Diritti dell`uomo

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Diritti dell'uomo
Enciclopedia delle scienze sociali
di Louis Henkin
Diritti dell'uomo
sommario: 1. Introduzione. 2. Idea e contenuto dei diritti umani. 3. Storia e sviluppo dell'idea dei diritti umani.
a) Antecedenti. b) Sviluppi moderni dell'idea dei diritti umani. c) Diritti naturali. d) I diritti umani nel diritto
positivo. 4. I diritti umani nella legislazione nazionale: 1789-1945. a) La costituzionalizzazione dei diritti umani:
gli Stati Uniti. b) I diritti umani nelle legislazioni europee. 5. I diritti umani nell'ambito internazionale.
a) Universalizzazione e internazionalizzazione dei diritti umani. b) La Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo. c) La costituzionalizzazione dei diritti. d) La tutela dei diritti umani nel diritto internazionale.
e) Strumenti internazionali per l'applicazione dei diritti umani. f) L'azione degli enti regionali. g) Diritti umani e
politica internazionale. 6. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
I 'diritti dell'uomo' o 'diritti umani' designano quell'insieme di principî morali che governano il rapporto tra
l'uomo e la società: tali principî vennero generalmente accettati nella seconda metà del XX secolo. Il
riconoscimento dei diritti umani, e l'impegno a rispettarli, trovano un riscontro nelle costituzioni e nelle leggi
di quasi tutte le nazioni del mondo. Il mancato rispetto e la mancata garanzia dei diritti umani ha costituito
una delle principali cause di instabilità politica e di sofferenza umana in molti paesi. La garanzia dei diritti
umani è diventata una preoccupazione costante della politica internazionale e materia di diritto
internazionale.
2. Idea e contenuto dei diritti umani
L'espressione 'diritti umani' viene talvolta usata colloquialmente per designare in modo generico i principî di
'giustizia' o i valori connessi alla 'società buona'. Talvolta, il termine è usato come sinonimo di 'democrazia'. A
rigore, tuttavia, l'idea dei diritti umani non è sinonimo di tali valori, anche se presenta importanti affinità con
essi. In senso proprio, essa afferma che ogni essere umano ha certi specifici 'diritti' o legittime rivendicazioni
nei confronti della società in cui vive. La società deve rispettare e tutelare la vita dell'individuo, la sua integrità
fisica e la sua proprietà, oltre a determinate libertà e immunità e ad altri diritti civili o politici. La società deve
anche perseguire la soddisfazione dei bisogni fondamentali degli individui e la realizzazione di altri diritti
economici e sociali. Le nazioni del mondo si sono formalmente impegnate al rispetto dei diritti umani con la
Carta delle Nazioni Unite , e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea
generale dell'ONU nel dicembre del 1948, presenta un catalogo autoritativo delle libertà, delle immunità e
dei diritti riconosciuti come diritti umani nella seconda metà del XX secolo.
I diritti umani derivano da alcuni principî condivisi relativi ai diritti e alle obbligazioni morali tra gli individui; la
società è tenuta a garantire che tali diritti siano rispettati e goduti effettivamente dai cittadini, e che siano
inoltre rispettati e applicati dai governi e dai funzionari dello Stato. Il fatto che i diritti umani assurgano al
rango di diritti significa che essi non sono una questione di carità o di amore, e non possono dipendere
dall'arbitrio dello Stato o del governo; essi spettano a ciascun individuo, e ciascun individuo li ha, 'di diritto'.
La loro natura giuridica impone alla società di approntare leggi e istituzioni, o altri strumenti affinché gli
individui possano effettivamente esercitarli. Il fatto che si tratti di diritti umani, a sua volta, comporta che essi
riguardano ogni essere umano in quanto tale, indipendentemente da qualsiasi altra sua qualità o
caratteristica, quali la razza, il colore, il sesso, la lingua, le convinzioni politiche, religiose o di altro tipo, la
nazionalità o l'estrazione sociale, la ricchezza personale, la nascita, la cittadinanza, e via dicendo (anche se
uno Stato è tenuto a garantire alcuni di questi diritti solo ai suoi cittadini, ad esempio, il diritto di libero
accesso al paese o il diritto di voto). Infine, il fatto che questi diritti siano qualificati come diritti umani,
implica che si tratta di diritti universali, che devono essere riconosciuti all'individuo in ogni società
indipendentemente dalla maggiore o minore disponibilità di risorse, dal livello di sviluppo politico, sociale o
economico, dal sistema politico o economico, dalla confessione religiosa o dalle convinzioni ideologiche
(anche se la capacità di uno Stato di realizzare i diritti economici e sociali può essere condizionata dalla
disponibilità delle risorse).
Secondo la concezione dominante, l'obbligo della società di rispettare e garantire i diritti umani non ha
carattere assoluto. I diritti umani sono prima facie diritti, e la maggior parte dei diritti, se non tutti, devono
piegarsi di fronte al diritto concorrente degli altri individui, o, spesso, alle esigenze o all'interesse comune
della società.
I diritti umani però non si piegano facilmente alle esigenze del bene comune e alla volontà della
maggioranza; alcuni di essi sono fondamentali e possono essere compressi solo dinanzi a imprescindibili
ragioni di interesse pubblico. Uno Stato può prendere dei provvedimenti in deroga al suo obbligo di
rispettare e garantire la maggior parte dei diritti (ma non tutti) solo quando un'emergenza pubblica minacci
la vita della nazione, e nei limiti strettamente necessari.
Nella teoria politica moderna, l'idea dei diritti è in contrasto con alcune concezioni di stampo utilitaristico,
secondo le quali il principio guida di una buona società è la realizzazione del massimo benessere per il
maggior numero di persone o la massimizzazione della felicità. L'idea dei diritti umani è stata messa in
discussione in particolar modo dai sostenitori del comunitarismo e da alcune correnti del socialismo, secondo
le quali l'enfasi data ai diritti umani si rivela egoistica e atomistica, favorisce la divisione sociale ed è contraria
alla democrazia e al benessere generale. L'idea dei diritti umani contrasta anche con alcuni elementi presenti
nelle religioni tradizionali, per le quali si tratta di un'idea laica e antropocentrica, e per alcuni suoi contenuti
(la libertà religiosa, o l'eguaglianza tra uomo e donna) incompatibile con le loro leggi. Secondo l'ideologia
dei diritti umani, tuttavia, il rispetto di ogni individuo rappresenta una condizione essenziale per una
comunità fondata sul diritto e pienamente realizzata: ogni singolo individuo ha un suo preciso valore, e non
può perdere la propria individualità in nome di un'astratta felicità complessiva o di un altrettanto astratto
bene comune. Sia che una società accetti lo Stato liberale e la libertà di iniziativa economica , sia che
aderisca a una qualche forma di socialismo o a un'altra ideologia di stampo comunitario (laica o teocratica),
la sua scelta ideologica non la esime dall'obbligo fondamentale di rispettare e garantire a ciascun individuo
quelle libertà e quei diritti che sono indispensabili per una vita dignitosa.
Non esiste una giustificazione filosofica universalmente condivisa dell'idea di diritti umani. Nel XVII e nel XVIII
secolo, molti sostenitori dei diritti umani li considerano come diritti 'naturali', inerenti all'essere umano in
quanto tale. Altri, invece, accettano l'idea di diritti umani in quanto rispecchia le concezioni morali condivise
dalla nostra epoca. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo afferma che "il riconoscimento
dell'intrinseca dignità e dei diritti eguali e inalienabili di ogni membro del genere umano è il fondamento
della libertà, della giustizia e della pace nel mondo".
Naturalmente, la particolare giustificazione filosofica da cui trae origine l'idea dei diritti ne ha modellato il
contenuto. Il giusnaturalismo è stato associato a certe concezioni aventi ad oggetto le caratteristiche minime
dello 'Stato liberale', secondo le quali esso ha il compito di tutelare il diritto 'negativo' di ogni individuo alla
vita, alla libertà e alla proprietà. Questi diritti fondamentali hanno trovato una più precisa espressione e un
ulteriore ampliamento a seguito dello sviluppo delle idee liberali e democratiche, e della crescente diffusione
dei governi parlamentari e del suffragio universale. L'idea dei diritti si è inoltre arricchita di nuove dimensioni
con l'aggiunta di diritti 'positivi' a determinati benefici economici e sociali, in risposta ai processi di
modernizzazione, industrializzazione e urbanizzazione, all'avvento del Welfare State e al crescente richiamo
esercitato da varie forme di socialismo.
Il contenuto dei diritti venne ampliato e istituzionalmente definito dopo la seconda guerra mondiale . La
Dichiarazione universale, che proclama i diritti ritenuti essenziali alla 'dignità umana', include sia diritti civili e
politici sia diritti economici e sociali (i primi vengono abitualmente definiti quali diritti 'negativi', benché
alcuni di essi richiedano anche un'organizzazione globale e misure concrete da parte della società: ad
esempio, per realizzare un'equa amministrazione della giustizia penale o un sistema politico democratico. I
diritti economici e sociali, viceversa, sono considerati generalmente come diritti 'positivi', ma secondo la
definizione corrente essi includono anche diritti 'negativi', quali la libertà di scegliere il proprio lavoro o di
costituire associazioni sindacali).
La Dichiarazione elenca i seguenti diritti: il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; la libertà
dalla schiavitù e dalla servitù; dalla tortura e da trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti; il diritto
ad essere riconosciuto come persona di fronte alla legge; all'eguaglianza di fronte alla legge e all'eguale
protezione di ogni individuo da parte della legge; il diritto a una tutela giuridica in caso di violazione dei
diritti fondamentali; il diritto a non subire arresto, detenzione ed esilio arbitrari; il diritto ad un processo
pubblico ed equo per gli imputati di un reato, il diritto alla difesa, alla presunzione d'innocenza, e a non
essere condannati in base a leggi penali retroattive; il diritto alla riservatezza, ossia la libertà da ingerenze
arbitrarie nella sfera privata (famiglia, corrispondenza, casa, ecc.) e alla tutela giuridica contro tali ingerenze;
la libertà di movimento e di residenza all'interno di un paese e il diritto di poter uscire da qualsiasi nazione e
quello di tornare nel proprio paese d'origine; il diritto d'asilo; il diritto ad avere una nazionalità, a non esserne
arbitrariamente privati e a cambiarla; il diritto di sposarsi e di formare una famiglia; il diritto all'eguaglianza
tra uomo e donna nel matrimonio e nello scioglimento del matrimonio; il diritto alla proprietà e a non
esserne arbitrariamente privati; alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla libertà di opinione, di
espressione, di associazione (e non associazione). La Dichiarazione afferma inoltre che la volontà del popolo
deve essere il fondamento dell'autorità del governo e che ogni persona ha diritto a prendere parte al
governo e ad avere eguale accesso ai pubblici uffici.
La Dichiarazione comprende al suo interno anche diritti economici e sociali: il diritto alla sicurezza sociale; il
diritto al lavoro, alla libera scelta di un impiego e alla tutela contro la disoccupazione; il diritto ad una
retribuzione equa e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto; il diritto di associazione
sindacale; il diritto al riposo e al tempo libero ; il diritto ad un tenore di vita atto a garantire la salute e il
benessere dell'individuo e della sua famiglia inclusi alimenti, vestiario, abitazione e assistenza medica; il
diritto all'istruzione, che a livello elementare deve essere gratuita e obbligatoria; il diritto di partecipare
liberamente alla vita culturale. I diritti elencati dalla Dichiarazione non sono soggetti a distinzione di "razza,
colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, religiose e di altro tipo, nazionalità e origine sociale,
proprietà, nascita o altra condizione personale" (art. 2). Ogni individuo ha diritto ad un "ordine sociale e
internazionale" in cui questi diritti e queste libertà possano essere realizzati (art. 28).
La Dichiarazione non specifica eventuali limitazioni di tali diritti. L'articolo 29, tuttavia, afferma che ciascun
individuo "ha dei doveri nei confronti della comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno
sviluppo della sua personalità". Inoltre, aggiunge: "Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno
deve essere sottoposto solo a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento
e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della moralità, dell'ordine
pubblico e del benessere generale in una società democratica".
3. Storia e sviluppo dell'idea dei diritti umani
Tracciare una precisa genealogia dei diritti umani non è facile, ma è possibile rinvenire dei precedenti, se non
delle vere e proprie fonti, aventi ad oggetto i punti chiave dell'idea dei diritti umani - sia dal punto di vista
dei valori morali interpersonali che ne costituiscono il fondamento, sia per ciò che concerne la concezione
secondo la quale i governanti debbano essere sottoposti a limiti di carattere normativo e istituzionale a
favore dei governati.
a) Antecedenti
I principali assunti e implicazioni relativi all'idea dei diritti umani - norme morali di ordine universale,
eguaglianza a livello giuridico di tutti gli esseri umani, obblighi di equità nelle relazioni interpersonali,
principio di legalità, rispetto dei principî di giustizia nell'esercizio dell'autorità di governo nei confronti degli
individui - non erano ignoti nell'antichità, e trovano una parte del loro fondamento così nelle fonti bibliche
come in quelle classiche. La Bibbia, per esempio, fornisce un fondamento dell'eguaglianza di tutti gli esseri
umani in quanto discendenti da un antenato comune, e riconosce alcune norme universali, prescritte da Dio
e valide per tutti, quali il rispetto della vita, dell'integrità fisica e della proprietà dell'individuo; impone
l'uguaglianza e vieta la discriminazione nell'applicazione della legge; fissa dei principî per l'equa
amministrazione della giustizia e per l'istituzione di un giusto processo nella determinazione della
colpevolezza penale e della responsabilità civile. Inoltre, la Bibbia prescrive la carità a livello generale e
determinate azioni intese ad aiutare i poveri e a soddisfare i loro bisogni fondamentali. Platone sembra
accettare l'idea dell'eguaglianza fra i sessi nell'ideare i guardiani della sua Repubblica, Aristotele e altri
pensatori greci e romani continuano ancora oggi a ispirare e a informare le moderne concezioni della
giustizia e del principio di legalità, mentre alcuni principî e forme di sovranità popolare e di democrazia sono
stati prefigurati da Atene e dalla Roma repubblicana. Durante il secondo millennio dell'era cristiana, le idee
greche e romane si sono fuse con certe tradizioni religiose, formando il patrimonio ideale da cui è scaturita
l'idea dei diritti umani.
I diritti umani hanno il carattere di 'legge sovraordinata', alla quale devono conformarsi le altre norme e le
politiche dei governi. Questa concezione trova dei precedenti nelle culture dell'antichità. Antigone si appella
alla legge degli dei per giustificare la sua violazione della legge di Creonte . Nella Bibbia le levatrici timorate
di Dio non rispettarono l'ordine del Faraone di uccidere i neonati maschi degli Ebrei (Esodo, 1, 15-17), ed Elia
invoca la legge di Dio per condannare il re Achab, che aveva ucciso Naboth per impadronirsi della sua vigna
(I Re, 21). Successivamente, il carattere di 'legge sovraordinata' venne attribuito, oltre che alla legge di Dio,
anche alla legge naturale: possiamo menzionare in proposito Cicerone, gli stoici, Tommaso d'Aquino e, in
tempi moderni, i giuristi e teologi spagnoli della seconda scolastica e Ugo Grozio .
Le società antiche e medievali offrono anche esempi di limiti istituzionali e normativi al potere di governo.
Nelle società bibliche e post-bibliche possiamo rinvenire una divisione dei poteri e una qualche forma di
checks and balances tra re e profeti, re e sacerdoti; in varie forme e misure una divisione di poteri esisteva
anche ad Atene e nella Roma repubblicana. Nell'alto Medioevo si affermarono in Europa una divisione fra la
sfera di autorità del papa e quella dell'imperatore, nonché alcuni accordi di carattere politico per limitare il
potere della monarchia. Con la Magna Charta (1215), la nobiltà strappò al sovrano il riconoscimento di alcuni
diritti per sé e di altri diritti per tutti gli uomini liberi in generale, ponendo le basi per le limitazioni della
monarchia assoluta che maturarono in Inghilterra nel XVII secolo con la Petition of right (1628), la Glorious
revolution (1688) e il Bill of rights (1689). In Inghilterra la common law garantiva all'individuo una qualche
tutela anche nei confronti dei funzionari governativi, e il Parlamento approvò via via altre leggi per la
protezione dell'individuo.
Alcuni punti chiave dell'idea dei diritti umani, tuttavia, erano sconosciuti prima dell'età moderna. Le società
antiche e medievali non avevano elaborato un concetto di 'diritti', intesi quali legittime rivendicazioni facenti
capo a un 'titolare di diritti'. La società biblica, ad esempio, non contemplava diritti ma soltanto doveri;
sostanzialmente doveri verso Dio. Tra questi figurava anche l'obbligo di rispettare il prossimo, ma nella
concezione biblica il prossimo era soltanto il 'terzo beneficiario' degli obblighi verso Dio. Le garanzie di cui il
beneficiario poteva godere erano limitate da questa concezione e dal carattere primitivo dei sistemi di
governo dell'antichità. Anche i governanti erano sottoposti alla legge divina che prescriveva loro come
comportarsi nei confronti dei sudditi; il sovrano iniquo o corrotto era soggetto al giudizio di Dio; ma
praticamente non vi erano forme concrete per porre rimedio alle ingiustizie e per quanti non erano in grado
di soddisfare i propri bisogni umani più elementari.
Da un punto di vista contemporaneo, molte società antiche erano carenti soprattutto per quanto riguarda il
riconoscimento di alcuni valori fondamentali che oggi sono alla base dei diritti umani. In pratica, queste
società erano ben lungi dall'accettare l'idea che tutti gli esseri umani avessero eguale diritto ad una vita
dignitosa, e facevano ricorso ad esecuzioni illegali e arbitrarie, alla tortura, a trattamenti inumani e a
punizioni crudeli; praticavano o tolleravano la schiavitù e la discriminazione nei confronti delle classi inferiori
e degli stranieri; tenevano le donne in stato di subordinazione e negavano la libertà di religione e coscienza
agli eterodossi. Il mondo antico e medievale in genere non aveva un forte senso dell'individuo come
persona e della sua dignità individuale, e in genere non attribuiva molto valore all'autonomia individuale e
alla vita privata. Atene o la Roma repubblicana offrono alcuni esempi di affermazione della libertà di
espressione, ma questa libertà non veniva riconosciuta né rispettata a livello generale. Nel complesso, nelle
società antiche e medievali mancava l'idea che le autorità politiche fossero soggette a limitazioni fondate sul
riconoscimento del valore dell'individuo e della dignità dell'uomo, e non erano previsti strumenti di nessun
tipo atti a garantire il rispetto di queste limitazioni né forme di tutela in caso di loro violazione.
b) Sviluppi moderni dell'idea dei diritti umani
Retrospettivamente, potremmo dire che perché si affermasse l'idea dei diritti quale oggi la concepiamo, era
necessario che maturassero diversi processi storici: il passaggio dall'idea di una legge divina rivelata come
sola fonte delle norme morali all'idea di una legge naturale universale e a quella dei diritti naturali; la nuova
importanza attribuita dalla religione all'individuo, al suo valore e al suo benessere in questo mondo (e non
solo nell'al di là); l'avvento del pluralismo religioso e l'affermarsi dello Stato laico; l'influenza liberalizzante
dell'Umanesimo, del Rinascimento e dell'Illuminismo. Con lo sviluppo del pluralismo i dissidenti
cominciarono a rivendicare diritti individuali alla libertà di coscienza contro la legge del sovrano o del
parlamento affermandone la supremazia. In Inghilterra, John Locke si pronunciò a favore della libertà di
coscienza e della tolleranza, e assieme a John Milton propugnò la libertà di espressione e di stampa. In
seguito Montesquieu in Francia , Kant in Germania , e altri autori meno noti, si fecero promotori di idee
umanistiche e individualistiche.
c) Diritti naturali
Le origini moderne dell'idea dei diritti umani - come legittime rivendicazioni dell'individuo nei confronti del
governo, giuridicamente riconosciute e garantite dalle istituzioni politiche - risalgono al XVII e XVIII secolo, e
rappresentano uno dei tanti significativi contributi dell'epoca di Galileo e Newton, Descartes e Leibniz,
Spinoza e Bacone nonché dei loro successori. Alcuni filosofi - Hobbes, Locke e, più tardi, Rousseau ipotizzarono uno stato di natura, che precede la società, in cui ogni individuo è titolare di diritti naturali di
ordine morale nei confronti degli altri; secondo questa ipotesi, al fine di tutelare tali diritti gli uomini
costituiscono le società attraverso un contratto sociale. Per Hobbes e per Rousseau, l'individuo viene
sussunto dalla società: secondo Hobbes, egli cede i suoi diritti preesistenti al sovrano in cambio della
sicurezza; secondo Rousseau, l'individuo riesce a realizzarsi effettivamente solo nella 'volontà generale', nella
quale ognuno è egualmente rappresentato, ma nessuno conserva alcun diritto che sia contrario alla volontà
generale stessa, ossia alla società. Locke, invece, riteneva che l'individuo conservasse alcuni importanti diritti
anche dopo l'istituzione della società politica; le sue idee vennero riprese nel XVIII secolo e trovarono
espressione nella famosa Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) e, in Francia, nella altrettanto
famosa Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789).
Per giustificare le rivendicazioni di indipendenza delle colonie americane (un esempio di quella che in seguito
verrà definita 'autodeterminazione'), la Dichiarazione americana proponeva una vera e propria teoria del
governo: "Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali;
che il Creatore li ha dotati di certi diritti inalienabili, tra cui quello alla vita, alla libertà e alla ricerca della
felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro legittimi poteri
dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il
popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su quei principî e ad
organizzare i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurargli sicurezza e felicità".
Insieme alla vita, il Creatore dona all'uomo anche la libertà e altri diritti naturali. Esercitando la loro libertà,
con un atto di libera volontà, gli individui si associano per formare la società e si accordano per istituire un
governo che tuteli i loro diritti naturali. Col contratto sociale, essi subordinano alcuni dei loro diritti naturali
all'autorità dei loro rappresentanti nel governo a fini di governo, pur conservando tutti gli altri diritti. Un
governo legittimo può derivare solo dal consenso dei governati e la sua legittimità è legata al permanere di
tale consenso.
Anche la Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino sancisce i "diritti naturali, inalienabili e
sacri dell'uomo" e dichiara che "l'ignoranza, la noncuranza e il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le uniche
cause delle pubbliche sciagure e della corruzione dei governi" (Preambolo); afferma che la nazione (non il
re) è la fonte della sovranità, che la legge è l'espressione della volontà generale, alla cui formazione tutti i
cittadini hanno il diritto di concorrere.
Benché i diritti naturali siano stati propugnati soprattutto da quei pensatori che avevano una qualche
convinzione religiosa, l'idea che tutti gli esseri umani siano dotati fin dalla nascita di diritti naturali era una
verità che appariva evidente di per se stessa anche a coloro che si professavano atei e ad agnostici, come un
dettame della ragione e come il riflesso di una comune intuizione di ordine morale. Anche per i sostenitori
non teisti del giusnaturalismo, i diritti naturali non trovano la loro legittimazione nel fatto di essere
riconosciuti e accettati da un governo o incorporati all'interno di un ordinamento giuridico. Governanti e
governi hanno un obbligo, morale e contrattuale, di riconoscere e rispettare questi diritti e di dare loro veste
giuridica per garantirne l'effettivo rispetto.
L'idea di diritti naturali e pre-sociali porta con sé una serie di importanti progressi, non soltanto rispetto a
certe usanze barbare ma anche rispetto alle tradizionali concezioni di giustizia e di buona società. Essa offre
una giustificazione ai diritti universali e una guida per individuarne i possibili contenuti. In linea di principio,
le norme universali che essa prescrive riconoscono a tutti eguali diritti, compreso quello alla vita e all'integrità
psicofisica; vietano la schiavitù e altre forme di subordinazione e di ineguaglianza, nonché la discriminazione
delle donne e di altri emarginati. Sempre in linea di principio, la libertà comprende la libertà religiosa, anche
per gli eretici e gli atei, mentre per consenso dei governati deve intendersi il consenso di tutti i governati, il
che ha come necessario presupposto non soltanto la sovranità popolare ma anche il suffragio universale. In
via di principio, l'individuo gode dei suoi diritti naturali a titolo individuale, 'di diritto'. L'obbligo del governo
di rispettare e garantire tali diritti non è più soggetto soltanto alla sanzione divina ma anche al consenso
costante dei governati, ed è una condizione di legittimità del governo stesso.
Locke e Jefferson hanno elencato esplicitamente alcuni diritti naturali, mentre ne hanno indicati altri in modo
implicito. Entrambi hanno menzionato il diritto alla vita e alla libertà; alla 'proprietà' evocata da Locke,
Jefferson ha sostituito la 'ricerca della felicità', ma la cosa non sembra poi essere così rilevante (infatti,
mentre, da un lato, Locke aveva una visione alquanto comprensiva del concetto di proprietà, dall'altro appare
indubbio che nel diritto alla felicità di Jefferson fosse ricompreso anche il rispetto della proprietà). I diritti che
essi elencano tuttavia non sono specificati nella loro estensione, e non vengono esplicitate le limitazioni dei
diritti connaturate all'idea di contratto sociale, cui i governati consentono, perché necessarie a garantire i
diritti di tutti. In termini attuali, non è ad esempio del tutto chiaro se il diritto alla vita che ogni individuo
possiede escluda necessariamente la pena di morte o la liceità dell'aborto. Né sono specificate le regole
inerenti alla libertà o alla proprietà contemplate dal contratto sociale; non è chiaro se in nome del diritto
naturale alla libertà il governo debba rispettare i culti religiosi eterodossi o la dissidenza politica, o se si
debba astenere dal censurare la libertà di espressione per tutelare la 'morale pubblica'. Fino a che punto e
per quali fini il governo è legittimato ad operare distinzioni in base alla razza, al sesso o alla religione? Come
si individuano le finalità per le quali il governo è legittimato a togliere all'individuo le sue proprietà,
attraverso l'esproprio o la tassazione?
La concezione giusnaturalista comprendeva al suo interno alcuni dei diritti che figurano nel catalogo attuale
dei diritti umani, ma non altri. Essa aveva sancito quelle libertà e immunità che ineriscono naturalmente
all'uomo nel suo 'stato di natura', ossia quelle libertà e quelle immunità tipiche dello Stato liberale; ma non
attribuì lo status di diritti individuali a quella categoria di vantaggi che la società deve realizzare attraverso
misure concrete, ad esempio, in primo luogo, attraverso una legislazione che garantisca il benessere a livello
economico e sociale.
d) I diritti umani nel diritto positivo
L'idea che i diritti umani spettassero ad ogni individuo 'per natura' era congeniale allo spirito illuminista del
XVIII secolo; essa venne elaborata e diffusa in maniera espressiva da Thomas Paine nei Diritti dell'uomo.
Nello stesso anno della Dichiarazione di indipendenza americana (1776), inoltre, vide la luce anche la
Ricchezza delle nazioni di Adam Smith , opera che pose le basi teoriche dell'ideologia della libertà e
dell'iniziativa economica individuale. Tuttavia nel XVIII e nel XIX secolo tale idea venne respinta sia dai
tradizionalisti che da alcuni eminenti progressisti. Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione francese (1790),
scagliandosi contro la Rivoluzione, Burke rifiutò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Thomas Paine aveva affermato che la "Dichiarazione dei diritti ha più valore per la società e avrà un effetto di
gran lunga più benefico che non tutte le leggi e gli statuti approvati finora", ma Jeremy Bentham , in
Anarchical fallacies, dissentiva nel modo più radicale da questa affermazione. A suo avviso, "i diritti naturali
sono semplicemente un nonsenso: anzi i diritti naturali e imprescrittibili, sono un nonsenso retorico...
ampolloso", nocivo e pericoloso; si tratta di 'fallacie anarchiche', che incoraggiano l'insurrezione e la
resistenza contro leggi e governi illuminati, da cui dipende il progresso dell'umanità. Come ebbe a dire in
seguito (1947) un autore americano, Jerome Frank, i diritti naturali sono stati spesso sia "lo scudo
dell'arciconservatorismo che la spada del radicalismo". I progressisti sostenevano che la legge e il diritto
naturali, invocati a sostegno della rivoluzione nelle colonie americane e in Francia, erano anche stati (e
potevano esserlo ancora) invocati per ribadire il diritto assoluto dei sovrani, l'inferiorità degli schiavi, la
subordinazione delle donne e per giustificare - nel nome del diritto naturale alla proprietà e alla libertà l'opposizione alla tassazione progressiva e alla legislazione sociale progressista.
Nel XIX secolo sorsero filosofie diverse e antagonistiche rispetto al giusnaturalismo: varie correnti di stampo
positivista, che si richiamavano a David Hume; l'idealismo (in Germania con Friedrich Karl von Savigny, in
Inghilterra, con F.H. Bradley, ecc.) e l'utilitarismo (Bentham, John Stuart Mill , Herbert Spencer ). Anche nella
vita politica europea, in Francia ad esempio, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo venne accantonata, e il
tentativo di attribuire ai diritti naturali dell'individuo lo statuto di legge superiore venne attaccato sia da
destra che da sinistra, dai sostenitori della monarchia e dei valori tradizionali e dai fautori di una legislazione
progressista o dagli esponenti di varie forme di socialismo. L'interesse per la dignità e il benessere
dell'individuo, comunque, non dipendeva necessariamente dall'adesione all'ideologia dei diritti naturali. Le
rivendicazioni di libertà ed eguaglianza, talvolta solidali tra loro, talvolta in contrasto, continuarono a
innescare rivoluzioni, spodestare governi e modellare sistemi politici ed economici; le forze progressiste
europee, però, perseguivano il benessere dell'individuo, invocando non delle limitazioni da porre al governo,
bensì un governo migliore. Anziché propugnare i diritti come una forma di tutela contro il governo, i
progressisti aspiravano ad un governo più democratico e più attento alle esigenze degli individui; anziché la
libertà dalla legge invocavano una legge migliore; anziché richiamarsi a indefiniti diritti naturali, facevano
appello a diritti sanciti dalla legge - droits de créance, - e ad una legislazione progressista che riconoscesse,
definisse e garantisse i diritti individuali; anziché esaltare lo Stato liberale cominciavano ad esigere lo Stato
sociale. Oltre al diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, esigevano ora una seconda 'generazione' di diritti:
i diritti economici e sociali.
4. I diritti umani nella legislazione nazionale: 1789-1945
Nel XIX secolo si assistette ad un crescente processo di normativizzazione di alcuni diritti morali
generalmente riconosciuti e di determinate rivendicazioni di carattere politico. Questo processo si sviluppò
lungo due diverse strade. Da un lato, seguendo l'idea del diritto naturale, i diritti umani vennero trasformati
in norme costituzionali di rango sovraordinato alle quali l'autorità governativa e le leggi ordinarie dovevano
conformarsi. Dall'altro lato si assistette ad un progressivo sviluppo dei diritti umani per mezzo della legge
ordinaria, principalmente attraverso forme di legislazione garantista e progressista. Per quanto riguarda la
costituzionalizzazione dei diritti umani gli Stati Uniti hanno avuto una funzione pionieristica e di modello (il
loro esempio venne seguito da molti piccoli paesi europei); il Regno Unito, la Francia e altre nazioni
dell'Europa occidentale (e alcune dell'America Latina) hanno invece sviluppato e promosso questi diritti
attraverso il diritto positivo.
a) La costituzionalizzazione dei diritti umani: gli Stati Uniti
Uno dei maggiori contributi alla realizzazione dell'idea dei diritti è stata la loro inclusione all'interno della
Costituzione nella cultura costituzionale nazionale degli Stati Uniti.Gli Stati Uniti furono il primo Stato
moderno di nuova formazione, creato in accordo con le ideologie dei diritti naturali e del contratto sociale
espresse nella Dichiarazione d'indipendenza. Con l'indipendenza, le vecchie colonie inglesi adottarono una
costituzione, un contratto sociale che riflettesse l'adesione all'idea dei diritti umani. Parecchie di queste
costituzioni (quelle della Virginia, della Pennsylvania , del Massachusetts ) si aprono con una Carta dei diritti.
La Costituzione federale degli Stati Uniti, redatta nel 1787, venne concepita nel medesimo spirito. La
Costituzione originaria non comprendeva una carta dei diritti, poiché i costituenti pensarono che questa non
fosse necessaria per il nuovo governo federale dai poteri limitati. Tuttavia, come era stato promesso per
facilitarne la ratifica, nel 1789 il nuovo governo adottò dieci emendamenti - poi noti come Bill of rights - che
entrarono in vigore due anni dopo. Il Bill of rights americano, e i suoi successivi emendamenti, hanno lo
stesso status di legge sovraordinata riconosciuto agli articoli originari della Costituzione.
Sebbene le ex colonie americane si ispirassero alla storia costituzionale dell'Inghilterra, in America le
dichiarazioni in cui venivano riconosciuti alcuni diritti si differenziavano profondamente dalle normative
costituzionali britanniche. Gli inglesi rivendicavano "gli antichi diritti e libertà" secondo "le leggi, gli statuti e
le libertà di questo regno" (Bill of rights, 1688/1689), ma questi non avevano lo status di legge sovraordinata,
non erano 'inviolabili' e potevano essere modificati dal parlamento. L'individuo non aveva diritti che poteva
far valere nei confronti del parlamento. La rivendicazione di indipendenza delle colonie americane, tuttavia,
prese l'avvio da una serie di doglianze contro il sovrano e il parlamento. La Costituzione statunitense stabilì
così la separazione dei poteri e un sistema di checks and balances per limitare il potere sia dell'esecutivo che
del parlamento (il Congresso); il Bill of rights statunitense, a sua volta, garantisce protezione all'individuo sia
nei confronti del Congresso che dell'esecutivo. La prima clausola della Carta dei diritti americana - ("il
Congresso non farà leggi") - rappresenta un fermo rifiuto della supremazia del parlamento, principio che è
invece la chiave di volta del costituzionalismo inglese.
La Costituzione degli Stati Uniti e la sua Carta dei diritti riflettono chiaramente l'adesione all'idea di diritti
naturali preesistenti, attribuendo loro lo status di legge positiva superiore. La Costituzione statunitense
rappresentò il primo riuscito tentativo di dare espressione politica all'idea dei diritti umani, e costituì il primo
sistema nazionale di tali diritti. Non si trattava, tuttavia, di un sistema pienamente sviluppato. Il Bill of rights,
infatti, non garantiva tutti quei diritti inalienabili che, secondo la Dichiarazione d'indipendenza, Dio avrebbe
conferito a tutti gli uomini; non aboliva la schiavitù, non garantiva un'eguale tutela giuridica e non prevedeva
il consenso di tutti i governati espresso attraverso il suffragio universale. Fatta eccezione per le libertà
tutelate dal I emendamento (di religione, di parola, di stampa, di associazione), il Bill of rights non
proteggeva esplicitamente la vita, la libertà e la proprietà da leggi repressive o arbitrarie. Nel IX
emendamento si afferma che l'elencazione di determinati diritti non può essere interpretata nel senso di
"escludere o discriminare altri diritti che gli uomini detengono"; tuttavia, come venne confermato più tardi,
questi altri diritti, non menzionati in forma esplicita, non vennero costituzionalmente riconosciuti e garantiti.
La Costituzione non dice in che modo vadano risolti gli eventuali conflitti tra più diritti e non specifica in
modo chiaro quali limitazioni ai diritti stessi siano accoglibili in base al contratto sociale, in quanto necessarie
per il governo. Essa inoltre tutela i diritti individuali solo dall'"azione dello Stato", mentre per la violazione
degli stessi diritti da parte di un altro individuo non è prevista alcuna tutela costituzionale, ma solo quella
della legislazione ordinaria.
Col tempo, i difetti più gravi della Carta dei diritti vennero corretti. La schiavitù fu abolita nel 1865. Il XIV
emendamento (1868) attribuì all'autorità federale competenza in materia di diritti individuali: le violazioni dei
diritti all'interno di ogni singolo Stato dovevano essere giudicate a livello nazionale mentre al Congresso
venne attribuita potestà legislativa al fine di tutelare i diritti del singolo da eventuali violazioni dell'autorità.
Fu imposto agli Stati (e, secondo un'interpretazione successiva, anche al governo federale) di garantire a tutti
i cittadini eguale protezione da parte della legge. Altri emendamenti costituzionali vietarono di negare il
diritto di voto in base alla razza (XV emendamento, 1870) o in base al sesso (XIX emendamento, 1920). (Nel
1960 il principio di eguale protezione venne interpretato nel senso di garantire a tutti pari diritto di voto). I
poteri conferiti al Congresso vennero interpretati nel senso di attribuire allo stesso la facoltà (ma non
l'obbligo) di produrre una estesa legislazione in materia di diritti civili che proibisse la violazione di questi
ultimi da parte dei privati e garantisse mezzi di tutela per tali violazioni.
Forse il contributo più significativo apportato dagli Stati Uniti all'idea dei diritti consiste nel 'controllo
giurisdizionale', cioè nel potere riconosciuto ai tribunali di rendere effettiva la supremazia dei diritti
costituzionali controllandone l'osservanza da parte di tutti i settori del governo, e di garantire al singolo validi
mezzi di tutela in caso di violazioni di tali diritti. Il controllo giurisdizionale si è rivelato come lo strumento
istituzionale più efficace per rendere effettiva la supremazia costituzionale e per assicurare che i diritti
richiamati e promessi dalla Costituzione vengano concretamente applicati. Esso è diventato inoltre lo
strumento per fare in modo che le garanzie dei diritti individuali ricevano un'applicazione adeguata al caso
concreto e in armonia con i tempi. Le corti di giustizia degli Stati Uniti fondarono la loro autorità legandola al
testo della Costituzione scritta e, in linea di principio, si limitarono ad applicare quei diritti naturali, anteriori
alla società, che furono successivamente trasfusi in norme di rango costituzionale. Tuttavia, negli Stati Uniti
l'elaborazione giurisprudenziale dei diritti naturali a livello costituzionale è stata tale da aver permesso una
riformulazione dei diritti stessi in termini più attuali. Ad esempio, la norma secondo la quale "nessuno potrà
essere privato della vita, della libertà e della proprietà in assenza di un legittimo processo", è stata
interpretata dalle corti di giustizia come norma intesa a tutelare l'individuo non solo dalla detenzione
arbitraria, ma anche da ogni limitazione dell'autonomia e della libertà in generale. Tale norma, inoltre, non si
limita a stabilire il principio di legalità e procedure eque, ma impone altresì che le leggi che regolano le
libertà siano razionali, finalizzate all'interesse pubblico e conformi ai principî di equità accettati dalla società.
Altri elementi dei diritti naturali sono stati assimilati dalla giurisprudenza costituzionale per mezzo di
specifiche disposizioni, quali quelle che vietano perquisizioni e confische 'irragionevoli' o punizioni 'insolite e
crudeli'.
Per un aspetto fondamentale, tuttavia, i diritti tutelati dalla Costituzione risentono del fatto di essere stati
concepiti e formulati nel XVIII secolo. Poiché l'idea dei diritti propria degli Stati Uniti si fondava sulla teoria
delle libertà dell'uomo nello stato di natura, in questo paese i diritti costituzionali sono sempre rimasti al
rango di libertà dalle ingerenze dello Stato, esaurendosi quindi nei diritti negativi alla vita alla libertà e alla
proprietà; restano invece esclusi i diritti positivi economici e sociali. Si partiva dal presupposto che i governi
istituiti dagli uomini con il contratto sociale non erano intesi ad assicurare il benessere economico e sociale o
a soddisfare i bisogni umani fondamentali. In ogni caso i tribunali che si rifacevano al dettato costituzionale
non potevano certo rinvenire nel testo settecentesco alcun fondamento per diritti di ordine economico e
sociale.
Di fatto gli Stati Uniti divennero uno Stato sociale con il New Deal di Roosevelt (1933-1940), ma ciò non
avvenne per impulso dell'ordinamento costituzionale, che anzi oppose una qualche resistenza. Per
legittimare il Congresso ad imporre una forma di tassazione progressiva - su cui il Welfare State si fonda - si
rese necessario un emendamento alla Costituzione. A tutt'oggi, la Costituzione statunitense non impone la
creazione di uno Stato sociale, ed è fallito ogni tentativo di rinvenire nella Costituzione degli Stati Uniti un
diritto alla sussistenza o alla casa. Le Costituzioni di alcuni Stati, comunque, garantiscono il diritto
all'istruzione pubblica, e nel XX secolo alcuni Stati hanno sancito anche l'obbligo di provvedere a determinati
bisogni umani fondamentali. (Nemmeno le Costituzioni di questi Stati, comunque, sono riuscite a garantire
forme di tutela efficaci per garantire questo tipo di diritti 'positivi').
Negli Stati Uniti dunque i diritti riconosciuti a livello costituzionale sono rimasti al rango di diritti 'negativi'; i
diritti sociali di stampo 'positivo' sono invece frutto di un processo di creazione legislativa. A differenza dei
diritti riconosciuti a livello costituzionale, i diritti sociali dipendono dal processo politico, dalla forza e
dall'impegno di determinati partiti o leaders politici, dalle risorse e dalla disponibilità dei cittadini ad
accettare imposizioni fiscali e dalle scelte della società, che stabilisce le priorità di spesa tra il benessere
sociale o altre necessità (quali, ad esempio, la difesa).
Anche nel XIX secolo, altri paesi (tra cui figurano i Paesi Scandinavi e la Grecia ) inserirono i diritti umani nei
testi costituzionali, accordando ad essi lo status di legge sovraordinata e attribuendo agli organi
giurisdizionali un controllo di costituzionalità. Dopo la prima guerra mondiale , anche la Repubblica di
Weimar , in Germania, istituì un corpus di diritti costituzionali, non soggetto tuttavia al controllo
giurisdizionale.
b) I diritti umani nelle legislazioni europee
Alla fine del XVIII secolo, l'idea dei diritti naturali ebbe una certa eco anche in Europa, dove tuttavia non
conobbe uno sviluppo paragonabile a quello americano. L'Inghilterra, fiera della Gloriosa rivoluzione e della
supremazia del parlamento, restò indifferente all'idea: l'individuo non poteva far valere alcun diritto contro il
parlamento, che dal canto suo non era tenuto a riconoscere e garantire i diritti dell'individuo nei confronti
dell'autorità o dei privati. In Francia i diritti naturali conobbero una breve storia costituzionale tra il 1791 e il
1793, per esser poi eclissati dalla guerra civile, dal Terrore e da Napoleone. Anche in Polonia i diritti umani
ebbero vita breve, e svanirono assieme alle aspirazioni all'indipendenza. Ai diritti naturali si richiamarono,
nell'Ottocento e ai primi del Novecento, alcuni slogan delle rivoluzioni e delle lotte per l'unità e
l'indipendenza nazionale, anche se la strada intrapresa verso la creazione delle nazioni e
l''autodeterminazione' non dipese dall'adesione ad una teoria dei diritti individuali. Le lotte politiche in
Europa non avevano ad oggetto i diritti individuali ma il potere politico: le forze progressiste combattevano
contro la monarchia, per l'affermazione della democrazia, di una forma di rappresentanza più autentica e di
un suffragio più esteso. Persino in Francia, la cui Dichiarazione dei diritti continuava ad avere eco in tutto il
mondo, l'idea dei diritti naturali, connaturati all'individuo in quanto tale, rimase in secondo piano. I Francesi
seguivano l'insegnamento di Rousseau, non di Locke, guardavano a Westminster , non a Washington ,
avevano come obiettivo la democrazia parlamentare più che l'istituzione di diritti costituzionali. Con il passar
del tempo, come ad esempio sotto la Terza Repubblica, il contratto sociale fece sì che il governo
rispecchiasse in modo più adeguato la volontà generale; ma l'individuo non vantava diritti nei confronti della
volontà generale poiché non ne aveva bisogno, in quanto la volontà generale non era in grado di violare i
diritti individuali. Anche gli orientamenti di stampo socialista che si svilupparono in Francia nel XIX secolo
erano per lo più indifferenti ai diritti naturali dell'individuo.
Ma se nel XIX secolo l'idea dei diritti naturali perse gran parte del proprio credito, e i diritti intesi come
limitazioni al potere del governo non si affermarono né acquisirono uno status costituzionale, tuttavia in
molti paesi europei e in America essi si svilupparono fino ad assumere la forma di diritto positivo. Grazie al
progressivo affermarsi del liberalismo e della democrazia, nell'Ottocento crebbe lentamente il rispetto per
l'autonomia e la libertà dell'individuo, nonché l'interesse per il benessere individuale. Le idee progressiste e
liberali superarono i confini europei sollecitando un'estensione delle libertà per mezzo del diritto. Nei paesi
europei vennero abolite la schiavitù e la tratta degli schiavi. (La Francia e la Danimarca avevano già seguito
questa strada nell'ultimo decennio del Settecento). La Russia abolì la servitù della gleba mentre la Francia,
seguita via via da altre nazioni, emancipò gli Ebrei. Lentamente si diffuse la tolleranza religiosa e vennero
progressivamente ridotte le forme più offensive di discriminazione razziale, etnica o religiosa. Alcune forme
di discriminazione contro le donne furono attenuate. Il diritto ad un giusto processo per l'accusato, nonché le
garanzie contro l'arresto arbitrario, la tortura e altre forme di trattamento inumano si affermarono in via di
principio e furono migliorate di fatto. L'istruzione pubblica si diffuse e venne ridotto l'analfabetismo. Si
affermarono in misura crescente i governi parlamentari, il suffragio conobbe una estensione, così come i
diritti politici e le libertà (di parola, di stampa, di associazione e assemblea). Si estese il diritto di voto. La
Francia promulgò leggi per garantire le libertés publiques e istituì determinati organi (in particolare, il
Consiglio di Stato ) aventi il compito di garantirne l'applicazione. In Inghilterra, il Parlamento ampliò la lista
dei diritti tutelati dalla common law e riconobbe ulteriori diritti individuali; John Stuart Mill divenne l'apostolo
della libertà e dell'eguaglianza fra i sessi. Per impulso dell'ideologia socialista, dotata di un forte potere
d'attrazione, le nazioni europee in via di industrializzazione cominciarono ad occuparsi dei bisogni dei
lavoratori, della famiglia, dei minori, degli anziani e delle persone indigenti in generale. Nella Germania di
Bismarck , in Francia, in Inghilterra e in altre nazioni europee vide la luce quella che sarà successivamente
definita 'seconda generazione di diritti', i diritti economici e sociali del Welfare State. L'idea dei diritti favorì
qualche piccolo passo verso la democrazia in paesi (ad esempio la Russia zarista) dove questa non era mai
esistita. Dopo il primo conflitto mondiale, la democrazia e l'idea dei diritti si affermarono, seppur per breve
tempo, nella Repubblica di Weimar; il principio dell'autodeterminazione dei popoli fu adottato dai governi
parlamentari, e un parziale riconoscimento dei diritti si ebbe anche in alcuni piccoli Stati dell'Europa orientale
e centrale. Nell'America Latina videro la luce nuovi Stati impegnati nel riconoscimento dei diritti, sotto
l'influenza delle idee statunitensi e francesi. In genere gli imperi coloniali europei in Africa e in Asia non
rispettarono i diritti delle popolazioni indigene; tuttavia, anche se in larga misura involontariamente, essi
contribuirono a diffondere l'idea dei diritti.
Questo processo di crescente attenzione e rispetto per i diritti individuali non si verificò tuttavia in modo
uniforme, né ebbe ovunque un andamento progressivo e lineare. Molti dei diritti successivamente
riconosciuti come diritti umani non venivano rispettati neanche all'interno delle nazioni più liberali e più
democratiche. Certi tipi di comportamento si erano diffusi ovunque. La brutalità con cui operavano le
autorità di polizia, le condizioni carcerarie indescrivibili e altre forme di punizioni crudeli e inumane non
costituivano affatto un'eccezione. Quasi ovunque persisteva un'odiosa discriminazione contro le minoranze
razziali, etniche o religiose e in alcuni Stati i massacri e i pogrom venivano tollerati, e talvolta persino
direttamente fomentati dai governi. I diritti di associazione politica ed economica (ad esempio la libertà di
associazione sindacale) subivano delle limitazioni, mentre continuavano a sussistere ampiamente le
tradizionali restrizioni nei confronti delle donne. La povertà dilagava e solo pochi paesi adottavano misure
concrete per soddisfare i bisogni fondamentali dell'individuo. Soprattutto, non veniva riconosciuto il principio
del valore e della dignità dell'individuo, né dei diritti individuali come limitazioni al potere del governo. Solo
pochi paesi conferirono ai diritti dell'individuo lo status di suprema legge costituzionale o istituirono il
controllo giurisdizionale o altre forme di controllo costituzionale per la loro tutela. In pochi paesi, comunque,
i diritti riuscirono a radicarsi tanto profondamente nella cultura politica da resistere agli attacchi contro la
democrazia e le libertà determinati dalla guerra e dalla crisi economica.
Così, nel ventennio tra le due guerre mondiali, i diritti umani subirono catastrofiche sconfitte. La democrazia
parlamentare e i diritti individuali vennero annientati dal fascismo, dallo stalinismo e dal nazismo, e vennero
messi in pericolo ovunque dal progetto hitleriano di dominio mondiale.
5. I diritti umani nell'ambito internazionale
I diritti umani acquistarono una rilevanza internazionale durante e dopo la seconda guerra mondiale. Accolta
nelle dichiarazioni universali, sostenuta dalle istituzioni internazionali, incorporata nelle costituzioni e nelle
legislazioni nazionali e riconosciuta negli accordi di diritto internazionale, l'idea dei diritti umani divenne
l'idea chiave del nostro tempo.
Tra il diritto internazionale e i diritti umani esistevano già in precedenza dei legami, in quanto entrambi erano
stati prefigurati dal giusnaturalismo e da autori quali Grozio, Emmerich de Vattel e John Locke. Il trattamento
che in determinate circostanze lo stato riservava ad alcuni degli individui residenti era divenuto ben presto
oggetto della diplomazia e del diritto. Il diritto internazionale consuetudinario, ad esempio, dichiarava che
ogni Stato aveva l'obbligo di trattare gli stranieri presenti sul proprio territorio secondo un criterio
internazionale di giustizia basato sui principî del diritto naturale. Nel XVII secolo, i regnanti cattolici e
protestanti decisero di accordare reciprocamente la libertà di culto e alcune immunità civili ai fedeli dell'altra
religione. Più tardi, paesi come la Grecia e la Turchia concordarono di rispettare reciprocamente i diritti delle
rispettive minoranze etniche. Sia prima che dopo la prima guerra mondiale le grandi potenze, nel tentativo di
eliminare una possibile fonte di attriti internazionali, imposero la ratifica di trattati che obbligavano alcuni
Stati a rispettare i diritti delle minoranze etniche e religiose. Il trattato istitutivo della Società delle Nazioni
stabilì che il sistema dei mandati territoriali dovesse essere governato dal principio che "il benessere e lo
sviluppo di questi popoli rappresenta un sacro dovere di civilizzazione" e impose "condizioni atte a garantire
le libertà di coscienza e di religione", insieme ad altri diritti. Un maggior sviluppo nella tutela internazionale
dei diritti umani si verificò negli anni successivi alla prima guerra mondiale, allorché l'Ufficio Internazionale
del Lavoro (in seguito, Organizzazione Internazionale del Lavoro, ILO) promosse una serie di convenzioni con
le quali alcuni Stati concordavano di attenersi ad alcuni standard minimi in materia di lavoro e di altre
condizioni di carattere sociale.
Questi precedenti dell'attuale impegno internazionale per i diritti umani avevano in gran parte motivazioni di
ordine economico e politico. Se la preoccupazione dominante era quella di assicurare la pace internazionale
e di stabilire relazioni amichevoli sul piano politico ed economico tra le nazioni, non era neanche del tutto
assente un impegno per il benessere di ogni individuo. Considerazioni di ordine umanitario ispirarono senza
dubbio anche il progressivo sviluppo di un diritto umano inteso a proibire l'uso di armi particolarmente
crudeli e a tutelare i prigionieri di guerra e la popolazione civile. Tuttavia, queste manifestazioni di impegno
internazionale per i diritti umani rimasero sporadiche e isolate. In generale, e in linea di principio, si
continuava a ritenere che il trattamento riservato da uno Stato ai propri cittadini fosse un problema di
politica interna e che pertanto non rivestisse un interesse internazionale. Occasionalmente, eventi
particolarmente terribili e sconvolgenti - come il massacro degli Armeni in Turchia, o i pogrom contro gli
Ebrei nella Russia zarista - provocarono le proteste degli altri governi, i quali però in generale facevano
appello a generici sentimenti umanitari, non a norme internazionali. (I primi esperti di diritto internazionale
erano giunti alla conclusione che uno Stato fosse legittimato a intervenire con la forza in un altro Stato per
mettere fine a violazioni dei diritti umani tanto massicce e orribili da traumatizzare la coscienza dell'umanità.
Ma è assai difficile individuare se e quando tali interventi siano compiuti in buona fede).
Una nuova ripresa dell'interesse internazionale per i diritti umani si ebbe durante la seconda guerra mondiale
con il 'movimento internazionale per i diritti umani'. In un famoso discorso al Congresso del gennaio 1941 il
presidente Franklin D. Roosevelt impegnò gli Stati Uniti alla realizzazione di quattro libertà: libertà di
religione, libertà di espressione, libertà dal bisogno e libertà dalla paura. A tali libertà si fece costante
riferimento durante la guerra, e gli Alleati dichiararono più volte che uno dei loro principali obiettivi era
quello di stabilire un ordine mondiale che contemplasse il rispetto dei diritti umani. La vittoria diede loro la
capacità, l'opportunità e la determinazione necessaria per trasformare tale obiettivo in una ideologia politica
per il mondo del dopoguerra.
Il movimento internazionale per i diritti umani acquistò nuova forza allorché il mondo ebbe piena coscienza
dei misfatti di Hitler e dell'indicibile orrore dell'Olocausto. A Norimberga gli Alleati processarono i nazisti
per le violazioni del diritto internazionale tra cui figuravano i "crimini contro l'umanità". Nel 1945, a San
Francisco , il problema dei diritti umani fu posto al centro delle discussioni sull'ordine mondiale post-bellico.
Gli Alleati vincitori iscrissero l'impegno per la democrazia e per il rispetto dei diritti umani nella Carta delle
Nazioni Unite alla quale ci si aspettava che tutti i paesi aderissero. (Furono gli Alleati occidentali - Francia,
Inghilterra e Stati Uniti - a fare pressioni in questo senso; l'Unione Sovietica staliniana si adeguò, forse perché
riconosceva il richiamo universale esercitato da tali principî, o perché Stalin pensava comunque di poterli
interpretare e applicare a modo suo). La Carta dichiarava che la promozione dei diritti umani rappresentava
uno dei principali obiettivi delle Nazioni Unite (Preambolo, art. 55), e stabiliva l'istituzione di una
Commissione per i diritti umani (art. 68).
Cominciarono così per la comunità internazionale decenni di intensa attività, che portarono al
riconoscimento universale dell'idea dei diritti umani e ad un attivo impegno internazionale per la loro
attuazione nei singoli paesi. I diritti umani divennero oggetto della politica internazionale e del diritto
internazionale consuetudinario nonché di numerosi patti e convenzioni internazionali. Il paragrafo 7
dell'articolo 2 specifica che nessuna disposizione dello statuto "autorizza le Nazioni Unite a intervenire in
questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato"; più di quarant'anni di
incessante attività hanno dimostrato che l'impegno delle Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani non
costituisce affatto un'ingerenza nella competenza interna degli Stati. I diritti umani sono stati messi all'ordine
del giorno in tutti gli istituti delle Nazioni Unite e sono diventati un elemento basilare dell'attività dell'ONU.
Alcuni di questi istituti hanno dedicato anni di ardui sforzi alla promozione dei diritti umani. È stata elaborata
e approvata una Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il Consiglio di sicurezza e l'Assemblea
generale, due fra i principali organi delle Nazioni Unite, si sono occupati anche di particolari violazioni dei
diritti umani, mentre le violazioni più gravi (c.d. gross violations), come l'apartheid in Sudafrica, sono state
costantemente al centro dell'attenzione delle Nazioni Unite.
a) Universalizzazione e internazionalizzazione dei diritti umani
L'obiettivo principale del movimento internazionale per i diritti umani è stato quello di adoperarsi al fine di
ottenere il rispetto a livello universale di tali diritti. Si è cercato di raggiungere tale obiettivo attraverso una
internazionalizzazione dei diritti umani, esercitando un'influenza politica e morale, sul piano internazionale,
tesa ad ottenere un'adesione universale all'idea dei diritti umani. Lo stesso obiettivo si è cercato di perseguire
attraverso l'elaborazione, sul piano internazionale, di un concetto uniforme dei diritti umani e facendo sì che
tutti gli Stati lo incorporassero all'interno del proprio ordinamento politico e giuridico e assicurassero in
termini reali il rispetto di quei diritti. Sono stati inoltre compiuti dei passi per inserire nella Carta dell'ONU un
bill of rights sotto forma di obbligo giuridico internazionale vincolante per tutti gli Stati aderenti alla Carta
dell'ONU.
I passi iniziali furono più modesti. Se è vero che ai diritti umani è assegnato un posto di primo piano nella
Carta dell'ONU, questa non comprende un catalogo dei diritti o altre normative in materia che abbiano
carattere vincolante. Tuttavia, l'impegno per i diritti umani richiesto dalla Carta è inequivocabile. Mentre la
Società delle Nazioni si occupava principalmente dei diritti delle minoranze in determinati paesi, la Carta
dell'ONU intende affermare i diritti di tutti gli individui in tutti i paesi. (Evidentemente si riteneva che il
riconoscimento del diritto all'autodeterminazione e dei diritti umani avrebbe eliminato il problema delle
minoranze: alcune di queste avrebbero raggiunto l'indipendenza esercitando il diritto all'autodeterminazione,
mentre, negli altri casi, i diritti delle minoranze avrebbero ricevuto eguali garanzie rispetto a quelli delle
maggioranze grazie al riconoscimento universale dei diritti fondamentali per tutti gli uomini).
Il Preambolo della Carta dell'ONU riafferma "la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel
valore della persona umana, nella parità dei diritti per l'uomo e per la donna" e dichiara che i popoli si
impegnano "a promuovere il progresso sociale e migliori condizioni di vita nel contesto di una più ampia
libertà". Gli obiettivi dell'ONU includono la realizzazione di una cooperazione internazionale intesa a
"promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza
distinzione di razza, sesso, lingua e religione" (artt. 1 e 55 c). I diritti umani rientrano nella sfera di
competenza dell'Assemblea generale (art. 13) e del Consiglio economico e sociale (art. 62,2). Gli Stati membri
si impegnano ad assumere iniziative separate o congiunte, in cooperazione con l'ONU, per la realizzazione
dei suoi obiettivi in materia di diritti umani (artt. 55 e 56).
b) La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
La Commissione per i diritti umani istituita in conformità alla Carta si è opposta anche ai tentativi di
procedere direttamente alla promulgazione di un bill of rights internazionale giuridicamente vincolante. In un
primo tempo, la Commissione preparò un accordo internazionale, la Convenzione per la prevenzione e la
repressione dei crimini di genocidio (1948), che era anche un monumento alle vittime di Hitler. Nello stesso
tempo, sotto la guida di Eleanor Roosevelt (USA) e di René Cassin (Francia), lavorò alla stesura della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
La Dichiarazione universale non fu concepita come un accordo giuridicamente vincolante; e infatti non si
tratta di un accordo internazionale che i paesi aderenti devono firmare e ratificare. Secondo il Preambolo, la
Dichiarazione rappresenta un "ideale comune da raggiungere da parte di tutti i popoli e di tutte le nazioni,
affinché ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione,
si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di
garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo
riconoscimento, sia fra i popoli degli stessi Stati membri, sia fra quelli dei territori sottoposti alla loro
giurisdizione".
Di fatto la Dichiarazione ha assolto il suo compito sotto un duplice profilo: rendendo universale l'idea dei
diritti umani e promuovendone l'adozione da parte dei singoli Stati.
La Dichiarazione fu adottata nel 1948 all'unanimità, e anche i principali astenuti (i paesi del blocco sovietico)
manifestarono in seguito la loro adesione, che trovò espressione esplicita nell'Atto finale della Conferenza
per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Accordi di Helsinki , 1975). Nei decenni intercorsi tra il 1948 e il
1975 la Dichiarazione è stata accettata da quasi tutti i paesi, indipendentemente dalla loro ideologia o dal
loro livello di sviluppo economico, politico e sociale, diventando la definizione e l'elenco ufficiale dei diritti
umani, tra i quali include allo stesso titolo sia i diritti politici e civili, sia quelli economici e sociali. La
Dichiarazione ha inoltre favorito l'inserzione dei diritti umani in quasi tutte le costituzioni del mondo.
Essa è diventata altresì il punto di riferimento per ciò che riguarda la progressiva internazionalizzazione dei
diritti umani, costituendo la base dei principali trattati internazionali sui diritti umani, della rete di altre
convenzioni che si sono moltiplicate nei decenni successivi nonché del corpus sempre più consistente del
diritto internazionale consuetudinario in materia. La Dichiarazione è rimasta il fondamento e il riferimento
essenziale per l'azione politica degli organismi internazionali; essa ha imposto il rispetto dei diritti umani
come criterio di comportamento internazionale accettabile, in base al quale il mondo stabilisce di giudicare e
di essere giudicato; anche quei paesi che non sono disposti a conformarsi a tale criterio, tuttavia, non osano
sfidare il principio dei diritti umani, o i suoi contenuti: se violano i diritti umani, sono infatti costretti a
nascondere e dissimulare le loro azioni, e tali violazioni possono essere denunciate.
c) La costituzionalizzazione dei diritti
La fine della seconda guerra mondiale ha inaugurato l'era delle costituzioni. Virtualmente tutte le costituzioni
hanno inserito fra le proprie disposizioni la promozione e la tutela dei diritti dell'individuo. Le nazioni
sconfitte - la Germania, l'Austria, il Giappone - hanno elevato i diritti umani a rango costituzionale sotto
l'egida delle forze di occupazione. Alcuni paesi di antiche tradizioni hanno inserito i diritti all'interno delle
costituzioni di nuova formazione, grazie anche all'influenza esercitata dal movimento internazionale per i
diritti umani, dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. L'India, con
il raggiungimento dell'indipendenza, riconobbe alcuni diritti all'interno della propria Costituzione (1946),
significativamente influenzata dalle idee e dall'esperienza statunitensi. La fine del colonialismo, in Africa e in
Asia, ha determinato una proliferazione di nuovi Stati, le cui costituzioni fanno tutte riferimento ai diritti
umani, sia attraverso un rinvio alla Dichiarazione universale, sia attraverso l'elaborazione di una vera e propria
Carta dei diritti derivata in larga misura dalla Dichiarazione. I diritti umani assunsero un posto di rilievo
persino nelle Costituzioni dell'URSS, della Cina e di altri paesi comunisti.
Diritti dell'uomo
Enciclopedia delle scienze sociali
di Louis Henkin
Diritti dell'uomo
sommario: 1. Introduzione. 2. Idea e contenuto dei diritti umani. 3. Storia e sviluppo dell'idea dei diritti umani.
a) Antecedenti. b) Sviluppi moderni dell'idea dei diritti umani. c) Diritti naturali. d) I diritti umani nel diritto
positivo. 4. I diritti umani nella legislazione nazionale: 1789-1945. a) La costituzionalizzazione dei diritti umani:
gli Stati Uniti. b) I diritti umani nelle legislazioni europee. 5. I diritti umani nell'ambito internazionale.
a) Universalizzazione e internazionalizzazione dei diritti umani. b) La Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo. c) La costituzionalizzazione dei diritti. d) La tutela dei diritti umani nel diritto internazionale.
e) Strumenti internazionali per l'applicazione dei diritti umani. f) L'azione degli enti regionali. g) Diritti umani e
politica internazionale. 6. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
I 'diritti dell'uomo' o 'diritti umani' designano quell'insieme di principî morali che governano il rapporto tra
l'uomo e la società: tali principî vennero generalmente accettati nella seconda metà del XX secolo. Il
riconoscimento dei diritti umani, e l'impegno a rispettarli, trovano un riscontro nelle costituzioni e nelle leggi
di quasi tutte le nazioni del mondo. Il mancato rispetto e la mancata garanzia dei diritti umani ha costituito
una delle principali cause di instabilità politica e di sofferenza umana in molti paesi. La garanzia dei diritti
umani è diventata una preoccupazione costante della politica internazionale e materia di diritto
internazionale.
2. Idea e contenuto dei diritti umani
L'espressione 'diritti umani' viene talvolta usata colloquialmente per designare in modo generico i principî di
'giustizia' o i valori connessi alla 'società buona'. Talvolta, il termine è usato come sinonimo di 'democrazia'. A
rigore, tuttavia, l'idea dei diritti umani non è sinonimo di tali valori, anche se presenta importanti affinità con
essi. In senso proprio, essa afferma che ogni essere umano ha certi specifici 'diritti' o legittime rivendicazioni
nei confronti della società in cui vive. La società deve rispettare e tutelare la vita dell'individuo, la sua integrità
fisica e la sua proprietà, oltre a determinate libertà e immunità e ad altri diritti civili o politici. La società deve
anche perseguire la soddisfazione dei bisogni fondamentali degli individui e la realizzazione di altri diritti
economici e sociali. Le nazioni del mondo si sono formalmente impegnate al rispetto dei diritti umani con la
Carta delle Nazioni Unite , e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea
generale dell'ONU nel dicembre del 1948, presenta un catalogo autoritativo delle libertà, delle immunità e
dei diritti riconosciuti come diritti umani nella seconda metà del XX secolo.
I diritti umani derivano da alcuni principî condivisi relativi ai diritti e alle obbligazioni morali tra gli individui; la
società è tenuta a garantire che tali diritti siano rispettati e goduti effettivamente dai cittadini, e che siano
inoltre rispettati e applicati dai governi e dai funzionari dello Stato. Il fatto che i diritti umani assurgano al
rango di diritti significa che essi non sono una questione di carità o di amore, e non possono dipendere
dall'arbitrio dello Stato o del governo; essi spettano a ciascun individuo, e ciascun individuo li ha, 'di diritto'.
La loro natura giuridica impone alla società di approntare leggi e istituzioni, o altri strumenti affinché gli
individui possano effettivamente esercitarli. Il fatto che si tratti di diritti umani, a sua volta, comporta che essi
riguardano ogni essere umano in quanto tale, indipendentemente da qualsiasi altra sua qualità o
caratteristica, quali la razza, il colore, il sesso, la lingua, le convinzioni politiche, religiose o di altro tipo, la
nazionalità o l'estrazione sociale, la ricchezza personale, la nascita, la cittadinanza, e via dicendo (anche se
uno Stato è tenuto a garantire alcuni di questi diritti solo ai suoi cittadini, ad esempio,&nb
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