Suri: l`Apollo nero degli Etruschi

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di Paola Di Silvio
Tra le divinità senza dubbio più sfuggenti e, in quanto tali, più suggestive del pantheon etrusco,
figura Suri, numen dai molteplici aspetti, la cui complessità è comprovata dalle diverse
identificazioni con divinitàpiù note del mondo greco e romano. Il suo carattere ctonio, sotterraneo, è
denunciato già dal nome. Come ha ampiamente dimostrato Giovanni Colonna, in uno dei suoi studi,
la forma base, Sur, è traducibile come “il Nero”, mentre la forma derivata, Suri, sta a significare
“quello del Nero” o “quello che è nel Nero”, dove “Nero” va interpretato in senso spaziale, in
riferimento ad un luogo, che è ovviamente da identificare con l’Ade, l’Orcus dei Latini. Il fatto che il
dio fosse indicato in modo indiretto, con un giro di parole, stava ad indicare la sua innominabilità.
Anche in Grecia gli dei degli inferi, funesti e vendicatori, non venivano quasi mai chiamati con il loro
nome, ma solo con epiteti, per non attirare troppo la loro attenzione con un’evocazione diretta.
Quindi un dio terribilis, dell’oscurità, a cui venivano spesso offerti lingotti di piombo fuso, un metallo
che, nonostante si presentasse di colore chiaro, era chiamato dai Latini plumbum nigrum. In onore
di Suri, venivano eretti cippi in basalto o pietra vulcanica, di color nero, bluastro o verde cupo,
recanti il segno di un fulmine, simbolo del potere del dio sugli elementi della natura. Allo stesso tipo
di potere facevano riferimento le offerte di frecce e giavellotti, ritrovati nei santuari a lui dedicati.
L’interpretatio graeca come Apollo, attestata per Pyrgi da Eliano e ripetuta per l’omologo falisco del
Pater Soranus del Monte Soratte da Virgilio e da iscrizioni votive latine, si fonda anche su questo
tipo di offerte, evocanti ad occhi greci il dio arciere e punitore per eccellenza.
L’assimilazione di Suri, nero e funereo, ad Apollo, divinità solare e luminosa, deve essere stata
determinata anche dalla tutela di entrambe le divinità sull’arte della divinazione, la cui massima
espressione si era avuta in tutto il Mediterraneo attraverso l’oracolo di Delfi.Le capacità oracolari di
Suri, sono compravate dal ritrovamento, in connessione con il suo culto, di astragali e sortes,
utilizzati per predire il futuro. E’ stata sottolineata anche l’assonanza con l’epiteto Sourios
dell’Apollo di un oracolo licio, quello di Sura, celebre per l’ittiomanzia, che vie era praticata. Il culto
di Suri ha numerose attestazioni in Etruria. La più importante riguarda un sacello della cosiddetta
Area sud del complesso sacrale di Pyrgi, porto di Caere, dove era venerato insieme a Cavtha, con cui
formava una coppia infernale, corrispondente a quella classica di Ade e Persefone.
La stessa coppia la ritroviamo nel santuario della Cannicella di Orvieto, sul sarcofago di Torre San
Severo e in alcune tombe dipinte orvietane, tarquiniesi e vulcenti (Golini I, Orco II e Campanari),
dove talvolta è accompagnata dai nomi di Aita e Phersipnai, invece assenti nelle iscrizioni votive. Un
culto a Suri è attestato anche a Tarquinia, in questo caso in coppia con Selvans, ad Orvieto, nel
santuario del Belvedere e ad Arezzo, dove il suo nome compare su un gettone oracolare. Da Suri
derivava anche il nome dell’Apollo dei Falisci, il Pater Soranus, al quale era consacrato il Monte
Soratte e che era venerato dagli Hirpi Sorani, i famosi sacerdoti vestiti di pelli di lupo. La natura
ctonia, sotterranea, del dio, indusse il popolo etrusco a collegarlo anche alla presenza di acque
Ereticamente
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calde, vapori ed esalazioni sulfuree, dagli antichi interpretati come manifestazioni magiche e divine.
Nell’area viterbese e dei Monti Cimini tali manifestazioni erano assai presenti e pertanto alcuni
toponimi di questo comprensorio, come Soriano e Musarna, contengono inequivocabilmente il nome
di Suri e fanno a buon diritto ipotizzare che tutta l’area fosse consacrata a questa divinità, che in
zona ebbe poi una identificazione più tarda con Eracle-Ercole, eroe greco da sempre collegato a
contesti cultuali caratterizzati dalla presenza di acque sorgive. Anche il centro più importante di
tutta l’area cimina, quello che nel Medioevo diventerà Viterbo (Vetus urbs), lega le sue origini in
maniera indissolubile al culto di Suri. In una serie di epigrafi latine, datate tra l’età augustea e il II
sec. d.C., rinvenute nel territorio viterbese, vengono citati gli etnici Sorrinenses e Sorrinenses
Novenses, che consentono di ipotizzare l’esistenza di una città etrusca, Surina, che la tradizione
storico-erudita vorrebbe ubicata a Viterbo, sul colle del Duomo, rifondata in età romana con il come
di Sorrina Nova. Si tratterebbe di un nome teoforico, ossia derivato da una divinità, Suri, a cui è
stato aggiunto il suffisso aggettivale “-na”, e quindi traducibile come “la città di Suri”.
Evidentemente le numerose manifestazioni termali della zona, risorsa che determinerà in epoca
romana la costruzione di sontuosi impianti per lo sfruttamento dei benefici della acque sulfuree,
avevano convinto gli Etruschi che il dio avesse quasi scelto quel territorio come sua principale
dimora. Anche in questo contesto a Suri era dedicato un culto di tipo oracolare, comprovato dal
ritrovamento nel territorio viterbese (loc. Cipollara) di una sors cleromantica, una lastrina
rettangolare di bronzo (10x 1 cm), con incisa una breve iscrizione in cui compare il nome del dio e
un aggettivo che ne qualifica i poteri. La lastrina attribuibile al IV-III sec. a.C., oggi conservata nel
Museo di Villa Giulia a Roma, era usata per conoscere il futuro e la volontà divina.
Rarissime sono infine le immagini note del dio. Di fatto l’unica a lui ascrivibile è quella che
presentano due antefisse sporadiche di Vulci (IV-III sec. a.C), che ne raffigurano la testa con un
fulmine tra di denti. Dobbiamo immaginare, come nel caso del nome, che la sua natura rendesse
deprecabile qualsiasi tipo di evocazione, sonora o iconografica.
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