E. De Guidi, R. Ragonesi, il caso “Taricco”.

DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO - LETTERALI,
STORICO - FILOSOFICI E GIURIDICI
Relazione per il Corso di Laurea magistrale in
Giurisprudenza
La prescrizione nei reati in materia di IVA:
il “caso Taricco”
Cattedra
Diritto penale progredito
Studenti: Eva De Guidi e Riccardo Ragonesi.
Professore: Carlo Sotis.
Viterbo, 18 aprile 2016
INDICE
1. La Prescrizione
1.1 La ratio della prescrizione…..................................................................................................pag. 2
1.2 Il modello per fasce e la legge c.d. “ex Cirielli”………………………………………….…pag. 3
1.3 La prescrizione e la ragionevole durata del processo……………………………………….pag. 4
2. Il problema della prescrizione nei reati in materia di IVA
2.1 Il caso Taricco e l’ordinanza di remissione del Tribunale di Cuneo……………………...…pag.6
2.2 Il parere dell’Avvocato Generale Kokott………………………………………………….pag. 10
2.3 La decisione della Corte di Giustizia…..pag. 12
2.3.1 Gli obblighi imposti dalla Corte di Giustizia al giudice penale italiano……………...….pag. 13
2.3.2 La “prescrizione europea” ed il principio di legalità…………………………………….pag. 15
3. Le pronunce alla luce della sentenza Tariccco
3.1 La prima sentenza della Corte di Cassazione post Taricco………………………………...pag.16
3.2 La Corte di Appello di Milano e “l’arma dei controlimiti”. ……………………………...pag. 18
3.3 La Corte di Cassazione: una sentenza cauta alla luce della “pronuncia Taricco” e in attesa della
pronuncia della Corte Costituzionale………………………………………………………..…pag. 20
3.4 Conclusioni………………………………………………………………………………...pag. 22
1
1. La prescrizione
1.1 La ratio della prescrizione.
La prescrizione è una causa di estinzione del reato. La legge attribuisce rilievo al venir meno
dell’interesse pubblico alla repressione dei reati, e di conseguenza all’applicazione delle sanzioni
penali, quando dalla commissione del reato sia decorso un tempo proporzionato alla gravità stessa
del reato desunta dalla pena edittale1. L’istituto della prescrizione è disciplinato dagli artt. 157 e
seguenti c.p..
La ragione dell’estinzione del reato va quindi ricercata nella rilevanza del tempo trascorso rispetto
alle esigenze di risposta del reato. Questo effetto estintivo riconosce, di conseguenza, che esiste un
tempo dell’oblio, il quale può essere più o meno lungo a seconda del tipo di reato che è stato
commesso, difatti, solamente reati molto gravi, ad esempio quelli puniti con l’ergastolo, non cadono
mai nell’oblio e quindi sono imprescrittibili.
Per alcuni2 la prescrizione sarebbe “uno degli istituti penalistici che meglio riflette la lettura
utilitaristica e secolarizzata del diritto penale”, il contrario della “giustizia infinita” concetto molto
utilizzato all’indomani dell’attacco terroristico dell’11 settembre 20013.
Le ragioni per le quali è opportuno prevedere che decorso un determinato periodo di tempo il reato
si estingua non sono sempre individuate in modo chiaro, ed inoltre, “sotto il profilo logico delle
funzioni della pena non è facile conciliare l’effetto estintivo della prescrizione con nessuna delle
funzioni della pena”4, la prescrizione dunque non è “sorretta da un fondamento razionale assoluto e
univoco”5, ma è il legislatore, con la sua decisione politica, che sceglie come indirizzare l’istituto
della prescrizione.
Il tempo trascorso d’altro canto deve essere bilanciato sia con la rilevanza assegnata alla gravità del
reato commesso, sia ai “tempi della memoria sociale”, in quanto con il tempo i bisogni di risposta e
di giustizia, scaturiti dalla commissione di un determinato reato, possono modellarsi e ridursi fino a
1
G. MARINUCCI e E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, 2009, pag. 359.
D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1, 2015,
pag.
http://www.penalecontemporaneo.it. Cfr. F. GIUNTA e D. MICHELETTI, Tempori cedere, Torino, 2003, pag. 24, 28.
3
D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, op. cit.
4
F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino, 2011, pag. 634, cit-in D. PULITANÒ, ibidem.
5
S. SILVANI, Il giudizio del tempo, Bologna, 2009, pag. 53, cit-in D. PULITANÒ, ibidem.
2
21,
2
dissolversi completamente. Difatti la pena che sarebbe “giusta se tempestiva”, se tardiva
acquisirebbe il “sapore di un’indebita sovraccentuazione”6.
La prescrizione viene definita un istituto “assiologicamente ambiguo”7, in quanto da un lato fa una
valutazione di inopportunità del perseguire un reato che ormai è troppo lontano nel tempo, ma
dall’altro lato la prescrizione è una defaillance del sistema in quanto quel reato che si è prescritto
avrebbe dovuto essere punito molto tempo prima8.
Purtroppo però, nella realtà dei fatti, sono molte le declaratorie di prescrizione che caratterizzano i
processi italiani, le quali rappresentano una sconfitta del law enforcemente e dalle quali consegue
l’impunità dei reati commessi.
1.2 il modello per fasce e la legge c.d. “ex Cirielli”.
La disciplina attuale della prescrizione, che è contenuta negli articoli del codice penale che vanno
dal 157 al 161, è stata riformata dalla legge 251 del 2005, meglio conosciuta come legge ex Cirielli.
Con l’art. 6 della legge 251/2005, in particolare, è stato riscritto completamente l’art. 157 c.p.
relativo al tempo necessario a prescrivere. Il criterio previgente adottato dal codice Rocco9,
prevedeva tempi diversi di prescrizione. Questo andava a differenziare fasce di reati, raggruppati
avendo riferimento al massimo edittale di pena10. Dopo la riforma del 2005, invece, il tempo
necessario a prescrivere il reato è pari al “massimo della pena edittale stabilita dalla legge e
comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di
6
A. MOLARI, Prescrizione del reato e della pena, in Nov. dig. it., XIII, Torino, 1966, pag. 679, cit-in D. PULITANÒ,
ibidem.
7
D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, op. cit., pag. 22.
8
Nell’esempio portato da Pulitanò “la prescrizione e come un estintore, che, non diversamente dagli estintori previsti da
un sistema di protezione dall’incendio, è necessario collocare a presidio di determinate situazioni, ma che il buon
funzionamento del sistema dovrebbe mantenere inattivo.
9
Vecchio testo art. 157 c.p.: Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere. La prescrizione estingue il reato: 1) in venti
anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; 2) in
quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; 3) in
dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; 4) in
cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a 5 anni, o la pena della
multa; 5) in tre anni se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto; 6) in due anni se si
tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda. Per determinare il tempo necessario a
prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto
dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le
circostanze attenuanti. Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a
tale effetto le disposizioni dell’art. 69. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la
pena detentiva e quella pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto della
pena detentiva.
10
D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, op. cit., pag. 29.
3
contravvenzione”, quindi con la riforma abbiamo un riferimento puntuale ai massimi edittali di
ciascun reato.
Il termine della prescrizione, ex art. 158 c.p., decorre: per il reato consumato dal giorno della
consumazione del reato, per il tentativo dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole, per il
reato permanente dal giorno in cui è cessata la permanenza (cioè dalla situazione antigiuridica
creata dalla condotta), ed infine per i reati sottoposti a condizione obiettiva di punibilità, dal giorno
in cui la condizione si è verificata.
Nei casi in cui l’autorità giudiziaria si attivi11 prima che siano decorsi i suddetti termini, la
prescrizione si interrompe e ricomincerà a decorrere dal giorno in cui si era interrotta. Una novità
consistente, che sottopone la legge ex Cirielli a forti critiche, riguarda i termini previsti dall’art. 157
c.p., i quali, in caso di interruzione, non possono prolungarsi oltre un quarto ex artt. 160 co. 3 e 161
co. 2 c.p.12. La precedente disciplina prevedeva invece all’articolo 160 co. 3 del vecchio testo, in
caso di interruzione, un prolungamento dei termini, contenuti all’art. 157 c.p., fino alla metà “(…)
in nessun caso i termini stabiliti dall’articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà”13.
La prescrizione inoltre può essere soggetta a sospensione ex art. 159 c.p. nei casi in cui ci si trova
difronte ad ipotesi di forzata inattività dell’autorità giudiziaria. Nel momento in cui cessa la causa di
sospensione la prescrizione riprende il suo corso ed il tempo decorso anteriormente al verificarsi
della causa sospensiva si somma al tempo decorso dopo che tale causa è venuta meno14.
1.3 La prescrizione e la ragionevole durata del processo.
Il processo penale dovrebbe essere la sede per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità penali,
purtroppo però, nel nostro ordinamento, si rischia di avere un processo inefficiente, a causa della
lentezza che sempre più lo caratterizza. Questa inefficienza, provoca di conseguenza un altro
Potranno generare un’interruzione della prescrizione solo il compimento degli atti ex art. 160 co. 1 e 2 c.p., inoltre
può interrompere la prescrizione: l’interrogatorio dell’imputato, l’ordinanza di applicazione di misure cautelari, la
richiesta di rinvio a giudizio, la sentenza di condanna non definitiva, etc. Si veda al riguardo G. MARINUCCI e E.
DOLCINI, Manuale di diritto penale, op. cit. pag. 361.
12
Inoltre il co. 2 dell’art. 161 c.p. prevede un maggiore prolungamento nei casi di cui all’art. 99 co. 2 c.p. di massimo
della metà; di due terzi nei casi di cui all’art. 99 co. 4; del doppio nei casi di cui agli artt. 102, 103 e 105 c.p.; vi sono
poi reati gravissimi per i quali la legge non prevede alcun limite al prolungamento del tempo di prescrizione in caso di
interruzione della stessa. Per i reati gravissimi si veda G. MARINUCCI e E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, op. cit.,
pag. 360.
13
La riforma del 2005 ha quindi provocato una accelerazione della prescrizione del reato, difatti ad esempio delitti
puniti con la reclusione fino a sei anni, con la vecchia legge si prescrivevano, in caso di interruzione, in quindici anni e
cioè si applicava il punto 3) del vecchio art. 157 c.p. aggravato della metà della prescrizione, mentre oggi con la legge
del 2005 l’aggravamento per interruzione non sarebbe più, nel nostro esempio, di cinque anni, ma solamente di un
quarto e quindi di un anno e mezzo, per un totale di sette anni e mezzo.
14
G. MARINUCCI e E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, op. cit. pag. 362.
4
11
problema attinente alla prescrizione dei reati. Dopo la criticata modifica della disciplina avvenuta
nel 2005 con la c.d. legge ex Cirielli15, i ridotti termini di prescrizione comportano, dati i tempi
della giustizia penale, che non sia un evento eccezionale che la prescrizione del reato giunga prima
della decisione passata in giudicato. Questo meccanismo della legge 251/2005, fu da subito additato
dalla dottrina come generatore di “certezza di impunità”16 per i soggetti imputati, addirittura
“criminogeno”17 poiché in grado di vanificare l’efficacia general preventiva delle norme penali.
Purtroppo però a distanza di qualche anno dalla riforma, la prescrizione appare come il “farmaco di
emergenza per la malattia cronica del nostro processo penale, rappresentata dalla sua lentezza”18.
La ragionevole durata del processo enunciata all’art. 6 co. 1 della CEDU e recepita all’art. 111 co. 2
della nostra Costituzione, costituisce un elemento indefettibile del giusto processo, ed un diritto
fondamentale dell’individuo a fronte della pretesa punitiva dello Stato. C’è chi afferma19 che la
dichiarazione di prescrizione, in un sistema processuale funzionante, è in realtà una forma di tutela
dell’imputato contro l’irragionevole durata del processo che lo vede coinvolto; ed anzi, è addirittura
una forma di riparazione per l’imputato vittima della lesione di questo diritto fondamentale, in
quanto pone un termine finale alla pretesa punitiva statale, impedendo che il processo a carico possa
ulteriormente prorogarsi20. Le proposte di allungamento degli odierni termini prescrizionali
rischiano allora di sminuire questo aspetto: e cioè, per l’appunto, l’esigenza di assicurare una tutela
effettiva all’imputato vittima di un processo irragionevolmente lungo. D’altro canto c’è invece chi
sostiene con fermezza21 che la prescrizione non sia uno strumento idoneo ad assicurare la
ragionevole durata del processo penale, in quanto la prescrizione è per definizione l’esito di un
processo che si è concluso ad irragionevole distanza temporale dal reato imputato, e non
necessariamente per eccessiva lunghezza del processo. Pulitanò definisce addirittura “moralmente
improponibile” un approccio che costruisca la prescrizione come sanzione (a carico di chi?) per
l’irragionevole durata del processo. La non punibilità, come conseguenza dell’eccessiva durata del
La novella riduce in maniera generale, all’art. 160 c.p., i termini di prescrizione del reato, soprattutto il termine
massimo complessivo in presenza di atti interruttivi, che è pari ora al termine ordinario di prescrizione aumentato di un
quarto, anziché della metà come avveniva in passato.
16
F. VIGANÒ, Riflessioni de lege lata e ferenda su prescrizione e tutela della ragionevole durata del processo, in Riv.
trim. dir. pen. cont., 3, 2013, pag.18, http://www.penalecontemporaneo.it..
17
F. VIGANÒ, ibidem.
18
F. VIGANÒ, ibidem, pag. 19. Altri autori, si veda P. Corso, Verso una disciplina processuale della prescrizione?, in
Azione civile e prescrizione processuale nella bozza di riforma della commissione Riccio, 2010, p. 66 ss., assegnano
alla disciplina della prescrizione una funzione di “igiene processuale”, o di “funzione darwiniana di selezione delle
specie processuali più deboli, eliminandole strada facendo, con ciò si consente al sistema processuale nel suo complesso
di concentrarsi sui processi per i quali la prescrizione è eventualità teorica o comunque remota” La conclusione è, che
“la prescrizione non toglie efficienza al sistema ma, semmai, ne registra l’inefficienza”.
19
Si veda al riguardo F. VIGANÒ, ibidem, pag. 20.
20
Lo ha riconosciuto recentemente la stessa Corte EDU, in una importante pronuncia nella quale – in un caso
concernente proprio il nostro paese – ha escluso che l’imputato prosciolto per prescrizione possa dolersi di aver subito
un “pregiudizio importante”. Si veda al riguardo F. VIGANÒ, ibidem.
21
D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, op. cit., pag. 25.
15
5
processo, dovrebbe essere un beneficio di qualsiasi imputato, in realtà però dell’effetto sostanziale
di non punibilità ne andrebbero a beneficiare soltanto gli imputati colpevoli. Difatti se per il
colpevole la prescrizione risulta l’unico modo per uscire indenne dal processo, questo cercherà con
ogni mezzo di provocare l’allungamento del processo22. Diversamente se l’imputato è innocente la
prescrizione costituirebbe per questo un’ulteriore beffa, in quanto dopo il danno causato
moralmente
dal processo, ci sarebbe anche la beffa di una pronuncia che a causa della
irragionevole durata del processo, non restituisce la dignità dell’innocenza, ma di fatto, con
l’estinzione del processo per prescrizione del reato, equipara l’innocente al colpevole23.
1. Il problema della prescrizione nei reati in materia di IVA
2.1 Il caso Taricco e l’ordinanza di remissione del Tribunale di Cuneo.
Dagli argomenti fin d’ora esposti si evince che il problema della prescrizione nella nuova
formulazione della legge n. 251 del 2005 è un aspetto fondamentale per i processi italiani, i quali a
causa della loro lentezza, rischiano di lasciare impuniti gli imputati colpevoli, anche se a loro carico
sono già state emesse sentenze di primo e secondo grado, ed addirittura anche nel caso in cui ci si
trovi difronte ad una “doppia conforme”24, le quali però non sono ancora passate in giudicato.
Questo succede in particolare nei reati in materia fiscale, i quali per loro natura necessitano di
complicate indagini che nella maggior parte dei casi vanno ad impegnare buona parte del tempo
della prescrizione.
22
In particolare nella ordinanza di remissione del 17/01/2014, la quale riguarda il caso di specie che andremo a trattare
di seguito, il giudice del Tribunale di Cuneo -dopo varie eccezioni procedurali, sollevate dai difensori, le quali avevano
fatto regredire il processo più volte- trovandosi di nuovo difronte ad una serie di eccezioni sollevate dai difensori, le
dichiara “destituite di fondamento” poiché eccepite “nella evidente aspettativa di giungere alla prescrizione prima di
una condanna”.
23
Ad onor del vero, bisogna dire che il settimo comma dell’art. 157 recita “La prescrizione è sempre espressamente
rinunciabile dall’imputato.” In nome del diritto di difesa, sentenze additive della Corte costituzionale hanno
riconosciuto all’imputato la possibilità di rinunciare alla prescrizione (e all’amnistia), con conseguente necessita di un
compiuto accertamento nel merito, che potrebbe sfociare in una sentenza vuoi di assoluzione piena, vuoi di condanna.
Si tratta di un diritto di cui viene fatto, per ovvie ragioni di prudenza, un uso assai parco; non può essere realisticamente
considerato un presidio garantista affidabile. Cfr. Corte cost. 31 maggio 1990, n. 275, relativamente alla prescrizione e
Corte cost. 14 luglio 1971, n. 175, relativamente all’amnistia. Si veda al riguardo D. PULITANÒ, Il nodo della
prescrizione, op. cit., pag. 22.
24
Una “doppia conforme” si ha quando la sentenza di merito di secondo grado conferma la sentenza di merito di primo
grado.
6
Nel caso di specie il signor Taricco ed altre persone in base a dei “precisi accordi”25 effettuavano
operazioni di vendita di champagne sul territorio nazionale, facendole figurare, mediante delle
società interposte, come transazioni comunitarie, allo scopo di ottenere vantaggi fiscali. Agli
imputati vengono contestati i reati di cui agli artt. 2 e 8 del D.Lgs n. 74 del 2000 26, ed il reato per
associazione per delinquere finalizzata alla commissione di questi delitti. In altre parole quindi il
signor Taricco e gli altri imputati sono accusati di aver rilasciato, nell’ambito di un’associazione per
delinquere, tramite l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazioni IVA fraudolente27,
commettendo quella che viene definita una frode “carosello”28.
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cuneo denuncia gli effetti che verrebbero
prodotti dall’applicazione dell’art. 160 co. 3 c.p., e cioè l’impunità degli imputati, nonostante gli
organi inquirenti e giudicanti si siano attivati tempestivamente. Come visto nei paragrafi precedenti,
il decorso del procedimento non arresta la durata della prescrizione, a parte casi eccezionali, ma, in
caso di interruzione, consente al massimo un prolungamento del termine totale soltanto di un
quarto. Alla luce di quanto detto il giudice del Tribunale di Cuneo arriva a formulare una prognosi
di totale impunità per gli imputati, in quanto, al più tardi, in data 08/02/2018 maturerà la
prescrizione per i reati ascritti. Il giudice si fa portatore di una dura critica verso l’art. 160 co. 3
novellato dalla legge c.d. ex Cirielli, e questa critica viene suffragata dalle cifre contenute nella
relazione del Procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione29, il quale denuncia che
“La giustizia penale è oggi assediata dai numeri: annualmente affluiscono negli uffici di procura
oltre 3.500.000 notizie di reato. Quello del servizio giustizia è un prodotto la cui qualità è messa in
dubbio dalla difficoltà di gestire una quantità che tracima ben oltre le risorse umane ed
25
F. ROSSI DAL POZZO, La prescrizione nel processo penale al vaglio della Corte di giustizia?, nota a Tribunale di
Cuneo, ordinanza 17/01/2014, GUP Boetti, in Riv. trim. dir. pen. Cont., 1, 2014, http://www.penalecontemporaneo.it..
26
D.Lgs. 74/2000 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Art. 2 così
modificato dal D.Lgs 158/2015 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti: 1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle
dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili
obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. 3. (Comma abrogato). Art.
8 così modificato dal Decreto Legge 138/2011 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: 1. E'
punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 2. Ai fini
dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per
operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. 3. (Comma
abrogato).
27
Una delle risorse economiche proprie dell’UE è proprio la riscossione, tramite gli Stati membri, di una quota
dell’IVA.
28
Il meccanismo delle Frodi Carosello si basa su operazioni triangolari che possono avvenire tra società dello stesso
Stato o di paesi membri dell’Unione Europea, con l’introduzione di una o più società che fanno da filtro. La condotta
fraudolenta è volta ad aggirare la normativa sul regime IVA degli acquisti statali o intracomunitari, realizzando
operazioni fittizie con il solo scopo di arrivare a poter detrarre crediti IVA inesistenti.
29
http://www.cortedicassazione.it/Documenti/2013_Relazione_Ciani.pdf.
7
organizzative disponibili. Una giustizia penale assediata dai numeri non rischia solo di risultare
inefficiente nell’alto “servizio” sociale cui adempie, ma corre il pericolo di intaccare o
depotenziare le garanzie individuali degli imputati, di ciascun imputato (…).” Inoltre il giudice del
Tribunale di Cuneo fa un’analisi comparatistica tra l’Italia e gli altri Stati membri, evidenziando,
come afferma lo stesso Procuratore generale che la situazione Italiana “rischia di divenire davvero
un unicum nell’intero panorama europeo”. A detta del giudice, inoltre, la normativa italiana in
materia di interruzione della prescrizione, dato il potenziale carattere transnazionale della
fattispecie, si porrebbe in contrasto con il diritto UE sotto più profili, facendo così assumere un
carattere non soltanto interno all’intera vicenda. In pratica il giudice del Tribunale di Cuneo si
chiede se la normativa ex art. 160 co. 3, che finisce per garantire l’impunità di condotte lesive di
interessi tutelati non solo sul paiano nazionale ma anche sul piano europeo, sia in contrasto con le
norme UE, le quali prevalgono sulle norme di diritto nazionale.
Il giudice del Tribunale di Cuneo decide dunque di adire la Corte di giustizia in merito a quattro
quesiti:
1) La normativa sulla concorrenza. Il giudice del rinvio si rifà all’art. 101 TFUE30, e sostiene che
garantendo “l’impunità alle imprese che violano le norme penali, l’art. 160 c.p. autorizza, seppure
indirettamente, la concorrenza sleale da parte di operatori economici senza scrupoli con sede in
Italia nei confronti di imprese estere. Queste ultime si trovano, indubbiamente, svantaggiate perché
si ritrovano vincolate da normative alle quali non possono sfuggire facilmente come avviene in
Italia”31.
2) Aiuti di Stato. Partendo dal presupposto enunciato all’art. 107 del TFUE32 in materia di aiuti di
Stato, secondo il giudice del rinvio, permettendo che le indagini ed i successivi procedimenti penali
non arrivino a punire i colpevoli, “viene offerto un aiuto di Stato ad una classe di imprenditori:
quelli senza scrupoli morali, in altre parole i peggiori, quelli che ogni Stato dovrebbe addirittura
escludere dal mondo economico. Trattasi di soggetti, per definizione, molto pericolosi per i
concorrenti”33.
3) Norme sull’IVA. La direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore
aggiunto, si propone anche di contrastare l'elusione o l'evasione fiscale. All’articolo 158, paragrafo
1, vengono indicate alle lettere da a) a c) diverse facoltà di esenzione. Con la norma che consente la
Art. 101 TFUE “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che
abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
interno (…)”
31
Ordinanza di remissione del Tribunale di Cuneo del 17/01/2014, pag. 22.
32
Art. 107 TFUE “ Sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati
membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune
imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”
33
Ordinanza di remissione del Tribunale di Cuneo del 17/01/2014, pag. 23.
8
30
decorrenza della prescrizione durante il procedimento penale con conseguente garantita impunità
per gli evasori dell’IVA, lo Stato italiano, secondo il giudice del rinvio, ha creato un’ipotesi
aggiuntiva di esenzione non prevista dalla direttiva. Inoltre, lo Stato, ha violato l’obbligo di
prevenire qualsiasi evasione, elusione ed abuso.
4) Principio di finanze sane. Ai sensi dell’articolo 119 TFUE, ogni Stato membro deve attenersi al
principio di finanze pubbliche sane. Secondo il giudice del Tribunale di Cuneo, “uno Stato che
consenta l’impunità all’evasore fiscale addirittura quando l’evasione è ingente, come nel caso di
specie, sta violando tale principio. Infatti, rinuncia ad una parte consistente del gettito fiscale non in
cambio di qualche entrata diversa ma a fronte di comportamenti che, rimanendo impuniti, fungono
addirittura da stimolo per ulteriori illeciti con aggravamento della situazione di bilancio”34.
Per contrastare le attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, si è da
tempo sviluppato un corpus di norme di diritto amministrativo in materia di lotta alle attività illegali
contro gli interessi finanziari dell'Unione, tra queste spicca il regolamento (CE, Euratom) n.
2988/95. Con questo regolamento, il legislatore UE ha previsto delle norme specifiche per
sanzionare “irregolarità”, ovvero qualsiasi violazione di una disposizione di diritto UE derivante da
un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa comportare un pregiudizio
al bilancio generale dell’UE o ai bilanci da questa gestiti, attraverso la diminuzione o la
soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto dell’UE,
ovvero una spesa indebita. Questa norma prevede all’art. 3, par. 3 che il termine di prescrizione
delle azioni giudiziarie sia di quattro anni, con possibilità per gli Stati stabilire sia un termine più
lungo, sia metodi per calcolarne la decorrenza e le interruzioni. Ciò significa che gli Stati membri
possono adottare termini di prescrizione più lunghi, ma non possono invece adottare termini di
prescrizione più brevi35.
Molto interessante, a questo proposito è il rilievo operato dalla Corte di giustizia36, la quale ha
sottolineati che i termini di prescrizione più lunghi, che gli Stati membri possono scegliere di
adottare, possono essere molto diversi da Stato a Stato, ciò infatti dipenderà dalle tradizioni
giuridiche degli Stati, dalla prescrizione nei rispettivi ordinamenti giuridici e del lasso di tempo
necessario e sufficiente ad un’amministrazione diligente per perseguire irregolarità commesse a
scapito delle autorità pubbliche e dei bilanci nazionali37. Quindi la Corte di giustizia, ha, da un lato,
riconosciuto agli Stati membri ampia discrezionalità nel disciplinare i procedimenti che
garantiscono la tutela dei diritti conferiti al cittadino dall’ordinamento giuridico dell’Unione,
34
Ordinanza di remissione del Tribunale di Cuneo del 17/01/2014, pag. 25.
F. ROSSI DAL POZZO, La prescrizione nel processo penale al vaglio della Corte di giustizia?, op. cit.
36
Cfr., per analogia, le sentenze dell’11 settembre 2008, causa C-141/07, Commissione c. Germania, in Racc., I-6935,
punto 51, nonché del 25 febbraio 2010, causa C-562/08, Müller Fleisch, in Racc., I-1391.
37
F. ROSSI DAL POZZO, ibidem.
9
35
dall’altro lato però ha limitato tale competenza nazionale per assicurare la garanzia di una piena
tutela giurisdizionale dei singoli e salvaguardare l’effettività del diritto dell’UE.
2.2 Il parere dell’Avvocato Generale Kokott.
In attesa della pronuncia della Corte di giustizia, l’Avvocato generale Juliane Kokott, ha esposto, il
30 aprile 2015, le sue conclusioni. Kokott esamina dapprima la normativa europea in tema di frode
fiscale, passando in rassegna l’art. 4 paragrafo 3 TUE38, l’art. 325 TFUE39, il regolamento
2988/9540, la convenzione PIF41 e la direttiva 2006/112/CE42. Poi passa ed esaminare la normativa
italiana in tema di prescrizione, e successivamente passa in rassegna tutti i motivi presentati dal
giudice del Tribunale di Cuneo a sostegno della propria tesi, ma di fatto dichiara l’irrilevanza di
tutti e quattro i punti. L’Avvocato generale però non ritiene infondata la domanda, bensì la
riformula, individuandone i corretti fondamenti normativi43.
Secondo Kokott il punto nodale della questione è “se il diritto dell’Unione imponga ai giudici degli
Stati membri di disapplicare determinate disposizioni del loro diritto nazionale relative alla
prescrizione dei reati, al fine di garantire una repressione efficace dei reati fiscali”44. Questa
repressione secondo Kokott è imposta non solo dalla direttiva 2006/112/CE alla luce degli artt. 4
paragrafo 3 TUE e 325 TFUE, ma anche dall’art. 2 paragrafo 1 della c.d. convenzione PIF la quale
impone espressamente agli Stati firmatari la previsione di sanzioni penali, che nei casi di frodi gravi
38
Principio di leale cooperazione.
Art. 325 TFUE “1-L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le attività illegali che ledono gli
interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e
tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione. 2-Gli
Stati membri adottano per combattere la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che
adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari. (…) ”
40
Il regolamento n. 2988/95 del Consiglio istituisce una normativa generale concernente controlli omogenei nonché
misure e sanzioni amministrative per irregolarità relative al diritto dell’Unione. L’art. 3 disciplina la prescrizione delle
azioni giudiziarie. Si veda al riguardo il paragrafo 2.1, pag. 9, di questa relazione.
41
Figura nella convenzione PIF (Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea) entrata in
vigore il 17/10/2002, una serie di disposizioni comuni sulla tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione. All’art. 1
la convenzione definisce la frode e impone agli Stati membri di configurare come illeciti penali le condotte da esso
contemplate, in particolar modo si legge alla lettera b) che costituisce frode che lede gli interessi finanziari delle
Comunità europee “in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa: -all’utilizzo o alla
presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse
del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee per conto di esse; -alla
mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto; -alla
distrazione di un beneficio illecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto.”
42
L’Avvocato generale richiama la direttiva IVA 2006/112/CE la quale agli artt. 131 e 138 disciplina rispettivamente le
“esenzioni” e le “esenzioni connesse alle operazioni intracomunitarie”.
43
F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA? In Riv. trim. dir. pen.
cont., 3, 2015, pag. 3, http://www.penalecontemporaneo.it.
44
CURIA Documenti http://curia.europa.eu/juris/document, Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, C‑
105/14.
10
39
devono altresì includere sanzioni privative della libertà. Secondo L’Avvocato generale quindi i
giudici nazionali sono tenuti a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, mediante
l’interpretazione del proprio diritto in maniera conforme al diritto dell’UE; ovvero quando
l’interpretazione conforme non sia possibile “disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa,
qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne
chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale”45. Questo principio esposto da Kokott è un principio ormai consolidato nella
giurisprudenza della Corte di giustizia sin dalla celebre sentenza “Simmenthal”, e non è nuova
neanche l’applicazione di questo principio alla materia penale. Nuovo è però l’effetto in malam
partem che si avrebbe dall’applicazione di questo principio al caso Taricco, difatti l’art. 160 c.p. ha
un effetto favorevole per l’imputato, e la sua disapplicazione, per contrasto con il diritto UE,
comporterebbe, di conseguenza, un effetto sfavorevole per il soggetto imputato, il quale potrebbe
essere condannato. Tuttavia anche in un altro caso molto noto: il caso “Berlusconi”, l’Avvocato
generale si era espresso allo stesso modo, proponendo un risultato in malam partem. Kokott, alla
luce del principio sopra esposto, aveva dedotto da una serie di disposizioni di diritto derivato
dell’Unione l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare una norma penale più favorevole,
entrata in vigore dopo la commissione del fatto, in favore dell’applicazione della norma più severa
vigente al momento del fatto. La Grande Sezione della Corte si era allora rifiutata di seguire le
conclusioni dell’Avvocato generale, rifacendosi alla sentenza Kolpinghuis Nijmegen46, secondo cui
“una direttiva non può avere l’effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno
Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale
di coloro che agiscono in violazione delle due disposizioni”.
L’Avvocato generale quindi, per evitare un’ulteriore bocciatura da parte della Corte, in questo caso,
precisa che mentre il caso Berlusconi verteva su una disapplicazione di una norma di diritto penale
sostanziale47, le norme riguardanti la prescrizione avrebbero invece una natura processuale
(nonostante queste siano collocate nel codice penale italiano), in quanto disciplinanti solamente le
condizioni per la perseguibilità dei reati compiutamente definiti dalla legge sostanziale nazionale,
che continuerebbe a disciplinare in maniera esclusiva la responsabilità degli imputati48.
45
F. VIGANÒ, ibidem.
CGCE, sentenza 8/10/1987, Kolpinghuis Nijmegen, C-80/86, paragrafo 13.
47
E cioè la norma incriminatrice delle false comunicazioni sociali, come risultante dalla riforma del 2002.
48
F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA?, op. cit., pag. 5.
46
11
2.3 La decisione della Corte di Giustizia.
L’8 settembre 2015 la Corte di giustizia, nella composizione della Grande Sezione, dichiara
irrilevanti le norme di diritto dell’UE richiamate dal giudice del Tribunale di Cuneo, ed allo stesso
tempo pone l’accento sulle norme esaminate dall’Avvocato generale Kokott. La Corte infatti
richiama la direttiva 2006/112/CE, alla luce del principio di leale cooperazione contenuto nell’art. 4
paragrafo 3 TUE, adducendo che a carico degli Stati membri non vi è soltanto l’obbligo di adottare
tutte le misure idonee a garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel territorio nazionale, ma
anche quello di combattere contro le frodi in materia di IVA, tale obbligo si ricava, a detta della
Corte, direttamente dal diritto primario dell’Unione, in particolare nell’art. 325 co. 1 e 2 TFUE49.
Essa sostiene infatti che “l’art. 325 obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive
degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li obbliga
ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che
adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari” ed inoltre “qualsiasi lacuna
nella riscossione dell’IVA a livello nazionale si traduce in un pregiudizio per le finanze
dell’Unione”50. Inoltre la Corte concorda con l’Avvocato generale anche per quanto riguarda l’art. 2
co. 1 della convenzione PIF, e cioè sul far scaturisce da questa l’obbligo per gli Stati membri, non
solo di tutela effettiva, proporzionata e dissuasiva delle finanze dell’Unione, ma anche un obbligo di
adottare sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, che prevedano, nel caso in cui ci si
trovi difronte ad una “frode grave”, anche pene privative della libertà personale.
Nel caso di specie, ribadisce la Corte, ci si trova difronte ad una frode in materia di IVA, che però
rischia di rimanere impunita a causa dei termini prescrizionali, che in caso di interruzione possono
essere allungati soltanto di un quarto della durata effettiva della prescrizione. Inoltre l’Italia avrebbe
violato anche il co. 2 dell’art. 325 TFUE, in quanto non assicura agli illeciti fiscali europei lo stesso
trattamento che invece assicura agli illeciti fiscali nazionali51. Nello specifico, mentre per la frode
IVA, in caso di interruzione della prescrizione (in base al combinato disposto degli artt. 160 e 161
c.p.), il termine di questa potrà essere allungato soltanto di un quarto, per un caso analogo, che lede
invece gli interessi finanziari nazionali, e cioè “l’associazione per delinquere finalizzata al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri”52, non opera il tetto massimo complessivo del termine
prescrizionale di un quarto, in quanto detto reato è fatto rientrare nei reati indicati all’art. 51 co. 3bis c.p.p. e quindi rappresenta una delle eccezioni contemplate nell’art. 160 co. 3 c.p.
49
F. VIGANÒ, ibidem.
Sentenza della Corte di giustizia,
http://curia.europa.eu/juris/document.
51
F. VIGANÒ, ibidem., pag. 6.
52
Art. 291-quater d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.
50
Grande
Sezione,
8/09/2015,
C-105/14,
§
37
e
38,
12
Il problema principale però riguarda le conseguenze che il giudice italiano deve trarre dalla
constatata violazione del diritto dell’UE. La Corte si rifà sostanzialmente all’art. 325 TFUE53,
poiché, come detto precedentemente, noma di diritto primario e quindi dotata di effetto diretto nel
giudizio nazionale: “Tali disposizioni del diritto primario dell’Unione pongono a carico degli Stati
membri un obbligo di risultato preciso e non accompagnato da alcuna condizione”54 . La
conseguenza di quanto detto è quella di rendere ipso iure inapplicabile qualsiasi disposizione
nazionale contrastante con il diritto dell’Unione. La Grande Sezione conclude adducendo che “una
normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioni
nazionali di cui trattasi (…) è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri
dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di
infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che
ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli
interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli
previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, circostanze che spetta al
giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325,
paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per
effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo
325, paragrafi 1 e 2, TFUE”55
2.3.1 Gli obblighi imposti dalla Corte di Giustizia al giudice penale italiano.
La Corte di Giustizia assegna quindi al giudice italiano un compito, ma bisogna analizzare nel
dettaglio quanto questo compito sia esteso56.
a) Innanzi tutto la Corte, con la sentenza dell’8 settembre 2015, non pretende la disapplicazione né
dell’art. 157 c.p.57, né tantomeno la disapplicazione dell’art. 160 c.p. co. 1 e 2. Ma la Corte
sottolinea che a dover essere disapplicato, in caso di rilevato contrasto con il diritto UE, è soltanto il
comma 3 dell’art. 160 c.p. (e di conseguenza anche l’art. 161 co. 2 c.p. al quale il 160 rimanda),
nella parte in cui recita che “in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere
In questo caso la Corte di giustizia, avvalora la tesi dell’Avvocato generale in quanto la norma richiamata, l’art. 325
TFUE è una norma di diritto primario dotata di effetto diretto, e non una direttiva come nel caso della sentenza
Kolpinghuis Nijmegen, e per questo non si è dentro il campo di insussistenza dell’effetto diretto, come lo si era nel caso
appena richiamato.
54
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8/09/2015, C-105/14, § 51, http://curia.europa.eu/juris/document.
55
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8/09/2015, C-105/14, § 58, http://curia.europa.eu/juris/document.
56
F. VIGANÒ, ibidem.
57
I termini prescrizionali di cui all’art. 157 c.p., risultano pienamente compatibili con la disciplina dell’Unione:
regolamento 2988/95 art. 3 paragrafo 3.
13
53
prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui
all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale”. dunque, eliminando questa
previsione, il termine ordinario di prescrizione ricomincerà da capo a decorrere dopo ogni atto
interruttivo, senza essere assoggettato ai limiti massimi di cui all’art. 161 c.p.
b) In secondo luogo bisogna chiedersi se l’obbligo disposto dalla Corte sia relativo solo alle frodi in
materia IVA, o se questo obbligo si estenda a qualsiasi tipo di reato della sfera tributaria, che abbia
come conseguenza, tra le altre, l’evasione di tributi IVA. Al riguardo l’obbligo contenuto nel
dispositivo sembra essere circoscritto “a condotte fraudolente come l’utilizzo o l’emissione di
fatture false”, ma se si guarda all’art. 325 co. 1 TFUE, dovremmo interpretare questo obbligo,
enunciato dalla Corte, come applicabile a tutte le “altre attività illegali che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione”.
c) La Corte individua come condizione, per la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., che la frode
debba essere “grave”, ma non fornire nessun indicatore per quantificare la gravità minima in
presenza della quale scatta il suddetto obbligo. Lasciando di fatto ampia discrezionalità, in materia,
al giudice penale nazionale.
d) Secondo la Corte inoltre, la disapplicazione delle disposizione di cui agli artt. 160 e 161 c.p.,
dipenderebbe da una valutazione che il giudice deve compiere riguardo all’impossibilità di
infliggere sanzioni effettive e dissuasive contro le frodi gravi “in un numero considerevole di casi”,
ma su cosa, il giudice, debba basare questa valutazione non viene specificato58.
e) il problema della disapplicazione della norma non si dovrebbe porre, invece, per quanto riguarda
i processi aventi ad oggetto un’associazione per delinquere ex art. 416 c.p. finalizzata alle frodi in
materia di IVA. Difatti, come ricordato al paragrafo precedente, in base all’art. 325 co. 2 TFUE
“Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari
58
Viene da chiedersi come il giudice possa accertare ciò: se ad esempio possa utilizzare massime di esperienza o
statistiche giudiziarie relative alla percentuale di reati in materia di frodi IVA che si concludono con una declaratoria di
prescrizione. Fatto sta, comunque, che ad oggi in moltissimi casi i procedimenti per reati tributari si estinguono per
prescrizione prima di giungere all’accertamento definitivo. Si veda F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla
prescrizione nelle frodi in materia di IVA?, op. cit., pag. 8.; Sul punto si veda anche E. LUPO, La primauté del diritto
dell’UE e l’ordinamento penale nazionale, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1, 2016 pag. 6.
http://www.penalecontemporaneo.it. “Qualunque natura si voglia attribuire all’istituto della prescrizione del reato
(rientri esso nel diritto penale sostanziale ovvero in quello processuale), l’applicazione della sua disciplina non può
essere affidata a scelte giudiziarie sostanzialmente libere, perché non aventi parametri predeterminati dalla legge. In
altri termini, il nostro sistema costituzionale di soggezione del giudice alla legge e di stretta legalità del reato e della
pena non può consentire che ad ogni giudice sia affidato l’accertamento non solo se il reato di frode dell’Iva da lui
giudicato sia o meno “grave”, ma soprattutto se l’applicazione delle norme sulla prescrizione ne impedisca la punizione
“in un numero considerevole di casi”. Anche dal punto di vista dell’imputato, una fattispecie così indeterminata di
contrasto del codice penale con il diritto dell’UE viola il principio di conoscibilità e prevedibilità delle regole giuridiche
sulle sanzioni penali, perché egli deve poter conoscere se la legge assoggetta il reato da lui commesso ad uno o ad altro
regime di prescrizione” (…) “il contrasto dell’ordinamento italiano con l’art.325, par.1, TFUE non può essere accertato
in un giudizio, ma richiede l’intervento del legislatore nazionale, il quale dovrà precisare quale sia la soglia di gravità
della frode dell’Iva che rende operante l’obbligo per lo Stato membro di infliggere sanzioni effettive e dissuasive,
tenuto conto delle statistiche nazionali sul numero di prescrizioni che sono state applicate ai detti reati di frode”.
14
dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi
finanziari”59.
Un punto su cui, comunque, la Corte di giustizia è categorica, e cioè: spetta unicamente al giudice
comune risolvere le antinomie tra norme di legge nazionali, come gli artt. 160 e 161 c.p., e norme di
diritto UE dotate di effetto diretto, come l’art. 325 TFUE, disapplicando il primo a favore del
secondo, “senza che debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in via
legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”60.
2.3.2 La “prescrizione europea” ed il principio di legalità.
A fronte di tutto ciò viene da chiederci: in questo scenario come si colloca il principio di legalità in
materia penale? Come è possibile che un fatto non più punibile in base alla legge penale nazionale
(gli artt. 160 e 161 c.p.), debba ridiventare punibile per effetto di una norma sovrannazionale (l’art.
325 TFUE), la quale non menziona né la pena né il diritto penale e nonostante ciò la Corte di
giustizia interpreta come fonte di un vero e proprio “obbligo di punire” chi abbia compiuto frodi in
danno del bilancio dell’Unione?. Accettando e quindi applicando ciò che dice la Corte di Giustizia,
si acconsente al “principio” secondo cui: i presupposti della responsabilità penale dell’individuo
siano determinati non più soltanto dalla legge penale nazionale, ma anche dalle norme del diritto
dell’Unione, al quale però non è mai stata concessa o ceduta, almeno formalmente, in materia
penale, nessuna porzione di sovranità.
La prima problematica al riguardo è se questa disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., la quale
comporterebbe un effetto sfavorevole per l’imputato, sia lesiva del principio di legalità in materia
penale secondo il quale non ci può essere nessuna responsabilità penale se non in forza di una legge
(anche se qui la legge sembra escludere la responsabilità anziché fondarla) 61. La Corte di Giustizia
però risponde dicendo che il “principio di legalità non è in alcun modo vulnerato”62, in quanto la
materia della prescrizione del reato riguarda le condizioni di procedibilità del reato, e non è quindi
Principio di equivalenza.; E. LUPO, La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale, op. cit., pag. 8,
asserisce che “Sussiste comunque, in modo certo, un caso di contrasto con il diritto dell’Unione della normativa italiana
sulla prescrizione, ed esso è proprio il caso Taricco, (…) perché l’associazione per delinquere ascritta a questo imputato
(ed agli altri coimputati) è soggetta ad una disciplina della interruzione della prescrizione molto più favorevole di quella
prevista per l’analogo reato associativo finalizzato al contrabbando di tabacchi lavorati esteri”.
60
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8/09/2015, C-105/14, § 49, http://curia.europa.eu/juris/document.
61
F. VIGANÒ, ibidem.
62
La norma di riferimento per la Corte di giustizia è l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (CDFUE),
che – in forza dell’art. 52 CDFUE – recepisce il nullum crimen nell’estensione riconosciutagli dalla giurisprudenza
della Corte EDU formatasi sulla corrispondente previsione dell’art. 7 CEDU, che garantisce che il soggetto non sia
punito per un fatto e con una pena previsti dalla legge come reato al momento della sua commissione. Si veda al
riguardo F. VIGANÒ, ibidem, pag. 9.
15
59
coperta dalla garanzia dal nullum crimen, nulla poena sine lege. Secondo la Corte di giustizia non
c’è violazione del principio di legalità perché ciò che viene toccato, nel caso di specie, non è né il
reato né la pena, i quali rimangono immutati allora come oggi. Inoltre l’Avvocato generale osserva
che, per quanto riguarda il termine prescrizionale, “non sussiste, per l’individuo, un affidamento
meritevole di tutela” a “che le norme applicabili sulla durata, il decorso e l’interruzione della
prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre alle disposizioni di legge in vigore al
momento della commissione del reato”63.
Per il giudice italiano però quanto affermato dalla Corte di giustizia potrebbe non essere così ovvio,
in quanto questo si trova a fare i conti con la giurisprudenza della Corte costituzionale che risulta
opposta. Per la Corte costituzionale, la materia della prescrizione rientra appieno nell’ambito
applicativo del principio di legalità in materia penale ex art. 25 co. 2 Cost., tanto che ad oggi tutte le
questioni di legittimità presentate per allungare i termini prescrizionali, sono state sempre giudicate
inammissibili64, poiché il loro accoglimento avrebbe comportato un aggravamento della
responsabilità penale dell’imputato e un’ingerenza della Corte costituzionale in un dominio
esclusivamente al legislatore in forza, appunto, dell’art. 25 co. 2 Cost.65
2. Le pronunce alla luce della sentenza Tariccco.
3.1 La prima sentenza della Corte di Cassazione post Taricco.
A pochi giorni di distanza dalla sentenza della Corte di giustizia sul caso Taricco, la terza sezione
penale della Corte di cassazione, applicando quanto disposto l’8 settembre 2015, ha disapplicato gli
artt. 160 e 161 c.p. nel caso che gli era stato sottoposto.
CURIA Documenti http://curia.europa.eu/juris/document, Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, C‑
105/14, § 119.
64
Cfr., sentenza ex multis, C. cost. n. 324/2008.
65
F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA?, op. cit., pag. 10. L’autore
non condivide l’orientamento della Corte costituzionale, “essendo invece convinto dell’esattezza dell’impostazione
dell’Avvocato generale, secondo cui chi abbia commesso un reato previsto come tale al momento del fatto non ha alcun
titolo a fare affidamento sulla propria futura impunità in seguito al trascorrere del lasso di tempo che allora il legislatore
giudicava corrispondente al “tempo dell’oblio”. Una tale valutazione può a mio avviso legittimamente mutare dopo la
commissione del fatto, senza che il reo – correttamente informato della rilevanza penale del fatto e delle sue
conseguenze al momento della commissione dello stesso – possa dolersi di alcunché”.
16
63
Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato in primo grado per il delitto di cui all'art. 2
D.Lgs. 74/200066 in relazione a numerose fatture per operazioni inesistenti poi confluite nelle
dichiarazioni relative ai periodi di imposta dal 2004 al 2007. La condanna era stata poi confermata
in secondo grado con sentenza depositata nell’ottobre 201467. Tra i problemi che l’imputato poneva
alla Corte vi era il quesito se dovesse rilevarsi d’ufficio la prescrizione, intervenuta nel gennaio
2015 nelle more del giudizio di legittimità, dei fatti relativi al periodo di imposta 2005. La Corte di
cassazione risponde in maniera negativa proprio sulla base della sentenza Taricco, disapplicando
quindi le disposizioni contenute all’art. 160 co. 3 ultima parte e 161 co. 2 c.p., in conseguenza di
tale disapplicazione, il termine di prescrizione per i fatti relativi al periodo di imposta 2005,
interrotto dalla sentenza di appello, deve secondo la Cassazione considerarsi ancora pendente,
essendo decorso nuovamente nella sua ordinaria estensione di sei anni a partire dall’evento
interruttivo medesimo68. La Cassazione giunge a questa conclusione prima di tutto richiamando le
conclusioni dell’Avvocato generale Kokott secondo cui spetta esclusivamente al giudice comune, e
non, dunque, alla Corte costituzionale, non solo l’applicazione ma anche la stessa interpretazione
della sentenza Taricco (e quindi l’interpretazione dei requisiti visti precedentemente). Secondo la
Corte detti requisiti sussistono nel caso di specie, in particolar modo la gravità della frode lesiva
degli interessi dell’UE. La Corte non esamina invece il requisito del “numero considerevole di casi”
in cui la disciplina ex artt. 160 e 161, comporterebbe l’impunità del reo. La parte però più
interessante è quella in cui la Corte parla del dubbio in merito alla compatibilità degli obblighi posti
a carico del giudice nazionale dalla sentenza Taricco con i principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale italiano e con i diritti inviolabili della persona umana: e cioè, con il dubbio relativo
alla possibilità, o al dovere, per il giudice nazionale di azionare difronte alla Corte costituzionale i
c.d. “controlimiti” alle limitazioni di sovranità derivanti, ex art. 11 Cost., dall’adesione del nostro
Paese all'UE69. La Corte di cassazione nega che la disciplina della prescrizione sia coperta dalla
garanzia del nullum crimen sine lege, prendendo spunto dalla giurisprudenza della Corte EDU, la
quale ritiene che la prescrizione deve considerarsi come un istituto di carattere eminentemente
processuale che attiene alle condizioni di esercizio dell’azione penale; con conseguente sua
sottrazione alle garanzie sostanziali del nullum crimen e, segnatamente, alla garanzia
dell’irretroattività della legge penale70. Di conseguenza non esiste un diritto fondamentale per
66
Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La Corte d'appello aveva solamente ridotto la pena a quella di 2 anni e 8 mesi di reclusione in relazione
all’intervenuta prescrizione, nelle more del giudizio, dei fatti relativi al periodo di imposta 2004.
68
F. VIGANÒ, La prima sentenza della Cassazione post Taricco: depositate le motivazioni della sentenza della Terza
Sezione che disapplica una prescrizione già maturata in materia di frodi IVA, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1, 2016,
http://www.penalecontemporaneo.it..
69
F. VIGANÒ, ibidem.
70
F. VIGANÒ, ibidem.
17
67
l’individuo a non essere sottoposto a dei termini prescrizionali non previsti al momento della
commissione del fatto. Ma c’è di più, difatti per quanto riguarda il problema se vi è un contrasto tra
la legge di esecuzione del trattato, e quindi dell’art. 325 TFUE, ed il principio di legalità ex art. 25
Cost., la Corte di cassazione risponde (in netto contrasto con le pronunce della Corte costituzionale,
almeno ad oggi) che la garanzia di cui all’art. 25 non copre le disposizioni di cui agli artt. 160
ultima parte e 161 c.p.71. La Corte di cassazione adotta tutta una serie di ragioni a sostegno di questa
ultima tesi72. Certo è che ora, dopo il rinvio della Corte d’appello di Milano (di cui si parlerà nel
paragrafo successivo), la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sulla copertura o meno della
garanzia ex art. 25 Cost. sugli art. 160 e 161 c.p. mettendo finalmente un punto alla questione.
3.2 La Corte di Appello di Milano e “l’arma dei controlimiti”.
Come era logico immaginare la sentenza della Corte di giustizia ha scatenato reazioni contrastanti
nella giurisprudenza italiana. Difatti proprio il giorno successivo alla pronuncia della Corte di
Cassazione di cui si è appena trattato, la Corte d’appello di Milano con l’ordinanza del 18 settembre
2015, rimette gli atti alla Corte Costituzionale invitandola espressamente ad opporre, per la prima
volta nella storia della nostra giurisprudenza costituzionale, “l’arma dei controlimiti” alle
limitazioni di sovranità nei confronti dell’ordinamento europeo73.
La Corte d’appello di Milano, trovandosi a trattare un caso praticamente identico al caso Taricco,
non ritiene di poter disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 co. 2 c.p., in quanto “dubita della
compatibilità degli effetti di tale disapplicazione, implicanti l’applicazione di un diverso e più
sfavorevole regime prescrizionale, con il principio di legalità in materia penale di cui all’art. 25
comma 2 Cost.: principio fondamentale di ordine costituzionale, come tale sindacabile
71
Sentenza della Corte di cassazione del 17/09/2015 n. 3105, III Sez. pen., § 18.
Una di queste tesi che espone la Corte di cassazione è tratto dalla natura meramente “dichiarativa” e non “costitutiva”
della sentenza della Corte di giustizia. Nel caso Taricco, la Corte di Lussemburgo si sarebbe, in effetti, limitata a
interpretare una norma (l’attuale art. 325 TFUE) già da tempo esistente nel sistema del diritto primario UE e quindi
questa era già pienamente applicabile al momento in cui erano stati commessi i fatti da parte degli imputati. La
conclusione è che gli imputati non possono dolersi ora di un’applicazione, a proprio sfavore, di una norma già
pienamente in vigore al momento del fatto, e dalla quale già discendeva l'illegittimità (e dunque l'inapplicabilità nei loro
confronti) della disciplina di cui agli artt. 160 ultima parte e 161 c.p., incompatibile con la norma europea dotata di
primazia. Ergo: nessun problema di applicazione retroattiva della legge penale. F. Viganò sostiene però che
formalmente, le sentenze della Corte di giustizia hanno natura dichiarativa, stabilendo come una norma già esistente nel
sistema del diritto UE debba essere interpretata; ma risulta quanto meno difficile sostenere che l’imputato potesse
prevedere, al momento dei fatti (e dunque tra il 2004 e il 2007), che la disciplina prevista dal codice penale italiano in
materia di prescrizione sarebbe stata dichiarata dalla Corte di giustizia, nel 2015, contraria all'art. 325 TFUE. Si veda
sul tema ampliamente F. VIGANÒ, La prima sentenza della Cassazione post Taricco: depositate le motivazioni della
sentenza della Terza Sezione che disapplica una prescrizione già maturata in materia di frodi IVA, op. cit..
73
F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la
Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’, in Riv. trim. dir. pen. cont., 3, 2015, pag. 1,
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18
72
esclusivamente dalla Corte costituzionale”74. Nello specifico la Corte d’appello, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale sull’art. 2 della legge n. 130 del 2008, con cui viene ordinata
l’esecuzione, nell’ordinamento italiano, del TFUE, come modificato dall’art. 2 del Trattato di
Lisbona, “nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE,
dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8.9.2015,
causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160
ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza,
anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento
del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma,
Cost.”75.
La Corte d’appello, nell’ordinanza, analizza con minuzia i passaggi della sentenza Taricco, dove la
Grande Sezione esclude categoricamente che vi possa essere alcun tipo di contrasto tra quanto da
essa sentenziato e il principio di legalità in materia penale così come riconosciuto dall’art. 49 della
Carta europea dei diritti fondamentali, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU sull’art. 7
CEDU76. Tuttavia però la giurisprudenza della Corte EDU, richiamata dalla Corte di giustizia non
sembra riferibile perfettamente al caso in esame difatti nei casi richiamati, dalla Corte EDU, i reati
non si erano ancora prescritti, nel caso in esame della Corte di Milano invece secondo i parametri
degli artt. 160 co. 3 e 161 co. 2 c.p. il termine di prescrizione era già maturato prima della sentenza
Taricco77. Su questo punto però, già, L’Avvocato generale Kokot, nel caso Taricco, si era espresso
affermando che rispetto a reati in concreto non ancora prescritti, non sussisterà alcun ostacolo
all’allungamento dei termini prescrizionali, dovranno, invece, restare salvi gli effetti della
prescrizione laddove i relativi termini siano già maturati, ciò in base al principio di tutela della
certezza
dei
rapporti
giuridici
in
presenza
di
situazioni
ormai
“concluse”,
e
del
relativo affidamento creatosi in capo al singolo78. Ma ciò che convince la Corte di Milano della non
manifesta infondatezza della questione, è la costante giurisprudenza della Corte costituzionale
italiana, la quale ritiene che le norme sulla prescrizione siano norme di diritto sostanziale, parte
integrante della “legge penale”, ed in quanto tali, soggette al principio di legalità e a tutti i suoi
corollari ex art. 25 co. 2 Cost. La Corte costituzionale in più pronunce manifesta il suo pensiero,
Corte d’appello di Milano, II Sez. Penale, ordinanza del 18/09/2015, pag. 13.
Corte d’appello di Milano, II Sez. Penale, ordinanza del 18/09/2015, pag. 9.
76
Tale giurisprudenza ritiene che la materia della prescrizione del reato attinente piuttosto alle concrete condizioni di
procedibilità del reato; con la conseguenza che non violerebbe il principio di legalità dei reati e delle pene
l'allungamento con effetto retroattivo dei termini di prescrizione rispetto a quelli previsti dalla legge al momento della
commissione del fatto. Si veda al riguardo F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la
Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’, op. cit., pag. 21.
77
Corte d’appello di Milano, II Sez. Penale, ordinanza del 18/09/2015, pag. 13.
78
F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la
Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’, op. cit..
19
74
75
affermando che è attribuita al legislatore (in qualità di soggetto-Parlamento, rappresentativo
dell’intera collettività nazionale) la riserva sulla scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni
loro applicabili, di conseguenza: “il principio della riserva di legge rende inammissibili pronunce il
cui effetto possa essere quello di introdurre nuove fattispecie criminose, di estendere quelle
esistenti a casi non previsti, o, comunque, «di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti
inerenti alla punibilità, aspetti fra i quali, indubbiamente, rientrano quelli inerenti la disciplina
della prescrizione e dei relativi atti interruttivi o sospensivi»”79.
Dunque, i “controlimiti” sollevati dalla Corte d’appello di Milano riguardano due corollari diversi
del principio di legalità: il principio di riserva di legge e il principio di irretroattività della norma
penale più sfavorevole. Si chiede quindi: 1) se sia legittimo nel nostro sistema che una modifica
della situazione giuridica dell’imputato possa provenire da una fonte diversa dalla legge statale, in
particolare quando si tratti di modifica in malam partem; 2) se sia legittimo, nel nostro ordinamento
costituzionale, che il novum normativo rappresentato da un allungamento dei termini di
prescrizione venga applicato anche a reati non ancora giudicati in via definitiva, ma commessi
prima di tale novum, e dunque allorché vigevano termini più brevi.
Il primo aspetto che dovrà risolvere la Corte Costituzionale è certamente il più delicato, poiché
dovrà definire se la materia penale è esclusivamente materia riservata al legislatore o no, cosa che
inciderà inevitabilmente sul ruolo che l’art. 325 TFUE potrà giocare in futuro. Rischia, infatti, di
essere in questione la nascita o lo sviluppo di un intero settore del diritto dell’Unione, il settore del
diritto penale europeo per la lotta alle frodi, che, è comunque portatore anch’esso di una serie di
tutele per gli indagati, derivanti dal fatto che una legislazione uniforme nel territorio dell’Unione
rappresenta anch’essa un valore aggiunto in termini di certezza del diritto applicabile, in particolare
nei casi o nelle questioni transnazionali80.
3.3 La Corte di Cassazione: una sentenza cauta alla luce della “pronuncia
Taricco” e in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale.
In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, si è tornati di nuovo a parlare della sentenza
Taricco della Corte di giustizia. La pronuncia, questa volta, viene dalla quarta sezione penale della
Cfr. Corte d’appello di Milano, II Sez. Penale, ordinanza del 18/09/2015, pag. 14. Si vedano inoltre le sentenze della
Corte Costituzionale n. 394/2006 e 324/2008.
80
A. VENEGONI, La sentenza Taricco: una ulteriore lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà legislativa
dell’Unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, in Riv. trim. dir. pen. cont., 4, 2015, pag. 10,
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20
79
Corte di cassazione, la quale è stata interpellata dai ricorrenti, condannati al reato di cui all’art. 2 del
D. Lgs 74/2000 in relazione alle dichiarazioni IVA da loro presentate per gli anni 2004 e 2005. A
detta dei ricorrenti la Corte d’appello avrebbe errato nel calcolo dei periodi di sospensione del
termine prescrizionale (disciplinato agli artt. 157-161 c.p.), e di conseguenza il reato per cui sono
stati condannati (relativo all’anno 2005, in quanto quello relativo al 2004 risultava, già dall’esame
della Corte d’appello, prescritto) in realtà era prescritto. La Corte di cassazione accoglie il ricorso e
dichiara che il termine di prescrizione, relativo all’anno 2005, era maturato in data 1/10//2014. La
Cassazione però non rinuncia a richiamare anche in questo caso (che lascia di nuovo impuniti gli
imputati) la sentenza della Corte di giustizia specificando per quale motivo non ritenga che nel caso
di specie vada applicata. Innanzitutto, per quanto riguarda la gravità della frode, la Cassazione
sottolinea l’indeterminatezza del parametro fornito dalla Corte di Giustizia, difatti l’unico criterio
per determinare la gravità della frode sembrerebbe essere rappresentato dalla potenzialità offensiva
del reato in relazione agli interessi finanziari dell'Unione81. Valutazione questa molto complicata
per il giudice che deve oltretutto valutare l’impatto sugli interessi europei non del singolo fatto di
reato sottoposto al suo giudizio, ma di un numero considerevole di casi dello stesso tipo. La Corte
comunque esclude che nel caso di specie ci sia la sussistenza del requisito della gravità, anche in
considerazione del fatto che, la valutazione da effettuare era solamente per l’anno 2015 (poiché per
gli altri anni era intervenuta la prescrizione), e quindi di entità ben minore rispetto al caso Taricco.
Per quanto riguarda invece la pendenza o meno del termine prescrizionale al momento della
pubblicazione della sentenza Taricco, la Corte esplicitamente aderisce alla tesi dottrinale che
valorizza le conclusioni dell'Avvocato Generale Kokott82, e cioè l’allungamento del termine
prescrizionale deve essere applicato soltanto nei “casi in cui non è ancora intervenuta la
prescrizione”. Quindi, nel caso di specie, dichiarando che la prescrizione è maturata anche per il
reato del 2005 il giorno 1/10/2014, non si deve, per la Corte di cassazione, considerare applicabile
la sentenza Taricco83.
81
A. GALLUCCIO, La Cassazione di nuovo alle prese con Taricco: una sentenza cauta, in attesa della pronuncia della
Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. pen cont, 1, 2016, http://www.penalecontemporaneo.it..
82
Si veda il paragrafo precedente pag. 17-18.
83
A. GALLUCCIO, ibidem.
21
3.4 Conclusioni.
A conclusione di quanto fino d’ora esposto, sembra quasi doveroso richiamare il parere che viene
dato da un’autorità come Ernesto Lupo84 in merito alla questione: “Qualunque sia la natura
dell’istituto della prescrizione, la sua disciplina non può che essere dettata dalla legge, costituendo
ciò un principio fondamentale del nostro ordinamento ed una garanzia essenziale per l’imputato.
L’applicazione della prescrizione non può, perciò, rimettersi sostanzialmente alle scelte del giudice
per quanto riguarda il presupposto di applicazione dell’uno o dell’altro regime di interruzione della
stessa, a seconda cioè che la disciplina legale di tale interruzione determini o meno, in fatto, la non
punibilità dei reati «in un numero considerevole di casi di frode grave». (…) Anche l’ipotesi di
contrasto rilevante per l’attività giudiziaria non può, però, avere effetto retroattivo e fare venire
meno il diritto dell’imputato alla dichiarazione di una prescrizione che sia maturata prima della
emanazione della sentenza europea”. Di certo, la sentenza Taricco è idonea “a far percepire le
difficoltà particolari che la primauté del diritto europeo è destinata ad incontrare nel settore penale,
con i conseguenti contrasti tra Corti che ne possono derivare. Ma la prudenza e la necessaria
gradualità della costruzione dell’Unione europea anche in tale settore (secondo le previsioni del
TFUE) impongono di non cercare soluzioni perfettamente definite ed assolute. Anche nella materia
penale, come negli altri settori di europeizzazione del diritto, va perseguito un equilibrio tra le
aspirazioni di uniformità della UE e la nostra identità nazionale. Come si è di recente affermato85,
«non bisogna scegliere fra il diritto europeo e i nostri diritti. Dobbiamo tutti capire che, oltre un
certo limite, l’uniformità non possa andare ma, oltre un certo limite, le stesse diversità distruggono
la nostra unità. E trovare, insieme, l’equilibrio tra le due istanze»”86.
84
Ernesto Lupo, Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione, è attualmente Consigliere del Presidente della
Repubblica per gli Affari dell'Amministrazione della Giustizia. Che una persona del calibro di Ernesto Lupo intervenga
su questo tema lascia sicuramente pensare.
85
G. AMATO, Corte costituzionale e Corti europee. Fra diversità nazionali e visione comune, Bologna, 2015, p.109, citin E. LUPO, La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale, op. cit., pag. 15.
86
E. LUPO, ibidem, pag. 14 ss.
22