Dalla Enciclopedia delle Scienze sociali (1993) Diritti dell`uomo di

Dalla Enciclopedia delle Scienze sociali (1993)
Diritti dell'uomo
di Louis Henkin
Sommario: 1. Introduzione. ☐ 2. Idea e contenuto dei diritti umani. ☐ 3. Storia e sviluppo
dell'idea dei diritti umani: a) antecedenti; b) sviluppi moderni dell'idea dei diritti umani; c)
diritti naturali; d) i diritti umani nel diritto positivo. ☐ 4. I diritti umani nella legislazione
nazionale: 1789-1945: a) la costituzionalizzazione dei diritti umani: gli Stati Uniti; b) i diritti
umani nelle legislazioni europee. ☐ 5. I diritti umani nell'ambito internazionale: a)
universalizzazione e internazionalizzazione dei diritti umani; b) la Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo; c) la costituzionalizzazione dei diritti; d) la tutela dei diritti umani nel
diritto internazionale; e) strumenti internazionali per l'applicazione dei diritti umani; f)
l'azione degli enti regionali; g) diritti umani e politica internazionale. ☐ 6. Conclusione. ☐
Bibliografia.
1. Introduzione.I 'diritti dell'uomo' o 'diritti umani' designano quell'insieme di principî morali
che governano il rapporto tra l'uomo e la società: tali principî vennero generalmente
accettati nella seconda metà del XX secolo. Il riconoscimento dei diritti umani, e l'impegno
a rispettarli, trovano un riscontro nelle costituzioni e nelle leggi di quasi tutte le nazioni del
mondo. Il mancato rispetto e la mancata garanzia dei diritti umani ha costituito una delle
principali cause di instabilità politica e di sofferenza umana in molti paesi. La garanzia dei
diritti umani è diventata una preoccupazione costante della politica internazionale e
materia di diritto internazionale. 2. Idea e contenuto dei diritti umani.L'espressione 'diritti
umani' viene talvolta usata colloquialmente per designare in modo generico i principî di
'giustizia' o i valori connessi alla 'società buona'. Talvolta, il termine è usato come
sinonimo di 'democrazia'. A rigore, tuttavia, l'idea dei diritti umani non è sinonimo di tali
valori, anche se presenta importanti affinità con essi. In senso proprio, essa afferma che
ogni essere umano ha certi specifici 'diritti' o legittime rivendicazioni nei confronti della
società in cui vive. La società deve rispettare e tutelare la vita dell'individuo, la sua
integrità fisica e la sua proprietà, oltre a determinate libertà e immunità e ad altri diritti civili
o politici. La società deve anche perseguire la soddisfazione dei bisogni fondamentali degli
individui e la realizzazione di altri diritti economici e sociali. Le nazioni del mondo si sono
formalmente impegnate al rispetto dei diritti umani con la Carta delle Nazioni Unite, e la
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU
nel dicembre del 1948, presenta un catalogo autoritativo delle libertà, delle immunità e dei
diritti riconosciuti come diritti umani nella seconda metà del XX secolo.I diritti umani
derivano da alcuni principî condivisi relativi ai diritti e alle obbligazioni morali tra gli
individui; la società è tenuta a garantire che tali diritti siano rispettati e goduti
effettivamente dai cittadini, e che siano inoltre rispettati e applicati dai governi e dai
funzionari dello Stato. Il fatto che i diritti umani assurgano al rango di diritti significa che
essi non sono una questione di carità o di amore, e non possono dipendere dall'arbitrio
dello Stato o del governo; essi spettano a ciascun individuo, e ciascun individuo li ha, 'di
diritto'. La loro natura giuridica impone alla società di approntare leggi e istituzioni, o altri
strumenti affinché gli individui possano effettivamente esercitarli. Il fatto che si tratti di diritti
umani, a sua volta, comporta che essi riguardano ogni essere umano in quanto tale,
indipendentemente da qualsiasi altra sua qualità o caratteristica, quali la razza, il colore, il
sesso, la lingua, le convinzioni politiche, religiose o di altro tipo, la nazionalità o
l'estrazione sociale, la ricchezza personale, la nascita, la cittadinanza, e via dicendo
(anche se uno Stato è tenuto a garantire alcuni di questi diritti solo ai suoi cittadini, ad
esempio, il diritto di libero accesso al paese o il diritto di voto). Infine, il fatto che questi
diritti siano qualificati come diritti umani, implica che si tratta di diritti universali, che devono
essere riconosciuti all'individuo in ogni società indipendentemente dalla maggiore o
minore disponibilità di risorse, dal livello di sviluppo politico, sociale o economico, dal
sistema politico o economico, dalla confessione religiosa o dalle convinzioni ideologiche
(anche se la capacità di uno Stato di realizzare i diritti economici e sociali può essere
condizionata dalla disponibilità delle risorse).Secondo la concezione dominante, l'obbligo
della società di rispettare e garantire i diritti umani non ha carattere assoluto. I diritti umani
sono prima facie diritti, e la maggior parte dei diritti, se non tutti, devono piegarsi di fronte
al diritto concorrente degli altri individui, o, spesso, alle esigenze o all'interesse comune
della società.I diritti umani però non si piegano facilmente alle esigenze del bene comune
e alla volontà della maggioranza; alcuni di essi sono fondamentali e possono essere
compressi solo dinanzi a imprescindibili ragioni di interesse pubblico. Uno Stato può
prendere dei provvedimenti in deroga al suo obbligo di rispettare e garantire la maggior
parte dei diritti (ma non tutti) solo quando un'emergenza pubblica minacci la vita della
nazione, e nei limiti strettamente necessari.Nella teoria politica moderna, l'idea dei diritti è
in contrasto con alcune concezioni di stampo utilitaristico, secondo le quali il principio
guida di una buona società è la realizzazione del massimo benessere per il maggior
numero di persone o la massimizzazione della felicità. L'idea dei diritti umani è stata
messa in discussione in particolar modo dai sostenitori del comunitarismo e da alcune
correnti del socialismo, secondo le quali l'enfasi data ai diritti umani si rivela egoistica e
atomistica, favorisce la divisione sociale ed è contraria alla democrazia e al benessere
generale. L'idea dei diritti umani contrasta anche con alcuni elementi presenti nelle
religioni tradizionali, per le quali si tratta di un'idea laica e antropocentrica, e per alcuni
suoi contenuti (la libertà religiosa, o l'eguaglianza tra uomo e donna) incompatibile con le
loro leggi. Secondo l'ideologia dei diritti umani, tuttavia, il rispetto di ogni individuo
rappresenta una condizione essenziale per una comunità fondata sul diritto e pienamente
realizzata: ogni singolo individuo ha un suo preciso valore, e non può perdere la propria
individualità in nome di un'astratta felicità complessiva o di un altrettanto astratto bene
comune. Sia che una società accetti lo Stato liberale e la libertà di iniziativa economica,
sia che aderisca a una qualche forma di socialismo o a un'altra ideologia di stampo
comunitario (laica o teocratica), la sua scelta ideologica non la esime dall'obbligo
fondamentale di rispettare e garantire a ciascun individuo quelle libertà e quei diritti che
sono indispensabili per una vita dignitosa.Non esiste una giustificazione filosofica
universalmente condivisa dell'idea di diritti umani. Nel XVII e nel XVIII secolo, molti
sostenitori dei diritti umani li considerano come diritti 'naturali', inerenti all'essere umano in
quanto tale. Altri, invece, accettano l'idea di diritti umani in quanto rispecchia le concezioni
morali condivise dalla nostra epoca. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
afferma che "il riconoscimento dell'intrinseca dignità e dei diritti eguali e inalienabili di ogni
membro del genere umano è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel
mondo".Naturalmente, la particolare giustificazione filosofica da cui trae origine l'idea dei
diritti ne ha modellato il contenuto. Il giusnaturalismo è stato associato a certe concezioni
aventi ad oggetto le caratteristiche minime dello 'Stato liberale', secondo le quali esso ha il
compito di tutelare il diritto 'negativo' di ogni individuo alla vita, alla libertà e alla proprietà.
Questi diritti fondamentali hanno trovato una più precisa espressione e un ulteriore
ampliamento a seguito dello sviluppo delle idee liberali e democratiche, e della crescente
diffusione dei governi parlamentari e del suffragio universale. L'idea dei diritti si è inoltre
arricchita di nuove dimensioni con l'aggiunta di diritti 'positivi' a determinati benefici
economici e sociali, in risposta ai processi di modernizzazione, industrializzazione e
urbanizzazione, all'avvento del Welfare State e al crescente richiamo esercitato da varie
forme di socialismo.Il contenuto dei diritti venne ampliato e istituzionalmente definito dopo
la seconda guerra mondiale. La Dichiarazione universale, che proclama i diritti ritenuti
essenziali alla 'dignità umana', include sia diritti civili e politici sia diritti economici e sociali
(i primi vengono abitualmente definiti quali diritti 'negativi', benché alcuni di essi richiedano
anche un'organizzazione globale e misure concrete da parte della società: ad esempio,
per realizzare un'equa amministrazione della giustizia penale o un sistema politico
democratico. I diritti economici e sociali, viceversa, sono considerati generalmente come
diritti 'positivi', ma secondo la definizione corrente essi includono anche diritti 'negativi',
quali la libertà di scegliere il proprio lavoro o di costituire associazioni sindacali).La
Dichiarazione elenca i seguenti diritti: il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della
persona; la libertà dalla schiavitù e dalla servitù; dalla tortura e da trattamenti o punizioni
crudeli, inumani e degradanti; il diritto ad essere riconosciuto come persona di fronte alla
legge; all'eguaglianza di fronte alla legge e all'eguale protezione di ogni individuo da parte
della legge; il diritto a una tutela giuridica in caso di violazione dei diritti fondamentali; il
diritto a non subire arresto, detenzione ed esilio arbitrari; il diritto ad un processo pubblico
ed equo per gli imputati di un reato, il diritto alla difesa, alla presunzione d'innocenza, e a
non essere condannati in base a leggi penali retroattive; il diritto alla riservatezza, ossia la
libertà da ingerenze arbitrarie nella sfera privata (famiglia, corrispondenza, casa, ecc.) e
alla tutela giuridica contro tali ingerenze; la libertà di movimento e di residenza all'interno
di un paese e il diritto di poter uscire da qualsiasi nazione e quello di tornare nel proprio
paese d'origine; il diritto d'asilo; il diritto ad avere una nazionalità, a non esserne
arbitrariamente privati e a cambiarla; il diritto di sposarsi e di formare una famiglia; il diritto
all'eguaglianza tra uomo e donna nel matrimonio e nello scioglimento del matrimonio; il
diritto alla proprietà e a non esserne arbitrariamente privati; alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione; alla libertà di opinione, di espressione, di associazione (e non
associazione). La Dichiarazione afferma inoltre che la volontà del popolo deve essere il
fondamento dell'autorità del governo e che ogni persona ha diritto a prendere parte al
governo e ad avere eguale accesso ai pubblici uffici.La Dichiarazione comprende al suo
interno anche diritti economici e sociali: il diritto alla sicurezza sociale; il diritto al lavoro,
alla libera scelta di un impiego e alla tutela contro la disoccupazione; il diritto ad una
retribuzione equa e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto; il diritto di
associazione sindacale; il diritto al riposo e al tempo libero; il diritto ad un tenore di vita
atto a garantire la salute e il benessere dell'individuo e della sua famiglia inclusi alimenti,
vestiario, abitazione e assistenza medica; il diritto all'istruzione, che a livello elementare
deve essere gratuita e obbligatoria; il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale. I
diritti elencati dalla Dichiarazione non sono soggetti a distinzione di "razza, colore, sesso,
lingua, religione, opinioni politiche, religiose e di altro tipo, nazionalità e origine sociale,
proprietà, nascita o altra condizione personale" (art. 2). Ogni individuo ha diritto ad un
"ordine sociale e internazionale" in cui questi diritti e queste libertà possano essere
realizzati (art. 28).La Dichiarazione non specifica eventuali limitazioni di tali diritti. L'articolo
29, tuttavia, afferma che ciascun individuo "ha dei doveri nei confronti della comunità, nella
quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità". Inoltre,
aggiunge: "Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto
solo a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il
rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della moralità,
dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica". 3. Storia e
sviluppo dell'idea dei diritti umani.Tracciare una precisa genealogia dei diritti umani non è
facile, ma è possibile rinvenire dei precedenti, se non delle vere e proprie fonti, aventi ad
oggetto i punti chiave dell'idea dei diritti umani - sia dal punto di vista dei valori morali
interpersonali che ne costituiscono il fondamento, sia per ciò che concerne la concezione
secondo la quale i governanti debbano essere sottoposti a limiti di carattere normativo e
istituzionale a favore dei governati. 3a. Antecedenti.I principali assunti e implicazioni
relativi all'idea dei diritti umani - norme morali di ordine universale, eguaglianza a livello
giuridico di tutti gli esseri umani, obblighi di equità nelle relazioni interpersonali, principio di
legalità, rispetto dei principî di giustizia nell'esercizio dell'autorità di governo nei confronti
degli individui - non erano ignoti nell'antichità, e trovano una parte del loro fondamento
così nelle fonti bibliche come in quelle classiche. La Bibbia, per esempio, fornisce un
fondamento dell'eguaglianza di tutti gli esseri umani in quanto discendenti da un antenato
comune, e riconosce alcune norme universali, prescritte da Dio e valide per tutti, quali il
rispetto della vita, dell'integrità fisica e della proprietà dell'individuo; impone l'uguaglianza e
vieta la discriminazione nell'applicazione della legge; fissa dei principî per l'equa
amministrazione della giustizia e per l'istituzione di un giusto processo nella
determinazione della colpevolezza penale e della responsabilità civile. Inoltre, la Bibbia
prescrive la carità a livello generale e determinate azioni intese ad aiutare i poveri e a
soddisfare i loro bisogni fondamentali. Platone sembra accettare l'idea dell'eguaglianza fra
i sessi nell'ideare i guardiani della sua Repubblica, Aristotele e altri pensatori greci e
romani continuano ancora oggi a ispirare e a informare le moderne concezioni della
giustizia e del principio di legalità, mentre alcuni principî e forme di sovranità popolare e di
democrazia sono stati prefigurati da Atene e dalla Roma repubblicana. Durante il secondo
millennio dell'era cristiana, le idee greche e romane si sono fuse con certe tradizioni
religiose, formando il patrimonio ideale da cui è scaturita l'idea dei diritti umani.I diritti
umani hanno il carattere di 'legge sovraordinata', alla quale devono conformarsi le altre
norme e le politiche dei governi. Questa concezione trova dei precedenti nelle culture
dell'antichità. Antigone si appella alla legge degli dei per giustificare la sua violazione della
legge di Creonte. Nella Bibbia le levatrici timorate di Dio non rispettarono l'ordine del
Faraone di uccidere i neonati maschi degli Ebrei (Esodo, 1, 15-17), ed Elia invoca la legge
di Dio per condannare il re Achab, che aveva ucciso Naboth per impadronirsi della sua
vigna (I Re, 21). Successivamente, il carattere di 'legge sovraordinata' venne attribuito,
oltre che alla legge di Dio, anche alla legge naturale: possiamo menzionare in proposito
Cicerone, gli stoici, Tommaso d'Aquino e, in tempi moderni, i giuristi e teologi spagnoli
della seconda scolastica e Ugo Grozio.Le società antiche e medievali offrono anche
esempi di limiti istituzionali e normativi al potere di governo. Nelle società bibliche e postbibliche possiamo rinvenire una divisione dei poteri e una qualche forma di checks and
balances tra re e profeti, re e sacerdoti; in varie forme e misure una divisione di poteri
esisteva anche ad Atene e nella Roma repubblicana. Nell'alto Medioevo si affermarono in
Europa una divisione fra la sfera di autorità del papa e quella dell'imperatore, nonché
alcuni accordi di carattere politico per limitare il potere della monarchia. Con la Magna
Charta (1215), la nobiltà strappò al sovrano il riconoscimento di alcuni diritti per sé e di altri
diritti per tutti gli uomini liberi in generale, ponendo le basi per le limitazioni della
monarchia assoluta che maturarono in Inghilterra nel XVII secolo con la Petition of right
(1628), la Glorious revolution (1688) e il Bill of rights (1689). In Inghilterra la common law
garantiva all'individuo una qualche tutela anche nei confronti dei funzionari governativi, e il
Parlamento approvò via via altre leggi per la protezione dell'individuo.Alcuni punti chiave
dell'idea dei diritti umani, tuttavia, erano sconosciuti prima dell'età moderna. Le società
antiche e medievali non avevano elaborato un concetto di 'diritti', intesi quali legittime
rivendicazioni facenti capo a un 'titolare di diritti'. La società biblica, ad esempio, non
contemplava diritti ma soltanto doveri; sostanzialmente doveri verso Dio. Tra questi
figurava anche l'obbligo di rispettare il prossimo, ma nella concezione biblica il prossimo
era soltanto il 'terzo beneficiario' degli obblighi verso Dio. Le garanzie di cui il beneficiario
poteva godere erano limitate da questa concezione e dal carattere primitivo dei sistemi di
governo dell'antichità. Anche i governanti erano sottoposti alla legge divina che
prescriveva loro come comportarsi nei confronti dei sudditi; il sovrano iniquo o corrotto era
soggetto al giudizio di Dio; ma praticamente non vi erano forme concrete per porre rimedio
alle ingiustizie e per quanti non erano in grado di soddisfare i propri bisogni umani più
elementari.Da un punto di vista contemporaneo, molte società antiche erano carenti
soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento di alcuni valori fondamentali che oggi
sono alla base dei diritti umani. In pratica, queste società erano ben lungi dall'accettare
l'idea che tutti gli esseri umani avessero eguale diritto ad una vita dignitosa, e facevano
ricorso ad esecuzioni illegali e arbitrarie, alla tortura, a trattamenti inumani e a punizioni
crudeli; praticavano o tolleravano la schiavitù e la discriminazione nei confronti delle classi
inferiori e degli stranieri; tenevano le donne in stato di subordinazione e negavano la
libertà di religione e coscienza agli eterodossi. Il mondo antico e medievale in genere non
aveva un forte senso dell'individuo come persona e della sua dignità individuale, e in
genere non attribuiva molto valore all'autonomia individuale e alla vita privata. Atene o la
Roma repubblicana offrono alcuni esempi di affermazione della libertà di espressione, ma
questa libertà non veniva riconosciuta né rispettata a livello generale. Nel complesso, nelle
società antiche e medievali mancava l'idea che le autorità politiche fossero soggette a
limitazioni fondate sul riconoscimento del valore dell'individuo e della dignità dell'uomo, e
non erano previsti strumenti di nessun tipo atti a garantire il rispetto di queste limitazioni né
forme di tutela in caso di loro violazione. 3b. Sviluppi moderni dell'idea dei diritti
umani.Retrospettivamente, potremmo dire che perché si affermasse l'idea dei diritti quale
oggi la concepiamo, era necessario che maturassero diversi processi storici: il passaggio
dall'idea di una legge divina rivelata come sola fonte delle norme morali all'idea di una
legge naturale universale e a quella dei diritti naturali; la nuova importanza attribuita dalla
religione all'individuo, al suo valore e al suo benessere in questo mondo (e non solo nell'al
di là); l'avvento del pluralismo religioso e l'affermarsi dello Stato laico; l'influenza
liberalizzante dell'Umanesimo, del Rinascimento e dell'Illuminismo. Con lo sviluppo del
pluralismo i dissidenti cominciarono a rivendicare diritti individuali alla libertà di coscienza
contro la legge del sovrano o del parlamento affermandone la supremazia. In Inghilterra,
John Locke si pronunciò a favore della libertà di coscienza e della tolleranza, e assieme a
John Milton propugnò la libertà di espressione e di stampa. In seguito Montesquieu in
Francia, Kant in Germania, e altri autori meno noti, si fecero promotori di idee umanistiche
e individualistiche. 3c. Diritti naturali.Le origini moderne dell'idea dei diritti umani - come
legittime rivendicazioni dell'individuo nei confronti del governo, giuridicamente riconosciute
e garantite dalle istituzioni politiche - risalgono al XVII e XVIII secolo, e rappresentano uno
dei tanti significativi contributi dell'epoca di Galileo e Newton, Descartes e Leibniz, Spinoza
e Bacone nonché dei loro successori. Alcuni filosofi - Hobbes, Locke e, più tardi,
Rousseau - ipotizzarono uno stato di natura, che precede la società, in cui ogni individuo è
titolare di diritti naturali di ordine morale nei confronti degli altri; secondo questa ipotesi, al
fine di tutelare tali diritti gli uomini costituiscono le società attraverso un contratto sociale.
Per Hobbes e per Rousseau, l'individuo viene sussunto dalla società: secondo Hobbes,
egli cede i suoi diritti preesistenti al sovrano in cambio della sicurezza; secondo Rousseau,
l'individuo riesce a realizzarsi effettivamente solo nella 'volontà generale', nella quale
ognuno è egualmente rappresentato, ma nessuno conserva alcun diritto che sia contrario
alla volontà generale stessa, ossia alla società. Locke, invece, riteneva che l'individuo
conservasse alcuni importanti diritti anche dopo l'istituzione della società politica; le sue
idee vennero riprese nel XVIII secolo e trovarono espressione nella famosa Dichiarazione
d'indipendenza americana (1776) e, in Francia, nella altrettanto famosa Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino (1789).Per giustificare le rivendicazioni di indipendenza
delle colonie americane (un esempio di quella che in seguito verrà definita
'autodeterminazione'), la Dichiarazione americana proponeva una vera e propria teoria del
governo: "Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini
sono creati eguali; che il Creatore li ha dotati di certi diritti inalienabili, tra cui quello alla
vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli
uomini governi che derivano i loro legittimi poteri dal consenso dei governati; che ogni
qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di
mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su quei principî e ad organizzare i
poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurargli sicurezza e
felicità".Insieme alla vita, il Creatore dona all'uomo anche la libertà e altri diritti naturali.
Esercitando la loro libertà, con un atto di libera volontà, gli individui si associano per
formare la società e si accordano per istituire un governo che tuteli i loro diritti naturali. Col
contratto sociale, essi subordinano alcuni dei loro diritti naturali all'autorità dei loro
rappresentanti nel governo a fini di governo, pur conservando tutti gli altri diritti. Un
governo legittimo può derivare solo dal consenso dei governati e la sua legittimità è legata
al permanere di tale consenso.Anche la Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del
cittadino sancisce i "diritti naturali, inalienabili e sacri dell'uomo" e dichiara che
"l'ignoranza, la noncuranza e il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le uniche cause delle
pubbliche sciagure e della corruzione dei governi" (Preambolo); afferma che la nazione
(non il re) è la fonte della sovranità, che la legge è l'espressione della volontà generale,
alla cui formazione tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere.Benché i diritti naturali siano
stati propugnati soprattutto da quei pensatori che avevano una qualche convinzione
religiosa, l'idea che tutti gli esseri umani siano dotati fin dalla nascita di diritti naturali era
una verità che appariva evidente di per se stessa anche a coloro che si professavano atei
e ad agnostici, come un dettame della ragione e come il riflesso di una comune intuizione
di ordine morale. Anche per i sostenitori non teisti del giusnaturalismo, i diritti naturali non
trovano la loro legittimazione nel fatto di essere riconosciuti e accettati da un governo o
incorporati all'interno di un ordinamento giuridico. Governanti e governi hanno un obbligo,
morale e contrattuale, di riconoscere e rispettare questi diritti e di dare loro veste giuridica
per garantirne l'effettivo rispetto.L'idea di diritti naturali e pre-sociali porta con sé una serie
di importanti progressi, non soltanto rispetto a certe usanze barbare ma anche rispetto alle
tradizionali concezioni di giustizia e di buona società. Essa offre una giustificazione ai diritti
universali e una guida per individuarne i possibili contenuti. In linea di principio, le norme
universali che essa prescrive riconoscono a tutti eguali diritti, compreso quello alla vita e
all'integrità psicofisica; vietano la schiavitù e altre forme di subordinazione e di
ineguaglianza, nonché la discriminazione delle donne e di altri emarginati. Sempre in linea
di principio, la libertà comprende la libertà religiosa, anche per gli eretici e gli atei, mentre
per consenso dei governati deve intendersi il consenso di tutti i governati, il che ha come
necessario presupposto non soltanto la sovranità popolare ma anche il suffragio
universale. In via di principio, l'individuo gode dei suoi diritti naturali a titolo individuale, 'di
diritto'. L'obbligo del governo di rispettare e garantire tali diritti non è più soggetto soltanto
alla sanzione divina ma anche al consenso costante dei governati, ed è una condizione di
legittimità del governo stesso.Locke e Jefferson hanno elencato esplicitamente alcuni diritti
naturali, mentre ne hanno indicati altri in modo implicito. Entrambi hanno menzionato il
diritto alla vita e alla libertà; alla 'proprietà' evocata da Locke, Jefferson ha sostituito la
'ricerca della felicità', ma la cosa non sembra poi essere così rilevante (infatti, mentre, da
un lato, Locke aveva una visione alquanto comprensiva del concetto di proprietà, dall'altro
appare indubbio che nel diritto alla felicità di Jefferson fosse ricompreso anche il rispetto
della proprietà). I diritti che essi elencano tuttavia non sono specificati nella loro
estensione, e non vengono esplicitate le limitazioni dei diritti connaturate all'idea di
contratto sociale, cui i governati consentono, perché necessarie a garantire i diritti di tutti.
In termini attuali, non è ad esempio del tutto chiaro se il diritto alla vita che ogni individuo
possiede escluda necessariamente la pena di morte o la liceità dell'aborto. Né sono
specificate le regole inerenti alla libertà o alla proprietà contemplate dal contratto sociale;
non è chiaro se in nome del diritto naturale alla libertà il governo debba rispettare i culti
religiosi eterodossi o la dissidenza politica, o se si debba astenere dal censurare la libertà
di espressione per tutelare la 'morale pubblica'. Fino a che punto e per quali fini il governo
è legittimato ad operare distinzioni in base alla razza, al sesso o alla religione? Come si
individuano le finalità per le quali il governo è legittimato a togliere all'individuo le sue
proprietà, attraverso l'esproprio o la tassazione?La concezione giusnaturalista
comprendeva al suo interno alcuni dei diritti che figurano nel catalogo attuale dei diritti
umani, ma non altri. Essa aveva sancito quelle libertà e immunità che ineriscono
naturalmente all'uomo nel suo 'stato di natura', ossia quelle libertà e quelle immunità
tipiche dello Stato liberale; ma non attribuì lo status di diritti individuali a quella categoria di
vantaggi che la società deve realizzare attraverso misure concrete, ad esempio, in primo
luogo, attraverso una legislazione che garantisca il benessere a livello economico e
sociale. 3d. I diritti umani nel diritto positivo.L'idea che i diritti umani spettassero ad ogni
individuo 'per natura' era congeniale allo spirito illuminista del XVIII secolo; essa venne
elaborata e diffusa in maniera espressiva da Thomas Paine nei Diritti dell'uomo. Nello
stesso anno della Dichiarazione di indipendenza americana (1776), inoltre, vide la luce
anche la Ricchezza delle nazioni di Adam Smith, opera che pose le basi teoriche
dell'ideologia della libertà e dell'iniziativa economica individuale. Tuttavia nel XVIII e nel
XIX secolo tale idea venne respinta sia dai tradizionalisti che da alcuni eminenti
progressisti. Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione francese (1790), scagliandosi contro la
Rivoluzione, Burke rifiutò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Thomas Paine aveva affermato che la "Dichiarazione dei diritti ha più valore per la società
e avrà un effetto di gran lunga più benefico che non tutte le leggi e gli statuti approvati
finora", ma Jeremy Bentham, in Anarchical fallacies, dissentiva nel modo più radicale da
questa affermazione. A suo avviso, "i diritti naturali sono semplicemente un nonsenso:
anzi i diritti naturali e imprescrittibili, sono un nonsenso retorico... ampolloso", nocivo e
pericoloso; si tratta di 'fallacie anarchiche', che incoraggiano l'insurrezione e la resistenza
contro leggi e governi illuminati, da cui dipende il progresso dell'umanità. Come ebbe a
dire in seguito (1947) un autore americano, Jerome Frank, i diritti naturali sono stati
spesso sia "lo scudo dell'arciconservatorismo che la spada del radicalismo". I progressisti
sostenevano che la legge e il diritto naturali, invocati a sostegno della rivoluzione nelle
colonie americane e in Francia, erano anche stati (e potevano esserlo ancora) invocati per
ribadire il diritto assoluto dei sovrani, l'inferiorità degli schiavi, la subordinazione delle
donne e per giustificare - nel nome del diritto naturale alla proprietà e alla libertà l'opposizione alla tassazione progressiva e alla legislazione sociale progressista.Nel XIX
secolo sorsero filosofie diverse e antagonistiche rispetto al giusnaturalismo: varie correnti
di stampo positivista, che si richiamavano a David Hume; l'idealismo (in Germania con
Friedrich Karl von Savigny, in Inghilterra, con F.H. Bradley, ecc.) e l'utilitarismo (Bentham,
John Stuart Mill, Herbert Spencer). Anche nella vita politica europea, in Francia ad
esempio, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo venne accantonata, e il tentativo di attribuire
ai diritti naturali dell'individuo lo statuto di legge superiore venne attaccato sia da destra
che da sinistra, dai sostenitori della monarchia e dei valori tradizionali e dai fautori di una
legislazione progressista o dagli esponenti di varie forme di socialismo. L'interesse per la
dignità e il benessere dell'individuo, comunque, non dipendeva necessariamente
dall'adesione all'ideologia dei diritti naturali. Le rivendicazioni di libertà ed eguaglianza,
talvolta solidali tra loro, talvolta in contrasto, continuarono a innescare rivoluzioni,
spodestare governi e modellare sistemi politici ed economici; le forze progressiste
europee, però, perseguivano il benessere dell'individuo, invocando non delle limitazioni da
porre al governo, bensì un governo migliore. Anziché propugnare i diritti come una forma
di tutela contro il governo, i progressisti aspiravano ad un governo più democratico e più
attento alle esigenze degli individui; anziché la libertà dalla legge invocavano una legge
migliore; anziché richiamarsi a indefiniti diritti naturali, facevano appello a diritti sanciti
dalla legge - droits de créance, - e ad una legislazione progressista che riconoscesse,
definisse e garantisse i diritti individuali; anziché esaltare lo Stato liberale cominciavano ad
esigere lo Stato sociale. Oltre al diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, esigevano ora
una seconda 'generazione' di diritti: i diritti economici e sociali. 4. I diritti umani nella
legislazione nazionale: 1789-1945.Nel XIX secolo si assistette ad un crescente processo
di normativizzazione di alcuni diritti morali generalmente riconosciuti e di determinate
rivendicazioni di carattere politico. Questo processo si sviluppò lungo due diverse strade.
Da un lato, seguendo l'idea del diritto naturale, i diritti umani vennero trasformati in norme
costituzionali di rango sovraordinato alle quali l'autorità governativa e le leggi ordinarie
dovevano conformarsi. Dall'altro lato si assistette ad un progressivo sviluppo dei diritti
umani per mezzo della legge ordinaria, principalmente attraverso forme di legislazione
garantista e progressista. Per quanto riguarda la costituzionalizzazione dei diritti umani gli
Stati Uniti hanno avuto una funzione pionieristica e di modello (il loro esempio venne
seguito da molti piccoli paesi europei); il Regno Unito, la Francia e altre nazioni
dell'Europa occidentale (e alcune dell'America Latina) hanno invece sviluppato e
promosso questi diritti attraverso il diritto positivo. 4a. La costituzionalizzazione dei diritti
umani: gli Stati Uniti.Uno dei maggiori contributi alla realizzazione dell'idea dei diritti è stata
la loro inclusione all'interno della Costituzione nella cultura costituzionale nazionale degli
Stati Uniti.Gli Stati Uniti furono il primo Stato moderno di nuova formazione, creato in
accordo con le ideologie dei diritti naturali e del contratto sociale espresse nella
Dichiarazione d'indipendenza. Con l'indipendenza, le vecchie colonie inglesi adottarono
una costituzione, un contratto sociale che riflettesse l'adesione all'idea dei diritti umani.
Parecchie di queste costituzioni (quelle della Virginia, della Pennsylvania, del
Massachusetts) si aprono con una Carta dei diritti. La Costituzione federale degli Stati
Uniti, redatta nel 1787, venne concepita nel medesimo spirito. La Costituzione originaria
non comprendeva una carta dei diritti, poiché i costituenti pensarono che questa non fosse
necessaria per il nuovo governo federale dai poteri limitati. Tuttavia, come era stato
promesso per facilitarne la ratifica, nel 1789 il nuovo governo adottò dieci emendamenti poi noti come Bill of rights - che entrarono in vigore due anni dopo. Il Bill of rights
americano, e i suoi successivi emendamenti, hanno lo stesso status di legge
sovraordinata riconosciuto agli articoli originari della Costituzione.Sebbene le ex colonie
americane si ispirassero alla storia costituzionale dell'Inghilterra, in America le
dichiarazioni in cui venivano riconosciuti alcuni diritti si differenziavano profondamente
dalle normative costituzionali britanniche. Gli inglesi rivendicavano "gli antichi diritti e
libertà" secondo "le leggi, gli statuti e le libertà di questo regno" (Bill of rights, 1688/1689),
ma questi non avevano lo status di legge sovraordinata, non erano 'inviolabili' e potevano
essere modificati dal parlamento. L'individuo non aveva diritti che poteva far valere nei
confronti del parlamento. La rivendicazione di indipendenza delle colonie americane,
tuttavia, prese l'avvio da una serie di doglianze contro il sovrano e il parlamento. La
Costituzione statunitense stabilì così la separazione dei poteri e un sistema di checks and
balances per limitare il potere sia dell'esecutivo che del parlamento (il Congresso); il Bill of
rights statunitense, a sua volta, garantisce protezione all'individuo sia nei confronti del
Congresso che dell'esecutivo. La prima clausola della Carta dei diritti americana - ("il
Congresso non farà leggi") - rappresenta un fermo rifiuto della supremazia del parlamento,
principio che è invece la chiave di volta del costituzionalismo inglese.La Costituzione degli
Stati Uniti e la sua Carta dei diritti riflettono chiaramente l'adesione all'idea di diritti naturali
preesistenti, attribuendo loro lo status di legge positiva superiore. La Costituzione
statunitense rappresentò il primo riuscito tentativo di dare espressione politica all'idea dei
diritti umani, e costituì il primo sistema nazionale di tali diritti. Non si trattava, tuttavia, di un
sistema pienamente sviluppato. Il Bill of rights, infatti, non garantiva tutti quei diritti
inalienabili che, secondo la Dichiarazione d'indipendenza, Dio avrebbe conferito a tutti gli
uomini; non aboliva la schiavitù, non garantiva un'eguale tutela giuridica e non prevedeva
il consenso di tutti i governati espresso attraverso il suffragio universale. Fatta eccezione
per le libertà tutelate dal I emendamento (di religione, di parola, di stampa, di
associazione), il Bill of rights non proteggeva esplicitamente la vita, la libertà e la proprietà
da leggi repressive o arbitrarie. Nel IX emendamento si afferma che l'elencazione di
determinati diritti non può essere interpretata nel senso di "escludere o discriminare altri
diritti che gli uomini detengono"; tuttavia, come venne confermato più tardi, questi altri
diritti, non menzionati in forma esplicita, non vennero costituzionalmente riconosciuti e
garantiti. La Costituzione non dice in che modo vadano risolti gli eventuali conflitti tra più
diritti e non specifica in modo chiaro quali limitazioni ai diritti stessi siano accoglibili in base
al contratto sociale, in quanto necessarie per il governo. Essa inoltre tutela i diritti
individuali solo dall'"azione dello Stato", mentre per la violazione degli stessi diritti da parte
di un altro individuo non è prevista alcuna tutela costituzionale, ma solo quella della
legislazione ordinaria.Col tempo, i difetti più gravi della Carta dei diritti vennero corretti. La
schiavitù fu abolita nel 1865. Il XIV emendamento (1868) attribuì all'autorità federale
competenza in materia di diritti individuali: le violazioni dei diritti all'interno di ogni singolo
Stato dovevano essere giudicate a livello nazionale mentre al Congresso venne attribuita
potestà legislativa al fine di tutelare i diritti del singolo da eventuali violazioni dell'autorità.
Fu imposto agli Stati (e, secondo un'interpretazione successiva, anche al governo
federale) di garantire a tutti i cittadini eguale protezione da parte della legge. Altri
emendamenti costituzionali vietarono di negare il diritto di voto in base alla razza (XV
emendamento, 1870) o in base al sesso (XIX emendamento, 1920). (Nel 1960 il principio
di eguale protezione venne interpretato nel senso di garantire a tutti pari diritto di voto). I
poteri conferiti al Congresso vennero interpretati nel senso di attribuire allo stesso la
facoltà (ma non l'obbligo) di produrre una estesa legislazione in materia di diritti civili che
proibisse la violazione di questi ultimi da parte dei privati e garantisse mezzi di tutela per
tali violazioni.Forse il contributo più significativo apportato dagli Stati Uniti all'idea dei diritti
consiste nel 'controllo giurisdizionale', cioè nel potere riconosciuto ai tribunali di rendere
effettiva la supremazia dei diritti costituzionali controllandone l'osservanza da parte di tutti i
settori del governo, e di garantire al singolo validi mezzi di tutela in caso di violazioni di tali
diritti. Il controllo giurisdizionale si è rivelato come lo strumento istituzionale più efficace
per rendere effettiva la supremazia costituzionale e per assicurare che i diritti richiamati e
promessi dalla Costituzione vengano concretamente applicati. Esso è diventato inoltre lo
strumento per fare in modo che le garanzie dei diritti individuali ricevano un'applicazione
adeguata al caso concreto e in armonia con i tempi. Le corti di giustizia degli Stati Uniti
fondarono la loro autorità legandola al testo della Costituzione scritta e, in linea di
principio, si limitarono ad applicare quei diritti naturali, anteriori alla società, che furono
successivamente trasfusi in norme di rango costituzionale. Tuttavia, negli Stati Uniti
l'elaborazione giurisprudenziale dei diritti naturali a livello costituzionale è stata tale da
aver permesso una riformulazione dei diritti stessi in termini più attuali. Ad esempio, la
norma secondo la quale "nessuno potrà essere privato della vita, della libertà e della
proprietà in assenza di un legittimo processo", è stata interpretata dalle corti di giustizia
come norma intesa a tutelare l'individuo non solo dalla detenzione arbitraria, ma anche da
ogni limitazione dell'autonomia e della libertà in generale. Tale norma, inoltre, non si limita
a stabilire il principio di legalità e procedure eque, ma impone altresì che le leggi che
regolano le libertà siano razionali, finalizzate all'interesse pubblico e conformi ai principî di
equità accettati dalla società. Altri elementi dei diritti naturali sono stati assimilati dalla
giurisprudenza costituzionale per mezzo di specifiche disposizioni, quali quelle che vietano
perquisizioni e confische 'irragionevoli' o punizioni 'insolite e crudeli'.Per un aspetto
fondamentale, tuttavia, i diritti tutelati dalla Costituzione risentono del fatto di essere stati
concepiti e formulati nel XVIII secolo. Poiché l'idea dei diritti propria degli Stati Uniti si
fondava sulla teoria delle libertà dell'uomo nello stato di natura, in questo paese i diritti
costituzionali sono sempre rimasti al rango di libertà dalle ingerenze dello Stato,
esaurendosi quindi nei diritti negativi alla vita alla libertà e alla proprietà; restano invece
esclusi i diritti positivi economici e sociali. Si partiva dal presupposto che i governi istituiti
dagli uomini con il contratto sociale non erano intesi ad assicurare il benessere economico
e sociale o a soddisfare i bisogni umani fondamentali. In ogni caso i tribunali che si
rifacevano al dettato costituzionale non potevano certo rinvenire nel testo settecentesco
alcun fondamento per diritti di ordine economico e sociale.Di fatto gli Stati Uniti divennero
uno Stato sociale con il New Deal di Roosevelt (1933-1940), ma ciò non avvenne per
impulso dell'ordinamento costituzionale, che anzi oppose una qualche resistenza. Per
legittimare il Congresso ad imporre una forma di tassazione progressiva - su cui il Welfare
State si fonda - si rese necessario un emendamento alla Costituzione. A tutt'oggi, la
Costituzione statunitense non impone la creazione di uno Stato sociale, ed è fallito ogni
tentativo di rinvenire nella Costituzione degli Stati Uniti un diritto alla sussistenza o alla
casa. Le Costituzioni di alcuni Stati, comunque, garantiscono il diritto all'istruzione
pubblica, e nel XX secolo alcuni Stati hanno sancito anche l'obbligo di provvedere a
determinati bisogni umani fondamentali. (Nemmeno le Costituzioni di questi Stati,
comunque, sono riuscite a garantire forme di tutela efficaci per garantire questo tipo di
diritti 'positivi').Negli Stati Uniti dunque i diritti riconosciuti a livello costituzionale sono
rimasti al rango di diritti 'negativi'; i diritti sociali di stampo 'positivo' sono invece frutto di un
processo di creazione legislativa. A differenza dei diritti riconosciuti a livello costituzionale,
i diritti sociali dipendono dal processo politico, dalla forza e dall'impegno di determinati
partiti o leaders politici, dalle risorse e dalla disponibilità dei cittadini ad accettare
imposizioni fiscali e dalle scelte della società, che stabilisce le priorità di spesa tra il
benessere sociale o altre necessità (quali, ad esempio, la difesa).Anche nel XIX secolo,
altri paesi (tra cui figurano i Paesi Scandinavi e la Grecia) inserirono i diritti umani nei testi
costituzionali, accordando ad essi lo status di legge sovraordinata e attribuendo agli organi
giurisdizionali un controllo di costituzionalità. Dopo la prima guerra mondiale, anche la
Repubblica di Weimar, in Germania, istituì un corpus di diritti costituzionali, non soggetto
tuttavia al controllo giurisdizionale. 4b. I diritti umani nelle legislazioni europee.Alla fine del
XVIII secolo, l'idea dei diritti naturali ebbe una certa eco anche in Europa, dove tuttavia
non conobbe uno sviluppo paragonabile a quello americano. L'Inghilterra, fiera della
Gloriosa rivoluzione e della supremazia del parlamento, restò indifferente all'idea:
l'individuo non poteva far valere alcun diritto contro il parlamento, che dal canto suo non
era tenuto a riconoscere e garantire i diritti dell'individuo nei confronti dell'autorità o dei
privati. In Francia i diritti naturali conobbero una breve storia costituzionale tra il 1791 e il
1793, per esser poi eclissati dalla guerra civile, dal Terrore e da Napoleone. Anche in
Polonia i diritti umani ebbero vita breve, e svanirono assieme alle aspirazioni
all'indipendenza. Ai diritti naturali si richiamarono, nell'Ottocento e ai primi del Novecento,
alcuni slogan delle rivoluzioni e delle lotte per l'unità e l'indipendenza nazionale, anche se
la strada intrapresa verso la creazione delle nazioni e l''autodeterminazione' non dipese
dall'adesione ad una teoria dei diritti individuali. Le lotte politiche in Europa non avevano
ad oggetto i diritti individuali ma il potere politico: le forze progressiste combattevano
contro la monarchia, per l'affermazione della democrazia, di una forma di rappresentanza
più autentica e di un suffragio più esteso. Persino in Francia, la cui Dichiarazione dei diritti
continuava ad avere eco in tutto il mondo, l'idea dei diritti naturali, connaturati all'individuo
in quanto tale, rimase in secondo piano. I Francesi seguivano l'insegnamento di
Rousseau, non di Locke, guardavano a Westminster, non a Washington, avevano come
obiettivo la democrazia parlamentare più che l'istituzione di diritti costituzionali. Con il
passar del tempo, come ad esempio sotto la Terza Repubblica, il contratto sociale fece sì
che il governo rispecchiasse in modo più adeguato la volontà generale; ma l'individuo non
vantava diritti nei confronti della volontà generale poiché non ne aveva bisogno, in quanto
la volontà generale non era in grado di violare i diritti individuali. Anche gli orientamenti di
stampo socialista che si svilupparono in Francia nel XIX secolo erano per lo più indifferenti
ai diritti naturali dell'individuo.Ma se nel XIX secolo l'idea dei diritti naturali perse gran parte
del proprio credito, e i diritti intesi come limitazioni al potere del governo non si
affermarono né acquisirono uno status costituzionale, tuttavia in molti paesi europei e in
America essi si svilupparono fino ad assumere la forma di diritto positivo. Grazie al
progressivo affermarsi del liberalismo e della democrazia, nell'Ottocento crebbe
lentamente il rispetto per l'autonomia e la libertà dell'individuo, nonché l'interesse per il
benessere individuale. Le idee progressiste e liberali superarono i confini europei
sollecitando un'estensione delle libertà per mezzo del diritto. Nei paesi europei vennero
abolite la schiavitù e la tratta degli schiavi. (La Francia e la Danimarca avevano già seguito
questa strada nell'ultimo decennio del Settecento). La Russia abolì la servitù della gleba
mentre la Francia, seguita via via da altre nazioni, emancipò gli Ebrei. Lentamente si
diffuse la tolleranza religiosa e vennero progressivamente ridotte le forme più offensive di
discriminazione razziale, etnica o religiosa. Alcune forme di discriminazione contro le
donne furono attenuate. Il diritto ad un giusto processo per l'accusato, nonché le garanzie
contro l'arresto arbitrario, la tortura e altre forme di trattamento inumano si affermarono in
via di principio e furono migliorate di fatto. L'istruzione pubblica si diffuse e venne ridotto
l'analfabetismo. Si affermarono in misura crescente i governi parlamentari, il suffragio
conobbe una estensione, così come i diritti politici e le libertà (di parola, di stampa, di
associazione e assemblea). Si estese il diritto di voto. La Francia promulgò leggi per
garantire le libertés publiques e istituì determinati organi (in particolare, il Consiglio di
Stato) aventi il compito di garantirne l'applicazione. In Inghilterra, il Parlamento ampliò la
lista dei diritti tutelati dalla common law e riconobbe ulteriori diritti individuali; John Stuart
Mill divenne l'apostolo della libertà e dell'eguaglianza fra i sessi. Per impulso dell'ideologia
socialista, dotata di un forte potere d'attrazione, le nazioni europee in via di
industrializzazione cominciarono ad occuparsi dei bisogni dei lavoratori, della famiglia, dei
minori, degli anziani e delle persone indigenti in generale. Nella Germania di Bismarck, in
Francia, in Inghilterra e in altre nazioni europee vide la luce quella che sarà
successivamente definita 'seconda generazione di diritti', i diritti economici e sociali del
Welfare State. L'idea dei diritti favorì qualche piccolo passo verso la democrazia in paesi
(ad esempio la Russia zarista) dove questa non era mai esistita. Dopo il primo conflitto
mondiale, la democrazia e l'idea dei diritti si affermarono, seppur per breve tempo, nella
Repubblica di Weimar; il principio dell'autodeterminazione dei popoli fu adottato dai
governi parlamentari, e un parziale riconoscimento dei diritti si ebbe anche in alcuni piccoli
Stati dell'Europa orientale e centrale. Nell'America Latina videro la luce nuovi Stati
impegnati nel riconoscimento dei diritti, sotto l'influenza delle idee statunitensi e francesi.
In genere gli imperi coloniali europei in Africa e in Asia non rispettarono i diritti delle
popolazioni indigene; tuttavia, anche se in larga misura involontariamente, essi
contribuirono a diffondere l'idea dei diritti.Questo processo di crescente attenzione e
rispetto per i diritti individuali non si verificò tuttavia in modo uniforme, né ebbe ovunque un
andamento progressivo e lineare. Molti dei diritti successivamente riconosciuti come diritti
umani non venivano rispettati neanche all'interno delle nazioni più liberali e più
democratiche. Certi tipi di comportamento si erano diffusi ovunque. La brutalità con cui
operavano le autorità di polizia, le condizioni carcerarie indescrivibili e altre forme di
punizioni crudeli e inumane non costituivano affatto un'eccezione. Quasi ovunque
persisteva un'odiosa discriminazione contro le minoranze razziali, etniche o religiose e in
alcuni Stati i massacri e i pogrom venivano tollerati, e talvolta persino direttamente
fomentati dai governi. I diritti di associazione politica ed economica (ad esempio la libertà
di associazione sindacale) subivano delle limitazioni, mentre continuavano a sussistere
ampiamente le tradizionali restrizioni nei confronti delle donne. La povertà dilagava e solo
pochi paesi adottavano misure concrete per soddisfare i bisogni fondamentali
dell'individuo. Soprattutto, non veniva riconosciuto il principio del valore e della dignità
dell'individuo, né dei diritti individuali come limitazioni al potere del governo. Solo pochi
paesi conferirono ai diritti dell'individuo lo status di suprema legge costituzionale o
istituirono il controllo giurisdizionale o altre forme di controllo costituzionale per la loro
tutela. In pochi paesi, comunque, i diritti riuscirono a radicarsi tanto profondamente nella
cultura politica da resistere agli attacchi contro la democrazia e le libertà determinati dalla
guerra e dalla crisi economica.Così, nel ventennio tra le due guerre mondiali, i diritti umani
subirono catastrofiche sconfitte. La democrazia parlamentare e i diritti individuali vennero
annientati dal fascismo, dallo stalinismo e dal nazismo, e vennero messi in pericolo
ovunque dal progetto hitleriano di dominio mondiale. .5. I diritti umani nell'ambito
internazionale.I diritti umani acquistarono una rilevanza internazionale durante e dopo la
seconda guerra mondiale. Accolta nelle dichiarazioni universali, sostenuta dalle istituzioni
internazionali, incorporata nelle costituzioni e nelle legislazioni nazionali e riconosciuta
negli accordi di diritto internazionale, l'idea dei diritti umani divenne l'idea chiave del nostro
tempo.Tra il diritto internazionale e i diritti umani esistevano già in precedenza dei legami,
in quanto entrambi erano stati prefigurati dal giusnaturalismo e da autori quali Grozio,
Emmerich de Vattel e John Locke. Il trattamento che in determinate circostanze lo stato
riservava ad alcuni degli individui residenti era divenuto ben presto oggetto della
diplomazia e del diritto. Il diritto internazionale consuetudinario, ad esempio, dichiarava
che ogni Stato aveva l'obbligo di trattare gli stranieri presenti sul proprio territorio secondo
un criterio internazionale di giustizia basato sui principî del diritto naturale. Nel XVII secolo,
i regnanti cattolici e protestanti decisero di accordare reciprocamente la libertà di culto e
alcune immunità civili ai fedeli dell'altra religione. Più tardi, paesi come la Grecia e la
Turchia concordarono di rispettare reciprocamente i diritti delle rispettive minoranze
etniche. Sia prima che dopo la prima guerra mondiale le grandi potenze, nel tentativo di
eliminare una possibile fonte di attriti internazionali, imposero la ratifica di trattati che
obbligavano alcuni Stati a rispettare i diritti delle minoranze etniche e religiose. Il trattato
istitutivo della Società delle Nazioni stabilì che il sistema dei mandati territoriali dovesse
essere governato dal principio che "il benessere e lo sviluppo di questi popoli rappresenta
un sacro dovere di civilizzazione" e impose "condizioni atte a garantire le libertà di
coscienza e di religione", insieme ad altri diritti. Un maggior sviluppo nella tutela
internazionale dei diritti umani si verificò negli anni successivi alla prima guerra mondiale,
allorché l'Ufficio Internazionale del Lavoro (in seguito, Organizzazione Internazionale del
Lavoro, ILO) promosse una serie di convenzioni con le quali alcuni Stati concordavano di
attenersi ad alcuni standard minimi in materia di lavoro e di altre condizioni di carattere
sociale.Questi precedenti dell'attuale impegno internazionale per i diritti umani avevano in
gran parte motivazioni di ordine economico e politico. Se la preoccupazione dominante era
quella di assicurare la pace internazionale e di stabilire relazioni amichevoli sul piano
politico ed economico tra le nazioni, non era neanche del tutto assente un impegno per il
benessere di ogni individuo. Considerazioni di ordine umanitario ispirarono senza dubbio
anche il progressivo sviluppo di un diritto umano inteso a proibire l'uso di armi
particolarmente crudeli e a tutelare i prigionieri di guerra e la popolazione civile. Tuttavia,
queste manifestazioni di impegno internazionale per i diritti umani rimasero sporadiche e
isolate. In generale, e in linea di principio, si continuava a ritenere che il trattamento
riservato da uno Stato ai propri cittadini fosse un problema di politica interna e che
pertanto non rivestisse un interesse internazionale. Occasionalmente, eventi
particolarmente terribili e sconvolgenti - come il massacro degli Armeni in Turchia, o i
pogrom contro gli Ebrei nella Russia zarista - provocarono le proteste degli altri governi, i
quali però in generale facevano appello a generici sentimenti umanitari, non a norme
internazionali. (I primi esperti di diritto internazionale erano giunti alla conclusione che uno
Stato fosse legittimato a intervenire con la forza in un altro Stato per mettere fine a
violazioni dei diritti umani tanto massicce e orribili da traumatizzare la coscienza
dell'umanità. Ma è assai difficile individuare se e quando tali interventi siano compiuti in
buona fede).Una nuova ripresa dell'interesse internazionale per i diritti umani si ebbe
durante la seconda guerra mondiale con il 'movimento internazionale per i diritti umani'. In
un famoso discorso al Congresso del gennaio 1941 il presidente Franklin D. Roosevelt
impegnò gli Stati Uniti alla realizzazione di quattro libertà: libertà di religione, libertà di
espressione, libertà dal bisogno e libertà dalla paura. A tali libertà si fece costante
riferimento durante la guerra, e gli Alleati dichiararono più volte che uno dei loro principali
obiettivi era quello di stabilire un ordine mondiale che contemplasse il rispetto dei diritti
umani. La vittoria diede loro la capacità, l'opportunità e la determinazione necessaria per
trasformare tale obiettivo in una ideologia politica per il mondo del dopoguerra.Il
movimento internazionale per i diritti umani acquistò nuova forza allorché il mondo ebbe
piena coscienza dei misfatti di Hitler e dell'indicibile orrore dell'Olocausto. A Norimberga gli
Alleati processarono i nazisti per le violazioni del diritto internazionale tra cui figuravano i
"crimini contro l'umanità". Nel 1945, a San Francisco, il problema dei diritti umani fu posto
al centro delle discussioni sull'ordine mondiale post-bellico. Gli Alleati vincitori iscrissero
l'impegno per la democrazia e per il rispetto dei diritti umani nella Carta delle Nazioni Unite
alla quale ci si aspettava che tutti i paesi aderissero. (Furono gli Alleati occidentali Francia, Inghilterra e Stati Uniti - a fare pressioni in questo senso; l'Unione Sovietica
staliniana si adeguò, forse perché riconosceva il richiamo universale esercitato da tali
principî, o perché Stalin pensava comunque di poterli interpretare e applicare a modo
suo). La Carta dichiarava che la promozione dei diritti umani rappresentava uno dei
principali obiettivi delle Nazioni Unite (Preambolo, art. 55), e stabiliva l'istituzione di una
Commissione per i diritti umani (art. 68).Cominciarono così per la comunità internazionale
decenni di intensa attività, che portarono al riconoscimento universale dell'idea dei diritti
umani e ad un attivo impegno internazionale per la loro attuazione nei singoli paesi. I diritti
umani divennero oggetto della politica internazionale e del diritto internazionale
consuetudinario nonché di numerosi patti e convenzioni internazionali. Il paragrafo 7
dell'articolo 2 specifica che nessuna disposizione dello statuto "autorizza le Nazioni Unite
a intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di
uno Stato"; più di quarant'anni di incessante attività hanno dimostrato che l'impegno delle
Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani non costituisce affatto un'ingerenza nella
competenza interna degli Stati. I diritti umani sono stati messi all'ordine del giorno in tutti
gli istituti delle Nazioni Unite e sono diventati un elemento basilare dell'attività dell'ONU.
Alcuni di questi istituti hanno dedicato anni di ardui sforzi alla promozione dei diritti umani.
È stata elaborata e approvata una Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il
Consiglio di sicurezza e l'Assemblea generale, due fra i principali organi delle Nazioni
Unite, si sono occupati anche di particolari violazioni dei diritti umani, mentre le violazioni
più gravi (c.d. gross violations), come l'apartheid in Sudafrica, sono state costantemente al
centro dell'attenzione delle Nazioni Unite. 5a. Universalizzazione e internazionalizzazione
dei diritti umani.L'obiettivo principale del movimento internazionale per i diritti umani è
stato quello di adoperarsi al fine di ottenere il rispetto a livello universale di tali diritti. Si è
cercato di raggiungere tale obiettivo attraverso una internazionalizzazione dei diritti umani,
esercitando un'influenza politica e morale, sul piano internazionale, tesa ad ottenere
un'adesione universale all'idea dei diritti umani. Lo stesso obiettivo si è cercato di
perseguire attraverso l'elaborazione, sul piano internazionale, di un concetto uniforme dei
diritti umani e facendo sì che tutti gli Stati lo incorporassero all'interno del proprio
ordinamento politico e giuridico e assicurassero in termini reali il rispetto di quei diritti.
Sono stati inoltre compiuti dei passi per inserire nella Carta dell'ONU un bill of rights sotto
forma di obbligo giuridico internazionale vincolante per tutti gli Stati aderenti alla Carta
dell'ONU.I passi iniziali furono più modesti. Se è vero che ai diritti umani è assegnato un
posto di primo piano nella Carta dell'ONU, questa non comprende un catalogo dei diritti o
altre normative in materia che abbiano carattere vincolante. Tuttavia, l'impegno per i diritti
umani richiesto dalla Carta è inequivocabile. Mentre la Società delle Nazioni si occupava
principalmente dei diritti delle minoranze in determinati paesi, la Carta dell'ONU intende
affermare i diritti di tutti gli individui in tutti i paesi. (Evidentemente si riteneva che il
riconoscimento del diritto all'autodeterminazione e dei diritti umani avrebbe eliminato il
problema delle minoranze: alcune di queste avrebbero raggiunto l'indipendenza
esercitando il diritto all'autodeterminazione, mentre, negli altri casi, i diritti delle minoranze
avrebbero ricevuto eguali garanzie rispetto a quelli delle maggioranze grazie al
riconoscimento universale dei diritti fondamentali per tutti gli uomini).Il Preambolo della
Carta dell'ONU riafferma "la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel
valore della persona umana, nella parità dei diritti per l'uomo e per la donna" e dichiara
che i popoli si impegnano "a promuovere il progresso sociale e migliori condizioni di vita
nel contesto di una più ampia libertà". Gli obiettivi dell'ONU includono la realizzazione di
una cooperazione internazionale intesa a "promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti
umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua e
religione" (artt. 1 e 55 c). I diritti umani rientrano nella sfera di competenza dell'Assemblea
generale (art. 13) e del Consiglio economico e sociale (art. 62,2). Gli Stati membri si
impegnano ad assumere iniziative separate o congiunte, in cooperazione con l'ONU, per
la realizzazione dei suoi obiettivi in materia di diritti umani (artt. 55 e 56). 5b. La
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.La Commissione per i diritti umani istituita in
conformità alla Carta si è opposta anche ai tentativi di procedere direttamente alla
promulgazione di un bill of rights internazionale giuridicamente vincolante. In un primo
tempo, la Commissione preparò un accordo internazionale, la Convenzione per la
prevenzione e la repressione dei crimini di genocidio (1948), che era anche un
monumento alle vittime di Hitler. Nello stesso tempo, sotto la guida di Eleanor Roosevelt
(USA) e di René Cassin (Francia), lavorò alla stesura della Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo.La Dichiarazione universale non fu concepita come un accordo
giuridicamente vincolante; e infatti non si tratta di un accordo internazionale che i paesi
aderenti devono firmare e ratificare. Secondo il Preambolo, la Dichiarazione rappresenta
un "ideale comune da raggiungere da parte di tutti i popoli e di tutte le nazioni, affinché
ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa
Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di
questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere
nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento, sia fra i popoli degli
stessi Stati membri, sia fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione".Di fatto la
Dichiarazione ha assolto il suo compito sotto un duplice profilo: rendendo universale l'idea
dei diritti umani e promuovendone l'adozione da parte dei singoli Stati.La Dichiarazione fu
adottata nel 1948 all'unanimità, e anche i principali astenuti (i paesi del blocco sovietico)
manifestarono in seguito la loro adesione, che trovò espressione esplicita nell'Atto finale
della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Accordi di Helsinki, 1975).
Nei decenni intercorsi tra il 1948 e il 1975 la Dichiarazione è stata accettata da quasi tutti i
paesi, indipendentemente dalla loro ideologia o dal loro livello di sviluppo economico,
politico e sociale, diventando la definizione e l'elenco ufficiale dei diritti umani, tra i quali
include allo stesso titolo sia i diritti politici e civili, sia quelli economici e sociali. La
Dichiarazione ha inoltre favorito l'inserzione dei diritti umani in quasi tutte le costituzioni del
mondo.Essa è diventata altresì il punto di riferimento per ciò che riguarda la progressiva
internazionalizzazione dei diritti umani, costituendo la base dei principali trattati
internazionali sui diritti umani, della rete di altre convenzioni che si sono moltiplicate nei
decenni successivi nonché del corpus sempre più consistente del diritto internazionale
consuetudinario in materia. La Dichiarazione è rimasta il fondamento e il riferimento
essenziale per l'azione politica degli organismi internazionali; essa ha imposto il rispetto
dei diritti umani come criterio di comportamento internazionale accettabile, in base al quale
il mondo stabilisce di giudicare e di essere giudicato; anche quei paesi che non sono
disposti a conformarsi a tale criterio, tuttavia, non osano sfidare il principio dei diritti umani,
o i suoi contenuti: se violano i diritti umani, sono infatti costretti a nascondere e dissimulare
le loro azioni, e tali violazioni possono essere denunciate. 5c. La costituzionalizzazione dei
diritti.La fine della seconda guerra mondiale ha inaugurato l'era delle costituzioni.
Virtualmente tutte le costituzioni hanno inserito fra le proprie disposizioni la promozione e
la tutela dei diritti dell'individuo. Le nazioni sconfitte - la Germania, l'Austria, il Giappone hanno elevato i diritti umani a rango costituzionale sotto l'egida delle forze di occupazione.
Alcuni paesi di antiche tradizioni hanno inserito i diritti all'interno delle costituzioni di nuova
formazione, grazie anche all'influenza esercitata dal movimento internazionale per i diritti
umani, dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
L'India, con il raggiungimento dell'indipendenza, riconobbe alcuni diritti all'interno della
propria Costituzione (1946), significativamente influenzata dalle idee e dall'esperienza
statunitensi. La fine del colonialismo, in Africa e in Asia, ha determinato una proliferazione
di nuovi Stati, le cui costituzioni fanno tutte riferimento ai diritti umani, sia attraverso un
rinvio alla Dichiarazione universale, sia attraverso l'elaborazione di una vera e propria
Carta dei diritti derivata in larga misura dalla Dichiarazione. I diritti umani assunsero un
posto di rilievo persino nelle Costituzioni dell'URSS, della Cina e di altri paesi
comunisti.L'Europa occidentale, in particolare, è diventata un baluardo dei diritti
costituzionali. I paesi usciti dall'occupazione militare della Germania nazista hanno
risposto al proprio passato e al movimento internazionale per i diritti umani con
l'elaborazione di nuove costituzioni che danno un posto di rilievo ai diritti umani. In Francia,
dopo la disfatta, l'occupazione, Vichy e la successiva ripresa, l'idea dei diritti umani
esercitava un richiamo irresistibile. La nuova Costituzione del 1946 incorporò la
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 - nonché i "principî fondamentali
riconosciuti dalle leggi della Repubblica" - e una serie di principî politici, sociali ed
economici "di vitale importanza nella nostra epoca": tra questi, la parità di diritti tra uomo e
donna in ogni settore e il diritto al lavoro, all'assistenza sanitaria e all'istruzione. (La
successiva Costituzione del 1958 ha a sua volta riconfermato l'adesione della Francia ai
diritti costituzionali). Il Regno Unito non modificò la sua costituzione, in larga misura non
scritta, sicché i diritti sono rimasti soggetti alla supremazia dell'organo legislativo. Nel
Regno Unito i diritti umani si sono sviluppati in maniera significativa sotto l'influenza del
movimento internazionale (ed europeo) per i diritti umani, e sono andate aumentando le
prese di posizione autorevoli in favore dell'adozione di una carta dei diritti.Nemmeno gli
Stati Uniti rimasero insensibili al richiamo esercitato dall'idea dei diritti umani, e
svilupparono - trasformandolo - sia il concetto che il contenuto dei diritti, attraverso una
elaborazione del diritto costituzionale ricca di creatività e di inventiva, nonché attraverso la
legislazione sui diritti civili. La segregazione razziale divenne reato; molte discriminazioni
tra i sessi vennero abolite; il diritto di voto fu esteso ad ogni individuo; le libertà civili sono
state sviluppate; è stato riconosciuto il diritto alla riservatezza nella sfera privata, e sono
stati ampliati i diritti dei cittadini sottoposti a procedimento penale.Seguendo l'esempio
degli Stati Uniti, anche i paesi dell'Europa occidentale hanno corredato la loro adesione al
costituzionalismo e alla costituzionalizzazione dei diritti con l'istituzione di organi di
controllo costituzionale. Alcuni, come la Repubblica Federale Tedesca, l'Italia, l'Austria, il
Portogallo, hanno istituito all'uopo nuove corti costituzionali. La Francia ha esteso il
controllo degli atti amministrativi attraverso il Conseil d'État, e ha creato il Conseil
constitutionnel per il controllo preventivo sui progetti di legge.In alcuni paesi europei, così
come negli Stati Uniti, il controllo di costituzionalità è demandato alla giurisdizione
ordinaria (è il caso dei Paesi Scandinavi e della Grecia). Il Regno Unito non ha istituito
organi cui è demandato il compito di controllare se l'attività del parlamento tuteli
concretamente i diritti umani; tuttavia, l'adesione alla Convenzione europea sui diritti
dell'uomo ha dato luogo a una forma di controllo giurisdizionale di carattere esterno per
l'applicazione dei diritti nel Regno Unito. In altre parti del mondo si è affermata, quale
modello tradizionale, una forma di controllo costituzionale condotta per mezzo dei tribunali,
come è accaduto anche in paesi precedentemente sottoposti alla tutela coloniale
britannica. I paesi socialisti si sono anch'essi adeguati a questa tendenza: la Polonia ha
istituito una corte costituzionale; l'Unione Sovietica ha accordato ai tribunali limitati poteri
di controllo in caso di presunte violazioni dei diritti umani. (I diritti economici e sociali,
anche nei casi in cui hanno ottenuto lo status di diritti costituzionali, non vengono
normalmente sottoposti ad un controllo di costituzionalità. L'India, per esempio, li ha
espressamente esclusi da questo tipo di controllo benché i tribunali ordinari a volte
abbiano trovato il modo di fornire una qualche forma di tutela).L'impegno relativo ai diritti
umani, attuato attraverso lo strumento del diritto costituzionale, anche quando sia
accompagnato dall'istituzione di organi di controllo costituzionale, non è sufficiente a
garantirne il rispetto. Il rispetto dei diritti umani non è un'ideologia facile da trapiantare,
soprattutto in terreni poco ricettivi. La cultura costituzionale si sviluppa lentamente, e
richiede stabilità politica, sociale ed economica. Nonostante le garanzie contenute nella
loro costituzione, molti paesi sono diventati Stati governati da un unico partito che spesso
non tollerano nessun tipo di opposizione, limitano le libertà politiche e si rendono a volte
responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, come nel caso dell'arresto arbitrario e della
tortura. In alcuni paesi, le costituzioni contengono al loro interno una clausola di
salvaguardia che consente di derogare all'obbligo di rispettare i diritti umani e di
autorizzare la sospensione o la soppressione del controllo giurisdizionale e di altre
istituzioni di tutela. In troppi paesi le autorità militari hanno fatto in modo di sospendere
l'efficacia della costituzione sostituendosi nel corso di parecchi anni ai governi civili
democratici e rendendosi responsabili non solo della repressione politica, ma anche di
torture, esecuzioni arbitrarie, detenzioni prolungate illegalmente e di 'sparizioni' di migliaia
di persone. 5d. La tutela dei diritti umani nel diritto internazionale.La Carta dell'ONU ha
inoltre introdotto una nuova normativa internazionale in materia di diritti umani. Tale
normativa è penetrata oltre i confini delle singole nazioni oltrepassando le barriere della
sovranità nazionale in una misura che non ha precedenti e ha seppellito definitivamente il
dogma tradizionale secondo il quale l'individuo non sarebbe un 'soggetto' di diritto
internazionale; ha posto fine all'identificazione - pressoché totale - dell'individuo con il suo
governo, riconoscendogli dei diritti (e delle forme di tutela) a livello individuale nell'ambito
del diritto internazionale. L'individuo di conseguenza non è più tutelato solo dal singolo
governo, ma può contare anzi su forme di protezione e di tutela contro quel governo
stesso.Le norme di diritto internazionale in materia di diritti umani non intendono prendere
il posto degli ordinamenti giuridici e delle istituzioni nazionali, dai quali invero dipendono,
ma ne costituiscono un supplemento, nel senso che prescrivono agli Stati di rimediare alle
carenze del proprio sistema normativo, che pure devono rispettare. Le forme di pressione
esercitate sui governi affinché questi si adeguino alla normativa internazionale sui diritti
umani differiscono da quelle che promuovono l'osservanza di altre norme di diritto
internazionale; gli obblighi giuridici vengono infatti assunti dagli Stati ma i beneficiari delle
norme sono i singoli individui degli Stati che quegli obblighi stessi hanno assunto.
Comunque le norme internazionali in materia di diritti umani hanno lo stesso tenore di
legge che è proprio delle altre norme del diritto internazionale, in quanto creano obblighi
giuridicamente vincolanti e prevedono sanzioni in caso di loro violazione.Al pari di altri
settori del diritto internazionale, anche quello relativo ai diritti umani può essere di origine
pattizia ovvero consuetudinaria. La Carta dell'ONU - un trattato al quale hanno aderito la
quasi totalità degli Stati - ha proceduto alla creazione di obblighi di carattere
tendenzialmente universale, anche se le sue disposizioni normative in materia di diritti
umani sono modeste. La Dichiarazione universale è stata anch'essa quasi universalmente
accettata, ma non ha natura di trattato, in quanto venne concepita come un "ideale
comune da raggiungere", non come fonte di obblighi giuridici. La Dichiarazione tuttavia è
stata da più parti vista come una interpretazione e una specificazione dei principî contenuti
nella Carta, e in quanto tale partecipe del carattere giuridicamente vincolante di questa. In
seguito, alcune risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU hanno affermato l'"obbligo",
da parte degli Stati, di "osservare pienamente e fedelmente" le disposizioni contenute
nella Dichiarazione universale, e nello stesso senso si sono pronunciate altre assemblee e
conferenze internazionali. La Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
(Helsinki 1975) ha inserito l'osservanza della Dichiarazione tra i principî che devono
regolare le relazioni tra gli Stati partecipanti. Con il passare del tempo, tuttavia, si è
cominciato ad attribuire alla Dichiarazione un valore normativo. Questa conclusione,
probabilmente, non sarà ben accetta ai tribunali e ai giuristi di stampo conservativo: a
questi tuttavia non potrà sfuggire che alcune disposizioni della Dichiarazione sono
diventate vincolanti come norme di diritto consuetudinario.Trattati e convenzioni
internazionali sui diritti umani. - Il corpus essenziale del diritto internazionale in materia di
diritti umani consiste di due trattati principali e di un numero crescente di altri accordi
internazionali. Dopo l'approvazione della Dichiarazione universale nel 1948, alcuni
pensarono che le Nazioni Unite avrebbero dovuto fermarsi ad essa, concentrando i propri
sforzi per cercare di far sì che gli Stati adattassero i loro sistemi normativi e i loro
comportamenti nazionali ai principî contenuti nella Dichiarazione. Le Nazioni Unite invece
hanno cercato di convertire tali principî in norme giuridiche vincolanti. Tale processo si è
protratto per diciotto anni, in parte perché complicato dall'ingresso di nuovi paesi nell'ONU,
ma soprattutto per la necessità di conciliare le differenze tra paesi liberali e democratici e
paesi socialisti e rivoluzionari, in particolare per quel che concerne i diritti economici e
sociali. Gli Stati occidentali insistevano sul fatto che - sebbene riconosciuti dalla
Dichiarazione universale - i diritti economico-sociali non potevano costituire oggetto di
obblighi giuridici vincolanti e che pertanto inserirli in un trattato avrebbe contribuito
unicamente ad attenuare il carattere vincolante delle norme sui diritti politici e civili
indebolendo gli strumenti e le forme di tutela per renderli effettivi. Gli Stati pronti ad
assumere determinati obblighi per il rispetto dei diritti politici e civili, si sosteneva,
sarebbero stati scoraggiati dal farlo se si fossero imposti loro impegni impossibili da
rispettare in materia di diritti economici e sociali. Le obiezioni alla proposta di rendere
vincolanti gli impegni di carattere economico e sociale non vennero ascoltate, ma le
nazioni occidentali riuscirono a ottenere due distinti patti internazionali, un Patto
internazionale sui diritti civili e politici, e un Patto sui diritti economici, sociali e culturali.Si
tratta in entrambi i casi di accordi internazionali da cui nascono obblighi di carattere
giuridico per i paesi che vi aderiscono. Nel Patto sui diritti civili e politici ogni Stato
firmatario si impegna "a rispettare e garantire a tutti gli individui [...] i diritti riconosciuti dal
Patto". In base al Patto sui diritti economici, sociali e culturali, ogni Stato si "impegna a
compiere dei passi [...], con il massimo delle risorse a sua disposizione, al fine di
conseguire progressivamente la piena realizzazione dei diritti riconosciuti dal presente
trattato". Gli Stati che aderiscono a questo trattato si impegnano quindi a realizzare tali
diritti solo 'progressivamente' e 'proporzionalmente alle loro possibilità economiche', ma va
notato che il documento parla esplicitamente di diritti, non di semplici speranze; di
"impegni" da parte dei governi, non semplicemente di aspirazioni e di finalità. C'è chi
continua a chiedersi se abbia senso in questo caso continuare a parlare di diritti, visto che
gli impegni non hanno carattere rigido, sono a lungo termine e inoltre non sono
giuridicamente sanzionabili; non fosse altro perché richiedono una pianificazione e una
programmazione imponenti da parte dei governi, e sono condizionati dalla disponibilità di
risorse economiche. Sul piano del diritto internazionale però si tratta di veri e propri diritti,
e in molte società tali vantaggi economici e sociali si affermano sempre più come diritti
individuali fondamentali.La distinzione tra diritti politici e civili e diritti economici e sociali
non è netta. Per esempio, alcuni dei diritti riconosciuti dal Patto sui diritti economici, sociali
e culturali sono diritti 'negativi', tutelati come diritti costituzionali: ad esempio il diritto
d'associazione sindacale, come aspetto della libertà di associazione, o il diritto alla libera
scelta del lavoro come aspetto del diritto alla libertà.In generale, presi insieme, i due Patti
ricalcano le direttive della Dichiarazione universale, tranne qualche differenza di scarso
rilievo. L'articolo della Dichiarazione universale che sancisce il diritto alla proprietà e a non
esserne arbitrariamente privati non trova ad esempio alcun riscontro in nessuno dei due
Patti, in quanto gli Stati non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla definizione di
questo diritto (all'epoca della stesura dell'articolo era oggetto di accesa controversia la
questione se il diritto internazionale imponesse agli Stati di corrispondere un indennizzo in
caso di espropriazione di beni appartenenti a soggetti stranieri). Tale omissione non
equivale però a una negazione del diritto alla proprietà; l'obbligo di rispettare tale diritto,
ancorché non contemplato esplicitamente in nessun accordo internazionale, può essere
considerato come obbligo giuridico vincolante in base al diritto consuetudinario. D'altro
canto, il Patto sui diritti civili e politici include alcuni diritti non presi in considerazione dalla
Dichiarazione: per esempio, l'abolizione della detenzione per debiti, i diritti dell'infanzia, i
diritti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche.I due Patti comprendono anche
disposizioni aventi un carattere non contemplato dalla Dichiarazione. Essi vennero
elaborati tra il 1948 e il 1966, cioè nel periodo in cui la maggior parte degli Stati insisteva
sul valore primario dei principî dell'autodeterminazione dei popoli e della loro sovranità
sulle risorse nazionali. I nuovi Stati, i quali avrebbero formato quello che in seguito sarà
definito Terzo Mondo, riuscirono a fare inserire questi principî in entrambi i Patti,
superando le obiezioni di quanti sostenevano che non si trattava propriamente di 'diritti',
certamente non di diritti umani individuali pari a quelli inclusi nei due Patti, e che a
differenza di questi ultimi, essi non facevano nascere obblighi giuridici vincolanti per gli
Stati firmatari. I principî dell'autodeterminazione dei popoli e della sovranità sulle proprie
risorse economiche sono enunciati nell'art. 1 di ciascun Patto, ma non sono stati inseriti
nel sistema di obblighi giuridici facenti capo ai singoli Stati e di strumenti di attuazione
internazionale in essi previsti.Il Patto sui diritti civili e politici in particolare esplicita le
limitazioni dei diritti cui fa riferimento l'art. 29 della Dichiarazione. I redattori del Patto
hanno cercato di definire tali limitazioni nel modo più rigoroso possibile, ma inevitabilmente
hanno dovuto esprimersi in termini generali. Leggiamo per esempio che la libertà di
movimento all'interno di un paese o il diritto a lasciarlo "non saranno soggetti ad alcuna
restrizione, salvo quelle previste dalla legge per ragioni di sicurezza, di ordine pubblico, di
salute e di morale pubblica o per garantire i diritti e le libertà altrui, e purché siano
compatibili con gli altri diritti riconosciuti" dal Patto (art. 12). O ancora: "la stampa e il
pubblico possono essere parzialmente o totalmente esclusi dall'assistere ad un processo
penale per ragioni di morale, di ordine pubblico, o per la sicurezza nazionale di una
società democratica; oppure quando lo richieda la salvaguardia della vita privata delle
parti, o ove si diano speciali circostanze in cui la pubblicità possa nuocere agli interessi
della giustizia, nella misura strettamente necessaria secondo il giudizio della corte" (art.
14,1). Resta comunque inteso che tali limitazioni devono essere regolate dalla legge, non
dall'arbitrio degli Stati. Se una determinata limitazione sia lecita in base al Patto è una
questione che va risolta in base al diritto internazionale; in ogni caso possono essere
effettuati dei controlli sulle limitazioni ai diritti poste in essere dagli Stati e quelle che
risultano ingiustificate possono essere impugnate come violazioni dei Patti.Un'altra
eccezione consente agli Stati firmatari, in caso di pubblica emergenza in cui "sia
minacciata la sopravvivenza della nazione", di derogare agli obblighi contenuti nella
maggior parte delle disposizioni del Patto (ma non in tutte), "nella misura strettamente
necessaria richiesta dalla situazione" (art. 4). Se in date circostanze sia lecita o meno una
deroga dipende ovviamente dall'interpretazione che viene data del Patto; di conseguenza
diventa una questione che deve essere risolta in base al diritto internazionale.I due Patti
rappresentano i principali e più completi accordi di diritto internazionale sui diritti umani, e
insieme alla Dichiarazione costituiscono quello che è stato definito il bill of rights
internazionale. L'ONU ha promosso inoltre una serie di convenzioni aventi un contenuto
particolare, come quelle sul genocidio, sulla schiavitù, sullo statuto dei rifugiati e degli
apolidi, sui diritti politici delle donne, sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale, sull'apartheid, sulla tortura, ecc. In genere, queste convenzioni ampliano,
specificano e integrano le forme di tutela previste nei trattati principali. In alcuni casi esse
hanno consentito di pervenire alla stipulazione di accordi giuridicamente vincolanti su
determinate materie da parte di governi che non erano preparati a sottoscrivere la totalità
delle obbligazioni presenti nei trattati generali.Alla data del 1° maggio 1989, al Patto sui
diritti civili e politici avevano dato la loro adesione 87 Stati; al Patto sui diritti economici e
sociali 32 Stati. 101 Stati avevano sottoscritto la Convenzione sulla prevenzione e
punizione del crimine di genocidio; 128 la Convenzione su tutte le forme di discriminazione
razziale; 97 la Convenzione sulla eliminazione della discriminazione delle donne; 102
quella sullo status e sulla condizione dei rifugiati (in ognuno di questi trattati alcune
adesioni sono accompagnate da riserve più o meno significative). Ai Patti e alle
Convenzioni hanno aderito Stati diversi per estensione territoriale, ideologia politica, livello
di sviluppo. È rilevante, naturalmente, anche la maggiore o minore densità di popolazione
dei paesi firmatari, e la loro disponibilità a mantenere gli impegni assunti. D'altra parte
alcune nazioni, in particolare gli Stati Uniti, pur non avendo aderito ad alcuni importanti
accordi, si conformano tuttavia in larga misura alle disposizioni in essi contenute.Alcuni
Stati hanno continuato a porre l'accento sulla differenza tra diritti politico-civili e diritti
economico-sociali. I paesi socialisti e parecchi Stati del Terzo Mondo hanno ripetutamente
affermato che gli Stati liberali dell'Occidente tendono a privilegiare i diritti politici e civili, e
non prestano sufficiente attenzione a quelli economici e sociali. Per sostenere la propria
campagna in favore di una trasformazione dell'ordine economico internazionale, inoltre,
essi hanno messo in risalto il proprio obbligo di soddisfare i bisogni essenziali della
popolazione presente sul loro territorio. A loro volta, gli Stati occidentali hanno talvolta
accusato i paesi del Terzo Mondo di servirsi pretestuosamente dell'esigenza di soddisfare
i bisogni economico-sociali per praticare la repressione politica e civile e di essere inoltre
venuti meno all'impegno di garantire i diritti economico-sociali destinando le proprie risorse
ad altri obiettivi non essenziali, militari e di altro tipo.Appare chiaro che gli accordi di diritto
internazionale non forniscono nessun elemento per istituire un ordine preferenziale o
gerarchico tra le due categorie di diritti, e che in generale non vi è nulla che giustifichi la
violazione di una categoria di diritti per realizzare quelli dell'altra. Come ha affermato Julius
Nyerere, ex presidente della Tanzania: "senza libertà non c'è sviluppo, e senza sviluppo la
libertà si perde presto" (Freedom and development, in Man and development, LondonNew York 1974).Altre generazioni di diritti. - Non sono mancate le sollecitazioni in ordine
alla definizione e al riconoscimento di altre 'generazioni' di diritti, oltre a quelli politico-civili
ed economico-sociali; in particolare, dei diritti collettivi o di gruppo. In special modo i paesi
in via di sviluppo, desiderosi di trarre vantaggio dalla 'copertura' offerta dai diritti umani,
hanno insistito per il riconoscimento di un diritto allo sviluppo, inteso come base per
l'effettiva realizzazione della prima e della seconda generazione di diritti individuali
precedentemente riconosciuti. I paesi sviluppati hanno obiettato che il diritto allo sviluppo
individuale non ha vita propria ma dipende dal rispetto e dalla tutela accordata ai diritti
civili e politici e dalla piena attuazione dei diritti economico-sociali, mentre lo sviluppo
politico, sociale ed economico di una società non assurge al rango di diritto individuale, e
non può essere ricompreso nel concetto dei diritti umani. Soprattutto, esso non può essere
collocato sullo stesso piano dei diritti dell'individuo né può essere utilizzato come pretesto
per procedere ad una violazione dei diritti umani o per collocare questi ultimi su un piano
inferiore. Nel 1986, tuttavia, l'Assemblea generale dell'ONU ha adottato una Dichiarazione
sul diritto allo sviluppo.Vi sono state anche delle proposte in merito al riconoscimento di un
diritto dell'individuo alla pace e ad un ambiente salubre. Il diritto internazionale proibisce il
ricorso alla forza salvo che per legittima difesa in caso di un attacco armato, e impone ad
ogni Stato di astenersi dall'inquinare l'ambiente. La Dichiarazione universale dal canto suo
riconosce poi il diritto dell'individuo ad un 'ordine internazionale' che consenta la
realizzazione degli altri diritti. Si è tuttavia obiettato che mentre i diritti umani sono diritti
che ogni individuo vanta nei confronti della società, il diritto alla pace e all'ambiente
salubre esulano invece dal potere che la singola società ha di rispettarli, garantirli o
realizzarli. Probabilmente uno Stato che compia un'aggressione o si renda responsabile di
un grave degrado ambientale viola, così facendo, molti diritti umani sia dei propri cittadini
che dei cittadini degli altri paesi; ma gli Stati non hanno riconosciuto il diritto alla pace e il
diritto ad un ambiente salubre come diritti distinti e autonomi, e questi non sono stati
introdotti in nessuna dichiarazione formale dei diritti.La tutela dei diritti umani nel diritto
consuetudinario. - È tuttora oggetto di discussione se la Dichiarazione universale abbia
acquisito o meno lo status di diritto internazionale consuetudinario. Sarebbe difficile
dimostrare che tutte le sue norme siano attualmente vincolanti come norme di diritto
consuetudinario, ma è opinione concorde che la Dichiarazione universale, insieme ad altre
dichiarazioni, patti, convenzioni, risoluzioni e prassi degli Stati, abbiano contribuito a
creare un corpus di diritto consuetudinario perlomeno per quanto riguarda alcune norme
sui diritti umani. Autorevoli interpreti del diritto sono giunti alla conclusione che uno Stato
viola il diritto internazionale se pratica, favorisce o tollera il genocidio, la schiavitù o la
tratta degli schiavi, l'assassinio o la 'sparizione' di persone, la tortura o altri trattamenti e
punizioni crudeli, disumani e degradanti, la detenzione arbitrariamente prolungata, la
discriminazione razziale sistematicamente attuata, e altre gravi violazioni dei diritti umani
riconosciuti dalla comunità internazionale. L'elenco, tuttavia, non è completo, e alcuni
hanno proposto di considerare anche la violazione di certi altri diritti umani come una
violazione del diritto consuetudinario internazionale: ad esempio la discriminazione
sistematica in base alla religione o al sesso, o la privazione di una parte essenziale dei
diritti di proprietà.I trattati internazionali aventi ad oggetto i diritti umani sono vincolanti solo
per gli Stati firmatari mentre il diritto consuetudinario ha efficacia vincolante per tutti gli
Stati della comunità internazionale. L'obbligazione infatti vale erga omnes, e ogni paese
può fare un ricorso in caso di violazione (v. American Law Institute, 1987, § 702). 5e.
Strumenti internazionali per l'applicazione dei diritti umani.I trattati e le convenzioni,
nonché in generale il movimento internazionale per i diritti umani, si sono battuti affinché
fossero creati strumenti e metodi appropriati per l'applicazione delle norme sui diritti umani
stabilite dalla comunità internazionale.In linea di principio l'attuazione di norme è affidata a
quegli stessi meccanismi che assicurano l'applicazione delle norme del diritto
internazionale in generale. La ratifica di un trattato avente ad oggetto i diritti umani
conferisce infatti a ciascuno dei firmatari il diritto di esigerne l'osservanza da parte degli
altri Stati aderenti, e di reagire nel modo appropriato in caso di violazione; per le violazioni
dei diritti umani che ledono il diritto internazionale consuetudinario, inoltre, a ogni Stato è
riconosciuto un diritto di ricorso. Diversamente da quanto accade per altre norme del diritto
internazionale, tuttavia, in questo caso la vittima effettiva di una violazione non è un altro
Stato, ma sono i singoli individui presenti nello Stato che ha commesso la violazione e di
conseguenza non si può presupporre che siano gli altri Stati a reagire a tali violazioni (solo
alcune delle convenzioni speciali - quelle sul genocidio, sulla discriminazione razziale,
sulla discriminazione sessuale, sulla tortura - prevedono che le controversie tra le parti
siano decise dalla Corte internazionale di giustizia, ma finora nessun caso del genere è
stato portato all'attenzione della Corte). Questa, insieme ad altre caratteristiche peculiari
della normativa sui diritti umani, ha fatto avvertire l'esigenza di ricorrere a strumenti
supplementari per permetterne l'attuazione e l'effettiva applicazione all'interno degli Stati.Il
movimento internazionale per i diritti umani ha stabilito che il rispetto dei diritti umani
nell'ambito dei singoli Stati concerne il diritto internazionale, anche se gli orientamenti
tradizionali (che si riflettono a volte in una retorica della 'sovranità' nazionale) hanno
continuato ad opporre resistenza all'idea che vi potesse essere una procedura di controllo
'esterna', condotta attraverso accertamenti e giudizi imparziali ma allo stesso tempo
'invadenti'. I principali trattati e convenzioni prevedono, di conseguenza, soltanto un
sistema di comunicazioni che gli Stati firmatari sottopongono a commissioni di esperti,
quali ad esempio la Commissione per i diritti umani prevista dal Patto internazionale sui
diritti civili e politici, e la Commissione per l'eliminazione della discriminazione razziale,
prevista dalla Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
Inevitabilmente, tuttavia, le forme di accertamento effettuate da queste commissioni, che
pure sono costituite da esperti, e non da rappresentanti dei governi, non hanno rivelato
tutte la stessa efficacia.Oltre a richiedere relazioni periodiche, la Convenzione per
l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale prevede la possibilità che uno
Stato presenti un ricorso contro un altro Stato. Anche nel Patto sui diritti civili e politici e
nella Convenzione sulla tortura esistono disposizioni in questo senso, che però hanno
carattere facoltativo. Poiché le obbligazioni relative ai diritti umani sono essenzialmente a
beneficio dell'individuo, alcune convenzioni contengono delle disposizioni (per lo più
facoltative) in base alle quali la commissione designata può ricevere i ricorsi presentati da
singoli individui o da organizzazioni non governative che agiscano per loro conto, una
volta esaurite le vie di ricorso presenti all'interno del singolo Stato (al 1° maggio 1989, il
Protocollo facoltativo allegato al Patto sui diritti politici e civili, che contiene le disposizioni
relative ai ricorsi individuali, contava 43 Stati firmatari).In base al Patto sui diritti economici,
sociali e culturali gli Stati sono tenuti a inviare rapporti periodici al Consiglio economico e
sociale dell'ONU, che nel 1985 ha creato una Commissione per i diritti economici e sociali
- parallela alla Commissione per i diritti umani - incaricata di ricevere ed esaminare le
relazioni degli Stati. Almeno nei suoi primi anni di attività, la Commissione per i diritti
economici a quanto pare non ha ritenuto che la sua funzione fosse quella di effettuare un
controllo sull'applicazione dei diritti, ad esempio attraverso inchieste volte ad appurare se
uno Stato facesse effettivamente il possibile per realizzare "progressivamente" i diritti
economici e sociali, o se impiegasse "tutte le risorse a sua disposizione", o se si
adoperasse ad accrescere tali risorse (aumentando le tasse, migliorando la gestione delle
risorse, o stornandole da altro impiego).Oltre che attraverso i meccanismi speciali previsti
da particolari trattati e convenzioni, la comunità internazionale ha accertato il rispetto e la
concreta applicazione dei diritti umani attraverso una serie di organi politici facenti
direttamente capo al Consiglio economico e sociale dell'ONU, in particolare la
Commissione per i diritti umani, la Sottocommissione per la prevenzione della
discriminazione e per la tutela delle minoranze e, in certa misura, la Commissione per le
donne. La Sottocommissione, in particolare, ha per anni esaminato le comunicazioni
inoltrate alle Nazioni Unite "che sembrano rivelare gravi e comprovate violazioni dei diritti
umani e delle libertà fondamentali" (risoluzione 1.503,8 del Consiglio economico e
sociale). L'efficacia di questa procedura è discutibile, specialmente per il fatto che alla
Sottocommissione è stato imposto di operare in via confidenziale e solo per periodi limitati,
e anche i suoi rapporti alla Commissione sono stati discussi in sessioni riservate. Negli
ultimi anni, tuttavia, la Commissione ha segnalato pubblicamente i paesi contro i quali
sono stati presentati ricorsi in base a tale procedura. Inoltre, la Commissione ha operato
sempre più frequentemente in base alla risoluzione n. 2.535 del Consiglio economico e
sociale, la quale consente ai membri della Commissione di discutere pubblicamente i casi
di gravi violazioni dei diritti umani.Alcuni istituti specializzati delle Nazioni Unite hanno
fissato dei principî e dei sistemi di controllo sull'effettivo adeguamento a tali principî. L'ILO
(Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha creato un'ampia rete di convenzioni, le
quali hanno ricevuto ampia adesione da parte degli Stati; l'UNESCO e in certa misura la
FAO (Food and Agricultural Organization), nonché l'OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità) si sono impegnate per la promozione dei diritti umani nei settori di loro
competenza.Anche i singoli Stati hanno preso l'iniziativa di controllare l'osservanza delle
norme sui diritti umani stabilite dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti, in particolare,
benché non siano parti contraenti dei principali patti e convenzioni, pubblicano ogni anno
una serie di rapporti sullo stato dei diritti umani in tutti i paesi. La legislazione degli Stati
Uniti prevede la cessazione degli aiuti economici e di altri sussidi, nonché della vendita di
armi ai paesi che si siano resi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani riconosciuti
dalla comunità internazionale. In qualche caso eccezionale, i tribunali degli Stati Uniti
hanno fornito tutela giuridica a cittadini stranieri contro pubblici funzionari di altri paesi, per
violazioni del diritto internazionale consuetudinario in materia di diritti umani (Filartiga vs.
Pena-Irala, 630 Federal reporter, 2d, 867, II Circuit, 1980), ma si possono citare solo pochi
casi del genere.La scarsa efficacia del controllo governativo e intergovernativo
sull'applicazione dei diritti umani ha fatto sì che le organizzazioni non governative
acquisissero un ruolo sempre più importante nel movimento per i diritti umani. Nelle
società 'aperte', le organizzazioni non governative locali (gruppi per le libertà civili,
commissioni di giuristi, società di assistenza legale, ecc.) hanno riportato notevoli successi
nell'opera di promozione e tutela dei diritti umani. Organizzazioni non governative transnazionali come Amnesty International, la stampa e altri media internazionali hanno
contribuito a mobilitare le 'forze dell'indignazione' per far cessare o almeno per
scoraggiare le più gravi violazioni dei diritti umani, e per indurre i governi a reagire contro
di esse. 5f. L'azione degli enti regionali.Alcuni raggruppamenti regionali di Stati, creati per
finalità politiche ed economiche, hanno elaborato dichiarazioni e prodotto convenzioni sui
diritti umani, istituendo nel contempo una serie di organi per controllarne l'applicazione
concreta.Gli Stati dell'Europa occidentale compresero presto che l'impegno per i diritti
umani poteva costituire una risposta a Hitler e un passo importante verso l'integrazione
comunitaria. Le istituzioni e i valori nazionali di questi paesi hanno favorito lo sviluppo dei
diritti umani, e le relazioni che intercorrono fra loro erano abbastanza solide per far fronte
alle tensioni che potevano derivare da un controllo reciproco. Di conseguenza, quando
apparve chiaro che ci sarebbero voluti degli anni per convertire i vari punti della
Dichiarazione universale in norme giuridiche vincolanti, sotto l'egida del Consiglio
d'Europa venne adottata una Convenzione europea dei diritti dell'uomo; integrata da
successivi protocolli, questa ha inserito al proprio interno la maggior parte dei diritti politici
e civili riconosciuti nella Dichiarazione universale. Ulteriori protocolli hanno poi abolito la
pena di morte e hanno inoltre stabilito il principio che ogni decisione in merito
all'espulsione degli stranieri dal paese di residenza debba essere preceduta da un
regolare processo. La Convenzione è riuscita a istituire un sistema particolarmente
efficace di attuazione dei diritti in essa riconosciuti, con la creazione di una Commissione
per i diritti umani e di una Corte europea dei diritti dell'uomo. Questo complesso
meccanismo amministrativo, politico e giudiziario, che prevede la possibilità di ricorso da
parte dei singoli così come da parte degli Stati si è rivelato particolarmente efficace, e ha
sviluppato una ricca giurisprudenza in materia di diritti umani. Molti dei membri del
Consiglio d'Europa fanno altresì parte della Carta sociale europea, a norma della quale le
parti contraenti si impegnano a promuovere i diritti sociali ed economici, pur senza
prevedere alcuno strumento per garantirne l'applicazione, se non il sistema delle relazioni
periodiche da presentare al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa.Le nazioni delle
Americhe, caratterizzate anch'esse da comuni tradizioni occidentali e dalla solidità dei
rapporti tra i due emisferi, hanno elaborato un sistema di diritti umani rivelatosi
notevolmente efficace. La Dichiarazione americana dei diritti dell'uomo fu adottata nel
1948, ancor prima della Dichiarazione universale. L'Organizzazione degli Stati Americani
istituì nel 1960 una Commissione interamericana per i diritti umani, più tardi incorporata
nella Convenzione americana sui diritti dell'uomo, che ne ampliò le funzioni e istituì inoltre
la Corte interamericana per i diritti umani. La Convenzione americana ricalca il Patto sui
diritti civili e politici, ma con l'art. 26 gli Stati si impegnano ad adottare misure per la
progressiva realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali previsti dalla Carta
dell'Organizzazione degli Stati Americani. La Commissione è stata assai attiva e ha
assolto funzioni di carattere sia istruttorio che giudiziario. La Corte è entrata in funzione nel
1980 ed è già intervenuta in casi particolarmente delicati. L'ampia competenza di carattere
consultivo attribuita alla Corte, di interpretare non solo la Convenzione americana ma
anche altri trattati relativi alla protezione dei diritti umani negli Stati americani, eserciterà
presumibilmente una grande influenza sulla giurisprudenza in materia.Sotto gli auspici
dell'Organizzazione per l'Unità Africana, gli Stati dell'Africa hanno elaborato e adottato il
testo di una Convenzione dei diritti degli uomini e dei popoli, che nel complesso si ispira
alla Dichiarazione universale e ai Patti internazionali, piuttosto che ad altre convenzioni
aventi carattere locale. La Convenzione africana comprende al suo interno i diritti collettivi
dei popoli oltreché quelli degli individui, e i doveri dell'individuo oltreché i suoi diritti; alcuni
dei diritti riconosciuti (come la libertà di religione, di associazione, di espressione) risultano
soggetti a limitazioni da parte della legge. I diritti dei popoli comprendono
l'autodeterminazione, la libera disponibilità delle risorse nazionali, il diritto allo sviluppo,
alla pace, nonché il diritto a un "ambiente soddisfacente, favorevole allo sviluppo di questi
diritti" (art. 24). Fra i doveri sono ricomprese le limitazioni imposte dal rispetto dei diritti
altrui e della " 'sicurezza collettiva', dalla morale e dall'interesse comune" (art. 27,2). Viene
menzionato altresì il dovere di "preservare e rafforzare i valori positivi della cultura
africana". Nel 1988 è stata istituita una Commissione africana per i diritti umani alla quale
sono affidati compiti di promozione e di protezione dei diritti umani; essa è competente a
risolvere le controversie che riguardano pretese violazioni dei diritti umani.I diritti umani
hanno inoltre costituito un ampio capitolo dell'Atto finale della Conferenza per la Sicurezza
e la Cooperazione in Europa (Helsinki 1975) e sono stati al centro delle conferenze
biennali di aggiornamento - da quella di Belgrado (1978) a quelle di Madrid (1980) e
Vienna (1986-1988) - che sono state un elemento fondamentale nelle relazioni Est-Ovest.
5g. Diritti umani e politica internazionale.Il controllo internazionale sull'attuazione dei diritti
umani risente degli alti e bassi delle altre attività politiche in un mondo diviso in Stati. Nel
secondo dopoguerra vi fu senza dubbio chi ripose delle speranze nel fatto che i diritti
umani potessero essere isolati dagli altri interessi nelle relazioni tra gli Stati e dalle altre
attività delle organizzazioni internazionali. Si sperava che ogni nazione fosse pronta a
conformarsi ai principî internazionali in materia di diritti umani, a sottoporre a un controllo
esterno l'applicazione dei diritti umani nel proprio territorio e a controllarne a sua volta
l'applicazione negli altri paesi.Forse perché la concezione tradizionale della sovranità
nazionale è dura a morire, tali speranze si sono rivelate sostanzialmente illusorie. I principî
adottati in ambito internazionale sono indubbiamente eccellenti, ma diversi Stati si sono
mostrati riluttanti ad accettare un controllo esterno e ancor più ad adoperare le proprie
risorse politiche e diplomatiche in favore di coloro che rimangono vittima di violazioni dei
diritti umani negli altri Stati. Il complesso gioco politico fra blocchi contrapposti all'interno
delle Nazioni Unite ha impedito un interesse imparziale nel settore dei diritti umani.
Mentre, sotto la spinta dei paesi del Terzo Mondo, si giungeva alla condanna unanime
dell'apartheid e di altre gravi violazioni, come i massacri perpetrati nell'Uganda di Idi Amin
e il genocidio nella Cambogia di Pol Pot, per vari anni si è presa in considerazione solo la
situazione di determinati Stati, ignorando volutamente altri paesi pur responsabili di gravi
violazioni dei diritti umani. La politica internazionale ha altresì ostacolato un controllo più
incisivo, ad esempio attraverso l'istituzione di un Alto commissario per i diritti umani. In
generale, i diritti umani sono stati maggiormente politicizzati negli organismi più estesi e
con una più alta rappresentatività, come l'Assemblea generale. Organi più ristretti, come la
Sottocommissione per la discriminazione facente capo alla Commissione ONU per i diritti
umani, hanno potuto effettuare un controllo più imparziale.La politica di controllo
internazionale ha indotto alcuni paesi, in particolare gli Stati Uniti, a cercare di esercitare
un'influenza bilaterale, soprattutto attraverso la minaccia di sanzioni bilaterali contro i paesi
responsabili di gravi violazioni. Indubbiamente programmi di questo genere hanno avuto
una certa efficacia, ma nemmeno essi hanno ricevuto una completa attuazione per una
serie di condizionamenti politici a livello sia nazionale che internazionale. Anche le
sanzioni contro il Sudafrica sono state applicate con discontinuità, e pertanto hanno avuto
una minore efficacia. 6. Conclusione.A circa mezzo secolo dagli orrori hitleriani, l'idea dei
diritti umani è oggi universalmente accettata. La comunità internazionale ha elaborato un
corpus di norme e principî di ordine superiore - non inferiore a quello presente nelle
costituzioni e nelle carte dei diritti nazionali più illuminate - recepito da un gran numero di
ordinamenti costituzionali e giuridici. Il sistema di controllo internazionale sull'applicazione
dei diritti umani è ancora imperfetto, ma può migliorare. Le istituzioni regionali per la tutela
dei diritti umani hanno dimostrato una forza sempre crescente.Tuttavia, nonostante le
costituzioni sofisticate, nonostante gli impegni e le istituzioni internazionali, la condizione
dei diritti umani lascia a desiderare un po' dovunque, e in diversi paesi è addirittura
deplorevole. L'efficacia delle costituzioni viene sospesa o del tutto soppressa da giunte
militari; vengono proclamati con la massima facilità stati d'emergenza al solo scopo di
giustificare deroghe ai diritti fondamentali; i diritti politici vengono sospesi aprendo la
strada ad altre violazioni: torture, assassini, 'sparizioni', detenzioni arbitrarie, ecc.
L'apartheid continua ad essere praticata.Il fascino di un'idea - quella dei diritti umani - non
basta a garantire che sarà accettata. Dare veste giuridica al concetto dei diritti umani non
serve a garantire che questi verranno rispettati. Il sistema politico internazionale non è
ancora riuscito a mettere a punto strumenti di attuazione efficaci. Ma il rispetto e la tutela
dei diritti umani non possono essere raggiunti una volta per tutte. L'idea si è affermata, e credo - in modo irreversibile. Ad essa possono appellarsi le forze interne e le istituzioni
internazionali, i governi e le organizzazioni non governative, nella lotta costante per
mettere fine, scoraggiare e prevenire le violazioni e sollecitare la realizzazione della
dignità umana per ogni individuo.(V. anche Costituzionalismo; Costituzionalità delle leggi,
controllo di; Costituzioni; Giusnaturalismo e giuspositivismo; Giustizia). BibliografiaAA.VV.,
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