Casa di Cultura Popolare – Società generale di mutuo soccorso – Vicenza 2. VIVERE NELLA POLIS Corso di Filosofia “0” Vivere nella polis Non mi sembra che tu sappia che chi si trovi a ragionare con Socrate, come capita, ed entri in conversazione con lui, qualunque sia il soggeKo in discussione, è trascinato torno torno ed è forzato a conNnuare finché non casca a render conto di sé, del modo in cui ha trascorso la sua vita; e una volta che c'è cascato Socrate non lo lascia più prima di averlo passato al vaglio ben bene e in ogni parte. Io che ci ho l'abitudine a lui so anche che è inevitabile che si sia traKaN così e so pure benissimo che non gli sfuggirò neanch'io. Perché mi fa piacere, o Lisimaco, stare con lui e non credo che sia affaKo male che ci sia richiamato alla mente che siamo vissuN e viviamo non bene, ch'anzi è forza maggiore che si sia più aKenN per l'avvenire, se si subisce questo esame e se secondo il deKo di Solone si vuole e si riNene giusto imparare fino all'ulNmo giorno di vita, senza credere che la vecchiaia da sola porN il senno. Per quanto dunque sta a me, non m'è affaKo insolito, né d'altra parte inviso il passare soKo il vaglio di Socrate, ch'anzi già da tempo senNvo che, con Socrate presente, il discorso non sarebbe stato più sui ragazzi, ma su noi stessi. Platone, Lachete, (187e – 188b) Vivere nella polis Da capo, dunque, rispondimi ancora: cosa dite che sia la virtù, tu ed il tuo compagno? MEN. Socrate, anche prima d’incontrarmi con te, sapevo per senNto dire che tu non fai altro che meKere in dubbio te e gli altri; ora poi, come mi sembra, mi affascini, mi dài beveraggi, m’incanN, tanto da non avere più alcuna via di uscita. E, se mi è lecito scherzare, mi somigli davvero, nella figura e nel resto, alla piaKa torpedine di mare: perché anche questa, se qualcuno le si avvicini e la tocchi, sùbito lo fa intorpidire. Ora mi sembra che tu abbia avuto su di me lo stesso effeKo, poiché sono veramente intorpidito nell’anima e nella bocca, e non so più cosa risponderN. E sì che ho faKo tante orazioni sulla virtù e dinanzi a un gran pubblico, e molto bene, come mi pareva. E ora, invece, non so neppure dire che cosa essa sia. Mi sembra, poi, che tu abbia faKo benissimo a non volerN mai meKere in mare, a non voler viaggiare fuori di qui, ché se da straniero, in straniera ciKà, N comportassi in questo modo sùbito N arresterebbero come un ammaliatore. SOCR. Sei capace di tuKo, Menone, e per poco non mi hai messo nel sacco! MEN. Ma che dici, Socrate? SOCR. So bene perché mi hai paragonato a una torpedine. MEN. Per quale ragione, secondo te? SOCR. Perché a mia volta N paragoni a qualcosa. So bene che tuKe le persone belle godono ad esser paragonate: da simili immagini traggono vantaggio, poiché, credo, belle sono le immagini delle persone belle. Io, invece, non N paragonerò a nulla. Quanto a me, se la torpedine fa intorpidire gli altri perché torpida essa stessa, io allora le somiglio; se no, no, perché non è che io sia certo e faccia dubitare gli altri, ma io più di chiunque altro dubbioso, fo sì che anche gli altri siano dubbiosi. E così, tornando alla virtù, io non so che cosa essa sia; tu, forse, lo sapevi prima di toccare me: ora, invece, sei divenuto simile a uno che non sa. Comunque voglio cercare e indagare con te cosa essa sia. Platone, Menone, (79e – 80d) Vivere nella polis • Socrate è un filosofo ateniese del V sec. a. C.. • È fisicamente bruKo, così nelle tesNmonianze di Platone, Aristofane. • Assomiglia a un Sileno, metà uomo e metà animale. Ma le statueKe dei Sileni, ricorda Alcibiade, uno dei dialoganN del Simposio, avevano la funzione di contenere le figure delle divinità. • Non ha scriKo nulla: la scriKura anziché chiarire le idee le offusca, la scriKura indebolisce la memoria, non è amica della conoscenza. Perché? Vivere nella polis “Questa scienza, [la scriKura] o re -­‐ disse Theuth -­‐ renderà gli Egiziani più sapienN e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria". E il re rispose: "O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arN nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di uNlità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effeKo. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scriKo richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, aKraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una riceKa per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere noNzie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere doissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imboiN di opinioni invece che sapienN”. Platone, Fedro (274c – 275b) Vivere nella polis • Socrate non si pone domande intorno al principio del tuKo, ma intorno alla vita, all’esistenza umana e al modo di renderla migliore. Socrate interpreta il “conosci te stesso” pronunciato dall’oracolo di Delfi come imperaNvo a sondare la natura umana, i suoi limiN, ma anche la sua perfezione, la sua virtù (aretè). Vivere nella polis • Il suo insegnamento potrebbe essere riassunto in questa frase: “prendiN cura della tua anima”. • Cosa significa prendersi cura della propria anima? Vivere nella polis O CiKadini ateniesi, vi sono grato e vi voglio bene; però ubbidirò più al Dio che non a voi; e finché abbia fiato e sia in grado di farlo, io non smeKerò di filosofare, di esortarvi e di farvi capire, sempre, chiunque di voi incontri, dicendogli quel Npo di cose che sono solito dire, e cioè questo: “oimo uomo, dal momento che sei ateniese, ciKadino della ciKà più grande e più famosa per sapienza e potenza, non N vergogni di occuparN delle ricchezze per guadagnarne il più possibile e della fama e dell’onore, e invece non N occupi e non N dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima, in modo tale che divenN il più possibile buona?” Platone, Apologia di Socrate, 29D Vivere nella polis • Prendersi cura della propria anima significa innanzituKo soKrarsi a ciò che inganna, a ciò che è effimero: i beni materiali sono importanN ma non cosNtuiscono l’essenza della natura umana. Così come gli onori, perché si può essere consideraN degni e onorevoli dagli altri e comportarsi in modo disonorevole in privato. Vivere nella polis • Prendersi cura della propria anima significa colNvare la filosofia. Non fermarsi alla superficie delle quesNoni ma percorrere tuKa l’estensione della psiché, dell’anima, del logos. Vivere nella polis • Per cercare le risposte (che cos’è la virtù, che cos’è la giusNzia, che cosa è il bene?) non si può essere da soli, chiusi in una stanza. È indispensabile essere insieme agli altri, dialogare con gli altri, nella polis. • Questo genere di domande non trovano risposta nell’apprendimento di una doKrina. Solo migliorando noi stessi conosciamo che cosa è bene; non possiamo apprendere la giusNzia e conoscerla se non meKendoci in gioco, aKuandola nella realtà. Vivere nella polis • Socrate era solito affermare “l’unica cosa che veramente so è di non sapere”. • Solo a parNre da questa parNcolare forma di “ignoranza” è possibile meKere in moto il pensiero • Pensare, filosofare, per Socrate significa domandare. Vivere nella polis • Socrate guidava i suoi interlocutori, e anche i suoi allievi, nel ragionamento, aiutandoli, aKraverso la domanda, a partorire il vero. • Si traKa dell’arte maieuNca, quella della levatrice e dell’ostetrica. Socrate non partorisce ma aiuta a far partorire gli altri, il vero, il bello, il giusto (che, per i greci sono la stessa cosa) • Se la verità è un parto, dove sta la verità? Vivere nella polis • Sta dentro di noi e coincide con la ricerca conNnua, aKraverso il dialogo con noi stessi e il confronto con gli altri. • L’altro, con cui si instaura il dialogo, ci aiuta a guardare in noi stessi (“conosci te stesso”), a far emergere la conoscenza, come se essa fosse già scriKa nella nostra anima in un linguaggio che impariamo ad uNlizzare un po’ alla volta, con l’esercizio. Vivere nella polis Se poi vi dicessi che il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno ragionamenN sulla virtù e sugli altri argomenN intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e soKoporre ad esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna d’essere vissuta; ebbene, se vi dicessi questo, mi credereste ancora di meno. Platone, Apologia di Socrate, 38A Vivere nella polis • Bene per Socrate è tuKo ciò che permeKe di realizzare la nostra natura, di esseri aperN al dialogo e alla conoscenza. • Male è tuKo ciò che ostacola questa realizzazione. Ciò significa che il male è l’assenza del sapere, del conoscere. Chi fa il male lo fa perché non sa cosa sta facendo, o non sa che cosa è bene, o pensa di farlo ingannando se stesso. Vivere nella polis • La conoscenza per Socrate non è contemplazione di una qualche verità, come se essa fosse separata da chi la osserva, ma praNca del vero e del bene. • Socrate, con la sua esistenza, ha manifestato il primato della praNca sulla teoria: la vita filosofica non è una vita spesa, nell’Acropoli, o nel tempio, ma una vita in mezzo agli uomini, al Pireo, tra i mercanN. Vivere nella polis • Platone, allievo di Socrate nacque nel 427 a.C., e visse in un’Atene diversa da quella in cui era vissuto il suo maestro. Non nell’Atene democraNca, ma in quella egemonizzata dal governo dei Trenta Nranni, dopo la sconfiKa con Sparta nella guerra del Peloponneso (431-­‐404 a.C.). Vivere nella polis • È anche per questo moNvo che Platone dedica un intero libro, il più importante che ha scriKo, alla res publica. La filosofia non solo interroga ma anche costruisce (lo Stato pensato da Platone assegna al filosofo il compito di guidare la società intera) • La ciKà giusta è quella in cui ogni uomo può senNrsi in armonia con sé stesso e con gli altri, quindi giusto. Vivere nella polis • Platone isNtuisce un parallelo tra l’anima del singolo e la ciKà. Anima e ciKà si fondono: così l’armonia e la bellezza della prima vivifica l’armonia e la perfezione della seconda. • Il poliNco ha come obieivo la concreta realizzazione di questo parallelo. • Il poliNco aiuta tui ad essere propriamente e pienamente felici. Vivere nella polis • Felice è colui che realizza la propria natura. • Così a seconda della naturale disposizione di ciascuno, ogni uomo, armonico e giusto, troverà il suo posto nella ciKà, e questa avrà bisogno di lui per essere armonica e giusta. Vivere nella polis • Che significa essere giusN? Che cosa significa vivere all’interno di una ciKà giusta? • Come per il maestro Socrate, il “conosci te stesso” è centrale. Si è giusN solo se ci si prende cura della propria anima, solo se ci si interroga rendendo conto di sé stessi, aKuando ciò che Platone chiama la sophrosyne, ovvero la capacità di conoscersi e di dominare le proprie passioni (non di eliminarle ma di incanalarle, regolarle, armonizzarle). • In tal modo ognuno svolge il ruolo che più gli si addice all’interno della ciKà. Vivere nella polis Caro Ippia, beato te che sai quali sono le occupazioni degne di un uomo e, come dici, le praNchi alla perfezione! Io, invece, viima, a quel che sembra, di non so quale demonico desNno, oscillo sempre in un perpetuo dubbio, e quando espongo i miei dubbi a voi sapienN, sono da voi coperto d’insulN, non appena vi ho faKo la mia confessione, perché dite, come anche tu ora, che mi occupo di sciocchezze, di inezie, di cose senza valore alcuno. E quando, persuaso da voi, ripeto con voi che meglio è saper comporre un ben faKo e bel discorso da pronunziare in tribunale o in altra qualsivoglia adunanza, allora mi sento violentemente ingiuriato da altri miei conciKadini e, sopraKuKo, da quell’uomo che sembra lì pronto a confutarmi". Egli per l’appunto, è un mio streKo parente e abita con me, e ogni volta che torno a casa e mi ascolta ripetere queste cose, mi chiede se non mi vergogno di avere io l’ardire di parlare sulle belle occupazioni, proprio io che così chiaramente offro prova di non sapere in che consista il bello. "Ebbene, mi dice, come puoi giudicare se un discorso è faKo bene o male, se buona o caiva è una certa azione, se ignori in che consiste il bello? E poiché N trovi in tale condizione, piuKosto che vivere non credi che per te sarebbe meglio essere già morto?". Mi accade così, come dicevo, d’essere rimproverato e insultato da voi e da lui. Ma, forse, è fatale ch’io debba sopportare tuKo questo: non sarebbe fuori luogo se ne traessi giovamento. Sì, caro Ippia, credo d’avere già ricavato un certo uNle dalla conversazione di entrambi, da te e da quel tale: ritengo proprio di avere compreso il significato del proverbio: "difficili sono le cose belle"! Platone, Ippia Maggiore, 304b – e Vivere nella polis • Quel tale che rimprovera Socrate cos’è? Chi è? Dove si trova? Abita con lui e in lui. • È l’ethos che lo spinge alla ricerca e al dubbio. • Ethikos, che ha la stessa radice di ethos significa teoria del vivere; ma ethos è il luogo in cui si abita; si è a casa propria quando le azioni collimano con ciò che siamo, con ciò che vogliamo; quando il nostro caraKere trova nell’agire una . • È l’eco della vita buona, della vita migliore. Vivere nella polis • La vita migliore è la vita che ogni uomo vuole, verso cui tende, verso cui è in cammino. In questo essere in cammino consiste la natura dell’uomo; nel tendere verso questa meta l’uomo diviene ciò che veramente è. Divenire ciò che si è è impresa difficile (“le cose belle sono difficili”) ma a colui che ci riesce si dischiude finalmente e si lascia vedere tuKo ciò che è a lui simile: l’uomo bello, e soltanto lui, vede la realtà nella sua completezza, nella sua bellezza; solo a lui le cose si mostrano belle come sono. Vivere nella polis • Platone si interroga su cosa sia la realtà in sé, su cosa sia il bello, il vero, il giusto in sé, ma nei dialoghi ci mostra che tale interrogazione non può essere disgiunta dall’uomo che si pone tali domande. Così per comprendere cosa è il vero è necessario essere veriNeri; il bello, belli; il giusto, giusN, e così per ogni cosa. • All’uomo incompiuto e non veriNero le cose appaiono quali non sono. Vivere nella polis • L’uomo consegnato ad una vita meschina (colui che non si interroga aivamente sulla virtù, sulla giusNzia e sul bello) le cose appaiono collocate in una irriducibile estraneità ed esteriorità. Egli non vede le cose ma le frantuma nella collana degli aspei, di volta in volta diversi, soKo cui esse, casualmente, capitano soKo il suo sguardo. Vivere nella polis • Anche per Platone, come per il suo maestro, la vita teoreNca è inseparabilmente legata a quella praNca. Chi conosce il vero e il giusto agisce da veriNero e da giusto. Vivere nella polis • Cerchiamo di capire che cosa intende Platone con verità. Quando si cerca la verità cosa si sta facendo? Si cerca la natura profonda del mondo, la sua natura ideale. Dunque, chi vuol tendere reKamente a tal fine deve cominciare fin da giovane ad andare verso i bei corpi, e anzituKo, se chi lo guida lo guida bene, amarne uno solo, e ivi generare bei ragionamenN; in seguito, comprendere che la bellezza di ogni corpo è sorella di [b] quella di ogni altro corpo, e che quindi, se bisogna perseguire ciò che è bello nell'aspeKo esterno, sarebbe grande stoltezza il non ritenere unica e idenNca la bellezza in tui i corpi. Compreso questo, deve diventare un innamorato di ogni bel corpo, e calmare quella sua eccessiva passione per un solo d'essi, spregiandola e tenendola a vile; poi, sNmar più preziosa la bellezza ch'è nelle anime di quella ch'è nel corpo, sicché se uno, nobile d'animo, abbia un aspeKo poco leggiadro, egli se ne contenN e lo ami e ne sia sollecito, e crei e ricerchi [c] ragionamenN tali, che rendano migliori i giovani: per essere così indoKo a contemplare il bello che è nelle isNtuzioni e nelle leggi, constatando come esso è dappertuKo affine a sé stesso, e a ritenere quindi che quello corporeo non è che piccola cosa. Dopo le isNtuzi oni, poi, deve passare alle scienze, affinché contempli la loro bellezza, e, mirando a questo bello ormai così vasto, e non servendo più, come uno schiavo, al [d] parNcolare, nell'amore per un singolo fanciullo o uomo o isNtuto, cessi dall'aver vile e misero animo, e invece, rivolto al largo mare del bello, procrei, contemplandolo, molN belli e splendidi ragionamenN e pensieri, in un infinito amor di sapienza; finché, rafforzatosi e sviluppatosi in esso, non arrivi a scorgere quell'unica scienza, che ha per oggeKo tale bellezza. E ora cerca, disse, di fare aKenzione a me più che puoi. [e]. XXIX. Colui, infai, che sia stato edoKo fin qui nella scienza d'amore, aKraverso la contemplazione progressiva e giusta del bello, giunto ormai al termine di questa sapienza, scorgerà all'improvviso una bellezza per sua natura meravigliosa, quella stessa, o Socrate, in grazia della quale erano staN sofferN tui i precedenN travagli: una bellezza che anzituKo è in eterno, e non nasce né muore, e non cresce né scema; e poi, non [211a] è bella per un verso e per un verso bruKa, né ora sì e ora no, né bella rispeKo a una cosa e bruKa rispeKo a un'altra, né qui bella e là bruKa, come se bella per alcuni e bruKa per altri. Né, ancora, gli si raffigurerà questa bellezza come un volto o come mani o come null'altro in cui corpo abbia parte, e neppure come un discorso o una scienza, né come qualcosa che sNa in altro, per esempio in un animale o nella terra o in cielo o altrove; bensì essa stessa in sé e per sé, uniforme in [b] eterno: e tuKe le altre cose belle partecipano di lei in tal modo, che mentre queste nascono e muoiono, essa non cresca né diminuisca per nulla, né subisca alcuna mutazione. Quando uno, dunque, sollevandosi sulle cose singole coll'onesto amor dei fanciulli, cominci a scorgere questa bellezza, allora può dirsi che quasi tocchi la mèta; perché in ciò sta appunto il procedere reKamente, da sé o colla guida di altri, nella via [c] dell'amore: cominciando dalle bellezze di quaggiù, ascendere via via sempre più alto in vista di quella suprema, quasi valendosene come di gradini, da uno a due e da due a tui i bei corpi, e dai bei corpi alle belle isNtuzioni, e dalle belle isNtuzioni alle belle scienze, finché dalle scienze si culmini in quella scienza, che non d'altro è scienza se non di quella pura bellezza, e così, pervenendo al termine, si conosca ciò che è, in sé, il bello. Platone, Simposio, 210a – 211c. Vivere nella polis • Proprio perché ci sono cose belle è necessaria l’idea di bello. • Come può esserci il bello, come posso dire, pensare, giudicare il bello senza, in qualche modo, riferirmi a ciò che lo rende possibile? • Possiamo immaginare l’idea di bello? Possiamo disegnarla? Possiamo descriverla? Nel momento in cui proviamo a immaginarla, compare nella nostra mente l’immagine di una cosa bella. Vivere nella polis • Le idee immutabili, perfeKe sono chiamate in causa dal mondo che ci circonda. TuKavia mentre questo può essere descriKo, immaginato, rappresentato, le idee che pur sono necessarie non lo sono. Vivere nella polis • L’idea eccede tanto il linguaggio quanto la ragione che usiamo per descrivere la realtà, in quanto rende possibile l’uno e l’altra. • La filosofia si configura come ricerca conNnua, come un appello a superare conNnuamente l’ambito della mutevole sensibilità, senza tuKavia raggiungere in modo definiNvo la conoscenza dell’idea: ciò determinerebbe la fine della ricerca e taciterebbe tuKe le obiezioni. Vivere nella polis • La realtà sensibile, quella che mi sta di fronte, suscita in me il ricordo, la reminiscenza dell’idea di bello. Ciò significa che la conoscenza delle idee è contenuta nella nostra anima e che la nascita ha prodoKo in noi un oblio, che la vita bella, giusta e vera permeKe, almeno in parte, di cancellare. Vivere nella polis • Nel Menone Socrate mostra come la conoscenza sia reminiscenza. Conoscere significa ricordare. Uno schiaveKo senza istruzione riesce, guidato da una serie di domande, a uNlizzare il teorema di Pitagora. • Ecco perché guardando nella propria anima, aKraverso il dialogo, ciò che fa si che le cose siano quello che sono, l’essenza immutabile della realtà, è risolto il paradosso sofisNco della conoscenza: come posso conoscere ciò che ignoro completamente (non potrei comprendere la sua ainenza all’oggeKo della ricerca) e come potrei dire di produrre la conoscenza di ciò che già conosco? Vivere nella polis • Aristotele, allievo di Platone, soKolinea la difficoltà di spiegare il rapporto tra mondo sensibile e mondo ideale e su questo costruirà la sua ontologia. Vivere nella polis • Aristotele è un allievo di Platone, nasce nel IV sec. a. C., e sarà ricordato anche per essere stato il maestro di Alessandro Magno, al quale insegnò i fondamenN della cultura greca. • Fonda il Liceo, scuola pensata come luogo di ricerca e produzione di saperi che spaziano dalla filosofia, all’eNca, alla zoologia, allo studio della natura. • Fondamentale per Aristotele è la costruzione condivisa della conoscenza; il Liceo è una sorta di comunità di scienziaN, nella quale il sapere prende vita aKraverso il confronto e il dialogo. Vivere nella polis • Ogni cosa materiale, per Aristotele, possiede una forma determinata che la fa essere ciò che è. Per esempio un cavallo, di carne e ossa, è un cavallo perché possiede la forma intellegibile del cavallo. Un uomo, che è sempre di carne e ossa, è tale perché possiede la forma uomo, ciò che fa si che quella carne e quelle ossa divenNno un uomo adulto, si sviluppino in una direzione determinata. • La forma è l’aspeKo razionale del mondo, nonché la sua perfezione: se la materia non fosse connessa alla forma sarebbe impossibile conoscerla, sarebbe caoNca. Vivere nella polis • Forma e materia cosNtuiscono la sostanza, la cosa, l’oggeKo. • La sostanza, afferma Aristotele nella Metafisica, è il sostrato cui ineriscono gli accidenN, ovvero le caraKerisNche parNcolari delle cose. Una sedia, per esempio, per essere di legno, marrone, con un’ampia seduta, robusta, dentro in una stanza, deve innanzituKo essere qualcosa di determinato: una materia unita ad una forma. Vivere nella polis • L’essere, indipendentemente dall’oggeKo che si considera, ha quindi delle caraKerisNche generali e universali: Aristotele le chiama categorie. • Esse sono la sostanza, la qualità, la quanNtà, il luogo, il tempo, l’essere in relazione, l’agire, il subire, il giacere. Vivere nella polis • Trasformazione e movimento, che per Parmenide erano illusori, sono caraKerisNche della realtà. • Il cambiamento c’è perché la materia è sempre disposta ad assumere una forma: è potenzialità di essere qualcosa di determinato. La forma è invece l’aKo (un ragazzo è adulto in potenza; ma ragazzo in aKo). Vivere nella polis • Il divenire è quindi il passaggio da una forma depotenziata di essere, ad una forma piena: il passaggio dalla potenza all’aKo. • Nel mutamento e nel divenire delle cose si compie la disposizione della materia di assumere una forma: non c’è un passaggio dall’essere al nulla o dal nulla all’essere, come aveva affermato Parmenide. Vivere nella polis • Anche Aristotele si pone la domanda intorno al principio di ogni cosa. Qual è la causa ulNma della realtà? Noi vediamo che ogni cosa ha la sua causa: formale (ha una forma), materiale (ha una materia), finale (ha uno scopo), efficiente (qualcosa o qualcuno l’ha prodoKa). Vivere nella polis • Ma c’è qualcosa all’inizio della catena delle cause? Esiste una causa prima, un motore che muove tuKo? Si, per Aristotele, altrimenN non sarebbero giusNficaN i passaggi intermedi e nemmeno l’effeKo finale. • Che caraKerisNche deve avere questo primo motore? Deve essere immobile, eterno, incausato; deve essere puro aKo, perché la potenza può cambiare forma. Deve quindi essere immateriale. E cosa c’è di immateriale? Vivere nella polis • Di immateriale c’è il pensiero. E che cosa conNene il pensiero? Non può contenere altro se non se stesso, perché se contenesse qualcos’altro sarebbe determinato da altro, e quindi conterrebbe delle potenzialità. • Il motore di tuKo è quindi pensiero di pensiero: la cosa più perfeKa e alta, per Aristotele, che aKrae a sé il mondo, senza muoversi; come causa finale. TuKo tende alla perfezione della propria natura, tuKo ha in sé un frammento di quella cosmica intelligenza, ma ciò che gli si avvicina di più è l’essere umano che quel pensiero riesce a produrlo. Vivere nella polis • E solo nei momenN in cui l’uomo è veramente in aKo, in cui raggiunge la perfezione della propria natura, che sente di essere felice come Dio. • La felicità è, infai, aività dell’anima secondo virtù. • È la filosofia praNcata, vissuta, aiva, che porta felicità. Vivere nella polis • Così se la praNca virtuosa è quella di colui che sceglie come unico fine la virtù stessa, anche la praNca teoreNca, filosofica, consiste nel non scegliere altro fine se non la ricerca filosofica, la conoscenza di per sé stessa senza perseguire alcun fine parNcolare ed egoisNco, estraneo alla conoscenza. • A fondamento dell’aività teoreNca v’è quindi un ethos del disinteresse. Vivere nella polis • Al di là delle quesNoni poste dalla metafisica, anche il pensiero aristotelico, come quello socraNco e quello platonico, pone l’accento sulla sfera eNca. • Non tanto la vita teoreNca e contemplaNva fondano la dimensione eNca, ma è proprio questa a cosNtuire le fondamenta dell’uomo. Vivere nella polis • I principi primi di ogni scienza e così quelli della scienza per eccellenza, l’ontologia e la metafisica, non sono dimostrabili, e, quindi, non possono essere che colN e decisi dialogicamente, dialeicamente. • La dialeica non giunge a determinare un consenso universale intorno ai principi, ma si configura come lo sforzo costante e il lavoro di mediazione che ha luogo nello spazio di una determinata polis, di una determinata comunità, di un contesto culturale specifico. Vivere nella polis • TuKe le imprese umane, anche quelle cogniNve, prendono le mosse dal dialogo, si radicano, quindi, nella dimensione eNca. • La preoccupazione aristotelica di trovare un principio comune a tuKa la realtà, umana e fisico-­‐naturale, è la manifestazione di una profonda preoccupazione eNca, prima ancora che scienNfica: la coappartenenza delle differenN forme di vita che si intessono nel cosmo, il legame tra gli umani e oltre l’umano, l’unione dell’umano con ciò che lo eccede, con l’altro dall’umano, in declinazione sia naturale che divina. Vivere nella polis Orbene, se vi è un fine delle azioni da noi compiute che vogliamo per se stesso, mentre vogliamo tui gli altri in funzione di quello, e se noi non scegliamo ogni cosa in vista di un’altra […] è evidente che questo fine deve essere il bene, anzi il bene supremo. E non è forse vero che anche per la vita la conoscenza del bene ha un grande peso, e che noi, se, come arcieri, abbiamo un bersaglio, siamo meglio in grado di raggiungere ciò che dobbiamo? Se è così, bisogna cercare di determinare, almeno in abbozzo, che cosa mai esso sia, e di quale delle scienze o delle capacità sia l’oggeKo. Si ammeKerà che apparNene alla scienza più importante, cioè a quella che è architeKonica al massimo grado. Tale è, manifestamente, la poliNca. Infai, è questa che stabilisce quali scienze è necessario colNvare nelle ciKà, e quali ciascuna classe di ciKadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate capacità, come per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate a essa. E poiché è essa che si serve di tuKe le altre scienze e che stabilisce, inoltre, per legge che cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini di tuKe le altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infai, se anche il bene è il medesimo per il singolo e per la ciKà, è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfeKo salvaguardare quello della ciKà: infai, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo individuo, ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere ciKà. La nostra ricerca mira appunto a questo, dal momento che è una ricerca “poliNca”. Aristotele, E?ca Nicomachea, 1094a – b Bibliografia del corso AA.VV., I presocra?ci, BUR, Milano 1991. Aristotele, E?ca Nicomachea, Rusconi, Milano 1994. Aristotele, La metafisica, UTET, Torino 2005. F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma Bari 1978. C. Baracchi, L’architeEura dell’umano. Aristotele e l’e?ca come filosofia prima, Vita e pensiero, Milano 2014. A. Biral, Platone e la conoscenza di sé, Franco Angeli, Milano 2013. F. Chiereghin, L’eco della caverna, Ricerche di filosofia della logica e della mente, Il Poligrafo, Padova 2004. F. Chiereghin Implicazioni e?che della storiografia filosofica di Platone, Liviano Editrice, Padova 1976. H.G. Gadamer, Studi platonici, Mariei, Casale Monferrato 1984. P. Hadot, Che cos’è la filosofia an?ca?, Einaudi, Torino 2010. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia an?ca, Einaudi, Torino 2005. Platone, La Repubblica, Laterza, Roma-­‐Bari 1997. Platone, TuL gli scriL, Bompiani, Milano 2000. M. Nussbaum, La fragilità del bene. Fortuna ed e?ca nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 2011. C. Sini, La virtù poli?ca. Filosofia e antropologia, Jaca Book, Milano 2004. A. E. Taylor, Platone, l’uomo e l’opera, La Nuova Italia, Firenze 1990. F. TrabaKoni, Platone, Carocci, Roma 2009 E. Voegelin, Ordine e storia, vol.2, Vita e Pensiero, Milano 2015. [email protected]