Paola Cantù Prospettiva e immaginazione metafisica Lo sguardo dell’osservatore all’interno della rappresentazione Nel seminario sono state suggerite numerose immagini o metafore per descrivere la vitalità della metafisica nell’era post-metafisica: in particolare infiltrazioni ed emersioni. La metafora acquatica rimanda ad un mezzo con proprietà ottiche diverse rispetto all’aria; la visione di un bastone immerso per metà nell’acqua è un classico e forse anche abusato esempio di inganno visivo: un bastone diritto appare inclinato a causa della rifrazione dei raggi luminosi nel passaggio da un mezzo all’altro. Le immagini, prima ancora di essere metafisiche, sono ancorate nell’esperienza quotidiana e possono trascinare con sé valenze positive o negative, ove il più e il meno possono riguardare un’esperienza o una tonalità emotiva del soggetto di giudizio, ma anche oggettivarsi in un più o meno di verità o verisimiglianza o bontà, ecc. Così la metafora liquida suggerisce subito un’associazione tra le immagini metafisiche e un mezzo poco favorevole alla visione limpida, chiara e non distorta delle cose, suggerendo ciò che è emerso nella prima parte del seminario e cioè l’inevitabilità, il non poter fare a meno in alcun modo, nonostante sforzi e desideri in tal senso, della componente immaginifica della metafisica. Le immagini metafisiche si infiltrano, emergono al di fuori della filosofia, specialmente nella scienza, ma come mostra l’esempio precedente, le immagini scientifiche si infiltrano ed emergono nella filosofia (talvolta con un certo turbamento degli scienziati, come prova la lotta senza quartiere di Alain Sokal ad alcune correnti del postmodernismo...). Io vorrei limitarmi qui ad usare un’immagine, una metafora per alludere alla molteplice valenza (positiva, negativa, riflessiva) delle immagini metafisiche all’interno dell’impresa scientifica e più in generale del sapere umano. La metafisica, infatti, è 1 emersa nel seminario come parte integrante non più soltanto del nucleo delle teorie scientifiche – di un insieme minimale di verità che il ricercatore non è disposto a correggere o ad abbandonare di fronte a possibile evidenza empirica contraria – ma anche come parte integrante dei valori di riferimento essenziali sia nella determinazione dei criteri metodologici di ricerca sia nella costruzione dell’apparato concettuale e definitorio di un sapere. Pensiamo alla prospettiva geometrica e alla discussione che essa ha suscitato in estetica e in teoria dell’arte. La prospettiva geometrica, come teoria compiuta e applicata sistematicamente nella rappresentazione pittorica su tela, è nata abbastanza tardi, e cioè in epoca rinascimentale, benché forme di pittura basate sull’uso di accorgimenti in grado di rappresentare la tridimensionalità della realtà sulla superficie pittorica siano attestate già molto prima. La prospettiva centrale è basata sulla considerazione della superficie pittorica (il piano della tela) come intersezione geometrica con la piramide dei raggi visivi che ha come vertice l’occhio dell’osservatore e come base l’oggetto da rappresentare. La forma degli oggetti, i bordi che li strutturano sono cioè determinati attraverso il rapporto con la posizione dell’occhio dell’osservatore e sono tra loro correlati per mezzo del comune rapporto a tale punto di vista, che è insieme la prospettiva del pittore e l’unica posizione corretta a partire dalla quale lo spettatore dovrebbe guardare il quadro per avere una rappresentazione ‘realistica’ o ‘naturalistica’ della realtà rappresentata. Già in età barocca la rappresentazione della realtà a partire da un unico punto di vista – fisso, statico, ieratico – ha lasciato il posto a sistemi più flessibili, basati su punti di vista molteplici o su un’applicazione meno rigida della prospettiva centrale, in grado di permettere una visione corretta della rappresentazione da più punti di vista: il pittore ha forse il diritto di esigere che lo spettatore si ponga nella posizione corretta? Contemporaneamente la rappresentazione di linee parallele come linee secanti in un punto costituisce la prima rappresentazione geometrica del comportamento di rette illimitate in un punto all’infinito e cioè una prima rappresentazione astratta dell’infinito attuale in geometria. La prospettiva geometrica può apparire allora come una traduzione concettuale di qualcosa che appare inizialmente soltanto all’interno di immagini pittoriche e che, non appena emerge, diventa la struttura interna ineludibile delle rappresentazioni pittoriche. 2 Diverse valenze sono state attribuite alla prospettiva, non solo al suo sorgere come teoria, ma ancora nel nostro secolo, se si pensa alla contrapposizione tra Panofksy e Gombrich e alla diversa valutazione che essi danno dei movimenti pittorici che scardinano la prospettiva centrale. Per Panofsky il cubismo ha mostrato che la prospettiva è solo uno dei metodi di rappresentazione possibile, anzi esso ha avuto il pregio di rivelare la natura convenzionale e culturale della rappresentazione prospettica, aprendo così la strada a rappresentazioni diverse del reale e della spazialità; per Gombrich invece il cubismo è il tentativo più radicale di affermare un’unica interpretazione delle immagini, perché impedisce ogni lettura illusionistica dell’immagine. Mentre la prospettiva creerebbe un’illusione che permette al soggetto di esplorare il quadro all’infinito – lasciando cioè il soggetto libero, proprio come nella realtà, di esplorare ciò che vede costruendo una propria interpretazione coerente e fittizia di ciò che osserva –, il cubismo userebbe linee spezzate e contraddizioni prospettiche per impedire la formazione di un’interpretazione possibile dell’oggetto rappresentato. Perciò il cubismo attirerebbe l’attenzione soltanto sul disegno, sulle linee tracciate dal pittore sul piano, impedendo lo sviluppo di un’esperienza individuale dell’osservatore. Potremmo anche dire, nella terminologia del riconoscimento, che la complessità della tecnica e la sua anti-naturalezza impediscono allo spettatore ogni forma di rispecchiamento e di esplorazione dei contenuti dell’immagine a partire dalla propria esperienza fenomenologica: il fruitore è piuttosto obbligato ad assumere come dato inalterabile l’oggetto quadro, così come il pittore ha inteso proporlo. Quest’unico esempio già illustra diverse valenze della prospettiva centrale, che può essere intesa (razionalisticamente) come la più adeguata o naturale tecnica di rappresentazione del vero o (platonicamente) come una raffinata forma di inganno basata sull’illusione. Ancora essa può essere interpretata come una trasposizione dell’astratto spazio geometrico nell’arte (concettualismo o scientismo) o come una traduzione dello spazio empirico visivo secondo le regole della percezione. Come un modo per lasciare aperta la rappresentazione (lasciando che sia il lettore a scoprirla e a costruire un’interpretazione fantastica) oppure come un ostacolo alla percezione di uno spazio in movimento in accordo con l’esperienza percettiva e fenomenologica. Il centro di proiezione può coincidere con l’occhio dell’osservatore in una visione 3 antropocentrica del cosmo o anche con l’occhio divino in una prospettiva teocratica. Come l’immagine metafisica che si infiltra in forme non filosofiche di sapere, la prospettiva produce l’impressione di una rappresentazione più realistica e immediata e insieme suscita il sospetto di costituire un inganno, un’illusione che rappresenta anche ciò che non è rappresentabile. Come la metafisica regale ha costituito per lungo tempo un unico indubitabile e imprescindibile canone, basato sull’accentuazione del ruolo del soggetto e nello stesso tempo incline ad assumere una validità universale, metastorica e metaculturale, così la prospettiva, una volta fissate in una teoria le sue regole principali, è divenuta un canone artistico universalmente applicato e addirittura un canone estetico di valutazione delle opere d’arte. Come la metafisica regale è entrata in crisi nelle sue pretese di universalità e di totalità, così la teoria della prospettiva è stata ridotta, per esempio da Panofsky e da Goodman, ad un momento storico-culturale o convenzionale della rappresentazione pittorica: tuttavia come la metafisica, anche la prospettiva non è stata con ciò stesso liquidata. Il portato essenziale della prospettiva, l’idea di inserire lo spettatore nel quadro e la discussione sulla molteplicità dei punti di vista della rappresentazione non sono venuti meno. Anzi, in molte opere del Novecento, dal cubismo fino a performance e installazioni recenti, il rapporto tra pittore, spettatore e spazio è diventato un leitmotiv. La prospettiva, soprattutto nella sua versione illusionistica barocca, che già alludeva alla molteplicità dei punti di vista e cercava di prolungare l’illusione ottica attraverso tecniche specifiche – talvolta anche in contrasto con i dettami della prospettiva geometrica – costituisce una buona metafora per esprimere alcune delle istanze emerse nel seminario: 1) il problema del controllo delle immagini metafisiche, che – come le rappresentazioni prospettiche di un oggetto – possono generare una riproduzione fedele (alla realtà o alle intenzioni del pittore?) ma anche ingannare l’occhio aggiungendo una dimensionalità assente sulla tela; le immagini possono mostrare il ruolo attivo del soggetto e la finitezza del suo punto di vista ma anche alludere all’occhio divino e allontanare all’infinito il centro di proiezione; 2) la questione della tecnica nell’arte come strumento per attirare l’attenzione dello spettatore; 3) la possibilità di esprimere con l’ausilio di immagini ciò che non può trovare 4 espressione concettuale compiuta, senza però rinunciare alla ricerca di una rappresentazione concettuale; 4) il problema della compromissione con un linguaggio che ancora si basa sulla nozione di verità e di natura, come se esistesse un’unica verità o un’unica rappresentazione naturale del mondo. Ciò che l’uso della prospettiva può richiedere ma non necessariamente implica è la riflessione meta-immaginifica dello spettatore, che osservando il variare della figura al variare dei punti di vista costruisce la totalità della rappresentazione di un oggetto a partire da una molteplicità di rappresentazioni frammentarie. Sotto questo punto di vista la prospettiva al pari della metafisica può suggerire nuove visuali e nuovi approcci al reale ma può anche occultare parti di un’immagine o indurre lo spettatore negli errori percettivi studiati dagli psicologi cognitivi. Io credo che non sia soltanto l’immagine in prospettiva di un oggetto ma piuttosto l’idea della prospettiva – il concetto che essa racchiude – a permettere la riflessione del soggetto che si comprende come parte del suo sguardo osservante. Così credo che l’immaginazione metafisica possa avere funzione cognitiva non perché le immagini permettono forme irriflesse di rispecchiamento bensì perché la metafisica può includere l’idea stessa di riconoscimento. Se l’aspirazione alla totalità è in qualche modo irrinunciabile, essa dovrebbe declinarsi come possibilità di un riconoscimento mimetico e insieme come consapevolezza riflessiva della finitezza e della frammentarietà del punto di vista al quale le immagini metafisiche sono collegate. Come in un esperimento mentale o in una proiezione olografica, l’oggetto può essere studiato sotto angolazioni nuove ma l’ambito di validità dell’esperimento resta condizionato, così le immagini metafisiche possono anticipare o svelare direzioni di ricerca e porzioni di realtà ma l’aspirazione ad una validità generale o universale non può che essere condizionata. Come nella prospettiva, anche nell’immaginazione metafisica la provvisorietà e la limitatezza del punto di vista dovrebbero divenire strutturali all’immagine ed essere trasferite al suo interno con un’operazione riflessiva. 5