Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
Composta dai magistrati:
Dott. Luciano Pagliaro
Presidente
Dott. Vincenzo Lo Presti
consigliere
Dott. Giuseppe Grasso
referendario relatore
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 653/2012
Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n.58098 del registro di
segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di:
Destro Carmelo nato a Bronte (CT) il 3/1/1959, ed ivi residente in
Maniace (Ct), via Boschetto 31.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 17 gennaio 2012, il relatore dott.
Giuseppe Grasso, il Pubblico Ministero, nella persona del dottor
Gianluca Albo.
FATTO
Con atto di citazione depositato il 23/12/2010 e regolarmente
notificato, il procuratore regionale ha citato il signor Destro
Carmelo residente in Maniace, per aver indebitamente percepito
finanziamenti a carico del bilancio comunitario dall’AGEA relativi
1
alla zootecnia per gli anni 1995,1996 1998 in violazione della legge
575/1965, in quanto soggetto destinatario di provvedimento di
sorveglianza speciale per la durata di tre anni, adottato dalla Corte
di appello di Catania il 8/11/1995, divenuto esecutivo il 12/12/1995.
Il convenuto avrebbe dunque indebitamente percepito la somma
complessiva di € 7.625,56.
In particolare, parte attrice richiama l’applicazione dell’art. 10 della
legge 575/1965 che vieta a persone a cui è stata applicata una
misura di sicurezza di percepire qualsiasi erogazione finanziaria
pubblica.
Il PM evidenzia il comportamento doloso del convenuto che ha
tenuto nascosta all’ente erogatore l’applicazione della misura di
sicurezza.
Il convenuto non si è costituito; ma risulta che l’AGEA in data
28/6/2010 gli ha notificato ingiunzione speciale ex R.D. 639/1910
per il recupero della predetta somma e che ad essa non sia stata
fatta opposizione.
DIRITTO
La domanda del Procuratore Regionale deve ritenersi e dichiararsi
improcedibile nei termini di seguito indicati, affermando la
giurisdizione della Corte dei conti nel giudizio di opposizione
all’ingiunzione ex R.D. 639/1910 in materia di recupero di
finanziamenti pubblici e più in generale di responsabilità
amministrativa.
Preliminarmente, devono essere riassunti i termini della questione
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sulla base della giurisprudenza di questa sezione e della sezione
di appello.
Con le precedenti pronunce n.1113 e 1193/2010 questa sezione
aveva affermato l’improcedibilità dell’azione del PM tesa al
recupero dell’indebito finanziamento, stante l’esistenza di un titolo
esecutivo formatosi a seguito della mancata opposizione dei
convenuti all’ingiunzione speciale prevista dal R.D.639/1910.
In particolare, nella prima sentenza si è affermato: Dalla disamina
della documentazione contenuta nel fascicolo processuale si
deduce, altresì, che l'Amministrazione danneggiata, per i fatti di cui
è causa, non solo si è già munita di un titolo esecutivo sulla cui
base procedere al recupero del danno erariale, quale l'ordinanza
ingiunzione emessa ai sensi del regio decreto n. 639/1910, non
oggetto di alcuna opposizione da parte del convenuto, ma anche
che sta procedendo a recupero, tramite il concessionario Equitalia,
del credito erariale di cui ha chiesto l'iscrizione a ruolo.
Ne consegue che l'azione del Pubblico Ministero contabile, quale
organo promotore di giustizia agente nell'interesse del pubblico
erario e, quindi, dell'Amministrazione danneggiata (nella specie
l'Agea), deve essere dichiarata inammissibile per sopravvenuta
carenza di interesse ad agire in quanto l'art. 100 c.p.c. statuisce
che "per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è
necessario avervi interesse”, e tale interesse deve sussistere sino
alla decisione del giudizio.
L'interesse ad agire, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio in
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qualunque stato e grado del processo (ex pluris Cassazione, II
sezione
,
30.06.2006
nell'esigenza
di
n.
ottenere
15084), deve
un
risultato
consistere,
utile
infatti,
giuridicamente
apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice; tale
requisito non può identificarsi con un mero interesse astratto ad
una pronuncia giudiziaria che dal punto di vista concreto non
potrebbe
avere,
controversia,
come
alcun
per
la
riflesso
particolarità
pratico
dal
della
presente
momento
che
l'Amministrazione danneggiata, non solo si è già munita di titolo
esecutivo (Cassazione, sezione Il, 14.10.2004 n. 20304), ma sta
anche provvedendo al recupero del danno subito, tramite
l'iscrizione a ruolo; in altri termini, una statuizione di condanna
sarebbe in questa sede inutiliter data.
Aggiungasi che un'eventuale sentenza di condanna pronunciata da
questa
Corte
dovrebbe
essere
eseguita
dalla
stessa
Amministrazione danneggiata (nei limiti di quanto ancora non
recuperato) che,per lo stesso credito, come già detto, si è munita
di altro titolo esecutivo, iscritto a ruolo.
La Corte di Cassazione (Il sezione, 30 giugno 2006 n. 15084; I
sezione, 21 luglio 2004 n. 13518) ha affermato, in materia analoga,
il principio secondo cui il creditore che abbia ottenuto una
pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo
diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex
novo ulteriore pronuncia di condanna contro il medesimo debitore
per lo stesso titolo e lo stesso oggetto; una deroga a tale principio
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è possibile solo tutte le volte in cui la domanda di condanna, pur
nella preesistenza di altro ed analogo titolo giudiziale, non risulti
diretta alla mera duplicazione del titolo già conseguito, ma faccia
valere una situazione giuridica che non abbia trovato esaustiva
tutela e sia diretta al perseguimento di un risultato ulteriore rispetto
a quello in precedenza ottenuto.
L'ordinanza di cui al regio decreto n. 639/1910, come più volte
statuito dalla Corte di Cassazione (ex multis III Sezione n.
8335/2003; I Sezione n. 8162/2000, n. 2894/1997 e n. 1527/1996),
è espressione del potere di autoaccertamento e dì autotutela della
Pubblica Amministrazione, cumulando in sé la duplice natura e
funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dall'Ente
pubblico
nell'esercizio
del
suo
peculiare
potere
di
autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all'inizio
dell'esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo
esecutivo civile ordinario è l'atto di precetto, con la conseguenza
che la decorrenza del termine stabilito dall'art. 3 del citato regio
decreto per proporre opposizione produce decadenza, ovverosia
irretrattabilità del credito, qualunque ne sia la fonte, di diritto
pubblico o di diritto privato, da cui esso promana. In altri termini,
pur dovendosi escludere che l'ingiunzione sia suscettibile di
acquistare efficacia di giudicato al pari della statuizione giudiziaria,
la decadenza non è altrimenti evitabile che con la proposizione del
giudizio di opposizione e in difetto di ciò si produce l'effetto - di
natura sostanziale e non solo processuale - della incontestabilità
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delle ragioni di credito indicate nell'ordinanza, "effetto ovviamente
non eludibile attraverso la proposizione di un'azione [autonoma] di
accertamento negativo"; da questo punto di vista la mancata
impugnazione
dell'ordinanza
nel
termine
previsto
produce,
concretamente, la stessa conseguenza del giudicato giudiziario,
ovverosia l'impossibilità di contestare da parte del destinatario le
ragioni del credito dell'Amministrazione agente.
In termini conformi è la successiva sentenza n.1393/2010 di
questa sezione.
A riforma di queste decisioni si è pronunciata la sezione di Appello
Sicilia con la sentenza n.139 e145/2011 in cui si è invece
affermata comunque la necessità di una pronuncia giurisdizionale,
in particolare :… il diritto di natura risarcitoria che il procuratore
regionale attiva con l’esercizio dell’azione di responsabilità (e che
nella nuova connotazione della responsabilità amministrativa ha
anche carattere sanzionatorio), pur traendo origine dai medesimi
fatti, non è identificabile né del tutto sovrapponibile con il diritto di
credito che l’amministrazione danneggiata può direttamente ed
autonomamente esercitare nei confronti dello stesso soggetto
autore del fatto dannoso(Corte dei conti, Sez. II centr. app., 18-12002, n. 10).
Nell’attuale sistema delle “materie di contabilità pubblica” si può
affermare che il giudizio di responsabilità amministrativa non ha
solo la funzione di procurare alla P.A. danneggiata un “titolo
esecutivo” che le consenta di ripristinare, a carico di un
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determinato soggetto, il patrimonio leso, bensì anche quella di
accertare o escludere la responsabilità (sia essa contrattuale o
extracontrattuale) di un determinato soggetto nella gestione delle
risorse pubbliche, con la triplice finalità di eventualmente
sanzionarne il comportamento mediante le regole proprie della
responsabilità amministrativa, di offrire alla P.A. elementi di
valutazione di quel determinato soggetto nell’ambito degli ulteriori
rapporti presenti o futuri con quest’ultimo intercorrenti e, infine, di
produrre tutti quegli ulteriori effetti, anche di status, che
l’ordinamento eventualmente preveda come direttamente connessi
ad un pronuncia di responsabilità amministrativa……. Non senza
significato, poi, al fine che qui interessa, appare quella
giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha più volte escluso
che l’amministrazione pubblica danneggiata possa esercitare (al di
fuori della costituzione di parte civile nel processo penale) l’azione
civile contro i propri dipendenti, in base all’argomento che la Corte
dei conti abbia, in materia, giurisdizione esclusiva (SS.UU. civili,
sentenze 22 dicembre 1999, n. 933 e 4 dicembre 2001, n. 15288),
rafforzata dalle argomentazioni più recentemente sviluppate dalla
Corte Costituzionale (sentenza n.272/2007) in ordine alla non
assimilabilità del giudizio civile a quello amministrativo sul danno ai
fini dell’applicazione dell’articolo 75 cod. proc. pen., del quale deve
escludersi la riferibilità all’ambito di cognizione della Corte dei conti
(cfr. ex multis Corte dei conti, sez. III, 4 novembre 2005, n. 651, e
sez. I, 30 giugno 2004, n. 244).
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D’altronde, l’affermazione di origine giurisprudenziale secondo cui
la giurisdizione di questa Corte nelle materie di contabilità pubblica
non
avrebbe
carattere
cogente
ed
assoluto,
ma
solo
tendenzialmente generale, sicché la concreta attribuzione della
giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità
amministrativa richiederebbe l'interpositio del legislatore ordinario,
cui competono valutazioni e scelte discrezionali (in questo senso,
ad esempio, C. cost. 17 dicembre 1987, n. 641; C. cost. 12
gennaio 1993, n. 24; C. cost. 5 novembre 1996, n. 385, tra le
tantissime), non indebolisce ma rafforza le conclusioni alle quali
ritiene di dovere pervenire questa Sezione, alla luce del noto
arresto giurisprudenziale contenuto nella sentenza n.19667/2003
delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, secondo
cui il legislatore, con e dopo la legge n. 20/1994, in materia di
giurisdizione per la responsabilità amministrativa avrebbe inteso
operare per blocchi di materia, dando concreta e puntuale
applicazione al secondo comma dell’art. 103 della Costituzione,
devolvendo alla Corte dei conti l’intera materia, prima frammentata
fra A.G.O. e giurisdizione contabile …. Da tutto ciò consegue che
l’azione di responsabilità amministrativa non può trovare ostacoli al
proprio pieno compimento né nell’adozione di strumenti alternativi,
dei quali sia titolare la P.A. danneggiata, per il recupero del danno
subito, né nel concorrente ricorso ad altre giurisdizioni da parte
della medesima P.A. che deve ritenersi precluso dal carattere
esclusivo della giurisdizione contabile nelle materie di contabilità
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pubblica.
Tali argomentazioni tutte in generale condivisibili, necessitano però
di precisazioni che conducono ad affermare la giurisdizione della
Corte dei conti, anche per i giudizi di opposizione all’ingiunzione
speciale prevista dagli art. 2 e 3 del R.D. 639/1910 e la
declaratoria
di
improcedibilità
dell’azione
del
PM
per
la
sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell’art.100 c.p.c., che
viene assorbita e sostituita dall’integrale recupero dell’indebito
attraverso l’azione amministrativa, la quale può essere contestata
dall’interessato mediante autonoma opposizione davanti allo
stesso giudice contabile.
In realtà, la sentenza della sezione di Appello ha riformato
l’orientamento di questa sezione, ritenendo la necessità comunque
di una decisione, in presenza di ingiunzione anche non opposta e
seguita da iscrizione a ruolo, sul presupposto che la materia non
rientrasse nella giurisdizione contabile, affermazione che, in
relazione ai più recenti orientamenti giurisprudenziali delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione sulla giurisdizione della Corte dei
conti, deve essere rivista.
L’ingiunzione speciale disciplinata dal R.D.639/1910:Testo unico
delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la
riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti
pubblici, dei proventi di demanio pubblico,e di pubblici servizi e di
tasse sugli affari, altrimenti conosciuta come ingiunzione fiscale o
amministrativa, nel tempo, è stata oggetto di una variegata e non
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sempre coerente elaborazione giurisprudenziale, dovuta alla sua
applicazione sia alle entrate tributarie che non tributarie e
recentemente
soggetta
ad
innovazione
legislativa
con
il
d.lgs.150/2011.
La recente modifica non si applica ratione temporis al caso in
questione, ma assume comunque rilevanza ai fini della definizione
della tutela sostanziale e processuale, sia del privato, che
dell’amministrazione, nell’ottica altresì delle esigenze di finanza
pubblica, per ragioni di certezza giuridica.
Va in primo luogo giustificata la giurisdizione della Corte dei conti
anche sui giudizi di opposizione all’ingiunzione; a tal proposito
deve essere evidenziata la giurisprudenza delle Sezioni unite della
Corte di cassazione che ha più volte affermato, ad esempio in
materia pensionistica, che la giurisdizione prescinde dallo
strumento di tutela utilizzato: …la giurisdizione esclusiva della
Corte dei conti in materia di trattamento pensionistico si estende
alle controversie relative agli atti di recupero di ratei di pensione
già erogati, atteso che anch’essi investono il “quantum” di detto
trattamento, e non soffre deroga, in favore di quella del giudice
ordinario, neppure nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia
avvalsa del procedimento per ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile
1910,n.639, art. 2 e 3. In conclusione deve confermarsi
l’appartenenza alla giurisdizione della Corte dei Conti di ogni
controversia avente ad oggetto il diritto alla pensione…..ed
ancorchè si tratti non di adempimento del debito di pensione ma di
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ripetizione
di
pensione
indebitamente
corrisposta.Cass.ss.uu.16530/2008,9968/2001.
Tale orientamento ha trovato conferma anche nella giurisprudenza
amministrativa: ….nè tale regola soffre deroga in favore di altro
giudice nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia avvalsa del
procedimento per ingiunzione di cui al R.D. 639/1910 art. 2 e 3.
Cons. di Stato n. 8156/2010.
L’indicazione della giurisdizione ordinaria contenuta nella versione
originaria dell’art. 3 ed oggi nell’art. 32 del d.lgs. 150/2011, ove si
prevede che l’opposizione si propone con citazione è fuorviante, e
deve
essere
contestualizzata
allo
stato
del
riparto
della
giurisdizione nel momento storico il cui la predetta normativa fu
emanata; ma già in tempi recenti, ove sussistesse la giurisdizione
di un giudice speciale, l’opposizione si proponeva in ragione della
sua giurisdizione e nei rispettivi termini di impugnazione con le
corrispondenti forme degli atti processuali per essa previsti, si veda
ad esempio, l’art. 16 del DPR 636/1972 in materia di giurisdizione
tributaria.
La possibilità di una forma dell’atto di opposizione diverso dalla
citazione, è stata pure prevista anche in materia processuale
amministrativa, con la possibilità per la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo avente ad oggetto diritti soggettivi di
emettere ingiunzione processuale secondo le norme del codice
processuale civile, ove la relativa opposizione si propone con
ricorso, ai sensi dell’art. 8 della legge 205/2000,oggi art.118 c.p.a..
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Pertanto, ove sia previsto dalle specifiche norme processuali per le
giurisdizioni speciali il ricorso come atto introduttivo processuale,
esso si estende pure all’opposizione ex R.D.639/1910:… Il fatto
che l'opposizione ad ingiunzione prevista dal R.D. 14 aprile 1910
n. 639, art. 3, dia luogo
ad un ordinario processo di
cognizione, in cui è assicurata al privato destinatario
la
possibilità di contestare e, ricorrendone agli estremi, di far
cadere
la
pretesa
l'accertamento
fatta
valere
in
ingiunzione,
mediante
negativo della sussistenza dei presupposti
di
legge cui viene rapportata l'obbligazione agita, non rileva, ai fini
della soluzione
della riproposta questione di giurisdizione: in
quanto la disposizione legislativa in esame (anche laddove
stabilisce che l'opposizione si propone al conciliatore,al pretore o
al
tribunale del
luogo
in cui ha sede l'ufficio emittente), alla
stregua di un consolidato orientamento della giurisprudenza di
questa
Corte Suprema, dal quale non vi è ragione di discostarsi,
non reca deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel
vigente
ordinamento giuridico; e, pertanto, non può essere
invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale
del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei
rapporti in esse dedotti, ed
alla normativa
ad essi relativa,
debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (Cass.
sez.
un.
1232/2002;
3608/1968;
430/1967).Cass.ss.uu.29529/2008.
L’estensione dell’ingiunzione pure alle materie di contabilità
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pubblica ha trovato conferma nella sentenza della Corte dei conti
sezione Campania n.1303/99, ove si è affermato:… In tal modo il
potere di risolvere la controversia in tutti i suoi aspetti compete
senz’altro alla Corte dei conti e si esercita nelle forme previste per i
giudizi ad istanza di parte, ed in particolare secondo quanto
disposto dall’art.58 del R.D. n.1038/1933( Cass.SS.UU.CC. nn.
6478/1992 e 5424/1993)…… Lo stesso giudice della giurisdizione
ha anche affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione
su tutte le controversie in materia di contabilità pubblica, laddove si
dia
applicazione
a
regole
“proprie”
dell’azione
gestoria
amministrativa (sentenza 18.10.1991 n.11037). Nello stesso senso
è la Corte Costituzionale (sentenza 30.12.1987 n.641)… Pertanto
è da ritenere che le disposizioni di legge -come l’art.3 del R.D. 14
aprile 1910 n.639, richiamato nell’ingiunzione in esame- che
prevedano un’opposizione o un qualunque ricorso avverso
un’ingiunzione amministrativa, ancorchè vistata dal Pretore,
vadano integrate e/o modificate -in immediata applicazione del
citato art.103 della Costituzione, avente efficacia precettiva- nel
senso di ammettere le conseguenti forme di tutela giurisdizionale
direttamente innanzi alla Corte dei conti, ove si verta in materia di
contabilità pubblica (o di altra, come quella pensionistica) rimessa
alla giurisdizione piena ed esclusiva del giudice contabile.
D’altronde le modalità con cui il giudice viene investito della
controversia(opposizione
a
ingiunzione,ricorso,citazione,
ecc.)
assumono un ruolo meramente strumentale ai fini dell’attivazione
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della tutela giurisdizionale, e non certo efficacia determinante in
ordine alla definizione della natura giuridica della controversia, che
rimane di carattere “gestorio” con conseguente ricorrenza della sua
specifica giurisdizione,cioè quella “contabile”.
Ciò a prescindere da ogni altra considerazione sulla validità
giuridica dell’utilizzazione di quel particolare tipo di procedimento
ingiuntivo in generale e sulla concorrenza nella specie delle altre
condizioni di legge, che costituisce oggetto del presente processo
innanzi alla Corte dei conti …
Tale orientamento ha trovato definiva conferma in materia di
responsabilità amministrativa con la decisione della Corte di
cassazione ss.uu. 14825/2008,nel caso di una ingiunzione ex
R.D.639/1910, emessa da una regione per la restituzione di
finanziamenti per corsi di formazione professionale : …Va
premesso, come da giurisprudenza costante di queste Sezioni
unite (fra le altre Cass. 22.12.1999, n. 926; 10.10. 2002, n.14473),
che la distrazione o cattiva utilizzazione dei fondi destinati alla
formazione professionale, che si verifica in caso di realizzazione di
corsi di formazione, finanziati dalla Regione, non rispondenti ai
requisiti per cui furono erogati, reca danno patrimoniale alla
Regione quale che sia la provenienza dei fondi, dal momento che
essi entrano nel bilancio regionale, e costituendo la formazione
professionale, materia di stretta pertinenza regionale, a norma
degli artt. 117 e 118 Cost.,nel momento in cui essa viene ad
essere privata delle utilità che sarebbero derivate da un corretto
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uso dei fondi, ne deriva un danno, relativamente al quale è
ravvisabile
la
giurisdizione
della
Corte
dei
conti
per
la
responsabilità degli enti privati gestori dei corsi, che instaurano un
rapporto di sevizio con l’ente pubblico territoriale…….ai fini
dell’attribuzione della controversia alla Corte dei conti, appare
sufficiente la presenza del danno erariale, che la stessa Regione
ricorrente non nega, per effetto dell’indebita percezione di
contributi pubblici per effetto del parziale disconoscimento delle
spese
di
gestione.
Fa
parte
del
merito
della
questione
l’accertamento delle componenti del giudizio di responsabilità, ivi
compresa la qualificazione della condotta,illecita o meno, del
soggetto
che
ha
percepito
i
fondi….L’affermazione
della
giurisdizione del giudice contabile in materia di danno erariale,
attiene a questione pregiudiziale, rispetto alla quale il rimedio
concretamente esperibile per ottenere la riparazione dello stesso –
l’iniziativa giudiziale intrapresa per il risarcimento- si muovono sul
piano della ritualità della pretesa, di cui deve conoscere il
giudice munito di giurisdizione.
Ancora,
sulla
materia
dei
finanziamenti
pubblici
e
della
giurisdizione della Corte dei conti è necessario evidenziare: Il
discrimine della giurisdizione ordinaria rispetto a quella contabile
non è più rappresentato dalla qualità del soggetto, che può ben
essere un privato o un ente pubblico non economico, ma dalla
natura del danno e degli scopi perseguiti. Ne consegue che, ove il
privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte incida
15
negativamente sul modo d'essere del programma imposto dalla
p.a., alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l'atto
di concessione di contributi pubblici, e la incidenza sia tale da poter
determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza
un danno per l'ente pubblico anche sotto il mero profilo di sottrarre
ad altri enti il finanziamento che avrebbe potuto portare alla
realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato
dall'ente pubblico con il concorso dello stesso privato,di cui deve
rispondere davanti al giudice contabile Cass. ss.uu. 20434/09; e
questa sezione: La Corte di Cassazione, con orientamento ormai
consolidato (ordinanza n.4511 del 1/3/2006), per discriminare la
giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale da quella
ordinaria,tenuto
conto
del
sempre
più
frequente
operare
dell’amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di
contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente
inseriti, ha reputato irrilevante il titolo in base al quale la gestione
del pubblico denaro è svolta.
In questa prospettiva, la qualità del soggetto non rappresenta un
indicatore significativo, utilizzabile per selezionare il giudice
abilitato a giudicare in ordine al danno che quel medesimo
soggetto si assume abbia cagionato. Per far ciò,occorre,
invece,avere riguardo alla natura del danno ed alla tipologia degli
scopi perseguiti, cosicchè ove il privato, cui siano erogati fondi
pubblici, per sue censurabili condotte, incida negativamente sul
modo d’essere del programma imposto dalla P.A.,alla cui
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realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di
concessione del contributo,e la incidenza della sua azione o
omissione sia tale da poter determinare uno sviamento delle
finalità perseguite,esso realizza un danno per l’ente pubblico,
anche sotto il mero profilo di precludere l’erogazione del
finanziamento ad altri possibili beneficiari. Corte dei conti
sez.Sicilia n.313/2010.
L’erogazione del finanziamento vincolato, presuppone un rapporto
giuridico in funzione del vincolo di destinazione e di risultato del
finanziamento, il quale se non raggiunto,e avendolo percepito
fraudolentemente, determina un inadempimento del soggetto
finanziato,con
un
obbligo
di
restituzione/risarcimento
del
finanziamento.
Tale inadempimento non può che ascriversi in buona parte, nella
categoria giuridica della responsabilità contrattuale per inesatto
adempimento nei confronti dell’amministrazione erogante, con la
conseguenza del nascere sicuramente di una obbligazione
pubblica ex lege di restituzione, inquadrabile nell’ambito delle
prestazioni patrimoniali imposte ai sensi dell’art. 23 della
Costituzione.
Sulla base dunque di quanto precisato dalla Corte di Cassazione,
una volta affermata la giurisdizione della Corte dei conti sulle
pretese risarcitorie e/o restitutorie dell’amministrazione anche nei
confronti dei privati destinatari di finanziamenti pubblici, mediante
emanazione
di
ingiunzione
ex
17
R.D.
639/1910,
gli
aspetti
processuali rientrano nella cognizione del giudice contabile, e
quindi si rende necessario precisare tali aspetti, attraverso l’analisi
del processo di opposizione all’ingiunzione davanti alla Corte dei
conti.
Deve
essere
in
primo
luogo
smentito
che
lo
strumento
dell’ingiunzione sia incompatibile con una pretesa risarcitoria
piuttosto che restitutoria, considerato che in ambito civilistico: è del
tutto legittima, rientrando nel potere dispositivo della parte, la
proposizione cumulativa dell’azione contrattuale e di quella
extracontrattuale,qualora
si
assuma
che,
con
un
unico
comportamento,sono stati violati sia gli obblighi derivanti dal
contratto,
sia
il
generale
dovere
del
neminem
laedere.
Cass.21/6/1999 n.6233; dunque, nulla vieta che una pretesa
opportunamente documentata, sia di natura restitutoria che
risarcitoria, possa essere introdotta dall’amministrazione mediante
ingiunzione
ex
R.D.639/1910,
posto
che,
come
vedremo,
l’amministrazione rimane parte attrice in senso sostanziale,
considerata la peculiarità della responsabilità amministrativa, che
assorbe in sé gli aspetti contrattuali ed extracontrattuali, a
condizione tuttavia, che venga fornita la prova del fatto illecito,
come nel nostro caso, e comunque della certezza, liquidità ed
esigibilità della relativa obbligazione.
Una volta affermata la giurisdizione della Corte dei conti, occorre
stabilire, visto il disposto dell’art. 3 del R.D.639/1910 ed oggi
l’art.32 comma 2 del d.lgs.150/2011 sulla competenza territoriale,
18
che tali disposizioni devono ritenersi derogate, dall’attribuzione
giurisdizionale al giudice contabile con l’applicazione dei criteri di
competenza territoriale specificamente previsti per tutte le sezioni
regionali della Corte dei conti dall’art. 1 comma 3 della legge
19/1994, il quale a sua volta, richiama per quanto qui interessa
l’art. 2 lett.b) della legge 658/1984, ove ai fini dell’attribuzione della
competenza territoriale, rileva che il fatto da cui deriva il danno
siasi verificato nel territorio della regione, dunque il giudice
competente per giudicare l’opposizione all’ingiunzione speciale è la
sezione regionale ove si è verificato l’evento dannoso e non il
giudice in cui ha sede l’amministrazione che ha emanato l’atto.
A questo punto, le modalità del giudizio di opposizione devono
inquadrarsi, come già anticipato nella sopra citata sentenza della
sezione Campania, nell’ambito dei giudizi ad istanza di parte ex
art. 58 R.D.1938/1933 come giudizi di accertamento negativo di
responsabilità, pacificamente rientranti nella giurisdizione contabile
si veda per tutte: Corte dei conti sez.III 545/2009, con intervento
necessario del Pubblico Ministero, previa notificazione del ricorso,
mediante deposito dell’atto nella segreteria della sezione ai sensi
dell’art. 5 del R.D.1038/1933: se è vero che art. 58 del r.d. n. 1038
del 1933 si muoveva inizialmente in un’ottica di “numerus clausus”,
la situazione, tuttavia, è completamente mutata con l’entrata in
vigore della Costituzione repubblicana o, comunque, da quando si
è consolidata la giurisprudenza costituzionale (e non) per la quale
l’art.
103,
comma
secondo,
19
della
Costituzione,
ha
reso
“tendenziale” la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di
contabilità pubblica….. Ora, quanto ai giudizi di accertamento
negativo della responsabilità, se da una parte appare certa, per le
ragioni anzidette la giurisdizione del giudice contabile, dall’altra, la
legittimazione della parte privata non incorre in alcun tipo di
preclusione, poiché l’esclusività della titolarità del p.m. contabile
è obiezione che attiene all’azione di responsabilità esercitata dal
p.m. e non può, di certo, riguardare l’azione di accertamento
negativo della responsabilità esercitata contro il p.m.
La conclusione, quindi, è che i giudizi di accertamento negativo
della responsabilità trovano le ragioni della propria ammissibilità
nell’art. 103, comma secondo, della Costituzione, senza che sia
più, quindi, necessario forzare, con una innaturale inversione di
ruoli tra pubblico ministero e amministrazione, l’interpretazione
dell’art. 58 r.d. n.1038 del 1933.
In essi, legittimato dal lato attivo è colui al quale in sede
amministrativa sia stato elevato un addebito di danno erariale o
intimato un pagamento allo stesso titolo; nel mentre, dal lato
passivo, è legittimato il competente Procuratore regionale, al
quale,
quindi,
va
notificata
la
citazione
introduttiva
del
giudizio.”(Sezione Terza centrale 23 dicembre 2008, n. 388).
Vista la compatibilità dell’opposizione all’ingiunzione con l’art. 58
del R.D. 1038/1933 è necessario fare a questo punto delle
precisazioni sulla natura dell’ingiunzione, sulla posizione delle parti
processuali, sulla eventuale applicabilità dei principi generali
20
previsti per l’ingiunzione processuale e fondamentalmente sulla
natura decadenziale o meno del termine contenuto negli artt. 2 e 3
del R.D.639/1910, anche alla luce degli artt. 32 e 34 comma 40
del d.lgs. 150/2011, ai fini di una chiarificazione delle modalità
della tutela processuale come giudizio ad istanza di parte davanti
alla Corte dei conti.
In primo luogo, come già accennato, il ricorso in opposizione
avverso
l’ingiunzione
deve
essere
proposto
contro
l’amministrazione che ha emanato l’atto come giudizio ad istanza
di parte ed in sede di deposito nella segreteria della sezione
giurisdizionale ne va depositata una copia per il procuratore
regionale,
legittimato
obbligatoriamente
ad
intervenire
nel
processo.
L’ingiunzione speciale è stata oggetto, come già accennato, di un
forte dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulla sua natura,
ancora sino ad oggi non sopito, stante
diversi orientamenti
contrastanti della stessa Corte di cassazione.
Da una analisi storica di questi orientamenti sino ad oggi, ai fini
della tutela davanti al giudice contabile è necessario precisare
quanto segue,analizzando brevemente i più importanti arresti
giurisprudenziali della Corte di cassazione.
Deve
essere
preliminarmente
precisato
che
è
necessario
contestualizzare il concetto di “riscossione” utilizzato dalla norma,
poiché, all’epoca della sua emanazione non era ancora chiara la
distinzione tra atto accertativo (inteso in senso generale, al di là
21
dell’ambito tributario) e vero e proprio atto di riscossione, questo
equivoco è stata proprio la principale fonte dei contrasti e dei dubbi
giurisprudenziali, ne costituisce prova un famoso e acceso dibattito
dottrinale dell’epoca sul riparto di giurisdizione per la tutela dei
diritti come interessi.
Difatti, l’ingiunzione può assumere entrambe le funzioni che
devono però desumersi e distinguersi, in concreto, dal contesto
delle
regole
che
disciplinano
gli
specifici
procedimenti
amministrativi.
Con l’art. 229 del d.lgs. 51/1998 è stato abrogato il visto del pretore
ai fini dell’esecutività dell’atto, contenuto dall’art. 2 del R.D. citato, il
quale ha previsto che esso è esecutivo di diritto.
Deve essere affermata innanzitutto la natura dell’ingiunzione quale
provvedimento amministrativo, sulla base della giurisprudenza di
legittimità: …Non par dubitabile che l’ingiunzione fiscale si presenti
prima
facie,
quale
atto
autoritativo
della
pubblica
amministrazione, emesso dal competente ufficio della stessa, di
pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi la somma
da detto ufficio indicata…Cass.ss.uu.1079/1955.
La affermata natura di provvedimento amministrativo autoritativo,
tuttavia non ha impedito però alla stessa Corte di cassazione di
qualificarlo
come
procedimento
monitorio
<<sui
generis>>
apprestato, nelle ipotesi previste dalla legge, per la spedita
riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti
pubblici minori. Nel quadro di siffatto procedimento l’ingiunzione
22
fiscale cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo
stragiudiziale e del precetto, di guisa che l’opposizione del debitore
costituisce la domanda giudiziale che apre ed introduce un
ordinario processo cognitivo, che fondatamente ha per oggetto
l’azione volta a contestare il diritto all’esecuzione. Dal che deriva
che,
invertendosi
la
posizione
processuale,
mentre
l’amministrazione creditrice assume la veste di convenuta,
l’intimato opponente diviene attore e, come tale, è abilitato a
proporre nell’ordinario giudizio di cognizione anche un cumulo
oggettivo di domande…..Cass.683/1959.
Con sentenza Cass.ss.uu.6478/1984 si è affermato: ……l’atto di
accertamento non deve essere necessariamente distinto ed
antecedente
rispetto
all’ingiunzione
di
pagamento
del
corrispondente tributo, ma può essere contenuto nell’ingiunzione
stessa. Che può assumere quindi anche una funzione accertativa.
Tale orientamento ha trovato conferma con riferimento al
contenzioso doganale: ….l’accertamento del credito tributario
contenuto nell’ingiunzione atto sostanziale di manifestazione della
pretesa fiscale suscettibile – anche a prescindere dalla idoneità o
meno a costituire titolo esecutivo- di definitività ed incontestabilità
ove non sia stata proposta opposizione nei termini di legge (ex
multis Cass.6271/1979,856/1981,1527/96) Cass.2848/2008.
Dunque, l’ingiunzione può assumere anche una mera funzione di
atto
di
accertamento
della
pretesa
dell’amministrazione,
prescindendo come nel nostro caso, dalla funzione di atto di
23
riscossione, obliterata dalla successiva procedura di riscossione
mediante iscrizione a ruolo, ciò trova specifica conferma per le
entrate non tributarie nell’art.21 del d.lgs. 46/1999, ove si prevede
che per le entrate non tributarie e non previdenziali, definite come
“aventi
causa
in
rapporti
di
diritto
privato
dell’amministrazione” sono iscritte a ruolo quando risultano da
titolo avente efficacia esecutiva. A questa tipologia di entrate sono
equiparate le somme da recupero di finanziamenti pubblici, equiparate dalla dottrina e dalla giurisprudenza alle obbligazioni di
diritto comune- come da attuale concorde diritto vivente della
giurisdizione
ordinaria
ed
amministrativa,
in
materia
di
provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici si veda per tutte:
TAR Sicilia Pa sez.II 123/2009, Cons. di Stato sez.VI 4741/2008
e C.G.A. sez.giur. 563/2011.
Da tale norma, come vedremo, derivano delle specifiche
conseguenze sotto il profilo della natura giuridica del termine di
trenta giorni previsto dall’art. 2 e 3 ratione temporis del citato R.D..
Difatti, nella sopra citata decisione della Cass.ss.uu 1079/1955, si
era pure affermato che: il termine per proporre opposizione non è
perentorio, come è per l’ordinario decreto ingiuntivo; la sua
decorrenza ha il solo effetto di autorizzare l’ente creditore a iniziare
l’esecuzione forzata.
In particolare, in motivazione si specificava: E differenza ancor più
notevole – come si è ben osservato in dottrina – concerne gli effetti
della mancata opposizione, chè, mentre l’ordinario decreto
24
ingiuntivo, se non opposto nei venti giorni, acquista efficacia di
cosa giudicata formale (e per taluni, addirittura sostanziale),nella
ingiunzione fiscale il decorso dei trenta giorni non preclude
l’opposizione, ed ha il solo effetto di autorizzare l’ente creditore ad
iniziare l’esecuzione forzata, della quale il giudice non può più
ordinare la sospensione, ritenendosi concordemente che il detto
termine di trenta giorni non sia perentorio e mancando comunque
un’espressa comminatoria d’inoppugnabilità, diversamente da
quanto è disposto negli art. 647 e 656 codice di proc.civile.
Con Cass.ss.uu.2850/1963, si confermò il suddetto orientamento
precisando: Il termine di trenta giorni per proporre opposizione
stabilito dall’art. 3 del T.U. 14 aprile 1910 n.639, non è perentorio.
Peraltro, decorso tale termine, la parte può sempre adire il giudice
per far decidere della fondatezza della pretesa della pubblica
amministrazione, non essendo produttivo di preclusione l’inutile
decorso di tale termine.
Tale orientamento, è stato nel tempo confermato da costante
giurisprudenza, in tempi più recenti, Cass.1571/1996: l'inutile
decorso del termine di trenta giorni previsto dall'art. 3 del R.D. 14
aprile 1910 n. 639 non preclude l'opposizione di merito che il
debitore proponga per contestare la esistenza della pretesa
creditoria (Cass. 28 novembre 1981 n. 6335; 26 novembre 1981
n.6292; 20 gennaio 1971 n.112; 28 ottobre 1963 n. 2850).
Tale termine, infatti, non è qualificato come perentorio, ne' per la
sua violazione è sancita decadenza o inammissibilità (come invece
25
dispone l'art. 23, comma primo, della legge n. 689-91, per la
inosservanza del termine fissato per la opposizione alla ordinanzaingiunzione in tema di sanzioni amministrative). Va perciò applicato
il principio posto dal cpv. dell'art. 152 del cod. proc. civ., codice che
è richiamato espressamente dall'art. 3 del R.D. n. 639-1910.
Prescindendo dal diverso orientamento della stessa Cassazione in
materia tributaria e doganale, che ha ritenuto l’applicabilità dei
termini decadenziali, previsti dalla specifica disciplina di settore
anche all’ingiunzione speciale, si deve valutare a questo punto se
la non perentorietà del termine possa essere ritenuta esistente nel
caso in questione, trattandosi di materia non tributaria.
In effetti, la predetta giurisprudenza, tralatiziamente richiamata da
quella più recente, e che è stata pure recepita dal legislatore con il
d.lgs.150/2011, il quale ha sostanzialmente soppresso l’art. 3 del
R.D.639/1910, -sebbene il termine di trenta giorni continui ad
essere previsto dall’art. 2- , è viziata da un equivoco di fondo,
dovuto alla mancata valutazione dello specifico contesto normativo
dell’epoca.
Infatti, le predette sentenze della Corte di cassazione, si riferivano
perlopiù a controversie in materia di imposte indirette erariali e
locali, ed in particolare per i casi citati, in materia di procedura di
accertamento e riscossione di imposta di registro, all’epoca
disciplinata dal R.D.3269/1923.
Nello specifico, l’art. 34 del citato R.D. prevedeva che avverso
l’avviso di accertamento per il maggior valore era proponibile
26
ricorso entro trenta giorni alla commissione tributaria, ai sensi
dell’art. 21 del D.L.1639/1936, espressamente previsto come
termine decadenziale, trascorso il
quale, era precluso al
contribuente il diritto di contestare il valore notificatogli.
I successivi artt.144 e 145 prevedevano come strumento di
riscossione l’ingiunzione, avverso la quale era possibile proporre
opposizione entro trenta giorni, trascorsi i quali, l’amministrazione
poteva procedere agli atti esecutivi, l’opposizione tardiva era
sempre ammissibile ma precludeva la possibilità di ottenere la
sospensione del procedimento.
Nel caso però, in cui l’amministrazione avesse richiesto una
imposta suppletiva o sopratassa la sua proposizione aveva
efficacia sospensiva, perché ovviamente questa si configurava
come una richiesta nuova non preceduta dall’atto di accertamento.
Era chiaro dunque che nel suddetto caso, in cui l’ingiunzione
seguiva un avviso di accertamento divenuto definitivo per
inoppugnabilità, l’opposizione all’ingiunzione non fosse soggetta a
termini decadenziali, poiché non era e non poteva essere volta a
contestare la originaria pretesa dell’amministrazione, divenuta
incontestabile nell’an e nel quantum.
La dimostrazione di questa tesi è data dalla stessa Cassazione: Il
R.D. n. 639 del 1910, art. 3 non qualifica il termine lì indicato come
perentorio o da osservare a pena di decadenza e costante è stata
nel tempo l'interpretazione di tale articolo nel senso che il termine
va osservato se si intende chiedere la sospensione dell'efficacia
27
esecutiva dell'ingiunzione, altrimenti l'opposizione è esperibile
senza limiti di tempo, sino a quando il processo esecutivo non è
concluso, com'è per l'opposizione alla esecuzione prevista ora
dall'art. 615 c.p.c., che è l'azione in cui si risolve l'opposizione
all'ingiunzione, quando si contesta che la parte istante abbia il
credito per cui minaccia l'espropriazione forzata. Cass.6670/07.
Da quanto sin qui esposto, consegue chiaramente che esisteva
una specifica disciplina tributaria dell’ingiunzione, diversa rispetto a
quella generale prevista nel R.D. 639/1910; tale disciplina ha
influenzato però erroneamente la giurisprudenza successiva, che
l’ha estesa a tutti gli altri casi e materie, generalizzando ed
equivocando così la non perentorietà del termine previsto dall’art.
3.
Parimenti, è pure da criticare, sulla base dell’attuale contesto
normativo, la ritenuta non perentorietà del termine, facendo la
differenza con la disciplina dell’ingiunzione processuale e con l’art.
152 del c.p.c., poichè verrebbe meno il senso e la stessa funzione
della stessa disciplina speciale contenuta nel R.D.639/1910, fatta
specificamente salva dall’art. 635 c.p.c..
Difatti, se si ritiene secondo il riferimento all’art. 152 c.p.c. che il
termine dell’art. 3 non sia perentorio perché non è espressamente
e testualmente previsto, lo stesso ragionamento dovrebbe valere
pure per l’ingiunzione processuale, poiché, neanche per questa
esiste una testuale disposizione che preveda l’attuale termine
contenuto nell’art. 641 c.p.c. come decadenziale, ma tale
28
perentorietà, si ricava da una lettura sistematica delle norme,
facendo riferimento all’art.647 relativo alla mancata opposizione
dell’opponente e all’art.656 relativo ai casi di impugnazione
speciale del decreto d’ingiunzione divenuto esecutivo a norma
dell’art. 647.
Se così è, nel nostro caso dobbiamo affermare che il termine di
trenta giorni già previsto dall’art. 3 del R.D.639/1910 ed oggi
contenuto solamente nell’art. 2, sia da ritenere per interpretazione
sistematica decadenziale, visto che, nei casi in cui l’ingiunzione
speciale abbia solamente natura accertativa, essa si configura
come atto necessario e presupposto, affinchè l’amministrazione
possa effettuare la successiva iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 21
del d.lgs. 46/1999, essendo pacifico, che nel sistema della
riscossione,la iscrizione a ruolo a titolo definitivo e la conseguente
la cartella esattoriale, possa essere emessa solamente su atti
aventi efficacia esecutiva, ossia divenuti definitivi e incontestabili.
Prova ne è, con valenza di principio processuale generale ai sensi
dell’art.12 disp.prel.c.c., il disposto dell’art. 19 comma 3 del
d.lgs.546/1992: Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può
essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di
atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto
notificato,ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.
L’esigenza di certezza giuridica sia per il privato che per
l’amministrazione, attraverso il giudizio ad istanza di parte, di
opposizione all’ingiunzione davanti alla Corte dei conti, si giustifica
29
pure per la mancanza di strumenti di tutela processuale immediata
sugli
atti
presupposti
di
revoca
dei
finanziamenti
dell’amministrazione, (ritenuti come da giurisprudenza citata, atti
non impugnabili davanti al giudice amministrativo), per la tardiva
formazione di un giudicato davanti al giudice ordinario e per
l’inammissibilità del giudizio di ottemperanza alle sentenze
esecutive
del
medesimo,
come
affermato
dalla
Corte
costituzionale ordinanza n.122/2005.
E, conseguentemente, pure per l’impossibilità di annullamento e di
tutela cautelare per la sospensione dell’atto davanti al giudice
ordinario a norma dell’art. 4 della legge 2248/1865 all.E.,
considerato che, nella vigenza dell’art. 4 della legge 1034/1971, il
quale non è stato riproposto nel c.p.a., pur sussistendo dubbi sul
rispetto della delega legislativa contenuta nell’art.44 della legge
69/2009 e sulla compatibilità con l’art. 113 Cost., non è stata
riconosciuta dalla giurisprudenza per gli atti inerenti diritti
soggettivi, -come la revoca dei
finanziamenti pubblici- la
giurisdizione costitutiva di annullamento davanti al giudice
amministrativo e la relativa tutela cautelare: Quando alla p.a. non è
attribuito alcun potere discrezionale in ordine alla concessione di
un contributo in favore di un privato (in quanto il contributo stesso è
riconosciuto direttamente dalla legge in capo ad un determinato
soggetto),
ed
alla
pubblica
amministrazione
è
demandato
esclusivamente il controllo formale di determinati adempimenti, il
privato risulta titolare di un diritto soggettivo perfetto al suo
30
conseguimento;
diritto
relativamente
al
quale
la
pubblica
amministrazione non dispone di alcun potere discrezionale di
revoca o di sospensione, se non nell’ambito del potere di
autotutela e solo con riferimento al difetto dei presupposti. Ne
consegue che, al di fuori di tali presupposti, l’eventuale
provvedimento con il quale il contributo venga revocato o sospeso
è inidoneo a degradare il diritto soggettivo in mero interesse
legittimo e le relative controversie rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario, cui è riconosciuto il potere di disapplicazione
dell’atto amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 5 all.E legge n.
2248 del 1865. Cass.ss.uu.1483/1997.
A tutto questo si aggiunge, sorgendo anche qui dubbi sul rispetto
della citata delega legislativa, il disposto dell’art.7 ultimo comma
del c.p.a., ove si esclude la proponibilità del ricorso straordinario al
di fuori delle controversie attualmente devolute al giudice
amministrativo.
Da quanto esposto, si evidenzia dunque la necessità e l’utilità del
giudicato
contabile
sull’atto
di
ingiunzione
emesso
dall’amministrazione, poiché, l’atto presupposto di revoca del
finanziamento attualmente è comunque insuscettibile secondo
l’attuale concordato giurisprudenziale di divenire inoppugnabile o
essere assorbito da un giudicato amministrativo di rigetto, ma è
semplicemente disapplicabile senza limiti di tempo, anche davanti
al giudice contabile, si veda:Cass.6801/2002,4567/2004,Corte dei
conti sez. III 100/2003.
31
Pertanto, la decisione del giudice contabile sull’opposizione
all’ingiunzione, contribuisce a dare tempestiva certezza giuridica,
non solo al privato in caso di accoglimento del ricorso, ma in caso
di rigetto anche all’amministrazione, per il recupero dell’indebito
finanziamento, mediante la formazione di una sentenza che
costituisce titolo esecutivo per la successiva iscrizione a ruolo; a
maggior ragione nel caso di mancata opposizione nel termine già
previsto dall’art. 3 ed oggi contenuto solamente nell’art. 2 del
R.D.639/1910,sempre
per
la
fondamentale
esigenza
dell’amministrazione di disporre di un titolo esecutivo.
Da
quanto
sin
qui
evidenziato,
consegue
pure
che
la
giurisprudenza di legittimità richiamata pure dalle succitate
sentenze di questa sezione, ove si afferma che l’ingiunzione
assorbe la funzione di atto di precetto, appare discutibile con la
sua
natura
di
provvedimento
amministrativo
seppur
immediatamente esecutivo di diritto.
Difatti, tale funzione deve ritenersi esclusa nei casi come questo,
ove l’ingiunzione svolge una funzione accertativa, seguita
dall’iscrizione a ruolo, pertanto non potrebbe applicarsi l’art.481
c.p.c.,
posto
altresì
che,
al
momento
dell’emanazione
dell’ingiunzione l’efficacia esecutiva non si è ancora formata in via
definitiva e può essere sospesa in via cautelare ai sensi già
dell’art. 3 ed oggi dell’art. 32 del d.lgs.150/2011.
Altra problematica da valutare, è quella sulla posizione delle parti
in tale processo; la citata Cass.ss.uu.1979/1955 aveva affermato:
32
L’opponente assume sempre la posizione dell’attore; egli deve
dichiarare i motivi su cui fonda l’azione, senza che possa
pretendere di precisarli nel corso del giudizio oltre i termini nei
quali la legge del processo gli consente di modificare o anche di
ampliare la domanda originaria.
In
particolare
le
Sezioni
Unite
ritenevano
che
i
crediti
dell’amministrazione per i quali era stata emessa l’ingiunzione
fossero assistiti da una presunzione di legittimità:….. .Del che
consegue –e si entra nella specifica questione di cui è
controversia- che la posizione delle parti in giudizio differisca
secondo che si tratti di opposizione ad ingiunzione fiscale o di
opposizione ad ordinario decreto ingiuntivo. Quest’ultima dà luogo
a normale processo di cognizione, nel quale la domanda giudiziale
è costituita dal decreto ingiuntivo notificato al debitore, e il creditore
e il debitore mantengono ciascuno la loro posizione originaria con i
relativi oneri di prova secondo le ordinarie regole processuali. E
pertanto
spetta
all’attore
(creditore)
provare
la
dedotta
obbligazione: l’intervenuto decreto ingiunzionale non fa presumere
il credito dell’ingiungente, e per effetto della opposizione sono
ripristinate le posizioni probatorie delle parti secondo il loro
interesse ad agire o resistere all’azione.
Nell’opposizione ad ingiunzione fiscale, invece, la domanda
giudiziale è costituita dall’atto di opposizione, e l’opponente, in
quanto
impugna
l’esistenza
del
credito
della
pubblica
amministrazione o la procedura seguita è attore e a lui incombe
33
l’onere della prova. E nell’atto di opposizione devono enunciarsi i
motivi sui quali l’opposizione è fondata; e per quanto l’esposizione
dei motivi possa essere concisa, mai può ammettersi che sia
sufficiente –come sostiene il ricorrente- una generica impugnativa,
un’affermazione generica dell’ingiustizia dell’ingiunzione Una
impugnazione generica, senza specificazione dei motivi, pare a
mala pena tollerabile nella opposizione ad ordinario decreto
ingiuntivo, nel quale –si ripete- l’opponente mantiene la sua
posizione di convenuto e può pertanto restare inattivo sino a
quando l’attore non abbia fornito compiuta prova del suo credito,
ed attendere comunque la prova che del credito dia l’attore per poi
esso convenuto dimostrarne l’invalidità o l’inadempimento da parte
sua o il vizio del processo nel quale il credito è fatto valere.
Assumendo invece l’opponente, nella ingiunzione fiscale, la veste
di attore, deve, come ogni altro attore, dichiarare i motivi su cui
fonda l’azione, senza che possa pretendere di precisarli nel corso
del giudizio oltre i termini nei quali la legge del processo gli
consente di modificare o anche di ampliare la domanda originaria.
Questo orientamento ha trovato delle successive conferme :..
…giurisprudenza costante di questa corte, nel giudizio di
opposizione ad ingiunzione fiscale, attore, anche in senso
sostanziale, deve ritenersi l’opponente, giacché, stante la presunta
legittimità dell’atto amministrativo, è su di lui che incombe l’onere di
provare la mancanza dei presupposti della pretesa impositiva
avanzata dall’amministrazione (Cass. 30 maggio 1978, n. 2372, 13
34
giugno 1975, n. 2362, 10 gennaio 1975, n. 73).Cass.9161/1995.
Questo orientamento si basa su un presupposto tralatiziamente
errato, ovvero che l’atto amministrativo sia assistito da una
presunzione di legittimità.
Tale tesi è stata ormai da tempo superata dalla dottrina e dalla
giurisprudenza amministrativa, le quali hanno impostato l’analisi
della natura del provvedimento amministrativo in termini di
esecutività/esecutorietà e di inoppugnabilità, posto che, anche un
atto illegittimo sia in ambito amministrativo o tributario, se non
impugnato nei termini decadenziali previsti dalla legge, si
consolida, ma ciò non significa che sia legittimo, posto che, come
abbiamo visto, nei casi specifici, può pure essere disapplicato
senza limiti di tempo.
Difatti, non corrisponde al vero che questo orientamento fosse
costante, visto che è stato posto in discussione dalla stessa Corte
di cassazione a partire dalla famosa sentenza Cass.2990/1979,
ove si affermò:..Ora tutto il ragionamento svolto dalla corte in tanto
può accogliersi in quanto si ritenga esatta la premessa maggiore
del sillogismo svolto nella sentenza, che cioè possa esplicare
qualche rilievo in giudizio la cosiddetta presunzione di legittimità
dell’atto amministrativo impugnato.
In realtà una tale affermazione costituisce il fondamento di un
indirizzo giurisprudenziale il quale si è consolidato con particolare
riferimento alla ingiunzione fiscale. Si è sostenuto in proposito che
nel procedimento monitorio fiscale regolato dal r.d. 14 aprile 1910
35
n.639 l’opposizione del debitore costituisce la domanda giudiziale
che apre un ordinario processo cognitivo diretto all’accertamento
negativo della pretesa tributaria, processo il debitore contro cui il
titolo esecutivo è fatto valere ne contesta il fondamento ed assume
perciò la veste di attore e l’onere di provare quanto afferma (Cass.
25 novembre 1976,n.4444; 9 maggio 1969 n. 1585; 24 luglio 1968
n. 2673 e 30 marzo 1968 n. 975).
La motivazione dell’indirizzo accennato si fonda sulla peculiare
caratteristica dell’ingiunzione fiscale nella teorica del processo
monitorio ingiunzionale, la cui funzione –si è osservato- risiede
nella
sollecita
riscossione
dei
crediti
della
pubblica
amministrazione, i quali sono assistiti dalla presunzione di
legittimità siccome attestati dai competenti uffici dello Stato e degli
altri enti pubblici (Sez.un. 19 aprile 1955 n.1079,15 ottobre 1957
n.3289). E poiché la ingiunzione fiscale ha efficacia esecutiva che
non viene meno a seguito della opposizione dell’intimato nel
relativo giudizio, a differenza di quanto avviene in caso di
opposizione ad ingiunzione ordinaria, la domanda giudiziale è
costituita non dall’ingiunzione ma dall’atto di opposizione con cui si
impugna un credito della pubblica amministrazione munito di
efficacia esecutiva, onde è l’opponente tenuto a provare, per la sua
qualità di attore, l’infondatezza del credito da lui impugnato.
Mentre la dottrina più antica giustificava la imperatività del
provvedimento sulla base della presunzione di legittimità dell’atto
amministrativo, attualmente prevale in dottrina l’indirizzo secondo
36
cui la presunzione di legittimità non opera di fronte al giudice, dal
momento che, secondo il diritto positivo, l’onere della prova non
incombe soltanto sull’attore come dovrebbe essere se una tale
presunzione avesse un effettivo significato. Il provvedimento
amministrativo è invece imperativo nel senso che si realizza da se
stesso quando non vi è bisogno di una azione specificamente
esecutoria, essendo manifestazione di un potere pubblico. Ciò
tuttavia non può essere inteso come deroga al principio
costituzionale della necessaria verificazione giudiziale delle
pretese della pubblica amministrazione, come di quelle di qualsiasi
altro soggetto.
Orbene, poiché il provvedimento è ablatorio in quanto impone al
destinatario un sacrificio patrimoniale, si comprende come,
essendo esso rigidamente ancorato al principio di legalità, anche
costituzionalmente garantito (art.23 Cost.), la prevalenza che
caratterizza la posizione dell’autorità amministrativa non impedisce
al privato, di adire il giudice ordinario, al fine di controllare, come
per qualsiasi altro credito, la fondatezza della pretesa fatta valere
dalla pubblica amministrazione e non già per rimuovere una
presunzione di legittimità da cui l’atto sarebbe assistito.
Partendo invece dal presupposto della presunzione a favore della
pubblica amministrazione, è agevole il passo che conduce ad
affermare, come è accaduto nel presente giudizio, che questa
posizione di vantaggio dell’autorità amministrativa nel processo
pone da un lato a carico del destinatario l’onere di superare la
37
detta presunzione, dall’altro esonera la pubblica autorità dal
dimostrare a sua volta la fondatezza del proprio credito.
Il punto centrale della indagine, una volta che si è svuotato di
concreto contenuto il cosiddetto principio di legittimità dell’atto
amministrativo, può quindi risolversi nel dilemma se la prova dei
presupposti di fatto della imposizione amministrativa spetti
all’autorità amministrativa, ovvero non debba ritenersi che la prova
della inesistenza di tali presupposti spetti al destinatario del
provvedimento.
Certamente incombe su quest’ultimo la prova dei fatti impeditivi
della pretesa ( es. fatti che determinano una esenzione fiscale)
ovvero la prova dei fatti estintivi ( come potrebbe essere il
pagamento dell’imposta). Ma al di fuori di queste ipotesi che non
danno luogo a dubbi di sorta, si pone in tutta la sua ampiezza il
problema in esame, il quale deve essere deciso nel senso che
grava sull’autorità amministrativa la prova (positiva) dei fatti che
costituiscono il fondamento della sua pretesa………La dottrina più
recente ha osservato, a proposito dei provvedimenti ablatori, che
per essi si verifica una prima sequenza di atti, disciplinata dal
diritto amministrativo mediante apposito procedimento il quale
culmina con un provvedimento costitutivo di un rapporto
obbligatorio, in quanto da esso nascono diritti (per la pubblica
amministrazione) ed obblighi per il destinatario.
Soffermando l’indagine su tale rapporto è sorto il quesito se esso
dia vita ad una obbligazione propria del diritto civile ovvero debba
38
ravvisarsi in essa una obbligazione pubblica propria del diritto
amministrativo.
Il problema che non è di teoria generale ma di diritto positivo è
stato risolto nel nostro ordinamento nel senso che l’obbligazione
come situazione soggettiva è tendenzialmente unitaria, derivi essa
dal contratto ovvero provvedimento amministrativo o dalla legge
(come risulta dalla previsione dell’art.1173 c.c. ndr).
Vero è che la pubblica amministrazione gode nell’accertamento dei
presupposti della imposizione di ampi poteri istruttori e di poteri
strumentali
variamente
disciplinati,ma
trattasi
di
situazioni
soggettive che, attenendo alla prima fase di cui sopra si è discorso,
si inseriscono in rapporti giuridici i cui termini sono in genere
potestà –soggezione ovvero potestà-interesse legittimo…..Trattasi
tuttavia di poteri che si esauriscono con la emanazione del
provvedimento
ablatorio,
il
cui
contenuto
è
rigidamente
determinato dalla legge in presenza dei presupposti di fatto dalla
stessa previsti.
Poiché il provvedimento è costitutivo di una
obbligazione a contenuto patrimoniale (pagamento di una somma
di danaro), esso è soggetto interamente al principio di legalità
sancito dall’art. 23
Cost.,secondo cui nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non sulla base della
legge…..Sulla base dei rilievi di cui sopra è quindi agevole trarre la
conclusione che, allorquando la pubblica amministrazione sia
convenuta
in
giudizio
in
seguito
alla
impugnativa
del
provvedimento ablatorio da parte del destinatario che si ritenga
39
leso nei suoi diritti, l’oggetto del giudizio riguarda, come nei
rapporti obbligatori del diritto privato, la effettiva esistenza del
credito vantato dall’autorità amministrativa, onde, anche se
l’iniziativa dell’azione proviene per la massima parte dei casi dal
destinatario,
a
causa
della
esecutorietà
delle
pretese
amministrative, questo non incide sulla posizione sostanziale delle
parti davanti al giudice.
Non è quindi l’attore che deve provare la illegittimità del credito
vantato dalla pubblica amministrazione, ma, essendo questa ultima
che dal punto di vista sostanziale si afferma creditrice nei confronti
dell’altra parte, è l’autorità amministrativa che subisce l’onere della
prova dei fatti costitutivi (per legge) della sua pretesa, mentre
grava sul destinatario che eccepisce la inefficacia di quei fatti (in
quanto provati dalla controparte) ovvero che assuma che il diritto si
sia modificato o estinto, l’onere di provare i fatti sui quali la
eccezione si fonda (art.2697 c.c.).
Questo orientamento che si condivide, è compatibile con il
canonico giudizio di responsabilità amministrativa, il quale onera
comunque la parte attrice pubblica alla prova: nel giudizio di
responsabilità amministrativa,l’onere della prova del nesso di
causalità tra la condotta del convenuto e il danno erariale grava sul
P.M.;le lacune probatorie dell’attore non possono agire in suo
favore, ma giovano invece al soggetto chiamato a risarcire il
danno.”Corte dei Conti sez. Sicilia n. 64/2009, ha trovato per
quanto concerne l’ingiunzione ulteriori conferme giurisprudenziali.
40
Nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale - che integra una
domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta
valere con l’ingiunzione, nel quale l’opponente assume la veste di
attore in senso formale - tutti gli elementi dell’obbligazione
tributaria, compresa la riferibilità della medesima al contribuente,
vanno allegati e provati dall’amministrazione finanziaria, mentre
l’opponente resta soggetto all’onere della allegazione e della
dimostrazione degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi
dell’obbligazione
stessa
Cass.2092/1996;
La
funzione
di
accertamento, riconosciuta all’ingiunzione fiscale, in mancanza di
un precedente atto di accertamento non impugnato, comporta, in
mancanza di opposizione, la definitività di quanto in essa
dichiarato come accertato e posto a base della pretesa fiscale; ma
nel relativo giudizio di opposizione - che integra una domanda
diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta valere
con l’ingiunzione, nel quale l’opponente assume la veste di attore
solo in senso formale ma non in senso sostanziale - tutti gli
elementi dell’obbligazione tributaria, compresa la riferibilità della
medesima
al
contribuente,
vanno
allegati
e
provati
dall’amministrazione finanziaria, mentre l’opponente resta soggetto
all’onere dell’allegazione e della dimostrazione degli eventuali fatti
impeditivi,
modificativi
o
estintivi
dell’obbligazione
stessa
Cass.4394/2004; va invece affermato….che nel giudizio di
opposizione ad ingiunzione fiscale adottata ex RD 639/1910 non vi
è deroga alcuna alla regola che vede l’attore sostanziale onerato di
41
allegare i presupposti della sua domanda (in tal senso Cass.
7179/99 - 2092/96 - 7048/95 - 5658/94).Cass.6064/2000. Si
precisa che il riferimento alla materia tributaria è irrilevante ai fini di
questa decisione, poichè i principi generali richiamati sono
parimenti applicabili al caso che ci occupa, in quanto comuni a
tutte le prestazioni verso la pubblica amministrazione.
Infine, è opportuno segnalare la recente sintesi svolta da
Cass.3341/2009, ove si confrontano i due filoni giurisprudenziali, in
cui, affermando la qualificazione dell’opposizione di cui al R.D.
come azione di accertamento negativo della pretesa manifestata
con il provvedimento dalla P.A., la posizione di opponente deve
essere qualificata come quella di attore in senso formale, poiché è
lui che introduce il giudizio, essendo l’ingiunzione un atto
amministrativo. Ma non è meno dubbio che l’opponente rivesta
anche la qualità di attore in senso sostanziale e ciò proprio perché
e lui che inizia il giudizio e, quindi postula la tutela giurisdizionale.
Ne consegue che l’onere della prova, secondo il criterio di cui
all’art. 2697 c.c., grava su di lui. Senonchè, tale onere si correlerà
in concreto al modo in cui è stata manifestata la pretesa di cui
all’ordinanza-ingiunzione: se essa è stata manifestata fondandone
i fatti costitutivi su documenti o atti che, una volta prodotti in
giudizio dalla p.a., potranno rivestire forza probatoria secondo le
normali regole probatorie, è evidente che l’onere di allegazione e
probatorio dell'opponente - ferma la mancanza anche in tal caso,
per
il
sol
fatto
dell'opposizione,
42
di
carattere
autoritativo
dell'ingiunzione in punto di accertamento della pretesa - dovrà
articolarsi o - con difese tendenti ad incrinare l'efficacia probatoria
di quei documenti o atti …….o con la deduzione e la prova di fatti
impeditivi, estintivi o modificativi dell'efficacia dei fatti costitutivi
della pretesa della P.A. Naturalmente in vista dell'eventuale
produzione in giudizio di quei documenti o atti da parte della P.A.
Se, invece, la pretesa della P.A. si sia manifestata senza fondarsi
su documenti o atti aventi forza probatoria, è di tutta evidenza che
l'onere probatorio dell'opponente non diverrà attuale se non
quando, costituendosi, la P.A. offra dimostrazione dei fatti
costitutivi della sua pretesa, dovendosi escludere (nuovamente)
ogni valore di accertamento autoritativo al provvedimento opposto
in sè e per sè considerato. Lo stesso onere di allegazione
dell'opponente potrà limitarsi alla deduzione che la P.A. ha
manifestato con il provvedimento una pretesa sfornita di
dimostrazione quanto ai suoi fatti costitutivi. E semmai dovrà
divenire più specifico in replica alla costituzione della P.A. ed alla
allegazione da parte di essa di prove a sostegno della sua pretesa.
In sostanza, ciò che si deve ritenere è che l'azione di opposizione
di cui al citato R.D. è regolata, quanto ad oneri di allegazione e
prova dell'opponente nel modo in cui è regolata una normale
azione di accertamento negativo di una pretesa altrui: se tale
pretesa è stata manifestata senza prova (o meglio senza
invocazione di ciò che, una volta fatto valere in giudizio, potrà
assumere il valore di prova), l'essere l'opponente attore in senso
43
formale e sostanziale comporterà la deduzione che la pretesa
avversa è infondata perchè priva di prova. E semmai l'onere di
replica scatterà a carico dell'opponente solo quando la parte
convenuta si costituisca e offra prova della sua pretesa. Al
contrario, se la pretesa è stata esercitata con una manifestazione
accompagnata dalla postulazione che i suoi fatti costitutivi
sarebbero dimostrati da atti che si presentano suscettibili, se fatti
valere in giudizio di assumere il valore di prova, chi esercita
l'azione di accertamento negativo ha l'onere, nell'individuare i suoi
fatti costitutivi di farsi carico della specificità della manifestazione
della pretesa.
In definitiva, in riferimento all'azione di opposizione al R.D. n. 639
del 1910, va, dunque, accolto il principio di diritto affermato dalla
sentenza n. 4394 del 2004 in punto di oneri di allegazione e
probatori delle parti, ma con la precisazione che la posizione
dell'opponente è quella di attore in senso sia formale che
sostanziale.
Poste queste precisazioni, può essere ribadito come sia privo di
fondamento ogni parallelismo fra l'opposizione di cui al R.D. e
l'opposizione a decreto ingiuntivo, in punto di ammissibilità della
riconvenzionale della parte opposta.
Ciò per le seguenti ragioni. Nel procedimento di opposizione a
decreto ingiuntivo l'opposizione rappresenta il mezzo di difesa
apprestato a favore dell'opponente, convenuto rispetto alla pretesa
eccezionalmente riconosciuta inaudita altera parte dal giudice del
44
decreto ingiuntivo, per esercitare le facoltà di difesa che, ove la
pretesa stessa fosse stata esercitata con un atto di citazione, si
sarebbero potute esercitare con la comparsa di risposta (o
comunque, nel caso di soggezione del giudizio a rito speciale, con
l'atto difensivo previsto dal rito speciale). La sostanziale posizione
di convenuto dell'opponente discende dal riflesso che la posizione
di attore è stata acquisita dal creditore che ha ottenuto il decreto
ingiuntivo, il quale con il ricorso monitorio agisce in giudizio e,
quindi, si fa attore utilizzando una forma di tutela giurisdizionale
speciale rispetto a quella che potrebbe utilizzare secondo le regole
della cognizione ordinaria.
Viceversa, l'opposizione di cui al citato r.d. rappresenta la forma di
esercizio necessaria della tutela giurisdizionale a cognizione piena
di fronte ad un provvedimento della P.A. di carattere autoritativo e,
quindi, alla manifestazione di una pretesa, cui viene riconosciuta
autotutela fintanto che non sia opposto (ed anzi conservativo di un
effetto autoritativo parziale sub specie di esecutività, sospendibile
soltanto da parte del giudice: art. 3, cit. R.D.) e che l'ordinamento
prevede possa essere posta in discussione con la forma
giurisdizionale speciale di un'opposizione, equivalente ad un atto di
esercizio di un'azione di accertamento negativo della fondatezza
della pretesa. L'opponente è, dunque, un attore che - essendone
onerato - esercita la tutela giurisdizionale di accertamento negativo
in
una
forma
speciale,
discendente
dal
riconoscimento
all'ingiunzione - quale atto di manifestazione della pretesa
45
avversaria - di carattere autoritativo fino a che non sia opposta.
E' per tale ragione che la P.A., quando si costituisca, specie di
fronte
alla
sussistenza
di
questioni
formali
in
ordine
al
provvedimento con cui ha stragiudizialmente esercitato la pretesa
(cioè l'ingiunzione) oppure nel caso in cui la pretesa è stata
esercitata con le forme del R.D. al di fuori dei presupposti per la
sua applicabilità, può svolgere domanda riconvenzionale diretta ad
ottenere l'accertamento della fondatezza della pretesa e la
conseguente tutela condannatoria. La posizione della P.A., infatti,
è quella di convenuta (dovendosi nettamente dissentire da Cass.
n. 10132 del 2005, laddove ha intravisto nell'ingiunzione una
domanda, il che non può essere, atteso che tale atto ha natura
amministrativa e si colloca fori dalla pendenza del processo) e
come tale Essa può svolgere una domanda riconvenzionale ai
sensi dell'art. 36 c.p.c., in quanto la basi sui fatti storici posti a
fondamento della pretesa manifestata nell'ingiunzione. Ciò, non
diversamente da come il convenuto in azione di accertamento
negativo può svolgere domanda riconvenzionale tendente ad
ottenere la condanna dell'attore all'adempimento della pretesa
oggetto dell'azione di accertamento negativo.
Queste
argomentazioni
precisazioni
tenendo
condivisibili
conto
della
richiedono
natura
però
alcune
amministrativa
dell’ingiunzione, che è stata parzialmente trascurata dalla citata
giurisprudenza.
Orbene, se trattasi di provvedimento amministrativo, perdipiù
46
avente effetti ablatori, esso non sfugge all’obbligo di motivazione
previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, come non sfuggiva
antecedentemente all’esistenza della predetta norma, si veda in
generale: Cons.di Stato sez.IV 330/1972, sez.V 670/1973,sez.VI
145/1974.
Da questo, discende che le osservazioni sull’onere della prova
delle parti vanno parametrate secondo i seguenti termini:
l’amministrazione è tenuta a motivare in fatto e in diritto l’atto di
ingiunzione, anche per relationem rispetto ad atti già conosciuti dal
privato, ad esempio il provvedimento presupposto di revoca del
finanziamento o i verbali degli organi ispettivi di cui al privato è
stata rilasciata copia; rispettato tale obbligo motivazionale, si
realizza la delimitazione della materia del contendere ai fini
dell’opposizione e dei conseguenti oneri probatori, pertanto una
teorica domanda riconvenzionale dell’amministrazione non potrà
che essere ammissibile entro questi limiti, fermo restando il diritto
del ricorrente a proporre motivi aggiunti per fatti nuovi non
conosciuti al momento della proposizione dell’opposizione, tendo
conto
pure
del
conseguente
divieto
di
integrazione
della
motivazione nel corso del giudizio, si veda: Cass.ss.uu. 8/1993 In
tema di imposta di registro, l'obbligo della motivazione dell'avviso
di accertamento di maggior valore (la cui inosservanza determina,
anche in difetto di espressa comminatoria, nullità dell'atto, con il
conseguenziale dovere del giudice tributario, davanti al quale sia
impugnato, di dichiararne l'invalidità, astenendosi dall'esame sul
47
merito del rapporto) mira a delimitare l'ambito delle ragioni
adducibili dall'ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa,
ed altresì a consentire al contribuente l'esercizio del diritto di
difesa, al fine indicato. Estensibile in generale al caso in questione
trattandosi di obbligazione pubblica.
Da
ciò
consegue
logicamente
che,
come
evidenziato
sostanzialmente nella citata sentenza del 2009, la mancanza di
motivazione dell’ingiunzione precluderebbe all’amministrazione
qualsiasi
successiva
allegazione
probatoria
sull’opposizione
dell’attore formale.
Del che si può concludere sull’ingiunzione speciale, che la pubblica
amministrazione, ha l’onere di fornire l’indicazione della prova della
propria
pretesa,
senza
la
quale
la
pretesa
contenuta
nell’ingiunzione non potrebbe essere riconosciuta.
Infine, stante la natura di provvedimento amministrativo, vista la
previsione ratione temporis dell’art. 3 del R.D. e dell’art. 32 d.lgs.
150/2011, si pone il problema se l’opponente,contestualmente ad
una domanda di tutela dichiarativa, mediante accertamento
negativo di responsabilità, possa contestualmente proporre una
domanda
di
tutela
costitutiva
chiedendo
l’annullamento
dell’ingiunzione.
A questa domanda si deve rispondere positivamente, stante la
natura di atto amministrativo dell’ingiunzione, che dunque non
sfugge al disposto dell’art.113 della Costituzione, il quale assicura
tutela costitutiva avverso tutti gli atti della p.a., in materia di diritti
48
soggettivi ed interessi legittimi, tale tutela costituisce un tutt’uno
inscindibile con quella dichiarativa.
Questa possibilità si afferma, sulla base di una interpretazione
costituzionalmente orientata degli art.3 ratione temporis del
R.D.639/1910 e 32 d.lgs. 150/2011, ove si prevede la possibilità
della sospensione cautelare dell’ingiunzione, da ciò consegue sulla
base della giurisprudenza della Corte costituzionale che: … Posto
che
il
potere
di
sospensione
della
esecuzione
dell'atto
amministrativo è un elemento connaturale di un sistema di tutela
giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l'annullamento degli
atti della pubblica amministrazione e che le citate leggi sugli organi
di giustizia amministrativa, in via generale e in conformità di una
lunga tradizione storica, consentendo di valutare caso per caso la
ricorrenza delle gravi ragioni (o del pericolo di irreparabilità degli
effetti della esecuzione), una esclusione del potere medesimo o
una limitazione dell'area di esercizio di esso con riguardo a
determinate categorie di atti amministrativi o al tipo del vizio
denunciato contrasta col principio di uguaglianza consacrato
nell'art. 3 della Costituzione, qualora non ricorra una ragionevole
giustificazione del diverso trattamento. Corte cost.284/1974.
Quindi, di per sé, la possibilità di sospensione dell’ingiunzione
speciale
come
atto
amministrativo,
ne
presuppone
necessariamente la possibilità di richiederne l’annullamento.
In conclusione, deve pertanto affermarsi sull’ingiunzione ex
R.D.639/1910, emessa dall’AGEA per il recupero dei finanziamenti
49
da essa
concessi e sull’eventuale processo di opposizione
avverso la stessa, la giurisdizione della Corte dei conti.
Conseguentemente, essendosi formato un titolo esecutivo, a cui
non risulta essere stata fatta opposizione, essendo venuto meno
l’interesse processuale ai sensi dell’art.100 c.p.c., la domanda del
PM, deve ritenersi e dichiararsi improcedibile.
Vista la peculiarità del caso e non essendosi il convenuto
costituito, non si dà luogo a pronuncia sulle spese.
La presente sentenza sarà trasmessa per il tramite del PM,
all’AGEA per il seguito di competenza.
P. Q. M.
La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione
Siciliana, definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile la
domanda del Procuratore regionale nei confronti di Destro
Carmelo.
Ordina la trasmissione della presente sentenza all’AGEA tramite il
PM, per l’eventuale seguito di competenza.
Nulla per le spese, vista la peculiarità del caso e non essendosi il
convenuto costituito.
Manda alla segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 17 gennaio
2012
L’Estensore
ll Presidente
F.to Dott.Giuseppe Grasso
F.to Dott. Luciano Pagliaro
50
Depositata in segreteria il 27 febbraio 2012
Il Direttore della Segreteria
F.to Dr.ssa Rita Casamichele
51