Rivista Madonna dello Splendore n° 18 del 22

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Rivista Madonna dello Splendore n° 18 del 22 Aprile 1999
GIULIANOVA VERSO IL TERZO MILLENNIO
di Manuel BASTIONI
- foto di Pierino SANTOMO
Giunti alla fine del millennio è spontaneo fare un resoconto di ciò che abbiamo fatto per la
nostra città, per cercare di capire se abbiamo saputo preservare ciò che il passato e la storia ci
hanno affidato, se siamo riusciti a conservare la nostra identità e se riusciremo a tramandarla
a coloro che verranno.
Il sentirsi abitanti di Giulianova significa assimilare inconsciamente quello che le case, i
monumenti, le chiese, le strade e tutto ciò che fa parte del vivere di ogni giorno ci
trasmettono, e sta a noi far si che continui ad essere così anche per il futuro...
Bisogna ammettere che il bilancio degli ultimi cento anni non è assolutamente positivo, e
Giulianova è stata gravemente mutilata di gran parte dei suoi principali monumenti (le mura
demolite, chiese senza tetto, torrioni decapitati, aggiunte abusive etc...), mentre altre città,
seppur con un ben minore patrimonio storico ed artistico, hanno saputo valorizzarsi molto di
più, incrementando così il turismo, ma anche l’orgoglio locale.
Quello che segue è una rapida carrellata su una parte dei monumenti di Giulianova che ormai
fanno parte di noi, e che noi affidiamo al prossimo millennio, sperando in una maggiore
attenzione da parte di tutti.
Santa Maria a Mare
di Santa Maria a Mare, detta dell’Annunziata, si trova
seminascosta al di sotto dell’incrocio tre la S.S. 16 e la
S.S. 80 per Teramo.
L’edificio fu probabilmente costruito prima dell’anno mille
in un’area extra urbana del cosiddetto sobborgo; fu
utilizzato come grancia benedettina per oltre un secolo,
ma poi decaduto e abbandonato fu completamente
riedificato nel dodicesimo secolo grazie alla riconoscenza
del vescovo Guido, che era stato ospitato dal castrum in
un momento poco propizio.
In seguito la sua importanza andò crescendo, fino a
meritare, all’incirca durante i primi anni del 1300, un
portale “importante” scolpito molto probabilmente dal
maestro atriano Raimondo Del Poggio.
L’edificio originario era formato da tre navate, terminanti
ognuna con un’abside circolare, ma in seguito a crolli la
chiesa venne ridotta ai due ambienti attuali.
Sulla parete Nord sono ancora chiarissimi i segni della
divisione.
~i~
All’interno, sulla parete sinistra, vi era un affresco del
XIII sec. rappresentante l’incendio di Teramo del
Conte di Loretello, eliminato dai “restauri” già dal
1859.
La stessa mentalità stava per demolire totalmente la
chiesa, salvandone solo il portale, da montare
all’ingresso del municipio, se non fosse stato per
Angelo Antonio Cosimo De’Bartolomei, che con il suo
intervento impedì questa follia.
Altri affreschi descritti dal Bindi rappresentavano
figure di santi, abati e vescovi.
S. Maria a Mare aveva due campane di bronzo; una
recava l’iscrizione “CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS
REGNAT, CHRISTUS IMPERAT. MAGISTER VARINUS
ME FECIT”, l’altra, più antica, risaliva al sec. XIV, e
portava una incisione più lunga: “MCCCXLIII MENTEM SANCTAM SPONTENEAM, HONOREM DEO
ET PATRIAE LIBERATIONEM-FACTA FUI TEMPORE
DOMINI SABINI PRAEPOSITI HUIUS ECCLESIAE MAGISTER NICOLAUS FECIT BONA.
Sulla seconda campana viene narrata una leggenda;
sembra infatti che durante l’invasione di Maometto
II, alcuni turchi tentarono di rubarla, ma dopo averla
caricata sulla loro nave, i pirati non riuscirono a
salpare; l’unico modo di andarsene fu di riportare la
campana al suo posto..... Negli anni successivi la
campana si ruppe e fu rifusa in due parti.
Vi è anche un’altra leggenda sull’Annunziata che
vorrebbe sepolte all’interno delle sue colonne le
sacre spoglie di antichi paladini.
Un altro mistero è rappresentato da una strana
iscrizione, incisa su di un mattone nella sagrestia, risalente probabilmente agli anni della
fondazione di Giulianova.
Una prima interpretazione è stata fornita dal prof. Mario Montebello, in appendice al suo libro “
Il palazzo Ducale a Giulianova, in Deputazione Abruzzese Di Storia Patria, l’Aquila, 1988".
Ancora più appassionante è la decifrazione del significato delle sculture dell’ingresso, che ha
impegnato generazioni di studiosi, a partire dal De’ Bartolomei, passando per il Palma, il
Ciaffardoni, il Cherubini, e lo stesso Bindi.
Molto interessante e completa è l’analisi fatta da Maria Concetta Nicolai, riportata anche su
“Madonna dello Splendore” N° 15 del 1996.
Infine, uno studio a parte sarebbe da intraprendere sui locali sotterranei della chiesa, dove
pare vi sia un ambiente absidale che funge da ossario, e siano presenti anche delle tombe
arcaiche a capanna.
La chiesa della Misericordia
Quando la popolazione abbandonò Castel San Flaviano
per portarsi sulla città neoedificata di Giulia, molte chiese
del lido vennero ricostruite sul paese, per permettere ai
fedeli di continuare a praticare i vari culti ai quali erano
affezionati.
Questo avvenne anche nel caso della Misericordia , che si
affaccia su Piazza Dante Alighieri, eretta con lo stesso
nome di un altro edificio di culto che era stato
costruito nel centro medioevale dopo la tremenda
pestilenza del 1348.
~ ii ~
Si tratta di un monumento molto particolare per la sua valenza urbanistica ed architettonica.
Osservando infatti la pianta dell’isolato che comprende sia la chiesa che la sagrestia a fianco, si
nota una caratteristica molto particolare, ossia la forma trapezoidale irregolare.
Questo è molto strano, poichè si tratta di un’emergenza architettonica, ossia di un edificio
molto importante, che chiude addirittura un intero lato della piazza dove si svolgeva il mercato
giuliese, e che sicuramente non è stato ricavato dallo spazio “avanzato” dagli altri isolati, bensì
deve essere stato disegnato all’interno del piano di fondazione proprio con quella forma.
Quindi, rispetto alle grandi chiese rinascimentali che nascono con forme simmetriche e
regolari, la nostra “Misericordia”, risalente al secolo XVI, si colloca in un ambito molto
particolare, ancora da definire.
Vi sono alcune ipotesi, ad esempio quella secondo cui l’edificio nel progetto originale occupava
anche l’area della sagrestia, e doveva quindi avere un interno trapezoidale, con una forte
illusione prospettica di profondità, che d’altronde abbiamo già trovato nella piazza ducale.
Tuttavia si tratta solo di idee....
Le torri costiere
Sin dai tempi più remoti la popolazione giuliese,
come del resto tutti gli abitanti delle zone
costiere, vivevano sotto la costante minaccia
delle incursione dei pirati.
La funzione stessa della colonia romana di
Castrum era di sorvegliare le coste e proteggere
l’accesso alle principali vie commerciali.
La pressione divenne insostenibile quando le
continue guerre contro i saraceni favorirono le
scorrerie dei turchi, che finirono per diventare un
vero incubo per tutta la popolazione.
La necessità impellente di un servizio di guardia
e difesa del litorale si tradusse, nel 1563 nella
costruzione di una serie di torri costiere
d’avvistamento, capaci anche di una moderata
funzione di difesa.
Lungo la costa furono erette 15 torri, ma solo 7
sono ancora visibili, alcune ben restaurate, come
quella di Cerrano, o quella detta di Carlo V, altre rimangono prive di manutenzione, ma sono
ancora utilizzate per scopi più modesti, come quella giuliese, detta del Salinello, ad uso di
magazzino.
In realtà a Giulianova vi era anche un altro torrione, nei pressi della foce del Tordino, di cui
oggi rimane solo qualche traccia, circa 500 m. ad est dei ponti della ferrovia.
Questa torre ebbe due crolli, entrambi dovuti all’aggressione delle acque del Tordino, una
subito dopo la costruzione, nel 1578, un’altra, definitiva, nel 1812.
La torre del Salinello ha avuto più fortuna e si può ammirare ancora oggi dalla S.S. 16, sul lato
ovest; ha forma di tronco di piramide di circa 10 m di lato alla base, è composta da due vani,
uno al livello di piano terra, ed un altro al livello di primo piano.
Il vano alla base ha mura più massicce rispetto a quello soprastante, ed è di circa 5x5 m, con
copertura a volta a botte.
Non manca qui l’elemento comune a tutte le torri, fondamentale nel caso di piccoli assedi e
azioni di disturbo, ossia il pozzo, ricavato dentro lo spessore delle mura.
Mediante una scaletta si raggiunge il piano superiore e poi ancora la terrazza, il punto
fondamentale per i tiri di difesa, originariamente protetto da merlatura guelfa.
~ iii ~
Torrioni
La cinta di mura che proteggeva la cittadella di Giulia era
senza dubbio una delle parti più delicate del progetto del
piano di fondazione. Fu ideata da Francesco Di Giorgio
Martini in un’epoca in cui si iniziava ad utilizzare la polvere
da sparo, ed i vecchi metodi di assedio stavano
scomparendo per lasciare posto a pratiche più indirette
basate sulla distanza e sulla demolizione totale. Mentre le
mura medioevali dovevano essere alte, per impedire
l’arrampicarsi del nemico, ma non eccessivamente spesse,
dovendo resistere soltanto a colpi relativamente deboli,
adesso la pratica costruttiva si inverte: le mura diventano
basse per offrire un bersaglio più difficile, ma allo stesso
tempo si ispessiscono, per resistere più a lungo ai potenti
tiri di bombarda. Ma la parte più difficile del progetto stava nel prevedere i punti più esposti,
calcolare la distanza minima che può raggiungere il nemico senza esporsi al fuoco di difesa, e
creare una cinta spigolosa che offra a questi punti pericolosi sempre un angolo “scivoloso” per
la palla di cannone, che deviando di lato scarichi sulla struttura muraria solo una minima parte
della sua potenza distruttiva. Sempre in linea con questa filosofia della “deviazione laterale” le
torri in una prima fase passano dalla forma quadrata del medioevo ad una forma cilindrica,
per trasformarsi successivamente in puntoni romboidali. Giulianova appartiene alla fase del
primo studio contro la nuova arma, quella con le torri cilindriche; in pianta sono presenti sottili
calcoli di balistica e di strategia militare, intesi a proteggere al meglio la cittadella impiegando
il minor numero possibile di uomini. Allo stesso tempo, non viene trascurata la componente
estetica e di rappresentanza e il tutto viene sapientemente fuso in un progetto completo sotto
tutti i punti di vista. Purtroppo oggi, dopo gli interventi ottocenteschi con la mania di eliminare
gli edifici “vecchi”, da risanare a tutti i costi, a posto delle mura troviamo una circonvallazione
stradale, e gli ultimi torrioni inglobati dentro alcune abitazioni non offrono assolutamente
un’idea della bellezza delle antica cinta. Rimane il capitozzato torrione detto impropriamente “il
bianco”, che in realtà è tutt’uno con l’edificio a cui è saldato, ossia la Rocca , estremo rifugio
del Duca in caso di invasione, ma ancor di più in caso di rivolta popolare.
Di recente ha subito un restauro, effettuato però senza analizzare a fondo le tematiche
particolari di Giulianova e l’inventiva di Francesco Di Giorgio, escludendo quindi totalmente la
possibilità che i capitelli presenti in numerose fotografie antiche fossero originali, con
conseguente “decapitazione” del manufatto, che adesso somiglia più ad un silo per
immagazzinare il grano che ad una orgogliosa torre da guerra.
Monumento a Vittorio Emanuele
Il re giunse a Giulianova il 15 Ottobre del 1860, e pernottò alla
Villa della Montagnola.
In ricordo di questo avvenimento il comune affidò a Raffaello
Pagliaccetti il compito di ritrarre il re in atto di salutare la folla
festosa.
L’artista realizzò diversi studi in gesso, conservati tuttora nella
sala Pagliaccetti, tutti progetti grandiosi, ma una volta scelto
quello da farsi, per motivi economici il basamento venne
fortemente ridotto, mutilando praticamente l’intera opera.
Questo dispiacque molto a Pagliaccetti, che giunse sul punto di
ripudiare il monumento, e di desiderare la sua distruzione
~ iv ~
Biblioteca e pinacoteca V. Bindi
Vincenzo Bindi, con lascito testamentario, donò al
Comune di Giulianova la sua grande casa natia, la
vasta collezione di opere d’arte, e l’importantissima
raccolta di libri, composta da ben 7000 volumi, 110
cartelle di miscellanea, e diversi periodici abruzzesi.
Così la sua abitazione, in Corso Garibaldi 14, divenne
una delle principali biblioteche sull’abruzzesistica, che
con il tempo è giunta a conservare sino a 25000
volumi.
Vi sono anche opere molto rare, come i cosidetti
incunaboli, ossia i primissimi libri stampati, risalenti al
XVI sec.
Al piano superiore vi è la pinacoteca, il cui nucleo
principale di opere è composto dai quadri della “Scuola
di Posillipo” una corrente pittorica napoletana i cui
maggiori esponenti furono Raffaele, Consalvo e
Giuseppe Carelli.
Vi sono anche molte altre opere, che si spostano in un arco temporale che va dal seicento ai
primi del novecento, per un totale di circa trecento pezzi.
Santuario dello Splendore
La tradizione vuole che il 22 Aprile 1557 Maria
Santissima
sia
apparsa,
nella
zona
più
settentrionale della collina giuliese, ad un
semplice taglialegna, di nome Bertolino.
L’apparizione avvenne su di un olmo e fu
circondata da un grandissimo splendore, e
davanti all’incredulità del duca al racconto
dell’uomo, il fenomeno ebbe luogo più volte,
insieme ad altri avvenimenti singolari.
Il miracolo più importante fu lo sgorgare di una
sorgente di acqua pura, proprio ai piedi
dell’albero dove era comparsa la Madonna.
La popolazione giuliese, animata da grande
fervore e fede, si mosse allora alla costruzione
del Santuario, detto appunto dello Splendore,
che
possiamo
ammirare
tutt’oggi,
completamente restaurato e arricchito di nuove
interessanti strutture culturali.
Recenti studi ad opera di Sergio Di Diodoro ed
altri ricercatori affermano però che la datazione
degli avvenimenti andrebbe rivista, anticipandola
di circa un decennio.
Nel corso della sua storia, il grande complesso
subì più di una modifica: nato come Grancia
Celestina, rischiò di scomparire nel 1652, quando
fu salvato grazie all’intervento del Duca Giosia III di Atri; nel 1807 fu soppresso a causa delle
leggi Napoleoniche, ma nel 1844 e nel 1847 il Municipio Giuliese riuscì ad affidare parte di ciò
che rimaneva all’ordine dei Cappuccini, che lo ingrandirono, costruendo tra l’altro la grande
torre campanaria.
Nel corso dei successivi conflitti mondiali, l’edificio fu nuovamente in pericolo, ma riuscì sempre
a resistere, grazie alla volontà dei giuliesi, affezionati e riconoscenti verso il Santuario.
~v~
Sala Pagliaccetti
Testa di Baccante (1859-61)
Donata dallo scultore al conte di Castellana, suo amico e mecenate, l'opera
confluì successivamente nella Pinacoteca del Comune di Giulianova e in un
secondo tempo fu esposta nella Sala dedicata all'artista giuliese, dove si
trova ancora oggi. L'opera è una replica della statua rappresentante l'Antinio
Braschi (Roma, Musei vaticani) eseguita dallo scultore negli anni
dell'Accademia, tra il 1859 e il 1861. La testa, realizzata in gesso, misura cm.
57 per 65, ed è alta 97 cm.
L’ingresso della sala Pagliaccetti si trova sul lato nord della Piazza
della Libertà, prima della scuola elementare “De Amicis”.
Si tratta di un piccolo museo che raccoglie alcune opere del grande
scultore Raffaello Pagliaccetti, tra cui citiamo i bozzetti in gesso per la statua di Vittorio
Emanuele che si trova nella piazza antistante, diversi busti in gesso (Garibaldi, il maresciallo
Moltke, la poetessa teramana Giannina Milli ed altri...) , la statua di Pio IX e diversi studi di
particolari.
Successivamente sono state aggiunte anche opere di altri autori, come Ulderico Ulizio, autore
del busto di Pagliaccetti in Piazza della Libertà, o come la grande lapide in travertino, che si
trovava sopra la porta principale di Giulianova, particolarmente importante per la storia
Giuliese, risalente alla fondazione della città, con la scritta in latino che spiegava al viaggiatore
il perché di tanta distruzione a Castel San Flaviano:
ADVENA QVISQVIS AD HAEC SVRGENTIA MOENIA PERGIS,
MVTATAS COGNOSCE LOCO SIC NOMINE SEDES,
TVRBINE BELLORVM ET COELO GRAVIORE RELICTAS,
ARVA VIDES PROFVGIS QVONDAM VIDVATA COLONIS,
FRVGIBVS INDIGENAS ISTIS EXPLERE BEATOS.
Traduzione:
O forestiero, qual tu sia che giungi a queste aderte mura, ti sia noto che ogni cosa mutò di
luogo e nome poscia che fu, per turbinar di guerre, abbandonata, e per più avverso cielo. E
mira i campi , che un dì furon deserti dei fuggiaschi coloni, ed or con queste messi fan colma la
nativa gioia.
(Traduzione di Serafino Brigiotti)
Chiesa di Sant’Antonio
Questa chiesa, fino ad oggi classificata come barocca, in
base alla data di fondazione, il 1566, come si legge
nell’iscrizione sopra il portale, appare invece costruita con
uno stile alquanto semplice ed essenziale, tendente molto
di più ad un rinascimentale arcaico, come quello della
chiesa di S. Anna.
La facciata è quasi completamente priva di sporgenze,
fatta eccezione per le due paraste laterali, che con il loro
modesto spessore sottolineano la delimitazione della
parete; c’è una totale assenza dei giochi volumetrici e i
rigonfiamenti tipici del barocco, qui tutto è dominato dalla
linea retta, niente curve, nè nicchie; sono la regolarità e
la semplicità le vere regole formali del fronte di S.
Antonio, che d’altronde ben si accordavano con l’origine
della chiesa, nata come cappella di un convento
francescano.
Nell’ingresso modesto, sottolineato dalla cornice in pietra,
sono ancora più evidenti queste caratteristiche di
essenzialità rinascimentale e nient’affatto barocche: la
~ vi ~
totale assenza di un frontone, sostituito da un rigido architrave lapideo scanalato, la semplicità
delle modanature, lo scarso contrasto con il resto della parete, tutto sta a sottolineare uno stile
compositivo basato più sulla proporzione, sul rettangolo, sulla geometria pura piuttosto che
sulla decorazione, sull’aggetto, sulla linea libera.
Direttamente collegate all’ingresso sono le due finestre soprastanti, oggi murate;
esse condividono lo stesso stile, semplice ma anche estremamente funzionale:
la chiesa originaria doveva essere sicuramente molto più luminosa di quella attuale, grazie
proprio a queste due aperture, che insieme ad una terza costruita nell’abside e anch’essa oggi
murata, dovevano dare una gradevole luce durante tutte le ore del giorno.
La sommità della facciata è coronata da una modanatura in laterizio, che come le paraste
laterali delimita e conclude la parete, evidenziando ancora di più le componenti orizzontali e
verticali.
Per quanto riguarda le pareti laterali il discorso si fa molto più complesso: ci troviamo di fronte
ad una serie di trasformazioni e mutilazioni, sventramenti e ricuciture....
La parete est e la parete ovest, pur appartenendo allo stesso organismo architettonico, hanno
due storie strutturali differenti, in quanto la prima è legata alle vicende della sagrestia vecchia,
di cui oggi rimane soltanto qualche traccia, insieme ad un’edicola rappresentante una
Deposizione, mentre la seconda condivide la storia del convento francescano, anch’esso
demolito nel secolo scorso per lasciare il posto all’edificio che oggi ospita le scuole elementari
De Amicis.
Per completare il nostro esame del perimetro esterno, bisogna
esaminare la zona absidale, ossia la parte posteriore della
chiesa.
Quello che si vede ai nostri giorni è un edificio rettangolare
che ospita sopra la sagrestia e sotto i bagni pubblici; si tratta
della costruzione edificata nel 1887 dall’ing. Gaetano De
Bartolomei, in sostituzione dell’antica sagrestia demolita.
Per mettere in comunicazione questo locale con la navata, egli
perforò il muro, aprendo la porta che si trova dietro l’altare.
In realtà questa realizzazione ha tolto alla chiesa gran parte
del suo fascino.
S. Antonio terminava infatti con un abside in mattoni, che
sarebbe oggi visibile dalla piazza della Libertà.
L’interno della chiesa non è di facile lettura.
Infatti, la navata originale era sicuramente più larga di quella
attuale e priva di tutti gli stucchi e le decorazioni che vi sono
oggi, ma in accordo con la facciata esterna e con lo stile di vita
dell’ordine francescano, doveva apparire in un composto stile
tardo rinascimentale.
In seguito con l’avvento del barocco, e probabilmente in
occasione di una favorevole congiuntura economica del
convento, l’interno venne praticamente ricostruito, creando
una serie di paramenti murari posti ad una distanza di qualche decina di centimetri dalle pareti
originali.
In alcuni punti però, in corrispondenza delle grandi nicchie che ospitano le immagini dei Santi,
il muro antico è stato addirittura assottigliato, in modo da ottenenere un più marcato contrasto
volumetrico tra i vuoti ed i pieni.
I danni maggiori subiti dalla chiesa furono causati dall’usura del tetto, che in tempi
relativamente recenti, finì per perdere la sua impermeabilità, permettendo all’acqua piovana
di raggiungere la volta affrescata sopra l’altare; la zona absidale interna cominciò quindi a
dare pesanti segni di degrado: distacco dell’intonaco, muffa, striature di umidità etc...
Fu appunto questo il motivo che rese necessario un pesante intervento di restauro nel 1932,
che comportò anche la demolizione del vecchio campanile e la ricostruzione di quello che si
vede oggi sulla parete ovest.
Successivamente furono effettuati altri interventi di restauro, meno radicali: infatti la chiesa,
dopo la seconda guerra mondiale, si trovò in uno stato di semi abbandono, e fu sottoposta ad
un lento, ma costante saccheggio che finì per svuotarla di tutti gli arredi sacri.
Venne quindi trascurata per diversi anni, fino al recente intervento di Roberto Macellaro.
~ vii ~
Duomo di San Flaviano
Fu iniziato nel decennio 1472-81, durante la prima fase
costruttiva della città, insieme alle strutture vitali per il
nuovo abitato, come le mura, il palazzo ducale e le strade
principali.
L'esecuzione della cripta fu quindi seguita direttamente dal
progettista, con tutta probabilità Francesco Di Giorgio
Martini, il famoso architetto e trattatista del rinascimento.
Nel 1481, con la morte di Giuliantonio Acquaviva, il cantiere subì un fortissimo rallentamento,
e l'opera fu terminata soltanto nei primi anni del 1500, ma non ad opera del maestro senese,
morto nel 1501, bensì di qualche ingegno locale, che modificò il disegno originale, paradigma
di tutti i moduli utilizzati nell'urbanistica giuliese, sminuendolo di molto, sia per motivi
economici che per incapacità tecnica.
Il duomo martiniano era coperto con una volta a padiglione a sesto leggermente acuto, e non
con una cupola circolare su tamburo, come nell'edificio esistente.
Probabilmente quindi, in corrispondenza delle lesene angolari dovevano partire dei costoloni
simili a quelli utilizzati dal Martini in Santa Maria delle Grazie al Calcinaio, presso Cortona,
eretta nel 1485 e completata nel 1513. Per una ricostruzione dettagliata si rimanda al testo del
prof. Mario Montebello "Francesco Di Giorgio Martini: teoria e pratica proporzionale, da
Giulianova ai trattati” (Demian Edizioni, 1997).
Formalmente il restante corpo della Chiesa è rimasto simile al progetto, ma tutte le misure e le
proporzioni sono state completamente alterate, con effetti devastanti sia dal punto di vista
modulare che visivo; le finestre ad esempio sono state dilatate per aumentare la luminosità
dell'interno, distruggendo il suggestivo effetto chiaroscurale cercato dal Martini, l'altezza della
cupola è stata ridotta, ma si è tentato di rimanere fedeli alle dimensioni progettuali innalzando
la croce del lanternino….
Entrando dalla porta principale di Giulianova, prima che la città venisse deturpata dagli
interventi dell'urbanistica moderna, si veniva accolti da una grande piazza, pavimentata con
laterizi tessuti a spina di pesce; ad est, lo spazio era chiuso dal palazzo ducale, mentre ad
ovest, a fronteggiare l'autorità terrena, si doveva trovare il Duomo, isolato da tutti gli edifici, e
privo di campanile.
L'ingresso non si trovava dove è oggi, bensì, ovviamente, sul lato che si affaccia alla piazza,
dove attualmente rimane solo l'entrata della cripta, che doveva essere accessibile passando
sotto la scalinata d'accesso principale.
Di particolare complessità è il soffitto della cripta, a causa del particolare raccordo tra gli otto
pilastri, la volta ad ombrello centrale, e le volte a croce anulare del giro più esterno.
L'interno della chiesa vera e propria, nonostante le pesanti perdite dovute non solo alla tarda
realizzazione ma anche alle diverse vicissitudini del manufatto, rimane ancora molto
suggestivo, con le sue linee classiche e pulite e il suo pozzo di luce proveniente dal lanternino.
Notevole è anche la funzione urbanistica dell'edificio, che con la cupola in origine coperta di
tegole di maiolica azzurro-verde, rappresentava il punto di riferimento e allo stesso tempo il
simbolo stesso della città.
Grazie al riflesso del sole, infatti, la chiesa era ben visibile anche dal mare, per molti chilometri
di distanza.
La chiesa di S. Anna
Questo edificio, nonostante sia fortemente trascurato,
presenta delle caratteristiche che ne fanno l'elemento
forse più importante dell'urbanistica giuliese, con degli
echi che potrebbero coinvolgere tutto il territorio
nazionale.
La chiesa, molto piccola, priva di tetto e ormai ridotta
praticamente solo ai muri perimetrali e all'altare, sarebbe
da restaurare per il solo fatto che é la superstite meno
deturpata tra gli edifici realizzati nella prima fase
~ viii ~
costruttiva della città, tra il 1472 e il 1482, a cui appartenevano anche le mura, demolite
completamente il secolo scorso, e il Palazzo Ducale.
Ma al di là di questi motivi generati dall'interesse per la storia
dell'architettura locale, il prof. Mario Montebello, che da oltre
vent'anni porta avanti studi approfonditi su Giulianova, si rese
conto del valore di ben più vasta portata che la chiesa possedeva,
quando intuì che anche questa è stata progettata dall'architetto
senese Francesco Di Giorgio Martini, paragonabile, nel campo
dell'architettura, a Leonardo Da Vinci, di cui fu anche uno dei
maestri.
Tutto il piano di fondazione di Giulianova fu ideato molto
probabilmente da questo genio del Rinascimento.
Egli realizzò la città con geometrie molto complesse, che in
maniera raffinata tenevano conto di molteplici fattori: significati
magici e neoplatonici, illusioni prospettiche, strategie difensive.
Anche S. Anna, per inserirsi nell'accurato progetto urbanistico,
doveva rispondere a ben precisi criteri di dimensionamento
modulare e proporzionale, ma a differenza degli altri edifici, essa
non è stata modificata e conserva in maniera impressionante tutti
gli elementi che hanno plasmato la città.
In parole povere, la piccola cappella è una specie di indice, o di riassunto, di tutto il criterio
progettuale giuliese.
Prima di proseguire nella descrizione architettonica, vorrei denunciare il sempre più grave stato
di degrado in cui versa la chiesa, che nonostante ripetuti appelli viene lasciata marcire sotto gli
occhi di tutti.
Fra pochi anni cadranno anche i quattro muri che rimangono, e mentre in altre città (che a
volte non hanno neppure un decimo del significato architettonico di Giulianova) gli edifici
antichi vengono restaurati e proposti ai turisti e agli studiosi, la nostra Giulia si ritroverà con
un ennesimo e importantissimo pezzo in meno, con un'altra terribile mutilazione…
La chiesa è situata nella zona Nord Occidentale del nucleo antico di Giulianova, nei pressi della
rocca difensiva, oggi erroneamente identificata con il solo torrione d'angolo detto "il Bianco",
recentemente "restaurato".
Un primo inquadramento storico della chiesa avviene a livello sociale, al suo apparente cioé, ad
uno dei microcosmi previsti dal piano di fondazione del Martini, e precisamente a quello
riservato all'estremo rifugio del duca in caso d'attacco nemico e di sommosse cittadine, nel
punto più alto e meglio guarnito dell'insediamento.
Altre zone erano quella della piazza ducale (con le due autorità, politica ed ecclesiastica che si
fronteggiavano), la zona del mercato (con la piazza appositamente situata al centro di due
strade carreggiabili a senso unico), le zone di ingresso alla città, vere e proprie piazzeforti, ed
ancora l'ospedale-lazzaretto nella zona nord-ovest con la chiesa titolata a S. Rocco protettore
degli appestati.
Individuata per grandi linee l'ubicazione, possiamo passare ad analizzare i primi elementi
particolari, che iniziano a legare la chiesa con tutto il nucleo antico.
Scopriamo innanzitutto l'uso delle leggi della prospettiva nell'attenta costruzione di uno scorcio
prospettico in relazione a S. Anna e S. Rocco: un asse ottico lega le facciate delle due chiese,
che si bilanciano all'estremità di via dell'asilo.
Ma i legami che intrecciano questa chiesa alle trame urbane vanno ben oltre il semplice effetto
visivo, anzi non si manifestano affatto all'occhio del profano che li percepisce soltanto nella
sensazione di armonia tra gli edifici (anzi li percepirebbe, in assenza superfetazioni e delle
mutilazioni successive); essi sono generati da rapporti
numerici, che racchiudono con meravigliosa complessità le
idee e la filosofia dell'architetto che disegnò la città.
S. Anna è un edificio dove ogni spigolo ha motivo di
essere, perché in rapporto con tutto il costruito
circostante.
Volendo rappresentare su di un unico disegno tutti i
reticoli e le proiezioni di questo monumento, ne uscirebbe
poco più di una macchia nera. Sarebbe inutile in questa
sede elencare tutti i sottilissimi calcoli che modellano
l'edificio e oltretutto si ripeterebbe il lavoro già svolto
~ ix ~
ottimamente dal prof. Montebello; basteranno pertanto pochi esempi, quelli più evidenti, per
dimostrare la validità di quanto detto e la necessità impellente di un restauro. Per avere
un'idea concreta delle implicazioni metriche e formali che si legano alla chiesa basterà
considerare i soli moduli che si riferiscono alle dimensioni del duomo ottagonale di S. Flaviano.
Nonostante S. Anna e S. Flaviano siano stati costruiti in epoche differenti, sono impostati sugli
stessi moduli: questa è la prova inconfutabile che un unico piano di fondazione ha guidato la
mano dei costruttori della città.
La lettura dell'edificio può avvenire a diversi livelli; ma per sottolineare la natura proporzionale,
il modulo più facilmente leggibile e quindi più indicato, è dato dalla larghezza del vano della
porta, di 5.5 piedi romani, ossia m 1.62 (per le approssimazioni vedi Mario Montebello, 1997,
op. cit. pag. 37), che scandisce tutta la chiesa.
Infatti detto p questo modulo, la facciata risulta 4p, la fiancata 7p, l'altezza totale 5p.
Purtroppo in questa sede non è possibile approfondire il discorso su questi componenti rimasti
superstiti al tempo a all'incuria umana, ma già da quanto detto è chiaro che se non si agisce
subito tra pochi anni la Chiesa di S. Anna non esisterà più.
~x~
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