Federazione
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Italiana
Cinema
d’Essai
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wwww.spettacoloveneto.it
Film
d'apertura
e
vincitore premio Brian
Mostra Internazionale
d'Arte Cinematografica
di Venezia, 2011
INTERPRETI:
Ryan Gosling,
George Clooney,
Philip Seymour Hoffman,
Paul Giamatti
SCENEGGIATURA:
George Clooney,
Grant Heslov,
Beau Willimon
FOTOGRAFIA:
Phedon Papamichael
MUSICHE:
Alexandre Desplat
MONTAGGIO:
Stephen Mirrione
SCENOGRAFIA:
Sharon Seymour
DISTRIBUZIONE:
Rai Cinema / 01
Distribution
NAZIONALITA’:
USA, 2011
DURATA: 102 min.
Associazione
Generale
Italiana
dello Spettacolo
di George Clooney
PRESENTAZIONE E CRITICA
Integrità. E’ questa la parola che conquista, il passpartout per
persuadere gli elettori, il loro supporto, il loro voto quando si tratterà di
decidere a chi affidare il Paese. C’è chi ci crede davvero, e chi no, ma
di sicuro, in un’epoca di scandali e scarsa credibilità su vari livelli che
si parli di politica come di finanza, rifarsi a valori come la lealtà e la
coerenza è una moneta che paga. Così almeno la pensa il governatore
Mike Morris e il suo staff di addetti alla comunicazione. E’ lui il favorito
per le primarie per decidere il candidato del partito democratico, ma la
lotta è serrata e seppur l’avversario si trovi nello stesso partito i colpi
bassi sono all’ordine del giorno. Siamo nell’Ohio, uno degli "swing
state" per eccellenza, capace da solo di indicare da solo, che si tratti di
primarie o elezioni nazionali, colui che alla fine si contenderà o
conquisterà la Casa Bianca, e il punto di vista scelto per i giorni preelettorali è quello di un giovane e rampante addetto stampa
(interpretato da Ryan Gosling). E’ una persona che crede in quel che
fa, ma ancor di più crede nel politico a cui ha deciso di affidare il
proprio talento, quel Mike Morris dalle idee così aperte, laiche e
pacifiste, senza per questo perdere di vista valori come la famiglia e la
patria, per la cui vittoria è quasi disposto a tutto. Dovrà purtroppo
ricredersi a breve, la politica è pur sempre politica, lo scopo è solo uno,
vincere e non si guarda in faccia a nessuno per accaparrarsi il primo
posto, anche se in gioco c’è proprio quella parola, integrità, che molti amano masticare nei propri
discorsi. Nella doppia veste di regista e interprete (non protagonista, ma comunque personaggio
centrale della vicenda), Clooney realizza ancora una volta (come in Good Night, and Good Luck)
un film denso di sfaccettature, amaro nelle conclusioni, ma lucido nella rappresentazione di un
mondo fatto di contraddizioni morali e strategiche. Storia circolare, bisogna macchiarsi per entrarci
davvero dentro, nessuno spazio per errori, seppur a prima vista veniali: l’ingenuità può uccidere se
non si è in grado di sedersi al tavolo e giocare anche le mani cattive. Per dare credibilità ad
ognuno dei personaggi, tutti a loro modo capaci di cambiare sensibilmente il corso della storia con
semplici allusioni o minacce di intervento, il premio Oscar di Syriana ha deciso di affidarsi anche
per i ruoli minori, ad un carnet di grandissimi attori: Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa
Tomei e Evan Rachel Wood. Per il resto, Gosling tiene benissimo la scena e Clooney serve quel
tanto a dare l’idea di un uomo con il tipico fascino del politico grande comunicatore. Si cita, più o
meno implicitamente Obama (i cartelloni bicolori sono simili alla celebre illustrazione fattagli da
Shepard Fairy), ma già in Power di Sidney Lumet si parlava degli stessi temi e con la stessa
tipologia di personaggi, di questa strana commistione tra comunicazione, politica e valori.
(http://filmup.leonardo.it)
L’idea, a leggere le note di produzione, è quella del classico film dove un giovane volenteroso e
inesperto si affaccia sulla ribalta politica al fianco di un candidato per scoprirne tutto il marcio e,
disgustato, scendere dalla giostra. Non è così per fortuna, per lo meno non c’è manicheismo
nell’avvincente, ben calibrata quarta regia di George Clooney, habitué di Venezia dove il suo LE
IDI DI MARZO ha inaugurato l’edizione 2011. […] Lo svolgersi della campagna elettorale vissuta
dalle stanze dello staff (il film è tratto dall’opera teatrale di Beau Willimon Ferragut North), il
susseguirsi di sorprese, colpi di scena, piste offerte allo spettatore più smaliziato è molto ben
costruito e, seppur scevro da ingenuità hollywoodiane, resta fruibile dallo spettatore medio anche
quando il protagonista scopre di essere una pedina contesa, ora pronta ad essere sacrificata. C’è
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di George Clooney
del marcio nella politica, bella scoperta, ma il bello del film è che ogni personaggio, scolpito con
precisione e tale da offrire a ciascuno dei numerosi (grandi) attori almeno una scena memorabile,
è al tempo stesso cinico e vulnerabile, si trova davanti a dilemmi morali e professionali e reagisce
a modo proprio, d’impulso o per esperienza, pagandone lo scotto. Esemplare il percorso del
professionista, che crede nella propria missione come crede alla caratura del candidato Morris,
salvo scoprirne magagne di un tipo ben noto anche a noi italiani e, pur preservandone l’immagine
pubblica, non disdegnando mezzi infimi per restare in sella. In una girandola di bassezze e
soluzioni facili, il personaggio più ligio alle regole appare quello interpretato da Seymour Hoffmann,
la “vecchia scuola” che si è fatta le ossa sul campo, manipola la stampa, si espone ma deve
arrendersi non la migliore ma a chi riesce a soffocare uno scandalo. Clooney è prima di tutto un
attore e la bravura del cast denota la sua affezione per ogni collega, oltre alla capacità di scelta.
Con notevoli apporti tecnici (montaggio e musiche su tutti) arriva dritto al punto senza slabbrature,
richiamando alla memoria quel cinema liberal, di denuncia che negli anni ’70 ha fatto grande
Hollywood. Con buona pace di chi pensa a Clooney come a una fatua macchina da gossip.
(Vivilcinema 6/2011)
[…] Viviamo davvero in tempi poco raccomandabili se anche George Clooney, progressista doc,
lancia l’allarme nei confronti dei meccanismi di una democrazia che procedono grazie all’olio della
corruzione e del ricatto. È un romanzo di formazione quello che ci viene proposto sotto le spoglie
del thriller politico (dei cui sviluppi è bene sapere il meno possibile prima della visione) e quella
formazione coincide con il degrado. Il fatto che Clooney, ispirandosi a un testo teatrale di Beau
Willimon, si muova all’interno del campo democratico mostra come sia animato dal desiderio della
messa in guardia. Non è una novità per il cinema americano scoperchiare le malefatte del potere,
ovunque esso eserciti il suo perverso fascino. Che però questo avvenga in piena era Obama deve
preoccuparci ancor più direttamente. Clooney non è diventato un qualunquista di basso livello
pronto ad affermare “i politici sono tutti uguali”. Si muove su un piano più elevato e perciò molto più
significativo. Attraverso il mutamento (anche di espressioni) dell’efficace Ryan Gosling sembra
volerci ricordare come la democrazia stia sempre più trasformandosi in una parola che si è
svuotata del significato originario per includere invece opportunismi e compromessi da cui nessuno
è esente. I rapporti tra esseri umani finiscono con il dissolversi facendo sì che le parole stesse
perdano totalmente il loro valore. Clooney non risparmia neanche il mondo dei media, grazie al
personaggio affidato a una Marisa Tomei in grado di mostrare come il ruolo della giornalista che si
occupa di politica sia al contempo quello di cacciatore e preda. I pugnali delle Idi di marzo possono
anche uccidere ma, soprattutto, sono in grado di infliggere ferite che sembrano apparentemente
rimarginarsi mentre in realtà danno inizio a un processo di putrefazione delle coscienze che rischia
di coinvolgerci tutti.
(www.mymovies.it)
Troppo bravo lui, troppo bello il film di cui è regista, sceneggiatore, interprete e che ieri sera - con
lunghi applausi in sala grande - ha aperto la corsa al Leone d'oro. Si intitola 'Le Idi di marzo', in
Italia uscirà a gennaio e parla dello scandalo in cui è coinvolta la giovane stagista di un candidato
alle elezioni presidenziali. Più americana di così si muore, eppure la pellicola parla a tutte le
democrazie del mondo, quella italiana compresa, perché parla di politica, del suo fascino
irresistibile e del suo lato oscuro, mefistofelico. Parla, soprattutto, della 'macchina del fango',
quell'arma impropria con cui viene distrutto un avversario usando una campagna di stampa ben
orchestrata (e poco importa se è vera). George Clooney si nasconde dietro a un dito, quando
afferma che non è un film politico. Lo è, invece, e fino in fondo. (...) È un'analisi nitida e
implacabile, dolorosamente coerente nei bisturi che squartano le piaghe del potere e nei fili che ne
suturano le ferite. C'è dentro tutto: Shakespeare, Faust, Macbeth e Otello con Cesare, Bruto e
Cassio. Davvero esiste un prezzo per vendere l'anima al diavolo? Chiedere, per informazioni, a chi
frequenta le stanze dei bottoni. (...) Nella pellicola c'è tutto il teatrino della politica cui siamo
abituati: sondaggi da decriptare, nemici da affossare, tradimenti, alleanze imbarazzanti. E
soprattutto il sesso, più o meno torbido, più pericoloso di un serpente a sonagli. Assediato dai
giornalisti (sala stampa piena al di là di ogni ragionevole misura di sicurezza) Clooney è bravo a
destreggiarsi tra le insidie della cronaca.
(www.cinematografo.it)
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