L`agricoltura in Francia nel XVIII secolo nelle

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L’agricoltura in Francia nel XVIII secolo nelle testimonianze di alcuni storici “Così dunque – commenta J. M. Kulischer – fino alla Rivoluzione era rimasta in complesso in vita in Francia la più antica costituzione agraria, con i beni in comune, con il frammischiamento dei campi, i diritti di pascolo, il diritto di spigolare”, una volta che si era mietuto. La nazione era rimasta indietro non solo dal lato dell’applicazione delle nuove pratiche agronomiche e tecniche, ma anche nell’elaborazione della stessa contrattualistica agraria. Jean Loutchisky “attira la nostra attenzione sulla circostanza che, mentre in Inghilterra il sistema degli affitti di grandi poderi era già divenuto (nel ‘700) la forma predominante di esercizio agricolo, questo in Francia, alla vigilia della Rivoluzione, era soltanto ancora allo stato embrionale”. A detta di Arthur Young, solo al confine nordico, a diretto contatto con le Fiandre e le terre fiamminghe, era dato di cogliere qualcosa di diverso. Gli studi di George Lefebvre per il Nord e di Albert Soboul e di Emanuel Le Roy Ladurie per il Meridione della Francia, hanno dimostrato, accanto alle forti differenze riscontrabili nella distribuzione della proprietà da regione a regione (e finanche da provincia a provincia), l’esistenza insopprimibile del piccolo possesso. La cosa non era, del resto, passata inosservata allo stesso Young il quale, sappiamo, sul finire del secolo scorreva i distretti francesi a cavallo, proprio per farsi una opinione diretta sullo stato dell’economia rurale. Il Loutchsky ha compilato un prospetto sommario della distribuzione percentuale del possesso fondiario, su base regionale e per il ‘700, entro le tre classi tradizionali e con l’esclusione, assai significativa, della borghesia: Anche George Lefebvre, storico della rivoluzione, collega ed amico di Marc Bloch, è su queste posizioni. Da quanto emerge dai valori riprodotti, la presa diretta della nobiltà sulla terra non supera quasi mai il terzo della superficie catasticata. Era invece la Chiesa a condursi, comparativamente, abbastanza bene, ove si prescinda da quanto accadde nelle regioni del centro‐sud e dell’ovest rimaste a lungo nelle mani degli ugonotti, i quali procedettero alle usuali spogliazioni dei beni appartenenti ai religiosi. Ma soprattutto, dal prospetto riportato, appare straordinariamente alto il possesso contadino. In alcune recenti indagini, le quali riassumono gli studi di B. Bodinier – E. Teyssier, di G. Béaur, di S. Vigneron e di altri, Fabrice Boudjaaba, dell’Università di Rennes II, ritiene di assegnare alla nobiltà tra il 20 e il 25% delle terre censite, fissando la proprietà borghese ad un quarto della superficie. Anche per gli autori richiamati, che hanno ben presente le grandi indagini fatte dagli storici negli anni 1950‐70, il mondo contadino «nella sua infinita varietà» avrebbe posseduto il 40% delle terre, a conferma, in fondo, della fondatezza delle ricerche del Loutchisky sopra richiamate. Secondo Bodinier e Teyssier che si sono avvalsi degli studi condotti sugli inventari dei beni ecclesiastici fatti al momento della loro avocazione al demanio (e però sfogliati nella misura di un solo terzo), tali Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7 beni non sarebbero arrivati al 10% della superficie nazionale. Come appare tuttavia dalla tabella sopra riprodotta le posizioni del clero appaiono molto differenziate sulla scala regionale. Prima di passare all’analisi specifica sui villaggi normanni – regione del Vernon – sulla quale non è qui possibile seguirlo, Boudjaab (in accordo con Béaur) riferisce che il «nord della Francia appare come una terra dove il clero domina chiaramente sulle strutture della proprietà». Dal canto suo, a integrazione dei lavori di Lefebvre, anche Vigneron ritiene che tali posizioni fossero ragguardevoli e tali da superare nella regione di Cambrai il 40% della superficie. Nell’intero settentrione della Francia, dunque, la Chiesa avrebbe controllato alla vigilia della Rivoluzione un quinto delle superfici agrarie, restando peraltro – come si è detto – lontana da questi livelli nel Midi e probabilmente nell’Ovest. Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7 
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