I luoghi della filosofia: il soggiorno in Grecia di Martin Heidegger

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I luoghi della filosofia: il soggiorno in Grecia di Martin Heidegger - 04-17-2015
di Alberto Giovanni Biuso - Sicilia Journal, Giornale online di notizie - http://www.siciliajournal.it
I luoghi della filosofia: il soggiorno in Grecia di Martin Heidegger
di Alberto Giovanni Biuso - 17, apr, 2015
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Nelle pieghe del mondo. È lì che gli dèi si sono nascosti ma è nello spazio sacro, nel loro tempo eterno,
che abitano ancora. Possiamo quindi incontrarli ogni volta che il nostro muoverci e il nostro stare assume
la forma del soggiorno. È questo il senso del viaggio compiuto da Heidegger in Grecia nel 1962. Un
percorrere territori che fu un andare alla radice del suo pensare, un vedere in cui – nella dinamica del
nascondimento che si mostra – l’???????, la verità, finalmente risplende nel corpomente, attraversato
dalla vibrazione del sacro in cui il divino consiste.
Oltre l’archeologia, al di là della storiografia, il viaggio filosofico coglie la pienezza del soggiornare.
Così a Neméa, in quell’ampia distesa dove le poche colonne rimaste del tempio di Zeus vibrano «come le
corde di una lira invisibile dalla quale, forse, i venti traggono melodie di canti funebri che i mortali non
riescono a udire – eco della fuga degli dèi» (Martin Heidegger, Soggiorni. Viaggio in Grecia
[Aufenthalte, 1989], trad. di Alessandra Iadicicco, Guanda 1997, p. 24).
Partito da Venezia in nave, Heidegger tocca le prime isole – Cefalonia, Itaca –, poi Olimpia, Corinto,
Creta, Rodi… ma in nessuno di questi luoghi trova ciò che sembra cercare. Finché non gli si apre Delo –
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la Manifesta – e il senso del viaggio si compie. Nell’isola deserta, assolata e silenziosa, si raccoglie e si
nasconde il segreto della Luce. Quel luogo «custodisce il sacro e lo difende contro l’assalto di tutto ciò
che è empio» (p. 37), luogo intatto, rimasto libero dalla «crescente desolazione dell’esserci moderno» (p.
50). L’Isola di Apollo è il cuore pulsante della Grecia – lo era un tempo, lo è per sempre – poiché in essa
splende «quella inconfondibile luminosità dell’esserci greco, che cela e preserva in sé l’oscurità del
destino» (p. 55).
Il nostro destino, il Geschick del presente, vive nel rischio costante dell’insensatezza, proprio perché la
????? – la tracotanza degli apparati tecnici – è un rubare alla Terra ciò che la Terra offre, senza
riconoscere però, in cambio, la sua sostanza sacra. Questo significa che gli dèi sono fuggiti dal nostro
spazio di vita, lasciando nella desolazione più profonda – perché inavvertita – ogni nostra impresa,
ogni fare, ogni conquista.
Non alla ricerca dei singoli luoghi, dunque, è volta l’intenzione del filosofo ma all’interezza dello spazio
greco, lo spazio in cui il divino soggiorna nella pienezza che si sottrae e che lo fonda. Ad Atene,
quindi, va oltrepassata la caligine che nasconde quanto rimane della città antica, in modo da – entrati
nello spazio della dea eponima – poter sentire quel «bagliore inafferrabile» che «comincia a far oscillare
l’intera costruzione» e che la solleva «in una presenza saldamente delimitata, intimamente fusa con le
scogliere che la sostenevano. Quella presenza era colma dell’abbandono del santuario. A esso, invisibile,
si avvicinò l’essenza della dea fuggita» (pp. 46-47). La stessa apertura all’enigma, che nascondendosi si
rivela, Heidegger la vive a Capo Soúnio, dove «le poche colonne ancora in piedi offrivano al vento le
corde di una lira invisibile: le faceva vibrare il dio di Delo che guarda lontano per accompagnare il canto
che echeggiava sull’arcipelago delle Cicladi» (p. 49).
Al centro del viaggio sta dunque Apollo, il dio «che trasformò l’elemento selvaggio e conciliò la
sofferenza» (p. 30) ma il libro si chiude con Delfi, il soggiorno si compie nel nome di Dioniso. Delfi non
è i suoi specifici luoghi, i templi, i tesori, le fonti. Delfi è l’intero, la cui luce «non giungeva dai resti dei
templi o dagli scrigni dei tesori, né dalle costruzioni disseminate lungo il pendio fino alla vetta, ma
irraggiava dalla grandiosità della contrada stessa» che «sotto l’alto cielo dove l’aquila, uccello di Zeus,
volteggiava attraverso l’aria chiara, si apriva come il tempio» (pp. 57-58). Delfi che Heidegger paragona
alla coppa Exekías, con i delfini che accompagnano Dioniso. Quella coppa, Delfi e la Grecia tutta
riposano «entro i limiti propri della splendida raffigurazione […], il luogo della nascita dell’Occidente e
dell’epoca moderna, nascosto nel mondo insulare che lo circonda, resta affidato al pensiero
rammemorante del soggiorno» (p. 63).
Il soggiorno di Heidegger – in Grecia, nel mondo, nella filosofia – si configura così come un abitare il
Tempo in forma pienamente pagana e cioè nei modi di un vivere familiare, iniziale, straordinario eppur
misurato: «Quel soggiorno resterà irripetibile. Eppure non è trascorso» (p. 44). Non lo è e non lo sarà.
Con il viaggiare e con il tornare, Heidegger conferma ciò che ha sempre saputo, che «l’intera Grecia
antica si trasformò in un’unica isola richiusa in se stessa e separata dal resto del mondo noto e ignoto. Il
congedo dalla Grecia divenne l’avvento della Grecia. Ciò che era sopravvissuto portando con sé la
garanzia del proprio restare fu il soggiorno degli dèi fuggiti che si apre al pensiero rammemorante» (p.
62).
Di questo soggiornare, la filosofia è forma suprema.
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