GIOVEDÌ
2 SETTEMBRE 2004
APPUNTAMENTI
ARTE PRESENTE E FUTURA
◆ La mostra«Arte presente-Arte
Futura» si aprirà oggi all’exArsenale di Verona e rimarrà
aperta fino a martedì 7 settembre.
Nel corso della rassegna verranno
proiettati cortometraggi e
documentari di alcuni giovani
veronesi e internazionali; domani
si svolgerà la performance di David
Tomasi «Incomunicabilità» e dalle
ore 19,00, saranno proiettati i
cortometraggi dell’Associazione
Corto Corrente di Verona. Venerdì
sarà presentato il libro di Alberto
Fezzi «Sognando un Negroni.
Luoghi e locali del giovane
veronese» e sabato, alle ore 18.00, è
prevista una conferenza di Pietro
Ciabattini. Domenica saranno
proiettati i cortometraggi
di Circuito Off Venice
International Short Film Festival.
COSTUME
E SOCIETÀ
La neuroscienza
si dà al marketing
Scannerizzare il cervello
attraverso gli strumenti
diagnostici delle neuroscienze per
scovare il «pulsante d’acquisto»
dei prodotti. E ideare così la più
efficace campagna pubblicitaria.
Sarebbe questo il neuromarketing,
secondo il numero di «Selezione
Reader’s Digest» oggi in edicola. In
particolare, si tratterebbe di usare
la risonanza magnetica per
studiare le reazioni del cervello
agli stimoli commerciali, fino a
trovare la parte del cervello che si
attiva quando una persona deve
scegliere fra due o più prodotti.
Secondo la rivista, lo studio di
Read Montagne, ricercatore del
Baylor College of Medicine di
Houston, evidenzierebbe per
esempio che la Coca-Cola provoca
un’attività cerebrale più intensa
della Pepsi non nell’area del gusto,
ma anche nella corteccia
prefrontale responsabile delle
funzioni superiori che regolano il
meccanismo di scelta. Il maggior
centro di neuromarketing è il
BrightHouse Institute for
Thought Science di Atlanta, nato
nel 2001 e che conta tra i suoi
clienti perfino il Metropolitan
Museum of Art di New York.
Pivano e i Rapa Nui
premiati per la pace
L’edizione 2004 del Premio per la
Pace di Massa Carrara verrà
assegnato oggi alla scrittrice
Fernanda Pivano (nella foto) e al
popolo dell’Isola di Pasqua. Nel
corso della cerimonia di
premiazione, presso l’Apt di
Massa, l’assessore provinciale
alla cultura, Fabio Evangelisti,
assegnerà il riconoscimento alla
saggista italiana. Il tributo è
inoltre dedicato al popolo Rapa
Nui, erroneamente ritenuto
dall’Occidente in via di
estinzione e capace, invece, di
continuare nella propria
esistenza rivendicando e
difendendo la propria identità.
Valorizzazione e rispetto delle
popolazioni autoctone come i
Rapa Nui sono l’obiettivo del
progetto promosso dalla
Fondazione Marenostrum e dalle
Cave Michelangelo di Carrara,
avviato in seguito a un protocollo
di intesa culturale siglato proprio
all’Isola di Pasqua dalla missione
culturale italiana facente capo
alla Fondazione Marenostrum
Onlus, con la direzione
scientifica di Francesco di Castri
e quella artistica di Marco Nereo
Rotelli. Un laboratorio di artisti e
di scienziati ha operato nell’isola
del Pacifico realizzando
installazioni e performance. In
omaggio alla Pivano, il Matatòa
Group Dance, per la prima volta
in Italia, eseguirà dopo la
cerimonia della premiazione una
danza tribale della pace. Un
progetto speciale dedicato
all’Isola di Pasqua verrà
presentato nei prossimi giorni al
lido di Venezia, all’interno della
mostra internazionale di scultura
Openasia, in occasione della
Biennale del Cinema.
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Arriva il logo
per i «no logo»
DI CHIARA ZAPPA
a nuova sfida allo strapotere
del logo è fatta con i piedi.
Anzi, con le scarpe. Scarpe
nate «per prendere a calci Phil
Knight», il fondatore e padrone
dell’impero Nike. È questa l’ultima
trovata dei creativi canadesi
Adbusters, inventori dell’omonima
rivista anti-pubblicità, che hanno
deciso di fare un passo avanti nella
loro tradizionale critica
all’egemonia economica e culturale
delle grandi multinazionali. Se fino
ad ora, infatti, tale critica si era
limitata ad azioni e anti-campagne
pubblicitarie che sbeffeggiavano i
luoghi comuni della logica del
marchio e ne mettevano in luce le
contraddizioni, oggi la protesta ha
preso forma in un prodotto, e non
un prodotto a caso.
Per sferrare un attacco al potere del
logo, infatti, quale scelta poteva
essere più azzeccata di un paio di
scarpe da tennis, prodotte
eticamente, di buona qualità e
soprattutto alternative a quelle
scarpe che proprio sul marchio –
l’ormai onnipresente "baffo" –
hanno costruito la loro fortuna?
Ecco allora l’idea di Kalle Lasn,
l’oggi sessantenne fondatore di
Adbusters: cominciare a produrre
delle scarpette unswoosher,
letteralmente «anti-baffo», che
potessero rappresentare per i
consumatori critici una valida
alternativa alle Nike diventando
simbolo di una contro-identità. E,
in potenza, trasformarsi anche in
una minaccia reale per l’impero di
Phil Knight.
Un progetto a dir poco ambizioso, a
cui tuttavia il gruppo canadese si è
dedicato negli ultimi mesi anima e
corpo, portando a casa i primi
risultati: partirà a settembre infatti
la produzione delle «Black spot
sneaker», le scarpe da tennis
«Punto nero» (quello stesso black
spot divenuto ormai simbolo della
protesta anti-multinazionali). A
sfornarle sarà una fabbrica
portoghese, individuata dopo una
ricerca difficile e una lunga serie di
test relativi all’eticità della
produzione.
Per partire con la fase operativa del
progetto era necessario avere
almeno cinquemila prenotazioni
delle scarpette, ma i creativi di
Vancouver ne hanno già ricevute
oltre diecimila, e gli ordini crescono
al ritmo di 350 a settimana.
All’aspetto, le scarpe "anti-Nike",
che costeranno intorno ai 45
dollari, somiglieranno alle vecchie
gloriose Converse All Star di Chuck
Taylor, lanciate nel 1923 e rimaste
nei decenni un simbolo di una
L
Gli Adbusters lanciano
le scarpe da tennis
«etiche» e alternative
per fare concorrenza
alle multinazionali
Spot da mezzo milione
di dollari e molte
proteste: «È una resa
alle logiche di mercato»
contro-cultura indifferente al
mutare delle mode. Fino all’anno
scorso, quando la Converse, che da
tempo navigava in cattive acque, è
stata acquisita proprio dalla Nike. È
stato quindi un passo quasi
naturale per Lasn e compagni
«decidere di fare una replica delle
Converse e metterci sopra il nostro
marchio».
Un’idea, quella di «combattere la
Nike con le sue stesse armi», che ha
fatto gridare allo scandalo migliaia
di attivisti in tutto il mondo: la
rivista Adbusters ha ricevuto una
valanga di e-mail inorridite di
fronte al progetto di una mega
campagna da mezzo milione di
dollari per promuovere le nuove
scarpe da tennis e alle pubblicità
unswoosher già apparse su vari
giornali e reti televisive, dal New
York Times alla Cnn. Molti lettori
hanno addirittura disdetto
l’abbonamento alla rivista,
sentendosi traditi nella loro lotta al
logo e alle logiche del mercato, e il
dibattito si è allargato ben oltre la
cerchia degli Adbusters.
La stessa Naomi Klein, guru del No
logo, ha preso le distanze
dall’iniziativa dei suoi compaesani
antipubblicitari: «Penso che chi
analizza la commercializzazione
delle nostre vite – ha dichiarato sul
Toronto Globe&Mail – abbia la
responsabilità di proteggere i
propri spazi da tale
commercializzazione e
non possa
semplicemente
schierarsi dietro a
Toscani: «Le aziende e i loro contestatori
condividono lo stesso idolo: il prodotto»
n questo progetto vedo soltanto un fonda«
I
mentalismo che si contrappone a un altro
fondamentalismo». È secco il commento di Oliviero Toscani (nella foto), pubblicitario e creativo
con una lunga storia di campagne provocatorie alle spalle, che tuttavia di fronte all’ultima provocazione degli Adbusters resta più che perplesso.
Perché questo giudizio netto?
«Se quello della Nike è il fondamentalismo del
marketing e del profitto, quello del gruppo canadese è il fondamentalismo di un certo moralismo
che esprime mediocrità, come qualsiasi forma di embargo o boicottaggio. E
anche se i due sono sempre in collisione, in realtà derivano dallo stesso retaggio culturale, da quello stile di vita americano sintetizzato nella sigla Wasp,bianco anglosassone protestante,che ha creato un sistema che dà al prodotto un significato centrale, nel bene e nel male».
Ma questo esperimento ha possibilità di avere successo?
«Non nel senso che danno a intendere i suoi inventori: se anche, per assurdo,le Black spot sneakers dovessero vendere centinaia di migliaia di pezzi e trasformarsi in scarpe-simbolo, quale sarebbe il successo? Quello di essere diventate delle nuove Nike…».
Ma l’idea è proprio quella di offrire un prodotto che trasmetta altri valori…
«Anche se fosse, si vuole trasmetterli seguendo le stesse regole e le stesse
logiche che si dice di avversare, e questa è una contraddizione evidente».
In passato, tuttavia, negli Usa ci sono stati esempi di prodotti che
hanno avuto successo perché erano portatori di un’identità.
«Certo, ad esempio il progetto Fubu, «For us, buy us»: alcuni imprenditori
neri lanciarono sul mercato una linea di abbigliamento per neri, in alternativa agli abiti pensati per i consumatori neri prodotti da grandi imprese di
proprietà di bianchi. È vero, fu un successo, ma gli inventori di Fubu volevano solo conquistare una fetta di mercato: il loro obiettivo rimaneva dichiaratamente nel campo del business, anche se faceva forza su un’identità».
In Italia quest’iniziativa degli Adbusters potrà trovare spazio?
«Non credo proprio: noi italiani siamo in un certo senso troppo provinciali per riuscire ad identificarci in un prodotto, come simbolo contrapposto
ad un altro, e per appassionarci a una sfida di questo tipo».
Chiara Zappa
movimento destinato a mandare a
un altro marchio "antigambe all’aria questo capitalismo».
multinazionali"». Ma Kalle Lasn
Chi volesse partecipare all’impresa,
difende la sua idea. Che, sostiene,
può già prenotare un paio di
potrà avere effetti potenzialmente
Blackspot sneakers sul sito creato
epocali: «Penso che se avremo
apposta:
successo con le nostre scarpe – ha
www.blackspotsneaker.org. E
affermato il leader di Adbusters –
vedere come andrà a finire la sfida.
altre persone ripeteranno
l’esperimento contro altre
multinazionali e, se
proveremo che questa
tattica può
LE ORIGINI
funzionare,
potrebbe anche
Sono i situazionisti i padri
diventare un
dei «guastatori mediatici»
Internazionale situazionista si
formò nel 1957 dall’unione di
diversi gruppi di avanguardia artistica
come l’Internazionale lettrista, il
Movimento internazionale per un
Bauhaus immaginista e il Comitato
psicogeografico di Londra. Il
movimento pose alla base della
propria azione la questione del
supermento dell’arte e, in ottica più
allargata, una critica feroce alla società
consumistica. Libro
cardine
dell’Internazionale
situazionista è stato
«La società dello
spettacolo» scritto
nel 1967 – e
aggiornato nel 1988
– da Guy Debord
(nella foto), il
maggior teorico del
movimento. Negli
anni Debord acquisì una posizione
rigida e dominante che portò a un
susseguirsi di allontanamenti,
espulsioni e abbandoni da parte di
molti membri. Il momento di maggior
gloria del movimento si ebbe durante
il Maggio francese, i cui slogan più
riusciti furono coniati proprio dai
situazionisti. Il movimento si sciolse
nel 1972 per «esaurimento della
spinta propulsiva». Debord si suicidò
nel 1994. (S. Gul.)
L’
il movimento
Grazie a Internet i boicottaggi
e la «resistenza culturale»
coinvolgono tutto il mondo
DI STEFANO GULMANELLI
no degli effetti della rivoluzione tecnologico-mediatica indotta dall’avvento di Internet è senza dubbio il rilancio e l’apporto di nuova linfa al sistema
di pensiero che – riferendosi più o meno esplicitamente all’Internazionale situazionista di Guy Debord – si colloca in posizione
di netto antagonismo allo strapotere dei media e della pubblicità. La Rete ha infatti reso
possibile la mondializzazione di forme di
boicottaggio e opposizione che prima rimanevano relegate in contesti più limitati e
per certi aspetti underground. Iniziative di
«resistenza e dissonanza culturale» per comodità riunite sotto l’ombrello del cosiddetto Culture Jamming (interferenza culturale) e che fanno proprie le tecniche comunemente identificate con l’estetica postmoderna: l’appropriazione, il collage, la giustapposizione e l’inversione ironica del senso.
In questo senso il richiamo allo spirito di Debord non potrebbe essere più diretto. «Innanzitutto crediamo che il mondo vada
cambiato» sono le prime parole del documento con cui nel 1957 nasceva l’Internazionale situazionista. E il mondo che andava rivoltato era la Società dello spettacolo –
titolo del libro di Debord divenuto testo fondamentale per quest’area di pensiero – ovvero lo spazio culturale integrato e commercializzato in cui «tutto viene trasformato in una rappresentazione di se stesso», e di
cui la pubblicità è perno centrale e quindi
bersaglio privilegiato.
Anche la lotta senza quartiere alla pubblicità di Adbusters recupera l’eredità situazionista; una lotta che il gruppo conduce impossessandosi di immagini e icone pubblicitarieper ribaltarne il messaggio. Gli adep-
U
Il sarcasmo irriverente dei «jammer»
stravolge i codici della società dell’immagine
ti di Debord lo chiamavano detournement
naia di esemplari di Barbie messi poi sugli
(decontestualizzazione), parola a metà strascaffali dei negozi, per dare alle giovani acda fra l’idea di "deviazione" e l’atto del "diquirenti il brivido di sentire la loro bamborottamento".
la urlare con voce roca: «La vendetta è mia».
Il bersaglio "grosso" dei jammer è il mondo
Il gruppo ®TMark definisce se stesso «una
delle multinazionali e, in
particolare, il linguaggio usato nella relazione con il
consumatore/cliente. «È im- IN RETE
possibile liberarsi di un
mondo – dice l’autore situawww.adbusters.org: il collettivo dei «guastatori
zionista Mustapha Khayati
mediatici» che editano la rivista simbolo del «jamming».
– senza liberarsi del linhttp://rtmark.com: la corporation più antiguaggio che lo nasconde e
corporation al mondo.
lo protegge». E proprio conwww.disinfo.com: una finestra spalancata su un
tro questo linguaggio si acmondo di paranoia, cospirazione e finte verità.
canisce ®TMark (pronunhttp://plagiarist.org: gruppo dedito alla modifica
ciato artmark), un altro
«strategica» dei contenuti della Rete
gruppo protagonista di ehttp://theyesmen.org: sedicenti «impostori alla
clatanti azioni di sabotaggio
ricerca di occasioni per infiltrarsi nel mondo del
culturale. A partire dal supcapitalismo planetario».
porto all’ormai mitica Barwww.urbanize.org: collettivo di «guerrilla street art».
bie Liberation Organization
(S. Gul.)
(Blo), che ha scambiato i
moduli linguistici di centi-
corporation leader nel settore per l’immissione sul mercato pubblico di produzione
culturale emarginata», chiama i propri sostenitori «investitori» e dichiara che il proprio risultato finale da perseguire è «il profitto culturale». Ed in ogni manifestazione
di opposizione culturale – dal lancio di siti
cloni con testi modificati all’attacco alla
dot.com del giocattolo eToy – il frasario corporate viene usato e ritorto contro i suoi tradizionali utilizzatori. «Crediamo che adottando il linguaggio, i comportamenti, i diritti
legali e le abitudini culturali delle corporation – dice Frank Guerriero, portavoce di ®TMark – sia possibile confrontarci con loro
sul loro stesso terreno ed evidenziare quanto le conseguenze del loro agire possano diventare assurde e inaccettabili».
Sul versante dell’attacco al potere mediatico – anche questo a suo tempo teorizzato
dai situazionisti («Bisognerebbe approfittare del fatto che gli studi radio televisivi non
sono per ora sorvegliati da truppe… False edizioni dei giornali possono accrescere lo
scompiglio nel campo nemico...», scriveva
Debord) – un approccio particolarmente sofisticato è quello del sito Disinformation, che
cerca di mettere in discussione l’informazione sbeffeggiando il concetto giornalistico di obiettività. «Tutto ciò che sapete è sbagliato» campeggia sulla testata del sito che
spazia dagli Ufo alla situazione dei prigionieri di Guantanamo, dalle api assassine alle cospirazioni pluto-massoniche della famiglia presidenziale Bush. Articoli che il lettore, date le premesse, non sa se ritenere
"informazione alternativa", tradizionalmente trascurata dai media mainstream, o
invece pura e semplice invenzione burlesca.
Il che genera proprio quell’effetto di spiazzamento tanto predicato a suo tempo da Debord ed epigoni.