GIUSEPPE PAPPALARDO LA RIFORMA DEL CONDOMINIO ASPETTI DI INTERESSE NOTARILE Sommario: 1. cenni introduttivi - 2. l’art. 63, commi 4 e 5, disp. att. c. c., e l’art. 1130 n. 6) c. c. - 3. i contributi maturati - 4. il subentro per causa di morte - 5. la società amministratore di condominio - 6. disposizioni sull'amministrazione in generale - 7. la natura giuridica del condominio e il nuovo dettato dell'art. 2659 c.c. - 8. il supercondominio - 9. le parti comuni - 10. il regolamento di condominio ___________________________ 1. CENNI INTRODUTTIVI La legge 11 dicembre 2012 n. 220 intitolata «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici», ha inciso significativamente sulla materia condominiale. Detta legge è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Infatti la norma transitoria in essa contenuta (art. 32) ha ampliato l’ordinario periodo di vacatio prevedendo che le nuove disposizioni abbiano vigenza "dopo sei mesi dalla data" della loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 17 dicembre 2012. Nonostante alcune voci contrarie (in particolare Petrelli), che ritenevano l'entrata in vigore della legge fissata al 17 giugno 2013, la norma transitoria citata pare chiara nel prevedere lo spirare della vacatio "dopo" sei mesi e non "allo spirare" dei sei mesi dalla pubblicazione; e dopo significa, appunto, dopo che il termine sia spirato, cioè il giorno dopo il compiersi dei mesi indicati. La legge di riforma si compone di 32 articoli, di cui i primi 26 apportano modifiche alla previgente disciplina incidendo sul codice civile e sulle disposizioni di attuazione del medesimo. La riforma, infatti, ha riscritto innanzi tutto il capo II del titolo VII del libro II del codice civile - lasciandone peraltro invariata l’intitolazione (Del condominio negli edifici) - innovando il contenuto precettivo di alcuni degli articoli in esso contenuti ovvero effettuando dei meri ritocchi lessicali al dettato di altri o, ancora, inserendo tramite la tecnica della novellazione nuovi articoli-bis,-ter e-quater. 1 Sempre con riferimento al codice civile è stato inoltre integrato il testo dell’art. 2659 con l’aggiunta delle indicazioni che deve contenere la nota di trascrizione quando uno dei soggetti, a favore o contro cui trascrivere, sia un condominio. Nello stesso modo la riforma è intervenuta sulle disposizioni di attuazione del codice civile: anche i previgenti artt. 63 - 70 sono stati oggetto di sostanziali modifiche, aggiustamenti formali o integrazioni, queste ultime apportate, in particolare, dai nuovi artt. 71-bis, 71ter, 71-quater e 155-bis. La restante parte della riforma, invece, ha riguardato specifici e marginali interventi sul codice di procedura civile (art. 23), sulla legge fallimentare (art. 111 R. D. 16 marzo 1942 n. 267) e su norme della legislazione speciale afferenti la materia condominiale (art. 2 legge 9 gennaio 1989 n. 13, in tema di deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche, la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati; art. 26 della legge 9 gennaio 1991 n. 10, relativo alla progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e impianti e, infine, art. 2-bis del decreto legge 23 gennaio 2001 n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 20 marzo 2001 n. 66, relativo alle trasmissioni radiotelevisive digitali su frequenze terrestri). Naturalmente in questa sede non ci occuperemo organicamente dell'intera normativa scaturente dalla riforma, ma solo di quelle disposizioni che possono riguardare, più o meno da vicino, l'attività notarile. 2. L’ART. 63, COMMI 4 E 5, DISP. ATT. C. C., E L’ART. 1130 N. 6) C. C. L’art. 63, secondo comma, vecchio testo delle disposizioni di attuazione prevedeva che "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente". Il precetto è rimasto inalterato nel nuovo testo dell’art. 63: la sola differenza è la sua diversa collocazione, in quanto la detta norma non costituisce più il secondo comma della disposizione citata, ma il quarto. A tal proposito è utile ricordare che il richiamo all’ "anno" fatto dall’art. 63 disp. att. al fine di delimitare l’estensione temporale della responsabilità solidale dell’acquirente viene prevalentemente interpretato - sia in dottrina che in giurisprudenza - come riferito all’anno di gestione o esercizio condominiale e non all’anno solare o civile. L’art. 63 nuovo testo contiene, invece, nel suo quinto e ultimo comma, una disposizione innovativa a mente della quale "chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto". Pertanto, se prima della riforma l'alienante era solo obbligato in via principale (trattandosi, per quanto riguarda le obbligazioni condominiali, di obbligazioni aventi carattere "propter rem") per le obbligazioni sorte durante il periodo in cui era stato proprietario di un immobile facente parte di un condominio - e corrispondentemente l'acquirente rispondeva nei confronti del condominio, in via personale e solidale, per i contributi "relativi all’anno in corso e a quello precedente", fermo restando che, essendo l'obbligato in via principale pur sempre l'ex condomino alienante, a questi poteva essere chiesto il rimborso di quanto l'acquirente avesse pagato per i contributi non versati relativi agli ultimi due anni - dopo la riforma la responsabilità dell'alienante si è "estesa", ma questa volta solo 2 come responsabilità solidale con facoltà di rivalsa sull'acquirente, anche ai contributi maturati (dopo la stipula dell'atto di trasferimento e) fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo stesso. Come si vede, le norme oggi in vigore, quarto e quinto comma, individuano in modo negativo, a contrario, ma comunque molto chiaramente, che, in relazione alle diverse ipotesi previste dalle norme, esiste sempre un obbligato principale ed un obbligato solidale, individuandosi il primo (obbligato principale) nel proprietario del bene in condominio nel momento in cui è sorto l'obbligo di contribuzione, mentre il secondo (obbligato solidale) è colui che, pur non essendo ancora o non essendo più proprietario di detto bene, per esplicita volontà di legge (e comunque per un limitato periodo), onde favorire la riscossione dei contributi condominiali, viene chiamato a rispondere di un'obbligazione altrui. Ed inoltre, proprio questo meccanismo di diverse obbligazioni per le quali la legge prevede pure un obbligato in solido ci dà la misura di come le obbligazioni condominiali possano considerarsi "obligationes propter rem", in quanto dipendenti dalla relazione del titolare del diritto con la cosa oggetto di giuridico dominio; mentre le obbligazioni dell'acquirente (per i contributi pregressi) e dell'alienante (per quelli successivi al trasferimento) hanno carattere personale e limitate al rapporto esterno con il condominio. Ciò significa, in buona sostanza che, come così l'acquirente che abbia pagato per contributi "pregressi" (ex art. 63, oggi comma 4, disp. att.), così pure l’alienante, il quale (ex. art. 63, comma 5, disp. att.) abbia pagato al condominio contributi di spettanza dell’acquirente (in quanto maturati in data successiva all’atto di trasferimento), potrà agire in regresso contro il suo avente causa per recuperare l’intera somma versata al condominio. Il nuovo precetto contenuto nell’art. 63, ultimo comma, disp. att., va coordinato con un’altra novità introdotta dalla riforma e segnatamente con l’art. 1130 n. 6) cod. civ. nuovo testo, che aggiunge alle attribuzioni dell’amministratore quella di "curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare…", nonché di eseguire le variazioni dei suddetti dati, che devono essere comunicate all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. A seguito della riforma, dunque, nell’ipotesi di trasferimento per atto tra vivi, a qualsiasi titolo, di unità immobiliari in regime di condominio, la trasmissione all’amministratore della copia autentica dell’atto di trasferimento è essenziale al fine della liberazione dell’alienante dall’obbligo di contribuzione alle spese condominiali. Ne consegue che sino alla data di trasmissione della suddetta copia autentica, l’alienante è coobbligato solidalmente con l’acquirente, nei confronti del condominio, per tutti i contributi condominiali maturati successivamente alla data del rogito. Pertanto, visto il chiaro dettato legislativo nonché le peculiari conseguenze ricondotte dalla norma alla trasmissione dell'atto all'amministratore del condominio, appare chiaro che, dal punto di vista della natura giuridica, essa trasmissione si configuri come un onere per l'alienante, non certo un obbligo. Infatti, secondo la teoria generale del diritto, si può parlare di onere quando, pur essendo il soggetto onerato libero di tenere o non tenere il comportamento previsto (in virtù di ciò 3 distinguendosi dall'obbligo, non essendo previste sanzioni per l'ipotesi che non venga tenuto), tuttavia solo qualora la condotta venga posta in essere si produrranno a favore del soggetto interessato determinati effetti a lui favorevoli (in questo caso, la liberazione dalla responsabilità solidale per i contributi successivi al trasferimento). Poiché l’art. 66, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (T.U. sull'Imposta di Registro) vieta al notaio di rilasciare copie autentiche (ed estratti) degli atti da lui formati o autenticati prima della registrazione, ci si è chiesto se, nelle more della registrazione, siano ammessi equipollenti alla trasmissione della copia autentica del titolo che determina il trasferimento, quali, ad esempio, la cosiddetta certificazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante, purché provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del registro di anagrafe condominiale. Probabilmente la questione non è di grande rilievo pratico, considerata l’attuale, estrema celerità nell’esecuzione degli adempimenti notarili successivi alla stipula di tutti gli atti di trasferimento di beni immobili e alla conseguente quasi immediata possibilità per il notaio di rilasciare all’alienante una "copia autentica del titolo"; celerità non solo conseguente all'utilizzo delle moderne modalità telematiche di registrazione-trascrizione-voltura, ma anche resa necessaria da quella ormai consolidata giurisprudenza che richiede al notaio la massima sollecitudine nella trascrizione degli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari 1 al fine di non incorrere nella responsabilità professionale conseguente all’opponibilità all’acquirente di eventuali formalità pregiudizievoli trascritte nell’arco di tempo compreso tra la data dell’atto notarile e quella della sua trascrizione. In ogni caso si può ritenere che la finalità informativa cui la norma è preordinata possa essere soddisfatta anche con strumenti equivalenti che offrano le stesse garanzie di autenticità e certezza proprie della copia autentica, quali, in particolare, la già ricordata "certificazione di avvenuta stipula". Nei casi concreti che capiteranno, bisognerà tuttavia ovviamente vedere cosa ne penseranno gli amministratori di condominii che si vedranno recapitare qualcosa di diverso da quanto letteralmente potrebbero pretendere ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 63 disp. att. c.c., e se dunque essi saranno alquanto elastici o recettivi nei confronti delle nostre sottili disquisizioni giuridiche in ordine all'equivalenza di diverse documentazioni formali del medesimo contenuto negoziale. Ci si è chiesto piuttosto se, in caso di mancanza dell'amministratore, sia comunque vigente l'onere previsto dal comma 5 dell'art. 63 disp. att., e in caso di risposta positiva, a quale soggetto indirizzare detta comunicazione. Innnanzi tutto il legislatore ha previsto, con norma innovativa, che è necessario nominare l'amministratore quando i condomini siano più di otto (prima dovevano essere più di quattro; v. art. 1129 c.c.). Ove quindi i condomini siano otto o meno, e comunque in tutte le ipotesi in cui l'assenza dell'amministratore sia patologica (in quanto ad es., pur doverosa la sua presenza, non sia stato, o non sia stato ancora nominato), la legge comunque prevede pur sempre l'esistenza Cfr., ad es., App. Cagliari 4 giugno 2000 s. n., inedita, che giudica addirittura "più che sufficiente" il lasso di tempo di tre giorni dalla stipula. 1 4 di un soggetto che svolga "funzioni analoghe a quelle dell'amministratore" (v. art. 1130 comma 6 in fine, c.c.). Pertanto, si ritiene con una certa qual sicurezza che l'onere di trasmissione di cui al comma 5 dell'art. 63 disp. att. c.c. sia sempre vigente ed attuale, anche in mancanza dell'amministratore, e che in tale ipotesi alla persona di cui sopra vada trasmessa la copia dell'atto di trasferimento. Al fine poi di rendere edotto l'alienante di questo suo nuovo onere e in particolare per dare conto dell'operato del Notaio in ordine alla corretta esplicazione dei suoi doveri professionali di informazione nei confronti delle parti, dal punto di vista operativo può essere utile inserire nei nostri atti, aventi ad oggetto un immobile in condominio, una clausola del genere: "La parte venditrice si dichiara altresì edotta dell'onere a suo carico di trasmettere all'amministratore del condominio una copia autentica del presente atto, essendo allo stesso venditore ben nota la propria responsabilità solidale con l'odierna parte acquirente relativamente a tutti i contributi e le spese condominiali che dovessero maturare fino al momento in cui venga appunto trasmessa all'amministratore una copia autentica del presente atto." Naturalmente, poiché il precetto legislativo si applica a tutte le fattispecie di trasferimento inter vivos, sia oneroso che gratuito, la suddetta clausola andrà adattata alla fattispecie concreta oggetto del nostro ministero (permuta, donazione, conferimento in società, cessione in luogo di adempimento, trasferimento immobiliare in esecuzione di accordi di separazione o divorzio, ecc.). 3. I CONTRIBUTI MATURATI Come deve essere interpretata l’espressione "contributi maturati", contenuta nella norma in commento? In primo luogo va sottolineato che la giurisprudenza ritiene in modo assolutamente concorde che le parti possano introdurre nell’atto di trasferimento un’apposita regolamentazione atta a fissare i criteri idonei a stabilire su chi gravi l’obbligo, nei rapporti interni, di pagare le spese condominiali. Per contro, in difetto di specifica clausola, sono state applicate diverse soluzioni dalla giurisprudenza. Secondo un primo orientamento della Cassazione l’obbligo di pagare le spese condominiali sorgerebbe al momento dell’assunzione della relativa delibera assembleare, onde vi sarebbe comunque tenuto chi in quel momento riveste la qualità di proprietario. Per altre pronunce della Suprema Corte, invece, le spese condominiali dovrebbero gravare sempre sul soggetto che è proprietario nel momento in cui diviene attuale l’obbligo di corrispondere le relative somme (che tendenzialmente coincide con quello di esecuzione dei lavori) senza che assuma rilievo il fatto che tale soggetto fosse o no proprietario al momento dell’assunzione della deliberazione di spesa. 5 Infine, secondo un più recente indirizzo della Cassazione, occorrerebbe distinguere le spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune dalle spese relative a lavori che importino un’innovazione o che comunque determinino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente l’ordinaria manutenzione dello stesso edificio. Per la prima tipologia di spese, l’obbligazione del condomino sorgerebbe con il compimento effettivo dell’attività di gestione che determina l’esborso da parte dell’amministratore, sul presupposto che il pagamento di spese ordinarie rientra nelle attribuzioni proprie dello stesso amministratore. Pertanto tale pagamento - sia o no preceduto da una delibera assembleare assunta in sede di approvazione del preventivo annuale - non richiede una previa e specifica decisione collegiale dei condomini. Per la seconda tipologia, invece, la deliberazione dell’assemblea chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assumerebbe valore di fonte costitutiva dell’obbligazione di ciascun condomino di concorrervi. La complessità del tema e il notevole contenzioso che esso genera, uniti alle oscillazioni della giurisprudenza anche di legittimità, dovrebbero suggerire al notaio, nell’esplicazione della sua storica funzione antiprocessuale, di regolamentare nell’atto di trasferimento di unità immobiliari in regime di condominio la ripartizione dei contributi condominiali nei rapporti interni tra alienante e acquirente con specifica e analitica disciplina idonea ad evitare l’insorgere di successive liti tra vecchio e nuovo condomino. E la soluzione più tuzioristica in materia pare essere quella che utilizza innanzi tutto il duplice criterio della natura straordinaria o no del contributo condominiale e della data della delibera assembleare di assunzione della relativa spesa. In altri termini, sembra consigliabile prevedere che i contributi dovuti per i lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni - e, in ogni caso, per i lavori di importo superiore ad una determinata somma - siano a carico di chi riveste la qualità di proprietario al momento della delibera assembleare di relativa approvazione. Con l’ulteriore precisazione che sarà altresì opportuno inserire un’apposita regolamentazione per i casi in cui l’assemblea del condominio, nel decidere di eseguire lavori di rilevante importo, abbia deliberato di provvedere al loro pagamento non in un’unica soluzione, ma ratealmente a scadenze determinate. In tali ipotesi, infatti, se è indubbio che la delibera assembleare è costitutiva dell’obbligo del condomino di concorrere nel pagamento del relativo contributo, è altrettanto pacifico che tale obbligo diviene concretamente esigibile solo alla scadenza di ogni singola rata. Tutto ciò, in ogni caso, al di là del fatto che per il soggetto acquirente sarà sempre buona norma, prima di procedere all'acquisto, di farsi rilasciare dall'amministratore del condominio una dichiarazione scritta relativamente all'esistenza o meno di pendenze arretrate da parte del condomino alienante; e ciò onde evitare sorprese o possibili esborsi non preventivati, anche in considerazione della giurisprudenza costante della Cassazione (cfr. da ultimo Cass. 23.07.2011 n. 12841) secondo la quale, al di là della 6 responsabilità solidale dell'acquirente per i contributi pregressi con facoltà di rivalersi sull'alienante, l'amministratore può chiedere ed ottenere decreto di ingiunzione solo nei confronti di colui che si trova ad essere attuale proprietario e non contro il cedente ormai non più condomino. Da un altro angolo visuale, è invece interessante notare che l'art. 63 comma 2 disp. att. c.c. ripristina la solidarietà degli altri condomini con il condomino inadempiente, solidarietà che era stata negata dalla Cassazione con la sentenza a SS.UU. n. 9148/2008); in seguito alla riforma dunque i creditori potranno agire anche nei confronti dei condomini in regola, ma solo dopo l'escussione degli altri condomini (quelli inadempienti). 4. IL SUBENTRO PER CAUSA DI MORTE Mentre la norma del comma 4 dell'art. 63 delle disp. att. c.c. sembra potersi applicare anche all'ipotesi di "subentro" per successione mortis causa, viceversa la nuova disposizione legislativa (comma 5) si riferisce, a nostro avviso, solo ai trasferimenti per atto tra vivi e non sembra potersi applicare estensivamente ai trasferimenti mortis causa, naturalmente con tutte le peculiarità conseguenti alle varie ipotesi di successione . Ovviamente, se il trasferimento a causa di morte dell’unità immobiliare in regime di condominio è a titolo universale e a favore di un solo erede o di una pluralità di eredi pro quota, il condominio potrà pretendere il pagamento dei contributi condominiali maturati dopo la morte del de cuius dai coeredi secondo i principi generali e in tali ipotesi comunque l'art. 63 comma 5, non sarebbe entrato in gioco, essendo gli eredi, per definizione, i continuatori della personalità del de cuius, e pertanto confondendosi in essi le diverse posizioni di dante ed avente causa. Viceversa, nelle ipotesi di institutio ex re certa o di legato, non applicandosi il detto comma 5, in seguito alla successione, e a partire dalla data di apertura della stessa, responsabili nei confronti del condominio saranno sempre e soltanto l’erede cui sia stata assegnata in funzione di quota o di porzione di quota l’unità immobiliare ovvero il legatario del bene, indipendentemente dal fatto che l'avvenuta successione sia stata comunicata o meno all'amministratore. Pertanto, in dette ipotesi il condominio potrà richiedere il pagamento dei contributi condominiali maturati dopo l’apertura della successione esclusivamente all'erede ex certa re o al legatario. Per altro verso, pare comunque doveroso comunicare all'amministratore di condominio anche l'eventuale trasferimento mortis causa dell'immobile in condominio. Tale adempimento appare in linea con l'obbligo di tenuta, e le finalità conoscitive, del registro dell’anagrafe condominiale di cui all’art. 1130 n. 6) cod. civ.; pertanto si ritiene che la variazione dei dati del proprietario di unità immobiliari in regime di condominio conseguente al trasferimento a causa di morte a titolo universale o particolare rientri tra le variazioni da apportare al registro dell’anagrafe condominiale, variazioni di dati che devono essere comunicate entro sessanta giorni dall'accadimento che le determina. 7 5. LA SOCIETA' AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO "Anche una società di capitali può essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone giuridiche, quanto all'adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilità, è caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica" (Cass. 24/10/2006 n. 22840). Quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza in via interpretativa, è stato adesso stabilito normativamente con la riforma del condominio. Infatti, da un lato il secondo comma del nuovo art. 1129 cod. civ. dispone che "contestualmente all'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell'incarico, l'amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130 cod. civ. , nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all'amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata." D'altra parte, l'art. 71-bis disp. att. cod. civ. in riferimento ai requisiti per la nomina, al terzo comma afferma che "Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i requisiti (n.d.r.: stabiliti dallo stesso articolo al primo comma) devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi. Detto fra parentesi, non appare necessario occuparci analiticamente dei requisiti richiesti dalla legge per poter svolgere l'attività di amministratore di condominio in quanto, anche nel caso di società che potremmo avere l'incarico di costituire, detti requisiti non attengono al momento costitutivo (non sono requisiti della costituzione) della società, ma occorrono per l'esercizio concreto dell'attività sociale di amministratore (l'art. 71-bis disp. att. c.c. inizia appunto così: "Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio coloro che…"), e quindi possono legittimamente ancora non esserci all'atto della costituzione; basta invece che essi siano presenti nel momento dell'esercizio concreto della loro attività. Pertanto, tutte le società lucrative (s.s., s.n.c., s.a.s., s.r.l, s.p.a., s.a.p.a.) possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio. Non invece le società cooperative (che trovano la loro disciplina nel titolo VI del libro V), né, ammesso che ce ne fosse il dubbio, le società consortili, disciplinate dal titolo X dello stesso libro. Dubbio era invece se potevano avere come oggetto l'attività di amministrazione di condominii le c.d. società a responsabilità limitata a capitale ridotto (S.R.L.C.R.). Infatti (a differenza delle c.d. S.R.L. Semplificate, per le quali venne introdotto nel codice l'art. 2463-bis), esse trovavano la loro collocazione normativa al di fuori del codice civile, e precisamente erano state introdotte nell'ordinamento giuridico ad opera dell'art. 44 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (Decreto Sviluppo) . 8 Una interpretazione letterale dell'art. 71-bis disp. att. cod. civ. avrebbe portato dunque ad escludere la S.R.L.C.R. dal novero delle società che possono svolgere l'attività di amministratore di condominio. Tuttavia, sarebbe stata da preferire una interpretazione estensiva della norma in oggetto, in considerazione sia del dato normativo presente nello stesso citato art. 44 (secondo cui a tali società si applicano, con determinati aggiustamenti, le norme in tema di S.R.L. Semplificate, nonché, previo giudizio di compatibilità, le norme dettate dal codice per le ordinarie S.R.L.) , sia, più in generale, perché è ormai comune opinione considerare, sia la S.R.L. Semplificata che la S.R.L.C.R. non come nuove e diverse forme societarie, bensì solo dei sottotipi dell'ordinaria società a responsabilità limitata compiutamente regolamentata dal codice. In ogni caso, ormai qualsiasi dubbio in materia è stato spazzato via dall'abolizione di dette società a r.l. con capitale ridotto, avvenuta ad opera del decreto-legge 28 giugno 2013 n. 76, art. 9 comma 14. 6. DISPOSIZIONI SULL'AMMINISTRAZIONE IN GENERALE Appaiono di un qualche interesse per la nostra categoria le seguenti disposizioni. a) Durata in carica dell'amministratore Il vecchio art. 1129 c.c., al comma 2, così recitava: "L'amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall'assemblea." Oggi, il comma 10 dell'art. 1129 c.c. stabilisce che: "L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore." Come si vede il legislatore ha preso espressa posizione sul c.d. "rinnovo tacito" della carica di amministratore, cosa che poteva essere molto dubbia con la precedente disposizione. Tuttavia, non viene dalla legge fugato il dubbio seguente: cosa succede all'amministratore che, nominato per un anno e tacitamente rinnovato per un altro anno, abbia concluso anche il secondo anno di mandato? può essere ancora nuovamente tacitamente confermato o necessita di una espressa delibera di nomina? Insomma, la domanda è: il rinnovo tacito è solo per un anno e basta, ovvero si può avere di anno in anno (come sembrerebbe logico; trattandosi peraltro di opinione per la quale, al di là del dato normativo, propendo)? b) Tenuta dei registri condominiali Fra le incombenze dell'amministratore, risultano interessanti quelle relative alla tenuta di una serie di registri di nuova istituzione (registri che potremmo essere chiamati a vidimare ed a cui occorre quindi, seppur succintamente, fare cenno in questa sede). 9 Infatti egli, a mente dei nn. 6) e 7) dell'art. 1130 c.c., deve: - curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, compren­ sive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immo­ biliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. In particolare, ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incomple­ tezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili; - curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità. Nel registro dei verbali delle assemblee sono altresì annotate: le eventuali mancate costituzioni dell'assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condo­ mini che ne hanno fatto richiesta; allo stesso registro è allegato il regolamento di con­ dominio, ove adottato. A tal proposito, ricordiamo che non è stata modificata la norma di cui all'art. 1138 c.c., se­ condo la quale è obbligatorio dotarsi di un regolamento solo quando i condomi­ ni sono in numero superiore a dieci. Tale numero deve riferirsi non alle unità immobiliari presenti nell'edificio né alle persone titolari o contitolari di diritti reali su dette unità immobiliari, bensì alle "situazioni di pro­ prietà o comproprietà" delle singole unità immobiliari, situazioni qualificabili in termini di centri di imputazioni di diritti e doveri che per essere considerate unitariamente - e quindi computate a questi fini come un solo "condomino" -, devono presentare una identica com­ posizione personale ed una identica ripartizione di diritti. Insomma, deve essere considerato come "un solo condomino" sia il proprieta­ rio di più unità immobiliari di un certo condominio, sia la pluralità di com­ proprietari - o di titolari di diritti reali parziari - di un'unica unità immobilia­ re. Nel registro di nomina e revoca dell'amministratore sono annotate, in ordine cro­ nologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio, nonché gli estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale. Nel registro di contabilità sono invece annotati in ordine cronologico, entro trenta gior­ ni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità informatizzate. c) Nomina e revoca dell'amministratore In tema di nomina e revoca dell'amministratore, due questioni appaiono di un certo interesse. 10 In primo luogo, com'è ovvio anche senza scomodare l'art. 36 della Costituzione 2, l'amministratore ha diritto ad un retribuzione, che comunque è meramente "eventuale" (come ci dice l'art. 1135 c.c., che statuendo sulle attribuzioni dell’assemblea dei condomini, al comma 1 n. 1) stabilisce che essa provvede: "1) alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione;"). Stabilisce poi la legge, ai sensi dell'art. 1129 comma 14 c.c., che l'amministratore "all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta." A parte dunque le ipotesi (residuali) di incarico gratuito, per le quali dunque quest'ultima norma non fa gioco, abbiamo, nel caso di incarico retribuito, l'obbligo, per l'amministratore di indicare nell'atto di nomina, l'importo del compenso stabilito dall'assemblea. La norma non ha una motivazione chiara, atteso che l'importo della retribuzione è già stato stabilito nella delibera di nomina e quindi risulta dal relativo verbale. Di più, con la sanzione della nullità apposta non all'accettazione ma alla stessa nomina, appare avere un contenuto molto "originale". Infatti, una delibera di nomina che nasce pienamente valida ed efficace in quanto munita di tutti i requisiti previsti dal legislatore, può essere resa successivamente nulla a seguito di un posteriore comportamento omissivo (che può essere più o meno voluto, poco importa), addirittura posto in essere da parte di un soggetto diverso (l'amministratore designato) rispetto a quello (l'assemblea condominiale) che prese la delibera. Se non siamo alla follia, poco ci manca... Forse, per dare un senso a qualcosa che forse un senso non ce l'ha (mi sia consentita la citazione di Vasco Rossi), potrebbe essere opportuno interpretare la norma come se avesse voluto dire che, in mancanza dell'indicazione del compenso dovuto, è nulla la dichiarazione di accettazione della nomina fatta dal designato amministratore, e non certo la delibera assembleare; con la conseguenza che la detta dichiarazione andrebbe dunque soltanto ripetuta nei suoi corretti termini. Per quanto invece riguarda le ipotesi di revoca dell'amministratore da parte dell'assemblea, la legge di riforma prevede, con indicazione analitica, una serie di "gravi irregolarità" che possono dare luogo a tale revoca. In particolare, ai sensi del n. 5 del comma 12 dell'art. 1129 c.c., costituisce grave irregolarità "l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio". La norma è da leggersi in correlazione con l'art. 2883 comma 2 c.c., secondo il quale "Il rappresentante legale dell'incapace e ogni altro amministratore, anche se autorizzati a esigere il credito e a liberare il debitore, non possono consentire la cancellazione dell'iscrizione, ove il credito non sia soddisfatto." Art. 36, comma 1, Cost.: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa." 2 11 In un certo qual senso la nuova norma costituisce una sorta di possibile sanzione, tipizzata dal legislatore, per l'amministratore infedele o anche solo sbadato, che abbia consentito una cancellazione di formalità ipotecaria in assenza di soddisfazione del condominio. E l'irregolarità è comunque tale già solo in virtù della prestazione del consenso a cancellare, indipendentemente dal fatto che poi la relativa annotazione sia andata o meno a buon fine (magari a causa del rifiuto del conservatore dei RR.II. ad eseguire la richiesta annotazione in mancanza della quietanza ovvero di una dichiarazione attestante la integrale soddisfazione delle ragioni creditorie del condominio). 7. LA NATURA GIURIDICA DEL CONDOMINIO E IL NUOVO DETTATO DELL'ART. 2659 C.C. La riforma del condominio ha perso una grossa occasione per dare un'indicazione precisa in ordine alla natura del condominio; natura in ordine alla quale varie sono e sono state le opinioni via via formulate. L'opinione prevalente (Branca), avallata dalla giurisprudenza durante la vigenza della precedente normativa, vede nel condominio non un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione sui generis che opera - in rappresentanza e nell'interesse comune dei partecipanti - per l'amministrazione delle cose di proprietà comune. Si tratterebbe in particolare di un ente capace di assumere obblighi e di essere titolare di diritti, così da potergli essere attribuita una limitata capacità giuridica ed una certa autonomia patrimoniale. Tale orientamento (e cioè che non ci troviamo di fronte ad un soggetto giuridico vero e proprio) è fra l'altro confermato dalle previsioni - che non sono state sostanzialmente modificate dalla riforma - dell'art. 1131 comma 1 c.c., che stabilisce che "Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.", nonché dell'art. 65 disp. att. c.c. secondo il quale "Quando per qualsiasi causa manca il legale rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o proseguire una lite contro i partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore speciale...". Come si nota, entrambe le norme parlano di "rappresentanza dei partecipanti o dei condomini", e non certo di "rappresentanza del condominio", quasi a voler significare una presa di distanza dal considerare il condominio come soggetto a sé stante. Tuttavia, come detto, è pur vero che persistono, ed anzi si rafforzano con la riforma, anche una serie di indici normativi che potrebbero indurre al riconoscimento di una qualche soggettività in capo al condominio. Già lo erano, elementi in tal senso, l'esistenza dell'assemblea condominiale, che viene disciplinata come organo deliberante in base al metodo collegiale, nonché l'articolazione organica fra assemblea ed amministratore, con i poteri peculiari attribuiti all'organo esecutivo. Ad essi si è aggiunto quello che potremmo definire l'indice normativo più cospicuo in favore della soggettività, e cioè quello che si ritrae dall'art.2659 cod. civ., vale a dire dalla norma che, in tema di pubblicità immobiliare, indica il contenuto della nota di trascrizione. 12 Infatti, alla fine del n. 1 del comma 1 di detto articolo, per effetto della modifica introdotta dall'art. 17 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, si dice espressamente che, ai fini della trascrizione, "per i condominii devono essere indicati l'eventuale denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale". In questo modo si è pure data dignità normativa alla prassi instauratasi in seguito alla Circolare 128/T del 2 maggio 1995 (Istruzioni per la compilazione delle note meccanizzate), circolare la quale non solo ha previsto un apposito codice per la trascrizione del regolamento di condominio (cod. 144), ma aveva anche anticipato l'odierno legislatore prevedendo, al par. 5.6, che esso dovesse essere indicato nella nota con la dizione "Condominio ... (per l'eventuale denominazione)", nonché con la sede (cioè l'indirizzo) e il codice fiscale. C'è tuttavia da notare che analoga integrazione non è stata apportata all'art. 2839 c.c. in relazione alle indicazioni contenute nella nota di iscrizione; ma ritengo sia solo una svista del legislatore cui la pratica, che già ammetteva le iscrizioni a favore di un condominio, ha di fatto sopperito da tempo. Sono dunque indicazioni già recepite nella prassi, non solo in tema di trascrizione del regolamento di condominio, bensì molto più spesso in quelle ipotesi di iscrizioni di formalità ipotecarie a carico di condomini morosi (in seguito a decreto ingiuntivo che l'amministratore, per espressa disposizione del primo comma dell'art. 63 disp. att. c.c., può ottenere senza doversi munire di apposita delibera assembleare). A proposito di queste iscrizioni ipotecarie a favore del condominio, fermo restando il disposto dell' art. 2883 c.c. comma 2 già citato nonché del comma 12 dell'art. 1129 c.c. è ormai opinione consolidata anche a livello di prassi (v. Risoluzione n. 2 del 22.11.2005 emanata dal Direttore dell'Agenzia del Territorio) che l'amministratore di condominio, una volta che questo sia stato saldato di tutte le pendenze dovute, possa legittimamente prestare il consenso alla cancellazione delle ipoteche prese a favore del condominio, e ciò senza che sia necessaria una apposita delibera assembleare autorizzativa né, tanto meno una procura a suo favore da parte di tutti condomini. Precisa infatti detta risoluzione che "...il potere di rilascio del consenso alla cancellazione dell’ipoteca, in quanto conseguente all’adempimento del debito da parte del condomino moroso, è da considerare direttamente connesso all’azione di recupero intrapresa dall’amministratore (azione di recupero che non richiede intervento dell'assemblea nemmeno nel caso di richiesta di decreto ingiuntivo nei confronti del condomino inadempiente: cfr. art. 63 comma 1 disp.att. c.c), ed è quindi sussumibile (connesso e conseguente) ai poteri attribuiti in maniera autonoma all’amministratore.”. Mentre se egli vorrà evitare la possibile revoca e adempiere al dettato del citato art. 2883 comma 2 c.c., dovrà essere previamente autorizzato dall'assemblea per consentire la cancellazione di formalità prese a garanzia di crediti del condominio non ancora, o non ancora totalmente, soddisfatti. 8. IL SUPERCONDOMINIO Con la riforma del condominio sono stati dati, anche se in maniera implicita, dignità e avallo anche normativi alla figura del supercondominio nonché al c.d. condominio 13 orizzontale (villette a schiera, villaggi residenziali, ecc., ove le parti comuni sono normalmente esterne ai fabbricati). Infatti, l'art. 1117-bis c.c. , dispone che "Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117." Mentre l'art. 67 comma 3 delle disp. att. c.c. si occupa dell'assemblea del supercondominio e delle regole di partecipazione ad essa da parte dei partecipanti ai vari condominii formanti il detto supercondominio. Il supercondominio consiste nella considerazione unitaria di una pluralità di edifici, ciascuno dei quali, a propria volta, forma un condominio. L'unificazione tra più fabbricati condominiali dipende dal fatto che siano posti al servizio di essi talune pertinenze ed accessori, quali esemplificativamente una comune area costituente l'accesso alla via pubblica, vani interrati ad uso autorimessa, box e locali tecnici, comuni servizi o impianti quali il riscaldamento e condizionamento, la piscina, la portineria, ectc. Il problema pratico che si presenta in queste ipotesi è quello delle decisioni relative alla manutenzione, all'introduzione di innovazioni, all'esercizio delle facoltà di disposizione, al riparto delle spese di gestione. Quanto alla configurazione giuridica, la giurisprudenza, anche prima della citata novella, delineava il supercondominio come un'ulteriore entità condominiale rispetto alla quale i singoli partecipi sarebbero comunque pur sempre i singoli condomini titolari della proprietà esclusiva di una qualsiasi unità immobiliare. Ne seguiva l'applicazione (anche in via estensiva: cfr. Cass. Civ. Sez.II, 13883/10) della normativa relativa al condominio per quanto attiene agli enti da considerarsi comuni ex art. 1117 cod. civ., dovendo invece le ulteriori strutture dotate di autonoma funzionalità essere eventualmente soggette alla normativa in tema di comunione ordinaria. Non avrebbe potuto dunque l'assemblea del supercondominio essere composta dai singoli amministratori dei veri complessi condominiali. In virtù della nuova normativa non si farà dunque più questione di applicazione in via analogica ovvero estensiva della normativa condominiale, stante l'esplicito richiamo in via diretta. 9. LE PARTI COMUNI Il nuovo art. 1117 c.c. ha provveduto a disciplinare in modo più compiuto le parti comuni condominiali, e ciò anche in relazione alla diversa realtà attuale rispetto all'epoca in cui fu approvato il codice civile. Detto articolo infatti cosi recita: "1117. Parti comuni dell'edificio Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari del­ l'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 14 1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le sca­ le, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la porti­ neria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche." Interessante, ai nostri fini, è pure il disposto dell'art. 1118 c.c., che ai primi due commi, dopo aver statuito che "il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene", dispone, con norma dichiarata inderogabile da parte di un regolamento di condominio assembleare per espresso disposto del penultimo comma dell'art. 1138 c.c., che "il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni" (diverso è invece il caso della rinunzia all'utilizzo di alcuni impianti comuni condizionamento, riscaldamento -, rinunzia consentita in presenza di determinati presupposti: mancanza di squilibri di funzionamento, o di aggravi di spesa per gli altri condomini). Questa norma si pone in aperta controtendenza rispetto al precetto generale in tema di comunione, ove il primo comma dell'art. 1104 c.c. stabilisce che: "Ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto." Pertanto, è di tutta evidenza la possibilità di rinunciare alla quota sulla cosa comune in tema appunto di comunione ordinaria. Ma anche in tema di condominio, fino alla recente riforma, la normativa era di segno opposto all'attuale. Infatti, il secondo comma dell'art. 1118 c.c. prevedeva che: "Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione." Con ciò implicitamente affermando che la rinuncia al diritto sulle cose comuni era possibile, senza che tuttavia tale rinuncia consentisse di sottrarsi al pagamento di spese e contributi relativi ad esse. Può infine essere interessante notare l'introduzione dell'art. 1117-ter c.c., che disciplina le modificazioni della destinazione d'uso delle parti comuni (ad es., l'ex abitazione del portiere), modificazioni che potranno essere deliberate con il voto favorevole dei 4/5 dei partecipanti al condominio e del valore dell'edificio. E' da notare che il legislatore non voluto introdurre un'altra importante novità, che era stata prevista nella prima versione della riforma e che sarebbe stata rivoluzionaria, ovvero 15 la possibilità di cedere le parti comuni con il voto favorevole di una maggioranza, seppur rinforzata, e non, com'era prima e com'è tutt'ora, con l'unanimità dei consensi. In tale scelta di continuità (fra l'altro coerente con la norma dell'art. 1119 c.c. che prevede espressamente il necessario consenso unanime per dividere le parti comuni condominiali) può leggersi la volontà del legislatore di non spingere sulla soggettività del condominio, visto che consentire a una maggioranza di trasferire un bene comune pure ad altri avrebbe avvicinato ulteriormente il condominio ad una figura di ente personificato che non ancora oggi gli compete, allontanandolo vieppiù dal genus dato dalla comunione di diritti reali (ove, salvi i rimedi giurisdizionali, la volontà dei comunisti di alienare il bene deve essere unanime). 10. IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO Il nuovo testo dell’art. 1138 cod. civ. contiene altre due novità. La prima riguarda il terzo comma della disposizione in commento nella parte in cui prevede che il regolamento, una volta approvato dall’assemblea, deve essere «allegato al registro indicato dal n. 7 dell’art. 1130», ossia al registro dei verbali delle assemblee. La previgente disciplina, invece, prevedeva che il regolamento dovesse essere trascritto nel registro indicato dall’art. 1129 vecchio testo cod. civ., ossia nel registro tenuto presso l’associazione professionale dei proprietari dei fabbricati, ma la norma non aveva avuto pressoché applicazione stante la soppressione dell’ordinamento corporativo e con esso dell’associazione dei proprietari dei fabbricati disposta con il D.Lg.Lgt. 23 novembre 1944 n. 369. L’art. 1138 cod. civ., tuttavia, disciplina il regolamento assembleare di condominio, non anche quello contrattuale. Tuttavia se l’obbligo di allegazione introdotto dalla nuova norma venisse ritenuto applicabile, in via di interpretazione estensiva, anche al regolamento contrattuale, si potrebbero superare in futuro le frequenti difficoltà oggi riscontrabili nel materiale reperimento di quest’ultimo regolamento ai fini della sua allegazione negli atti di trasferimento. 16 Allegazione che attualmente è opportuna (e per qualche interprete financo necessaria3) al fine di rendere comunque opponibili al nuovo condomino gli eventuali pesi, restrizioni e/o limiti gravanti sull’unità immobiliare dal medesimo acquistata e contenuti appunto nel regolamento in questione. La seconda modifica apportata dalla riforma all’art. 1138, vecchio testo, cod. civ. concerne il precetto, introdotto nel nuovo quinto (e ultimo) comma della disposizione in commento, in forza del quale «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». La versione iniziale, licenziata dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, faceva riferimento agli «animali da compagnia». Nei primi commenti si è sottolineato che la diversa espressione «animali domestici» sarebbe stata adottata per non legittimare la presenza all’interno delle unità immobiliari in condominio delle più svariate specie di 3 Cfr. nota 33 allo Studio Civilistico n. 320-2013/C, La Riforma del condominio. Prime riflessioni su alcune delle nuove disposizioni di interesse notarile, estensore M. Corona: "Invero la vendita dell’unità immobiliare in regime di condominio compiuta da parte dell’originario costruttore dell’edificio è sottoposta alla disciplina del Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 6 (cd. codice del consumo), ogni qualvolta l’acquirente sia un soggetto che riveste la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. a) di tale codice. In questi casi, dunque, la vendita, è esposta all’applicazione dell’art. 33, secondo comma, lett. l) del codice del consumo che presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola che prevede «l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto». Di conseguenza, è altresì esposta alla nullità di protezione sancita dall’art. 36, secondo comma, dello stesso codice, che scatta anche qualora la stessa clausola si stata oggetto di trattativa. Per questa ragione ritengo che nelle vendite fatte dal costruttore, la soluzione più tuzioristica - e, ancor prima, più rispondente alla storica funzione antiprocessuale propria del ministero notarile (cfr. supra nt. 22) - sia quella di allegare a ciascun atto il regolamento contrattuale di condominio ogni qualvolta l’acquirente sia un consumatore. Soluzione preferibile, ma, non obbligata, dato che secondo la giurisprudenza, anche recente, della Cassazione «le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale … sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora … nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto e accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto» (così Cass., Sez. II, 31 luglio 2009 n. 17886). Con l’avvertenza, però, che occorre cautela nell’appoggiarsi ai principi enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza citata perché essi risentono delle peculiarità del caso concreto su cui il giudice di legittimità si è pronunziato. Da un lato, infatti, la fattispecie oggetto di decisione si era perfezionata ben prima dell’entrata in vigore del codice del consumo e, dall’altro, nella compravendita per cui era causa il divieto sancito dal regolamento condominiale di adibire ad uso alberghiero tutte le unità immobiliari dell’edificio di cui faceva parte l’immobile venduto era stato espressamente e specificamente esplicitato nel corpo dell’atto. In altri termini, quel divieto era operante non perché oggetto di una relatio (che riguardava soltanto il restante contenuto del regolamento) ma in quanto era stato riprodotto in una esplicita pattuizione inserita nel contratto: quindi non poteva essere messa in dubbio la sua vincolatività. Per contro, la successiva circolazione dell’unità immobiliare è sottratta all’applicazione del codice del consumo ogni qual volta il venditore della stessa (a suo tempo acquirente immediato del costruttore) non sia un professionista ovvero (qualora lo sia) non sia un consumatore l’acquirente (ai sensi dell’art. 3, rispettivamente primo comma, lett. c) e primo comma lett. a) del codice del consumo)." 17 animali - come quelli esotici (pesci, pappagalli), pericolosi (pitoni, tigri) o da fattoria (capre, maiali) - e limitarla soltanto agli animali che rientrino nelle ordinarie consuetudini familiari (come i cani e i gatti) e non anche a quelli che possano essere in qualche modo «addomesticati». In realtà non c’è dubbio che a seguito della riforma il regolamento di condominio non può più impedire ai condomini di possedere o detenere cani o gatti all’interno delle rispettive proprietà individuali, ovvero di servirsi insieme ai suddetti animali delle parti comuni dell’edificio, quali le scale, l’ascensore o il cortile. Ma la stessa soluzione dovrebbe valere anche per altre specie di animali come gli uccellini da gabbia, i pesci d’acquario, i piccoli roditori (criceti e cavie), per i quali - ovviamente - non si porrà il problema della utilizzazione da parte degli stessi delle parti condominiali essendo i medesimi destinati a rimanere all’interno delle singole proprietà esclusive dei condomini. Si discute se la norma sia applicabile soltanto ai regolamenti di condominio che saranno redatti successivamente all’entrata in vigore della riforma o anche a quelli formati prima di tale data. La questione in realtà non riguarda soltanto la disposizione in esame ma tutte le nuove norme che siano in contrasto con la precedente disciplina. In altri termini, occorre chiedersi in generale quale sia la sorte delle clausole dei regolamenti di condominio vigenti prima della riforma che si pongano in contrasto con le disposizioni inderogabili della legge n. 220/2012. Preliminarmente va sottolineato che l’attuale legislatore è stato meno puntuale dei suoi predecessori. Manca infatti nella riforma una norma analoga a quella contenuta nell’art. 155, secondo comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie del codice civile che, con riferimento ai regolamenti formati prima del 28 ottobre 1941, si premuniva di stabilire che cessavano «di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice e nell’articolo 72 di queste disposizioni». La legge 11 dicembre 2012 n. 220 appare ancor più carente sotto il profilo della regolamentazione degli effetti transitori della nuova disciplina se la si raffronta con la riforma del diritto societario che, invece, conteneva un’analitica regolamentazione della materia, affidata agli artt. 223bis - 223-sexies delle disposizioni di attuazione, introdotti appunto dal Decreto Legislativo 17 gennaio 2003 n. 6. Ciò premesso, sembra preferibile ritenere che la riforma incida anche sui regolamenti di condominio formati prima della sua entrata in vigore dato che i medesimi dovrebbero considerarsi alla stregua dei contratti ad esecuzione continuata, rispetto ai quali lo ius superveniens è applicabile ai rapporti sorti successivamente al loro perfezionamento. Ne consegue che le clausole dei vecchi regolamenti di condominio, in contrasto con le nuove disposizioni inderogabili introdotte dalla riforma, devono intendersi automaticamente adeguate ovvero affette da sopravvenuta inefficacia laddove l’adeguamento non sia in concreto possibile. Infine, in tema di regolamento di condominio, è nota la distinzione fra regolamento "as­ sembleare" e regolamento "contrattuale". Il primo, espressamente disciplinato dall'art. 1138 c.c., deve essere formato quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, e "contiene le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi 18 spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro del­ l’edificio e quelle relative all’amministrazione", e "deve essere approvato dal­ l’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 (n.d.r.: maggioranza degli intervenuti - i quali intervenuti devono rappresentare la maggioranza dei partecipanti al condominio - e almeno la metà del valore dell'edifi­ cio." Pertanto la natura giuridica del regolamento assembleare è quella di un atto collettivo a carattere normativo. Viceversa, il regolamento contrattuale di regola viene predisposto al di fuori di un'as­ semblea ed è sottoposto al consenso di ciascun condomino in un momento diverso rispetto a quello della sua formazione (di solito al momento dell'acquisto dell'unità immobiliare in condominio da potere del costruttore-primo venditore, ovvero mediante espresso mandato a redigere detto regolamento conferito dalla parte acquirente a favore del costruttore e contenuto nel medesimo atto di compravendita). Esso ha dunque natura di contratto plurilaterale, trattandosi di un atto posto in esse­ re in esito al raggiungimento del consenso da parte di tutti i condomini che vi aderiscono. La differenza rispetto al regolamento approvato con la maggioranza di cui all'art. 1136 cod.civ. consiste nel fatto che il regolamento contrattuale può porre delle limitazioni af­ ferenti ai diritti soggettivi dei singoli condomini. Si parla a tal proposito anche di oneri reali (Cass. Civ. Sez. II, n. 11019/91) ribadendosi in giurisprudenza che l'apponibilità di essi è, in ogni caso, subordinata all'espressione del consenso unanime. Occorre comunque sottolineare che la riforma non sembra offrire nuove soluzioni al prin­ cipale problema posto dai regolamenti contrattuali di condominio contenenti pesi, restri­ zioni e/o limiti - il cui contenuto può essere assai vario - alle proprietà individuali dei sin­ goli condomini. Problema che è quello della trascrizione (e degli eventuali effetti di essa) di tali regolamenti al fine di rendere opponibili detti pesi, restrizioni e/o limiti agli aventi causa dal costruttore dell’edificio ovvero ai successivi sub-acquirenti. 19