REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA Composta dai magistrati: Dott. Luciano Pagliaro Presidente Dott. Vincenzo Lo Presti consigliere Dott. Giuseppe Grasso referendario relatore Ha pronunciato la seguente SENTENZA n. 653/2012 Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n.58098 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di: Destro Carmelo nato a Bronte (CT) il 3/1/1959, ed ivi residente in Maniace (Ct), via Boschetto 31. Esaminati gli atti e documenti di causa. Uditi nella pubblica udienza del 17 gennaio 2012, il relatore dott. Giuseppe Grasso, il Pubblico Ministero, nella persona del dottor Gianluca Albo. FATTO Con atto di citazione depositato il 23/12/2010 e regolarmente notificato, il procuratore regionale ha citato il signor Destro Carmelo residente in Maniace, per aver indebitamente percepito finanziamenti a carico del bilancio comunitario dall’AGEA relativi 1 alla zootecnia per gli anni 1995,1996 1998 in violazione della legge 575/1965, in quanto soggetto destinatario di provvedimento di sorveglianza speciale per la durata di tre anni, adottato dalla Corte di appello di Catania il 8/11/1995, divenuto esecutivo il 12/12/1995. Il convenuto avrebbe dunque indebitamente percepito la somma complessiva di € 7.625,56. In particolare, parte attrice richiama l’applicazione dell’art. 10 della legge 575/1965 che vieta a persone a cui è stata applicata una misura di sicurezza di percepire qualsiasi erogazione finanziaria pubblica. Il PM evidenzia il comportamento doloso del convenuto che ha tenuto nascosta all’ente erogatore l’applicazione della misura di sicurezza. Il convenuto non si è costituito; ma risulta che l’AGEA in data 28/6/2010 gli ha notificato ingiunzione speciale ex R.D. 639/1910 per il recupero della predetta somma e che ad essa non sia stata fatta opposizione. DIRITTO La domanda del Procuratore Regionale deve ritenersi e dichiararsi improcedibile nei termini di seguito indicati, affermando la giurisdizione della Corte dei conti nel giudizio di opposizione all’ingiunzione ex R.D. 639/1910 in materia di recupero di finanziamenti pubblici e più in generale di responsabilità amministrativa. Preliminarmente, devono essere riassunti i termini della questione 2 sulla base della giurisprudenza di questa sezione e della sezione di appello. Con le precedenti pronunce n.1113 e 1193/2010 questa sezione aveva affermato l’improcedibilità dell’azione del PM tesa al recupero dell’indebito finanziamento, stante l’esistenza di un titolo esecutivo formatosi a seguito della mancata opposizione dei convenuti all’ingiunzione speciale prevista dal R.D.639/1910. In particolare, nella prima sentenza si è affermato: Dalla disamina della documentazione contenuta nel fascicolo processuale si deduce, altresì, che l'Amministrazione danneggiata, per i fatti di cui è causa, non solo si è già munita di un titolo esecutivo sulla cui base procedere al recupero del danno erariale, quale l'ordinanza ingiunzione emessa ai sensi del regio decreto n. 639/1910, non oggetto di alcuna opposizione da parte del convenuto, ma anche che sta procedendo a recupero, tramite il concessionario Equitalia, del credito erariale di cui ha chiesto l'iscrizione a ruolo. Ne consegue che l'azione del Pubblico Ministero contabile, quale organo promotore di giustizia agente nell'interesse del pubblico erario e, quindi, dell'Amministrazione danneggiata (nella specie l'Agea), deve essere dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse ad agire in quanto l'art. 100 c.p.c. statuisce che "per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”, e tale interesse deve sussistere sino alla decisione del giudizio. L'interesse ad agire, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio in 3 qualunque stato e grado del processo (ex pluris Cassazione, II sezione , 30.06.2006 nell'esigenza di n. ottenere 15084), deve un risultato consistere, utile infatti, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice; tale requisito non può identificarsi con un mero interesse astratto ad una pronuncia giudiziaria che dal punto di vista concreto non potrebbe avere, controversia, come alcun per la riflesso particolarità pratico dal della presente momento che l'Amministrazione danneggiata, non solo si è già munita di titolo esecutivo (Cassazione, sezione Il, 14.10.2004 n. 20304), ma sta anche provvedendo al recupero del danno subito, tramite l'iscrizione a ruolo; in altri termini, una statuizione di condanna sarebbe in questa sede inutiliter data. Aggiungasi che un'eventuale sentenza di condanna pronunciata da questa Corte dovrebbe essere eseguita dalla stessa Amministrazione danneggiata (nei limiti di quanto ancora non recuperato) che,per lo stesso credito, come già detto, si è munita di altro titolo esecutivo, iscritto a ruolo. La Corte di Cassazione (Il sezione, 30 giugno 2006 n. 15084; I sezione, 21 luglio 2004 n. 13518) ha affermato, in materia analoga, il principio secondo cui il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo ulteriore pronuncia di condanna contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto; una deroga a tale principio 4 è possibile solo tutte le volte in cui la domanda di condanna, pur nella preesistenza di altro ed analogo titolo giudiziale, non risulti diretta alla mera duplicazione del titolo già conseguito, ma faccia valere una situazione giuridica che non abbia trovato esaustiva tutela e sia diretta al perseguimento di un risultato ulteriore rispetto a quello in precedenza ottenuto. L'ordinanza di cui al regio decreto n. 639/1910, come più volte statuito dalla Corte di Cassazione (ex multis III Sezione n. 8335/2003; I Sezione n. 8162/2000, n. 2894/1997 e n. 1527/1996), è espressione del potere di autoaccertamento e dì autotutela della Pubblica Amministrazione, cumulando in sé la duplice natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dall'Ente pubblico nell'esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all'inizio dell'esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo esecutivo civile ordinario è l'atto di precetto, con la conseguenza che la decorrenza del termine stabilito dall'art. 3 del citato regio decreto per proporre opposizione produce decadenza, ovverosia irretrattabilità del credito, qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato, da cui esso promana. In altri termini, pur dovendosi escludere che l'ingiunzione sia suscettibile di acquistare efficacia di giudicato al pari della statuizione giudiziaria, la decadenza non è altrimenti evitabile che con la proposizione del giudizio di opposizione e in difetto di ciò si produce l'effetto - di natura sostanziale e non solo processuale - della incontestabilità 5 delle ragioni di credito indicate nell'ordinanza, "effetto ovviamente non eludibile attraverso la proposizione di un'azione [autonoma] di accertamento negativo"; da questo punto di vista la mancata impugnazione dell'ordinanza nel termine previsto produce, concretamente, la stessa conseguenza del giudicato giudiziario, ovverosia l'impossibilità di contestare da parte del destinatario le ragioni del credito dell'Amministrazione agente. In termini conformi è la successiva sentenza n.1393/2010 di questa sezione. A riforma di queste decisioni si è pronunciata la sezione di Appello Sicilia con la sentenza n.139 e145/2011 in cui si è invece affermata comunque la necessità di una pronuncia giurisdizionale, in particolare :… il diritto di natura risarcitoria che il procuratore regionale attiva con l’esercizio dell’azione di responsabilità (e che nella nuova connotazione della responsabilità amministrativa ha anche carattere sanzionatorio), pur traendo origine dai medesimi fatti, non è identificabile né del tutto sovrapponibile con il diritto di credito che l’amministrazione danneggiata può direttamente ed autonomamente esercitare nei confronti dello stesso soggetto autore del fatto dannoso(Corte dei conti, Sez. II centr. app., 18-12002, n. 10). Nell’attuale sistema delle “materie di contabilità pubblica” si può affermare che il giudizio di responsabilità amministrativa non ha solo la funzione di procurare alla P.A. danneggiata un “titolo esecutivo” che le consenta di ripristinare, a carico di un 6 determinato soggetto, il patrimonio leso, bensì anche quella di accertare o escludere la responsabilità (sia essa contrattuale o extracontrattuale) di un determinato soggetto nella gestione delle risorse pubbliche, con la triplice finalità di eventualmente sanzionarne il comportamento mediante le regole proprie della responsabilità amministrativa, di offrire alla P.A. elementi di valutazione di quel determinato soggetto nell’ambito degli ulteriori rapporti presenti o futuri con quest’ultimo intercorrenti e, infine, di produrre tutti quegli ulteriori effetti, anche di status, che l’ordinamento eventualmente preveda come direttamente connessi ad un pronuncia di responsabilità amministrativa……. Non senza significato, poi, al fine che qui interessa, appare quella giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha più volte escluso che l’amministrazione pubblica danneggiata possa esercitare (al di fuori della costituzione di parte civile nel processo penale) l’azione civile contro i propri dipendenti, in base all’argomento che la Corte dei conti abbia, in materia, giurisdizione esclusiva (SS.UU. civili, sentenze 22 dicembre 1999, n. 933 e 4 dicembre 2001, n. 15288), rafforzata dalle argomentazioni più recentemente sviluppate dalla Corte Costituzionale (sentenza n.272/2007) in ordine alla non assimilabilità del giudizio civile a quello amministrativo sul danno ai fini dell’applicazione dell’articolo 75 cod. proc. pen., del quale deve escludersi la riferibilità all’ambito di cognizione della Corte dei conti (cfr. ex multis Corte dei conti, sez. III, 4 novembre 2005, n. 651, e sez. I, 30 giugno 2004, n. 244). 7 D’altronde, l’affermazione di origine giurisprudenziale secondo cui la giurisdizione di questa Corte nelle materie di contabilità pubblica non avrebbe carattere cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente generale, sicché la concreta attribuzione della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa richiederebbe l'interpositio del legislatore ordinario, cui competono valutazioni e scelte discrezionali (in questo senso, ad esempio, C. cost. 17 dicembre 1987, n. 641; C. cost. 12 gennaio 1993, n. 24; C. cost. 5 novembre 1996, n. 385, tra le tantissime), non indebolisce ma rafforza le conclusioni alle quali ritiene di dovere pervenire questa Sezione, alla luce del noto arresto giurisprudenziale contenuto nella sentenza n.19667/2003 delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, secondo cui il legislatore, con e dopo la legge n. 20/1994, in materia di giurisdizione per la responsabilità amministrativa avrebbe inteso operare per blocchi di materia, dando concreta e puntuale applicazione al secondo comma dell’art. 103 della Costituzione, devolvendo alla Corte dei conti l’intera materia, prima frammentata fra A.G.O. e giurisdizione contabile …. Da tutto ciò consegue che l’azione di responsabilità amministrativa non può trovare ostacoli al proprio pieno compimento né nell’adozione di strumenti alternativi, dei quali sia titolare la P.A. danneggiata, per il recupero del danno subito, né nel concorrente ricorso ad altre giurisdizioni da parte della medesima P.A. che deve ritenersi precluso dal carattere esclusivo della giurisdizione contabile nelle materie di contabilità 8 pubblica. Tali argomentazioni tutte in generale condivisibili, necessitano però di precisazioni che conducono ad affermare la giurisdizione della Corte dei conti, anche per i giudizi di opposizione all’ingiunzione speciale prevista dagli art. 2 e 3 del R.D. 639/1910 e la declaratoria di improcedibilità dell’azione del PM per la sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell’art.100 c.p.c., che viene assorbita e sostituita dall’integrale recupero dell’indebito attraverso l’azione amministrativa, la quale può essere contestata dall’interessato mediante autonoma opposizione davanti allo stesso giudice contabile. In realtà, la sentenza della sezione di Appello ha riformato l’orientamento di questa sezione, ritenendo la necessità comunque di una decisione, in presenza di ingiunzione anche non opposta e seguita da iscrizione a ruolo, sul presupposto che la materia non rientrasse nella giurisdizione contabile, affermazione che, in relazione ai più recenti orientamenti giurisprudenziali delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla giurisdizione della Corte dei conti, deve essere rivista. L’ingiunzione speciale disciplinata dal R.D.639/1910:Testo unico delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, dei proventi di demanio pubblico,e di pubblici servizi e di tasse sugli affari, altrimenti conosciuta come ingiunzione fiscale o amministrativa, nel tempo, è stata oggetto di una variegata e non 9 sempre coerente elaborazione giurisprudenziale, dovuta alla sua applicazione sia alle entrate tributarie che non tributarie e recentemente soggetta ad innovazione legislativa con il d.lgs.150/2011. La recente modifica non si applica ratione temporis al caso in questione, ma assume comunque rilevanza ai fini della definizione della tutela sostanziale e processuale, sia del privato, che dell’amministrazione, nell’ottica altresì delle esigenze di finanza pubblica, per ragioni di certezza giuridica. Va in primo luogo giustificata la giurisdizione della Corte dei conti anche sui giudizi di opposizione all’ingiunzione; a tal proposito deve essere evidenziata la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione che ha più volte affermato, ad esempio in materia pensionistica, che la giurisdizione prescinde dallo strumento di tutela utilizzato: …la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di trattamento pensionistico si estende alle controversie relative agli atti di recupero di ratei di pensione già erogati, atteso che anch’essi investono il “quantum” di detto trattamento, e non soffre deroga, in favore di quella del giudice ordinario, neppure nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia avvalsa del procedimento per ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile 1910,n.639, art. 2 e 3. In conclusione deve confermarsi l’appartenenza alla giurisdizione della Corte dei Conti di ogni controversia avente ad oggetto il diritto alla pensione…..ed ancorchè si tratti non di adempimento del debito di pensione ma di 10 ripetizione di pensione indebitamente corrisposta.Cass.ss.uu.16530/2008,9968/2001. Tale orientamento ha trovato conferma anche nella giurisprudenza amministrativa: ….nè tale regola soffre deroga in favore di altro giudice nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia avvalsa del procedimento per ingiunzione di cui al R.D. 639/1910 art. 2 e 3. Cons. di Stato n. 8156/2010. L’indicazione della giurisdizione ordinaria contenuta nella versione originaria dell’art. 3 ed oggi nell’art. 32 del d.lgs. 150/2011, ove si prevede che l’opposizione si propone con citazione è fuorviante, e deve essere contestualizzata allo stato del riparto della giurisdizione nel momento storico il cui la predetta normativa fu emanata; ma già in tempi recenti, ove sussistesse la giurisdizione di un giudice speciale, l’opposizione si proponeva in ragione della sua giurisdizione e nei rispettivi termini di impugnazione con le corrispondenti forme degli atti processuali per essa previsti, si veda ad esempio, l’art. 16 del DPR 636/1972 in materia di giurisdizione tributaria. La possibilità di una forma dell’atto di opposizione diverso dalla citazione, è stata pure prevista anche in materia processuale amministrativa, con la possibilità per la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avente ad oggetto diritti soggettivi di emettere ingiunzione processuale secondo le norme del codice processuale civile, ove la relativa opposizione si propone con ricorso, ai sensi dell’art. 8 della legge 205/2000,oggi art.118 c.p.a.. 11 Pertanto, ove sia previsto dalle specifiche norme processuali per le giurisdizioni speciali il ricorso come atto introduttivo processuale, esso si estende pure all’opposizione ex R.D.639/1910:… Il fatto che l'opposizione ad ingiunzione prevista dal R.D. 14 aprile 1910 n. 639, art. 3, dia luogo ad un ordinario processo di cognizione, in cui è assicurata al privato destinatario la possibilità di contestare e, ricorrendone agli estremi, di far cadere la pretesa l'accertamento fatta valere in ingiunzione, mediante negativo della sussistenza dei presupposti di legge cui viene rapportata l'obbligazione agita, non rileva, ai fini della soluzione della riproposta questione di giurisdizione: in quanto la disposizione legislativa in esame (anche laddove stabilisce che l'opposizione si propone al conciliatore,al pretore o al tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio emittente), alla stregua di un consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte Suprema, dal quale non vi è ragione di discostarsi, non reca deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico; e, pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti in esse dedotti, ed alla normativa ad essi relativa, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (Cass. sez. un. 1232/2002; 3608/1968; 430/1967).Cass.ss.uu.29529/2008. L’estensione dell’ingiunzione pure alle materie di contabilità 12 pubblica ha trovato conferma nella sentenza della Corte dei conti sezione Campania n.1303/99, ove si è affermato:… In tal modo il potere di risolvere la controversia in tutti i suoi aspetti compete senz’altro alla Corte dei conti e si esercita nelle forme previste per i giudizi ad istanza di parte, ed in particolare secondo quanto disposto dall’art.58 del R.D. n.1038/1933( Cass.SS.UU.CC. nn. 6478/1992 e 5424/1993)…… Lo stesso giudice della giurisdizione ha anche affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione su tutte le controversie in materia di contabilità pubblica, laddove si dia applicazione a regole “proprie” dell’azione gestoria amministrativa (sentenza 18.10.1991 n.11037). Nello stesso senso è la Corte Costituzionale (sentenza 30.12.1987 n.641)… Pertanto è da ritenere che le disposizioni di legge -come l’art.3 del R.D. 14 aprile 1910 n.639, richiamato nell’ingiunzione in esame- che prevedano un’opposizione o un qualunque ricorso avverso un’ingiunzione amministrativa, ancorchè vistata dal Pretore, vadano integrate e/o modificate -in immediata applicazione del citato art.103 della Costituzione, avente efficacia precettiva- nel senso di ammettere le conseguenti forme di tutela giurisdizionale direttamente innanzi alla Corte dei conti, ove si verta in materia di contabilità pubblica (o di altra, come quella pensionistica) rimessa alla giurisdizione piena ed esclusiva del giudice contabile. D’altronde le modalità con cui il giudice viene investito della controversia(opposizione a ingiunzione,ricorso,citazione, ecc.) assumono un ruolo meramente strumentale ai fini dell’attivazione 13 della tutela giurisdizionale, e non certo efficacia determinante in ordine alla definizione della natura giuridica della controversia, che rimane di carattere “gestorio” con conseguente ricorrenza della sua specifica giurisdizione,cioè quella “contabile”. Ciò a prescindere da ogni altra considerazione sulla validità giuridica dell’utilizzazione di quel particolare tipo di procedimento ingiuntivo in generale e sulla concorrenza nella specie delle altre condizioni di legge, che costituisce oggetto del presente processo innanzi alla Corte dei conti … Tale orientamento ha trovato definiva conferma in materia di responsabilità amministrativa con la decisione della Corte di cassazione ss.uu. 14825/2008,nel caso di una ingiunzione ex R.D.639/1910, emessa da una regione per la restituzione di finanziamenti per corsi di formazione professionale : …Va premesso, come da giurisprudenza costante di queste Sezioni unite (fra le altre Cass. 22.12.1999, n. 926; 10.10. 2002, n.14473), che la distrazione o cattiva utilizzazione dei fondi destinati alla formazione professionale, che si verifica in caso di realizzazione di corsi di formazione, finanziati dalla Regione, non rispondenti ai requisiti per cui furono erogati, reca danno patrimoniale alla Regione quale che sia la provenienza dei fondi, dal momento che essi entrano nel bilancio regionale, e costituendo la formazione professionale, materia di stretta pertinenza regionale, a norma degli artt. 117 e 118 Cost.,nel momento in cui essa viene ad essere privata delle utilità che sarebbero derivate da un corretto 14 uso dei fondi, ne deriva un danno, relativamente al quale è ravvisabile la giurisdizione della Corte dei conti per la responsabilità degli enti privati gestori dei corsi, che instaurano un rapporto di sevizio con l’ente pubblico territoriale…….ai fini dell’attribuzione della controversia alla Corte dei conti, appare sufficiente la presenza del danno erariale, che la stessa Regione ricorrente non nega, per effetto dell’indebita percezione di contributi pubblici per effetto del parziale disconoscimento delle spese di gestione. Fa parte del merito della questione l’accertamento delle componenti del giudizio di responsabilità, ivi compresa la qualificazione della condotta,illecita o meno, del soggetto che ha percepito i fondi….L’affermazione della giurisdizione del giudice contabile in materia di danno erariale, attiene a questione pregiudiziale, rispetto alla quale il rimedio concretamente esperibile per ottenere la riparazione dello stesso – l’iniziativa giudiziale intrapresa per il risarcimento- si muovono sul piano della ritualità della pretesa, di cui deve conoscere il giudice munito di giurisdizione. Ancora, sulla materia dei finanziamenti pubblici e della giurisdizione della Corte dei conti è necessario evidenziare: Il discrimine della giurisdizione ordinaria rispetto a quella contabile non è più rappresentato dalla qualità del soggetto, che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico, ma dalla natura del danno e degli scopi perseguiti. Ne consegue che, ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte incida 15 negativamente sul modo d'essere del programma imposto dalla p.a., alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l'atto di concessione di contributi pubblici, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza un danno per l'ente pubblico anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altri enti il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall'ente pubblico con il concorso dello stesso privato,di cui deve rispondere davanti al giudice contabile Cass. ss.uu. 20434/09; e questa sezione: La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato (ordinanza n.4511 del 1/3/2006), per discriminare la giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale da quella ordinaria,tenuto conto del sempre più frequente operare dell’amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, ha reputato irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta. In questa prospettiva, la qualità del soggetto non rappresenta un indicatore significativo, utilizzabile per selezionare il giudice abilitato a giudicare in ordine al danno che quel medesimo soggetto si assume abbia cagionato. Per far ciò,occorre, invece,avere riguardo alla natura del danno ed alla tipologia degli scopi perseguiti, cosicchè ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue censurabili condotte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A.,alla cui 16 realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo,e la incidenza della sua azione o omissione sia tale da poter determinare uno sviamento delle finalità perseguite,esso realizza un danno per l’ente pubblico, anche sotto il mero profilo di precludere l’erogazione del finanziamento ad altri possibili beneficiari. Corte dei conti sez.Sicilia n.313/2010. L’erogazione del finanziamento vincolato, presuppone un rapporto giuridico in funzione del vincolo di destinazione e di risultato del finanziamento, il quale se non raggiunto,e avendolo percepito fraudolentemente, determina un inadempimento del soggetto finanziato,con un obbligo di restituzione/risarcimento del finanziamento. Tale inadempimento non può che ascriversi in buona parte, nella categoria giuridica della responsabilità contrattuale per inesatto adempimento nei confronti dell’amministrazione erogante, con la conseguenza del nascere sicuramente di una obbligazione pubblica ex lege di restituzione, inquadrabile nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte ai sensi dell’art. 23 della Costituzione. Sulla base dunque di quanto precisato dalla Corte di Cassazione, una volta affermata la giurisdizione della Corte dei conti sulle pretese risarcitorie e/o restitutorie dell’amministrazione anche nei confronti dei privati destinatari di finanziamenti pubblici, mediante emanazione di ingiunzione ex 17 R.D. 639/1910, gli aspetti processuali rientrano nella cognizione del giudice contabile, e quindi si rende necessario precisare tali aspetti, attraverso l’analisi del processo di opposizione all’ingiunzione davanti alla Corte dei conti. Deve essere in primo luogo smentito che lo strumento dell’ingiunzione sia incompatibile con una pretesa risarcitoria piuttosto che restitutoria, considerato che in ambito civilistico: è del tutto legittima, rientrando nel potere dispositivo della parte, la proposizione cumulativa dell’azione contrattuale e di quella extracontrattuale,qualora si assuma che, con un unico comportamento,sono stati violati sia gli obblighi derivanti dal contratto, sia il generale dovere del neminem laedere. Cass.21/6/1999 n.6233; dunque, nulla vieta che una pretesa opportunamente documentata, sia di natura restitutoria che risarcitoria, possa essere introdotta dall’amministrazione mediante ingiunzione ex R.D.639/1910, posto che, come vedremo, l’amministrazione rimane parte attrice in senso sostanziale, considerata la peculiarità della responsabilità amministrativa, che assorbe in sé gli aspetti contrattuali ed extracontrattuali, a condizione tuttavia, che venga fornita la prova del fatto illecito, come nel nostro caso, e comunque della certezza, liquidità ed esigibilità della relativa obbligazione. Una volta affermata la giurisdizione della Corte dei conti, occorre stabilire, visto il disposto dell’art. 3 del R.D.639/1910 ed oggi l’art.32 comma 2 del d.lgs.150/2011 sulla competenza territoriale, 18 che tali disposizioni devono ritenersi derogate, dall’attribuzione giurisdizionale al giudice contabile con l’applicazione dei criteri di competenza territoriale specificamente previsti per tutte le sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 1 comma 3 della legge 19/1994, il quale a sua volta, richiama per quanto qui interessa l’art. 2 lett.b) della legge 658/1984, ove ai fini dell’attribuzione della competenza territoriale, rileva che il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della regione, dunque il giudice competente per giudicare l’opposizione all’ingiunzione speciale è la sezione regionale ove si è verificato l’evento dannoso e non il giudice in cui ha sede l’amministrazione che ha emanato l’atto. A questo punto, le modalità del giudizio di opposizione devono inquadrarsi, come già anticipato nella sopra citata sentenza della sezione Campania, nell’ambito dei giudizi ad istanza di parte ex art. 58 R.D.1938/1933 come giudizi di accertamento negativo di responsabilità, pacificamente rientranti nella giurisdizione contabile si veda per tutte: Corte dei conti sez.III 545/2009, con intervento necessario del Pubblico Ministero, previa notificazione del ricorso, mediante deposito dell’atto nella segreteria della sezione ai sensi dell’art. 5 del R.D.1038/1933: se è vero che art. 58 del r.d. n. 1038 del 1933 si muoveva inizialmente in un’ottica di “numerus clausus”, la situazione, tuttavia, è completamente mutata con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana o, comunque, da quando si è consolidata la giurisprudenza costituzionale (e non) per la quale l’art. 103, comma secondo, 19 della Costituzione, ha reso “tendenziale” la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica….. Ora, quanto ai giudizi di accertamento negativo della responsabilità, se da una parte appare certa, per le ragioni anzidette la giurisdizione del giudice contabile, dall’altra, la legittimazione della parte privata non incorre in alcun tipo di preclusione, poiché l’esclusività della titolarità del p.m. contabile è obiezione che attiene all’azione di responsabilità esercitata dal p.m. e non può, di certo, riguardare l’azione di accertamento negativo della responsabilità esercitata contro il p.m. La conclusione, quindi, è che i giudizi di accertamento negativo della responsabilità trovano le ragioni della propria ammissibilità nell’art. 103, comma secondo, della Costituzione, senza che sia più, quindi, necessario forzare, con una innaturale inversione di ruoli tra pubblico ministero e amministrazione, l’interpretazione dell’art. 58 r.d. n.1038 del 1933. In essi, legittimato dal lato attivo è colui al quale in sede amministrativa sia stato elevato un addebito di danno erariale o intimato un pagamento allo stesso titolo; nel mentre, dal lato passivo, è legittimato il competente Procuratore regionale, al quale, quindi, va notificata la citazione introduttiva del giudizio.”(Sezione Terza centrale 23 dicembre 2008, n. 388). Vista la compatibilità dell’opposizione all’ingiunzione con l’art. 58 del R.D. 1038/1933 è necessario fare a questo punto delle precisazioni sulla natura dell’ingiunzione, sulla posizione delle parti processuali, sulla eventuale applicabilità dei principi generali 20 previsti per l’ingiunzione processuale e fondamentalmente sulla natura decadenziale o meno del termine contenuto negli artt. 2 e 3 del R.D.639/1910, anche alla luce degli artt. 32 e 34 comma 40 del d.lgs. 150/2011, ai fini di una chiarificazione delle modalità della tutela processuale come giudizio ad istanza di parte davanti alla Corte dei conti. In primo luogo, come già accennato, il ricorso in opposizione avverso l’ingiunzione deve essere proposto contro l’amministrazione che ha emanato l’atto come giudizio ad istanza di parte ed in sede di deposito nella segreteria della sezione giurisdizionale ne va depositata una copia per il procuratore regionale, legittimato obbligatoriamente ad intervenire nel processo. L’ingiunzione speciale è stata oggetto, come già accennato, di un forte dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulla sua natura, ancora sino ad oggi non sopito, stante diversi orientamenti contrastanti della stessa Corte di cassazione. Da una analisi storica di questi orientamenti sino ad oggi, ai fini della tutela davanti al giudice contabile è necessario precisare quanto segue,analizzando brevemente i più importanti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione. Deve essere preliminarmente precisato che è necessario contestualizzare il concetto di “riscossione” utilizzato dalla norma, poiché, all’epoca della sua emanazione non era ancora chiara la distinzione tra atto accertativo (inteso in senso generale, al di là 21 dell’ambito tributario) e vero e proprio atto di riscossione, questo equivoco è stata proprio la principale fonte dei contrasti e dei dubbi giurisprudenziali, ne costituisce prova un famoso e acceso dibattito dottrinale dell’epoca sul riparto di giurisdizione per la tutela dei diritti come interessi. Difatti, l’ingiunzione può assumere entrambe le funzioni che devono però desumersi e distinguersi, in concreto, dal contesto delle regole che disciplinano gli specifici procedimenti amministrativi. Con l’art. 229 del d.lgs. 51/1998 è stato abrogato il visto del pretore ai fini dell’esecutività dell’atto, contenuto dall’art. 2 del R.D. citato, il quale ha previsto che esso è esecutivo di diritto. Deve essere affermata innanzitutto la natura dell’ingiunzione quale provvedimento amministrativo, sulla base della giurisprudenza di legittimità: …Non par dubitabile che l’ingiunzione fiscale si presenti prima facie, quale atto autoritativo della pubblica amministrazione, emesso dal competente ufficio della stessa, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi la somma da detto ufficio indicata…Cass.ss.uu.1079/1955. La affermata natura di provvedimento amministrativo autoritativo, tuttavia non ha impedito però alla stessa Corte di cassazione di qualificarlo come procedimento monitorio <<sui generis>> apprestato, nelle ipotesi previste dalla legge, per la spedita riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici minori. Nel quadro di siffatto procedimento l’ingiunzione 22 fiscale cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo stragiudiziale e del precetto, di guisa che l’opposizione del debitore costituisce la domanda giudiziale che apre ed introduce un ordinario processo cognitivo, che fondatamente ha per oggetto l’azione volta a contestare il diritto all’esecuzione. Dal che deriva che, invertendosi la posizione processuale, mentre l’amministrazione creditrice assume la veste di convenuta, l’intimato opponente diviene attore e, come tale, è abilitato a proporre nell’ordinario giudizio di cognizione anche un cumulo oggettivo di domande…..Cass.683/1959. Con sentenza Cass.ss.uu.6478/1984 si è affermato: ……l’atto di accertamento non deve essere necessariamente distinto ed antecedente rispetto all’ingiunzione di pagamento del corrispondente tributo, ma può essere contenuto nell’ingiunzione stessa. Che può assumere quindi anche una funzione accertativa. Tale orientamento ha trovato conferma con riferimento al contenzioso doganale: ….l’accertamento del credito tributario contenuto nell’ingiunzione atto sostanziale di manifestazione della pretesa fiscale suscettibile – anche a prescindere dalla idoneità o meno a costituire titolo esecutivo- di definitività ed incontestabilità ove non sia stata proposta opposizione nei termini di legge (ex multis Cass.6271/1979,856/1981,1527/96) Cass.2848/2008. Dunque, l’ingiunzione può assumere anche una mera funzione di atto di accertamento della pretesa dell’amministrazione, prescindendo come nel nostro caso, dalla funzione di atto di 23 riscossione, obliterata dalla successiva procedura di riscossione mediante iscrizione a ruolo, ciò trova specifica conferma per le entrate non tributarie nell’art.21 del d.lgs. 46/1999, ove si prevede che per le entrate non tributarie e non previdenziali, definite come “aventi causa in rapporti di diritto privato dell’amministrazione” sono iscritte a ruolo quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva. A questa tipologia di entrate sono equiparate le somme da recupero di finanziamenti pubblici, equiparate dalla dottrina e dalla giurisprudenza alle obbligazioni di diritto comune- come da attuale concorde diritto vivente della giurisdizione ordinaria ed amministrativa, in materia di provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici si veda per tutte: TAR Sicilia Pa sez.II 123/2009, Cons. di Stato sez.VI 4741/2008 e C.G.A. sez.giur. 563/2011. Da tale norma, come vedremo, derivano delle specifiche conseguenze sotto il profilo della natura giuridica del termine di trenta giorni previsto dall’art. 2 e 3 ratione temporis del citato R.D.. Difatti, nella sopra citata decisione della Cass.ss.uu 1079/1955, si era pure affermato che: il termine per proporre opposizione non è perentorio, come è per l’ordinario decreto ingiuntivo; la sua decorrenza ha il solo effetto di autorizzare l’ente creditore a iniziare l’esecuzione forzata. In particolare, in motivazione si specificava: E differenza ancor più notevole – come si è ben osservato in dottrina – concerne gli effetti della mancata opposizione, chè, mentre l’ordinario decreto 24 ingiuntivo, se non opposto nei venti giorni, acquista efficacia di cosa giudicata formale (e per taluni, addirittura sostanziale),nella ingiunzione fiscale il decorso dei trenta giorni non preclude l’opposizione, ed ha il solo effetto di autorizzare l’ente creditore ad iniziare l’esecuzione forzata, della quale il giudice non può più ordinare la sospensione, ritenendosi concordemente che il detto termine di trenta giorni non sia perentorio e mancando comunque un’espressa comminatoria d’inoppugnabilità, diversamente da quanto è disposto negli art. 647 e 656 codice di proc.civile. Con Cass.ss.uu.2850/1963, si confermò il suddetto orientamento precisando: Il termine di trenta giorni per proporre opposizione stabilito dall’art. 3 del T.U. 14 aprile 1910 n.639, non è perentorio. Peraltro, decorso tale termine, la parte può sempre adire il giudice per far decidere della fondatezza della pretesa della pubblica amministrazione, non essendo produttivo di preclusione l’inutile decorso di tale termine. Tale orientamento, è stato nel tempo confermato da costante giurisprudenza, in tempi più recenti, Cass.1571/1996: l'inutile decorso del termine di trenta giorni previsto dall'art. 3 del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 non preclude l'opposizione di merito che il debitore proponga per contestare la esistenza della pretesa creditoria (Cass. 28 novembre 1981 n. 6335; 26 novembre 1981 n.6292; 20 gennaio 1971 n.112; 28 ottobre 1963 n. 2850). Tale termine, infatti, non è qualificato come perentorio, ne' per la sua violazione è sancita decadenza o inammissibilità (come invece 25 dispone l'art. 23, comma primo, della legge n. 689-91, per la inosservanza del termine fissato per la opposizione alla ordinanzaingiunzione in tema di sanzioni amministrative). Va perciò applicato il principio posto dal cpv. dell'art. 152 del cod. proc. civ., codice che è richiamato espressamente dall'art. 3 del R.D. n. 639-1910. Prescindendo dal diverso orientamento della stessa Cassazione in materia tributaria e doganale, che ha ritenuto l’applicabilità dei termini decadenziali, previsti dalla specifica disciplina di settore anche all’ingiunzione speciale, si deve valutare a questo punto se la non perentorietà del termine possa essere ritenuta esistente nel caso in questione, trattandosi di materia non tributaria. In effetti, la predetta giurisprudenza, tralatiziamente richiamata da quella più recente, e che è stata pure recepita dal legislatore con il d.lgs.150/2011, il quale ha sostanzialmente soppresso l’art. 3 del R.D.639/1910, -sebbene il termine di trenta giorni continui ad essere previsto dall’art. 2- , è viziata da un equivoco di fondo, dovuto alla mancata valutazione dello specifico contesto normativo dell’epoca. Infatti, le predette sentenze della Corte di cassazione, si riferivano perlopiù a controversie in materia di imposte indirette erariali e locali, ed in particolare per i casi citati, in materia di procedura di accertamento e riscossione di imposta di registro, all’epoca disciplinata dal R.D.3269/1923. Nello specifico, l’art. 34 del citato R.D. prevedeva che avverso l’avviso di accertamento per il maggior valore era proponibile 26 ricorso entro trenta giorni alla commissione tributaria, ai sensi dell’art. 21 del D.L.1639/1936, espressamente previsto come termine decadenziale, trascorso il quale, era precluso al contribuente il diritto di contestare il valore notificatogli. I successivi artt.144 e 145 prevedevano come strumento di riscossione l’ingiunzione, avverso la quale era possibile proporre opposizione entro trenta giorni, trascorsi i quali, l’amministrazione poteva procedere agli atti esecutivi, l’opposizione tardiva era sempre ammissibile ma precludeva la possibilità di ottenere la sospensione del procedimento. Nel caso però, in cui l’amministrazione avesse richiesto una imposta suppletiva o sopratassa la sua proposizione aveva efficacia sospensiva, perché ovviamente questa si configurava come una richiesta nuova non preceduta dall’atto di accertamento. Era chiaro dunque che nel suddetto caso, in cui l’ingiunzione seguiva un avviso di accertamento divenuto definitivo per inoppugnabilità, l’opposizione all’ingiunzione non fosse soggetta a termini decadenziali, poiché non era e non poteva essere volta a contestare la originaria pretesa dell’amministrazione, divenuta incontestabile nell’an e nel quantum. La dimostrazione di questa tesi è data dalla stessa Cassazione: Il R.D. n. 639 del 1910, art. 3 non qualifica il termine lì indicato come perentorio o da osservare a pena di decadenza e costante è stata nel tempo l'interpretazione di tale articolo nel senso che il termine va osservato se si intende chiedere la sospensione dell'efficacia 27 esecutiva dell'ingiunzione, altrimenti l'opposizione è esperibile senza limiti di tempo, sino a quando il processo esecutivo non è concluso, com'è per l'opposizione alla esecuzione prevista ora dall'art. 615 c.p.c., che è l'azione in cui si risolve l'opposizione all'ingiunzione, quando si contesta che la parte istante abbia il credito per cui minaccia l'espropriazione forzata. Cass.6670/07. Da quanto sin qui esposto, consegue chiaramente che esisteva una specifica disciplina tributaria dell’ingiunzione, diversa rispetto a quella generale prevista nel R.D. 639/1910; tale disciplina ha influenzato però erroneamente la giurisprudenza successiva, che l’ha estesa a tutti gli altri casi e materie, generalizzando ed equivocando così la non perentorietà del termine previsto dall’art. 3. Parimenti, è pure da criticare, sulla base dell’attuale contesto normativo, la ritenuta non perentorietà del termine, facendo la differenza con la disciplina dell’ingiunzione processuale e con l’art. 152 del c.p.c., poichè verrebbe meno il senso e la stessa funzione della stessa disciplina speciale contenuta nel R.D.639/1910, fatta specificamente salva dall’art. 635 c.p.c.. Difatti, se si ritiene secondo il riferimento all’art. 152 c.p.c. che il termine dell’art. 3 non sia perentorio perché non è espressamente e testualmente previsto, lo stesso ragionamento dovrebbe valere pure per l’ingiunzione processuale, poiché, neanche per questa esiste una testuale disposizione che preveda l’attuale termine contenuto nell’art. 641 c.p.c. come decadenziale, ma tale 28 perentorietà, si ricava da una lettura sistematica delle norme, facendo riferimento all’art.647 relativo alla mancata opposizione dell’opponente e all’art.656 relativo ai casi di impugnazione speciale del decreto d’ingiunzione divenuto esecutivo a norma dell’art. 647. Se così è, nel nostro caso dobbiamo affermare che il termine di trenta giorni già previsto dall’art. 3 del R.D.639/1910 ed oggi contenuto solamente nell’art. 2, sia da ritenere per interpretazione sistematica decadenziale, visto che, nei casi in cui l’ingiunzione speciale abbia solamente natura accertativa, essa si configura come atto necessario e presupposto, affinchè l’amministrazione possa effettuare la successiva iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 46/1999, essendo pacifico, che nel sistema della riscossione,la iscrizione a ruolo a titolo definitivo e la conseguente la cartella esattoriale, possa essere emessa solamente su atti aventi efficacia esecutiva, ossia divenuti definitivi e incontestabili. Prova ne è, con valenza di principio processuale generale ai sensi dell’art.12 disp.prel.c.c., il disposto dell’art. 19 comma 3 del d.lgs.546/1992: Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato,ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo. L’esigenza di certezza giuridica sia per il privato che per l’amministrazione, attraverso il giudizio ad istanza di parte, di opposizione all’ingiunzione davanti alla Corte dei conti, si giustifica 29 pure per la mancanza di strumenti di tutela processuale immediata sugli atti presupposti di revoca dei finanziamenti dell’amministrazione, (ritenuti come da giurisprudenza citata, atti non impugnabili davanti al giudice amministrativo), per la tardiva formazione di un giudicato davanti al giudice ordinario e per l’inammissibilità del giudizio di ottemperanza alle sentenze esecutive del medesimo, come affermato dalla Corte costituzionale ordinanza n.122/2005. E, conseguentemente, pure per l’impossibilità di annullamento e di tutela cautelare per la sospensione dell’atto davanti al giudice ordinario a norma dell’art. 4 della legge 2248/1865 all.E., considerato che, nella vigenza dell’art. 4 della legge 1034/1971, il quale non è stato riproposto nel c.p.a., pur sussistendo dubbi sul rispetto della delega legislativa contenuta nell’art.44 della legge 69/2009 e sulla compatibilità con l’art. 113 Cost., non è stata riconosciuta dalla giurisprudenza per gli atti inerenti diritti soggettivi, -come la revoca dei finanziamenti pubblici- la giurisdizione costitutiva di annullamento davanti al giudice amministrativo e la relativa tutela cautelare: Quando alla p.a. non è attribuito alcun potere discrezionale in ordine alla concessione di un contributo in favore di un privato (in quanto il contributo stesso è riconosciuto direttamente dalla legge in capo ad un determinato soggetto), ed alla pubblica amministrazione è demandato esclusivamente il controllo formale di determinati adempimenti, il privato risulta titolare di un diritto soggettivo perfetto al suo 30 conseguimento; diritto relativamente al quale la pubblica amministrazione non dispone di alcun potere discrezionale di revoca o di sospensione, se non nell’ambito del potere di autotutela e solo con riferimento al difetto dei presupposti. Ne consegue che, al di fuori di tali presupposti, l’eventuale provvedimento con il quale il contributo venga revocato o sospeso è inidoneo a degradare il diritto soggettivo in mero interesse legittimo e le relative controversie rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, cui è riconosciuto il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 5 all.E legge n. 2248 del 1865. Cass.ss.uu.1483/1997. A tutto questo si aggiunge, sorgendo anche qui dubbi sul rispetto della citata delega legislativa, il disposto dell’art.7 ultimo comma del c.p.a., ove si esclude la proponibilità del ricorso straordinario al di fuori delle controversie attualmente devolute al giudice amministrativo. Da quanto esposto, si evidenzia dunque la necessità e l’utilità del giudicato contabile sull’atto di ingiunzione emesso dall’amministrazione, poiché, l’atto presupposto di revoca del finanziamento attualmente è comunque insuscettibile secondo l’attuale concordato giurisprudenziale di divenire inoppugnabile o essere assorbito da un giudicato amministrativo di rigetto, ma è semplicemente disapplicabile senza limiti di tempo, anche davanti al giudice contabile, si veda:Cass.6801/2002,4567/2004,Corte dei conti sez. III 100/2003. 31 Pertanto, la decisione del giudice contabile sull’opposizione all’ingiunzione, contribuisce a dare tempestiva certezza giuridica, non solo al privato in caso di accoglimento del ricorso, ma in caso di rigetto anche all’amministrazione, per il recupero dell’indebito finanziamento, mediante la formazione di una sentenza che costituisce titolo esecutivo per la successiva iscrizione a ruolo; a maggior ragione nel caso di mancata opposizione nel termine già previsto dall’art. 3 ed oggi contenuto solamente nell’art. 2 del R.D.639/1910,sempre per la fondamentale esigenza dell’amministrazione di disporre di un titolo esecutivo. Da quanto sin qui evidenziato, consegue pure che la giurisprudenza di legittimità richiamata pure dalle succitate sentenze di questa sezione, ove si afferma che l’ingiunzione assorbe la funzione di atto di precetto, appare discutibile con la sua natura di provvedimento amministrativo seppur immediatamente esecutivo di diritto. Difatti, tale funzione deve ritenersi esclusa nei casi come questo, ove l’ingiunzione svolge una funzione accertativa, seguita dall’iscrizione a ruolo, pertanto non potrebbe applicarsi l’art.481 c.p.c., posto altresì che, al momento dell’emanazione dell’ingiunzione l’efficacia esecutiva non si è ancora formata in via definitiva e può essere sospesa in via cautelare ai sensi già dell’art. 3 ed oggi dell’art. 32 del d.lgs.150/2011. Altra problematica da valutare, è quella sulla posizione delle parti in tale processo; la citata Cass.ss.uu.1979/1955 aveva affermato: 32 L’opponente assume sempre la posizione dell’attore; egli deve dichiarare i motivi su cui fonda l’azione, senza che possa pretendere di precisarli nel corso del giudizio oltre i termini nei quali la legge del processo gli consente di modificare o anche di ampliare la domanda originaria. In particolare le Sezioni Unite ritenevano che i crediti dell’amministrazione per i quali era stata emessa l’ingiunzione fossero assistiti da una presunzione di legittimità:….. .Del che consegue –e si entra nella specifica questione di cui è controversia- che la posizione delle parti in giudizio differisca secondo che si tratti di opposizione ad ingiunzione fiscale o di opposizione ad ordinario decreto ingiuntivo. Quest’ultima dà luogo a normale processo di cognizione, nel quale la domanda giudiziale è costituita dal decreto ingiuntivo notificato al debitore, e il creditore e il debitore mantengono ciascuno la loro posizione originaria con i relativi oneri di prova secondo le ordinarie regole processuali. E pertanto spetta all’attore (creditore) provare la dedotta obbligazione: l’intervenuto decreto ingiunzionale non fa presumere il credito dell’ingiungente, e per effetto della opposizione sono ripristinate le posizioni probatorie delle parti secondo il loro interesse ad agire o resistere all’azione. Nell’opposizione ad ingiunzione fiscale, invece, la domanda giudiziale è costituita dall’atto di opposizione, e l’opponente, in quanto impugna l’esistenza del credito della pubblica amministrazione o la procedura seguita è attore e a lui incombe 33 l’onere della prova. E nell’atto di opposizione devono enunciarsi i motivi sui quali l’opposizione è fondata; e per quanto l’esposizione dei motivi possa essere concisa, mai può ammettersi che sia sufficiente –come sostiene il ricorrente- una generica impugnativa, un’affermazione generica dell’ingiustizia dell’ingiunzione Una impugnazione generica, senza specificazione dei motivi, pare a mala pena tollerabile nella opposizione ad ordinario decreto ingiuntivo, nel quale –si ripete- l’opponente mantiene la sua posizione di convenuto e può pertanto restare inattivo sino a quando l’attore non abbia fornito compiuta prova del suo credito, ed attendere comunque la prova che del credito dia l’attore per poi esso convenuto dimostrarne l’invalidità o l’inadempimento da parte sua o il vizio del processo nel quale il credito è fatto valere. Assumendo invece l’opponente, nella ingiunzione fiscale, la veste di attore, deve, come ogni altro attore, dichiarare i motivi su cui fonda l’azione, senza che possa pretendere di precisarli nel corso del giudizio oltre i termini nei quali la legge del processo gli consente di modificare o anche di ampliare la domanda originaria. Questo orientamento ha trovato delle successive conferme :.. …giurisprudenza costante di questa corte, nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale, attore, anche in senso sostanziale, deve ritenersi l’opponente, giacché, stante la presunta legittimità dell’atto amministrativo, è su di lui che incombe l’onere di provare la mancanza dei presupposti della pretesa impositiva avanzata dall’amministrazione (Cass. 30 maggio 1978, n. 2372, 13 34 giugno 1975, n. 2362, 10 gennaio 1975, n. 73).Cass.9161/1995. Questo orientamento si basa su un presupposto tralatiziamente errato, ovvero che l’atto amministrativo sia assistito da una presunzione di legittimità. Tale tesi è stata ormai da tempo superata dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa, le quali hanno impostato l’analisi della natura del provvedimento amministrativo in termini di esecutività/esecutorietà e di inoppugnabilità, posto che, anche un atto illegittimo sia in ambito amministrativo o tributario, se non impugnato nei termini decadenziali previsti dalla legge, si consolida, ma ciò non significa che sia legittimo, posto che, come abbiamo visto, nei casi specifici, può pure essere disapplicato senza limiti di tempo. Difatti, non corrisponde al vero che questo orientamento fosse costante, visto che è stato posto in discussione dalla stessa Corte di cassazione a partire dalla famosa sentenza Cass.2990/1979, ove si affermò:..Ora tutto il ragionamento svolto dalla corte in tanto può accogliersi in quanto si ritenga esatta la premessa maggiore del sillogismo svolto nella sentenza, che cioè possa esplicare qualche rilievo in giudizio la cosiddetta presunzione di legittimità dell’atto amministrativo impugnato. In realtà una tale affermazione costituisce il fondamento di un indirizzo giurisprudenziale il quale si è consolidato con particolare riferimento alla ingiunzione fiscale. Si è sostenuto in proposito che nel procedimento monitorio fiscale regolato dal r.d. 14 aprile 1910 35 n.639 l’opposizione del debitore costituisce la domanda giudiziale che apre un ordinario processo cognitivo diretto all’accertamento negativo della pretesa tributaria, processo il debitore contro cui il titolo esecutivo è fatto valere ne contesta il fondamento ed assume perciò la veste di attore e l’onere di provare quanto afferma (Cass. 25 novembre 1976,n.4444; 9 maggio 1969 n. 1585; 24 luglio 1968 n. 2673 e 30 marzo 1968 n. 975). La motivazione dell’indirizzo accennato si fonda sulla peculiare caratteristica dell’ingiunzione fiscale nella teorica del processo monitorio ingiunzionale, la cui funzione –si è osservato- risiede nella sollecita riscossione dei crediti della pubblica amministrazione, i quali sono assistiti dalla presunzione di legittimità siccome attestati dai competenti uffici dello Stato e degli altri enti pubblici (Sez.un. 19 aprile 1955 n.1079,15 ottobre 1957 n.3289). E poiché la ingiunzione fiscale ha efficacia esecutiva che non viene meno a seguito della opposizione dell’intimato nel relativo giudizio, a differenza di quanto avviene in caso di opposizione ad ingiunzione ordinaria, la domanda giudiziale è costituita non dall’ingiunzione ma dall’atto di opposizione con cui si impugna un credito della pubblica amministrazione munito di efficacia esecutiva, onde è l’opponente tenuto a provare, per la sua qualità di attore, l’infondatezza del credito da lui impugnato. Mentre la dottrina più antica giustificava la imperatività del provvedimento sulla base della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, attualmente prevale in dottrina l’indirizzo secondo 36 cui la presunzione di legittimità non opera di fronte al giudice, dal momento che, secondo il diritto positivo, l’onere della prova non incombe soltanto sull’attore come dovrebbe essere se una tale presunzione avesse un effettivo significato. Il provvedimento amministrativo è invece imperativo nel senso che si realizza da se stesso quando non vi è bisogno di una azione specificamente esecutoria, essendo manifestazione di un potere pubblico. Ciò tuttavia non può essere inteso come deroga al principio costituzionale della necessaria verificazione giudiziale delle pretese della pubblica amministrazione, come di quelle di qualsiasi altro soggetto. Orbene, poiché il provvedimento è ablatorio in quanto impone al destinatario un sacrificio patrimoniale, si comprende come, essendo esso rigidamente ancorato al principio di legalità, anche costituzionalmente garantito (art.23 Cost.), la prevalenza che caratterizza la posizione dell’autorità amministrativa non impedisce al privato, di adire il giudice ordinario, al fine di controllare, come per qualsiasi altro credito, la fondatezza della pretesa fatta valere dalla pubblica amministrazione e non già per rimuovere una presunzione di legittimità da cui l’atto sarebbe assistito. Partendo invece dal presupposto della presunzione a favore della pubblica amministrazione, è agevole il passo che conduce ad affermare, come è accaduto nel presente giudizio, che questa posizione di vantaggio dell’autorità amministrativa nel processo pone da un lato a carico del destinatario l’onere di superare la 37 detta presunzione, dall’altro esonera la pubblica autorità dal dimostrare a sua volta la fondatezza del proprio credito. Il punto centrale della indagine, una volta che si è svuotato di concreto contenuto il cosiddetto principio di legittimità dell’atto amministrativo, può quindi risolversi nel dilemma se la prova dei presupposti di fatto della imposizione amministrativa spetti all’autorità amministrativa, ovvero non debba ritenersi che la prova della inesistenza di tali presupposti spetti al destinatario del provvedimento. Certamente incombe su quest’ultimo la prova dei fatti impeditivi della pretesa ( es. fatti che determinano una esenzione fiscale) ovvero la prova dei fatti estintivi ( come potrebbe essere il pagamento dell’imposta). Ma al di fuori di queste ipotesi che non danno luogo a dubbi di sorta, si pone in tutta la sua ampiezza il problema in esame, il quale deve essere deciso nel senso che grava sull’autorità amministrativa la prova (positiva) dei fatti che costituiscono il fondamento della sua pretesa………La dottrina più recente ha osservato, a proposito dei provvedimenti ablatori, che per essi si verifica una prima sequenza di atti, disciplinata dal diritto amministrativo mediante apposito procedimento il quale culmina con un provvedimento costitutivo di un rapporto obbligatorio, in quanto da esso nascono diritti (per la pubblica amministrazione) ed obblighi per il destinatario. Soffermando l’indagine su tale rapporto è sorto il quesito se esso dia vita ad una obbligazione propria del diritto civile ovvero debba 38 ravvisarsi in essa una obbligazione pubblica propria del diritto amministrativo. Il problema che non è di teoria generale ma di diritto positivo è stato risolto nel nostro ordinamento nel senso che l’obbligazione come situazione soggettiva è tendenzialmente unitaria, derivi essa dal contratto ovvero provvedimento amministrativo o dalla legge (come risulta dalla previsione dell’art.1173 c.c. ndr). Vero è che la pubblica amministrazione gode nell’accertamento dei presupposti della imposizione di ampi poteri istruttori e di poteri strumentali variamente disciplinati,ma trattasi di situazioni soggettive che, attenendo alla prima fase di cui sopra si è discorso, si inseriscono in rapporti giuridici i cui termini sono in genere potestà –soggezione ovvero potestà-interesse legittimo…..Trattasi tuttavia di poteri che si esauriscono con la emanazione del provvedimento ablatorio, il cui contenuto è rigidamente determinato dalla legge in presenza dei presupposti di fatto dalla stessa previsti. Poiché il provvedimento è costitutivo di una obbligazione a contenuto patrimoniale (pagamento di una somma di danaro), esso è soggetto interamente al principio di legalità sancito dall’art. 23 Cost.,secondo cui nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non sulla base della legge…..Sulla base dei rilievi di cui sopra è quindi agevole trarre la conclusione che, allorquando la pubblica amministrazione sia convenuta in giudizio in seguito alla impugnativa del provvedimento ablatorio da parte del destinatario che si ritenga 39 leso nei suoi diritti, l’oggetto del giudizio riguarda, come nei rapporti obbligatori del diritto privato, la effettiva esistenza del credito vantato dall’autorità amministrativa, onde, anche se l’iniziativa dell’azione proviene per la massima parte dei casi dal destinatario, a causa della esecutorietà delle pretese amministrative, questo non incide sulla posizione sostanziale delle parti davanti al giudice. Non è quindi l’attore che deve provare la illegittimità del credito vantato dalla pubblica amministrazione, ma, essendo questa ultima che dal punto di vista sostanziale si afferma creditrice nei confronti dell’altra parte, è l’autorità amministrativa che subisce l’onere della prova dei fatti costitutivi (per legge) della sua pretesa, mentre grava sul destinatario che eccepisce la inefficacia di quei fatti (in quanto provati dalla controparte) ovvero che assuma che il diritto si sia modificato o estinto, l’onere di provare i fatti sui quali la eccezione si fonda (art.2697 c.c.). Questo orientamento che si condivide, è compatibile con il canonico giudizio di responsabilità amministrativa, il quale onera comunque la parte attrice pubblica alla prova: nel giudizio di responsabilità amministrativa,l’onere della prova del nesso di causalità tra la condotta del convenuto e il danno erariale grava sul P.M.;le lacune probatorie dell’attore non possono agire in suo favore, ma giovano invece al soggetto chiamato a risarcire il danno.”Corte dei Conti sez. Sicilia n. 64/2009, ha trovato per quanto concerne l’ingiunzione ulteriori conferme giurisprudenziali. 40 Nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale - che integra una domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta valere con l’ingiunzione, nel quale l’opponente assume la veste di attore in senso formale - tutti gli elementi dell’obbligazione tributaria, compresa la riferibilità della medesima al contribuente, vanno allegati e provati dall’amministrazione finanziaria, mentre l’opponente resta soggetto all’onere della allegazione e della dimostrazione degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell’obbligazione stessa Cass.2092/1996; La funzione di accertamento, riconosciuta all’ingiunzione fiscale, in mancanza di un precedente atto di accertamento non impugnato, comporta, in mancanza di opposizione, la definitività di quanto in essa dichiarato come accertato e posto a base della pretesa fiscale; ma nel relativo giudizio di opposizione - che integra una domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta valere con l’ingiunzione, nel quale l’opponente assume la veste di attore solo in senso formale ma non in senso sostanziale - tutti gli elementi dell’obbligazione tributaria, compresa la riferibilità della medesima al contribuente, vanno allegati e provati dall’amministrazione finanziaria, mentre l’opponente resta soggetto all’onere dell’allegazione e della dimostrazione degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell’obbligazione stessa Cass.4394/2004; va invece affermato….che nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale adottata ex RD 639/1910 non vi è deroga alcuna alla regola che vede l’attore sostanziale onerato di 41 allegare i presupposti della sua domanda (in tal senso Cass. 7179/99 - 2092/96 - 7048/95 - 5658/94).Cass.6064/2000. Si precisa che il riferimento alla materia tributaria è irrilevante ai fini di questa decisione, poichè i principi generali richiamati sono parimenti applicabili al caso che ci occupa, in quanto comuni a tutte le prestazioni verso la pubblica amministrazione. Infine, è opportuno segnalare la recente sintesi svolta da Cass.3341/2009, ove si confrontano i due filoni giurisprudenziali, in cui, affermando la qualificazione dell’opposizione di cui al R.D. come azione di accertamento negativo della pretesa manifestata con il provvedimento dalla P.A., la posizione di opponente deve essere qualificata come quella di attore in senso formale, poiché è lui che introduce il giudizio, essendo l’ingiunzione un atto amministrativo. Ma non è meno dubbio che l’opponente rivesta anche la qualità di attore in senso sostanziale e ciò proprio perché e lui che inizia il giudizio e, quindi postula la tutela giurisdizionale. Ne consegue che l’onere della prova, secondo il criterio di cui all’art. 2697 c.c., grava su di lui. Senonchè, tale onere si correlerà in concreto al modo in cui è stata manifestata la pretesa di cui all’ordinanza-ingiunzione: se essa è stata manifestata fondandone i fatti costitutivi su documenti o atti che, una volta prodotti in giudizio dalla p.a., potranno rivestire forza probatoria secondo le normali regole probatorie, è evidente che l’onere di allegazione e probatorio dell'opponente - ferma la mancanza anche in tal caso, per il sol fatto dell'opposizione, 42 di carattere autoritativo dell'ingiunzione in punto di accertamento della pretesa - dovrà articolarsi o - con difese tendenti ad incrinare l'efficacia probatoria di quei documenti o atti …….o con la deduzione e la prova di fatti impeditivi, estintivi o modificativi dell'efficacia dei fatti costitutivi della pretesa della P.A. Naturalmente in vista dell'eventuale produzione in giudizio di quei documenti o atti da parte della P.A. Se, invece, la pretesa della P.A. si sia manifestata senza fondarsi su documenti o atti aventi forza probatoria, è di tutta evidenza che l'onere probatorio dell'opponente non diverrà attuale se non quando, costituendosi, la P.A. offra dimostrazione dei fatti costitutivi della sua pretesa, dovendosi escludere (nuovamente) ogni valore di accertamento autoritativo al provvedimento opposto in sè e per sè considerato. Lo stesso onere di allegazione dell'opponente potrà limitarsi alla deduzione che la P.A. ha manifestato con il provvedimento una pretesa sfornita di dimostrazione quanto ai suoi fatti costitutivi. E semmai dovrà divenire più specifico in replica alla costituzione della P.A. ed alla allegazione da parte di essa di prove a sostegno della sua pretesa. In sostanza, ciò che si deve ritenere è che l'azione di opposizione di cui al citato R.D. è regolata, quanto ad oneri di allegazione e prova dell'opponente nel modo in cui è regolata una normale azione di accertamento negativo di una pretesa altrui: se tale pretesa è stata manifestata senza prova (o meglio senza invocazione di ciò che, una volta fatto valere in giudizio, potrà assumere il valore di prova), l'essere l'opponente attore in senso 43 formale e sostanziale comporterà la deduzione che la pretesa avversa è infondata perchè priva di prova. E semmai l'onere di replica scatterà a carico dell'opponente solo quando la parte convenuta si costituisca e offra prova della sua pretesa. Al contrario, se la pretesa è stata esercitata con una manifestazione accompagnata dalla postulazione che i suoi fatti costitutivi sarebbero dimostrati da atti che si presentano suscettibili, se fatti valere in giudizio di assumere il valore di prova, chi esercita l'azione di accertamento negativo ha l'onere, nell'individuare i suoi fatti costitutivi di farsi carico della specificità della manifestazione della pretesa. In definitiva, in riferimento all'azione di opposizione al R.D. n. 639 del 1910, va, dunque, accolto il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 4394 del 2004 in punto di oneri di allegazione e probatori delle parti, ma con la precisazione che la posizione dell'opponente è quella di attore in senso sia formale che sostanziale. Poste queste precisazioni, può essere ribadito come sia privo di fondamento ogni parallelismo fra l'opposizione di cui al R.D. e l'opposizione a decreto ingiuntivo, in punto di ammissibilità della riconvenzionale della parte opposta. Ciò per le seguenti ragioni. Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo l'opposizione rappresenta il mezzo di difesa apprestato a favore dell'opponente, convenuto rispetto alla pretesa eccezionalmente riconosciuta inaudita altera parte dal giudice del 44 decreto ingiuntivo, per esercitare le facoltà di difesa che, ove la pretesa stessa fosse stata esercitata con un atto di citazione, si sarebbero potute esercitare con la comparsa di risposta (o comunque, nel caso di soggezione del giudizio a rito speciale, con l'atto difensivo previsto dal rito speciale). La sostanziale posizione di convenuto dell'opponente discende dal riflesso che la posizione di attore è stata acquisita dal creditore che ha ottenuto il decreto ingiuntivo, il quale con il ricorso monitorio agisce in giudizio e, quindi, si fa attore utilizzando una forma di tutela giurisdizionale speciale rispetto a quella che potrebbe utilizzare secondo le regole della cognizione ordinaria. Viceversa, l'opposizione di cui al citato r.d. rappresenta la forma di esercizio necessaria della tutela giurisdizionale a cognizione piena di fronte ad un provvedimento della P.A. di carattere autoritativo e, quindi, alla manifestazione di una pretesa, cui viene riconosciuta autotutela fintanto che non sia opposto (ed anzi conservativo di un effetto autoritativo parziale sub specie di esecutività, sospendibile soltanto da parte del giudice: art. 3, cit. R.D.) e che l'ordinamento prevede possa essere posta in discussione con la forma giurisdizionale speciale di un'opposizione, equivalente ad un atto di esercizio di un'azione di accertamento negativo della fondatezza della pretesa. L'opponente è, dunque, un attore che - essendone onerato - esercita la tutela giurisdizionale di accertamento negativo in una forma speciale, discendente dal riconoscimento all'ingiunzione - quale atto di manifestazione della pretesa 45 avversaria - di carattere autoritativo fino a che non sia opposta. E' per tale ragione che la P.A., quando si costituisca, specie di fronte alla sussistenza di questioni formali in ordine al provvedimento con cui ha stragiudizialmente esercitato la pretesa (cioè l'ingiunzione) oppure nel caso in cui la pretesa è stata esercitata con le forme del R.D. al di fuori dei presupposti per la sua applicabilità, può svolgere domanda riconvenzionale diretta ad ottenere l'accertamento della fondatezza della pretesa e la conseguente tutela condannatoria. La posizione della P.A., infatti, è quella di convenuta (dovendosi nettamente dissentire da Cass. n. 10132 del 2005, laddove ha intravisto nell'ingiunzione una domanda, il che non può essere, atteso che tale atto ha natura amministrativa e si colloca fori dalla pendenza del processo) e come tale Essa può svolgere una domanda riconvenzionale ai sensi dell'art. 36 c.p.c., in quanto la basi sui fatti storici posti a fondamento della pretesa manifestata nell'ingiunzione. Ciò, non diversamente da come il convenuto in azione di accertamento negativo può svolgere domanda riconvenzionale tendente ad ottenere la condanna dell'attore all'adempimento della pretesa oggetto dell'azione di accertamento negativo. Queste argomentazioni precisazioni tenendo condivisibili conto della richiedono natura però alcune amministrativa dell’ingiunzione, che è stata parzialmente trascurata dalla citata giurisprudenza. Orbene, se trattasi di provvedimento amministrativo, perdipiù 46 avente effetti ablatori, esso non sfugge all’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, come non sfuggiva antecedentemente all’esistenza della predetta norma, si veda in generale: Cons.di Stato sez.IV 330/1972, sez.V 670/1973,sez.VI 145/1974. Da questo, discende che le osservazioni sull’onere della prova delle parti vanno parametrate secondo i seguenti termini: l’amministrazione è tenuta a motivare in fatto e in diritto l’atto di ingiunzione, anche per relationem rispetto ad atti già conosciuti dal privato, ad esempio il provvedimento presupposto di revoca del finanziamento o i verbali degli organi ispettivi di cui al privato è stata rilasciata copia; rispettato tale obbligo motivazionale, si realizza la delimitazione della materia del contendere ai fini dell’opposizione e dei conseguenti oneri probatori, pertanto una teorica domanda riconvenzionale dell’amministrazione non potrà che essere ammissibile entro questi limiti, fermo restando il diritto del ricorrente a proporre motivi aggiunti per fatti nuovi non conosciuti al momento della proposizione dell’opposizione, tendo conto pure del conseguente divieto di integrazione della motivazione nel corso del giudizio, si veda: Cass.ss.uu. 8/1993 In tema di imposta di registro, l'obbligo della motivazione dell'avviso di accertamento di maggior valore (la cui inosservanza determina, anche in difetto di espressa comminatoria, nullità dell'atto, con il conseguenziale dovere del giudice tributario, davanti al quale sia impugnato, di dichiararne l'invalidità, astenendosi dall'esame sul 47 merito del rapporto) mira a delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, ed altresì a consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa, al fine indicato. Estensibile in generale al caso in questione trattandosi di obbligazione pubblica. Da ciò consegue logicamente che, come evidenziato sostanzialmente nella citata sentenza del 2009, la mancanza di motivazione dell’ingiunzione precluderebbe all’amministrazione qualsiasi successiva allegazione probatoria sull’opposizione dell’attore formale. Del che si può concludere sull’ingiunzione speciale, che la pubblica amministrazione, ha l’onere di fornire l’indicazione della prova della propria pretesa, senza la quale la pretesa contenuta nell’ingiunzione non potrebbe essere riconosciuta. Infine, stante la natura di provvedimento amministrativo, vista la previsione ratione temporis dell’art. 3 del R.D. e dell’art. 32 d.lgs. 150/2011, si pone il problema se l’opponente,contestualmente ad una domanda di tutela dichiarativa, mediante accertamento negativo di responsabilità, possa contestualmente proporre una domanda di tutela costitutiva chiedendo l’annullamento dell’ingiunzione. A questa domanda si deve rispondere positivamente, stante la natura di atto amministrativo dell’ingiunzione, che dunque non sfugge al disposto dell’art.113 della Costituzione, il quale assicura tutela costitutiva avverso tutti gli atti della p.a., in materia di diritti 48 soggettivi ed interessi legittimi, tale tutela costituisce un tutt’uno inscindibile con quella dichiarativa. Questa possibilità si afferma, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata degli art.3 ratione temporis del R.D.639/1910 e 32 d.lgs. 150/2011, ove si prevede la possibilità della sospensione cautelare dell’ingiunzione, da ciò consegue sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale che: … Posto che il potere di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo è un elemento connaturale di un sistema di tutela giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l'annullamento degli atti della pubblica amministrazione e che le citate leggi sugli organi di giustizia amministrativa, in via generale e in conformità di una lunga tradizione storica, consentendo di valutare caso per caso la ricorrenza delle gravi ragioni (o del pericolo di irreparabilità degli effetti della esecuzione), una esclusione del potere medesimo o una limitazione dell'area di esercizio di esso con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo del vizio denunciato contrasta col principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione, qualora non ricorra una ragionevole giustificazione del diverso trattamento. Corte cost.284/1974. Quindi, di per sé, la possibilità di sospensione dell’ingiunzione speciale come atto amministrativo, ne presuppone necessariamente la possibilità di richiederne l’annullamento. In conclusione, deve pertanto affermarsi sull’ingiunzione ex R.D.639/1910, emessa dall’AGEA per il recupero dei finanziamenti 49 da essa concessi e sull’eventuale processo di opposizione avverso la stessa, la giurisdizione della Corte dei conti. Conseguentemente, essendosi formato un titolo esecutivo, a cui non risulta essere stata fatta opposizione, essendo venuto meno l’interesse processuale ai sensi dell’art.100 c.p.c., la domanda del PM, deve ritenersi e dichiararsi improcedibile. Vista la peculiarità del caso e non essendosi il convenuto costituito, non si dà luogo a pronuncia sulle spese. La presente sentenza sarà trasmessa per il tramite del PM, all’AGEA per il seguito di competenza. P. Q. M. La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile la domanda del Procuratore regionale nei confronti di Destro Carmelo. Ordina la trasmissione della presente sentenza all’AGEA tramite il PM, per l’eventuale seguito di competenza. Nulla per le spese, vista la peculiarità del caso e non essendosi il convenuto costituito. Manda alla segreteria per gli adempimenti conseguenti. Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 17 gennaio 2012 L’Estensore ll Presidente F.to Dott.Giuseppe Grasso F.to Dott. Luciano Pagliaro 50 Depositata in segreteria il 27 febbraio 2012 Il Direttore della Segreteria F.to Dr.ssa Rita Casamichele 51