La complessa transizione tra Seicento e Ottocento in Francia Nell’ultimo quarto del Settecento la Francia economica dimostra di poter tenere testa all’Inghilterra per reddito pro capite, per numero di abitanti e per disponibilità di risorse naturali, come carbone e miniere di ferro, e per estensioni della superficie agraria utilizzabile. La Francia anzi aveva avuto alla fine del XVII secolo l’esperienza del “colbertismo”, vale a dire l’intensa stagione segnata dall’attività di Jean Baptiste Colbert (1619‐1683) caratterizzata dalle scelte e dai provvedimenti di riorganizzazione della struttura pubblica e dalla mobilitazione di risorse per promuovere le attività economiche. Colbert, ministro di Luigi XIV (1638‐1715), il “re sole”, aveva impresso profondi cambiamenti al sistema fiscale, ottenendo la crescita delle entrate, destinate anche a ridurre il peso del debito pubblico. Convinto promotore delle scelte mercantiliste si era posto strategie per ottenere il saldo attivo della bilancia commerciale, espressione reale della potenza internazionale e della rispettabilità della nazione. In funzione delle scelte “mercantiliste” introdusse dazi all’importazione dei beni sui mercati francesi, con lo scopo di scoraggiare l’afflusso di prodotti esteri e quindi di preservare la bilancia dei pagamenti, promosse le industrie di Stato, le “manifatture reali”, emanò il primo codice commerciale moderno (1673), sostenne lo sviluppo della marina nazionale, incentivando la nascita di potenti compagnie di navigazione per lo sviluppo dei traffici e a sostegno di una politica di forte espansione coloniale. Il Canada divenne la “nuova Francia” e le Compagnie delle Indie Occidentali e delle Indie Orientali, del Nord e del Levante portavano la bandiera francese in tutti i principali scali commerciali del mondo. Il contributo alla modernizzazione dello Stato condusse anche alla nascita dell’Accademia delle Scienze (1666), dell’Accademia di Francia a Roma (1666) e di altre prestigiose istituzioni come l’Accademia Reale di Architettura (1671). Il colbertismo fu un momento di forte espansione della Francia che aveva tutte le prerogative – com’è stato detto ‐ per essere il paese leader anche nello sviluppo industriale. Ma la Francia non aveva saputo raccogliere i risultati delle scelte economiche di Colbert: Luigi XIV all’incentivazione dei traffici e alla modernizzazione delle attività economiche aveva preferito la soluzione militare, con ingenti spese nella guerra con l’Olanda (1672) e più in generale verso i Paesi Bassi, cercando di estendere il confine sia a Sud in direzione del Regno dei Savoia, sia ad Est della Lorena, dell’Alsazia e a Nord dei Paesi Bassi. Non è ancora terminata la guerra franco olandese che le truppe di Luigi XIV intervengono in Africa, in Senegal, con ingenti spese e scarso ritorno economico. Le costose campagne militari intaccano la tenuta finanziaria della nazione e contribuiscono al progressivo indebolimento economico, sociale e politico per la crescita di un contenzioso sociale tra ceti diversi. In Francia, a differenza dell’Inghilterra, ma analogamente a quanto accadeva in altre aree dell’Europa continentale, i nobili rifiutavano l’impegno diretto nella conduzione delle proprie attività economiche, rurali o mercantili che fossero, ritenute “indegne” per il proprio rango. Permane nel Continente l’antica separazionetra “arti nobili” e “vili arti meccaniche”, per cui la nobiltà di sangue non è compatibile con l’esercizio in prima persona di attività produttive. Eppure la Francia è il paese dove Denis Diderot (1713‐1784) e Jean Baptiste Le Rond, detto d’Alembert (1717‐1783), realizzano quella straordinaria iniziativa editoriale che è l’Encyclopédie, dove François Marie Arouet (1694‐17789), detto Voltaire, aveva posto le basi per la revisione culturale e filosofica del rapporto uomo natura, scienza e ragione, dove Cartesio (René Descartes 1596‐1650), e con lui altri tra i più insigni filosofi della storia, avevano posto le basi per la moderna filosofia e per un diverso fondamentale approccio alla fenomenologia della conoscenza. Qui Richard Cantillon (1680‐1734), banchiere irlandese emigrato in Francia, e François Quesnay (1694‐1774), autore nel 1758 del Tableau économique, formulano le basi teoriche per lo studio del processo di produzione e di distribuzione del reddito nazionale. Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7 Ma la Francia del Settecento ‐ nonostante che sia il paese con il più alto reddito pro capite d’Europa, il più popolato ‐ resta invischiata nella difficile fase di transizione politica istituzionale provocata dal fallimento della politica economica dei governi settecenteschi e che condurrà alla straordinaria stagione della Rivoluzione francese a partire dal 1789. I mutamenti politici, la successiva azione di Napoleone, la lunga stagione delle guerre, la spinta modernizzatrice dell’organizzazione economica e commerciale porteranno la Francia ad essere il primo paese al mondo per innovazioni sociali, mercantili, militari e politiche, ma non saranno però sufficienti a condurre la Francia al primo posto per la produzione industriale e per la quota di commercio internazionale battente bandiera francese: paradossalmente, al “violento” mutamento e alla modernizzazione istituzionale, culturale e sociale non corrisponderà una pari crescita in termini di superamento del ritardo economico rispetto all’Inghilterra. All’inizio dell’Ottocento prevalgono scelte protezionistiche finalizzate ad sostenere l’industria nazionale, in particolare il settore tessile e il settore siderurgico. Il 17 novembre 1814 un’apposita legge conferma pesanti tariffe daziarie alle importazioni e introdotto il divieto ad immettere sul mercato nazionale tessuti di cotone e filati di produzione estera. Non si spiegano le ragioni del mancato start up all’industrializzazione: alcuni studiosi imputano il ritardo alla lentezza nell’ammodernamento dell’agricoltura o alle difficoltà di penetrazione nel mercato internazionale. La spinta della Francia verso l’industrializzazione non fu un percorso né lineare, né breve che si sviluppa in tre fasi temporali distinte: la prima dalla fine del periodo napoleonico al 1830, la seconda coincide con il secondo impero (1852‐1870) e il dominio di Napoleone III e la terza fino alla fine del secolo. Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7