Prof. Monti – classe IV – cenni su Niccolò Cusano – a.s. 2016/2017
Niccolò Cusano
1401 - 1464
1. NOTE E VITA
Dopo avere, seppure solo per sommi capi, tratteggiato i caratteri del pensiero umanistico
e rinascimentale e aver proposto lo schema concettuale e la temperie storica
caratterizzanti la nascita della scienza moderna proponiamo, fra le tante possibili, una
figura - quella di Niccolò Cusano - che può dirsi esemplare del Rinascimento.
Nacque a Cusa (presso Treviri, in Germania), anche se per la sua formazione può dirsi
"italiano": egli infatti studiò giurisprudenza specialmente a Padova. Dopo, ormai
divenuto avvocato, aver perso la sua prima causa cambiò decisamente strada.
Si diede infatti alla teologia, divenne sacerdote nel 1426 (divenne, poi, cardinale nel
1448 e vescovo della città di Bressanone nel 1450).
Venne invitato a partecipare al Concilio di Basilea, convocato nel 1441 e chiuso nel
1445, che fra le altre cose avrebbe dovuto risolvere lo Scisma d'Oriente (1054),
sancendo la riunificazione fra cattolici e ortodossi.
Cusano, in particolare, venne inviato in Grecia dalla quale ritorna con i pensatori di quel
paese più noti. Acquistò così grande familiarità con la lingua e con il pensiero greco.
Autore di numerose opere, la più nota è certamente La dotta ignoranza del 1449.
Cusano morì nel 1464.
2. LA DOTTA IGNORANZA
Pur con i suoi interessi di carattere teologico e le sue tendenze di stampo platonico,
sarebbe errato vedere in Cusano un rappresentante della cultura tradizionale, di
derivazione scolastica o anche solo umanistica.
Nelle sue opere, infatti, egli fece ampio uso di metodi e di esempi desunti dall'ambito
delle matematiche, specialmente in termini analogici.
Il suo punto di partenza è una precisa determinazione della natura della conoscenza, si
tratta dunque di un discorso gnoseologico.
Quali sono i caratteri del sapere umano?
Cusano, per provare a rispondere, prende a modello la conoscenza matematica.
C’è, di solito, una certa proporzione tra noto e ignoto: in particolare, accade che sia
possibile giudicare di ciò che non si conosce solo attraverso ciò che già si sa, e questo è
appunto possibile solo se ciò che non conosciamo ha una certa "proporzionalità" con
quanto, invece, già sappiamo.
La conoscenza è sempre tanto più facile, quanto più "vicine" sono le cose che si cercano
a quelle già conosciute. Questo è facile vederlo proprio in matematica, disciplina nella
quale sono più agevoli le conoscenze che discendono immediatamente dai principi,
mentre sono più complesse quelle che maggiormente se ne allontanano.
1
Prof. Monti – classe IV – cenni su Niccolò Cusano – a.s. 2016/2017
C'è qualcosa di inconoscibile?
Stando all'impostazione di Cusano fin qui tratteggiata, deve trattarsi di qualcosa che non
ha "proporzione" alcuna (cioè nessun rapporto, di alcun tipo) con il noto.
In casi di questo genere, l'unica cosa da farsi è proclamare la propria ignoranza!
Questo riconoscimento di ignoranza è, appunto, la "dotta ignoranza"!
Ma perché è "dotta"? Come può il non sapere essere definito "dotto"?
Si tratta, a parere di Cusano, dell'unico atteggiamento ragionevole di fronte all'infinito, e
in particolare (virando il discorso in termini religiosi) di fronte a Dio. Ma, attenzione,
"dotta ignoranza" non significa affatto un semplice "non sapere"! Approfondiamo il
discorso tramite una citazione:
" L'intelletto, dunque [...] non comprende mai la verità in modo così preciso da non
poterla comprendere più precisamente ancora, all'infinito, perché sta alla verità
come il poligono sta al cerchio. Quanti più angoli avrà il poligono inscritto, tanto più
sarà simile al cerchio: tuttavia, non sarà mai uguale, anche se avremo moltiplicato i
suoi angoli all'infinito, a meno che non si risolva nell'identità con il circolo "
Il processo conoscitivo umano è, dunque, un processo di successive approssimazioni,
una sorta di avvicinamento asintotico all'irraggiungibile Verità.
Da una parte, non è possibile dire di "conoscere" Dio - ed ecco che Cusano rifiuta i
tentativi della Scolastica di costruire una "scienza razionale di Dio", ciò che abbiamo
veduto in Tommaso d'Aquino - ma esso non è neppure del tutto sconosciuto. Pure
inconoscibile in modo compiuto, ad esso ci si può approssimare.
Andiamo avanti: se, come abbiamo detto, Dio nella sua compiutezza (attenzione al fatto
che questo non è tanto e semplicemente un discorso religioso: invece di "Dio",
potremmo dire "la realtà", "l'assoluto", "l'infinito" e non cambierebbe nulla!) si situa
oltre la ragione e le sue facoltà, la cosa che si può più correttamente congetturare di Lui
è il fatto che egli stia "oltre il principio di non contraddizione" e, dunque, il suo trovarsi
in uno stato di "coincidenza degli opposti".
Diciamo meglio: è facile capire come il principio di non contraddizione costituisca una
sorta di "sfondo comune" necessario alla correttezza di ogni nostro ragionamento e,
dunque, di ogni nostro sapere. Ora, se Dio (o la realtà, o l'infinito) non è compiutamente
conoscibile, è proprio perché la sua realtà propria eccede le possibilità di tale principio!
Ma, al di fuori del principio di contraddizione, cioè se questo principio più non vale, gli
opposti coincidono!
Ciò che accade è che noi esseri umani, che viviamo nel finito, nell’ambito del più e del
meno, possiamo distinguere e contrapporre le cose (e, proprio facendo questo, le
conosciamo!): massimo e minimo, luce e tenebre, ecc.
Nell’assoluto, nell’infinito, questo non avviene più: il massimo assoluto e il minimo
assoluto, nella loro assolutezza, coincidono.
Vediamo un esempio di tipo geometrico:
2
Prof. Monti – classe IV – cenni su Niccolò Cusano – a.s. 2016/2017
Un cerchio finito è costituito da elementi fra loro distinti: la circonferenza, il diametro,
il centro, le corde... Ma proviamo ora ad immaginare un cerchio di raggio infinito! In
esso accade qualcosa di molto strano, di contraddittorio: un punto qualunque è, allo
stesso momento, il centro del cerchio ed è posto sulla circonferenza; raggio e diametro
sono uguali, sono entrambi infiniti, ma sono anche il primo la metà del secondo; ogni
corda, anche la più piccola, sarà infinita... Insomma: nell'infinito tutto coincide.
Ecco che Cusano distingue tre livelli di conoscenza:
1) La percezione sensoriale, che è sempre positivamente determinata e affermativa (io
miei sensi mi fanno conoscere affermativamente questo o quello).
2) La ragione, diversamente dai sensi, non si limita ad affermare, ma può anche negare.
Essa è discorsiva, non intuitiva e immediata come i sensi, ed è soggetta al principio di
non contraddizione.
3) L'intelletto, invece, coglie per via ancora intuitiva l'assoluto. Questo cogliere è una
pura congettura e non può mai diventare un sapere definito, chiaro e distinto.
3. I RAPPORTI FRA L'INFINITO E IL FINITO
Cusano spiega i rapporti fra Dio (ma chiamiamolo "infinito" o "assoluto" per non cadere
nella tentazione di considerare quello di Cusano come un discorso semplicemente
religioso!) e il mondo finito ricorrendo ai concetti di complicazione, implicazione e
contrazione.
Il mondo è l'infinito "contratto", cioè determinato e individualizzato nelle singole cose,
mentre in sé è unità assoluta.
Nell'assoluto tutte le cose esistono nella loro "complicazione" (cum-plicare = piegare
insieme!) perché in esso si uniscono e "fanno uno". Ma l'infinito è anche la explicatio,
cioè il dispiegarsi delle unità nelle cose molteplici (tramite la creazione) che esso in sé
implica.
Cusano analizza il rapporto mondo – infinito in una serie di scritti e si sofferma
soprattutto sul concetto della possibilità, che gli sembra quello più semplice e più adatto
ad esprimere questo rapporto. L'assoluto è il poter creare che "precede" il poter essere
creato e poter divenire del mondo finito: Dio, l'assoluto, è la possibilità di tutto ciò che
diviene ed è creato.
Quanto alla conoscenza che l’uomo ha dell'infinito, Cusano ritiene che essa sia
molteplice e ciò testimonia della ricchezza della "vita divina". Ma attenzione, l’uomo
vede Dio solo attraverso la sua soggettività, non in sé, e dunque lo colora come una
lente colorata dà la propria tinta alle cose.
L’uomo, però, non può né deve uscire dalla propria soggettività per conoscere
l'assoluto: deve, anzi, rafforzarla ed approfondirla. L’uomo non deve né rinnegare la
soggettività, né spogliarsi di essa per essere in rapporto con Dio. Tale rapporto è anzi
garantito e rafforzato dall’approfondimento di questa soggettività.
3
Prof. Monti – classe IV – cenni su Niccolò Cusano – a.s. 2016/2017
4.
CONCLUSIONI: UN CARDINALE VERSO LA MODERNITÀ!
Il principio della dotta ignoranza - seppure espresso in termini religiosi, termini che noi
qui abbiamo provato a stemperare - condusse Cusano a una concezione del mondo
fisico che prelude a quella di Copernico, Keplero e Galileo.
Egli, infatti, negò che una parte del mondo, quella celeste, possegga una "assoluta
perfezione" e che sia "ingenerata ed incorruttibile".
Per lui non sussiste la separazione fra sostanza celeste, l’etere, e sostanza terrestre, fatta
dai quattro elementi. Tutte le parti del mondo hanno lo stesso valore, ma nessuna è
perfetta.
Il mondo non ha centro, né circonferenza, come riteneva Aristotele. Il mondo ha centro
dappertutto e in nessun luogo si trova la circonferenza, giacché circonferenza e centro
sono Dio stesso che è dappertutto e in nessun luogo. Pur non possedendo l’infinità
divina, il mondo non ha confini né limiti (come suggerirà anche Giordano Bruno!).
La Terra si muove di circolarità non perfetta: essa è una “nobile stella” che ha luce e
calore come le altre stelle (dunque non ha in sé nulla di speciale, come invece vorrebbe
la tradizione!). Sulle stelle, addirittura, possono esservi abitanti più o meno simili a noi.
Cusano giunge anche a riconoscere, nei fatti, il principio di inerzia (che è uno dei
fondamenti della meccanica moderna!): ogni corpo preserva il suo movimento fino a
che non si frappone un ostacolo a bloccarlo (come afferma nella sua opera Il gioco della
palla).
Concludiamo con l'affermazione dell'uomo come microcosmo, concezione tanto cara
agli umanisti.
" Tutte le cose hanno un rapporto e una proporzione con l'universo. La perfezione
della totalità dell'universo risplende di più in quella parte che si chiama uomo,
perché l'uomo è un mondo perfetto [qui possiamo intendere la parola "perfetto" con
il termine "completo"], sebbene sia un piccolo mondo e parte del grande mondo.
Pertanto, ciò che l'universo ha in modo universale, l'uomo lo ha in modo particolare,
proprio e distinto. Siccome ci può essere un solo universo e ci possono essere
molti esseri particolari e distinti, una molteplicità di uomini particolari e distinti reca
in sé la specie e l'immagine di un unico universo perfetto, sicché la stabilità
dell'unità del grande universo sia esplicata più perfettamente in una molteplicità
tanto diversa di molti piccoli mondi mutevoli che si succedono l'un l'altro. "
4