GIUSEPPE PAPPALARDO
LA RIFORMA DEL CONDOMINIO
ASPETTI DI INTERESSE NOTARILE
Sommario:
1. cenni introduttivi - 2. l’art. 63, commi 4 e 5, disp. att. c. c., e l’art. 1130 n. 6) c. c. - 3. i
contributi maturati - 4. il subentro per causa di morte - 5. la società amministratore di
condominio - 6. disposizioni sull'amministrazione in generale - 7. la natura giuridica del
condominio e il nuovo dettato dell'art. 2659 c.c. - 8. il supercondominio - 9. le parti
comuni - 10. il regolamento di condominio
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1. CENNI INTRODUTTIVI
La legge 11 dicembre 2012 n. 220 intitolata «Modifiche alla disciplina del
condominio negli edifici», ha inciso significativamente sulla materia condominiale.
Detta legge è entrata in vigore il 18 giugno 2013.
Infatti la norma transitoria in essa contenuta (art. 32) ha ampliato l’ordinario periodo
di vacatio prevedendo che le nuove disposizioni abbiano vigenza "dopo sei mesi dalla data"
della loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 17 dicembre 2012.
Nonostante alcune voci contrarie (in particolare Petrelli), che ritenevano l'entrata in vigore
della legge fissata al 17 giugno 2013, la norma transitoria citata pare chiara nel prevedere lo
spirare della vacatio "dopo" sei mesi e non "allo spirare" dei sei mesi dalla pubblicazione; e
dopo significa, appunto, dopo che il termine sia spirato, cioè il giorno dopo il compiersi dei
mesi indicati.
La legge di riforma si compone di 32 articoli, di cui i primi 26 apportano modifiche
alla previgente disciplina incidendo sul codice civile e sulle disposizioni di
attuazione del medesimo. La riforma, infatti, ha riscritto innanzi tutto il capo II del
titolo VII del libro II del codice civile - lasciandone peraltro invariata l’intitolazione (Del
condominio negli edifici) - innovando il contenuto precettivo di alcuni degli articoli in esso
contenuti ovvero effettuando dei meri ritocchi lessicali al dettato di altri o, ancora,
inserendo tramite la tecnica della novellazione nuovi articoli-bis,-ter e-quater.
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Sempre con riferimento al codice civile è stato inoltre integrato il testo dell’art. 2659 con
l’aggiunta delle indicazioni che deve contenere la nota di trascrizione quando uno dei
soggetti, a favore o contro cui trascrivere, sia un condominio.
Nello stesso modo la riforma è intervenuta sulle disposizioni di attuazione del codice civile:
anche i previgenti artt. 63 - 70 sono stati oggetto di sostanziali modifiche, aggiustamenti
formali o integrazioni, queste ultime apportate, in particolare, dai nuovi artt. 71-bis, 71ter, 71-quater e 155-bis.
La restante parte della riforma, invece, ha riguardato specifici e marginali interventi
sul codice di procedura civile (art. 23), sulla legge fallimentare (art. 111 R. D. 16
marzo 1942 n. 267) e su norme della legislazione speciale afferenti la materia
condominiale (art. 2 legge 9 gennaio 1989 n. 13, in tema di deliberazioni che hanno per
oggetto le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche, la realizzazione di
percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità
dei ciechi all’interno degli edifici privati; art. 26 della legge 9 gennaio 1991 n. 10, relativo
alla progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e impianti e, infine, art. 2-bis del
decreto legge 23 gennaio 2001 n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 20 marzo 2001
n. 66, relativo alle trasmissioni radiotelevisive digitali su frequenze terrestri).
Naturalmente in questa sede non ci occuperemo organicamente dell'intera normativa
scaturente dalla riforma, ma solo di quelle disposizioni che possono riguardare, più o meno
da vicino, l'attività notarile.
2. L’ART. 63, COMMI 4 E 5, DISP. ATT. C. C., E L’ART. 1130 N. 6) C. C.
L’art. 63, secondo comma, vecchio testo delle disposizioni di attuazione prevedeva che
"chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con
questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello
precedente".
Il precetto è rimasto inalterato nel nuovo testo dell’art. 63: la sola differenza è la sua
diversa collocazione, in quanto la detta norma non costituisce più il secondo comma della
disposizione citata, ma il quarto.
A tal proposito è utile ricordare che il richiamo all’ "anno" fatto dall’art. 63 disp. att. al fine
di delimitare l’estensione temporale della responsabilità solidale dell’acquirente viene
prevalentemente interpretato - sia in dottrina che in giurisprudenza - come riferito
all’anno di gestione o esercizio condominiale e non all’anno solare o civile.
L’art. 63 nuovo testo contiene, invece, nel suo quinto e ultimo comma, una
disposizione innovativa a mente della quale "chi cede diritti su unità immobiliari
resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati
fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del
titolo che determina il trasferimento del diritto".
Pertanto, se prima della riforma l'alienante era solo obbligato in via principale (trattandosi,
per quanto riguarda le obbligazioni condominiali, di obbligazioni aventi carattere "propter
rem") per le obbligazioni sorte durante il periodo in cui era stato proprietario di un
immobile facente parte di un condominio - e corrispondentemente l'acquirente rispondeva
nei confronti del condominio, in via personale e solidale, per i contributi "relativi all’anno
in corso e a quello precedente", fermo restando che, essendo l'obbligato in via principale
pur sempre l'ex condomino alienante, a questi poteva essere chiesto il rimborso di quanto
l'acquirente avesse pagato per i contributi non versati relativi agli ultimi due anni - dopo
la riforma la responsabilità dell'alienante si è "estesa", ma questa volta solo
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come responsabilità solidale con facoltà di rivalsa sull'acquirente, anche ai contributi
maturati (dopo la stipula dell'atto di trasferimento e) fino al momento in cui è trasmessa
all’amministratore copia autentica del titolo stesso.
Come si vede, le norme oggi in vigore, quarto e quinto comma, individuano in modo
negativo, a contrario, ma comunque molto chiaramente, che, in relazione alle diverse
ipotesi previste dalle norme, esiste sempre un obbligato principale ed un
obbligato solidale, individuandosi il primo (obbligato principale) nel proprietario del
bene in condominio nel momento in cui è sorto l'obbligo di contribuzione, mentre il
secondo (obbligato solidale) è colui che, pur non essendo ancora o non essendo più
proprietario di detto bene, per esplicita volontà di legge (e comunque per un limitato
periodo), onde favorire la riscossione dei contributi condominiali, viene chiamato a
rispondere di un'obbligazione altrui.
Ed inoltre, proprio questo meccanismo di diverse obbligazioni per le quali la legge prevede
pure un obbligato in solido ci dà la misura di come le obbligazioni condominiali
possano considerarsi "obligationes propter rem", in quanto dipendenti dalla relazione
del titolare del diritto con la cosa oggetto di giuridico dominio; mentre le obbligazioni
dell'acquirente (per i contributi pregressi) e dell'alienante (per quelli successivi al
trasferimento) hanno carattere personale e limitate al rapporto esterno con il
condominio.
Ciò significa, in buona sostanza che, come così l'acquirente che abbia pagato per contributi
"pregressi" (ex art. 63, oggi comma 4, disp. att.), così pure l’alienante, il quale (ex. art. 63,
comma 5, disp. att.) abbia pagato al condominio contributi di spettanza dell’acquirente (in
quanto maturati in data successiva all’atto di trasferimento), potrà agire in regresso contro
il suo avente causa per recuperare l’intera somma versata al condominio.
Il nuovo precetto contenuto nell’art. 63, ultimo comma, disp. att., va coordinato con
un’altra novità introdotta dalla riforma e segnatamente con l’art. 1130 n. 6)
cod. civ. nuovo testo, che aggiunge alle attribuzioni dell’amministratore quella di
"curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità
dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento,
comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna
unità immobiliare…", nonché di eseguire le variazioni dei suddetti dati, che devono essere
comunicate all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni.
A seguito della riforma, dunque, nell’ipotesi di trasferimento per atto tra vivi, a
qualsiasi titolo, di unità immobiliari in regime di condominio, la trasmissione
all’amministratore della copia autentica dell’atto di trasferimento è essenziale al fine della
liberazione dell’alienante dall’obbligo di contribuzione alle spese condominiali.
Ne consegue che sino alla data di trasmissione della suddetta copia autentica,
l’alienante è coobbligato solidalmente con l’acquirente, nei confronti del
condominio, per tutti i contributi condominiali maturati successivamente alla
data del rogito.
Pertanto, visto il chiaro dettato legislativo nonché le peculiari conseguenze ricondotte dalla
norma alla trasmissione dell'atto all'amministratore del condominio, appare chiaro che,
dal punto di vista della natura giuridica, essa trasmissione si configuri come un
onere per l'alienante, non certo un obbligo.
Infatti, secondo la teoria generale del diritto, si può parlare di onere quando, pur essendo il
soggetto onerato libero di tenere o non tenere il comportamento previsto (in virtù di ciò
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distinguendosi dall'obbligo, non essendo previste sanzioni per l'ipotesi che non venga
tenuto), tuttavia solo qualora la condotta venga posta in essere si produrranno a favore del
soggetto interessato determinati effetti a lui favorevoli (in questo caso, la liberazione dalla
responsabilità solidale per i contributi successivi al trasferimento).
Poiché l’art. 66, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (T.U.
sull'Imposta di Registro) vieta al notaio di rilasciare copie autentiche (ed
estratti) degli atti da lui formati o autenticati prima della registrazione, ci si è
chiesto se, nelle more della registrazione, siano ammessi equipollenti alla
trasmissione della copia autentica del titolo che determina il trasferimento, quali, ad
esempio, la cosiddetta certificazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante,
purché provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del
registro di anagrafe condominiale.
Probabilmente la questione non è di grande rilievo pratico, considerata l’attuale,
estrema celerità nell’esecuzione degli adempimenti notarili successivi alla stipula
di tutti gli atti di trasferimento di beni immobili e alla conseguente quasi immediata
possibilità per il notaio di rilasciare all’alienante una "copia autentica del titolo"; celerità
non solo conseguente all'utilizzo delle moderne modalità telematiche di
registrazione-trascrizione-voltura, ma anche resa necessaria da quella ormai
consolidata giurisprudenza che richiede al notaio la massima sollecitudine
nella trascrizione degli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari 1 al fine di non
incorrere nella responsabilità professionale conseguente all’opponibilità all’acquirente di
eventuali formalità pregiudizievoli trascritte nell’arco di tempo compreso tra la data
dell’atto notarile e quella della sua trascrizione.
In ogni caso si può ritenere che la finalità informativa cui la norma è
preordinata possa essere soddisfatta anche con strumenti equivalenti che
offrano le stesse garanzie di autenticità e certezza proprie della copia autentica, quali, in
particolare, la già ricordata "certificazione di avvenuta stipula".
Nei casi concreti che capiteranno, bisognerà tuttavia ovviamente vedere cosa ne
penseranno gli amministratori di condominii che si vedranno recapitare qualcosa di
diverso da quanto letteralmente potrebbero pretendere ai sensi dell'ultimo comma dell'art.
63 disp. att. c.c., e se dunque essi saranno alquanto elastici o recettivi nei confronti delle
nostre sottili disquisizioni giuridiche in ordine all'equivalenza di diverse documentazioni
formali del medesimo contenuto negoziale.
Ci si è chiesto piuttosto se, in caso di mancanza dell'amministratore, sia
comunque vigente l'onere previsto dal comma 5 dell'art. 63 disp. att., e in caso
di risposta positiva, a quale soggetto indirizzare detta comunicazione.
Innnanzi tutto il legislatore ha previsto, con norma innovativa, che è necessario nominare
l'amministratore quando i condomini siano più di otto (prima dovevano essere più di
quattro; v. art. 1129 c.c.).
Ove quindi i condomini siano otto o meno, e comunque in tutte le ipotesi in cui l'assenza
dell'amministratore sia patologica (in quanto ad es., pur doverosa la sua presenza, non sia
stato, o non sia stato ancora nominato), la legge comunque prevede pur sempre l'esistenza
Cfr., ad es., App. Cagliari 4 giugno 2000 s. n., inedita, che giudica addirittura "più che sufficiente"
il lasso di tempo di tre giorni dalla stipula.
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di un soggetto che svolga "funzioni analoghe a quelle dell'amministratore" (v. art. 1130
comma 6 in fine, c.c.).
Pertanto, si ritiene con una certa qual sicurezza che l'onere di trasmissione di cui al comma
5 dell'art. 63 disp. att. c.c. sia sempre vigente ed attuale, anche in mancanza
dell'amministratore, e che in tale ipotesi alla persona di cui sopra vada trasmessa la copia
dell'atto di trasferimento.
Al fine poi di rendere edotto l'alienante di questo suo nuovo onere e in
particolare per dare conto dell'operato del Notaio in ordine alla corretta esplicazione dei
suoi doveri professionali di informazione nei confronti delle parti, dal punto di vista
operativo può essere utile inserire nei nostri atti, aventi ad oggetto un immobile in
condominio, una clausola del genere:
"La parte venditrice si dichiara altresì edotta dell'onere a suo carico di
trasmettere all'amministratore del condominio una copia autentica del
presente atto, essendo allo stesso venditore ben nota la propria
responsabilità solidale con l'odierna parte acquirente relativamente a tutti i
contributi e le spese condominiali che dovessero maturare fino al momento
in cui venga appunto trasmessa all'amministratore una copia autentica del
presente atto."
Naturalmente, poiché il precetto legislativo si applica a tutte le fattispecie di trasferimento
inter vivos, sia oneroso che gratuito, la suddetta clausola andrà adattata alla fattispecie
concreta oggetto del nostro ministero (permuta, donazione, conferimento in società,
cessione in luogo di adempimento, trasferimento immobiliare in esecuzione di accordi di
separazione o divorzio, ecc.).
3. I CONTRIBUTI MATURATI
Come deve essere interpretata l’espressione "contributi maturati", contenuta nella
norma in commento?
In primo luogo va sottolineato che la giurisprudenza ritiene in modo assolutamente
concorde che le parti possano introdurre nell’atto di trasferimento un’apposita
regolamentazione atta a fissare i criteri idonei a stabilire su chi gravi
l’obbligo, nei rapporti interni, di pagare le spese condominiali.
Per contro, in difetto di specifica clausola, sono state applicate diverse soluzioni dalla
giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento della Cassazione l’obbligo di pagare le spese
condominiali sorgerebbe al momento dell’assunzione della relativa delibera
assembleare, onde vi sarebbe comunque tenuto chi in quel momento riveste la qualità di
proprietario.
Per altre pronunce della Suprema Corte, invece, le spese condominiali
dovrebbero gravare sempre sul soggetto che è proprietario nel momento in
cui diviene attuale l’obbligo di corrispondere le relative somme (che
tendenzialmente coincide con quello di esecuzione dei lavori) senza che assuma rilievo il
fatto che tale soggetto fosse o no proprietario al momento dell’assunzione della
deliberazione di spesa.
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Infine, secondo un più recente indirizzo della Cassazione, occorrerebbe
distinguere le spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione,
al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse
comune dalle spese relative a lavori che importino un’innovazione o che
comunque determinino, per la loro particolarità e consistenza, un onere
rilevante, superiore a quello inerente l’ordinaria manutenzione dello stesso
edificio.
Per la prima tipologia di spese, l’obbligazione del condomino sorgerebbe con
il compimento effettivo dell’attività di gestione che determina l’esborso da
parte dell’amministratore, sul presupposto che il pagamento di spese ordinarie rientra
nelle attribuzioni proprie dello stesso amministratore. Pertanto tale pagamento - sia o
no preceduto da una delibera assembleare assunta in sede di approvazione del preventivo
annuale - non richiede una previa e specifica decisione collegiale dei
condomini.
Per la seconda tipologia, invece, la deliberazione dell’assemblea chiamata a
determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assumerebbe valore di
fonte costitutiva dell’obbligazione di ciascun condomino di concorrervi.
La complessità del tema e il notevole contenzioso che esso genera, uniti alle oscillazioni
della giurisprudenza anche di legittimità, dovrebbero suggerire al notaio, nell’esplicazione
della sua storica funzione antiprocessuale, di regolamentare nell’atto di
trasferimento di unità immobiliari in regime di condominio la ripartizione
dei contributi condominiali nei rapporti interni tra alienante e acquirente con
specifica e analitica disciplina idonea ad evitare l’insorgere di successive liti
tra vecchio e nuovo condomino.
E la soluzione più tuzioristica in materia pare essere quella che utilizza innanzi tutto il
duplice criterio della natura straordinaria o no del contributo condominiale e della data
della delibera assembleare di assunzione della relativa spesa.
In altri termini, sembra consigliabile prevedere che i contributi dovuti per i
lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle
parti comuni - e, in ogni caso, per i lavori di importo superiore ad una
determinata somma - siano a carico di chi riveste la qualità di proprietario al
momento della delibera assembleare di relativa approvazione.
Con l’ulteriore precisazione che sarà altresì opportuno inserire un’apposita
regolamentazione per i casi in cui l’assemblea del condominio, nel decidere di
eseguire lavori di rilevante importo, abbia deliberato di provvedere al loro
pagamento non in un’unica soluzione, ma ratealmente a scadenze
determinate.
In tali ipotesi, infatti, se è indubbio che la delibera assembleare è costitutiva dell’obbligo
del condomino di concorrere nel pagamento del relativo contributo, è altrettanto pacifico
che tale obbligo diviene concretamente esigibile solo alla scadenza di ogni singola rata.
Tutto ciò, in ogni caso, al di là del fatto che per il soggetto acquirente sarà sempre buona
norma, prima di procedere all'acquisto, di farsi rilasciare dall'amministratore del
condominio una dichiarazione scritta relativamente all'esistenza o meno di
pendenze arretrate da parte del condomino alienante; e ciò onde evitare sorprese
o possibili esborsi non preventivati, anche in considerazione della giurisprudenza costante
della Cassazione (cfr. da ultimo Cass. 23.07.2011 n. 12841) secondo la quale, al di là della
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responsabilità solidale dell'acquirente per i contributi pregressi con facoltà di rivalersi
sull'alienante, l'amministratore può chiedere ed ottenere decreto di ingiunzione
solo nei confronti di colui che si trova ad essere attuale proprietario e non
contro il cedente ormai non più condomino.
Da un altro angolo visuale, è invece interessante notare che l'art. 63 comma 2 disp. att.
c.c. ripristina la solidarietà degli altri condomini con il condomino
inadempiente, solidarietà che era stata negata dalla Cassazione con la
sentenza a SS.UU. n. 9148/2008); in seguito alla riforma dunque i creditori potranno
agire anche nei confronti dei condomini in regola, ma solo dopo l'escussione degli altri
condomini (quelli inadempienti).
4. IL SUBENTRO PER CAUSA DI MORTE
Mentre la norma del comma 4 dell'art. 63 delle disp. att. c.c. sembra potersi
applicare anche all'ipotesi di "subentro" per successione mortis causa,
viceversa la nuova disposizione legislativa (comma 5) si riferisce, a nostro
avviso, solo ai trasferimenti per atto tra vivi e non sembra potersi applicare
estensivamente ai trasferimenti mortis causa, naturalmente con tutte le peculiarità
conseguenti alle varie ipotesi di successione .
Ovviamente, se il trasferimento a causa di morte dell’unità immobiliare in regime di
condominio è a titolo universale e a favore di un solo erede o di una pluralità di eredi pro
quota, il condominio potrà pretendere il pagamento dei contributi condominiali maturati
dopo la morte del de cuius dai coeredi secondo i principi generali e in tali ipotesi
comunque l'art. 63 comma 5, non sarebbe entrato in gioco, essendo gli eredi, per
definizione, i continuatori della personalità del de cuius, e pertanto confondendosi in essi
le diverse posizioni di dante ed avente causa.
Viceversa, nelle ipotesi di institutio ex re certa o di legato, non applicandosi il detto
comma 5, in seguito alla successione, e a partire dalla data di apertura della stessa,
responsabili nei confronti del condominio saranno sempre e soltanto l’erede cui sia stata
assegnata in funzione di quota o di porzione di quota l’unità immobiliare ovvero il legatario
del bene, indipendentemente dal fatto che l'avvenuta successione sia stata comunicata o
meno all'amministratore.
Pertanto, in dette ipotesi il condominio potrà richiedere il pagamento dei
contributi condominiali maturati dopo l’apertura della successione
esclusivamente all'erede ex certa re o al legatario.
Per altro verso, pare comunque doveroso comunicare all'amministratore di
condominio anche l'eventuale trasferimento mortis causa dell'immobile in
condominio.
Tale adempimento appare in linea con l'obbligo di tenuta, e le finalità conoscitive, del
registro dell’anagrafe condominiale di cui all’art. 1130 n. 6) cod. civ.; pertanto si ritiene che
la variazione dei dati del proprietario di unità immobiliari in regime di condominio
conseguente al trasferimento a causa di morte a titolo universale o particolare rientri tra le
variazioni da apportare al registro dell’anagrafe condominiale, variazioni di dati che
devono essere comunicate entro sessanta giorni dall'accadimento che le determina.
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5. LA SOCIETA' AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
"Anche una società di capitali può essere nominata amministratore del
condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei confronti delle
persone giuridiche, quanto all'adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione
della responsabilità, è caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità che contrassegnano il
mandato conferito ad una persona fisica" (Cass. 24/10/2006 n. 22840).
Quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza in via interpretativa, è stato adesso stabilito
normativamente con la riforma del condominio.
Infatti, da un lato il secondo comma del nuovo art. 1129 cod. civ. dispone che
"contestualmente all'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell'incarico,
l'amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si
tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i
registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130 cod. civ. , nonché i giorni e le ore in cui ogni
interessato, previa richiesta all'amministratore, può prenderne gratuitamente visione e
ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata."
D'altra parte, l'art. 71-bis disp. att. cod. civ. in riferimento ai requisiti per la nomina, al
terzo comma afferma che "Possono svolgere l’incarico di amministratore di
condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i
requisiti (n.d.r.: stabiliti dallo stesso articolo al primo comma) devono essere posseduti dai
soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di
svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i
servizi.
Detto fra parentesi, non appare necessario occuparci analiticamente dei requisiti richiesti
dalla legge per poter svolgere l'attività di amministratore di condominio in quanto, anche
nel caso di società che potremmo avere l'incarico di costituire, detti requisiti non
attengono al momento costitutivo (non sono requisiti della costituzione) della
società, ma occorrono per l'esercizio concreto dell'attività sociale di
amministratore (l'art. 71-bis disp. att. c.c. inizia appunto così: "Possono svolgere
l'incarico di amministratore di condominio coloro che…"), e quindi possono
legittimamente ancora non esserci all'atto della costituzione; basta invece che essi siano
presenti nel momento dell'esercizio concreto della loro attività.
Pertanto, tutte le società lucrative (s.s., s.n.c., s.a.s., s.r.l, s.p.a., s.a.p.a.)
possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio.
Non invece le società cooperative (che trovano la loro disciplina nel titolo VI del libro V),
né, ammesso che ce ne fosse il dubbio, le società consortili, disciplinate dal titolo X dello
stesso libro.
Dubbio era invece se potevano avere come oggetto l'attività di amministrazione di
condominii le c.d. società a responsabilità limitata a capitale ridotto
(S.R.L.C.R.).
Infatti (a differenza delle c.d. S.R.L. Semplificate, per le quali venne introdotto nel codice
l'art. 2463-bis), esse trovavano la loro collocazione normativa al di fuori del codice civile, e
precisamente erano state introdotte nell'ordinamento giuridico ad opera dell'art. 44 del
D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (Decreto Sviluppo) .
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Una interpretazione letterale dell'art. 71-bis disp. att. cod. civ. avrebbe portato dunque ad
escludere la S.R.L.C.R. dal novero delle società che possono svolgere l'attività di
amministratore di condominio.
Tuttavia, sarebbe stata da preferire una interpretazione estensiva della norma in oggetto,
in considerazione sia del dato normativo presente nello stesso citato art. 44 (secondo cui a
tali società si applicano, con determinati aggiustamenti, le norme in tema di S.R.L.
Semplificate, nonché, previo giudizio di compatibilità, le norme dettate dal codice per le
ordinarie S.R.L.) , sia, più in generale, perché è ormai comune opinione considerare, sia la
S.R.L. Semplificata che la S.R.L.C.R. non come nuove e diverse forme societarie, bensì solo
dei sottotipi dell'ordinaria società a responsabilità limitata compiutamente regolamentata
dal codice.
In ogni caso, ormai qualsiasi dubbio in materia è stato spazzato via
dall'abolizione di dette società a r.l. con capitale ridotto, avvenuta ad opera
del decreto-legge 28 giugno 2013 n. 76, art. 9 comma 14.
6. DISPOSIZIONI SULL'AMMINISTRAZIONE IN GENERALE
Appaiono di un qualche interesse per la nostra categoria le seguenti disposizioni.
a) Durata in carica dell'amministratore
Il vecchio art. 1129 c.c., al comma 2, così recitava:
"L'amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo
dall'assemblea."
Oggi, il comma 10 dell'art. 1129 c.c. stabilisce che:
"L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per
eguale durata. L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla
nomina del nuovo amministratore."
Come si vede il legislatore ha preso espressa posizione sul c.d. "rinnovo tacito" della
carica di amministratore, cosa che poteva essere molto dubbia con la precedente
disposizione.
Tuttavia, non viene dalla legge fugato il dubbio seguente:
cosa succede all'amministratore che, nominato per un anno e tacitamente
rinnovato per un altro anno, abbia concluso anche il secondo anno di
mandato?
può essere ancora nuovamente tacitamente confermato o necessita di una
espressa delibera di nomina?
Insomma, la domanda è: il rinnovo tacito è solo per un anno e basta, ovvero si può avere di
anno in anno (come sembrerebbe logico; trattandosi peraltro di opinione per la quale, al di
là del dato normativo, propendo)?
b) Tenuta dei registri condominiali
Fra le incombenze dell'amministratore, risultano interessanti quelle relative alla tenuta di
una serie di registri di nuova istituzione (registri che potremmo essere chiamati a
vidimare ed a cui occorre quindi, seppur succintamente, fare cenno in questa sede).
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Infatti egli, a mente dei nn. 6) e 7) dell'art. 1130 c.c., deve:
- curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei
singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, compren­
sive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immo­
biliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.
In particolare, ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma
scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incomple­
tezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie
alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta
risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai
responsabili;
- curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e
revoca dell'amministratore e del registro di contabilità.
Nel registro dei verbali delle assemblee sono altresì annotate: le eventuali mancate
costituzioni dell'assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condo­
mini che ne hanno fatto richiesta; allo stesso registro è allegato il regolamento di con­
dominio, ove adottato.
A tal proposito, ricordiamo che non è stata modificata la norma di cui all'art. 1138 c.c., se­
condo la quale è obbligatorio dotarsi di un regolamento solo quando i condomi­
ni sono in numero superiore a dieci.
Tale numero deve riferirsi non alle unità immobiliari presenti nell'edificio né alle persone
titolari o contitolari di diritti reali su dette unità immobiliari, bensì alle "situazioni di pro­
prietà o comproprietà" delle singole unità immobiliari, situazioni qualificabili in termini di
centri di imputazioni di diritti e doveri che per essere considerate unitariamente - e quindi
computate a questi fini come un solo "condomino" -, devono presentare una identica com­
posizione personale ed una identica ripartizione di diritti.
Insomma, deve essere considerato come "un solo condomino" sia il proprieta­
rio di più unità immobiliari di un certo condominio, sia la pluralità di com­
proprietari - o di titolari di diritti reali parziari - di un'unica unità immobilia­
re.
Nel registro di nomina e revoca dell'amministratore sono annotate, in ordine cro­
nologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio,
nonché gli estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale.
Nel registro di contabilità sono invece annotati in ordine cronologico, entro trenta gior­
ni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può
tenersi anche con modalità informatizzate.
c) Nomina e revoca dell'amministratore
In tema di nomina e revoca dell'amministratore, due questioni appaiono di un certo
interesse.
10
In primo luogo, com'è ovvio anche senza scomodare l'art. 36 della Costituzione 2,
l'amministratore ha diritto ad un retribuzione, che comunque è meramente
"eventuale" (come ci dice l'art. 1135 c.c., che statuendo sulle attribuzioni dell’assemblea
dei condomini, al comma 1 n. 1) stabilisce che essa provvede: "1) alla conferma
dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione;").
Stabilisce poi la legge, ai sensi dell'art. 1129 comma 14 c.c., che l'amministratore "all'atto
dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare
analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo
di compenso per l'attività svolta."
A parte dunque le ipotesi (residuali) di incarico gratuito, per le quali dunque quest'ultima
norma non fa gioco, abbiamo, nel caso di incarico retribuito, l'obbligo, per
l'amministratore di indicare nell'atto di nomina, l'importo del compenso stabilito
dall'assemblea.
La norma non ha una motivazione chiara, atteso che l'importo della retribuzione è
già stato stabilito nella delibera di nomina e quindi risulta dal relativo verbale.
Di più, con la sanzione della nullità apposta non all'accettazione ma alla stessa nomina,
appare avere un contenuto molto "originale".
Infatti, una delibera di nomina che nasce pienamente valida ed efficace in quanto munita
di tutti i requisiti previsti dal legislatore, può essere resa successivamente nulla a seguito di
un posteriore comportamento omissivo (che può essere più o meno voluto, poco importa),
addirittura posto in essere da parte di un soggetto diverso (l'amministratore designato)
rispetto a quello (l'assemblea condominiale) che prese la delibera.
Se non siamo alla follia, poco ci manca...
Forse, per dare un senso a qualcosa che forse un senso non ce l'ha (mi sia
consentita la citazione di Vasco Rossi), potrebbe essere opportuno interpretare la norma
come se avesse voluto dire che, in mancanza dell'indicazione del compenso dovuto, è nulla
la dichiarazione di accettazione della nomina fatta dal designato amministratore, e non
certo la delibera assembleare; con la conseguenza che la detta dichiarazione andrebbe
dunque soltanto ripetuta nei suoi corretti termini.
Per quanto invece riguarda le ipotesi di revoca dell'amministratore da parte
dell'assemblea, la legge di riforma prevede, con indicazione analitica, una serie di "gravi
irregolarità" che possono dare luogo a tale revoca.
In particolare, ai sensi del n. 5 del comma 12 dell'art. 1129 c.c., costituisce grave
irregolarità "l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla
cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei
diritti del condominio".
La norma è da leggersi in correlazione con l'art. 2883 comma 2 c.c., secondo il quale "Il
rappresentante legale dell'incapace e ogni altro amministratore, anche se autorizzati a
esigere il credito e a liberare il debitore, non possono consentire la cancellazione
dell'iscrizione, ove il credito non sia soddisfatto."
Art. 36, comma 1, Cost.: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza
libera e dignitosa."
2
11
In un certo qual senso la nuova norma costituisce una sorta di possibile sanzione, tipizzata
dal legislatore, per l'amministratore infedele o anche solo sbadato, che abbia consentito
una cancellazione di formalità ipotecaria in assenza di soddisfazione del condominio.
E l'irregolarità è comunque tale già solo in virtù della prestazione del
consenso a cancellare, indipendentemente dal fatto che poi la relativa annotazione sia
andata o meno a buon fine (magari a causa del rifiuto del conservatore dei RR.II. ad
eseguire la richiesta annotazione in mancanza della quietanza ovvero di una dichiarazione
attestante la integrale soddisfazione delle ragioni creditorie del condominio).
7. LA NATURA GIURIDICA DEL CONDOMINIO E IL NUOVO DETTATO
DELL'ART. 2659 C.C.
La riforma del condominio ha perso una grossa occasione per dare un'indicazione precisa
in ordine alla natura del condominio; natura in ordine alla quale varie sono e sono state le
opinioni via via formulate.
L'opinione prevalente (Branca), avallata dalla giurisprudenza durante la vigenza della
precedente normativa, vede nel condominio non un soggetto giuridico dotato di
propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un
semplice ente di gestione sui generis che opera - in rappresentanza e nell'interesse
comune dei partecipanti - per l'amministrazione delle cose di proprietà comune. Si
tratterebbe in particolare di un ente capace di assumere obblighi e di essere titolare di
diritti, così da potergli essere attribuita una limitata capacità giuridica ed una certa
autonomia patrimoniale.
Tale orientamento (e cioè che non ci troviamo di fronte ad un soggetto giuridico vero e
proprio) è fra l'altro confermato dalle previsioni - che non sono state sostanzialmente
modificate dalla riforma - dell'art. 1131 comma 1 c.c., che stabilisce che "Nei limiti
delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal
regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza
dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.", nonché
dell'art. 65 disp. att. c.c. secondo il quale "Quando per qualsiasi causa manca il legale
rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o proseguire una lite contro i
partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore speciale...".
Come si nota, entrambe le norme parlano di "rappresentanza dei partecipanti o
dei condomini", e non certo di "rappresentanza del condominio", quasi a voler
significare una presa di distanza dal considerare il condominio come soggetto a sé stante.
Tuttavia, come detto, è pur vero che persistono, ed anzi si rafforzano con la riforma, anche
una serie di indici normativi che potrebbero indurre al riconoscimento di una qualche
soggettività in capo al condominio.
Già lo erano, elementi in tal senso, l'esistenza dell'assemblea condominiale, che
viene disciplinata come organo deliberante in base al metodo collegiale, nonché
l'articolazione organica fra assemblea ed amministratore, con i poteri peculiari
attribuiti all'organo esecutivo.
Ad essi si è aggiunto quello che potremmo definire l'indice normativo più cospicuo in
favore della soggettività, e cioè quello che si ritrae dall'art.2659 cod. civ., vale a dire dalla
norma che, in tema di pubblicità immobiliare, indica il contenuto della nota di
trascrizione.
12
Infatti, alla fine del n. 1 del comma 1 di detto articolo, per effetto della modifica introdotta
dall'art. 17 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, si dice espressamente che, ai fini della
trascrizione, "per i condominii devono essere indicati l'eventuale
denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale".
In questo modo si è pure data dignità normativa alla prassi instauratasi in seguito alla
Circolare 128/T del 2 maggio 1995 (Istruzioni per la compilazione delle note
meccanizzate), circolare la quale non solo ha previsto un apposito codice per la trascrizione
del regolamento di condominio (cod. 144), ma aveva anche anticipato l'odierno legislatore
prevedendo, al par. 5.6, che esso dovesse essere indicato nella nota con la dizione
"Condominio ... (per l'eventuale denominazione)", nonché con la sede (cioè l'indirizzo) e il
codice fiscale.
C'è tuttavia da notare che analoga integrazione non è stata apportata all'art. 2839 c.c. in
relazione alle indicazioni contenute nella nota di iscrizione; ma ritengo sia solo una
svista del legislatore cui la pratica, che già ammetteva le iscrizioni a favore di un
condominio, ha di fatto sopperito da tempo.
Sono dunque indicazioni già recepite nella prassi, non solo in tema di trascrizione del
regolamento di condominio, bensì molto più spesso in quelle ipotesi di iscrizioni di
formalità ipotecarie a carico di condomini morosi (in seguito a decreto ingiuntivo che
l'amministratore, per espressa disposizione del primo comma dell'art. 63 disp. att. c.c., può
ottenere senza doversi munire di apposita delibera assembleare).
A proposito di queste iscrizioni ipotecarie a favore del condominio, fermo restando il
disposto dell' art. 2883 c.c. comma 2 già citato nonché del comma 12 dell'art. 1129 c.c. è
ormai opinione consolidata anche a livello di prassi (v. Risoluzione n. 2 del 22.11.2005
emanata dal Direttore dell'Agenzia del Territorio) che l'amministratore di
condominio, una volta che questo sia stato saldato di tutte le pendenze dovute, possa
legittimamente prestare il consenso alla cancellazione delle ipoteche prese a
favore del condominio, e ciò senza che sia necessaria una apposita delibera
assembleare autorizzativa né, tanto meno una procura a suo favore da parte
di tutti condomini.
Precisa infatti detta risoluzione che "...il potere di rilascio del consenso alla cancellazione
dell’ipoteca, in quanto conseguente all’adempimento del debito da parte del condomino
moroso, è da considerare direttamente connesso all’azione di recupero intrapresa
dall’amministratore (azione di recupero che non richiede intervento dell'assemblea
nemmeno nel caso di richiesta di decreto ingiuntivo nei confronti del condomino
inadempiente: cfr. art. 63 comma 1 disp.att. c.c), ed è quindi sussumibile (connesso e
conseguente) ai poteri attribuiti in maniera autonoma all’amministratore.”.
Mentre se egli vorrà evitare la possibile revoca e adempiere al dettato del citato art. 2883
comma 2 c.c., dovrà essere previamente autorizzato dall'assemblea per consentire la
cancellazione di formalità prese a garanzia di crediti del condominio non ancora, o non
ancora totalmente, soddisfatti.
8. IL SUPERCONDOMINIO
Con la riforma del condominio sono stati dati, anche se in maniera implicita, dignità e
avallo anche normativi alla figura del supercondominio nonché al c.d. condominio
13
orizzontale (villette a schiera, villaggi residenziali, ecc., ove le parti comuni sono
normalmente esterne ai fabbricati).
Infatti, l'art. 1117-bis c.c. , dispone che "Le disposizioni del presente capo si applicano, in
quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più
condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo
1117."
Mentre l'art. 67 comma 3 delle disp. att. c.c. si occupa dell'assemblea del
supercondominio e delle regole di partecipazione ad essa da parte dei partecipanti ai
vari condominii formanti il detto supercondominio.
Il supercondominio consiste nella considerazione unitaria di una pluralità di edifici,
ciascuno dei quali, a propria volta, forma un condominio.
L'unificazione tra più fabbricati condominiali dipende dal fatto che siano posti al servizio
di essi talune pertinenze ed accessori, quali esemplificativamente una comune area
costituente l'accesso alla via pubblica, vani interrati ad uso autorimessa, box e locali
tecnici, comuni servizi o impianti quali il riscaldamento e condizionamento, la piscina, la
portineria, ectc.
Il problema pratico che si presenta in queste ipotesi è quello delle decisioni relative alla
manutenzione, all'introduzione di innovazioni, all'esercizio delle facoltà di disposizione, al
riparto delle spese di gestione.
Quanto alla configurazione giuridica, la giurisprudenza, anche prima della citata
novella, delineava il supercondominio come un'ulteriore entità condominiale
rispetto alla quale i singoli partecipi sarebbero comunque pur sempre i
singoli condomini titolari della proprietà esclusiva di una qualsiasi unità
immobiliare.
Ne seguiva l'applicazione (anche in via estensiva: cfr. Cass. Civ. Sez.II, 13883/10) della
normativa relativa al condominio per quanto attiene agli enti da considerarsi comuni ex
art. 1117 cod. civ., dovendo invece le ulteriori strutture dotate di autonoma funzionalità
essere eventualmente soggette alla normativa in tema di comunione ordinaria.
Non avrebbe potuto dunque l'assemblea del supercondominio essere composta dai singoli
amministratori dei veri complessi condominiali.
In virtù della nuova normativa non si farà dunque più questione di applicazione in
via analogica ovvero estensiva della normativa condominiale, stante
l'esplicito richiamo in via diretta.
9. LE PARTI COMUNI
Il nuovo art. 1117 c.c. ha provveduto a disciplinare in modo più compiuto le parti comuni
condominiali, e ciò anche in relazione alla diversa realtà attuale rispetto all'epoca in cui fu
approvato il codice civile.
Detto articolo infatti cosi recita:
"1117. Parti comuni dell'edificio
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari del­
l'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario
dal titolo:
14
1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio,
le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le sca­
le, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la porti­
neria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati,
per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come
gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di
distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il
condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a
qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i
relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei
singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto
disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche."
Interessante, ai nostri fini, è pure il disposto dell'art. 1118 c.c., che ai primi due
commi, dopo aver statuito che "il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo
che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che
gli appartiene", dispone, con norma dichiarata inderogabile da parte di un regolamento di
condominio assembleare per espresso disposto del penultimo comma dell'art. 1138 c.c.,
che "il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni"
(diverso è invece il caso della rinunzia all'utilizzo di alcuni impianti comuni condizionamento, riscaldamento -, rinunzia consentita in presenza di determinati
presupposti: mancanza di squilibri di funzionamento, o di aggravi di spesa per gli altri
condomini).
Questa norma si pone in aperta controtendenza rispetto al precetto generale in tema di
comunione, ove il primo comma dell'art. 1104 c.c. stabilisce che: "Ciascun
partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il
godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle
disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo
diritto."
Pertanto, è di tutta evidenza la possibilità di rinunciare alla quota sulla cosa comune in
tema appunto di comunione ordinaria.
Ma anche in tema di condominio, fino alla recente riforma, la normativa era
di segno opposto all'attuale.
Infatti, il secondo comma dell'art. 1118 c.c. prevedeva che: "Il condomino non può,
rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la
loro conservazione."
Con ciò implicitamente affermando che la rinuncia al diritto sulle cose comuni era
possibile, senza che tuttavia tale rinuncia consentisse di sottrarsi al pagamento di spese e
contributi relativi ad esse.
Può infine essere interessante notare l'introduzione dell'art. 1117-ter c.c., che
disciplina le modificazioni della destinazione d'uso delle parti comuni (ad es.,
l'ex abitazione del portiere), modificazioni che potranno essere deliberate con il voto
favorevole dei 4/5 dei partecipanti al condominio e del valore dell'edificio.
E' da notare che il legislatore non voluto introdurre un'altra importante novità, che era
stata prevista nella prima versione della riforma e che sarebbe stata rivoluzionaria, ovvero
15
la possibilità di cedere le parti comuni con il voto favorevole di una maggioranza, seppur
rinforzata, e non, com'era prima e com'è tutt'ora, con l'unanimità dei consensi.
In tale scelta di continuità (fra l'altro coerente con la norma dell'art. 1119 c.c. che
prevede espressamente il necessario consenso unanime per dividere le parti
comuni condominiali) può leggersi la volontà del legislatore di non spingere sulla
soggettività del condominio, visto che consentire a una maggioranza di trasferire un bene
comune pure ad altri avrebbe avvicinato ulteriormente il condominio ad una figura di ente
personificato che non ancora oggi gli compete, allontanandolo vieppiù dal genus dato dalla
comunione di diritti reali (ove, salvi i rimedi giurisdizionali, la volontà dei comunisti di
alienare il bene deve essere unanime).
10. IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Il nuovo testo dell’art. 1138 cod. civ. contiene altre due novità.
La prima riguarda il terzo comma della disposizione in commento nella parte in cui
prevede che il regolamento, una volta approvato dall’assemblea, deve essere
«allegato al registro indicato dal n. 7 dell’art. 1130», ossia al registro dei
verbali delle assemblee.
La previgente disciplina, invece, prevedeva che il regolamento dovesse essere trascritto nel
registro indicato dall’art. 1129 vecchio testo cod. civ., ossia nel registro tenuto presso
l’associazione professionale dei proprietari dei fabbricati, ma la norma non aveva avuto
pressoché applicazione stante la soppressione dell’ordinamento corporativo e con esso
dell’associazione dei proprietari dei fabbricati disposta con il D.Lg.Lgt. 23 novembre 1944
n. 369.
L’art. 1138 cod. civ., tuttavia, disciplina il regolamento assembleare di
condominio, non anche quello contrattuale.
Tuttavia se l’obbligo di allegazione introdotto dalla nuova norma venisse ritenuto
applicabile, in via di interpretazione estensiva, anche al regolamento contrattuale, si
potrebbero superare in futuro le frequenti difficoltà oggi riscontrabili nel materiale
reperimento di quest’ultimo regolamento ai fini della sua allegazione negli atti di
trasferimento.
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Allegazione che attualmente è opportuna (e per qualche interprete financo necessaria3) al
fine di rendere comunque opponibili al nuovo condomino gli eventuali pesi, restrizioni e/o
limiti gravanti sull’unità immobiliare dal medesimo acquistata e contenuti appunto nel
regolamento in questione.
La seconda modifica apportata dalla riforma all’art. 1138, vecchio testo, cod. civ. concerne
il precetto, introdotto nel nuovo quinto (e ultimo) comma della disposizione in commento,
in forza del quale «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o
detenere animali domestici».
La versione iniziale, licenziata dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, faceva
riferimento agli «animali da compagnia». Nei primi commenti si è sottolineato che la
diversa espressione «animali domestici» sarebbe stata adottata per non legittimare la
presenza all’interno delle unità immobiliari in condominio delle più svariate specie di
3
Cfr. nota 33 allo Studio Civilistico n. 320-2013/C, La Riforma del condominio. Prime riflessioni
su alcune delle nuove disposizioni di interesse notarile, estensore M. Corona: "Invero la vendita
dell’unità immobiliare in regime di condominio compiuta da parte dell’originario
costruttore dell’edificio è sottoposta alla disciplina del Decreto Legislativo 6 settembre
2005 n. 6 (cd. codice del consumo), ogni qualvolta l’acquirente sia un soggetto che
riveste la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. a) di tale codice.
In questi casi, dunque, la vendita, è esposta all’applicazione dell’art. 33, secondo
comma, lett. l) del codice del consumo che presume vessatoria, fino a prova contraria, la
clausola che prevede «l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha
avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto». Di conseguenza,
è altresì esposta alla nullità di protezione sancita dall’art. 36, secondo comma, dello
stesso codice, che scatta anche qualora la stessa clausola si stata oggetto di trattativa.
Per questa ragione ritengo che nelle vendite fatte dal costruttore, la soluzione più
tuzioristica - e, ancor prima, più rispondente alla storica funzione antiprocessuale propria
del ministero notarile (cfr. supra nt. 22) - sia quella di allegare a ciascun atto il
regolamento contrattuale di condominio ogni qualvolta l’acquirente sia un consumatore.
Soluzione preferibile, ma, non obbligata, dato che secondo la giurisprudenza, anche
recente, della Cassazione «le clausole del regolamento condominiale di natura
contrattuale … sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora …
nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure
non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto e accettato in base al richiamo o
alla menzione di esso nel contratto» (così Cass., Sez. II, 31 luglio 2009 n. 17886).
Con l’avvertenza, però, che occorre cautela nell’appoggiarsi ai principi enunciati dalla
Suprema Corte nella sentenza citata perché essi risentono delle peculiarità del caso
concreto su cui il giudice di legittimità si è pronunziato. Da un lato, infatti, la fattispecie
oggetto di decisione si era perfezionata ben prima dell’entrata in vigore del codice del
consumo e, dall’altro, nella compravendita per cui era causa il divieto sancito dal
regolamento condominiale di adibire ad uso alberghiero tutte le unità immobiliari
dell’edificio di cui faceva parte l’immobile venduto era stato espressamente e
specificamente esplicitato nel corpo dell’atto. In altri termini, quel divieto era operante
non perché oggetto di una relatio (che riguardava soltanto il restante contenuto del
regolamento) ma in quanto era stato riprodotto in una esplicita pattuizione inserita nel
contratto: quindi non poteva essere messa in dubbio la sua vincolatività.
Per contro, la successiva circolazione dell’unità immobiliare è sottratta all’applicazione
del codice del consumo ogni qual volta il venditore della stessa (a suo tempo acquirente
immediato del costruttore) non sia un professionista ovvero (qualora lo sia) non sia un
consumatore l’acquirente (ai sensi dell’art. 3, rispettivamente primo comma, lett. c) e
primo comma lett. a) del codice del consumo)."
17
animali - come quelli esotici (pesci, pappagalli), pericolosi (pitoni, tigri) o da fattoria
(capre, maiali) - e limitarla soltanto agli animali che rientrino nelle ordinarie consuetudini
familiari (come i cani e i gatti) e non anche a quelli che possano essere in qualche modo
«addomesticati».
In realtà non c’è dubbio che a seguito della riforma il regolamento di condominio non può
più impedire ai condomini di possedere o detenere cani o gatti all’interno delle rispettive
proprietà individuali, ovvero di servirsi insieme ai suddetti animali delle parti comuni
dell’edificio, quali le scale, l’ascensore o il cortile. Ma la stessa soluzione dovrebbe valere
anche per altre specie di animali come gli uccellini da gabbia, i pesci d’acquario, i piccoli
roditori (criceti e cavie), per i quali - ovviamente - non si porrà il problema della
utilizzazione da parte degli stessi delle parti condominiali essendo i medesimi destinati a
rimanere all’interno delle singole proprietà esclusive dei condomini.
Si discute se la norma sia applicabile soltanto ai regolamenti di condominio
che saranno redatti successivamente all’entrata in vigore della riforma o
anche a quelli formati prima di tale data.
La questione in realtà non riguarda soltanto la disposizione in esame ma tutte
le nuove norme che siano in contrasto con la precedente disciplina.
In altri termini, occorre chiedersi in generale quale sia la sorte delle clausole
dei regolamenti di condominio vigenti prima della riforma che si pongano in
contrasto con le disposizioni inderogabili della legge n. 220/2012.
Preliminarmente va sottolineato che l’attuale legislatore è stato meno puntuale dei suoi
predecessori. Manca infatti nella riforma una norma analoga a quella contenuta nell’art.
155, secondo comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie del codice civile che, con
riferimento ai regolamenti formati prima del 28 ottobre 1941, si premuniva di stabilire che
cessavano «di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano
contrarie alle norme richiamate nell’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice e
nell’articolo 72 di queste disposizioni». La legge 11 dicembre 2012 n. 220 appare
ancor più carente sotto il profilo della regolamentazione degli effetti
transitori della nuova disciplina se la si raffronta con la riforma del diritto societario
che, invece, conteneva un’analitica regolamentazione della materia, affidata agli artt. 223bis - 223-sexies delle disposizioni di attuazione, introdotti appunto dal Decreto Legislativo
17 gennaio 2003 n. 6.
Ciò premesso, sembra preferibile ritenere che la riforma incida anche sui
regolamenti di condominio formati prima della sua entrata in vigore dato che
i medesimi dovrebbero considerarsi alla stregua dei contratti ad esecuzione
continuata, rispetto ai quali lo ius superveniens è applicabile ai rapporti sorti
successivamente al loro perfezionamento.
Ne consegue che le clausole dei vecchi regolamenti di condominio, in contrasto
con le nuove disposizioni inderogabili introdotte dalla riforma, devono intendersi
automaticamente adeguate ovvero affette da sopravvenuta inefficacia laddove
l’adeguamento non sia in concreto possibile.
Infine, in tema di regolamento di condominio, è nota la distinzione fra regolamento "as­
sembleare" e regolamento "contrattuale".
Il primo, espressamente disciplinato dall'art. 1138 c.c., deve essere formato quando in un
edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, e "contiene le norme circa l’uso
delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi
18
spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro del­
l’edificio e quelle relative all’amministrazione", e "deve essere approvato dal­
l’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136
(n.d.r.: maggioranza degli intervenuti - i quali intervenuti devono rappresentare la
maggioranza dei partecipanti al condominio - e almeno la metà del valore dell'edifi­
cio."
Pertanto la natura giuridica del regolamento assembleare è quella di un atto collettivo a
carattere normativo.
Viceversa, il regolamento contrattuale di regola viene predisposto al di fuori di un'as­
semblea ed è sottoposto al consenso di ciascun condomino in un momento diverso rispetto
a quello della sua formazione (di solito al momento dell'acquisto dell'unità immobiliare in
condominio da potere del costruttore-primo venditore, ovvero mediante espresso mandato
a redigere detto regolamento conferito dalla parte acquirente a favore del costruttore e
contenuto nel medesimo atto di compravendita).
Esso ha dunque natura di contratto plurilaterale, trattandosi di un atto posto in esse­
re in esito al raggiungimento del consenso da parte di tutti i condomini che vi aderiscono.
La differenza rispetto al regolamento approvato con la maggioranza di cui all'art. 1136
cod.civ. consiste nel fatto che il regolamento contrattuale può porre delle limitazioni af­
ferenti ai diritti soggettivi dei singoli condomini.
Si parla a tal proposito anche di oneri reali (Cass. Civ. Sez. II, n. 11019/91) ribadendosi in
giurisprudenza che l'apponibilità di essi è, in ogni caso, subordinata all'espressione del
consenso unanime.
Occorre comunque sottolineare che la riforma non sembra offrire nuove soluzioni al prin­
cipale problema posto dai regolamenti contrattuali di condominio contenenti pesi, restri­
zioni e/o limiti - il cui contenuto può essere assai vario - alle proprietà individuali dei sin­
goli condomini. Problema che è quello della trascrizione (e degli eventuali effetti di essa) di
tali regolamenti al fine di rendere opponibili detti pesi, restrizioni e/o limiti agli aventi
causa dal costruttore dell’edificio ovvero ai successivi sub-acquirenti.
19