I rivoluzionari e la situazione in Crimea

Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT
I rivoluzionari e la situazione in Crimea
venerdì 21 marzo 2014
I rivoluzionari e
la situazione in Crimea
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di Ronald León (*)
[Questo
articolo è stato scritto pochi giorni prima del referendum in Crimea, avvenuto
lo scorso 16 marzo, che ha visto la vittoria, peraltro annunciata, del sì
all’annessione della penisola alla Federazione Russa. Al di là di questo, l’analisi
e le prospettive in esso contenute mantengono tutta la loro attualità - ndt]
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Il
corso della rivoluzione ucraina è minacciato da due grandi forze
controrivoluzionarie.
Da
una parte i banditi imperialisti, nordamericani ed europei, non risparmiano
sforzi nel consolidare il nuovo governo fantoccio e puntano tutte le loro
fiches sulla deviazione del processo rivoluzionario per la via senza uscita
della ricostruzione delle istituzioni e della realizzazione di elezioni nei
margini della democrazia borghese. Questo piano controrivoluzionario si
sviluppa nel momento in cui le potenze mondiali rinforzano le catene di
dominazione semicoloniale nel Paese per mezzo di nuovi accordi e prestiti con
il FMI, la Banca Mondiale e l’Unione Europea (UE), con i loro conseguenti
“piani di aggiustamento―.
D’altra
parte il futuro della rivoluzione ucraina si scontra con l’offensiva
controrivoluzionaria del reazionario governo russo di Vladimir Putin, il quale,
con la caduta di Yanukóvich per mano della mobilitazione rivoluzionaria delle
masse, ha subito una sconfitta ancora più diretta di quella del blocco
imperialista, dato che l’ex presidente ucraino era un agente diretto del
Cremlino in questo Paese.
Come
sappiamo, immediatamente dopo questo primo trionfo della rivoluzione, il
governo di Putin ha intrapreso un’aggressione militare alla sovranità ucraina,
invadendo con le sue truppe la penisola di Crimea, dove migliaia di soldati
russi hanno preso possesso di aeroporti, edifici pubblici e accerchiato le
principali basi militari ucraine.
Parallelamente
a ciò, Putin promuove, attraverso l’imposizione di nuove autorità completamente
servili ai suoi interessi, la separazione di questo territorio dall’Ucraina e
la sua annessione alla Federazione Russa mediante un fraudolento referendum che
sarà realizzato il 16 marzo.
In
questo senso, l’11 marzo queste autorità separatiste di Crimea hanno approvato
nel Soviet Supremo locale (Parlamento) una dichiarazione di indipendenza
unilaterale, facendo un passo “legale― in più nel senso dell’annessione alla
Russia. Queste decisioni si combineranno con il risultato del fraudolento
referendum, sostenuto durante un’occupazione militare straniera, che
sicuramente sarà di gran lunga favorevole agli interessi di Putin.
Non
è un caso che la Crimea sia vista come centro della reazione contro la
rivoluzione ucraina, con l’obiettivo di portare su questa linea le altre
province dell’est ucraino, come Lugansk, Donetsk, Járkov e Odessa.
La
penisola di Crimea è la regione dell’Ucraina in cui esiste una chiara
maggioranza di origine e cultura russe, essendo la popolazione che parla questa
lingua quasi il 60% degli oltre due milioni di abitanti. Inoltre, in Crimea, la
Russia ha interessi strategici non solo economici (come i gasdotti) ma anche
militari, poiché nella città di Sebastopoli risiede la sua poderosa e storica
base navale sulle sponde del Mar Nero.
Noi,
come abbiamo dichiarato¹, condanniamo l’occupazione militare russa della Crimea
e il referendum secessionista, voluto dal Cremlino e favorito da questa
aggressione russa alla sovranità territoriale ucraina.
E’
una chiara reazione di Putin dinanzi alla sconfitta che ha subito dal movimento
di massa a Kiev.
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Dalla
prospettiva della rivoluzione, oltre che un attacco al diritto di indipendenza
del popolo ucraino, il separatismo in Crimea si dimostra un intento reazionario
di dividere la classe lavoratrice, che cerca di isolare il fondamentale
elemento proletario (più concentrato nell’est) dal processo rivoluzionario che
si sta sviluppando con maggior chiarezza a Kiev e nell’occidente del Paese.
E’
certamente un fatto innegabile che la popolazione russa o di origine russa è
maggioritaria in Crimea e, al tempo stesso, è evidente che questo settore
desidera separarsi dall’Ucraina e far parte della Russia.
Dinanzi
a questa realtà , ci si potrebbe chiedere: Non dovrebbero i marxisti difendere
il “diritto all’autodeterminazione nazionale― di questo settore etnico e
culturale (quello russo) all’interno dell’Ucraina? Pur non concordando con la
loro separazione, non sarebbe il caso di appoggiare il loro “diritto― a
decidere su tale questione?
Per
rispondere a questa questione fondamentale, come faceva Lenin nel momento di
affrontare qualsiasi dibattito che riguardasse la cosiddetta “questione
nazionale―, è necessario analizzare ogni caso specifico in modo concreto.
Perciò,
per intendere questo problema particolarmente complesso e poter definire una
posizione rivoluzionaria dinanzi al referendum convocato in Crimea, è
indispensabile conoscere e analizzare, anche solo nei suoi tratti generali, il
processo storico che ha determinato l’attuale composizione etnica, linguistica
e culturale della penisola.
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Dai cimmeri all’impero russo
Tra
i secoli VIII a.C. e VII a.C. l’attuale territorio di Crimea era abitato da
civiltà cimmere e sciite. In effetti il nome stesso della regione deriva da Kymmeria
o Cimmeria (paese dei cimmeri).
In
seguito venne il turno dei greci, che fondarono molte città e conobbero il
luogo come Chersonesus Taurica, nome proveniente dai tauri, una tribù
discendente dai cimmeri.
Nell’anno
438 a.C. i greci di Mileto vi fondarono il cosiddetto regno del Bosforo, il
quale, nel 114 a.C., fu governato da Mitridate VI Eupatore, re del Ponto e uno
dei più affascinanti nemici dell’Impero Romano. Quando il re Mitridate fu
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sconfitto dai Romani (intorno all’anno 64 a.C.) la penisola passò a far parte
dei possedimenti di Roma, inaugurando un periodo di dominazione lungo quasi tre
secoli.
Nel
250 d.C. l’attuale Crimea fu conquistata dai goti; fu la prima di una serie di
invasioni che si protrassero per un millennio e in cui si succedettero unni,
alani, avari, cazari, peceneghi, variaghi, romani e genovesi.    Â
Nel
mezzo di questo processo, durante il Medioevo, un incrocio etnico tra clan
genovesi, veneziani e turchi, che erano riusciti ad assestarsi su questo
territorio, diede origine ai cosiddetti tartari di Crimea, gruppo
etnico-linguistico che finalmente poté consolidarsi come popolazione
caratteristica della penisola.
I
tartari di Crimea, musulmani sunniti, dominarono col tempo tutto il territorio
e giunsero a fondare un proprio Stato, il cosiddetto Khanato di Crimea, che
governò la regione dal 1441 al 1783, formando parte dell’antico impero
ottomano.
L’impero
ottomano, attraverso il Khanato di Crimea, perde il dominio della penisola a
causa della sconfitta militare nei confronti dell’impero russo (1768-1774), il
che pose le basi per il controllo de facto di tutto questo territorio da
parte della dinastia Romanov
L’impero
russo impose allora condizioni leonine ai vinti, come il pagamento di pesanti
indennizzi e la costruzione di porti e di una base navale nel Mar Nero, con la
quale ottennero uno sbocco sul Mar Mediterraneo, e che persiste fino ai giorni
nostri.
Dopo
questa guerra il Khanato di Crimea sopravvisse solo formalmente, rimanendo
diviso tra fazioni che appoggiavano la Russia o la Turchia, situazione che
diede inizio ad una guerra civile. Questa situazione si protrasse fino a che,
nel 1783, i russi occuparono la Crimea su ordine dell’imperatrice Caterina II, detta
la Grande, annettendo definitivamente la penisola all’impero degli zar.
A
partire da questo momento inizia un processo di russificazione di questo
territorio, che rivestì un’importanza strategica per lo zarismo. La Crimea fu
la punta di lancia dell’espansionismo imperiale russo nella zona, diretto
fondamentalmente contro gli interessi dell’impero ottomano, che cominciava a
manifestare la propria decadenza.
Da
Sebastopoli, dove installarono la base navale che fece da avamposto militare, i
Romanov riuscirono ad intimidire gli ottomani e ad espandere il dominio russo
in tutta la regione circostante, inclusi il Caucaso e gli stretti turchi con
sbocco sul Mediterraneo.
Fu
proprio l’espansionismo russo, e di conseguenza la difesa degli interessi delle
principali potenze europee, soprattutto del Regno Unito, che vedeva minacciato
il suo controllo in Medio Oriente (la rotta verso l’India), l’elemento centrale
che causò lo scoppio della famosa Guerra di Crimea (1853-1856), una specie di
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assaggio di contesa mondiale che mise i russi contro un’intesa britannico-francese,
turco-ottomana e piemontese, e che terminò con la sconfitta dell’impero russo
dopo undici mesi di feroce accerchiamento a Sebastopoli, episodio bellico che
verrà immortalato negli scritti di Tolstoj.
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Il genocidio dei tartari per mano di Stalin
Solo
nel XX secolo, dopo l’avvenimento della rivoluzione russa e la vittoria
sovietica nella guerra civile che ne seguì, la Crimea si convertì in una
repubblica autonoma per i tartari, nel rispetto dei diritti nazionali che
caratterizzò i primi anni della rivoluzione.
Ma
questa politica, come accadde con tutte le nazionalità non russe dell’antico
impero zarista e dell’ex Urss, cambiò con il trionfo della controrivoluzione
stalinista nella metà degli anni ’20, che impose una brutale politica
sciovinista grande russa alle nazionalità oppresse.
Nel
1941 la Crimea fu invasa dall’esercito tedesco. Nel giugno del 1942, dopo
cruente battaglie e al costo di un terribile accerchiamento di 10 mesi e più di
170 mila perdite, i tedeschi conquistarono Sebastopoli e la base navale russa.
L’occupazione nazista si prolungò fino al 1944, quando le loro truppe furono
espulse dall’esercito sovietico.
La
situazione generata dall’occupazione tedesca fu utilizzata da Stalin per fare
un salto di qualità nella russificazione forzosa della Crimea. L’attacco
cominciò con il declassamento della categoria di Repubblica Autonoma di Crimea a
quella di oblast (provincia).
Ma
questa non fu la cosa peggiore. La russificazione brutale della Crimea voluta
da Stalin prese la forma di una delle più brutali e criminali pulizie etniche
della storia moderna. Ci riferiamo alla politica di sterminio dei tartari, la
popolazione storica della penisola.
Fu
così che nel 1944, con l’accusa che i tartari di Crimea avessero collaborato in
forma generalizzata con l’occupante nazista, Stalin d’un tratto dichiara
semplicemente che questa nazionalità era “abolita― e comincia un processo di
assassini e deportazioni di massa dei tartari e, in misura minore, delle altre
minoranze greche, bulgare e armene, destinate in Asia Centrale e in altre
regioni dell’Urss.
Questa
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terribile pulizia etnica è conosciuta tra i discendenti dei tartari di Crimea con
il nome di Sürgün (esilio, in tartaro). Il Sürgün cominciò il 17
maggio 1944 in tutte le località della Crimea. Parteciparono all’operazione più
di 32 mila effettivi della sinistra NKVD (la polizia segreta dell’Urss, da cui
avrà origine il KGB - ndt). Furono così deportati più di 190 mila tartari (si
dice anche 250 mila) in Uzbekistan, Marelia, Kazakistan e in altri oblasts
russi.
Tra
maggio e novembre del 1944 più di 10 mila tartari di Crimea furono giustiziati in
Uzbekistan (circa il 7% dei deportati in questa ex repubblica sovietica). Sul
totale dei confinati, circa il 20% morirono in esilio durante i diciotto mesi
successivi, secondo dati della polizia politica sovietica. In realtà , secondo
attivisti tartari, il numero reale dei morti rappresenterebbe il 46% dei
deportati.
E’
chiaro, anche se questi fatti sono poco conosciuti, che lo stalinismo attuò una
politica sistematica non solo di disgregazione ma di sterminio fisico della
nazione tartara. In effetti, le organizzazioni di discendenti dei tartari di
Crimea rivendicano che il Sürgün sia riconosciuto ufficialmente come un
genocidio dagli organismi internazionali.
La
popolazione tartara in Crimea fu decimata ed espulsa dalla propria terra per
poi essere sostituita da coloni russi. Possiamo perciò affermare che l’attuale
“maggioranza― russa in Crimea è il risultato di quel processo di russificazione
cominciato alla fine del secolo XVIII e portato avanti soprattutto dall’atroce
genocidio del 1944-1945.
Con
la dissoluzione dell’Urss i rimanenti della diaspora tartara fecero ritorno
nelle loro terre di origine, ma lo fecero sulla base di una nuova composizione
demografica, nella quale non superano il 12% della popolazione di Crimea e,
insieme agli ucraini (24%), sono attualmente una minoranza nella propria
patria, per cui si oppongono all’unificazione con la Russia, cioè con i loro
carnefici storici.
Questa
è la base oggettiva del permanente separatismo della popolazione di origine
russa in Crimea, che si accentuò quando, nel 1954, l’ex leader sovietico Nikita
Kruscev “regalò― la penisola all’Ucraina, in teoria per commemorare il
tricentenario del trattato del 1654 che unificò Ucraina e Russia.
In
realtà questa decisione aveva a che fare con una necessità del Cremlino di
equilibrare rapporti e attenuare tensioni a livello della stessa burocrazia
governante nel periodo immediatamente successivo alla morte di Stalin, in cui
uno dei problemi latenti erano le tendenze separatiste nell’Ucraina sovietica.
In questo senso, con quel “gesto― Kruscev cercava di placare certi animi ostili
in alcuni settori della burocrazia, senza però cessare di controllare la
penisola attraverso l’Ucraina.
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In sintesi
1. I
rivoluzionari non possono appoggiare in alcun modo la politica separatista
concretata nel referendum che vogliono il Cremlino e i suoi rappresentanti in
Crimea, poiché la popolazione russa o di origine russa nella penisola non
costituisce, anzitutto, una nazionalità oppressa. Al contrario, storicamente è
lo sciovinismo grande russo ciò che opprime l’Ucraina nel suo insieme e le
altre ex repubbliche sovietiche non russe.
2.
Nel caso concreto della Crimea, come abbiamo già detto, l’attuale “maggioranza―
russa è il risultato di un processo aggressivo di “russificazione― di questo
territorio, che si protrae da più di due secoli e che comprende l’abominevole
pulizia etnica (mediante un genocidio e deportazioni di massa) che fu
realizzata da Stalin contro l’originaria popolazione tartara e le altre
minoranze etniche.
Questo
processo di “russificazione― in Crimea è inseparabile non solo dalla politica
generale di oppressione nazionale esercitata dallo zarismo e dallo stalinismo,
ma anche dalla necessità di garantire il controllo totale del territorio sede
della base navale a Sebastopoli, storico avamposto militare degli interessi
russi nella regione che attualmente conta tredici mila soldati russi.
In
base a ciò, concludiamo che i settori russi o pro russi in Crimea non hanno né
possono avere il diritto democratico all’autodeterminazione nazionale
(separazione) che hanno le nazionalità oppresse.
3.
In
questo senso non esiste comparazione
possibile, per citare esempi più conosciuti, con i casi delle nazionalità catalana
o basca, che sono oppresse all’interno dello Stato spagnolo. In questi casi,
sebbene in quanto marxisti possiamo discordare rispetto alla separazione di
queste nazionalità dallo Stato spagnolo, esprimiamo un riconoscimento
incondizionato al legittimo diritto che essi hanno di decidere liberamente
sulla propria autodeterminazione nazionale.
4.
Se
ciò che conta nella definizione di una posizione rivoluzionaria si riscontra
nelle considerazioni precedenti, non si può smettere di sottolineare che, in
qualunque caso, il referendum in Crimea manca di qualsiasi tipo di legittimità ,
essendo imposto da un’occupazione militare straniera, nel caso specifico
l’esercito di Putin. Questa aggressione militare, oltre che violentare la
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sovranità ucraina, è una reazione diretta alle prime vittorie del processo
rivoluzionario con epicentro a Kiev, per cui possiede un carattere
profondamente controrivoluzionario.
In
tal senso, presentare questo referendum come un esercizio democratico di
espressione popolare, quando gli stivali russi minacciano la sovranità ucraina
e Putin deruba il Paese aumentando il prezzo del gas e minacciando di
interrompere la somministrazione, è un assurdo che non merita altra definizione
che farsa.
5. Siamo
dalla parte del popolo ucraino nella difesa della sua sovranità e della sua
rivoluzione. Esigiamo il ritiro immediato di tutte le truppe russe e dei suoi
rappresentanti politici in Crimea, così come l’invalidazione del fraudolento
referendum.
Siamo
dalla parte di chi, in piazza Maidán, grida Unità ! L’Ucraina è
indivisibile! La Crimea è Ucraina!; siamo dalla parte, in Crimea, delle
minoranze tartara e ucraina che lottano contro il secessionismo reazionario.
Riaffermiamo
che l’unica via affinché il processo rivoluzionario avanzi, partendo
dall’enorme vittoria che ha significato l’aver rovesciato Yanukóvich, è la riproposizione
delle grandi mobilitazioni e delle occupazioni di piazze ed edifici pubblici.
Queste mobilitazioni devono essere democraticamente organizzate da organismi
operai e popolari, che a loro volta siano unificati sulla base di un piano di
lotta nazionale in cui siano inserite le rivendicazioni democratiche ed
economiche più sentite dal popolo, dalle minoranze e soprattutto dal
proletariato ucraino.
In
tal senso il compito più urgente del momento è la lotta per l’espulsione
dell’invasore russo e la difesa della sovranità e dell’unità territoriale
dell’Ucraina.
In
questa lotta il movimento di massa ucraino deve confidare esclusivamente nella
forza della propria mobilitazione.
Non
si può confidare nemmeno per un momento
nel nuovo governo guidato da Yatseniuk-TurchÃ-nov, che assiste impassibile
mentre Putin consolida le proprie posizioni in Crimea e, di fatto, al di là dei
suoi discorsi “nazionalisti― e di frasi del tipo “non cederemo un centimetro di
terra ucraina―, sta svendendo il Paese ai capitali imperialisti europei e
statunitensi.
La
stessa posizione è sostenuta dai settori neonazisti e di estrema destra come il
“Settore di Destra― e Svoboda: mentre si riempiono la bocca di
“nazionalismo―, integrano il nuovo governo servile e appoggiano senza mezze
misure la svendita del Paese alla UE e al FMI.
Il
popolo ucraino non deve confidare neppure nella falsa retorica sulla “difesa
della sovranità ― o sul “rispetto del diritto internazionale― di Obama e dei
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leader della UE. Queste potenze vogliono soltanto colonizzare l’Ucraina,
assoggettarla con mille catene ai propri disegni, e sono quindi nemici
irreconciliabili del popolo ucraino.
I
leader imperialisti della UE mantengono rapporti economici con Putin e, nei
fatti, stanno “lasciando correre― la vergognosa annessione della Crimea alla
Russia, dato che non applicano reali sanzioni economiche al Cremlino a causa
della dipendenza europea dal gas di Putin² e degli investimenti che gli
oligarchi russi fanno nei Paesi europei. Tutto ciò senza parlare del timore di
pregiudicare i numerosi investimenti di capitali imperialisti in Russia.
Per
parte sua Obama, in questo conflitto, preferisce muoversi con i piedi di piombo
per non rompere il patto controrivoluzionario che ha fatto con Putin per
sconfiggere la rivoluzione siriana e stabilizzare il Medio Oriente.
Perciò
la lotta contro l’annessione della Crimea e la bandiera storica di una Ucraina
indipendente e unita! ricadono nelle mani della classe operaia e del popolo
povero, che nel calore del processo rivoluzionario necessita urgentemente di
costruire una direzione socialista rivoluzionaria che combini questa lotta
democratica con la strategia di una Ucraina operaia e socialista.
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Note
1. Vedere: http://litci.org/artigos/53-ucrania/4262-ifuera-putin-de-ucrania-ipor-una-ucrania-independiente-y-unida
2. La dipendenza europea dal gas russo
è enorme e si riassume in tre cifre: un quarto dell’energia consumata dagli
europei ha come fonte il gas, un terzo di questo gas è russo e il 15% di tutto
il gas europeo giunge attraverso il gasdotto che attraversa l’Ucraina.
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(*) dal sito della Lit-Quarta Internazionale www.litci.org
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(traduzione di Simone Tornese dall'originale in spagnolo)
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