello lineare a
tratti
Osserviamo che siccome si ha G f ≠ 0,
Gi ≠ 0 il bipolo risulterà
controllabile sia in tensione che in corrente.
Modello del diodo ideale
i≥0
⎧v = 0
⎨
v≤0
⎩i = 0
Osserviamo che esso non è controllato né in tensione né in corrente,
dunque esiste solo la forma implicita f (v, i ) = 0 per la caratteristica.
Figura 2.12: (a) simbolo del nullatore; (b) simbolo del noratore
Condensatore non lineare
Il condensatore (non lineare) è il bipolo definito dalle relazioni:
⎧ f ( q, v ) = 0
⎪
⎨ dq
⎪⎩i = dt
(2.3)
Figura 2.13: simbolo del generico condensatore non lineare
Figura 2.11: (a) simbolo del diodo; (b) curva caratteristica del modello ideale
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Come vediamo dalla definizione, esso è un bipolo dinamico, caratterizzato
da un legame differenziale (lineare) tra le variabili q ed i , e da uno algebrico
(in generale non lineare) tra le variabili q e v .
Facciamo anzitutto l’ipotesi che la funzione f sia di tipo “smooth” o
lineare a tratti. In analogia poi a quanto definito per i resistori, definiremo i
concetti di:
- tensione e carica ammissibili per il condensatore
- condensatore controllato in tensione o carica
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Condensatore non lineare
21
Vediamo ora al solito alcuni esempi.
Condensatore lineare ( q = Cv ):
dv
i=C
dt
22
Bipoli fondamentali
Induttore non lineare
L’induttore (non lineare) è il bipolo definito dalle relazioni:
(2.4)
⎧ f (ϕ , i ) = 0,
⎪
⎨
dϕ
⎪v =
dt
⎩
(2.5)
Figura 2.16: Simbolo del generico induttore non lineare
Figura 2.14: (a) simbolo del condensatore lineare; (b) curva caratteristica
Diodo Varactor
2
⎧
3
⎛
⎞
3
v
⎪ q (v ) = − C V 1 −
,
⎜
⎟
0
0
⎪
2
V
0
⎝
⎠
⎨
⎪ dq
⎪i = .
⎩ dt
Come vediamo dalla definizione, anch’esso è un bipolo dinamico,
caratterizzato da un legame differenziale (lineare) tra le variabili ϕ ed i, e da
uno algebrico (in generale non lineare) tra le variabili ϕ e v Anche in questo
caso facciamo l’ipotesi che la funzione f sia smooth o lineare a tratti. In
analogia poi a quanto definito per i resistori, definiremo i concetti di:
- flusso e corrente ammissibili per l’induttore
- induttore controllato in flusso o in corrente
Vediamo anche qui alcuni esempi.
Induttore lineare ( ϕ = Li ):
v=L
di
dt
(2.6)
Figura 2.15: (a) simbolo del diodo varactor; (b) curva caratteristica
Figura 2.17: (a) simbolo dell’induttore lineare; (b) curva caratteristica
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
23
Induttore non lineare
24
Bipoli fondamentali
Induttore su un nucleo ferromagnetico (con saturazione)
Giunzione Josephson
a) approssimazione polinomiale
i = aϕ + bϕ 3
b) approssimazione lineare a tratti
⎧ϕ
⎛1 1 ⎞
ϕ > ϕ0
⎪ − ϕ0 ⎜ − ⎟
⎪ L1
⎝ L1 L0 ⎠
⎪
ϕ
⎪
−ϕ0 ≤ ϕ ≤ ϕ0
i=⎨
L0
⎪
⎪ϕ
⎛
⎞
⎪ + ϕ0 ⎜ 1 − 1 ⎟
ϕ < −ϕ0
⎪⎩ L1
⎝ L1 L0 ⎠
Figura 2.19 Caratteristica di una giunzione Josephson
i
i
(a)
(b)
Riferimenti bibliografici:
[1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986,
ISBN 0-89006-208-0.
[2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
[3] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007, ISBN: 978-88470-0537-2.
Figura 2.18 caratteristica di un induttore saturabile: (a) polinomiale; (b) lineare a
tratti
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
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26
Doppi bipoli fondamentali
i1 = 0,
3. Doppi bipoli fondamentali
Abbiamo già incontrato gli elementi circuitali a più terminali, definendone
le tensioni e le correnti descrittive, e mettendo in evidenza come possono
essere caratterizzati come N-polo. Una situazione molto frequente è che gli
elementi a più terminali vengano invece caratterizzati raggruppando i
terminali a due a due in “porte”, imponendo che per ciascuna porta le correnti
entranti nei terminali siano uguali ed opposte; in tal caso parleremo di Mporte. E’ appena il caso di osservare che, se anche il numero di terminali
dell’N-polo originale è dispari, è sempre possibile realizzare opportunamente
uno schema di caratterizzazione a multi-porta: basti pensare alla tipica
caratterizzazione del transistore, nella quale uno dei tre terminali viene
considerato “comune” realizzando così una porta di ingresso ed una di uscita.
Passiamo ora in rassegna alcuni doppi bipoli fondamentali con le loro
principali proprietà.
(3.1)
v2 = α v1 ,
dove α è una costante adimensionale detta rapporto di trasferimento di
tensione. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura
3.1a. La porta “1” è equivalente ad un circuito aperto e la porta “2” è
equivalente ad un generatore ideale di tensione che impone una tensione
dipendente linearmente dalla tensione della porta “1”.
Generatore di tensione controllato in corrente
Il generatore di tensione controllato in corrente è un doppio bipolo lineare
definito dalle relazioni caratteristiche:
v1 = 0
v2 = ri1
,
(3.2)
dove r è una costante, che prende il nome di trans-resistenza del generatore
controllato; r si misura in ohm. Il simbolo di questo generatore controllato è
riportato in Figura 3.1b La porta “1” è equivalente ad un corto circuito e la
porta “2” è equivalente ad un generatore ideale di tensione che impone una
tensione dipendente linearmente dall’intensità di corrente della porta “1”.
Generatori controllati
I generatori controllati sono doppi bipoli adinamici: una delle due
grandezze - tensione o intensità di corrente - ad una delle due porte è funzione
una delle due grandezze - tensione o intensità di corrente - all’altra porta. Per
convenzione, la porta che funziona da “generatore” è la porta “2” e la porta
che “controlla” il generatore è la porta “1”. Considerando tutte le possibili
combinazioni si hanno i diversi possibili generatori controllati.
È particolarmente importante il caso dei generatori controllati lineari: in
tal caso la grandezza controllata risulta proporzionale alla grandezza di
controllo.
Generatore di tensione controllato in tensione
Il generatore di tensione controllato in tensione è un doppio bipolo lineare
definito dalle relazioni caratteristiche:
Figura 3.1: Simboli dei quattro tipi di generatori controllati lineari
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Generatori controllati
27
Generatore di corrente controllato in tensione
Il generatore di corrente controllato in tensione è un doppio bipolo lineare
definito dalle relazioni caratteristiche:
i1 = 0
i2 = gv1
,
(3.3)
dove g è una costante, che prende il nome di trans-conduttanza; g si misura in
siemens. Il simbolo di questo generatore controllato è riportato in Figura 3.1c
La porta “1” è equivalente ad un circuito aperto e la porta “2” è equivalente
ad un generatore di corrente ideale che impone un’intensità di corrente
dipendente linearmente dalla tensione della porta “1”.
Generatore di corrente controllato in corrente
Il generatore di corrente controllato in corrente è un doppio bipolo
lineare definito dalle relazioni caratteristiche:
v1 = 0
i2 = βi1
,
(3.4)
dove β è una costante adimensionale, che prende il nome di rapporto di
trasferimento di corrente. Il simbolo di questo generatore controllato è
riportato in Figura 3.1d. La porta “1” è equivalente ad un corto circuito e la
porta “2” è equivalente ad un generatore ideale di corrente che impone
un’intensità di corrente dipendente linearmente dalla corrente della porta “1”.
Le caratteristiche dei generatori controllati possono essere utilmente
espresse utilizzando la notazione vettoriale, come abbiamo già fatto per i
doppi bipoli lineari passivi. Se, ad esempio, consideriamo il generatore di
tensione controllato in corrente, potremo infatti riscrivere la caratteristica
come:
⎛ v1 ⎞ ⎛ 0 0 ⎞⎛ i1 ⎞
⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜
⎟⎟⎜⎜ ⎟⎟ ,
⎝ v2 ⎠ ⎝ r 0 ⎠⎝ i2 ⎠
Doppi bipoli fondamentali
v2=0). Tali proprietà si rifletteranno, come avremo modo di mostrare con
opportuni esempi, sui circuiti che contengano al loro interno i generatori
controllati.
Osserviamo anche che i generatori controllati non godono della
reciprocità, e la loro caratterizzazione è unica. Consideriamo ad esempio il
generatore di tensione controllato in tensione; la sua caratteristica, in forma
matriciale, è data da:
⎧v 2 = α v1
⎛i ⎞ ⎛0
⇒ ⎜⎜ 1 ⎟⎟ = ⎜⎜
⎨
⎩i1 = 0
⎝ v2 ⎠ ⎝ α
0 ⎞⎛ v1 ⎞
⎟⎜ ⎟
0 ⎟⎠⎜⎝ i2 ⎟⎠
(3.6)
Come si vede subito la matrice è non simmetrica e singolare! Come
conseguenza della sua non invertibilità, si ha anche che la rappresentazione
considerata è unica.
Per i circuiti che contengono, oltre a resistori lineari e generatori
indipendenti (ideali), anche generatori controllati vale la proprietà della
sovrapposizione degli effetti.
I generatori controllati appena definiti non sono in realtà tutti indipendenti,
come vedremo con il seguente esempio. In particolare, da due di essi è
possibile ricavare gli altri due (Figura 3.2).
Figura 3.2: Esempio di dipendenza nella definizione di generatori controllati.
Trasformatore ideale e giratore
(3.5)
E’ importante osservare le proprietà di questa rappresentazione lineare:
essa è singolare (il determinante della matrice è nullo), è non simmetrica
(banalmente), e da ultimo è “inerte” (ad ingresso i1=0 corrisponde l’uscita
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
28
Nella classe dei doppi bipoli lineari adinamici che stiamo considerando,
assumono particolare importanza il trasformatore ideale ed il giratore, che
sono due elementi circuitali in grado di realizzare importanti funzioni.
Il trasformatore ideale è un doppio bipolo lineare il cui funzionamento è
descritto dalle seguenti relazioni:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Trasformatore ideale e giratore
v1 = nv2
29
(3.7)
i2 = − ni1
dove la costante positiva n è detta rapporto di trasformazione. Il simbolo
circuitale del trasformatore ideale è illustrato in Figura 3.3. Come si vede
subito dalle equazioni (3.7) la proprietà fondamentale è che le grandezze
tensioni alla porta “1” ed alla porta “2” sono legate tra loro dal rapporto fisso
n, ed in modo inverso (ed opposto) le correnti.
E’ immediato mostrare, sostituendo nell’espressione della potenza le
caratteristiche, che la potenza elettrica assorbita dal trasformatore ideale è
uguale a zero in qualsiasi condizione di funzionamento. Ciò si esprime anche
dicendo che esso è trasparente alla potenza. In conseguenza di ciò esso è
dunque è un doppio bipolo passivo che non dissipa né immagazzina energia.
Per il trasformatore ideale, come si verifica subito dalla caratteristica, non
vale la non amplificazione delle tensioni e delle correnti, pur essendo come
abbiamo detto passivo. Stante la linearità delle equazioni caratteristiche,
invece, in un circuito che contenga trasformatori ideali continua a valere la
sovrapposizione degli effetti.
30
Doppi bipoli fondamentali
che si stabilisce in questo modo viene spesso chiamata “trasporto al primario”
di un bipolo.
Figura 3.4: circuito equivalente del trasformatore ideale tramite generatori
controllati
Il trasformatore ideale può essere realizzato tramite generatori controllati
con il circuito illustrato in Figura 3.4.
Il giratore è un doppio bipolo lineare definito dalle seguenti relazioni
i1 = Gv2
(3.9)
i2 = −Gv1
dove la costante G è detta conduttanza di girazione; il simbolo del giratore è
illustrato in Figura 3.5a. Per i circuiti che contengono, oltre a resistori lineari
e generatori indipendenti (ideali), anche giratori vale la proprietà della
sovrapposizione degli effetti.
Figura 3.3: (a) simbolo del trasformatore ideale; (b) trasformatore terminato con
un resistore
La proprietà più importante del trasformatore può essere illustrata
considerando il circuito di Figura 3.2b (alla porta “2” del trasformatore è
connesso un resistore lineare con resistenza R). In questo caso si ha:
v1 = nv2 = − nRi2 = n 2 Ri1 .
(3.8)
Dunque, quando alla porta “2” del trasformatore ideale è collegato un
resistore lineare di resistenza R, la porta “1” si comporta come se fosse un
resistore lineare di valore n2R. Pertanto il trasformatore consente di variare la
resistenza di un resistore senza alterarne la costituzione fisica. L’equivalenza
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 3.5: (a) simbolo del giratore; (b) un giratore terminato alla porta di uscita
con un condensatore è equivalente ad un induttore
Anche per il giratore si può immediatamente verificare che la potenza
elettrica assorbita è uguale a zero in qualsiasi condizione di funzionamento,
quindi esso è un doppio bipolo passivo che né dissipa e né immagazzina
energia. Come per il trasformatore, anche questo doppio bipolo non conserva
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
31
Amplificatore operazionale
la non amplificazione delle tensioni e delle correnti. Ciò può essere verificato,
ad esempio, considerando il circuito che si ottiene collegando ad una porta del
giratore un generatore ideale di tensione e all’altra porta un resistore lineare.
La proprietà più importante del giratore può essere illustrata considerando il
circuito illustrato Figura 3.5b: alla porta “2” del giratore è connesso un
condensatore lineare tempo-invariante con capacità C. In questo caso si ha
v1 = −
i2 C dv2 C di1
=
=
G G dt G 2 dt
(3.10)
Quando alla porta di un giratore è collegato un condensatore lineare e tempo
invariante di capacità C, l’altra porta si comporta come se fosse un induttore
lineare e tempo invariante di induttanza C/G2 Pertanto, il giratore consente di
realizzare un bipolo induttore a partire da un condensatore. Vale anche la
proprietà duale: tramite un giratore è possibile realizzare un bipolo
condensatore a partire da un induttore.
32
Doppi bipoli fondamentali
L’amplificatore operazionale è caratterizzato da valori tipici per I + ed I −
dell’ordine dei μA, se non delle centinaia di nA. Tenuto conto di questa
circostanza, normalmente si fa l’approssimazione I + = I − ≅ 0 . La tensione
Esat è generalmente dell’ordine di 10-15 V (in dipendenza dalla tensione di
alimentazione). Nella regione cosiddetta lineare, ovvero per − ε ≤ v ≤ ε , si
definisce il guadagno in tensione Av = Esat ε che risulta generalmente
dell’ordine di 105 – 106. Osserviamo anzitutto che, nell’approssimazione
appena considerata, l’amplificatore operazionale diviene intrinsecamente un
doppio bipolo, ed in particolare un generatore di tensione controllato in
tensione con legge di controllo non lineare vo = f (vi ) . In particolare si tratta
di un doppio bipolo attivo, nel senso che la potenza erogata (alla porta di
uscita) può essere positiva.
Tenuto conto dei valori tipici per il guadagno in tensione Av , ha senso
definire l’amplificatore operazionale ideale nel limite Av → ∞ :
i+ = 0 i− = 0
Amplificatore operazionale
Tra i componenti a più terminali l’amplificatore operazionale riveste un
ruolo di grande importanza, a causa delle innumerevoli funzioni che è
possibile realizzare con circuiti basati su di esso. In linea generale esso è un
quadripolo, il cui simbolo è riportato in Figura 3.6a, per il quale valgono le
relazioni:
⎧i− = I −
⎨
⎩i+ = I +
v0 =
⎧ Esat
⎪
⎪ Esat
vi
⎨
⎪ ε
⎪⎩-Esat
vi > ε
-ε ≤ vi ≤ ε
(3.11)
vi < − ε
Figura 3.6: (a) simbolo dell’amplificatore operazionale; (b) caratteristica ingressouscita
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
⎧v0 = Esat
⎪
⎨v0 = -Esat
⎪-E ≤ v ≤ E
0
sat
⎩ sat
per vi > 0
per vi < 0
(3.12)
per vi = 0
Nella regione “lineare” questo particolare doppio bipolo si riduce in realtà
all’insieme di due singolari elementi a due terminali. Difatti la condizione
sulla porta d’ingresso ii = 0 , vi = 0 è quella che definisce il nullatore o anche
“corto circuito virtuale”; invece la porta di uscita, con la condizione
-Esat ≤ v0 ≤ Esat , ha un valore della tensione che risulta indeterminato,
definendo il noratore. Dunque l’operazionale ideale in regione lineare può
essere rappresentato circuitalmente con i simboli di Figura 3.7 che
rappresentano appunto un nullatore (porta “1”) ed un noratore (porta “2”).
Figura 3.7: Modello di un operazionale ideale in regione lineare tramite nullatore
e noratore
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Amplificatore operazionale
33
Funzionamento in regione lineare
Consideriamo il circuito in Figura 3.8, nel quale l’amplificatore
operazionale ideale è collegato a due resistori. Supponiamo l’operazionale
ideale ed in regione lineare. Ciò vuol dire che può essere sostituito dalla
coppia nullatore-noratore, come visto in precedenza. Con tali assunzioni,
tenuto conto che i+ = i− = 0 e vd = 0 è immediato, applicando
opportunamente le KCL ed KVL ottenere le equazioni:
i1 = −i, v = v2 , v1 = vR 2 .
(3.13)
34
Doppi bipoli fondamentali
i1 = 0,
(3.16)
v1
,
R2
ottenendo in questo caso le relazioni caratteristiche di un generatore di
corrente controllato in tensione.
Consideriamo infine il circuito di Figura 3.9, dove la porta 2 è chiusa su di
un condensatore. La tensione e l’intensità di corrente alla porta 2 sono legate
dall’equazione:
dv
i2 = −C 2 ,
(3.17)
dt
dunque:
di
v1 = − R1 R2C 1 ,
(3.18)
dt
ovvero:
di
v1 = Leq 1 .
(3.19)
dt
In questo caso è evidente come si riesce a realizzare un induttore a partire da
un condensatore (circuito di Antoniou).
i2 = −
Figura 3.8 Un circuito con operazionale ideale
Il doppio bipolo può allora essere descritto dalle equazioni:
⎧v2 = − R1i1
⎨
⎩v1 = − R2i2
(3.14)
Al variare dei valori di R1 ed R2 otteniamo diversi elementi. Ad esempio,
ponendo R2 = 0 si ha:
v1 = 0,
(3.15)
v2 = − R1i1 ,
Figura 3.9 Un circuito con operazionale ideale chiuso su di un condensatore alla
porta di uscita
ottenendo dunque le relazioni caratteristiche di un generatore di tensione
controllato in corrente. Ponendo invece R1 → ∞ si ha:
Funzionamento in regione non lineare
Abbiamo sin qui analizzato circuiti nell’ipotesi che l’amplificatore
operazionale fosse in regione lineare. Esistono diversi circuiti non lineari che
viceversa basano il loro funzionamento proprio sulla caratteristica
dell’operazionale al passaggio tra la regione lineare e quella di saturazione. In
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
35
Amplificatore operazionale
36
Doppi bipoli fondamentali
particolare è possibile mostrare come sia possibile costruire circuiti che
realizzano un elemento con diversi tipi di caratteristica non lineare a tratti.
Consideriamo il circuito di Figura 3.10, nel quale assumiamo
l’operazionale come ideale. Supponiamo anzitutto che si trovi nella regione
lineare di funzionamento, salvo poi stabilire i limiti di validità di tale
assunzione. In tale ipotesi l’operazionale può essere sostituito del nullatore e
noratore, come visto precedentemente. In riferimento alle notazioni ed ai
riferimenti fissati possiamo scrivere:
v = vR 2 = vo
R2
R1 + R2
⇒ v0 =
R1 + R2
v.
R2
(3.20)
Figura 3.11 caratteristica i,v (a) regione lineare; (b) regione lineare e non lineare
La (3.20) è stata ottenuta osservando che, nell’ipotesi di operazionale ideale
i+ = 0 e dunque R1 ed R2 risultano in serie tra loro. Considerando invece
che i− = 0 possiamo scrivere:
v = R f i +vo = R f i +
R1 + R2
v
R2
⇒ i=−
R1
v.
R2 R f
(3.21)
Passiamo ora ad analizzare la regione di saturazione positiva: In tale
regione l’operazionale può essere modellato con un circuito aperto alla porta
di ingresso, ed un generatore di tensione alla porta di uscita, come
schematicamente indicato in Figura 3.12a.
Sostituendo nel circuito il modello equivalente avremo:
v − R f i − Esat = 0
⇒ v = Esat + R f i,
(3.23)
che riconosciamo facilmente come la caratteristica di un generatore reale di
tensione (Figura 3.12b).
Figura 3.10 Un circuito con operazionale ideale
Dunque, essendo tutti i valori di resistenza positivi, la caratteristica è quella
di un “resistore attivo.
Figura 3.12 (a) schema equivalente dell’operazionale in saturazione positiva; (b)
caratteristica i,v in regione di saturazione positiva per il circuito in
esame
Per trovare i limiti di validità dell’espressione (3.21) basta considerare la
condizione − Esat ≤ vo ≤ Esat ; tenuto conto dell’espressione (3.20) abbiamo:
Se, anche ora cerchiamo i limiti di validità dell’espressione (3.23)
abbiamo:
R1 + R2
R2
v ≤ Esat ⇒
v≤
Esat =β Esat .
R2
R1 + R2
La situazione è rappresentata in Figura 3.11a.
− Esat ≤
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(3.22)
vd = v − vR 2 = v − Esat
R2
>0
R1 + R2
⇒ v > β Esat .
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(3.24)
Amplificatore operazionale
37
Posto v = β Esat nella caratteristica (3.23) si ha:
i* = Esat
β −1
Rf
,
(3.25)
come riportato in Figura 3.11b.
Riferimenti bibliografici:
[1] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
[2] M. DE MAGISTRIS, G. MIANO, Circuiti, Springer 2007, ISBN: 978-88470-0537-2.
4. Caratterizzazioni degli M-porta
lineari
Lo studio degli M-porte lineari è di fondamentale importanza nell’analisi
dei circuiti. In particolare la caratterizzazione come M-porte di sottoparti
lineari a-dinamiche di circuiti più complessi consente di introdurre importanti
semplificazioni nell’analisi e nella riduzione della complessità
computazionale. Data l’importanza che riveste l’argomento, riprendiamo
brevemente le rappresentazioni dei doppi bipoli di resistori lineari già
introdotte nei corsi di base, per poi ampliare il campo delle nostre
considerazioni.
Un M-porta è un elemento per il quale è possibile definire M coppie di
terminali con la medesima intensità di corrente. Nel caso a-dinamico avrà in
generale una caratterizzazione in forma implicita del tipo:
f ( v, i, t ) = 0,
(4.1)
con v ed i, rispettivamente, vettori delle tensioni e delle correnti di porta. Ad
esempio, nel caso di un doppio bipolo (M=2) avremo:
f1 ( v1 , v2 , i1 , i2 , t ) = 0,
f 2 ( v1 , v2 , i1 , i2 , t ) = 0.
(4.2)
Rappresentazione in forma implicita dei doppi bipoli lineari
Vogliamo ora considerare la forma più generale per la rappresentazione
dei doppi bipoli lineari passivi.
Consideriamo il generico circuito di Figura 4.1, nel quale identifichiamo
una parte che è costituita da un doppio bipolo di resistori passivi e due bipoli
che supponiamo attivi all’esterno. Supponiamo, per semplicità che i due
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Rappresentazione in forma implicita dei doppi bipoli lineari
39
bipoli esterni, che rappresentano delle “condizioni al contorno” siano lineari
(ciò non è limitante).
40
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
variabili sarà dunque possibile ricavare la corrispondente forma esplicita. Ad
esempio se nella (4.5) si suppone la matrice M non singolare, si può scrivere:
v = -( M −1 N )i = Ri
(4.6)
che costituisce la classica rappresentazione controllata in corrente, ed in
questo caso la matrice R prende il nome di matrice delle resistenze.
Rappresentazioni R, G, H di doppi bipoli lineari passivi
Figura 4.1 Doppio bipolo lineare terminato con bipoli lineari attivi
Immaginando di avere accesso anche all’interno del doppio bipolo, per il
circuito in questione le equazioni in forma canonica saranno necessariamente
del tipo:
∑ (±)i
k
= 0,
KCL
= 0,
KVL
Riprendiamo ora brevemente le più note rappresentazioni esplicite dei
doppi bipoli lineari passivi con le relative proprietà. Consideriamo il generico
doppio bipolo di resistori lineari rappresentato in Figura 4.2.
k
∑ ( ± )v
k
k
vk − Rk ik = 0,
caratteristiche resistori
f1 ( v1 , i1 ) = 0,
caratteristica bipolo 1
f 2 ( v2 , i2 ) = 0,
caratteristica bipolo 2
(4.3)
Ricordiamo che per esso, in generale, sono possibili diverse
rappresentazioni esplicite, come ad esempio:
Supponendo il sistema (4.3) ben posto, eliminando le ultime due equazioni
e riducendo le rimanenti (che sono tutte lineari ed omogenee) a due sole
equazioni nelle incognite v1, v2, i1, i2, si ottengono in generale due equazioni
indipendenti lineari ed omogenee nella forma:
m11v1 + m12 v2 + n11i1 + n12i2 = 0
m21v1 + m22 v2 + n21i1 + n22 i2 = 0
(4.4)
ovvero, in forma compatta:
Mv + Ni = 0 .
Figura 4.2 Generico doppio bipolo lineare passivo
i1 = G11v1 + G12 v2 , ⎫
⎬ → i = Gv .
i2 = G21v1 + G22 v2 , ⎭
La (4.7) è la rappresentazione controllata in tensione, ed in questo caso la
matrice G prende il nome di matrice delle resistenze. Ricordiamo che gli
elementi della matrice delle conduttanze di un doppio bipolo godono delle
proprietà:
Gii ≥ 0,
(4.5)
( Rii ≥ 0 )
Gij = G ji ,
Gii ≥ Gij ,
La (4.5) prende il nome di rappresentazione in forma implicita dei doppi
bipoli lineari. A seconda che sia possibile esplicitarla rispetto a una coppia di
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(4.7)
(R
ij
(R
ii
i ≠ j,
= R ji ) ,
≥ Rij
)
(4.8)
i ≠ j.
Se la matrice G risulta non singolare (cioè invertibile) dalla
rappresentazione considerata è immediato ricavare la:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Rappresentazioni R, G, H di doppi bipoli lineari passivi
v = Ri, con R = G -1
41
(4.9)
Ricordiamo che anche per la matrice delle resistenze valgono proprietà
analoghe alle (4.8).
Fra le peculiarità delle diverse possibili rappresentazioni vogliamo mettere
in evidenza che esse risultano più o meno comode per il collegamento fra loro
di doppi bipoli. Ad esempio, la rappresentazione G è comoda quando si
vogliono mettere in parallelo due doppi bipoli, come in Figura 4.3
42
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
Fra le possibili caratterizzazioni ricordiamo anche quella “ibrida” e quella
cosiddetta di “trasmissione”. La caratterizzazione si dirà ibrida quando le
variabili indipendenti sono una tensione ed una corrente. Ad esempio:
⎛ v1 ⎞
⎛ i1 ⎞
⎜ ⎟=H⎜ ⎟
⎝ i2 ⎠
⎝ v2 ⎠
⎛ i1 ⎞
⎛ v1 ⎞
⎜ ⎟ = H ′⎜ ⎟
⎝ v2 ⎠
⎝ i2 ⎠
dove H ′ = H -1 ,
(4.11)
⎛ H 11 H 12 ⎞
con H = ⎜
⎟.
⎝ H 21 H 22 ⎠
Per gli elementi della matrice H si hanno le seguenti proprietà:
H ii ≥ 0, H ij ≤ 1, H ij = − H ji ; tale rappresentazione è comoda, tra l’altro,
per connessioni miste serie-parallelo.
Rappresentazione di trasmissione T di un doppio bipolo lineare
Nelle rappresentazioni R , G , H , H ′ sin qui considerate le variabili
indipendenti (e corrispondentemente quelle dipendenti) sono sempre state
definite contemporaneamente su entrambe le porte. In realtà è possibile una
scelta ulteriore, che da luogo alla rappresentazione di trasmissione:
Figura 4.3 Connessione parallelo di due doppi bipoli lineari passivi
Difatti, considerata la KCL e le caratteristiche si ha:
i′ = G ′v, i′′ = G ′′v ⇒ i =i′+i′′ = (G ′ + G ′′) v
(4.10)
Per converso, la rappresentazione R risulta più comoda per i collegamenti in
serie mostrati in Figura 4.4.
v1 = T11v2 − T12i2
i1 = T21v2 − T22i2
⎛ v1 ⎞
⎛ v2 ⎞
⎜ ⎟ =T ⎜ ⎟
⎝ i1 ⎠
⎝ i2 ⎠
(4.12)
Il motivo del segno “-“ posto convenzionalmente davanti ai parametri T12 e
T22 è in parte storico ed è legato alla interpretazione come “ingresso” della
porta 1 e come “uscita” della porta 2, associata ai versi di riferimento in
Figura 4.5.
È possibile, come già visto per le altre rappresentazioni, considerare la
rappresentazione inversa T * :
v2 = T11* v1 − T12* i1
i2 = T v − T i
*
21 1
*
22 1
v
⎛ v2 ⎞
* ⎛ 1⎞
⎜ ⎟ =T ⎜ ⎟
⎝ i2 ⎠
⎝ i1 ⎠
T * = T -1
Figura 4.4 Connessione in serie di due doppi bipoli
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(4.13)
Rappresentazione di trasmissione T di un doppio bipolo lineare
43
44
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
det(T)=
R11 R22 ΔR
− 2 =1
R212
R21
(4.17)
La rappresentazione di trasmissione è molto utile per i collegamenti in
cascata, come mostrato in Figura 4.6.
Figura 4.5 Convenzioni sui versi per la rappresentazione T .
E’ istruttivo trovare il legame tra la rappresentazione T ed una delle
precedenti, ad esempio la R . Tenuto conto delle scelte fatte per il verso della
corrente i2 , si ha:
v1 = R11i1 − R12i2
v − R11i1 = − R12i2
⇒ 1
v2 = R21i1 − R22 i2
R21i1 = v2 + R22i2
⇓
⎛ 1 − R11 ⎞⎛ v1 ⎞ ⎛ 0 − R12 ⎞⎛ v2 ⎞
⎜
⎟⎜ ⎟ = ⎜
⎟⎜ ⎟
⎝ 0 R21 ⎠⎝ i1 ⎠ ⎝ 1 R22 ⎠⎝ i2 ⎠
Figura 4.6 Collegamento di due doppi bipoli in cascata
(4.14)
Difatti, indicate con T(1) e T(2) le matrici di trasmissione dei due doppi
bipoli, si ha:
⎛ v1(1) ⎞
(1)
⎜⎜ (1) ⎟⎟ = T
⎝ i1 ⎠
⎛ v2(1) ⎞
(1) (2)
⎜⎜ (1) ⎟⎟ = T T
⎝ i2 ⎠
⎛ v2(2) ⎞
⎜⎜ (2) ⎟⎟
⎝ i2 ⎠
(4.18)
−1
⎛ 1 − R11 ⎞ ⎛ 0 − R12 ⎞ ⎛ 1 R11 R21 ⎞⎛ 0 − R12 ⎞
T =⎜
⎟ ⎜
⎟=⎜
⎟⎜
⎟=
⎝ 0 R21 ⎠ ⎝ 1 R22 ⎠ ⎝ 0 1 R21 ⎠⎝ 1 R22 ⎠
⎛ R11 R22 R11 − R21 R12 ⎞
⎜R
⎟
R21
21
⎜
⎟
=
⎜ 1
⎟
R22
⎜
⎟
R21
⎝ R21
⎠
Rappresentazione “scattering” S di un doppio bipolo lineare
(4.15)
ovvero:
⎛R R
T = ⎜ 11 21
⎝ 1 R21
ΔR R21 ⎞
⎟ , con ΔR = R11 R22 − R12 R21 .
R22 R21 ⎠
La rappresentazione di scattering (S) di un doppio bipolo trae origine dalla
descrizione di sistemi distribuiti con propagazione. Essa è però importante
anche per i doppi bipoli “concentrati” in quanto possiede alcune proprietà
piuttosto generali. Ricordiamo anzitutto che, a partire dalla forma implicita
per i doppi bipoli lineari abbiamo le relazioni:
⎧ v = − M −1 Ni = Ri,
Mv + Ni = 0 → ⎨
−1
⎩i = − N Mv = Gv,
(4.19)
(4.16)
Se siamo nelle condizioni di reciprocità per il doppio bipolo
( R12 R21 = R212 ), vale la proprietà det(T ) = 1. Sviluppando infatti il
determinante:
quando naturalmente siano M ed N non singolari, cioè invertibili. Ebbene,
possiamo affermare che esistono buoni motivi per considerare come variabili
di rappresentazione anziché tensioni e correnti separatamente, opportune loro
combinazioni. Per far ciò è comodo considerare, su ciascuna porta, dei
resistori aggiuntivi di valore fissato, generalmente unitario come
rappresentato in Figura 4.15. Considerata la maglia di ingresso, posto R = 1
abbiamo:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Rappresentazione “scattering” S di un doppio bipolo lineare
e1 ( t ) = v1 ( t ) + Ri1 ( t ) = v1 ( t ) + i1 ( t ) .
45
(4.20)
La combinazione v1 (t ) + i1 (t ) = e1 (t ) può essere considerata come “variabile
indipendente” alla porta 1 del doppio bipolo. Dalla posizione (4.20) è
possibile anche ricavare:
e1 ( t ) = v1 ( t ) + i1 ( t ) − i1 ( t ) + i1 ( t ) ⇒ v1 ( t ) − i1 ( t ) = e1 ( t ) − 2i1 ( t ) .
(4.21)
La combinazione v1 ( t ) − i1 ( t ) = e1 (t ) − 2i1 (t ) può essere considerata come
“variabile dipendente” alla porta 1 del doppio bipolo. In realtà si suole
definire le variabili:
1
1
v (i ) = ( v + i ) , v ( r ) = ( v − i ) ,
(4.22)
2
2
che vengono dette, rispettivamente, tensione incidente e tensione riflessa (in
analogia con i parametri di una linea di trasmissione o di un sistema a
microonde).
46
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
sempre, anche quando altre rappresentazioni sono singolari. Senza indugiare
oltre sulla dimostrazione di questa proprietà, facciamo osservare che l’aver
definito come variabili indipendenti opportune combinazioni di tensioni e
correnti (o equivalentemente forzare le porte con un generatore “reale”)
risolve in partenza i casi patologici che si possono verificare.
Anche per la matrice di scattering, come per le altre, è possibile trovare i
legami con le altre rappresentazioni. Un possibile modo di procedere consiste
nel ricavare le corrispondenti relazioni riportando la forma di scattering alla
implicita per poi utilizzare le relazioni viste in precedenza.
v1 ( t ) − i1 ( t ) = S11 ⎡⎣ v1 ( t ) + i1 ( t ) ⎤⎦ + S12 ⎡⎣ v2 ( t ) + i2 ( t ) ⎤⎦
(4.24)
v2 ( t ) − i2 ( t ) = S 21 ⎡⎣ v1 ( t ) + i1 ( t ) ⎤⎦ + S 22 ⎡⎣v2 ( t ) + i2 ( t ) ⎤⎦
da cui:
(1 − S11 ) v1 ( t ) − S12 v2 ( t ) − (1 + S11 ) i1 ( t ) − S12i2 ( t ) = 0
− S21v1 ( t ) + (1 − S 22 ) v2 ( t ) − S21i1 ( t ) − (1 + S22 ) i2 ( t ) = 0
(4.25)
Posto:
S12 ⎞
⎛ 1 − S11 − S12 ⎞
⎛ 1 + S11
M =⎜
⎟ = I − S, N = −⎜
⎟ = − ( I + S ) (4.26)
⎝ − S 21 1 − S 22 ⎠
⎝ S 21 1 + S22 ⎠
avremo:
Figura 4.7 Caratterizzazione scattering di un doppio bipolo lineare
R = − M −1 N = ( I − S ) −1 ( I + S )
Assumendo tali grandezze come ingressi ed uscite si definisce la matrice di
scattering come:
(4.27)
G = − N −1M = ( I + S ) −1 ( I − S )
L’insieme dei legami sono riassunti nella seguente tabella:
v ( r ) = Sv ( i ) , ovvero
⎧v
⎨
⎩v
(r )
1
(r )
2
= S11 v + S12 v ,
= S21 v + S22 v .
(i )
1
(i )
1
(i )
2
(i )
2
(4.23)
S12 ed S21 sono detti coefficienti di trasmissione, mentre S11 ed S 22
coefficienti di riflessione.
La rappresentazione con i parametri di scattering gode di un’importante
proprietà che la differenzia dalle altre rappresentazioni esplicite considerate
sin qui (R, G, H, H’, T, T’). Difatti si può dimostrare che essa risulta esistere
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
S
G
S =
S
( I - G )( I + G )
G =
( I - S )( I + S )
-1
( I + S )( I - S )
R =
-1
R
-1
( I - R )( I + R )
G
R -1
G -1
R
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
-1
47
Doppi bipoli lineari non reciproci e attivi
Doppi bipoli lineari non reciproci e attivi
Per generalizzare quanto visto sinora dobbiamo includere il caso di doppi
bipoli lineari non reciproci ed attivi, ovvero che contengono al loro interno
elementi lineari passivi ma non reciproci (trasformatori, giratori), elementi
attivi ma inerti (generatori controllati) ed elementi attivi e non inerti
(generatori indipendenti). In Figura 4.8 è schematicamente indicato un doppio
bipolo lineare con tali caratteristiche.
48
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
Tale espressione può essere interpretata come la forma vettoriale del teorema
di Norton. Analogamente con la caratterizzazione in base corrente si ha il
caso Thevenin vettoriale:
v = Ri + v *
(4.29)
In maniera simile si procede per caratterizzare in forma ibrida anche i
doppi bipoli attivi.
È importante osservare che in presenza di elementi inerti, ma attivi e non
reciproci quali quelli considerati (in particolare il trasformatore, il giratore e i
generatori controllati) le matrici G, R, H etc., ad esempio nelle
rappresentazioni (4.28) e (4.29), perderanno le proprietà di simmetria
(reciprocità) e quelle legate alla non amplificazione (maggiorazioni sui
termini fuori diagonale).
Alcuni esempi sui doppi bipoli
Affrontiamo ora alcuni esempi sulle rappresentazioni dei doppi bipoli.
Figura 4.8 Un generico doppio bipolo lineare attivo e non reciproco
In tal caso il doppio bipolo può essere caratterizzato applicando la
sovrapposizione degli effetti. In riferimento alla
Figura 4.9 (per semplicità si considera il caso di soli resistori e generatori
indipendenti), avendo denotato con un apice il primo circuito nel quale sono
stati spenti i generatori interni, e con due quello nel quale sono stati spenti
quelli esterni si avrà:
i = Gv + i *
(4.28)
dove la matrice G è definita sul circuito reso passivo come abbiamo già visto
in precedenza, ed i* è il vettore dei termini noti (correnti di corto circuito con
i generatori esterni spenti.
C’
i’1
v1 +
-
Sintesi di un doppio bipolo con generatori controllati
Ricordiamo anzitutto che un doppio bipolo lineare passivo può essere
sintetizzato con tre resistori come segue:
C’’
i’2
+
-
i’’1
i’’2
v2
Figura 4.10 Schema a T per la sintesi passiva di un doppio bipolo lineare
v1 = R11i1 + R12 i2
v 2 = R21i1 + R22 i2
Ra = R11-R12
Rb = R12
Rc = R22 -R12
Vediamo ora come sia possibile sintetizzare attraverso dei generatori
controllati il doppio bipolo considerato (Figura 4.11)
Osserviamo che R12 può in tal caso, essere diverso da R21.
Figura 4.9: Sovrapposizione applicata per caratterizzare un doppio bipolo attivo
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
49
Alcuni esempi sui doppi bipoli
50
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
⎛ 3 1⎞ ⎛ 0 1 ⎞
R=⎜
⎟+⎜
⎟
⎝1 4 ⎠ ⎝ 0 0 ⎠
v1 = 3i1 + 1i2 + i2
v2 = 1i1 + 4i2
Figura 4.11 Schema con generatori controllati per la sintesi di un doppio bipolo
lineare
A tale rappresentazione possiamo far corrispondere la sintesi di Figura 4.13,
con i parametri:
È evidente come tale sintesi, equivalente alla precedente nel caso di
doppio bipolo reciproco e inerte, permette più in generale di trattare il caso
non reciproco ed attivo.
Se consideriamo il caso di una rappresentazione H:
Ra = R11 - R12 = 2Ω, Rb = R12 = 1Ω,
Rc = R22 - R12 = 3Ω, Rm = 1Ω,
v1 = H11i1 + H12 v2
i2 = H 21i1 + H 22 v2
la sintesi diviene quella della Figura 4.12.
Figura 4.13 Esempio di sintesi “mista”
Se del circuito considerato facciamo viceversa l’analisi otteniamo la forma
(implicita):
⎧v1 − ( Ra + Rb )i1 − Rb i2 = 0
⎨
⎩v2 − ( Rb + Rm )i1 − ( Rb + Rc )i2 = 0
Figura 4.12 Schema con generatori controllati per la sintesi di un dippio bipolo
lineare con rappresentazione ibrida
Sintesi di doppio bipolo non reciproco
Consideriamo il doppio bipolo rappresentato dalla matrice della resistenze
⎛3 2⎞
(non simmetrica) R = ⎜
⎟ che può utilmente essere scomposta come:
⎝1 4 ⎠
⎛1 0⎞
⎟⎟
M = ⎜⎜
⎝0 1⎠
⎛ R + Rb
N = −⎜ a
⎝ Rb + Rm
⎛ R + Rb
R = -M -1 N = ⎜ a
⎝ Rb + Rm
(4.30)
Rb ⎞
⎟
Rb + Rc ⎠
Rb ⎞
⎟
Rb + Rc ⎠
(4.32)
Allo stesso risultato saremmo pervenuti applicando direttamente le
definizioni per i parametri Rij; ad esempio:
R11 =
v1
i2 = 0 = Ra + Rc
i1
Esempio: trasformatore ideale
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(4.31)
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(4.33)
51
Estensioni ai multi-porta lineari
52
Caratterizzazioni degli M-porta lineari
Figura 4.14 Un generico M-porte lineare
⎧v1 − nv2 = 0
⎨
⎩ ni1 + i2 = 0
m11=1;
m12 = -n;
⎛1
M = ⎜⎜
⎝0
-n ⎞
⎟
0 ⎟⎠
(4.34)
Potremo anche qui immaginare di caratterizzare in tensione, in corrente o
su base ibrida, avendo le corrispondenti matrici di rappresentazione.
n11 = n12 = 0, da cui segue immediatamente:
⎛0
N = ⎜⎜
⎝n
0⎞
⎟
1 ⎟⎠
(4.35)
i = Gv ,
v = Ri,
(4.36)
dove G ed R sono in questo caso opportune matrici M × M .
Nel caso ibrido ha senso suddividere le porte in due classi, quelle
controllate in tensione e quelle controllate in corrente:
È evidente in questo caso come non sia possibile ricavare le rappresentazioni
R o G in quanto entrambe le matrici M ed N sono singolari.
Rappresentazione implicita di un doppio bipolo “degenere”
Da sviluppare !!!
Matrice H dalla forma implicita
Da sviluppare !!!
Matrice S di un trasformatore
Da sviluppare !!!
Estensioni ai multi-porta lineari
Figura 4.15 Rappresentazione ibrida di un M-porte.
⎛ v 1 ⎞ ⎛ H11 H12 ⎞ ⎛ i 1 ⎞
⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜
⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ i 2 ⎠ ⎝ H 21 H 22 ⎠ ⎝ v 2 ⎠
⎛H
con H = ⎜⎜ 11
⎝ H 21
H 12 ⎞
⎟
H 22 ⎟⎠
(4.37)
I concetti sin qui visti sono facilmente estendibili agli M–porte.
dove:
v1 = (v11 ⋅⋅⋅⋅v1k )
v 2 = (v2 k +1 ....v2 M )
i1 = (i11 ....i1k )
i 2 = (i2 k +1 ....i2M )
(4.38)
Il significato delle varie sottomatrici di H può essere facilmente
compreso estendendo le nozioni relative a doppi bipoli; infatti, H11 è la
matrice di resistenza del K-porte quando v 2 = 0 , cioè le M-K porte
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Estensioni ai multi-porta lineari
53
secondarie sono in corto circuito. H 22 è la matrice di conduttanza del M-K
porte quando le K porte primarie sono tutte aperte, e così via.
Riferimenti bibliografici:
[1] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7, pp. 783-809.
5. Complementi di topologia
circuitale
Abbiamo già avuto modo di sottolineare come la peculiarità dei circuiti,
rispetto a generici sistemi dinamici, risieda principalmente nella forma e nelle
proprietà delle equazioni di interconnessione (leggi di Kirchhoff), che
costituiscono una parte importante delle equazioni che descrivono un circuito.
Dunque, considerando per un circuito descritto da b tensioni e b intensità di
corrente la forma canonica delle equazioni, vi saranno almeno b equazioni
algebriche, lineari ed omogenee.
L’analisi delle proprietà legate al modo in cui gli elementi circuitali sono
interconnessi prende il nome di topologia circuitale, e può essere considerata
una branca della teoria dei grafi. Il nostro obiettivo, molto circoscritto, sarà di
analizzare più in dettaglio le principali proprietà legate alla topologia dei
circuiti con l’obbiettivo di discutere le diverse possibilità che si presentano
nella formulazione del modello circuitale.
La topologia circuitale essenzialmente si propone di studiare tutte quelle
proprietà delle equazioni circuitali che derivano dalle struttura delle
interconnessioni. In particolare è importante studiare in che modo tali
informazioni possono essere usate al meglio per una formulazione delle
equazioni circuitali adeguata al tipo di problema in esame, anche in vista
dell’utilizzo della simulazione numerica per la soluzione del modello.
Definizioni e proprietà relative ai grafi
In generale, una descrizione delle interconnessioni tra gli elementi
circuitali dovrà certamente prendere in considerazione i seguenti elementi:
- come gli elementi sono connessi tra loro in termini delle variabili
descrittive scelte
- i versi di riferimento per le intensità di corrente e le tensioni
Il modo più immediato di rappresentare queste informazioni è associando
al circuito un grafo, ed in particolare un grafo orientato. Val la pena ricordare
che il concetto di grafo è stato per la prima volta introdotto da Eulero per la
soluzione del cosiddetto “problema del ponte di Koenigsberg”, ed ha
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Definizioni e proprietà relative ai grafi
55
applicazioni in diversi campi delle scienze. Il primo ad applicarlo ai circuiti è
stato lo stesso Kirchhoff.
56
Complementi di topologia circuitale
1. il percorso lungo T tra qualsiasi coppia di nodi è unico;
2. i lati di albero T sono n − 1 e quelli di coalbero C b − (n − 1) ;
3. ogni lato di C, assieme ad alcuni lati di T , definisce un’unica
“maglia” detta fondamentale;
4. ogni lato di T, assieme ad alcuni lati di C, definisce un unico “taglio”
detto fondamentale.”
Osserviamo che un importante corollario del teorema (punti 3 e 4) è che le
equazioni di Kirchhoff per le maglie o i tagli fondamentali risultano
necessariamente indipendenti.
Figura 5.1(a) Un esempio di circuito e (b) il relativo grafo orientato
In maniera piuttosto informale possiamo definire il grafo di un circuito ciò
che otteniamo quando, avendo fissato le variabili descrittive, descriviamo in
maniera grafica con delle linee (lati) la relazione di incidenza che lega i lati ai
nodi. Un esempio è dato in Figura 5.1., nel caso semplice di circuito di soli
bipoli. Questa rappresentazione è “topologica” nel senso che prescinde da
elementi geometrici nel descrivere le connessioni, e dunque permette di
studiarne tutte le proprietà in modo generale. Quando ai lati associamo un
verso per l’orientamento otteniamo un grafo orientato. Nell’utilizzo dei grafi
per i circuiti vengono sempre utilizzati grafi orientati.
Per le principali definizioni relative ai grafi, ed in particolare di grafo
connesso, sottografo, albero, coalbero, maglia ed insieme di taglio rinviamo a
[1-2]. Illustriamo con qualche esempio, in riferimento al circuito
precedentemente considerato, il grafo orientato, esempi di albero, coalbero e
di insiemi di taglio.
Come già noto dai corsi precedenti, i concetti di nodo, maglia e di insieme
di taglio sono fondamentali per la scrittura delle KVL e KCL; i concetti di
albero e coalbero sono fondamentali per la scelta delle equazioni
indipendenti.
Per il grafo di un circuito (connesso) valgono le seguenti proprietà
(Teorema fondamentale dei grafi):
“sia G un grafo connesso con n nodi e b lati, T un suo albero e C il
relativo coalbero, allora:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 5.2 Grafo per il circuito considerato, due diversi alberi ed i relativi
coalberi
Figura 5.3 Grafo per il circuito considerato, due diversi insiemi di taglio
Matrice di incidenza di nodo
Sebbene il grafo permetta una descrizione completa ed intuitiva delle
proprietà topologiche, esso non è uno strumento particolarmente adatto ad
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
57
Matrice di incidenza di nodo
una manipolazione automatica; sicuramente più adatta risulta la matrice di
incidenza Aa = ⎡⎣ aij ⎤⎦ che è una matrice con n (=numero di nodi) righe e b
(=numero di lati) colonne, con gli elementi definiti da:
⎧ 1 se il lato j esce dal nodo i
⎪
aij ⎨ −1 se il lato j entra nel nodo i
⎪ 0 se il lato j non incide nel nodo i
⎩
(5.1)
Ad esempio, se andiamo a sviluppare la matrice di incidenza del circuito
precedentemente considerato avremo:
I
-1
0
1
0
II
1
-1
0
0
III
0
-1
1
0
IV
0
0
1
-1
V
0
1
0
-1
VI
1
0
0
-1
(5.2)
(5.3)
dove al solito con i indichiamo il vettore delle intensità di corrente
descrittive per il circuito.
La matrice di incidenza Aa ha certamente rango non pieno (cioè < n ).
Infatti, tenuto conto che ogni lato necessariamente esce da un nodo ed entra
nell’altro, ogni colonna contiene sempre soltanto due elementi non nulli, un
+1 e un –1, e dunque la somma delle righe è sempre identicamente nulla.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Definiamo matrice di incidenza ridotta A quella ottenuta da Aa
eliminando una (qualsiasi) riga. E’ possibile dimostrare che la matrice A ha
sempre rango pieno per un grafo connesso. Di conseguenza le sue righe
risultano certamente indipendenti.
Considerato un albero per il circuito se si sceglie opportunamente l’ordine
dei lati, la matrice di incidenza ridotta A può sempre essere partizionata nel
modo seguente:
A = ⎡⎣ At Ac ⎤⎦
(5.4)
dove i pedici “t” e “c” stanno per “tree” (albero) e = “cotree” (coalbero).
Osserviamo che siccome l’albero ha n − 1 lati, la sotto-matrice At è una
matrice quadrata n − 1 × n − 1 .
Una proprietà molto interessante della matrice A è la seguente:
Ad esempio, consideriamo il circuito precedente la cui matrice di
incidenza di nodo è:
Come già noto la matrice di incidenza Aa permette di scrivere in forma
compatta le KCL:
Aa i = 0,
Complementi di topologia circuitale
“se A è la matrice di incidenza ridotta di un grafo connesso, ogni insieme
di colonne indipendenti di A corrisponde ad un albero e viceversa”
ovvero:
⎛ −1 1 0 0 0 1 ⎞
⎜
⎟
0 −1 −1 0 1 0 ⎟
⎜
Aa =
⎜1 0 1 1 0 0⎟
⎜
⎟
⎝ 0 0 0 −1 −1 −1⎠
58
⎡ −1 1 0 0 0 1 ⎤
⎢ 0 −1 −1 0 1 0 ⎥
⎥.
Aa = ⎢
⎢1 0 1 1 0 0⎥
⎢
⎥
⎣ 0 0 0 −1 −1 −1⎦
(5.5)
Eliminando l’ultima riga si ha:
⎡ −1 1 0 0 0 1 ⎤
A = ⎢⎢ 0 −1 −1 0 1 0 ⎥⎥ .
⎢⎣ 1 0 1 1 0 0 ⎥⎦
(5.6)
Consideriamo, ad esempio, le ultime 3 colonne: esse sono certamente
indipendenti; ad esse corrispondono i lati IV, V, VI che, effettivamente,
costituiscono un albero nel grafo di Figura 5.1. Dimostriamo ora la proprietà
appena verificata.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
59
Matrice di maglia
Sufficienza: albero ⇒ colonne indipendenti.
Supponiamo ad esempio, che le prime n − 1 colonne corrispondano ad un
albero. At è la sottomatrice (n − 1) × (n − 1) corrispondente. Essa è, per la
definizione di albero, la matrice di incidenza ridotta di un sottografo
connesso, e dunque ha certamente rango pieno. Essendo una matrice
quadrata, se le righe sono indipendenti lo sono anche le colonne.
60
Complementi di topologia circuitale
Un modo sistematico di costruire una matrice di maglia ridotta è quello di
partire da un albero, costruendo le maglie fondamentali. La matrice ridotta B
che si costruisce prende il nome di matrice di maglia “fondamentale”.
Necessità: colonne indipendenti ⇒ albero.
Consideriamo una qualsiasi sottomatrice At di A quadrata a rango pieno
( n − 1 righe e colonne indipendenti). Essa può essere considerata come la
matrice di incidenza ridotta di un grafo connesso con n nodi ed n − 1 lati.
Ma in tali ipotesi il sottografo corrispondente è un albero per definizione.
Esempio: Matrice di maglia B relativa alla Figura 5.4.
Matrice di maglia
In maniera analoga alla matrice di incidenza, è possibile introdurre la
matrice di maglia Ba : considerato l’insieme di tutte le maglie (righe) e dei
lati (colonne) e fissato un orientamento per le maglie (per le tensioni sui lati
v j si sceglie la convenzione dell’utilizzatore in riferimento ai versi fissati per
le intensità di corrente), è possibile definire la matrice di maglia Ba = ⎡⎣bij ⎤⎦ in
modo analogo a quanto fatto per quella di incidenza:
⎧ 1 se il lato j appartiene alla maglia i ed è concorde
⎪
bij ⎨ − 1 se il lato j appartiene alla maglia i ed è discorde
⎪ 0 se il lato j non appartiene alla maglia i
⎩
(5.7)
La matrice di maglia Ba permette di scrivere in forma compatta le KCL:
Ba v = 0,
(5.8)
dove al solito con v indichiamo il vettore delle tensioni descrittive per il
circuito.
Anche per la matrice Ba le righe risulteranno in generale dipendenti,
dunque Ba non ha rango pieno. Se consideriamo un insieme di righe
indipendenti, esso costituisce una matrice di maglia di ridotta B . Ricordiamo
che il numero di equazioni indipendenti alle maglie (KVL) è b − (n − 1) .
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 5.4 Un esempio di grafo e di un sistema di maglie indipendenti (anelli)
maglia 1
maglia 2
I
-1
0
II III IV V
-1
1 0 0
0 −1 −1 0
lati I − II − III
lati III − IV
maglia 3 0 0
maglia 4 −1 −1
0
0
1
−1
1
0
lati IV − V
lati I − II − IV
maglia 5 −1 −1
maglia 6 0 0
0
−1
0
0
1
1
lati I − II − V
lati III − V
(5.9)
Se, in riferimento all’esempio precedente, consideriamo l’albero costituito dai
lati I e II, avremo la seguente matrice di maglia fondamentale:
⎛ I
⎜
⎜ -1
⎜ -1
⎜
⎝ -1
II III IV V ⎞
⎟
-1
1 0 0⎟
-1
0 −1 0 ⎟
⎟
-1
0
0 1⎠
⎛ −1 −1 1 0 0 ⎞
⎜
⎟
.. ⇒ ⎜ 1 1 0 1 0 ⎟
⎜ −1 −1 0 0 1⎟
⎝
⎠
(5.10)
(osserviamo che cambiare segno alla riga 2 equivale a scegliere un verso di
percorrenza opposto per la maglia). Si ha dunque (per come B è stata
costruita):
B = ⎡⎣ Bt I ⎤⎦
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(5.11)
61
Matrice di taglio
dove il pedice “t” sta per “tree” (albero) e I è la matrice identità di ordine
b − (n − 1) , cioè il numero dei lati del coalbero.
Val la pena osservare che le righe di B sono certamente indipendenti a
causa della presenza della sottomatrice I .
Matrice di taglio
Oltre alle matrici topologiche A e B che abbiamo trattato, è possibile
introdurre una matrice (che denoteremo con D ) per gli insiemi di taglio.
La matrice di taglio Da permette di scrivere in forma compatta le KCL:
Da i = 0,
62
Complementi di topologia circuitale
Per dimostrare le relazioni (5.15) basta considerare la (5.14) nella forma:
b
s = ∑ bik a jk ,
(5.16)
k =1
dove con i indichiamo l’indice di maglia, con j indichiamo l’indice di nodo,
con k quello di lato. È evidente che la somma (5.16) è composta da prodotti di
elementi che possono assumere valori 0, +1, -1. Considerato un lato m che
appartiene alla maglia i, ed incide nel nodo j, per la definizione stessa di
maglia deve anche esistere un altro lato, che denominiamo m+1, che
appartiene alla maglia ed incide nel nodo, come mostrato in Figura 5.5.
(5.12)
dove al solito con i indichiamo il vettore delle intensità di corrente
descrittive per il circuito. Per essa valgono considerazioni molto simili alle
altre due matrici topologiche. In particolare, considerata la matrice ridotta D
con le righe indipendenti è possibile dimostrare che essa può essere sempre
partizionata nel modo seguente:
D = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦
(5.13)
dove il pedice “c” sta per “cotree” (coalbero) e I è la matrice identità di
ordine n − 1 , cioè il numero dei lati dell’albero.
A proposito della matrice D val la pena osservare che, essendo i nodi casi
particolari degli insiemi di taglio, la matrice A può essere considerata un
caso particolare della matrice D .
Figura 5.5 Due generici lati m ed m+1 appartenenti alla maglia i ed incidenti
nodo j
Considerate tutte le possibili combinazioni per i versi di riferimento dei lati m
ed m+1 e quello scelto per la maglia i, si ha sempre:
bim a jm + bim +1a jm +1 = 0,
(5.17)
dunque la somma nella (5.16) è identicamente nulla, da cui le (5.15).
Relazioni tra le matrici topologiche
A questo punto ha senso porsi la questione: tenuto conto che le matrici
topologiche sono in realtà costruite a partire dalle stesse informazioni sul
grafo, esistono relazioni tra di esse? Ebbene la risposta è affermativa. In
particolare, considerate ad esempio le matrici Aa e Ba per un circuito,
avendo cura di utilizzare per entrambe lo stesso ordinamento per i lati
(colonne), possiamo dimostrare la seguente proprietà:
[ riga i di Ba ] × [ riga j di Aa ]
T
= 0,
(BAT = 0);
Aa BaT = 0 (ABT = 0).
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Ba DaT = 0
(BDT = 0),
Da BaT = 0
(DBT = 0),
(5.18)
(5.14)
Tale relazione, assieme alla (5.15) è importante al fine della costruzione
automatica delle matrici B e D a partire da quella A , che come abbiamo
già avuto modo di osservare risulta piuttosto semplice da costruire una volta
nota la tabella di interconnessione del circuito.
(5.15)
Vogliamo ora soffermarci sulle relazioni che possiamo stabilire fra le
grandezze descrittive (tensioni ed intensità di corrente) in relazione alla
struttura che abbiamo riconosciuto per le matrici topologiche. A tale scopo ha
senso partizionare i vettori v e i nel modo seguente:
e dunque, in generale, si ha:
Ba AaT = 0
In modo abbastanza analogo a quanto visto è possibile mostrare che:
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Relazioni tra le matrici topologiche
⎛v ⎞
⎛i ⎞
v = ⎜ t ⎟ , i = ⎜ t ⎟.
⎝ vc ⎠
⎝ ic ⎠
63
(5.19)
64
Complementi di topologia circuitale
⎡ BtT ⎤
AB = ⎡⎣ At Ac ⎤⎦ ⎢ ⎥ = At BtT + Ac = 0,
⎣ I ⎦
T
(5.26)
e dunque, tenuto conto anche della (5.26), si ha:
Consideramo la KVL:
⎛v ⎞
Bv = 0 → ⎡⎣ Bt I ⎤⎦ ⎜ t ⎟ = Bt v t + v c = 0
⎝ vc ⎠
Dc = − BtT = At−1 Ac ,
(5.20)
(5.27)
In definitiva, tenuto conto della struttura delle matrici B e D :
B = ⎡⎣ Bt I ⎤⎦ , D = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ ,
(5.28)
da cui si ricava:
v c = − Bt v t
possiamo ricostruire tali matrici in modo algebrico semplice a partire dalla
(5.21)
sola conoscenza della matrice A , una volta che sia partizionata in ⎡⎣ At Ac ⎤⎦ .
Analogamente, considerando la KCL:
⎛i ⎞
Di = 0 → ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ ⎜ t ⎟ = i t + Dc i c = 0
⎝ ic ⎠
Ricerca automatica di un albero ed albero ottimo
(5.22)
da cui si ricava:
i t = − Dc i c
Passiamo ora alle relazioni tra le matrici. Dalla relazione
possiamo ricavare:
(5.23)
DBT = 0
⎡ BtT ⎤
DB = ⎡⎣ I Dc ⎤⎦ ⎢ ⎥ = BtT + Dc = 0,
⎣ I ⎦
(5.24)
Dc = − BtT , Bt = − DcT .
(5.25)
T
da cui:
Dalla relazione ABT = 0 possiamo ricavare:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
L’utilizzo delle matrici topologiche nelle diverse formulazioni delle
equazioni circuitali è particolarmente importante per la simulazione numerica.
Vogliamo dare quindi dei cenni alla creazione delle matrici ed alla loro
manipolazione automatica.
La generazione della matrice A è molto semplice. Infatti, numerando
successivamente i lati ed i nodi del circuito, sarà sufficiente una tripla di
numeri i,j,k per descrivere se il lato k è connesso ed in che verso, ai nodi i e j.
Tale informazione può essere usata facilmente per la costruzione della
matrice A . Memorizzare però l’intera matrice A è estremamente inefficiente
a causa della “sparsità” della stessa (cioè, un gran numero di elementi di A è
pari a zero, e solo pochi sono diversi da zero).
Come vedremo meglio in seguito, molto spesso non è necessario
conoscere A ; ad esempio, nella formulazione delle equazioni circuitali
mediante la matrice delle conduttanze di nodo, si può partire dal prodotto
AGAT . In tal caso è molto più agevole memorizzare le predette informazioni
nella forma di una tabella di connessione (3 array).
Per generare B o D è invece, come abbiamo visto, necessario
identificare un albero. Inoltre la determinazione di un albero, magari con un
preassegnato ordine preferenziale di elementi, potrà essere utile per formulare
in modo più semplice le equazioni di un determinato circuito: si può parlare
in tal caso di albero ottimo. Ad esempio, come vedremo più avanti, per
scrivere in modo efficiente le equazioni di stato di un circuito è conveniente
disporre di un albero proprio, ovvero un albero che contenga tutti i generatori
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
65
Ricerca automatica di un albero ed albero ottimo
di tensione ed i condensatori e nessun generatore di corrente ed induttore.
Vogliamo dunque considerare, in generale, il problema:
-
66
Complementi di topologia circuitale
[2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
definire un ordine preferenziale di elementi per l’albero
trovare un albero con quell’ordine di elementi
Un modo possibile per trovare l’albero è il seguente: supponiamo di aver
costruito la matrice A , ed ordiniamo le colonne in base al criterio
preassegnato, per esempio:
E1 C1 C 2 R1 R 2 R3 L1 L 2 I1
A=
1 ⎡.....
2 ⎢⎢.....
⎢.....
⎢
⎢.....
n − 1 ⎢⎣.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....
.....⎤
.....⎥⎥
.....⎥
⎥
.....⎥
.....⎥⎦
Si tratta ora di scegliere le prime n-1 colonne indipendenti partendo da
sinistra. Sappiamo infatti che i lati corrispondenti costituiranno un albero.
Esistono degli algoritmi standard per ottenere ciò. In particolare, si tratta di
ridurre la matrice per operazioni di riga, nella forma cosiddetta di “Echelon”
⎡1
⎢0
⎢
⎢0
⎢
⎢0
⎢⎣ 0
. . .⎤
. . .⎥⎥
. . .⎥
⎥
0 0 0 1 1 . . .⎥
0 0 0 0 0 . . .⎥⎦
. . .
1 . .
0 1 0
.
.
.
.
.
.
Poiché le operazioni elementari di riga non alterano le proprietà di
indipendenza della matrice, è immediato riconoscere che le prime n − 1
colonne indipendenti della matrice A risultano quelle che, sulla
corrispondente matrice in forma di Echelon presentano un “1” sopra la
“gradinata” di zeri.
Riferimenti bibliografici:
[1] L.O. CHUA, P.M. LIN, Computer aided analysis of electronic circuits:
algorithms & computational techniques, Prentice Hall, 1975, ISBN 013-165415-2.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
68
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
dove vij rappresenta la tensione tra il nodo i e quello j (il verso di riferimento
6. Formulazioni alternative delle
equazioni circuitali
Le equazioni circuitali possono essere poste in diverse forme, in linea di
principio equivalenti tra loro, ma come vedremo con differenze strutturali che
assumono particolare rilevanza nella manipolazione numerica delle stesse.
Abbiamo sin qui considerato la forma più classica in cui porre le equazioni
circuitali, detta anche forma “canonica”:
( n − 1)⎫⎪
⎬
Bv = 0; b - ( n − 1) ⎪⎭
ℑ ( v, i, q, φ, t ) = 0.
Ai = 0;
equazioni di interconnessione
(6.1)
Osserviamo che, per quanto visto finora, la scelta in tal caso non è unica.
Ciò è conseguenza della non unicità delle matrici ridotte A e B. In particolare
sappiamo che, anche avendo fissato la matrice A (cioè eliminando una riga a
piacere dalla matrice Aa ) la matrice B dipende da quale sistema di maglie
indipendenti stiamo considerando. Ad esempio se si considera una matrice di
maglia fondamentale Bf essa viene a dipendere dalla scelta dell’albero.
Vogliamo ora mostrare, anche sulla base della conoscenza delle proprietà
delle matrici topologiche, altre possibili formulazioni delle equazioni
circuitali, provandone a mettere in evidenza le differenze relative.
Potenziali di nodo e matrice di incidenza
La prima delle formulazioni alternative a quella canonica e sicuramente tra
le più importanti è quella basata sull’utilizzo dei potenziali di nodo come
variabili ausiliarie per la scrittura delle equazioni. Essa si basa
sull’introduzione di n variabili ausiliarie uk (k =1, ..n, dunque in numero pari
ai nodi del circuito) dette “potenziali di nodo”, e definite tramite relazioni del
tipo:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 6.1 Un generico lato che incide due nodi, per i quali sono definiti i relativi
potenziali
Sulla base di tali relazioni definitorie è facile mostrare che:
1. la legge di Kirchhoff per qualsiasi maglia risulta automaticamente
verificata se espressa in termini dei potenziali
2. la relazione tra tensioni e potenziali è esprimibile attraverso la matrice
di incidenza come:
v = AaT u a , ovvero v = AT u ,
caratteristiche degli elementi
vij = ui − u j
è quello che va da i a j ovvero con il contrassegno + su i, come indicato in
Figura 6.1).
(6.3)
avendo rispettivamente indicato con u a ed u , rispettivamente, i vettori
dei potenziali di nodo e quello ridotto (di uno) in corrispondenza con la
riduzione della matrice Aa .
E’ da osservare che la riduzione del numero di potenziali da n ad n-1
corrisponde al fatto che essendo le tensioni definite per differenza, l’insieme
dei potenziali è noto a meno di un valore costante. Si può fissare ad arbitrio
dunque il valore di uno dei potenziali, scalando tutti gli altri di un termine
corrispondente. A ciò corrisponde la circostanza algebrica che mentre la
matrice Aa non ha rango pieno la matrice A ha rango pieno.
Mediante i potenziali di nodo è possibile dunque formulare le equazioni
circuitali senza passare per le maglie, e dunque per l’identificazione di un
albero per costruire la matrice B (forma “Tableau”):
Ai = 0
n −1
v=A u
b
ℑ ( v, i , t ) = 0
b
T
2b + (n − 1)
(6.2)
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(6.4)
Potenziali di nodo e matrice di incidenza
69
Facciamo anzitutto un esempio; consideriamo il circuito di Figura 6.2. Ad
esso corrisponde la seguente matrice di incidenza:
I II III IV
⎛ 1 1 0 0⎞ 1
⎜
⎟
Aa = ⎜ 0 −1 1 1⎟ 2
⎜ −1 0 −1 −1⎟ 3
⎝
⎠
(6.5)
Figura 6.2 Un semplice circuito ed il relativo grafo orientato
Per il circuito in esame dunque, in base alla (6.2), si avranno le seguenti
relazioni (tra tensioni e potenziali dei nodi):
v1 = u1 − u3
v2 = u1 − u2 .
v3 = u2 − u3
v4 = u2 − u3
(6.6)
Pertanto, in forma matriciale avremo:
⎛ v1 ⎞ ⎛ 1 0 −1⎞
⎜ ⎟ ⎜
⎟ ⎛ u1 ⎞
v
1
−
1
0
2
⎜ ⎟=⎜
⎟ .⎜ u ⎟
⎜ v3 ⎟ ⎜ 0 1 −1⎟ ⎜⎜ 2 ⎟⎟
⎜ ⎟ ⎜
⎟ ⎝ u3 ⎠
⎝ v4 ⎠ ⎝ 0 1 −1⎠
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(6.7)
70
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Come si vede, la matrice è proprio AaT .
Vediamo ora se possiamo costruire un set di equazioni in cui le incognite
siano solo i potenziali dei nodi (metodo dei potenziali di nodo). Scriviamo
anzitutto le equazioni di Tableau del circuito:
⎧i1 + i2 = 0
Ai = 0 → ⎨
⎩−i2 + i3 + i4 = 0
(6.8)
⎧v1 = u1
⎪v = u − u
⎪ 2
1
2
v = AT u → ⎨
=
v
u
2
⎪ 3
⎪⎩v4 = u2
(6.9)
⎧v1 = e(t )
⎪v = Ri
2
⎪⎪ 2
ℑ( v, i, t ) = 0 → ⎨i3 = g (v3 )
⎪
⎪i = C dv4
⎪⎩ 4
dt
(6.10)
Ricavando (dove possibile) le intensità di corrente in funzione delle
tensioni dalle (6.10) e sostituendo le espressioni di queste ultime in funzione
dei potenziali di nodo otteniamo il sistema:
u1 − u2
⎧
⎪i1 + R = 0
⎪
d
⎪ u1 − u2
+ g (u2 ) + C u2 = 0
⎨
dt
⎪ R
⎪u1 = e(t )
⎪
⎩
(6.11)
Esso è costituito da un’equazione in u1 , u2 , ma che contiene anche i1 , ed
infine l’equazione caratteristica del generatore di tensione. Ciò accade perché
sul lato I vi è un bipolo che non è controllato in tensione (un altro frequente
esempio di bipolo non controllato in tensione è l’induttore).
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
71
Potenziali di nodo e matrice di incidenza
In generale (metodo dei potenziali di nodo “modificato”) ci ridurremo ad
un sistema di (n-1) + h equazioni (ed incognite), dove h è proprio il numero di
bipoli non controllati in tensione.
Matrice delle conduttanze ai nodi
Per mostrare una applicazione del metodo dei potenziali di nodo e la
procedura di riduzione delle equazioni di tableau, consideriamo dapprima il
circuito di resistori lineari e di generatori indipendenti di corrente
rappresentato in Figura 6.3.
J7
u1
u2
R2
R1
J6
u3
R4
R3
J8
R5
Esso consta di 4 nodi e 8 lati. Abbiamo scelto di considerare il nodo 0 come
riferimento dei potenziali ( u0 = 0 ) . In riferimento ai versi adottati per le
correnti nei resistori, le KCL ai nodi 1, 2, 3 saranno:
−i1 + i2 = J 6 + J 7
(6.12)
Ogni corrente incognita del precedente sistema può essere espressa in
funzione della tensione (e quindi in funzione dei soli potenziali di nodo)
mediante la caratteristica dei resistori, ottenendo:
In tal modo, le KCL ai nodi divengono:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
−
u1 − u2 u2 u2 − u3
+
+
= − J7
R2
R3
R4
−
u2 − u3 u3
+
= − J8
R4
R5
(6.14)
Esso è un sistema di tre equazioni in tre incognite (i potenziali dei nodi
u1 , u2 , u3 ) che potrà essere risolto nel modo più opportuno. Una volta ricavati i
valori dei potenziali dei nodi, le tensioni dei diversi bipoli potranno essere
tutte espresse attraverso le relazioni con questi ultimi. Se fissiamo, ad
esempio, la convenzione dell’utilizzatore per definire le tensioni di tutti i
bipoli del circuito, avremo le relazioni:
v3 = −u2
v4 = u2 − u3
v5 = u3
(6.15)
v6 = −u1
v7 = −u1 + u2
v8 = u3
−i2 − i3 + i4 = − J 7
u − u3
u
u −u
−u1
−u
, i2 = 1 2 , i3 = 2 , i4 = 2
, i5 = 3 .
R1
R2
R3
R4
R5
u1 u1 − u2
+
= J6 + J7
R1
R2
v2 = u1 − u2
Figura 6.3 Un esempio di circuito di soli resistori e generatori di corrente (il nodo
0 è assunto come riferimento dei potenziali)
i1 =
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
v1 = −u1
u0=0
−i4 + i5 = − J 8
72
(6.13)
In riferimento all’esempio appena considerato vogliamo ora mostrare
un’importante proprietà strutturale delle equazioni per i potenziali nodali.
Difatti se riordiniamo le equazioni precedentemente scritte, mettendo in
evidenza a primo membro i termini che moltiplicano i potenziali incogniti, il
sistema assume la forma:
⎛ 1
⎞
1
1
−
0 ⎟
⎜ +
R2
⎜ R1 R2
⎟⎛ u ⎞ ⎛ J + J ⎞
1
6
7
⎜
1
1
1
1
1 ⎟⎜ ⎟ ⎜
⎟
−
+
+
−
u
=
−
J
(6.16)
⎜
⎟⎜ 2 ⎟ ⎜
7
⎟
R
R
R
R
R
2
2
3
4
4
⎜
⎟⎜ u ⎟ ⎜ −J ⎟
8
⎝ 3⎠ ⎝
⎠
⎜
1
1
1 ⎟
−
+ ⎟⎟
⎜⎜ 0
R4
R4 R5 ⎠
⎝
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
73
Potenziali di nodo e matrice di incidenza
ovvero Gu = J , dove G viene definita matrice delle conduttanze ai nodi, u è
il vettore dei potenziali di nodo, J quello dei termini noti. Osserviamo subito
che la costruzione del sistema nella forma appena considerata può essere
realizzata per ispezione diretta del circuito. Difatti, per quanto riguarda la
matrice G delle conduttanze ai nodi essa ha la seguente struttura: i termini
della diagonale principale Gii contengono la somma delle conduttanze che
incidono nel nodo i-esimo del circuito; quelli fuori diagonale Gi , j , i ≠ j sono
l’opposto delle conduttanze esistenti tra il nodo i-esimo e j-esimo. Il vettore
dei termini noti è costituito, per ciascuna riga i, dalla somma delle correnti
note (dei generatori) entranti nel nodo i-esimo. Questa regolarità nella
struttura delle matrici consente agevolmente di costruire il sistema da
risolvere, come anticipato prima, per ispezione diretta del circuito. Ciò è alla
base di molti algoritmi numerici per la simulazione circuitale.
È possibile verificare direttamente che la matrice delle conduttanze ai nodi
G può essere ottenuta in modo algebrico a con nel modo seguente. Si
definisce anzitutto un vettore di conduttanze Y con la regola:
⎧1
⎪
Yi = ⎨ Ri
⎪0
⎩
74
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
ed è facile mostrare che tramite la (6.17) otteniamo la matrice delle
conduttanze ai nodi precedentemente ricavata.
Potenziali di nodo modificato: forma matriciale
Consideriamo ora un circuito nel quale siano presenti generatori di tensione
oltre che di corrente, come ad esempio quello rappresentato in Figura 6.4.
Vogliamo ad esso applicare il metodo dei potenziali di nodo “modificato”.
Nel circuito si individuano n = 3 nodi, dunque avremo n − 1 = 2 equazioni
indipendenti per le intensità di corrente ed altrettanti potenziali incogniti
u1 , u2 , avendo assunto u3 = 0 .
se sul lato i c'è un resistore,
se sul lato i c'è un generatore di corrente.
In tal caso è immediato verificare che:
Figura 6.4 Un esempio di circuito con generatori di tensione e corrente
G = Adiag(Y ) AT ,
(6.17)
dove con diag( Y) si è indicata la matrice diagonale con gli elementi di Y
sulla diagonale principale. Ad esempio, nel caso del circuito già esaminato in
Figura 6.3, abbiamo:
Y = (1 R1 ,1 R2 ,1 R3 ,1 R4 ,1 R5 ,0,0,0)T ,
I II III IV V VI VII VIII
⎛ −1 1 0 0 0 −1 −1 0 ⎞
⎜
⎟
0 −1 −1 1 0 0 1 0 ⎟
Aa = ⎜
⎜ 0 0 0 −1 −1 0 0 1 ⎟
⎜
⎟
⎝ 1 0 1 0 1 1 0 −1⎠
1
2
3
4
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Le KCL ai nodi 1 e 2 sono:
i1 + i4 = 0
−i1 + i2 + i3 = J
(6.18)
Come possiamo notare non tutte le correnti possono essere espresse in
funzione della tensione, cioè non tutti i bipoli sono caratterizzabili in
tensione, (per questo stiamo parlando di metodo dei potenziali di nodo
modificato). In particolare l’intensità di corrente i4 del generatore di tensione
E non è direttamente esprimibile in funzione dei potenziali di nodo e
rappresenta una ulteriore incognita del sistema (6.18), cui va aggiunta dunque
l’ulteriore equazione.
u1 = E
(6.19)
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Potenziali di nodo e matrice di incidenza
75
Abbiamo dunque ottenuto un sistema in 3 equazioni ed altrettante incognite
x = (u1 , u2 , i4 )T :
⎧ u1 − u2
⎪ R + i4 = 0,
1
⎪
⎪ −u1 + u2 u2 u2
+
+
=J,
⎨
R2 R3
⎪ R1
⎪u = E .
⎪ 1
⎩
⎞
1⎟
⎟⎛ u ⎞ ⎛ 0 ⎞
⎟⎜ 1 ⎟ ⎜ ⎟
⎛ 1
1
1 ⎞
+
+
0
⎟ ⎜ u2 ⎟ = ⎜ J ⎟ .
⎜
⎟
⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟
⎝ R1 R3 R3 ⎠
⎝ i4 ⎠ ⎝ E ⎠
0
0 ⎟⎟
⎟
⎠
−
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
della matrice d’incidenza A relativa ai lati con un generatore di tensione e
AET la sua trasposta. Ricordiamo che la matrice G ha dimensione
(n − 1) × (n − 1) mentre AE ha dimensione (n − 1) × nE ( AET ha dimensione
nE × (n − 1) ) con nE numero dei generatori di tensione. Si noti la presenza
della matrice nulla di dimensione nE × nE . Il vettore dei termini noti sarà dato
(6.20)
da (J , E)T .
Correnti di maglia e matrice di maglia
Accanto alla formulazione con i potenziali di nodo, sappiamo esistere una
formulazione assolutamente speculare che è quella fondata sulle cosiddette
correnti di maglia. Nel riprenderla faremo nuovamente riferimento al circuito
di Figura 6.2, avendone scelto un certo albero (quello formato dai lati II e III),
come riportato in Figura 6.5.
In relazione alla scelta fatta per l’albero abbiamo che il vettore delle
T
correnti di coalbero risulta in questo caso i c = ( i1 , i4 ) .
Esso può essere riscritto in forma matriciale:
⎛ 1
⎜ R
⎜ 1
⎜ 1
⎜−
⎜ R1
⎜ 1
⎜
⎜
⎝
76
1
R1
(6.21)
Riconosciamo nella matrice a primo membro la sottomatrice 2 × 2 data dalla
matrice delle conduttanze ai nodi G. Inoltre il vettore dei termini noti
(0, J , E )T è costituito dal sottovettore (0, J )T delle correnti impresse ai nodi e
dal sottovettore delle tensioni ( E )T dei generatori di tensione presenti nel
circuito.
È possibile a questo punto generalizzare i risultati di quanto visto con
l’esempio. Nel caso in cui ci siano elementi non controllati in tensione il
metodo dei potenziali di nodo viene modificato nel seguente modo: la matrice
che moltiplica il vettore delle incognite deve essere una matrice a blocchi
come schematizzato di seguito:
⎛G
⎜ T
⎝ AE
AE ⎞
⎟,
0 ⎠
(6.22)
dove la sottomatrice G risulta essere proprio la matrice delle conduttanze ai
nodi precedentemente definita, la sottomatrice AE risulta essere il sottoblocco
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Figura 6.5 Grafo del circuito di Figura 6.2 con indicazione di un albero e delle
correnti di maglia.
Considerando ora le maglie fondamentali in relazione all’albero scelto ed
indicate in figura, le relative correnti di maglia coincidono con quelle di
coalbero a patto di scegliere il verso di percorrenza delle maglie in accordo
con l’orientazione dei relativi lati di coalbero. Sulla base di tale scelta,
evidenziata in Figura 6.5, possiamo scrivere nel modo seguente il legame tra
le correnti di maglia (o di coalbero) e tutte le correnti del circuito:
i1 =
i1
i2 =
−i1
i3 = −i1 + i4
i4 =
i4
⎛1
⎜
−1
i =⎜
⎜ −1
⎜
⎝0
0⎞
⎟
0⎟
ic
1⎟
⎟
1⎠
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(6.23)
Una rivisitazione del teorema di Tellegen
77
Osserviamo ora (in analogia con quanto visto precedentemente per i
potenziali di nodo, che la matrice di maglia (fondamentale) relativa all’albero
scelto è:
78
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
uno stesso grafo con b lati, fissata una stessa convenzione su tutti i lati, si ha
sempre:
b
⎛ 1 −1 −1 0 ⎞
B=⎜
⎟,
⎝0 0 1 1⎠
∑v i
(6.24)
dunque si riconosce immediatamente che
i = BT i c .
(6.25)
Procedendo in maniera analoga si può giungere ad un analogo risultato per
quanto riguarda la matrice di taglio fondamentale relativa all’albero scelto:
v = DT v t ,
(6.26)
dove ora v è il vettore delle tensioni dei lati, e v t quello dei soli lati
dell’albero.
Sulla base di quanto visto possiamo affermare che le equazioni di
interconnessione per un circuito possono essere poste nelle tre forme
equivalenti (forma “Tableau”):
Ai = 0,
Bv = 0,
Di = 0,
v = A u;
i = B ic ;
v = DT v t .
T
T
(6.27)
k =1
k k
= 0 , ovvero vT i = 0.
Il teorema, nel caso particolare che v′ = v ed i′′ = i si riduce alla
conservazione delle potenze elettriche in un circuito. Dunque esso sancisce
una proprietà piuttosto generale per un circuito, che risulta basata sul solo
fatto che le tensioni descrittive e le intensità di corrente descrittive debbano
verificare i vincoli imposti dalle LK per un assegnato grafo.
Una possibile dimostrazione del teorema di Tellegen (piuttosto usata) è
basata sull’utilizzo della matrice di incidenza A e sul legame con i potenziali
di nodo. Basandosi sulle proprietà di trasposizione del prodotto di matrici, si
ha infatti:
vT i = ( AT u ) i = uT ( Ai ) = 0 .
T
DBT = 0 ⇒ vTt D BT i c = 0 .
NN
v
Una rivisitazione del teorema di Tellegen
(6.29)
È possibile dimostrare il teorema di Tellegen anche a partire dalla
relazione DBT = 0 , utilizzando le espressioni di i c e v t date dalle (6.25) e
(6.26). Si ha infatti:
T
Val la pena osservare che se per il circuito si utilizza in albero a stella con
nodo comune il riferimento per i potenziali (è possibile sempre considerare un
tale albero a patto di aggiungere eventuali circuiti aperti tra i nodi non
direttamente collegati nel circuito), allora si ha che v t ≡ u ed i nodi 1 … n-1
coincidono con i tagli fondamentali: in tal caso la terza forma e la prima delle
equazioni Tableau coincidono.
(6.28)
(6.30)
i
Equazioni circuitali nella forma di stato
Dopo aver esaminato le formulazioni alternative delle equazioni circuitali
basate sulle diverse matrici topologiche vogliamo ora considerare la
formulazione tramite le equazioni di stato. Ricordiamo anzitutto che in
matematica la forma normale per un problema dinamico di valore iniziale è
data da:
x = f ( x, t ) ,
Sulla base delle relazioni trovate possiamo qui dare una nuova
dimostrazione del teorema di Tellegen:
Come ricordiamo il teorema di Tellegen, o della conservazione della
potenza virtuale pˆ k = vk′ ik′′ afferma che, per un qualsiasi sistema di tensioni v′
ed intensità di corrente i′′ che verificano le leggi di Kirchhoff associate ad
Il problema espresso dalla (6.31) è noto come problema di Cauchy e su tale
forma sono espressi i principali teoremi, in particolare a riguardo
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
x(t0 ) = X0 .
(6.31)
Equazioni circuitali nella forma di stato
79
dell’esistenza e dell’unicità della soluzione. È importante osservare che se per
il caso dei circuiti lineari la possibile cattiva posizione del problema è
essenzialmente dovuta ad incongruenze di tipo “topologico” e viene
generalmente considerata come un fatto “patologico”, nel caso non lineare il
problema dell’esistenza e dell’unicità risulta centrale ai fini della valutazione
del modello che si sta considerando.
Nel caso di un circuito il vettore x rappresenta un opportuno sottoinsieme
delle variabili descrittive, che naturalmente deve permettere sempre di
ricostruire le altre variabili in modo univoco. Le equazioni (6.31) sono dette
equazioni di stato, e corrispondentemente le variabili x variabili di stato in
presenza delle seguenti condizioni:
a. il legame tra le variabili di stato e le altre è univoco ed esprimibile da
relazioni di tipo algebrico;
b. tutte le variabili di stato risultano continue nella sola ipotesi che i
forzamenti del sistema si mantengano limitati;
c. le variabili di stato risultano legate biunivocamente all’energia
immagazzinata dal sistema; di conseguenza le condizioni iniziali in un
qualsiasi istante t0 sono esprimibili dalle variabili di stato in modo
univoco.
È possibile che la scelta delle variabili di stato non sia univoca, nel senso
che esistono più insiemi di variabili che verificano le condizioni richieste e
permettono la scrittura delle equazioni nella forma canonica (6.31). In ogni
caso il numero di variabili di stato coincide (di norma) con il numero di
elementi dinamici, e più in generale con il numero di equazioni differenziali
(indipendenti) presenti nella forma canonica.
Nel caso dei circuiti lineari si scelgono tradizionalmente come variabili di
stato le tensioni dei condensatori vC e le intensità di corrende degli induttori iL
ed è facile mostrare che, salvo appunto casi patologici, è possibile mettere le
equazioni nella forma normale e verificare le proprietà a), b), c). Vogliamo
ora analizzare il problema in generale per circuiti eventualmente non lineari.
In particolare vogliamo trovare le condizioni sufficienti perché le equazioni
del circuito ammettano la forma di stato.
Esempio da sviluppare
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
80
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Interpretazione geometrica della forma canonica e spazio delle
configurazioni
Al fine di studiare in generale il passaggio dalla forma canonica a quella di
stato ha senso introdurre una interpretazione geometrica delle equazioni
circuitali. Riscriviamo anzitutto le equazioni in forma canonica nel caso
generale:
Ai = 0 ⎫
⎬ → leggi di Kirchhoff
Bv = 0 ⎭
f R ( v R ,i R ) = 0
→ resistori
f S ( v S ,i S , t ) = 0
→ generatori
f P ( v P ,i P ) = 0
→ multi-porta
fC ( v C ,q ) = 0
→ condensatori
f L ( i L ,ϕ ) = 0
→ induttori
(6.32)
dq ⎫
dt ⎪⎪
⎬ → equazioni "dinamiche"
dϕ ⎪
vL =
dt ⎪⎭
iC =
dove abbiamo considerato i soli generatori come elementi eventualmente
tempo varianti. In riferimento al sistema (6.32) consideriamo che vi siano NC
condensatori, NL induttori, NS generatori tempo varianti (s=”sources”), NR
resistori (lineari e non lineari) NP doppi bipoli (p=”ports”). Il grafo
corrispondente al sistema è formato da un numero di lati
b = N R + N S + N C + N L + 2 N P . Corrispondentemente, il numero di equazioni
(e di incognite) è pari a 2b + N C + N L di cui 2b sono algebriche ed N C + N L
differenziali.
Il sistema (6.32) può essere espresso in forma più sintetica come:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Equazioni circuitali nella forma di stato
82
81
F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0,
dq
,
dt
dϕ
.
vL =
dt
iC =
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Osserviamo
che
la
generica
soluzione
del
circuito
ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) altro non è che una curva (con il tempo t come
T
(6.33)
Una qualsiasi soluzione delle equazioni (6.32) (una volta assegnata la
condizione iniziale) è esprimibile nella forma ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) ,
T
parametro) nello spazio delle configurazioni. Possiamo darne un’immagine
grafica con analogia meccanica al moto di un punto materiale su di una
superficie come mostrato in Figura 6.11. In tal caso, lo spazio delle
configurazioni rappresenta il vincolo sul quale si muovono le soluzioni. In
sostanza, le soluzioni possono essere diverse in relazione alle diverse
condizioni iniziali, ma devono soddisfare istante per istante la parte algebrica
che rappresenta, appunto, il nostro vincolo.
ed appartiene allo spazio \ 2b + NC + N L .
Osserviamo subito che le variabili q,ϕ risultano i “candidati naturali” per
esprimere le equazioni nelle forma di stato. Infatti se riusciamo a risolvere la
parte algebrica delle (6.33) in funzione di esse otteniamo:
dq
= q ,
dt
dϕ
v L = f 2 ( q, ϕ , t ) =
=ϕ ,
dt
i C = f1 ( q,ϕ , t ) =
(6.34)
che è la forma di stato desiderata.
Se consideriamo il sistema (algebrico) ottenuto da (6.32) escludendo le
N C + N L equazioni differenziali (ovvero la F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0 nella (6.33)),
abbiamo un sistema di 2b equazioni in 2b + NC + N L incognite. Quindi, in
generale le soluzioni di questo sistema sono da ricercarsi nello spazio
\ 2b + NC + N L e, di norma (perché ci possono essere dei casi particolari)
costituiranno un sottospazio di dimensione N C + N L . Difatti, perché questa
condizione sia verificata, deve accadere che le equazioni siano tutte
compatibili tra di loro ed indipendenti. Se vi sono equazioni in contraddizione
si abbassa la dimensione della soluzione. Se vi sono invece equazioni che
sono dipendenti, aumenta la sua dimensione.
Possiamo ora dare le seguenti definizioni:
- si definisce punto di lavoro del circuito un qualsiasi insieme di
tensioni, correnti, flussi e cariche che sia soluzione della parte
algebrica del sistema.
Figura 6.6. Rappresentazione grafica di una soluzione (traiettoria) poggiata
(vincolata) allo spazio delle configurazioni
Nelle equazioni scritte prima, i soli componenti tempo varianti si
suppongono essere i generatori indipendenti. Per tenere conto di questa
variazione temporale, si può pensare che la superficie si muova nel tempo,
dovendo comunque la soluzione rimanere vincolata alla superficie, questa
volta in moto. In talune circostanze è conveniente disfarsi di questa
dipendenza dal tempo per poter utilizzare alcuni risultati. Questo lo si fa
introducendo una nuova definizione:
-
si definisce spazio delle configurazioni generalizzato lo spazio delle
configurazioni quando siano rimossi i vincoli (le equazioni)
corrispondenti alle caratteristiche dei generatori indipendenti variabili
nel tempo.
- si definisce spazio delle configurazioni del circuito l’insieme di tutti i
punti di lavoro
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
83
Equazioni circuitali nella forma di stato
In tal caso il sottospazio corrispondente, sempre definito in \ 2b + NC + N L ,
avrà dimensione N C + N L + N S
Val la pena infine di introdurre un’ulteriore definizione:
84
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
circuito a-dinamico N C + N L = 0 , dunque esso si dirà ben posto se
ammette ∞ 0 = 1 soluzione.
- si definisce un punto di lavoro in continua un punto di lavoro per cui si
abbia i C = v L = 0 e siano spenti tutti i generatori di tensione e di
corrente tempo-varianti.
Condizioni di esistenza delle equazioni di stato
Sulla base dei concetti introdotti proviamo a rispondere alle due questioni
fondamentali circa l’esistenza della forma di stato che sono:
Esempio: spazio delle configurazioni per un circuito a-dinamico lineare
In un circuito lineare tali sono tutte le equazioni nel sistema (6.32). Di
conseguenza lo spazio delle configurazioni sarà certamente un (iper)piano.
Ha senso chiedersi: la dimensione di tale piano sarà sempre pari a N C + N L ?
Ebbene, anche in un caso così semplice, la risposta a tale quesito non è
sempre positiva, come vediamo subito con il seguente esempio. Consideriamo
dunque il circuito in Figura 6.7, che rappresenta un classico caso limite.
Nell’esempio che stiamo considerando è immediato constatare che
NC + N L = 0 .
1. le funzioni f1 ed f2 nella (6.34) esistono sempre?
2. le soluzioni del sistema (6.34) sono sempre soluzioni del sistema di
partenza (6.33)?
Solo per semplificare la trattazione considereremo il caso di tutti generatori
tempo invarianti, senza peraltro che ciò infici le conclusioni cui perverremo.
Possiamo dire che le equazioni (6.34) sono le equazioni di stato per il circuito
descritto dalla forma canonica (6.32) se accade contemporaneamente che:
a. se ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) è una soluzione del circuito allora
T
q ( t ) ,ϕ ( t ) sono soluzione delle (6.34);
v1
+
-
v2
+
-
Figura 6.7. Un banale circuito degenere
Potremmo allora aspettarci che la dimensionalità sia ∞ 0 = 1 , cioè il
sistema abbia una soluzione. Invece, come sappiamo per il circuito in esame
sono possibili due situazioni:
v1 ≠ v2 ⇒ il circuito non ammette soluzione.
v1 = v2 ⇒ il circuito ammette infinite soluzioni
A valle dell’esempio fatto, ha senso dare la seguente definizione:
- un circuito si dice ben posto se il suo spazio delle configurazioni ha
dimensione proprio pari a N C + N L . In particolare, siccome in un
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
b. se q ( t ) ,ϕ ( t ) sono soluzione delle (6.34) allora esiste una sola
ξ ( t ) = ( v ( t ) , i ( t ) , q ( t ) ,ϕ ( t ) ) soluzione del circuito.
T
Dal punto di vista geometrico le due condizioni citate equivalgono al fatto
che ci sia una proiettabilità biunivoca tra lo spazio delle variabili di stato
q ( t ) ,ϕ ( t ) e lo spazio di tutte le altre variabili. Tale circostanza va verificata
nello spazio delle configurazioni generalizzato, come schematicamente
indicato in Figura 6.8.
In uno spazio (virtualmente) a tre dimensioni v ed i rappresentano le
tensioni e le intensità di corrente (tranne quelle dei generatori) e la superficie
definisce lo spazio delle configurazioni generalizzato. Quello che succede
nell’esempio considerato è che per un certo valore assegnato dei generatori, e
per un certo valore assegnato da q ( t ) ,ϕ ( t ) , si hanno due valori possibili per
le tensioni e le correnti (in questo esempio, ma potrebbero essere anche di più
in generale). Questo significa che siamo in una situazione in cui non esistono
le equazioni di stato globali.
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Equazioni circuitali nella forma di stato
85
86
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
In altre parole se accade che:
“tutti i condensatori risultano controllati in carica, tutti gli induttori
controllati in flusso, ed il circuito resistivo associato al circuito
dinamico di partenza risulta ben posto per qualsiasi scelta delle
variabili v C , i L , allora esiste certamente la forma di stato (6.34)”.
Circuito resistivo associato
Consideriamo il circuito in Figura 6.9 (si tratta di un semplice circuito del
primo ordine non lineare). Consideriamo separatamente la parte a-dinamica
del circuito (nel riquadro tratteggiato in figura), da quella dinamica. Se siamo
in grado di ottenere la caratteristica del bipolo nel riquadro tratteggiato nella
forma controllata in tensione, iC = f ( vC , t ) tenuto conto della caratteristica
del condensatore abbiamo immediatamente:
C
Figura 6.8 spazio delle configurazioni generalizzato non parametrizzabile
(globalmente) rispetto a q,φ.
È possibile a questo punto dare le condizioni (necessarie e sufficienti)
affinché, come si dice, la parametrizzazione dello spazio delle configurazione
rispetto alle variabili q ( t ) ,ϕ ( t ) risulti globale. In particolare, considerata la
funzione F ( v, i, q,ϕ , t ) = 0 definita nelle (6.33) e scomposta come:
dvC
= f ( vC , t )
dt
(6.37)
Nel caso in esame è praticamente immediato ricavare la caratterizzazione
in tensione del bipolo a-dinamico nel riquadro:
iC = iR − i =
vg ( t ) − vC
R
− g ( vC ) = f ( vC , t )
(6.38)
FC ( v C , q ) = 0,
FL ( i L ,ϕ ) = 0,
(6.35)
FRP ( v R , i R ) = 0,
dove la FRP include tutte le relazioni algebriche degli elementi a-dinamici
oltre alle leggi di Kirkhhoff, è possibile affermare che:
vC = ψ 1 ( q )
q,ϕ parametri globali ⇔ i L = ψ 2 (ϕ )
⎛ v⎞
⎜ ⎟ = ψ 2 ( vC , i L )
⎝i⎠
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Figura 6.9. Un semplice circuito dinamico del primo ordine
(6.36)
Osserviamo subito che la caratteristica iC = f ( vC , t ) che abbiamo trovato
è, in linea di principio, la soluzione del seguente circuito “resistivo”:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Equazioni circuitali nella forma di stato
87
88
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Consideriamo in generale un circuito con N C condensatori ed N L
induttori (per il momento li supponiamo tutti lineari); in tal caso la forma
delle equazioni di stato sarà:
x = f ( x, t ) ,
(6.39)
(
)
dove il vettore x è definito da x = v1 ....vNC , i1....iN L .
Figura 6.10. Il circuito resistivo associato al circuito dinamico precedente
In altri termini, nel risolvere il circuito, abbiamo di fatto sostituito
all’elemento dinamico un generatore di tensione, e su questa base abbiamo
caratterizzato il bipolo a-dinamico cui risultava connesso.
In generale, preso un circuito dinamico con induttori e condensatori, il
circuito in cui ai condensatori sostituiamo i generatori di tensione ed agli
induttori quelli di corrente viene detto circuito resistivo associato a quello di
partenza. Tale concetto è importantissimo dal punto di vista pratico per
scrivere le equazioni, e dal punto di vista teorico perché le proprietà della
soluzione, una volta formulate le equazioni di stato, verranno a dipendere
dalla funzione f ( x, t ) , dunque in definitiva dalla sola parte a-dinamica del
circuito.
Se ad esempio considerassimo un circuito con una capacità ed
un’induttanza, il procedimento considerato ci porta a caratterizzare questa
volta un doppio bipolo resistivo, come mostrato nella Figura 6.11.
Analogamente a quanto visto prima possiamo considerare il circuito
resistivo associato come in Figura 6.12.
+
-
(NC+NL)-porte
adinamico
(NC+NL)-porte
adinamico
+
-
Circuito di partenza
Circuito resistivo
“associato”
Figura 6.12. Generalizzazione ad un circuito dinamico di ordine qualsiasi del
concetto di circuito resistivo associato
Facciamo ora un passo indietro, partendo dalla forma “canonica” delle
equazioni:
Ai = 0 ⎫
⎬ equazioni di interconnessione
Bv = 0 ⎭
(6.40)
f ( v,i, t ) = 0 caratteristiche a-dinamiche
dv C ⎫
dt ⎪⎪
⎬ caratteristiche dinamiche
di L ⎪
vL = L
dt ⎪⎭
dove A e B sono una matrice di incidenza di nodo (ridotta) ed una di maglia
(fondamentale), e C ed L sono le matrici:
iC = C
Figura 6.11. Un circuito del secondo ordine visto come un doppio bipolo adinamico collegato ai due elementi dinamici; il corrispondente circuito
resistivo associato
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89
Equazioni circuitali nella forma di stato
⎛ C1 0
⎜
0 C2
C =⎜
⎜0
.
⎜
⎝0 0
.
.
.
.
.
.
.
.
. 0 ⎞
⎛ L1
⎟
⎜
. . ⎟
0
L=⎜
⎜0
. . ⎟
⎟
⎜
. CN ⎠
⎝0
0
L2
.
0
.
.
.
.
.
.
.
.
. 0 ⎞
⎟
. . ⎟
. . ⎟
⎟
. LM ⎠
90
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Unicità della soluzione per un circuito a-dinamico
(6.41)
“se un circuito (a-dinamico) è costituito di resistori passivi con
caratteristica strettamente crescente e da generatori indipendenti, e se
non vi sono maglie costituite da soli generatori di tensione e tagli
costituiti da soli generatori di corrente, la soluzione del circuito è unica”
Il sistema può essere messo nella forma:
dv
C C = f C ( x, t )
dv
di L
L
= f L ( x, t )
dt
(6.42)
ovvero, raggruppando i termini, Ex = f (x, t ) con:
⎛ [C ]
E = ⎜⎜
⎝ 0
0 ⎞
⎟
[ L ] ⎟⎠
ed
⎛f ⎞
f = ⎜ C ⎟
⎝ fL ⎠
(6.43)
Naturalmente i passaggi formali fatti presuppongono implicitamente (oltre
all’ipotesi di condensatori ed induttori lineari) che il circuito resistivo
associato sia ben posto.
A questo punto, per completare il nostro il discorso dobbiamo dunque
studiare l’unicità della soluzione di un circuito resistivo: in tal modo,
mediante il concetto di circuito resistivo associato, saremo in grado in modo
semplice di garantire l’esistenza delle equazioni di stato globali, e di qui,
come vedremo più avanti, di studiare l’unicità della soluzione.
Prima enunciare il teorema di unicità per le soluzioni di un circuito adinamico, val la pena di ricordare alcune definizioni sulla passività: in
particolare un bipolo statico si dice passivo quando, fatta la convenzione
dell’utilizzatore, si ha che p = vi ≥ 0 in qualsiasi punto della caratteristica.
Inoltre, si dice “strettamente” passivo se, oltre ad essere passivo, si ha che
vi = 0 ⇔ v = i = 0 . Si dice infine “localmente” passivo in un generico punto
di lavoro sulla sua caratteristica se in tale punto la pendenza della
caratteristica è positiva.
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E’ semplice ed istruttivo dimostrare tale risultato. Basta procedere per
assurdo, ipotizzando che esistano due soluzioni diverse per il circuito, ovvero
due sistemi di tensioni e di correnti descrittive vk′ ik′ e vk′′ik′′ che soddisfano
tutte le equazioni, vale a dire le leggi di Kirchhoff e le caratteristiche degli
elementi. Consideriamo a tal fine le quantità Δvk = v ' k − v ''k e Δik = i 'k − i '' k .
Esse verificano le leggi di Kirchhoff (per la linearità di queste ultime). Di
conseguenza alle grandezze Δvk e Δik possiamo applicare il teorema di
Tellegen:
∑ Δv Δi
k
k
=0
(6.44)
k
Analizziamo ora in modo puntuale i diversi tipi di termini che possono
presentarsi nella sommatoria (6.44). Nel caso di lati con resistori lineari
(passivi) avremo termini del tipo Δvk Δik = Rk Δik2 ≥ 0 , che risulteranno sempre
positivi. Per il lati con generatori di tensione, invece, Δvk = 0 ⇒ Δvk Δik = 0
dunque i termini saranno tutti nulli. Stessa cosa per i lati con generatori di
corrente Δik = 0 ⇒ Δvk Δik = 0 . Infine, per i lati con bipoli non lineari di
caratteristica ik = g ( vk ) avremo che Δvk Δik = Δvk ⎡⎣ g ( v ''k ) − g ( v 'k ) ⎤⎦ .
Tenuto conto di quanto osservato, potremo riscrivere la sommatoria (6.44)
come:
∑ Δv
k
⎡ g ( v ''k ) − g ( v ' k ) ⎤ + ∑ RΔ 2 ik = 0
⎣
⎦
(6.45)
A causa della stretta monotonia ipotizzata per tutti i bipoli passivi, si ha
che se Δvk ≥ 0 allora certamente sarà g ( v ''k ) − g ( v 'k ) > 0 , e viceversa. Perché
dunque l’uguaglianza sia valida dovrà necessariamente accadere che Δvk = 0
e Δik = 0 , c.v.d.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Albero proprio ed equazioni di stato
91
92
Formulazioni alternative delle equazioni circuitali
Albero proprio ed equazioni di stato
A completamento del discorso sull’esistenza delle equazioni di stato per un
circuito vogliamo a questo punto descrivere un metodo, che poi possa tradursi
in algoritmo, per la ricerca sistematica delle equazioni di stato in un circuito.
Esso si basa sul concetto di albero proprio, ovvero un albero che contenga
tutti i condensatori del circuito e nessun induttore. Illustreremo la procedura
con un esempio: consideriamo il circuito di Figura 6.13
iL
i1
e
+
-
R1
i2
L
+
+
vC1
-
C1
C2
vC2
- gvC1
R2
(a)
Le variabili di stato per il circuito sono vC1 , vC 2 , iL . Consideriamo ora le
KCL per i tagli fondamentali che includono i condensatori e le KVL per le
maglie fondamentali che includono gli induttori (è chiaro che per far ciò è
necessario l’albero proprio). Si ha:
C1
dvC1
e(t ) − vC1
= i1 − iL =
− iL ,
dt
R1
dv
v
C2 C 2 = iL − gvC1 − i2 = − gvC1 − C 2 + iL ,
dt
R2
L
(b)
(6.46)
diL
= vC1 − vC 2 ,
dt
ovvero, posto x = (vC1 , vC 2 , iL )T in forma normale:
⎡ 1
⎢− R C
⎢ 1 1
⎢ g
x = ⎢ −
⎢ C2
⎢ 1
⎢
⎣ L
0
−
1
R2C2
−
1
L
1⎤
⎛ e (t ) ⎞
C1 ⎥
⎜ RC ⎟
⎥
⎜ 1 1⎟
1 ⎥
x+⎜ 0 ⎟.
C2 ⎥⎥
⎜
⎟
0 ⎟
⎜
⎥
⎜
⎟
0 ⎥
⎝
⎠
⎦
−
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(6.47)
Figura 6.13 (a) un circuito del terzo ordine, (b) un suo albero proprio ed i relativi
insiemi di taglio fondamentali con i condensatori
Generalizzando quanto visto nell’esempio possiamo dunque affermare
che: se in un circuito dotato di albero proprio scriviamo le KVL alle maglie
fondamentali con gli induttori e le KCL ai tagli fondamentali con i
condensatori, sostituendo tutte le caratteristiche degli elementi dinamici
otteniamo un sistema di equazioni in cui le derivate delle variabili iL e vC (o φ
e q nel caso non lineare) compaiono in maniera isolata all’interno di ciascuna
equazione. Queste equazioni rappresentano le sole equazioni dinamiche del
sistema. Riducendo la parte algebrica delle equazioni in modo da eliminare le
altre variabili (è possibile realizzare ciò in forma algoritmica) otteniamo le
equazioni di stato del circuito in modo diretto.
Riferimenti bibliografici:
[1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986,
ISBN 0-89006-208-0.
[1] L.O. CHUA, P.M. LIN, Computer aided analysis of electronic circuits:
algorithms & computational techniques, Prentice Hall, 1975, ISBN 013-165415-2.
[2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
[3] C.A. DESOER, E.S. KUH, Fondamenti di Teoria dei Circuiti, Franco
Angeli, 1999, ISBN 88-2042-756-7.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
94
7. Circuiti mal posti e fenomeni di
“impasse”
Abbiamo sin qui ragionato della formulazione delle equazioni circuitali.
Quando si passa al problema della soluzione, la prima questione da affrontare
è quella dell’esistenza ed unicità. Potrebbe sembrare una questione superflua,
in quanto dal punto di vista fisico essa è certamente garantita. Dobbiamo però
ricordare che il modello non coincide con la realtà, e dunque possono esservi
sorprese ed insidie. Il problema dell’esistenza ed unicità della soluzione in un
circuito viene solitamente fugacemente introdotto a proposito dei circuiti
lineari. In tal caso però esso è quasi sempre banale; vedremo che non lo è
altrettanto nel caso non lineare.
Consideriamo un classico circuito non lineare a-dinamico, come quello di
Figura 7.1, dove un resistore non lineare (diodo tunnel) a caratteristica non
monotona è collegato ad un generatore reale. Il circuito è descritto dalle
equazioni:
vD = E − RiD ,
(7.1)
iD = g (vD ),
dove abbiamo supposto che il diodo abbia una caratteristica controllata in
tensione. L’analisi stazionaria può facilmente essere condotta con il metodo
grafico (Figura 7.2).
iD
R
E
+
-
+
vD
-
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
due soluzioni (Figura 7.2c) oppure tre soluzioni distinte (Figura 7.2d), allo
stato indistinguibili tra loro.
Figura 7.2: analisi grafica delle soluzioni
Supponiamo di essere nel caso di Figura 7.2d in una certa “condizione
iniziale” in un istante t0 , compatibile con le equazioni del circuito, ovvero in
una delle tre possibili soluzioni, ad esempio P1 ; ci domandiamo: cosa accade
al circuito successivamente a t0 ? si permane in P1 , o si può passare nelle
altre soluzioni? Il modello, allo stato, non è in grado di darci una risposta, e
dunque, da questo punto di vista, è inadeguato.
Andiamo ora a complicare ulteriormente le cose, aggiungendo al circuito,
che immaginiamo in una specificata condizione di funzionamento, un
generatore di tensione variabile Δe ( t ) , di modo che sia e ( t ) = E + Δe ( t )
(Figura 7.3). Se immaginiamo al solito di partire dal punto P1 , cosa accade al
“muoversi” della retta di carico per effetto del generatore Δe ( t ) ? Potremmo
Figura 7.1: circuito con generatore reale e diodo tunnel
A seconda della pendenza e delle intercette della retta di carico possono
presentarsi diversi casi: il circuito può avere una soluzione (Figura 7.2a,b),
invocare un principio di “continuità e dire che la soluzione si sposta
solidalmente con l’intersezione della retta di carico alla caratteristica. Ma,
anche ammesso ciò, cosa accade se (vedi retta tratteggiata) ci si sposta più in
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
95
96
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
⎧iR = iD + iC ,
⎪
⎪i = e ( t ) − vD ,
⎪R
R
⎨
⎪iD = g ( vD ) ,
⎪
dv
⎪iC = C C ,
dt
⎩
alto del massimo della curva? Ancora una volta il modello non dà risposta,
dunque risulta inadeguato!
(7.2)
da cui:
Figura 7.3: analisi grafica con generatore variabile
Il modello che stimo adottando è incongruente dal punto di vista fisico.
Ciò accade quasi sempre per un difetto di modellazione, ovvero per aver
trascurato qualcosa che, evidentemente, non può essere trascurato. Proviamo
a sanare le incongruenze sin qui viste. In effetti i problemi nascono nel
considerare il circuito fisico (e corrispondentemente il modello) come adinamico. Un modo naturale per introdurre la dinamica è quello di
considerare l’inevitabile capacità parassita associata alla giunzione del diodo,
con il che il circuito da studiare risulta quello in Figura 7.4.
g (vD ) + C
dvD e ( t ) − vD
.
=
dt
R
(7.3)
Osserviamo che abbiamo ridotto il sistema all’equazione:
⎤
dvD 1 ⎡ e ( t ) − vD
= ⎢
− g ( vD ) ⎥
dt
C⎣
R
⎦
(7.4)
che altro non è che l’“equazione di stato” del circuito, essendo nella forma
x = f ( x, t ) .
Nel caso che stiamo considerando f ( x, t )
è una funzione ad un sol
valore di vD ed e ( t ) , e ciò è condizione necessaria perché la (7.4) possa
essere considerata una equazione di stato.
Analisi circuito RCDt via linearizzazione
Figura 7.4: il circuito precedente con la capacità di giunzione
Andiamo a scrivere le equazioni del circuito; in accordo con le notazioni e
le convenzioni scelte, avremo:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Vogliamo anzitutto studiare la stabilità (locale) delle soluzioni stazionarie
attraverso la linearizzazione. Il circuito equivalente a “piccolo segnale” è
quello riportato in Figura 7.5, nel quale al posto dell’elemento non lineare è
stato sostituito un resistore di valore opportuno.
Nel circuito con rD indichiamo con la cosiddetta “resistenza differenziale”
dv
calcolata nel punto di lavoro considerato.
del diodo, ovvero rD =
di
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Analisi circuito RCDt via linearizzazione
97
98
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
Geq ( P1 ) > 0,
( gD > 0
Geq ( P2 ) < 0,
(g
Geq ( P3 ) > 0,
( gD > 0
D
G > 0)
gD > G )
<0
(7.7)
G > 0)
Nel caso invece di una sola intersezione si avrà:
Geq ( P2 ) > 0,
Figura 7.5: il precedente circuito “linearizzato”
vC ( t ) = A ⋅ e
dove Req =
1
;
Geq
D
< G)
(7.8)
+ vp (t )
(7.5)
Osserviamo subito che nel punto P2 , poiché esso risulta instabile, non ha
senso fare l’analisi a piccolo segnale. Sappiamo bene, infatti, che l’analisi a
piccolo segnale ha una validità solo se le oscillazioni sono ristrette ad un
opportuno intorno del punto di lavoro.
con Geq = G + g D
(7.6)
Analisi qualitativa globale per il circuito RCDt
In tal caso, avendo un circuito lineare, sappiamo già che la soluzione sarà del
tipo:
−t
Req C
(g
L’interpretazione geometrica del parametro g D è data nelle Figura 7.6a e
Figura 7.6b.
Proviamo ora a valutare la stabilità globale dal punto di vista qualitativo.
Riscriviamoci per comodità l’equazione di stato:
⎤
dvD 1 ⎡ v ( t ) − vD
= ⎢
− g ( vD ) ⎥
dt
C⎣
R
⎦
(7.9)
e consideriamo i diversi casi, rappresentati in Figura 7.7. Nei casi a,b e d
l’unica soluzione è anche globalmente asintoticamente stabile. Nel caso c
abbiamo invece tre soluzioni di cui solo due sono stabili ed una (quella
intermedia) risulta instabile. Per ogni regione di condizioni iniziali (tensione
minore di quella corrispondente a P1 , compresa tra P1 e P2 , compresa tra P2
Figura 7.6: conduttanze differenziali nei punti di lavoro
Per analizzare i casi che possono presentarsi, appunto consideriamo
separatamente la situazione in cui abbiamo tre intersezioni (Figura 7.6a) e
quella in cui ne abbiamo una sola (Figura 7.6b). Nella prima situazione, sono
tre i possibili punti di lavoro attorno ai quali linearizzare e si avrà:
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
e P3 , maggiore di P3 ) è possibile individuare univocamente la dinamica in
modo qualitativo. Ciascuna regione ha uno dei punti di lavoro stabili come
soluzione di regime stazionario, e per tale ragione prenderà il nome di bacino
d’attrazione della soluzione.
Verifichiamo così (a posteriori) che l’aver introdotto la capacità parassita
nel modello del circuito in esame ha risolto tutta una serie di incongruenze del
modello! Potremmo allora pensare che il problema fosse quello di aggiungere
un elemento dinamico al circuito. Ma le cose non stanno in modo così
semplice come vedremo con un nuovo esempio.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
99
Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto
100
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
Potrebbe sembrare un’equazione di stato; così sarebbe se potessimo
scrivere vD = g −1 ( iD ) , ma sappiamo che non è possibile, essendo il bipolo
non controllabile in corrente a causa della caratteristica (non monotona).
Dunque, per le considerazioni fatte in precedenza possiamo concludere che
per il circuito non esistono le equazioni di stato (globali).
Ricordiamo anzitutto che l’analisi stazionaria del circuito in esame non è
cambiata rispetto al circuito precedente, nel senso che sostituendo questa
volta all’induttore un corto circuito si ottiene ancora una volta il circuito
adinamico con il solo generatore reale ed il diodo tunnel in serie. Per
procedere ad un’analisi qualitativa analoga a quella già vista peri il circuito
con la capacità proviamo allora a ricondurre l’equazione (7.10) ad una forma
più possibile simile alla (7.9). Ciò può essere fatto ricorrendo ad un “trucco”
algebrico, cioè:
di dg dg dvD
=
=
dt dt dvD dt
Figura 7.7: diagrammi di stabilità globale nei diversi casi
dove
Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto
Consideriamo ora il circuito in Figura 7.8, dove la dinamica viene
introdotta attraverso un induttore in serie piuttosto che, come nel caso
precedente, con una capacità in parallelo. Essa potrebbe rappresentare
l’induttanza parassita del resistore o dei collegamenti del diodo.
(7.11)
dg
è la conduttanza differenziale del diodo. Sostituendo la (7.11)
dvD
nell’eq. (7.10), si ha:
L dg dvD e(t ) − vD
=
− g ( vD )
R dvD dt
R
(7.12)
da cui possiamo ricavare:
R
e(t)
L
iD
dvD R dvD ⎡ e(t ) − vD
=
− g ( vD )
dt
L dg ⎢⎣ R
+
-
⎤
⎥⎦ .
(7.13)
Osserviamo che questa volta non abbiamo la forma normale x = f ( x, t )
Figura 7.8: circuito con induttanza parassita
come nell’equazione (7.9) per la presenza del fattore
L’equazione differenziale che descrive il circuito in tal caso sarà data da:
qualitativamente il segno della derivata
L
di
= e(t ) − vD − Ri
dt
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
(7.10)
dvD
. Per studiare
dg
dvD
nella (7.13) dovremo analizzare
dt
contemporaneamente quello dei due fattori a secondo membro.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Circuito RLDt, “impasse” e fenomeno di salto
dvD
> 0 se
dt
e ( t ) − vD
⎧ dg
>0 e
> g ( vD )
⎪
R
⎪ dvD
⎨
⎪ dg < 0 e e ( t ) − vD < g (v )
D
⎪ dv
R
⎩ D
101
(7.14)
Possiamo allora distinguere i diversi casi, che sono tutti mostrati in Figura
7.9. Le frecce disegnate sulla caratteristica indicano, per ciascun tratto, la
corrispondente “direzione del moto”, e le frecce si invertono sia quando la
caratteristica dell’elemento non lineare incrocia la retta di carico, ma anche
quando inverte la pendenza determinando il cambio di segno del fattore
dg dvD . Dall’analisi dei diversi possibili casi (in relazione alle possibilità di
intersezione delle due curve rappresentate in figura) risulta evidente che in
alcuni di essi le frecce che indicano la direzione di movimento possibile
lungo la caratteristica convergono verso i punti Q1 e Q2, pur non essendo essi
punti di equilibrio per il circuito. Per questo motivo detti punti vengono
chiamati di “impasse”. Questo è ad esempio il caso della Figura 7.9d: in
corrispondenza dei punti Q1 e Q2 le frecce convergono da entrambi i lati. Ciò
vuol dire che una soluzione che perviene ad uno di essi, indipendentemente
dal lato da cui proviene, non può “proseguire” lungo la caratteristica; nello
stesso tempo non può arrestarsi in quanto essi non sono punti di equilibrio (la
102
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
derivata dvD dt non si annulla mai in Q1 e Q2,). In termini matematici
dobbiamo constatare che, per il modello considerato, se nella dinamica
raggiungiamo un punto siffatto, la soluzione “muore” in quel punto, e non è
possibile proseguire nell’analisi. In altri termini viene a mancare l’esistenza
della soluzione una volta raggiunto il punto di impasse.
Tali apparenti “stranezze” si giustificano perfettamente ricordando che, nel
caso in esame, non esistono le equazioni di stato (globali) e dunque manca
una condizione essenziale a garanzia dell’esistenza della soluzione ∀t ≥ t0 .
Dunque ancora una volta il modello del circuito che abbiamo considerato
risulta inadeguato. Ma ci chiediamo: cosa accade nella realtà? Ebbene,
studiando “sperimentalmente” un circuito reale siffatto, osserveremmo il
cosiddetto fenomeno di “salto”. Cioè una volta raggiunto il punto di impasse,
la soluzione presenta una discontinuità in una delle grandezze saltando
bruscamente sull’altro ramo della caratteristica, come descritto in Figura 7.10.
Val la pena osservare che se proviamo ad includere (in modo euristico) nel
modello una regola di “salto”, la soluzione diviene discontinua; in secondo
luogo, chi ci assicura che il salto debba per forza avvenire in corrispondenza
del punto di impasse? (vedi Figura 7.11). Dunque, includendo il “salto” nel
nostro modello, la soluzione non solo non è continua, ma non è unica.
Figura 7.10: Fenomeno di salto
Figura 7.9: analisi qualitativa del circuito con induttanza parassita
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
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103
Circuito RLCDt e soluzione dell’impasse
Circuito RLCDt e soluzione dell’impasse
Proviamo ora nuovamente a raccordare quanto osservabile in un
esperimento reale (il fenomeno del “salto”) con un modello circuitale più
realistico. Ciò può essere realizzato con una tecnica detta della “perturbazione
singolare”.
Per far ciò, al solito, dovremo considerare un modello più complesso di
quello sinora considerato. Ancora una volta ci viene in aiuto l’uso di una
capacità parassita in parallelo all’elemento non lineare, capacità che poi
faremo tendere a zero tornando al caso precedente. Consideriamo allora il
circuito di Figura 7.12. Le equazioni, in tal caso, sono:
→
diL 1
= ⎡ e ( t ) − vC − RiL ⎤⎦
dt L ⎣
dvC iL − g (vC )
=
dt
C
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
È facile rendersi conto direttamente che le equazioni (7.15) sono
effettivamente equazioni di stato (globali) per il circuito considerato. Dunque
l’aggiunta della capacità ha ancora una volta corretto il modello!
Possiamo ora provare a fare un’analisi qualitativa nell’ipotesi di C → 0
(ricordiamo che C è la capacità “parassita” del diodo), anche senza risolvere
analiticamente le equazioni. Consideriamo a tal fine il piano delle variabili di
stato vC ed iL , dove rappresentiamo per comodità anche la caratteristica del
diodo. Osserviamo anzitutto che, mentre nei circuiti precedentemente
considerati la tensione del diodo coincideva con quella del condensatore,
ovvero la corrente del diodo con quella dell’induttore, sicché le dinamiche nei
piani considerati inevitabilmente dovevano svolgersi lungo la caratteristica
(in sostanza essa coincideva con una sezione dello spazio delle
configurazioni), nel rappresentare ora il piano delle due variabili di stato vC ,
iL le traiettorie possono essere in punti arbitrari del piano. È però utile
distinguere, per la nostra analisi qualitativa, i punti “vicini” alla caratteristica
(dove iL ≈ iD = g ( vC ) ) rispetto a quelli “lontani”. Difatti, nel caso che iL e
Figura 7.11: Molteplicità di possibili soluzioni con “salto”
diL
⎧
⎪⎪e(t ) = RiL + L dt + vC
⎨
⎪C dvC = i − g (vc )
L
⎪⎩ dt
104
(7.15)
iD = g ( vC ) siano significativamente diversi, essendo C → 0 dalle (7.15)
avremo
dvC
di
>> L : in altri termini, quando ci troviamo in un punto lontano
dt
dt
dalla caratteristica il moto sarà sostanzialmente “orizzontale” nel piano di
stato (osserviamo che in ogni punto il vettore velocità è dato proprio da
⎛ dvC diL ⎞
,
⎜
⎟ . Quando a seguito di tale spostamento orizzontale (che ricorda
⎝ dt dt ⎠
molto il “salto” precedentemente postulato) abbiamo raggiunto la regione
della caratteristica, il numeratore della seconda equazione delle (7.15) si
annulla, e di nuovo le due componenti della velocità tornano ad essere
confrontabili l’una all’altra. La situazione si comprende meglio aiutandosi
con la Figura 7.14, dove viene riportata una mappa qualitativa delle velocità
nelle diverse regioni dello spazio di stato, legata al segno di dvC dt
facilmente deducibile analizzando le (7.15).
In Figura 7.14 vengono rappresentati alcuni possibili salti. Essi avverranno
sia in corrispondenza di condizioni iniziali (come ad esempio i punti 1 e 2 in
figura) lontani dalla caratteristica, ovvero quando giunti ad un punto di
impasse la soluzione deve trovare un percorso possibile per arrivare ad un
punto di equilibrio.
Figura 7.12: circuito con induttanza e capacità
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Dinamica qualitativa di un oscillatore con salto
105
106
Circuiti mal posti e fenomeni di “impasse”
iD
Q1
Q2
vD
Figura 7.13: mappa delle velocità nello spazio di stato
(b)
x(t)
t
(b)
Figura 7.15: Dinamica qualitativa di un oscillatore: (a) spazio di stato; (b) dominio
del tempo.
Figura 7.14: Analisi qualitativa del circuito con induttanza e capacità
Dinamica qualitativa di un oscillatore con salto
Un esempio significativo dal punto di vista applicativo è dato dalla
dinamica del multivibratore astabile (Figura 7.14), che si può realizzare con il
circuito considerato nel con parametri della retta di carico che determinano un
unico punto di lavoro stazionario instabile, come mostrato in Figura 7.15a. Da
qualsiasi punto si parta, si arriva dapprima sulla caratteristica che viene
percorsa fino al primo punto di impasse; a quel punto si salta sull’altro ramo
della caratteristica, percorrendola, a sua volta, sino al secondo punto di
impasse, e così via. Si è in questo modo realizzato un oscillatore, la cui
dinamica asintotica è costituita da una oscillazione periodica. In dipendenza
della condizione iniziale, per t → ∞ , si avranno (infinite) forme d’onda
periodiche che possono essere sovrapposte per traslazione di una frazione
dell’intervallo di periodicità, ciascuna associata ad una specifica condizione
iniziale (Figura 7.15b). Tale comportamento mette in evidenza, tra l’altro, la
non esistenza di un unico regime tipica dei circuiti non lineari, e di cui ci
occuperemo in dettaglio più avanti.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Riferimenti bibliografici:
[1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986,
ISBN 0-89006-208-0.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
108
8. Esistenza ed unicità delle
soluzioni
Ricordiamo che un sistema di equazioni differenziali è detto in forma
normale se è scritto come:
x = f ( x, t ) ,
(8.1)
osservando che in tale espressione sono implicite le seguenti proprietà:
i. sono presenti solo le derivate prime (a primo membro)
ii. la f ( x, t ) è definita per qualsiasi valore di x .
iii. la dipendenza di x da x e t tramite f è univoca.
Sappiamo che la possibilità di esprimere un’equazione differenziale in
forma normale è condizione necessaria, come abbiamo visto in precedenza
studiando il fenomeno dell’impasse, per l’esistenza e l’unicità della soluzione.
Vogliamo ora analizzare le condizioni che garantiscono l’esistenza ed unicità
della soluzione (condizioni sufficienti).
Prima di illustrare i teoremi che stabiliscono le ipotesi nelle quali
l’esistenza ed unicità della soluzione è garantita, è necessario riprendere la
definizione di funzione Lipschitziana.
Funzione Lipschitziana:
Una funzione f ( x) si dice Lipschitziana se esiste una costante k tale che:
f ( x2 ) − f ( x1 ) ≤ k x2 − x1
∀ x2 , x1 ∈ D
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(8.2)
Esistenza ed unicità delle soluzioni
dove D è il suo dominio di definizione. In tal caso si dice anche che la
funzione f ( x) è globalmente Lipschitziana. Si osservi che la definizione di
Lipschitzianità risulta indipendente da come è definita la norma.
Se esiste una costante k tale che:
f(x2 ) − f(x1 ) ≤ k x2 − x1
∀ x2 ,x1 ∈ [ x0 − x, x0 + x ] ⊂ D
(8.3)
la funzione f ( x) si dice localmente Lipschitziana in x0 , ovvero esiste un
intorno del punto in cui la funzione risulta Lipschitziana.
In relazione alla proprietà di Lipschitzianità è possibile dimostrare le
seguenti relazioni:
f(x) derivabile in x0 ⇒ f(x) Lipschitziana (loc.) in x0
f(x) Lipschitziana (loc.) in x0 ⇒ f(x) continua in x0
La condizione di Lipschitzianità (locale) risulta dunque una condizione
intermedia tra la derivabilità e la continuità. Come conseguenza si ha anche
che condizione sufficiente per la Lipschitzianità di una funzione f ( x, t ) è la
sua derivabilità.
Per renderci conto del legame tra Lipschitzianità e derivabilità basta
dividere entrambi i membri della (8.3) (1) per x2 − x1 :
f(x2 ) − f(x1 )
x2 − x1
≤k
(8.4)
dove al tendere di x2 → x1 essa rappresenta il limite del rapporto
incrementale. Possiamo concludere che basta trovare punti di flesso verticali
o punti che determinano asintoti verticali nella f per fare divergere
irrimediabilmente il rapporto dato dalla (8.4).
Si potrebbe allora concludere che le funzioni Lipshitziane sono tutte e sole
quelle derivabili. Un importante contro esempio è costituito dall’importante
classe delle funzioni piecewise-linear che non sono chiaramente derivabili per
via dei punti angolosi ma sono Lipshitziane. Difatti basta prendere la
pendenza massima tra tutte le restrizioni lineari per individuare la costante di
Lipschitz k.
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109
Funzione Lipschitziana:
110
Esistenza ed unicità delle soluzioni
Esempio 1 (funzione continua ma non Lipshitziana)
f(x)
Consideriamo la funzione:
f ( x ) = sgn ( x )
x.
(8.5)
Essa è continua in tutto l’asse reale, ma nell’origine non è derivabile ed
inoltre non è Lipschitziana. Nell’origine infatti la funzione ha pendenza
verticale e quindi non è possibile racchiuderla in un cono, cioè non è possibile
trovare una retta di pendenza finita che maggiori la curva. Per questo la
funzione non è Lipschitziana pur essendo continua.
x
Figura 8.2. Esempio di funzione Lipschitziana ma non derivabile.
La Lipschitzianità della funzione f ( x, t ) , a secondo membro delle
equazioni di stato in forma normale, è di fondamentale importanza nello
studio delle proprietà della soluzione delle stesse. Passeremo ora in rassegna
alcuni risultati fondamentali dell’analisi di sistemi di equazioni differenziali
ordinarie, mettendo in evidenza dal punto di vista circuitale gli enunciati.
f(x)
x
Teorema di Peano
Considerato il sistema:
Figura 8.1. Esempio di funzione continua ma non Lipschitziana
⎧x = f (x, t )
⎨
⎩ x (t 0 ) = x 0
Esempio 2 (funzione Lipshitziana ma non derivabile)
(8.7)
Consideriamo la funzione:
⎧ x x < 0,
f ( x) = ⎨
⎩ 2 x x ≥ 0.
dove t0 è l’istante iniziale si ha:
(8.6)
Essa è continua e Lipschitziana in tutto l’asse reale, ma nell’origine non è
derivabile in quanto presenta un punto angoloso e la derivata sinistra è
diversa dalla derivata destra.
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
se la f (x, t ) è continua in x 0 (rispetto ad x e t ), allora esiste almeno una
soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , definita in
un intervallo (t0 ≤ t ≤ T ) con T finito.
Questo teorema è fondamentale perché ci assicura l’esistenza di almeno
una soluzione, però non ci garantisce che essa sia unica. Tra l’altro è un
teorema di esistenza locale, nel senso che questa soluzione esiste soltanto in
un intervallo che contiene t0 e non ci dà nessuna informazione su quanto è
grande questo intervallo.
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Teorema di Picard-Liendeloef
111
Teorema di Picard-Liendeloef
Se alle ipotesi del teorema di Peano aggiungiamo anche che la funzione
oltre ad essere continua è anche Lipschitziana in x0 si ha:
se la f (x, t ) è continua in x0 ed ivi (localmente) Lipschitziana, allora
esiste un’unica soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale
x(t0 ) = x 0 , definita in un intervallo (t0 ≤ t ≤ T ) con T finito.
Il teorema garantisce esistenza ed unicità dalla soluzione; l’esistenza è
però solo locale in un intervallo che contiene t0 e di nuovo non abbiamo
nessuna informazione su quanto è grande questo intervallo. Osserviamo che
l’esistenza della soluzione a partire da ogni condizione iniziale almeno in un
intervallo nel futuro esclude esplicitamente situazioni di impasse.
112
Esistenza ed unicità delle soluzioni
fisica, per esempio di un circuito fisico, a interessa che verifichi soprattutto
l’unicità nel futuro (ovvero che il sistema sia, come si dice, “deterministico”).
A partire da determinate condizioni iniziali devo evolvere in maniera univoca,
cioè la dinamica è univoca. Il fatto che poi si vada a guardare la soluzione per
t<t0, e che questa risulti univoca o meno, dal punto di vista della
corrispondenza tra modello e circuito fisico, è una cosa di scarso interesse.
Questa circostanza è, come vedremo, assai importante perché permetterà di
rilassare un po’ la condizione di Lipschitzianità globale, che invece è molto
onerosa. Infatti, sfruttando le condizioni di Lipschitzianità “al finito” e
aggiungendo un’ipotesi sulla limitatezza della soluzione x(t ) , potremo
pervenire ugualmente ad una condizione di unicità mediante un nuovo
teorema.
Prima di affrontare tale questione, analizziamo qualche esempio istruttivo.
Esempio 3 (Unicità solo nel futuro)
Consideriamo il circuito in figura:
i(t)
In entrambi i teoremi considerati ancora un elemento fondamentale perché
il modello sia realistico dal punto di vista fisico, cioè l’esistenza ed unicità
globale della soluzione (ovvero per un intervallo arbitrariamente esteso,
almeno nel futuro rispetto a t0 ). A tal riguardo, in effetti, si può enunciare il
seguente:
+
C
v=r i3
v(t)
-
Teorema di esistenza ed unicità “globale”
se la f (x, t ) è continua in x0 e globalmente Lipschitziana, allora esiste
un’unica soluzione x(t ) , che verifica la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 ,
definita per ogni t.
In questa formulazione non ci sono più restrizioni all’intervallo in cui la
soluzione è definita. Ciò comporta che la soluzione è univoca sia nel futuro
che nel passato, vale a dire sia per t>0 che per t<0. Il prezzo pagato è però
piuttosto alto, perché si richiede la Lipschitzianità globale. È importante a tal
riguardo ricordare che, nella maggioranza dei modelli di componenti
circuitali, e dunque delle relazioni caratteristiche che li rappresentano,
vengono usate frequentemente funzioni che non sono globalmente
Lipschitziane. D’altro possiamo anche osservare che la proprietà di unicità
per il passato rispetto all’istante iniziale t0 è sovrabbondante rispetto alle
esigenze, in quanto affinché un sistema sia un buon modello di una realtà
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 8.3. Esempio su esistenza ed unicità: unicità nel futuro
Le equazioni del circuito sono:
dv
,
dt
v = r ⋅ i3 ,
iC = C
dove, tenuto conto che con le convenzioni fatte
l’equazione di stato:
(8.8)
iC = −i : Si ottiene
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113
Teorema di esistenza ed unicità “globale”
1
1
dv
⎛ v ⎞3
⎛ v ⎞3
v = r ⋅i ⇒ i = ⎜ ⎟ ⇒ C
= −⎜ ⎟
dt
⎝r⎠
⎝r⎠
3
(8.9)
1
⎛ v ⎞3
La funzione f (v) = − ⎜ ⎟ non è Lipschitziana nell’origine (questo caso è
⎝r⎠
simile all’esempio visto prima della ( x) x , abbiamo ora la
3
che ha lo
stesso effetto, perché in 0 ha pendenza infinita ed il fatto che abbiamo una
potenza dispari ci da il segno che prima era dato dalla funzione sgn(x)). La
soluzione (si può verificare per sostituzione diretta) è del tipo:
114
Esistenza ed unicità delle soluzioni
garantire l’unicità. v = 0 è in questo caso l’unico punto in cui non è
Lipschitziana, ma ciò basta a creare questo problema. Il sistema considerato
potrebbe anche essere un modello di un sistema fisico perché in fondo
l’unicità manca soltanto “nel passato”. Possiamo però facilmente mostrare
altri esempi in cui l’unicità manca nel futuro!
Esempio 4 (Unicità solo nel passato)
Consideriamo il circuito in Figura 8.5; esso è uguale a quello precedente,
salvo che viene inserito un amplificatore operazionale ideale per invertire il
segno dell’intensità di corrente. Rispetto a prima, dunque, l’equazione del
circuito è:
1
−
1
2
t < t0
(8.10)
t ≥ t0
−
3
2
con t0 ≤ 0 ed a = r (3C / 2) . Si vede che per ogni t0 , con t0 arbitrario
purché minore di zero, ottengo una soluzione che ha l’andamento riportato in
Figura 8.4.
dv ⎛ v ⎞ 3
C
=⎜ ⎟ ,
dt ⎝ r ⎠
C
(8.11)
R
i(t)
+
R
-
+
⎧
⎪
v(t ) = ⎨a(t0 − t )
⎪⎩0
3
2
v=r i3
v(t)
-
Figura 8.5. Esempio su esistenza ed unicità: unicità nel passato
v(t)
Rispetto al caso precedente non c’è il segno meno, e quello che succede è
giusto l’opposto. Pertanto in questo caso la soluzione è del tipo:
t’0
t’’0
t
⎧0
⎪
v(t ) = ⎨
3
⎪⎩a(t − t0 ) 2
t < t0
(8.12)
t ≥ t0
Figura 8.4. Soluzioni dell’equazione (8.10).
−
Essa coincide con la soluzione banale per t>t0, però per t<t0 è arbitraria. Se
scelgo un altro t0, ad esempio t 0′ , ottengo un’altra soluzione, e quindi, in
definitiva, ho infinite soluzioni. Però, in realtà, queste soluzioni sono
differenti tra loro solo nella zona t< t0, invece per t> t0 sono uguali.
Questo esempio mostra il caso in cui non c’è l’unicità nel passato, ma in
realtà c’è l’unicità nel futuro. Il fatto che non ci sia unicità dipende dal fatto
che la funzione f (v) non è globalmente Lipschitziana, dunque non possiamo
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1
−
3
con t0 ≥ 0 perché v(t) sia soluzione ed a = r 2 (3C / 2) 2 .
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
115
Teorema di esistenza ed unicità “globale”
116
Esistenza ed unicità delle soluzioni
È possibile verificare direttamente che in questo caso la soluzione è data
da:
v(t)
1
1
−
⎛ L ⎞2
i (t ) = ± ⎜ ⎟ ( t − T ) 2 ,
⎝ 2r ⎠
t0
t
(8.14)
L
ed il segno da considerare nella (8.14), dipenderà da i0 ,
2ri0 2
ovvero se la condizione iniziale sarà positiva o negativa. L’andamento grafico
della soluzione è riportato in Figura 8.8. Essa è definita nell’intervallo
]T , +∞[ con t0 > T . Per ogni t0 che considero come punto di partenza della
dove T = t0 −
Figura 8.6. Soluzioni dell’equazione (8.12).
Quindi, siccome t0, come prima, è arbitrario, abbiamo infinite soluzioni
ciascuna per ogni t0. Queste sono tutte uguali, in generale, per t<0 e diverse
per t>0. Rispetto al caso precedente, oltre al fatto che la soluzione non è
unica, abbiamo anche un modello che non è deterministico.
Esempio 5
Consideriamo il circuito in Figura 8.7. In questo caso le equazioni divengono:
soluzione, a cui corrisponde il valore i0 della variabile di stato, guardando in
“avanti”la funzione è univocamente definita ∀t . Guardando invece
“indietro” trovo la soluzione solo fino a T, che è un numero “precedente” a t0
prima ancora non ho più la soluzione.
v = r ⋅ i3 ,
L
di
= − ri 3 .
dt
(8.13)
Figura 8.8
La funzione f (i ) = ri 3 è localmente Lipschitziana per ogni valore finito
i0 , non lo è globalmente perché tende all’infinito per i che tende all’infinito.
Questo significa che, fissato un qualunque i0 (che per noi può rappresentare
una condizione iniziale) abbiamo un certo intervallo dove esiste un’unica
soluzione. Questo è un esempio importante, perché ora ci chiediamo: questa
soluzione che esiste definita in un certo intervallo, per quanto tempo rimane
valida, cioè quanto dura prima di perdere l’unicità o di cessare di esistere?
A questo punto, premesso che la funzione è solo localmente Lipschitziana,
ci si pone la domanda: è un caso che la soluzione è univoca nel futuro, oppure
dipende da qualche proprietà del circuito? Tale questione è per noi di grande
interesse, perché se riusciamo a legare questo fatto alle proprietà del circuito,
come detto prima, possiamo rilassare le ipotesi di Lipschitzianità globale e lo
stesso avere una soluzione che è deterministica.
Sulla base di quanto sin qui visto ha senso porsi un quesito: perché
utilizziamo molto spesso altre funzioni come i polinomi e gli esponenziali,
che sono generalmente solo localmente Lipschitziane, ma non lo sono
globalmente? Ha senso usare queste funzioni per modellare i circuiti, al fine
di ottenere un modello deterministico, e cioè con l’unicità nel futuro? Per
provare a rispondere positivamente a tali quesiti val la pena di riconsiderare
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Figura 8.7
Teorema di esistenza ed unicità “globale”
117
un esempio di modello “smooth”. Consideriamo il caso di un diodo zener, che
come sappiamo ha la caratteristica riportata in Figura 8.9. Essa, come ben
sappiamo, ha una regione di tensione che non è ammissibile. Se immagino di
avere una dinamica che mi porta a scorrere la caratteristica verso sinistra, ad
un certo punto la soluzione dovrà divergere. In tal caso potrei trovare una
soluzione che è valida fini ad un certo t0, poi diverge e quindi non l’avrò nel
futuro. In realtà sta accadendo che il modello non tiene conto di un fatto fisico
fondamentale. Per dar conto di ciò consideriamo ancora una volta il circuito
dell’esempio precedente. Ricordiamo che il resistore non lineare considerato
è un resistore passivo e ciò, come vedremo, ha una conseguenza molto
importante.
118
Esistenza ed unicità delle soluzioni
corrispondenza tra modello e realtà fisica. Questa considerazione legata
all’energia è fondamentale, in quanto, come vedremo attraverso un nuovo
teorema, ci permette di garantire l’unicità della soluzione nel futuro anche in
presenza della sola Lipschitzianità locale.
Teorema di unicità nel futuro
Considerato il solito problema di valore iniziale in forma normale:
⎧ x = f (x, t )
⎨
⎩ x(t0 ) = x 0
se la funzione f (x, t ) è continua e Lipschitziana in qualsiasi dominio D
tale che: x ≤ r , e se esiste una soluzione x(t ) limitata a tale dominio
( x(t ) ≤ r ) che verifichi la condizione iniziale x(t0 ) = x 0 , allora x(t) è
unica in [t0 , ∞[ .
Senza voler dimostrare il teorema, proviamo a capire quale sia il
ragionamento di fondo. Sappiamo che la f (x, t ) è Lipschitziana nei punti in
Figura 8.9. Simbolo e caratteristica di un diodo zener
Consideriamo infatti l’energia immagazzinata all’istante iniziale nel circuito,
che in questo caso è data da:
W ( t0 ) =
1 2
Li (t ).
2
(8.15)
Essa siccome in questo caso non ci sono generatori nel circuito, è destinata a
decrescere nel tempo, o al più a rimanere uguale:
W ( t ) ≤ W ( t0 )
∀t ≥ t0 ,
(8.16)
ciò che, nel nostro caso, significa anche che i (t ) ≤ i (t0 ) ∀t ≥ t0 e cioè non
posso avere nessuna divergenza, non è vero che la soluzione può divergere.
Quindi ciò vuol dire che se il modello mi porta alla divergenza, non sto
tenendo conto di qualcosa che è ancora una volta essenziale ai fini della
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
cui x ≤ r . Se qualcosa o qualcun altro dall’esterno assicura che la soluzione
x(t ) non uscirà mai da quella sfera, come, per esempio, considerazioni di
tipo energetico, allora mettere insieme queste due cose equivale difatto alla
globale Lipschitzianità della funzione f (x, t ) . Essa è Lipschitziana, infatti, in
tutti i punti della traiettoria effettiva e ciò mi garantisce l’unicità. Questa era
l’altra condizione fondamentale che ci serviva per assicurare l’unicità.
Definizioni sulla passività e vincoli energetici
Prima di enunciare altri criteri di unicità è però necessario riprendere alcune
definizioni e considerazioni sulla passività. In relazione al concetto di bipolo
passivo ricordiamo anzitutto le definizioni:
-
passività:
vi ≥ 0 ∀v, i
passività locale
ΔvΔi ≥ 0 v ∈ ( v0 − α , v0 − β ) , i ∈ ( i0 − γ , i0 − η )
passività “stretta”: vi ≥ 0 ∀v, i, vi = 0 sse v = 0, i = 0
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
119
Definizioni sulla passività e vincoli energetici
120
Esistenza ed unicità delle soluzioni
Accanto a tali definizioni si possono dare le seguenti:
-
i(t)
passività “asintotica”: vi > 0 se (v, i ) > k , ovvero il bipolo può essere
attivo, ma la potenza erogata è sempre limitata superiormente;
debole attività: vi ≥ I 0 v o vi ≤ −V0 i , ovvero il bipolo è attivo e la
potenze erogata non è limitata, ma può crescere al più linearmente con la
tensione o con la corrente (a seconda dei casi)
Un bipolo attivo che non è debolmente attivo si definisce fortemente attivo. In
Figura 8.10 sono mostrati alcuni esempi di caratteristiche che rientrano in tali
definizioni.
resistore
lineare
i
resistore
piecewise-linear
...fortemente
attivo
...asintoticamente
passivo
v
generatore
indipendente
i
v
+
C
v(t)
-
Figura 8.11
Si ha:
1
W (t ) = Cv 2 (t ) ⇒ v = 2 / C W (t )
2
dW
1 dW
PR (t ) = −
≥ − I0 2 / C W ⇒
≤ I0 2 / C
dt
W dt
d v I0
d
2 W ≤ I0 2 / C ⇒
≤
dt
dt
C
(
)
Dunque la tensione (in modulo) può crescere all’infinito ma con una
pendenza limitata.
i
i=I0
...debolmente
attivo
v
Figura 8.10. alcuni esempi di caratteristiche in relazione alla passività
Esempio 6
Consideriamo il circuito in Figura 8.7. Supponiamo il resistore debolmente
attivo, ovvero:
p = vi ≥ − I 0 v .
Inoltre l’energia immagazzinata nel circuito all’istante iniziale è data da:
1
W (t0 ) = Cv 2 (t0 )
2
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
A valle dell’esempio considerato e sulla scorta delle definizioni date per
la passività enunciamo il seguente criterio “No Finite Forward Escape Time”:
se in un circuito non vi sono maglie di soli condensatori e generatori di
tensione ed insiemi di taglio di soli induttori e generatori di corrente ed i
resistori sono tutti al più debolmente attivi, allora le soluzioni non
possono divergere in un intervallo di tempo finito; eventualmente esse
divergono per t → ∞
Condizioni di unicità per i circuiti dinamici
Val la pena ora riassumere le considerazioni sin qui viste per sintetizzarle
in chiave prettamente circuitale. In un circuito l’esistenza e l’unicità della
soluzione sono dunque legate alle seguenti circostanze:
- come è fatto lo spazio delle configurazioni (e cioè posso ottenere le
equazioni di stato globali?)
- in quale classe fi funzioni ricade la f (x, t ) (cioè quali proprietà la
caratterizzano?)
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009
Condizioni di unicità per i circuiti dinamici
-
121
posso considerare la soluzione limitata (esistono vincoli di tipo
energetico che limitino la soluzione?)
Osserviamo che le condizioni considerate sono tutte strettamente dipendenti
dalla sola parte a-dinamica del circuito! Nelle ipotesi in cui esistono le
equazioni di stato globali avremo:
1. (esistenza ed unicità globali)
se il circuito è lineare a tratti (cioè sono tali tutte le caratteristiche dei
bipoli resistivi) la soluzione è unica (nel passato e nel futuro)
2. (esistenza ed unicità locali)
se il circuito è “smooth” (cioè tutte le caratteristiche sono continue e
derivabili indefinitamente) esiste un intorno di t0 in cui la soluzione
esiste ed è unica, ed è “smooth”
3. (esistenza ed unicità nel futuro)
se il circuito è “smooth” e la soluzione x(t ) è limitata per ogni t > t0 al
finito la soluzione esiste ed è unica.
Riferimenti bibliografici:
[1] M. HASLER, J. NEIRYNCK, Non Linear Circuits, Artech House, 1986,
ISBN 0-89006-208-0.
[2] L.O. CHUA, C.A. DESOER, E.S. KUH, Circuiti Lineari e Non Lineari,
Jackson 1991, ISBN 88-7056-837-7.
[3] G. MIANO, Comportamento dinamico di circuiti non lineari, dispense
in formato PDF disponibili sul sito www.elettrotecnica.unina.it
M. de Magistris – Appunti di Teoria dei circuiti - 28/10/2009