Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) Il cervello e il midollo spinale costituiscono il sistema nervoso centrale, mentre il sistema nervoso periferico è costituito da tutti i distretti periferici, quali i nervi e i gangli spinali che innervano le varie parti del corpo, trasportando impulsi nervosi che sono elaborati ed inviati dai centri superiori o a quest’ultimi spediti dalle cellule sensoriali di vario genere da cui si origina il segnale. Nello specifico, è possibile effettuare una distinzione tra il sistema sensoriale e il sistema motorio. I neuroni che costituiscono quest’ultimo sono chiamati motoneuroni e i loro assoni creano sinapsi direttamente con le cellule muscolari, permettendo di controllare i muscoli e quindi permettendo di fare adattare l’individuo all’ambiente che lo circonda. Dunque, è il cervello, attraverso i motoneuroni superiori, a trasmettere i segnali al midollo spinale, il quale, attraverso i motoneuroni inferiori, li trasmetterà ai vari distretti anatomici. Esistono diverse patologie che possono indurre a seri problemi muscolari e spesso si crea confusione o addirittura si scambiano tra loro quando in realtà ognuna di esse designa un ben preciso quadro clinico, apparentemente simile ma effettivamente diverso nelle sue basi biologiche, come il caso della distrofia muscolare, della sclerosi multipla e della sclerosi laterale amiotrofica. La nostra attenzione si focalizzerà su quest’ultima malattia che in Italia ogni anno fa registrare 1000 nuove diagnosi, colpendo persone di tutte le razze e di tutti i gruppi etnici con un’incidenza a livello mondiale di 1-3 casi su 100.000 l’anno, con un rapporto tra maschi e femmine di circa 2, mostrando valori più elevati nell’isola di Guam, penisola di Kii, in Giappone e Nuova Guinea, designandosi come una rara patologia, nella quasi totalità dei casi sporadica (le forme familiari sono circa il 10% del totale dei pazienti). La prima volta in cui venne sollevata l’attenzione pubblica risale al 1939, anno in cui morì uno dei più giovani giocatori di baseball statunitensi nella storia della Major League e dei New York Yankess, ossia Lou Gehrig, da cui questa malattia prende nome. Oggi è forse una delle più studiate dai ricercatori anche perché tutt’ora la SLA risulta essere poco conosciuta, in particolare sul fronte eziopatologico. Molti sono i volti noti affetti da tale patologia, tra questi si ricordano in particolare Stefano Borgonovo (calciatore), Mao TSE TUNG (rivoluzionario e politico cinese) e Stephen Hawking, uno dei più importanti fisici e cosmologi attualmente in vita che ha occupato la cattedra lucasiana di matematica all’Università di Cambridge (la stessa che fu di Isaac Newton). Quello della SLA, inoltre, è un argomento quanto mai attuale a causa delle varie manifestazioni mosse da parte degli affetti e non contro le istituzioni che spesso ignorano o accantonano problematiche di grande importanza, trascurando chi oggi è costretto a combattere immobile su una sedia a rotelle, a farsi sentire con le grida del silenzio. Risalgono a ottobre 2013 le manifestazioni, le proteste e i presidi davanti al Ministero dell’Economia, che hanno visto in primo piano il taglio dei fondi a 250 milioni di euro l’anno stanziati dal governo Letta come conseguenza della Legge di Stabilità per i malati di SLA, indignati del fatto che un Paese civile non rispetti i diritti fondamentali di un suo cittadino che necessita di essere sostenuto, vedendo morire sotto i propri occhi uno di questi uomini, Raffaele Pennacchio, medico affetto da SLA, deceduto durante il sit-in il mese scorso. Notizia degli ultimi giorni è la vittoria di questa protesta, sarà infatti aumentato il fondo per la non autosufficienza e ci saranno risorse dedicate all’assistenza domiciliare. La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), conosciuta anche con il nome di morbo di Lou Gehrig o malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia progressiva e degenerativa del sistema nervoso, che colpisce le cellule delle corna anteriori del midollo e del tronco encefalico (soprattutto del bulbo spinale) e, spesso, della corteccia motoria, da dove parte la via corticospinale. Questa malattia colpisce il primo e il secondo motoneurone, una sua variante è la paralisi bulbare progressiva, la quale determina la paralisi dei muscoli della mandibola, della faringe e della lingua con conseguente disfagia, disartria, disfonia e difficoltà della masticazione. Il primo motoneurone origina dal quinto strato della corteccia motoria, discende attraverso la via corticospinale e corticobulbare e termina in sinapsi con il secondo motoneurone. Quest’ultimo è rappresentato dalle cellule delle corna anteriori del midollo spinale e del suo omologo nel tronco encefalico. Fu Jean-Martin Charcot a descriverla, per la prima volta, nel 1860. Tutt’oggi le conoscenze sulle sue cause sono ignote, anche se si pensa che tale patologia sia collegata a fattori genetici e ambientali. Il termine SLA ha un’etimologia ben precisa, la parola amiotrofica suggerisce, infatti, che tale malattia atrofizza (trofica) i muscoli (mio), l’aggettivo laterale si riferisce alla zona del midollo spinale che comprende le vie piramidali formate dalle sinapsi che connettono il primo motoneurone al secondo. Come conseguenza della morte neuronale si verifica una reazione proliferativa dell’astroglia che determina un progressivo indurimento delle vie mielinizzate, da cui deriva il termine sclerosi. L’eziopatogenesi di tale malattia è ancora poco conosciuta e le ipotesi più condivise sulle sue cause sono due. In particolare si pensa abbia una base genetica e a tal proposito sono stati condotti numerosi studi attraverso i quali è stato possibile affermare che non esistono background genetici comuni tra SM e SLA. Tali studi hanno identificato una sequenza ripetuta di basi GGGGCC nel gene C9ORF72 localizzato nel cromosoma 9p21 che sembra essere responsabile di circa il 40% dei casi in cui si è manifestata la forma familiare della SLA. Considerando il campione preso in esame, il 49,1% degli affetti ha ereditato la malattia per via materna e il 50,9% per via paterna, allo stesso tempo, i bambini hanno iniziato a manifestare la SLA 7 anni prima rispetto ai loro genitori. Le mutazioni di questo gene insieme a quelle di SOD1, TARDBP e FUS costituiscono il 60% dei casi totali. Inoltre, i ricercatori hanno trovato un altro gene responsabile di alcune forme di SLA, nel braccio lungo del cromosoma 21, il gene è chiamato superoxide dismutase 1 e non si sa se esso sia la causa o semplicemente predisponga l’individuo alla SLA. Tale patologia insorge generalmente intorno ai cinquanta anni ed è difficile che appaia durante il periodo adolescenziale, in quest’ultimo caso viene definita SLA giovanile. I sintomi sono molto difficili da comprendere in quanto inizialmente si mostra come una malattia subdola che determina crampi, spasmi muscolari, rigidità e debolezza fino a condurre l’affetto alla sedia a rotelle. Il passare del tempo rende sempre più complicata la sopravvivenza, inducendo problemi respiratori che possono portare a morte entro i primi 2-10 anni. Una frazione di persone con SLA ha inoltre sviluppato una condizione chiamata demenza frontotemporale (FTD), una malattia progressiva del cervello che colpisce la personalità, il comportamento e il linguaggio. I pazienti affetti da FTD mostrano una velocità di elaborazione rallentata, disfunzioni a livello esecutivo mentre studi di neuroimaging hanno mostrato anomalie del lobo frontale di entrambi gli emisferi. A tal proposito, studi più approfonditi sono stati condotti presso la Mayo Clinic di Rochester e la Mayo Clinic Florida e grazie ad essi si è compreso come la FTD sia legata ad un espansione della sequenza GGGGCC nella regione non codificante del cromosoma 9. Una delle ipotesi più accreditate per spiegare la degenerazione neuronale prevede un danno di tipo eccitotossico, caratterizzato da un eccesso di glutammato che determina un aumento di afflusso di ioni Ca intracellulare che si traduce in un’attivazione enzimatica (endonucleasi, fosfolipasi, ossido nitrico sintetasi) che culmina nella degenerazione e necrosi cellulare. Le alte concentrazioni di glutammato sono presenti nel siero, nel liquido cerebrospinale e nel tessuto nervoso. Inoltre, questa ipotesi si basa su difetti nella proteina trasportatrice specifica espressa dalle cellule gliali (GLT-1) e infine sulle capacità del liquido cerebrospinale del paziente affetto da SLA di causare la morte neuronale in coltura con effetto reversibile con CNQX antagonista del recettore glutammatergico AMPA. Un’altra ipotesi è quella autoimmunitaria, a favore della quale vi è un incremento dei linfociti T CD8+, relazioni con aplotipo MHC, una presenza di Ab diretti contro il ganglioside GM1 ed il canale V-dipendente del Ca, infine la presenza di Ig monoclonali nel siero, contro tale ipotesi però si è schierata l’inefficacia della terapia immunosoppressiva. Quella del danno ossidativo è un’altra delle ipotesi più accreditate, determinato da uno squilibrio tra sostanze ossidanti e sostanze riducenti nel microambiente che circonda i motoneuroni colpiti. In questo caso si è constatata un’aumentata attività della selenioproteina enzimatica glutanione perossidasi nel midollo spinale, un aumento dell’mRNA per la SOD1 in motoneuroni residui ed un aumento di carbonili proteici nel midollo spinale e nella corteccia frontale, derivati dall’ossidazione di alcune proteine. Nel 20% dei casi è stata trovata una mutazione a carico della Cu-Zn Superossido-dismutasi (SOD1) catalizzante la reazione d’eliminazione del radicale superossido. I meccanismi di morte neuronale indotti da SOD possono essere vari, ad esempio si può registrate la perdita di funzione e produzione di perossinitriti tossici, attraverso la formazione di aggregati proteici intracellulari, in questo caso avviene il sequestro di proteine chaperon e alterazioni delle funzionalità del proteasoma, un altro meccanismo consiste nell’acquisizione di proprietà proapoptotiche e infine può verificarsi un’interferenza con l’attività di calcineurina e calmodulina. La SLA può presentarsi in forme variabili, si distinguerà dunque una forma tipica (50-60%), una paralisi bulbare progressiva (20-30%), una forma pseudopolineuritica (10%), un’atrofia muscolare progressiva e infine la sclerosi laterale primaria. Secondo i canoni su cui si basa lo studio dell’Anatomia, l’osservazione patologica può essere svolta a livello macroscopico e microscopico. Attraverso il primo tipo di osservazione, è possibile evidenziare una grave atrofia delle radici ventrali e del midollo a livello dei rigonfiamenti cervicale e lombare, la perdita neuronale a carico dei nuclei dei nervi cranici, in particolare XII, XI, X ma anche VII e V, e una degenerazione dei fasci corticospinali. L’osservazione microscopica, invece, consente di mettere in evidenza la perdita delle cellule piramidali di Betz, le cui dimensioni raggiungono il diametro di circa 100 µm e sono provviste di un lungo cilindrasse che penetra nella sostanza bianca, una condensazione in masse amorfe e scarsamente colorate della sostanza di Nissl, dei corpi sferoidi (Spheroids), ovvero accumuli di neurofilamenti nella porzione prossimale degli assoni e infine i corpi di Bunina, inclusioni citoplasmatiche eosinofile. Purtroppo allo stato attuale degli studi i dubbi s’impongono sulle certezze per quanto riguarda l’eziologia di questa malattia, mentre la ricerca tenta di allargare gli orizzonti delle proprie conoscenze abbracciando gli aspetti più vari che si pensa possano indurre la SLA. Altre ipotesi sono state fatte sui fattori ambientali e dunque sull’esposizione ad agenti tossici o contagiosi, si pensa, infatti, ad una possibile correlazione tra fitofarmaci e SLA e a diversi elementi come alluminio, mercurio, piombo o ad alcune sostanze velenose o pesticidi agricoli che possono danneggiare le cellule nervose e i motoneuroni. Come precedentemente accennato, è difficile capire inizialmente se il paziente è affetto da SLA, i sintomi vengono spesso trascurati e si presentano su parti del corpo diverse a seconda dell’individuo, rendendo impossibile capire attraverso una prima analisi a cosa possano essere dovuti questi disturbi. Il passare del tempo ed il progredire della malattia contribuiscono a fortificare le sue radici, rendendo sempre più vaste le aree anatomiche soggette a tali sintomi. Nella maggior parte dei casi essi si risentono sugli arti inferiori o superiori e appaiono evidenti quando l’individuo cammina o corre oppure svolge le più banali azioni quotidiane. Esaminando con particolare attenzione i vari casi attraverso i quali si mostrano i sintomi della SLA, è possibile notare come una discreta percentuale di affetti mostri difficoltà nell’articolare la parola o le frasi (disartria) fino a giungere all’anartria, in altre parole la perdita della comunicazione verbale. Altri sintomi interessano il XII paio di nervi cranici, ossia il nervo ipoglosso, in quanto viene a determinarsi un quadro clinico noto come disfagia, la quale comporta una crescente difficoltà a deglutire liquidi e/o solidi, per passare poi all’atrofia dei muscoli della masticazione, spesso responsabile di malnutrizione e dimagrimento. Le conseguenze del coinvolgimento del primo motoneurone includono il progressivo irrigidimento dei muscoli (spasticità) insieme alla presenza di riflessi esagerati (iperreflessia) o di riflessi patologici, mentre le conseguenze del coinvolgimento del secondo motoneurone, comportano crampi muscolari, riduzione del tono muscolare e dei riflessi osteotendinei e dunque l’ipo-atrofia dei muscoli da esso innervati. Un’altra conseguenza è il manifestarsi del segno di Babinski che indica la presenza di una lesione a carico del tratto corticospinale, esso comporta un riflesso anomalo che consiste nell’estensione in alto dell’alluce del piede e nello “sventagliamento” all’infuori delle altre dita, quando la pianta del piede viene stimolata. Tuttavia, il progredire della malattia varia a seconda dei casi, sia per quanto riguarda i sintomi che la velocità, i pazienti perdono gradualmente la velocità di stare in piedi o di camminare, utilizzare le mani e ancora tutto ciò ha conseguenze drastiche a livello psicologico, in quanto l’individuo, non perdendo le capacità cognitive, col passare del tempo, acquista la consapevolezza del male a cui va incontro. Circa il 15-45 % dei pazienti affetti da SLA invece sperimenta l’effetto pseudobulbare o “labilità emotiva” che consiste in attacchi di riso incontrollabile oppure pianto. I muscoli che più risentono di questa patologia sono quelli respiratori, in quanto il graduale processo di atrofizzazione dei muscoli, indebolisce sempre di più il diaframma e i muscoli intercostali provocando la diminuzione della capacità vitale della pressione respiratoria. Pertanto i pazienti possono sottoporsi a una tracheotomia e quindi una ventilazione meccanica a lungo termine anche se buona parte preferisce cure palliative; nella maggior parte dei casi sono l’insufficienza polmonare o l’insorgere della polmonite a causare la morte. A livello neurologico in alcuni casi possono sorgere compromissioni cognitive, legate soprattutto alla corteccia frontale, influenzando le funzioni esecutive, come la categorizzazione, pianificazione, astrazione, mentre le capacità di udire il suono, vedere, odorare e gustare vengono conservate, i problemi ai muscoli oculari si mostrano solamente quando la malattia ha avuto un lungo decorso di circa 20 anni. A differenza della sclerosi multipla, invece, la SLA permette il controllo degli sfinteri legati all’apparato digerente, e i problemi legati a quest’ultimo sono per lo più dovuti all’immobilità e ai cambiamenti dietetici. Quando si parla di SLA è utile chiarire che non esiste un test diagnostico specifico che identifichi direttamente la presenza di tale patologia. Il criterio fondamentale è l’esame clinico, affiancato da una serie di valutazioni strumentali, grazie al quale il medico è in grado di escludere casi clinici simili ma dovuti ad altre patologie. Data la realtà e la grande complessità della malattia, la diagnosi andrebbe affidata ad un neurologo specializzato nei disturbi legati al motoneurone; (è consigliabile la presenza di un secondo parere neurologico per avere un idea più precisa e chiara dell’iter complessivo della malattia). Risultano quindi essenziali il colloquio e la visita medica, in base al quale il neurologo orienterà la scelta delle valutazioni strumentali successive. Già a livello ematico viene testata la presenza e il dosaggio di enzimi muscolari, di ormoni tiroidei e paratiroideo, mentre una serie di esami mirati alla ricerca di infezioni batteriche o virali permettono di escludere quadri simili alla SLA. Sempre a livello ematico occorre valutare la presenza di anticorpi “antinervo” (anti-gangliosidi), makers neoplastici, e dosaggi di metalli pesanti a livello di siero e urine. Una delle prove mirate ad escludere casi clinici analoghi alla SLA è l’Elettromiografia (EMG), un test specifico che rileva l’attività elettrica (spontanea o indotta) nei muscoli, e che consente di identificare alcune zone di denervazione, attiva o cronica. Un'altra prova comunemente usata è la velocità di conduzione del nervo (NCV), in quanto un’anomalia in tali valori è riconducibile più che altro a una forma di neuropatia periferica. Per studiare l’entità di certe lesioni il neurologo può avvalersi tuttavia di un MRI, o Risonanza Magnetica, quella tecnica di imaging clinico, non invasiva, (in quanto utilizza radiazioni non ionizzanti), che fornisce una ricostruzione tridimensionale dell’encefalo e del midollo spinale. Anche se l’MRI di un soggetto affetto da SLA non presenta anomalie, essa può essere essenziale per rivelare problemi che causano sintomi analoghi. (es. sclerosi multipla, spondilosi cervicale,…) Se il sospetto del medico è invece la presenza di una miopatia piuttosto che SLA, a quel punto è consuetudine effettuare una biopsia al muscolo, per scongiurare la presenza di altre malattie atrofiche, degenerative o infiammatorie. A partire dal 2006, ricercatori della Mount Sinai School of Medicine hanno riscontrato come la concentrazione di tre proteine nel liquor cefalorachidiano sia particolarmente inferiore nei pazienti affetti da SLA rispetto che nei pazienti sani. La misurazione di tali proteine nel CSF si è rivelata un criterio diagnostico di SLA accurato al 95%. Con tali procedure, il tempo medio che trascorre dall’insorgere dei primi sintomi alla diagnosi completa è di circa 12 mesi. Nonostante finora non sia stata ancora scoperta una cura definita per la SLA, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato il trattamento farmacologico a base di Riluzolo (Rilutek). Questa molecola è in grado di bloccare i canali del sodio voltaggio dipendenti, inibendo di conseguenza la produzione a livello presinaptico di glutammato. Test clinici hanno dimostrato come il trattamento a base di Riluzolo riesca prolungare le fasi più lievi della malattia, pur garantendo un prolungamento della sopravvivenza di soli 3 mesi. Inoltre, i pazienti che conducono tale terapia devono essere costantemente monitorati al fine di salvaguardarne i valori ematici ed epatici, e per evitare ulteriori effetti collaterali. Tuttavia, con tale terapia si può ritardare il ricorso ad interventi per garantire la sopravvivenza quali la tracheotomia e la ventilazione meccanica. Per quanto appurato che un danno a livello di motoneuroni sia purtroppo irreversibile, la ricerca ha fatto enormi passi avanti verso terapie che rallentino il più possibile l’avanzare della malattia. Tra le terapie in via di sviluppo vi sono ad oggi: - Il resveratrolo, molecola in grado di proteggere i motoneuroni, stimolando la produzione di NAD; Somatotropina e IGF-1, fattore di crescita che stimola le connessioni neuronali e inibisce la morte dei neuroni, fornendo benefici ai malati (Il problema sta nei costi di tale ormone). Cellule staminali. Nel 2008 venne condotto un ulteriore studio che promuoveva l’impiego del litio per curare malattie degenerative come la SLA. Indagini statistiche effettuate su vasti campioni significativi smentirono tali supposizioni. Esistono poi, dei trattamenti “di supporto”, finalizzati ad alleviare i sintomi e a migliorare la qualità della vita dei pazienti; per fornire tali terapie ci si avvale solitamente di un team formato non solo da medici e farmacisti, ma anche da fisioterapisti, logopedisti, terapeuti ed operatori sociali. Collaborando con il paziente tale team può individuare un piano di terapie mediche e fisiche che fornisca attrezzature e supporto per mantenere i pazienti quanto più mobili e comodi possibile. Quando i pazienti non sono più in grado di trarre nutrimento dalla normale alimentazione si può ricorrere ad un intervento che comporta l’inserimento di un sondino a livello gastrico che oltre a ridurre il rischio di soffocamento riduce anche il rischio di polmonite (derivabile dall’inalazione di alimenti nei polmoni). Tale sondino non è rischioso e non impedisce di mangiare con la bocca. Quando anche la normale respirazione viene compromessa, e i muscoli respiratori cominciano ad indebolirsi, si ricorre ad un macchinario che assista la respirazione durante il sonno; con il progredire della malattia diventa necessario l’utilizzo di un respiratore, un apparecchio che contribuisce a gonfiare e sgonfiare i polmoni durante la respirazione. Oltre all’aspetto fisico e medico, è importante assistere il paziente in quello che è l’aspetto emotivo di tale malattia, a questo scopo ci si avvale di terapisti infermieri e psicologi che aiutano il paziente ad affrontare l’aspetto psicologico e finanziario della malattia, specialmente nelle fasi più progresse. Carmelo Raffo Luca Sabino