A14 257 L’ETERNO E L’EFFIMERO CONTRIBUTI PER UNA LETTURA ALTRA DEL MUTAMENTO SOCIALE a cura di Milena Meo Pier Luca Marzo Copyright © MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–3776–8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2010 La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile. Vi è stata una modernità per ogni pittore antico; e la maggior parte degli splendidi ritratti che ci restano dei tempi passati indossano i costumi del proprio tempo. (…) E questo elemento transitorio, fuggitivo, dalle metamorfosi così frequenti, nessuno ha il diritto di disprezzare e di trascurare. Quando lo si sopprime, si cade per forza nel vuoto di una bellezza astratta e indefinibile. (…) Insomma, perché ogni modernità acquisti il diritto di diventare antichità, occorre che ne sia tratta fuori la bellezza misteriosa che vi si immette, inconsapevole, la vita umana. Baudelaire C., Il pittore della vita moderna Indice Introduzione di Pier Luca Marzo e Milena Meo ........................ p. 9 Pier Luca Marzo.......................................................................... p. 13 La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche Monica Musolino......................................................................... p. 25 Abitare Giovanni La Fauci....................................................................... p. 53 Architettura Ivana Parisi.................................................................................. p. 83 Comunità Angela Bagnato ........................................................................... p. 107 Eros 7 8 Indice Milena Meo...................................................................................p. 127 Politica Pier Luca Marzo ..........................................................................p. 155 Tempo Bibliografia...................................................................................p. 193 Autori............................................................................................p. 195 Introduzione Pier Luca Marzo e Milena Meo L’ansia della nostra civiltà di liberarsi dal passato per proiettarsi più leggera all’inseguimento del nuovo non ha certo evitato di produrre i suoi effetti all’interno delle scienze sociali. Le contese per stabilire con quale suffisso aggettivare il già vecchio concetto di modernità post/fine/iper/avanzata/ecc. - non fanno che riprodurre quell’idea proiettiva della dinamica sociale eternamente dislocata in un altrove, da qualche parte nel futuro ma sicuramente mai nel presente ed ancora meno nel passato. Il tema del mutamento sociale, già dalle prime letture sociologiche, ha cercato le leggi della sua dinamica all’interno di questa tensione prospettica della Storia che trova perpetuamente in avanti il suo punto di fuga, lungo quelle successioni lineari ed irreversibili chiamate preistoria-antichità-medioevo-modernità, alle quali oggi si aggiunge il segmento del post. È per questo che chiunque decida, così come abbiamo fatto noi, di approcciarsi al tema del mutamento si trova aprioristicamente collocato in questa segmentazione storiografica diventata ormai “senso comune” delle scienze sociali, un senso comune che riproduce se stesso al di là della ristretta cerchia del dibattito accademico diventando, con innumerevoli varianti, senso comune su scala planetaria. Cosa è la globalizzazione se non quel processo d’avanzamento che, al di là delle differenze geo-culturali, ad un tempo unisce e trascina con sé l’intera comunità umana in un destino universale? Il Progresso è il nome di questo destino teleologico che la civiltà industriale occidentale ha generato e che, nell’epoca del suo tramonto, lascia in eredità all’oriente. D’altronde, anche la costruzione della realtà della vita quotidiana estrapola dal cielo del Progresso costellazioni semantiche che usa tanto per capirsi, facendole diventare quei termini dell’ovvio indiscusso attorno ai quali prendono forma i pensieri dell’opinione pubblica. Pensiamo al lessico del dibattito politico che da destra a sinistra veicola nelle agorà mediatiche termini come sviluppo, riforma, crescita, innovazione, cambiamento, ecc. Ciascuna di queste parole non fa che essere un punto 9 10 Pier Luca Marzo e Milena Meo di una stessa circonferenza discorsiva che trova, dunque, nel credo del Progresso il suo comune centro. Sedimentate nell’immaginario comune e usate tanto per capirsi, diventano così termini di quell’ovvio indiscusso che dà forma al contenitore predefinito, all’interno del quale far prendere corpo a diversi contenuti. Il termine “modernità”, il più ambiguo tra tutti, risulta in questo senso sovraccarico semanticamente, utilizzato allo stesso tempo per definire un periodo storico dai confini più o meno netti e una serie di caratteristiche di innovazione sociale, che da lì hanno preso le mosse, ma che lo hanno temporalmente superato. L’esigenza di problematizzare questo senso comune e cercare di fare esperienza di una visione non prospettica, all’interno della quale collocare la lettura della dinamica sociale, è ciò che fin da subito si è presentato nei discorsi che hanno fatto da premessa alla genesi di questo libro. In sostanza, è possibile pensare al mutamento oltre quel paradigma lineare che ritroviamo sia nel processo di legittimazione della globalizzazione che nella vita quotidiana? Molto tempo e molte conversazioni di studio sono state dedicate, tra noi, alla messa a punto di un “modello” che, fuori dal tabù del Progresso, ci convincesse e che riuscisse a dare corpo a ciò che più ci importava: liberare la visione del mutamento sociale dalla sua direzionalità, prendere le distanze da una lettura storicizzata unicamente appiattita sul consumo irreversibile dei suoi segmenti e pronta a costruirne di nuovi. Ecco che, senza una visione pre-costituita, sono sorte delle domande stimolanti: pur nella unicità diacronica degli accadimenti storici che rompono un determinato ordine sociale, c’è qualcosa che sincronicamente li riconduce verso un nuovo ordine? Della dinamica sociale si consuma tutto in modo effimero oppure c’è qualche cosa che permane, magnetizzando una sua nuova configurazione? Il mondo sociale nel suo procedere è solamente un continuo andare o è contemporaneamente anche un ritornare? E come conciliare l’andare lineare della dinamica sociale con il movimento opposto circolare del ritorno? Questi interrogativi hanno trovato una loro provvisoria risposta nella configurazione della spirale. Essa ha in sé il pregio di mettere armonicamente insieme l’andare con il ritornare, evitando sia la hybris della retta infinita sia il cerchio chiuso della tradizione. Introduzione 11 È per questo che il primo saggio del presente volume, La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche, è dedicato proprio a questa figura chiave che ha orientato le nostre navigazioni nello specifico campo di interesse scelto: l’abitare, l’architettura, l’eros, la comunità, la politica, il tempo. In questo senso, pur inserendoci nel solco di quelle teorie contemporanee del mutamento che hanno avuto il merito di saper trasformare la modernità nelle modernità multiple, abbiamo tentato di riconsiderarle all’interno di un modello ciclico. L’essere fuori dal tempo progressivo, guidati dalla bussola della spirale, ci ha innanzitutto permesso di far cadere immediatamente il senso di tutti quei suffissi, già richiamati, che caratterizzano le più note letture sociologiche sulla contemporaneità e che sanciscono la fine o il superamento della modernità – da una parte – il non superamento ancora – dall’altra. La modernità, dunque, nei nostri scritti non è qualcosa da superare. È, piuttosto, un addensato di novità che caratterizza ogni ciclo sociale vitale in un ritmo senza fine: ogni ciclo ha la sua modernità in una successione che non deve – e non potrebbe – essere ordinata gerarchicamente. Esiste, dunque, mutamento sociale quando una modernità, con il suo specifico ordine sociale, comincia a non riuscire più a mettere in forma le correnti vitali continuamente sprigionate dall’azione reciproca. L’ordine istituito non dialoga più con il disordine vitale del quotidiano, da cui pur trae senso sociale, e comincia a irrigidirsi al cambiamento. È in questo punto specifico della dinamica sociale che l’istituzionalizzazione non facilita più, con le sue cornici, l’azione reciproca, ma ne diventa ostacolo: la modernità comincia a trapassare in antichità, cedendo il passo ad un suo nuovo inizio. Operare una lettura di questo tipo ci ha consentito di porre l’accento sia sulle discontinuità che sulle continuità: è stato possibile rintracciare quelle che abbiamo definito le “permanenze” dei fenomeni sociali indagati, scegliendo di metterne in luce le caratteristiche, che prescindevano dalle “forme” che di volta in volta, cambiando, esse assumevano. Porre l’accento sulle continuità ci ha permesso di esplorare i fenomeni nel loro ritmo, ritrovandone dei caratteri astorici e indistruttibili, che ne restituiscono il valore comune. Così come porre l’accento sulle discontinuità ci ha consentito di comprendere come tali 12 Pier Luca Marzo e Milena Meo permanenze esistano esclusivamente nella loro forma socialmente e storicamente data. Da qui il titolo che rilega i nostri saggi: L’eterno e l’effimero. Contributi per una lettura altra del mutamento sociale. Alla fine di questo percorso lungo la spirale della dinamica sociale, ci siamo accorti che, pur nelle singolarità della messa in forma dei nostri contributi, ciascuno di noi non ha fatto altro che trovare nell’immaginario il punto comune d’osservazione. L’immaginario, parola dai confini incerti, se letta, come abbiamo fatto noi, in modo sganciato dal suo contrappeso dicotomico offerto dalla parola “realtà”, può essere intesa attraverso Taylor come il modo in cui “gli individui immaginano la loro esistenza sociale, il modo in cui le loro esistenze si intrecciano a quelle degli altri, come si strutturano i loro rapporti, le aspettative che sono normalmente soddisfatte, e le più profonde nozioni ed immagini normative su cui si basano tali aspettative”. È, dunque, nell’immaginario che è possibile osservare il mutamento sociale e non è stato possibile prescindere da ciò nello studio dei fenomeni che ne sono i prodotti. A partire da questo piano di analisi, sorprendentemente, ognuno di noi ha ritrovato inalterati i tratti che in ogni campo sono emersi nel passaggio tra modernità medievale e modernità contemporanea. Non abitiamo ancora una nuova modernità. La modernità contemporanea, quella che è germogliata a seguito del declino della modernità medievale, continua a maturare i suoi effetti in una dinamica in cui il cambiamento, pur accelerando, la tocca nelle sue forme ma non sembra intaccarne l’immaginario. Questo libro è dedicato a tutto quel mondo universitario che, come noi in questi giorni di fine anno, sta lottando per un sapere libero, pubblico e solidale. La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche Pier Luca Marzo Ci sono delle domande che costantemente interrogano le menti curiose dei bambini, dei sapienti e le nostre quando lasciamo pascolare i pensieri tra le stelle. A queste curiosità cicliche appartiene sicuramente la domanda: cosa è il tempo? Per quanto convincente, ogni risposta ad una tale questione, una volta detta, non farà che invecchiare, essendo il tempo scandito dalle parole effimero come la vita di chi le pronuncia. È forse per questo che Sant’Agostino, prima di affrontare la questione, scrisse: «Se nessuno m’interroga (sul tempo), lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so»1. Accettando l’impossibilità di racchiudere il tempo nella finitudine della parola, si può partecipare all’eternità della questione seguendo il paradosso stesso che la caratterizza tra un elemento eterno – la domanda: che cosa è il tempo? – ed uno effimero – le diverse risposte che se ne sono date e che se ne daranno. È nel cielo di questo paradosso della temporalità che le diverse voci del saggio che segue si sono sedimentate. Più precisamente la nostra domanda di partenza non è stata “cosa è il tempo” ma “cosa è il tempo sociale”. La sociologia, tra tutte le scienze sociali, è quella che fin dalla sua nascita ha avuto una vocazione originaria attorno alla questione della temporalità, o meglio, attorno a quella sua qualità trasformativa della realtà sociale. Dire che la sociologia nasca come discorso sulla società è non dire niente, se non la si mette in relazione al suo bisogno di costruire modelli interpretativi dei tempi moderni2. Se dalle sue origini umanistiche fino alla sua maturazione illuministica, la modernità era una nuova forma mentis che riguardava le élite Agostino (Sant’), Le confessioni, Mondadori, Milano 1984, p. 326. Da sempre l’uomo, infatti, ha prodotto discorsi su quel mondo con-diviso che chiamiamo in modi diversi: collettività, società, comunità, gruppo, associazione, cultura, ecc. La letteratura, la filosofia, la storia, molto prima della sociologia, hanno prodotto discorsi sul mondo sociale, su quel più che non la semplice somma delle singolarità che lo compongono. 1 2 13 14 Pier Luca Marzo intellettuali europee, è con l’800 che essa, attraverso le rivoluzioni politiche ed industriali, giunge a mobilitare l’intera sfera sociale. L’espansione del fenomeno urbano con la nascita delle metropoli, la radicale trasformazione della sfera economica portata dalla fabbrica, l’ingresso nel teatro politico delle masse, le innovazioni portate dalle invenzioni tecnologiche nel quotidiano, ecc., in pochi decenni disegnarono un nuovo mondo che rese antiquate le precedenti categorie sul tempo. È in questa accelerazione della dinamica sociale portata dai tempi moderni che la sociologia trova il suo statuto ontologico, la sua ragion d’essere. La legge dei tre stadi, il materialismo storico, la polarità solidarietà meccanica-organica, furono quei primi modelli di mutamento sociale che cercarono di nominare quel motore socio-tecnico proprio del capitalismo industriale che aveva mobilitato in ogni sua parte l’Occidente, donandogli definitivamente lo scettro di potenza mondiale. A distanza di un secolo e mezzo, parlare di mutamento delle società contemporanee, dunque, non farà che rimetterci alle prese con le domande attorno alle quali la giovane scienza sociologica si è essa stessa strutturata nel tempo diventando disciplina. Il moderno, lo stadio positivo come direbbe Comte, si è concluso? Oppure, ci troviamo innanzi ad una nuova società post-moderna? Con il processo di mondializzazione, si può parlare ancora in termini universali di mutamento o dovremmo parlare di una sua lettura pluriversa? E soprattutto, siamo in una fase di mutamento o semplicemente di cambiamento sociale? Ritornando ad interrogarci su quel nucleo eterno attorno al quale la sociologia rotea sono queste le domande che attraverso l’orizzonte effimero della contemporaneità ci sono venute incontro. Eppure, man mano che le nostre discussioni cominciavano a prendere corpo, abbiamo cominciato ad ospitare la domanda preliminare sull’orizzonte stesso che stavamo scrutando e cioè: come interrogare il mutamento sociale se non abbiamo innanzitutto una cornice temporale entro la quale collocarlo? Quando parliamo di contemporaneità a quale modello di tempo, se pur effimero, ci riferiamo? Spesso, i discorsi sociologici, nel parlare di mutamento sociale, danno per scontata la categoria del tempo nonostante non esista neanche in fisica, dopo Einstein, una sua definizione univoca. Pertanto, nel lavoro che segue, abbiamo sentito la necessità di produrre un comune La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche 15 modello interpretativo della temporalità per osservare alcune tendenze presenti nella dinamica delle società contemporanee. Ecco allora che compito di questa parte è esplicitare innanzitutto il perimetro del tempo sociale entro il quale i diversi saggi sul mutamento sociale abitano. È bene specificare che da qui in poi, se userò la prima persona, è da intendersi come un noi. Ciò che scrivo è il frutto di discussioni comuni, degli stimoli, dello scambio di letture e di critiche, che si sono incrociati durante la stesura dei diversi contributi. All’interno di questo noi la mia specificità è stata solo quella di aver costruito il modello di tempo sociale attraverso le lenti morfologiche. Le critiche al modello morfologico3 sono dunque da imputarsi a me, mentre i meriti generali del modello sono da riferirsi al noi. Apparentemente le forme, con la loro presenza statica, sono ciò che si contrappone al fluire del tempo, eppure il suo trascorrere lo percepiamo grazie alle loro deformazioni. Colgo il passaggio del tempo quando, ad esempio, lungo il percorso della strada che mi porta al lavoro, scorgo l’avanzare dei lavori di costruzione di un palazzo o quando gli alberi, sul ciglio della stessa strada, fioriscono annunciandomi il giungere della primavera. È attorno a questa considerazione percettiva che, in chiave morfologica, il tempo non esiste in termini astratti ed omogenei, ma sempre in relazione al suo concretizzarsi nelle forme in due modi fondamentali: la crescita o la metamorfosi. Presa questa angolatura, andiamo a costruire dunque il modello morfologico del tempo sociale nel quale collocare poi l’analisi delle società contemporanee. La temporalità è esperita dalle società in una doppia dimensione: interna, nella quale il tempo viene prodotto dalla società, ed una esterna, nella quale è il tempo stesso a produrre il sociale. Il tempo interno prodotto dal sociale ha a che fare con la sua costruzione, col modo in cui esso è rappresentato, oggettivato, strutturato, codificato, misurato. È in questo costruire che il sociale esprime la sua endogena potenza crono-poietica, ossia: la capacità di produrre architetture discorsive condivise entro le quali ubicare gli accadimenti. 3 Per un’esposizione completa di tale modello interpretativo legato alla morfologia sociale mi permetto di rinviare al mio testo. Le metamorfosi: natura, artificio e tecnica. Dal mutamento sociale alla mutazione socio-biologica, Franco Angeli, Milano 2007, in part. alla prima parte Forma e scienze sociali. Pier Luca Marzo 16 Prodotti dal mondo sociale o da quello naturale, gli accadimenti, distribuendosi all’interno delle crono-architetture, trovano lo spazio del senso che orienta e vincola l’uomo nel suo fare con altri: la temporalità diventa tempo sociale4. Questa esigenza di tradurre la temporalità in crono-logie trova poi, in ciascun contesto geo-culturale, infinite variazioni, tante quante sono le lingue che la trasformano in narrazione. Costruzione e variabilità delle crono-architetture testimoniano, inoltre, come l’uomo sia escluso da un’esperienza diretta, totale ed oggettiva con il fluire della temporalità, includendo in ciò anche il tempo matematizzato entro il quale operano le scienze sperimentali5. Eppure, non tutta l’esperienza sociale della temporalità si consuma ordinata all’interno delle architetture del tempo. Al loro esterno scorre un tempo della vita sociale6 disordinato, che le assedia costantemente nel continuo farsi e disfarsi dell’azione reciproca. All’ombra di questi palazzi del tempo - che computano, irreggimentano, codificano la temporalità non c’è momento che l’agire per, contro, con, assieme, senza l’altro/i trovi sosta. Il suo flusso caotico, che nel quotidiano trova la sua fonte 4 Testo classico del pensiero sociologico sulla costruzione del tempo e sulla sua capacità di coercizione sociale è il volume di Norbert Elias (1984), Saggio sul tempo, il Mulino, Bologna 1986. 5 A tal proposito è interessante il libro del fisico Julian Barbour (1999), La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura, Einaudi, Torino 2005. Il testo discutendo con le principali teorie del tempo elaborate dalla fisica classica fino ad Einstein ed alla fisica quantistica teorizza addirittura l’esistenza di un universo atemporale. 6 La domanda che apre o chiude questa seconda accezione della temporalità riposa essenzialmente in questa: il fenomeno sociale è connesso al mondo della vita? Ovviamente, se la risposta è negativa, il discorso non può che espellere questa eccedenza vitale della temporalità. Eppure, noi, accanto alla nozione costruttivista del tempo sociale, abbiamo ospitato nel nostro lavoro questa dimensione vitale della temporalità che esclude, è bene specificarlo subito, ogni paradigma organicista. La trappola organicista, nella quale cadde la prima sociologia, la si evita specificando subito che qui il termine vita viene disgiunto sia da quello di natura che di società. Pensare in termini vitali significa sapere che natura e società, ciascuna con le proprie irriducibili specificità, abitano di uno stesso ritmo fatto di: nascita, crescita, invecchiamento e morte. Nello specifico del mondo sociale, cosa produce questo tempo della vita? L’azione reciproca. Ma, come scrive Simmel, l’azione reciproca diventa fenomeno sociale solo quando questo fluire vitale si oggettivizza in determinate conformazioni come: l’amicizia, l’amore, la famiglia, lo scambio, lo Stato, l’arte, il religioso. Su questo cfr. Simmel G. (1912), Il conflitto della società moderna, SE, Milano 1999. La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche 17 principale, restituisce un’esperienza della temporalità più vitale ed articolata che spesso è in contraddizione con le crono-logie istituzionalizzate. Si potrebbe dire che, se la crono-poietica è una potenza d’oggettivazione che per sedimentazione crea il tempo sociale storicizzandolo, il fluire vitale dell’azione reciproca è un tempo a-storico7 che ne costituisce la sua conditio sine qua non. Senza azione reciproca non ci sarebbe l’esigenza di creare architetture del tempo e senza queste tale flusso disordinato non potrebbe produrre forme sociali entro le quali oggettivarsi. L’oscillare continuo tra queste due esperienze della temporalità è ciò che da un ritmo generale al fenomeno sociale fatto di cambiamento e mutamento, di crescita e metamorfosi. Quando questo ritmo scorre scandito prevalentemente all’interno delle crono-architetture dominanti, siamo nel cambiamento sociale o crescita. In esso, il nuovo, portato dal ricambio generazionale, assume una connotazione costruens contribuendo ad accrescere la memoria e l’identità del contesto sociale8. Se, invece, il ritmo scorre prevalentemente fluidificato all’esterno delle istituzioni regolative del tempo, siamo nel mutamento o metamorfosi. Qui il nuovo ha una connotazione destruens, non riuscendo ad essere assimilato dalle crono-architetture le quali, per questo, vi si oppongono irrigidendosi come ultimo tentativo di resistenza. Il prevalere di questo tempo fluidificato è ciò che invecchia le crono-architetture esistenti, annunciando l’esigenza di una nuova e 7 È Nietzsche che definisce così questa qualità a-storica del tempo: «Ciò che non è storico assomiglia a un’atmosfera avvolgente, la sola dove la vita può generarsi, per sparire di nuovo con la distruzione di quest’atmosfera. È vero, solo per il fatto che l’uomo pensando, ripensando, paragonando, separando, unendo, limita quell’elemento non storico, solo per il fatto che dentro quella avvolgente nuvola di vapore nasce un chiaro e lampeggiante raggio di luce – cioè solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l’uomo diventa uomo: ma in un eccesso di storia l’uomo viene nuovamente meno, e senza quell’involucro del non storico non avrebbe mai cominciato e non oserebbe mai cominciare». Da Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1876), Adelphi, Milano 2003, pp. 1011. Il mutamento sociale, dunque, è ciò che nasce da questa nuvola non storica. Con il suo lampo mostra la potenza dirompente del presente illuminando l’inizio di una nuova storia sociale capace di liberare dal «c’era una volta…» costruito dall’epoca precedente. 8 Cfr. Connerton P. (1989), Come le società ricordano, Armando Editore, Roma 1999. Pier Luca Marzo 18 spressione della potenza crono-poietica capace di oggettivarla nella solidità di una nuova crono-logia. Il mutamento, in questa circolarità tra solidità e fluidità, se da un lato da una nuova misura alla realtà sociale, dall’altro la ricostruisce sempre attraverso delle permanenze attorno alle quali si addensano nuove forme: politiche, religiose, ludiche, estetiche, economiche, di sapere, di genere, ecc. Per rimanere nel moderno: abbattute nelle piazze europee le istituzioni dell’Ancien Régime, il flusso vitale rivoluzionario non ha fatto che rifluire dalle piazze nella permanenza della politica producendo lo Stato costituzionale; l’espulsione di Monet, Degas, Sisley, Renoir, Cézanne, Pissarro nel 1874 dalla galleria Salon, che definiva gli stilemi della pittura ufficiale del tempo, è ciò che segna - con la contro esposizione ospitata nello studio del fotografo Nadar - la nascita del nuovo stile chiamato impressionismo; nel ‘900 le novità portate dal principio di indeterminazione di Heisemberg e dalla teoria relativista di Einstein, non riuscendo ad essere assimilate dalla monoliticità della fisica newtoniana, la travolgono solidificando nuovi paradigmi scientifici. In questa circolarità, dunque, il mutamento non fa che ruotare attorno a queste permanenze - politico, estetico, di sapere per seguire l’esempio precedente – producendo sempre nuove forme di cristallizzazione9. Si potrebbe dire in chiave morfologica che se il mutamento è la circonferenza - dove trova collocazione l’infinita variabilità portata dal succedersi delle istituzioni - le permanenze ne sono il loro centro comune che le riconduce a sé in quanto sue espressioni metamorfiche. È per questo che, ad esempio, se ponessimo nella circonferenza la democrazia ateniese di Pericle, il totalitarismo di Hitler e l’assolutismo di Luigi XIV, noteremmo la loro irriducibilità storica mentre, spostandoci dalla parte della permanenza e cioè l’esigenza della dimensione politica noteranno che ciascuna ne è una sua metamorfosi concreta. Quindi, se la permanenza è l’esigenza a partire della quale l’azione reciproca trova un suo nucleo a-storico che la magnetizza - e dunque più che una cosa è una forza cen 9 L’idea di permanenza alla quale mi riferisco è molto vicina all’idea delle forme pure elaborata da Simmel. A questo riguardo, cfr. Simmel G. (1908), Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998, in particolare cap. I, Il problema della sociologia. La spirale della dinamica sociale: per una teoria delle modernità cicliche 19 tripeta - la forma sociale è la sua oggettivazione storicamente data, la sua solidificazione capace di produrre effetti di realtà. In fondo, già le prime lenti sociologiche costruite da Comte10 distinguevano tra una osservazione in movimento – che egli riconduceva alla legge dei tre stadi – ed una statica, dove collocava le costanti istituzionali attraverso le quali si ordinava la dinamica sociale. Entrambe le lenti, per lui, dovevano essere tenute assieme sapendo che quella statica studiava l’ordine anatomico dell’organismo sociale - i suoi organi istituzionali - mentre quella dinamica la sua fisiologia. Se lo studio fisiologico aveva come legge il progresso verso lo stadio positivo, quello anatomico aveva come legge la solidarietà armonica tra i diversi organi istituzionali. Ricollocando il nostro discorso nell’ottica comtiana, si potrebbe ricondurre lo studio delle forme storicamente determinate all’interno della dinamica sociale e quello della permanenza nella statica. Eppure, nonostante le affinità, a prevalere sono le differenze. Proviamo ad evidenziarne i punti di maggiore distanza. Innanzitutto, nonostante anche noi riconduciamo il fenomeno sociale alla sfera della vita, ciò non è determinato, come in Comte, da una similitudine ma da una analogia. Se la similitudine comtiana è basata su un parallelismo diretto tra A e B, tra natura e società - che gli permette di estendere direttamente le leggi della prima alla seconda - per noi i due fenomeni restano irriducibili. L’analogia attraverso cui muovo, invece, è determinata dal porre il ritmo vitale come elemento terzo (C) che scorre sia in A che in B in modi assolutamente dissimili. Ciò che mette in relazione le differenze di A e B è solo questo ritmo C (ritmo vitale) che si sostanzia nel mondo naturale nei suoi diversi organismi e in quello sociale nelle sue diverse istituzioni. Cosa c’è di comune tra un albero d’ulivo e l’istituzione della chiesa? Niente sul piano della similitudine, ma è sul piano analogico che entrambe sono la risultante di aggregazioni di forze vitali, che nel primo caso producono forme vegetali e nel secondo forme sociali. Tali conformazioni resteranno vive fin tanto che l’albero d’ulivo potrà svolgere la sua osmosi clorofilliana, resistendo al disordine portato dai quattro elementi, così come l’istituzione Chiesa 10 Cfr. Comte A. (1830), Corso di filosofia positiva, UTET, Torino 1967. Pier Luca Marzo 20 potrà vivere fin tanto che potrà svolgere la conservazione dei sacramenti resistendo al disordine portato dal flusso dell’azione reciproca. Se il botanico studia le peculiarità della vita nell’albero d’ulivo, il sociologo le studierà nella peculiarità dell’istituzione ecclesiastica. L’altra differenza con Comte è l’idea di proporzione. Come è impossibile pensare lo sviluppo indefinito dell’albero d’ulivo così, per il pensiero analogico, è altrettanto impossibile che la Chiesa possa crescere come forma sociale all’infinito. La forma cresce sempre in un ritmo morfogenetico proporzionato11 nei suoi punti estremi dalla nascita e dalla morte. Infine, ultimo punto di distanza, è l’a-finalismo del mutamento in opposizione alla visione comtiana di una storia universale irreversibilmente tesa verso lo stadio positivo. Vizio questo non solo della prima sociologia ed antropologia, ma più in generale del pensiero occidentale, che se accettato permetterebbe di fare una pericolosa classificazione delle culture. In fondo, ancora oggi, nell’idea di sviluppo/sottosviluppo si ritrova questo paradigma capace di separare le culture progredite da quelle arretrate. Ponendoci, invece, in un’ottica analogica, tutto ciò è un non senso. Così come gli alberi non hanno una finalità se non la vita stessa, così il sociale non è inscritto in nessuna teleologia storica positiva, dato che la sua sola finalità è trattenere il flusso dell’interazione attraverso la durata delle sue tipiche forme di permanenza. Volendo rappresentare graficamente queste due letture del mutamento, potremmo usare la linea per la lettura comtiana e la spirale per la nostra. Nel primo caso, ogni mutamento anche in presenza di contraddizioni – come ha evidenziato il marxismo attraverso la dialettica conflittuale delle classi sociali – è collocato su di un continuum lineare che orienta teleologicamente la storia. La linea, così orientata, diventa una freccia del tempo verso l’armonia dello Stadio positivo (Comte) o verso il Socialismo (Marx) con la ricomposizione della dialettica storica. 11 Testo classico sulla proporzione delle forme naturali rispetto al loro habitat è il volume di Thompson D’Arcy W. (1917), Crescita e forma. La geometria della natura, Bollati Boringhieri, Torino, 2001.