Capitolo 1 Successioni Obiettivi Obiettivo generale del capitolo è introdurre le successioni numeriche, presentando alcune delle proprietà che esse ereditano dall’insieme dei numeri naturali. Obiettivi specifici: • riesaminare l’insieme dei naturali dal punto di vista delle proprietà che lo caratterizzano; • saper dare la definizione di una successione sia mediante il termine generale che per ricorrenza; • essere in grado di fare congetture sulle formule che esprimono certe successioni; • comprendere, a partire da opportuni esempi, l’importanza della costruzione di modelli matematici, con significato sia descrittivo che predittivo; • saper operare su progressioni aritmetiche e geometriche, e saperne calcolare somme parziali; • saper utilizzare il metodo della dimostrazione per induzione. 1.1 Introduzione alle successioni Nel corso di questi anni abbiamo a più riprese studiato l’insieme N dei numeri naturali. Rivolgiamo ancora una volta ad esso la nostra attenzione, considerando in particolare la relazione d’ordine che lo caratterizza, e che possiamo descrivere mediante le seguenti proprietà: • esiste in N un primo elemento, più piccolo di ogni altro, lo zero; • ogni elemento ha un immediato successivo; • ogni numero, tranne 0, è successivo di un altro numero; • partendo dallo 0 e passando all’elemento successivo un certo numero di volte, si può raggiungere ogni elemento di N. 0 → 1 → 2 → 3 → 4 → 5 → 6... Nel linguaggio di tutti i giorni usiamo talvolta il termine ‘successione’ per indicare una sequenza di oggetti presi da un certo insieme. Nel linguaggio matematico a questo termine viene dato un significato preciso: Definizione 1 Dato un insieme T , si dice successione a valori in T un’applicazione di N in T . 1 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 2 Notiamo che in una successione un elemento di T può essere ripetuto più volte, dal momento che l’applicazione di cui parla la definizione non è necessariamente iniettiva. Come esempi possiamo considerare le seguenti successioni a valori in Q (o anche in R), visualizzate dai grafici in figura: 1, 1 , 3 1 , 2 1 , 4 1 , 5 1 , 6 ... 1, −1, 1, −1, 1, −1, . . . 0, 1, 3, 5, 2, 4, (1.1) ... 1 an = 0 1 2 3 1 1+n 4 5 6 an = (−1)n 0 1 2 3 4 5 6 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 3 an = n 0 1 3 2 4 5 6 Nella seconda successione i numeri 1 e −1 sono ripetuti infinite volte; la terza successione è quella stessa degli interi naturali (dunque l’applicazione di cui parla la definizione è, in questo caso, l’identità). I valori di una successione (che si dicono anche termini della successione) dovrebbero essere indicati, secondo le notazioni che già abbiamo usato per le applicazioni, in questo modo: a(0), a(1), a(2), . . . ma è più abituale la notazione a0 , a1 , a2 , a3 , . . . , an , . . . (1.2) in cui l’intero naturale è scritto come indice, cioè a destra della lettera che indica la successione, e leggermente in basso. Assegnare una successione significa assegnare infiniti valori (è la prima volta che affrontiamo consapevolmente il problema della costruzione di un insieme infinito). Tuttavia negli esempi che abbiamo considerato sopra non ci siamo sentiti a disagio, perche era del tutto chiara l’intenzione di assegnare una ben determinata legge di formazione dei termini. Come assegnare una successione: mediante il termine generale . . . La prima delle successioni 1.1 può essere rappresentata così: an = 1 1+n per la seconda delle 1.1 si ha: an = (−1)n mentre la terza si può rappresentare così: an = n CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 4 In tutti questi casi la successione è assegnata rappresentando an con una ben determinata espressione, che viene detta termine generale della successione. . . . oppure per ricorrenza Vi sono altri modi interessanti per assegnare una successione; uno, molto importante, consiste nell’assegnare il primo termine a0 ed una ben determinata regola che permette di passare da un termine al successivo. È evidente allora che, uno dopo l’altro, si possono ottenere tutti i termini della successione. In questo caso si dice che la successione è definita per ricorrenza (o con procedimento ricorsivo). Esempio 1 Le progressioni aritmetiche Consideriamo la successione definita ponendo a0 = b, an+1 = an + h, dove b e h sono numeri reali fissati. Evidentemente la successione risulta: b, b + h, b + 2h, b + 3h, . . . 0 1 3 2 4 5 6 dal momento che, una volta ottenuto an si ricava an+1 aggiungendo la costante h: +h an −→ an+1 = an + h È molto facile, in questo caso, esprimere il termine generale: an = b + nh (1.3) Si dice che una successione di questo tipo è una progressione aritmetica con valore iniziale b e ragione h. Se rappresentiamo in un riferimento cartesiano le coppie (n, an ), troviamo che tutti i punti rappresentativi stanno su una retta di equazione: y = hx + b La 1.3 ha senso anche per n intero negativo; l’estensione della funzione agli interi negativi può essere anch’essa fatta per ricorrenza: per ottenere a−(k+1) da a−k basta evidentemente sottrarre h (anzichè sommarlo, come si faceva prima). Esempio 2 Le progressioni geometriche Un’altra successione che ci è già nota da tempo è quella delle potenze di un numero b fissato (che è detto base). Possiamo definirla mediante queste due relazioni: a0 = 1 (1.4) an+1 = an · b CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 5 n → (1, 4)n 0 1 2 3 4 5 6 Ci accorgiamo che la successione è definita per n = 0 e, una volta che sia definita per un intero n è definita per l’intero successivo: così è definita per ogni intero naturale. Si ha: a0 = 1 a1 = b .. . an = b| · b ·{zb . . . }b = bn n f attori L’intero n è chiamato, come si sa, esponente della potenza bn . Se b = 1, tutti i termini della successione rimangono uguali ad 1 (la successione è costante). Se la base b è maggiore di 1, si intuisce che le successive potenze crescono al crescere dell’esponente, diventando più grandi di ogni numero. Una dimostrazione precisa di questo importante fatto verrà data più avanti. Se è 0 < b < 1 la successione delle potenze è de, e si intuisce che al crescere dell’esponente n, bn diventa più piccola di ogni numero positivo fissato. Anche su questo torneremo più avanti. La successione an = bn è definita per n ≥ 0; viene voglia di estenderla a tutti gli interi relativi, cioè all’insieme Z, in modo che continuino a valere le 1.4; in altre parole: il passaggio da un termine al successivo si deve ottenere sempre mediante moltiplicazione per b; allora è chiaro che, supponendo b 6= 0, il termine 1 immediatamente precedente un dato termine si deve ottenere da questo mediante moltiplicazione per . b CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 6 . . . −2 −1 0 1 2 3 . . . ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ 1 1 ... 1 b b2 b3 . . . 2 b b n→ 0 1 2 1 1,4 n = (1, 4)−n 3 4 5 6 È naturale continuare ad usare il simbolo di potenza per indicare i termini corrispondenti agli interi negativi; quindi si porrà, per ogni intero negativo −n: n 1 1 −n b = (1.5) = n b b Così abbiamo introdotto l’importante notazione degli esponenti negativi, di cui ci serviremo spesso in seguito. Se indichiamo con f la funzione n → bn definita in Z vale la seguente importantissima relazione: f (m + n) = f (m) · f (n) (1.6) Questa è evidente se m e n sono entrambi positivi o anche se sono entrambi negativi (tenendo presente la 1.5). Supponiamo che n e m siano interi di segno opposto: sia m > 0 e n = −k, con k > 0. Risulta: bm bn = bm b−k = bm bk È evidente allora che, se m > k, questa si può scrivere bm−k , mentre se è k > m si può scrivere: 1 = bm−k bk−m in ogni caso risulta verificata la relazione 1.6. Il significato che abbiamo dato al simbolo bn per n ≤ 0 è materia di pura convenzione: si tratta però di una convenzione obbligatoria se si vuole che, ponendo f (n) = bn , valga la 1.6. Più in generale, possiamo considerare una successione del tipo: λ, λ · b, λ · b2 , λ · b3 , . . . dove λ e b sono numeri assegnati. Essa viene detta progressione geometrica con valore iniziale λ e ragione b. Evidentemente si tratta della successione delle potenze ad esponente intero di b moltiplicate per la costante λ. Essa può essere definita anche per ricorrenza mediante le seguenti relazioni: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 7 a0 = λ an+1 = an · b che sono un’ovvia variante delle 1.4. Esempio 3 Il fattoriale La successione così definita: an = 1 · 2 · 3 · 4 · · · · · (n − 1) · n = n! viene chiamata fattoriale e ha un significato combinatorio notevole: n! indica il numero delle permutazioni che si possono fare in un insieme di n elementi. Vediamo ora come la successione fattoriale si può costruire mediante un procedimento per ricorrenza. Conviene ampliare la definizione ponendo 0! = 1. Allora la definizione ricorsiva del fattoriale è: a0 = 1 an+1 = an · (n + 1) Notiamo che in questo procedimento per ricorrenza l’espressione che dà an+1 contiene non solo an , ma anche l’intero n. Osservazione 1 Con il termine successione si indica anche un’applicazione definita in un sottoinsieme di N formato dai numeri che seguono un intero fissato. Ad esempio an = n1 è una successione definita per n ≥ 1. Successioni monotòne Una caratteristica che abbiamo potuto riconoscere in alcune successioni fino ad ora esaminate è una certa n regolarità: per la successione an = n+1 si osserva che ogni valore è maggiore di quello che lo precen de immediatamente, mentre nella successione bn = 12 ogni termine è minore di quello che lo precede immediatamente. Successioni di questo tipo si chiamano monotòne. Definizione 2 Data la successione an a valori reali, essa si dice: • crescente, se ∀n ∈ N, an+1 > an • non decrescente, se ∀n ∈ N, an+1 ≥ an • decrescente, se ∀n ∈ N, an+1 < an • non crescente, se ∀n ∈ N, an+1 ≤ an Non ogni successione è monotona: la successione bn = n2 − 8n + 15 non corrisponde a nessuno dei quattro casi elencati nella definizione appena data: osserviamo, infatti, che b1 = 8 e b2 = 3, quindi b1 > b2 , ma b6 = 3 e b7 = 8. La successione bn non ha nè un andamento crescente nè un andamento decrescente. 1.2 Alcune successioni interessanti Nel paragrafo precedente abbiamo visto che una successione può essere definita mediante un procedimento per ricorrenza. Ora ci proponiamo di far vedere che questo procedimento non è solo un artificio matematico: anzi, molte successioni che servono per descrivere fenomeni naturali vengono spontaneamente introdotte mediante una relazione ricorrente (ad esempio con intervallo di un anno) e spesso la situazione che si verifica ad un certo tempo dipende in modo ben determinato da quella del tempo precedente (ad esempio da quella dell’anno precedente). Vediamo ora alcuni esempi. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 8 Esempio 4 Un modello matematico: l’accrescimento geometrico Supponiamo che una certa popolazione biologica aumenti ogni anno di una quantità proporzionale al numero degli individui presenti, con un coefficiente di proporzionalità k (che rappresenta l’eccedenza dei nati suoi morti). Allora, indicando con an il numero dei soggetti presenti nell’anno n-simo, si ha an+1 = an + kan = (1 + k)an Si avrà allora an = (1 + k)n a0 ; questa è una progressione geometrica con valore iniziale a0 e ragione 1 + k. In questo caso si dice che vale la legge dell’accrescimento geometrico (o naturale). Esempio 5 Un altro modello: l’accrescimento con risorse limitate L’accrescimento geometrico di una popolazione biologica si può verificare solo quando è disponibile una quantità illimitata di risorse. Supponiamo ora che, nell’ambiente dove vive una certa popolazione biologica, vi sia una quantità di cibo bastante solo per b individui e supponiamo che l’incremento annuale della popolazione sia proporzionale alla quantità di risorse non ancora sfruttate. Indicando con an il numero degli individui presenti nell’anno n-esimo, l’incremento annuale sarà dato da k(b − an ), dove k è una costante (0 < k < 1). Allora, l’andamento della popolazione è dato dalla relazione ricorrente: an+1 = an + k(b − an ) (1.7) Per avere un’idea dell’andamento della successione an , è opportuno fare il calcolo diretto in un caso particolare (naturalmente il calcolo è molto più rapido se lo si fa fare al calcolatore). Prendiamo: b = 1000 a0 = 600 k = 0, 4 Riportiamo i risultati ottenuti nella seguente tabella: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 n 0 an 600 760 856 913, 6 948, 16 968, 896 981, 338 988, 803 993, 282 995, 969 997, 581 Si osserva che an si avvicina sempre di più a 1000 (facendo alcuni passi successivi si troverebbe a20 = 999, 986). Questa circostanza è in accordo con ciò che ci si può attendere; infatti è abbastanza naturale che la popolazione cresca in modo da esaurire tutte le risorse che ha a disposizione. Cerchiamo di esprimere il termine generale della successione an : il significato di b ci fa pensare che sia più espressivo prendere come incognita b − an anzichè an . Poniamo dunque: xn = b − an (1.8) Questa relazione ci dà an = b − xn e, naturalmente, an+1 = b − xn+1 . Sostituendo nella 1.7 si ottiene una relazione ricorrente per la successione xn : xn+1 = (1 − k)xn La successione xn è dunque una progressione geometrica di ragione (1 − k); si ha, allora, tenendo presente che x0 = b − a0 : xn = (b − a0 )(1 − k)n Dalla 1.8 si ricava infine: an = b − (b − a0 )(1 − k)n Siamo così riusciti a calcolare il termine generale della successione. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 9 Che cosa è un modello matematico In entrambi gli esempi ora esposti si trattava di costruire un modello matematico per lo studio di un fenomeno naturale. Si usa appunto questo termine per indicare una relazione matematica atta a rappresentare l’andamento di un fenomeno naturale. Nell’abbozzare un modello matematico non si è sempre certi delle ipotesi che si pongono, ma, in generale, è proprio il confronto fra la soluzione matematica e i risultati sperimentali che rassicura intorno alla validità delle ipotesi e che incoraggia, eventualmente, ad applicare il modello ad altri casi analoghi. Vediamo altri esempi interessanti di successioni definite per ricorrenza. Esempio 6 I famosi numeri di Fibonacci Consideriamo il sistema di strade a senso unico rappresentato dal grafo della figura, che deve intendersi prolungato indefinitamente verso destra. 2 0 1 4 3 6 5 8 7 I nodi sono contati progressivamente da sinistra a destra. Ci domandiamo quanti sono i cammini che raggiungono un certo nodo partendo dal nodo 1. Indicheremo con un il numero dei cammini che raggiungono il nodo n-simo. Evidentemente si ha u2 = 1 , u3 = 2; per determinare i successivi valori di un possiamo notare che al nodo (n + 1)-simo si arriva direttamente dal nodo n-simo e dal nodo (n − 1)-simo e solo da questi (questo ragionamento è molto simile a quello che si può fare a proposito dei coefficienti binomiali); dunque la relazione fondamentale è la seguente: un+1 = un + un−1 (1.9) Definiamo la successione anche per n = 0 ponendo u0 = 0 e per n = 1 ponendo u1 = 1; in tal modo la 1.9 vale anche per n = 1 e n = 2. È evidente allora che la relazione 1.9 individua completamente la successione un se si tiene conto delle condizioni iniziali: u0 = 0; u1 = 1 (1.10) I termini della successione così definita sono detti numeri di Fibonacci Nota: Leonardo Fibonacci, pisano, vissuto tra il 12◦ e il 13◦ secolo, con la sua famosa opera Liber abaci diffuse in Occidente idee e procedimenti dell’ambiente arabo e bizantino (tra cui, in particolare, la numerazione posizionale). Diede così un contributo fondamentale alla rinascita delle scienze esatte in Europa. La successione che porta il suo nome fu da lui introdotta per risolvere questo bizzarro problema: ammettiamo che una coppia di conigli, a partire dall’età di due mesi, procrei ogni mese un’altra coppia. Inizialmente (cioè dal mese 0) c’è solo una coppia di conigli appena nati. Si domanda quanti saranno i conigli in capo ad un anno (ammettendo che nessuno muoia). I primi numeri di Fibonacci sono: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, ... Si vede subito che la successione di Fibonacci cresce molto rapidamente. Viene spontaneo chiedersi se è possibile rappresentare il termine generale della successione di Fibonacci con un’espressione abbastanza semplice. Questo problema ha una soluzione piuttosto sorprendente, che ora consideriamo. Cominciamo col chiederci se può esistere una successione di potenze che soddisfi alla relazione 1.9; poniamo dunque: an = xn CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 10 e, sostituendo nella 1.9, otteniamo: xn+1 = xn + xn−1 Dividendo membro a membro per xn−1 otteniamo l’equazione di secondo grado x2 = x + 1 che si può scrivere: x2 − x − 1 = 0 Essa ha come soluzioni: √ √ 1− 5 1+ 5 , β= α= 2 2 n n Dunque, troviamo ben due successioni di potenze: α e β che soddisfano alla 1.9; tuttavia nessuna delle due soddisfa alle condizioni iniziali: infatti è α0 = 1, β 0 = 1,ma α 6= 1, β 6= 1. Sembrerebbe di non poter assolutamente riuscire nel nostro intento; chiediamoci però se abbiamo veramente trovato tutte le successioni soddisfacenti alla relazione 1.9 . Facciamo queste importanti osservazioni: 1. Se an è una successione che soddisfa alla 1.9 e se A è una costante, anche la successione Aan soddisfa alla 1.9. Infatti, dalla relazione: an+1 = an + an−1 moltiplicando membro a membro per A si ottiene: Aan+1 = Aan + Aan−1 2. Se an e bn sono due successioni che soddisfano alla 1.9 e se A e B sono costanti, anche la successione: Aan + Bbn (che possiamo chiamare combinazione lineare delle due successioni, con coefficienti A e B) soddisfa alla 1.9. Infatti si ha, come abbiamo notato: Aan+1 = Aan + Aan−1 e, analogamente: Bbn+1 = Bbn + Bbn−1 Sommando membro a membro, si ha: Aan+1 + Bbn+1 = (Aan + Bbn ) + (Aan−1 + Bbn−1 ) e questa relazione non è altro che la 1.9 scritta per la successione Aan + Bbn . Possiamo allora essere certi che tutte 1e soluzioni del tipo: Aαn + Bβ n (1.11) soddisfano alla 1.9. Resta da vedere se le costanti A e B si possono determinare in modo da soddisfare anche alle condizioni iniziali 1.10. Prendendo n = 0, n = 1, otteniamo le condizioni: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 11 A +B =0 αA +βB = 1 Questo è un sistema lineare in due equazioni e due incognite (A e B), con determinante uguale a β − α, e quindi diverso da zero. Esso ha come soluzione: 1 A= √ 5 1 B = −√ 5 Con questi valori di A e di B, la successione 1.11 coincide necessariamente con quella di Fibonacci e perciò si ha: √ !n √ !n 1 1− 5 1 1+ 5 −√ un = √ (1.12) 2 2 5 5 √ √ Notiamo che si ha α = 1+2 5 > 1, mentre il numero β = 1−2 5 è negativo ed ha valore assoluto minore di 1 . Nel secondo termine della 1.12 il secondo addendo è in ogni caso inferiore a 21 in valore assoluto, e diventa rapidamente √ molto piccolo. Perciò l’n-simo numero di Fibonacci è dato dall’intero che è più vicino al numero √1 5 1+ 5 2 n La ricorrenza in senso più esteso Osserviamo, per concludere questo argomento, che il procedimento di ricorrenza introdotto per generare i numeri di Fibonacci è un poco diverso da quello enunciato nel paragrafo precedente; infatti, per calcolare un+1 si richiede la conoscenza di un−1 oltre che di un . In relazione a ciò, i valori iniziali che si devono assegnare sono due: u0 ed u1 . Si tratta comunque di una diversità irrilevante dal punto di vista concettuale. n A proposito di estensioni del procedimento di ricorrenza, osserviamo che anche i numeri di Pascal m con n, m ∈ N e n > m possono essere definiti mediante un procedimento di ricorrenza basato sulla relazione: n n−1 n−1 + (1.13) = m m m−1 n n completata dai dati = = 1. Si tratta di un procedimento che coinvolge due indici (n ed m) 0 n anzichè uno solo. Esempio 7 Un modello probabilistico Vediamo ora un modello probabilistico che conduce allo studio di una successione definita per ricorrenza; la situazione è simile a quella dell’esempio dei numeri di Fibonacci e la soluzione si può ottenere con lo stesso tipo di ragionamento. Nella saggissima repubblica di Zumbak, la nuova costituzione limita la durata della presidenza stabilendo che essa sia di due anni oppure tre anni con uguale probabilità 21 (in altre parole, eletto il presidente, si lancia una moneta per stabilire se durerà in carica due oppure tre anni). Si vuole calcolare la probabilità che in un determinato anno vi sia un’elezione presidenziale, e vedere come essa vari con il passare degli anni. Indichiamo con pn la probabilità di avere un’elezione nell’anno n; sarà dunque p0 = 1, se conveniamo di contare gli anni a partire dal momento in cui la costituzione entra in vigore. Si avrà p1 = 0 poichè nessun turno presidenziale dura un solo anno. Per n = 2 si potrà avere un’elezione solo se al primo presidente la sorte avrà riservato la durata di 2 anni: perciò p2 = 21 . Possiamo ora affrontare il caso generale: l’evento ’elezione di un presidente nell’anno n’ si verificherà se si verificherà uno di questi due eventi, fra loro disgiunti: nell’anno n − 3 è stato eletto un presidente e la durata del suo mandato è risultata di 3 anni. Questo primo evento ha probabilità pn−3 · 12 ; CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 12 nell’anno n − 2 è stato eletto un presidente e la durata del suo mandato è risultata di 2 anni; questo secondo evento ha probabilità pn−2 · 12 . Otteniamo dunque la relazione ricorrente: 1 1 (1.14) pn = pn−2 + pn−3 2 2 Questa relazione ci permette di calcolare i successivi valori di pn , tenendo conto dei primi tre valori già determinati: 1 (1.15) 2 Si può impostare un programma di calcolo per i successivi valori di pn e quindi fare le prime immediate osservazioni sull’andamento della successione. p0 = 1, p1 = 0, p2 = Esempio 8 I numeri a caso Vediamo ora un’altra interessante applicazione delle successioni definite per ricorrenza: la generazione di numeri a caso. Occorre premettere che in certe situazioni è importante avere un congegno che fornisca un numero a caso; d’altra parte, non si può , in generale, ricorrere al lancio di una monetina, o a qualche altro congegno fisico... A questo punto, però, un lettore attento può fare subito una importante obiezione, osservando che il metodo della ricorrenza è stato introdotto per avere successioni generate con una ben determinata legge; le successioni di numeri estratti a caso sono proprio l’opposto, cioè sono successioni costruite in modo del tutto disordinato e senza alcuna legge di formazione. Come è possibile allora parlare di successioni casuali costruite ner ricorrenza? L’obiezione è del tutto fondata: in realtà le successioni di cui vogliamo parlare si devono chiamare pseudocasuali perchè imitano il comportamento delle successioni casuali, senza essere tali. Consideriamo, ad esempio, la successione di numeri interi compresi fra 0 e 9999, così definita per ricorrenza: a0 = 62 (1.16) an+1 = 101an + 31 (mod 10000) (in altre parole: per ottenere an+1 si divide 101an + 31 per 10000 e si prende il resto). Si può verificare empiricamente che è una successione di numeri che variano abbastanza ’a casaccio’ fra 0 e 9999. Naturalmente si possono verificare anche proprietà più precise di tipo probabilistico: ad esempio che in una lunga serie di ’estrazioni’ il numero degli elementi che cadono fra 0 e 999 non è molto diverso dal numero di quelli che cadono fra 7000 e 7999. . . Non si deve pensare che la formula 1.16 sia magica: vi sono moltissimi modi di generare successioni pseudocasuali con procedimento ricorrente. 1.3 Dimostrazioni per ricorrenza (o induzione) Il metodo di ricorrenza, che abbiamo impiegato per costruire successioni, può essere anche impiegato per fare dimostrazioni. Esempio 9 Un primo esempio: il termine generale di una successione Come primo esempio, proponiamoci di trovare il termine generale della seguente successione definita per ricorrenza: a0 = 0 (1.17) 1 an+1 = 2−a n Cominciamo a calcolare an per alcuni interi e compiliamo una tabella: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 13 n 0 1 an 0 12 2 3 4 5 2 3 3 4 4 5 5 6 Il risultato del calcolo ci porta a congetturare che debba essere, per ogni intero n: n (1.18) n+1 I calcoli eseguiti ci assicurano solo che questa formula vale per n = 0, 1, 2, 3, 4, 5. Per dimostrare che essa vale per ogni intero n, ragioniamo così: ammettiamo che la 1.18 valga per un certo intero r, cioè ammettiamo che sia: an = r r+1 e vediamo se essa vale per l’intero successivo r + 1 . Dalla relazione di ricorrenza 1.17 si ha: ar = ar+1 = 1 r+1 1 = r = 2 − ar 2 − r+1 r+2 che si può scrivere: ar+1 = r+1 (r + 1) + 1 Ma questa non è altro che la 1.18 in cui in luogo di n è stato posto r + 1. Dunque, se la 1.18 è vera per un certo r, essa è vera anche per r + 1. Poichè essa è stata riscontrata vera per n = 0, essa è vera per ogni intero n. Infatti, come abbiamo fatto notare all’inizio di questo capitolo, ogni intero può essere raggiunto a partire dallo zero compiendo un certo numero di volte il passaggio all’intero successivo. Il metodo dimostrativo per ricorrenza (o anche, con termine più tradizionale, di matematica o completa) riguarda appunto affermazioni che dipendono da un intero n e che, a seconda del valore che si dà a n, possono risultare vere o false. Nel linguaggio della matematica affermazioni a cui si possa attribuire il valore di verità ‘vero’ o ‘falso’ vengono chiamate ‘proposizioni’. Se P (n) è una proposizione che risulta vera per n = 0 e se per ogni n ∈ N si può dimostrare che, ipotizzando vere P (0), P (1), . . . , P (n), risulta vera anche P (n + 1), allora P (n) è vera per ogni valore di n. Occorre porre attenzione al fatto che nel cosiddetto passaggio induttivo non si chiede che siano vere P (0), P (1), . . . , P (n), ma che sia vera l’implicazione (P (0), P (1), . . . , P (n) =⇒ P (n + 1)). La verità di P (1), P (2), . . . , P (n) ne scenderà a cascata, se è vera P (0). Potremmo dire, con un linguaggio un po’ immaginoso, che, nella circostanza considerata, la verità della nostra affermazione si propaga a tutto l’insieme degli interi naturali, a partire dallo zero, passando da un intero al suo successivo. Proprio all’inizio del capitolo abbiamo messo in evidenza questa fondamentale proprietà di N: partendo da 0 e passando al successivo un certo numero di volte si può raggiungere ogni intero naturale. Può darsi che una certa proposizione P (n) sia vera non per tutti i valori di n, ma a partire da un certo n in poi (vi saranno alcuni esempi negli esercizi). La struttura della dimostrazione rimane la stessa, solo che al posto di 0 si sostituiranno n e gli interi successivi. Aggiungiamo un’osservazione di carattere critico relativa alla successione considerata. Poichè la funzione 1 x → 2−x che compare nella 1.17 non è definita per x = 2, non potevamo neppure essere certi a priori che la successione fosse ben definita. Ma la dimostrazione per ricorrenza ci dice, ad ogni passo, che an < 1, perciò an+1 è ben definita. Un secondo esempio: una disuguaglianza per le potenze Come secondo esempio, vogliamo dimostrare che per ogni numero reale x ≥ 0 e per ogni intero naturale n si ha: (1 + x)n ≥ 1 + nx (1.19) Questa disuguaglianza è senz’altro vera per n = 0: si riduce alla relazione banale 1 ≥ 1 . Supponiamo che la disuguaglianza valga per un certo intero r e per ogni x ≥ 0, cioè sia: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 14 (1 + x)r ≥ 1 + rx Moltiplicando membro a membro per 1 + x, che è certamente positivo, si ricava la nuova disuguaglianza: (1 + x)r+1 ≥ (1 + rx)(1 + x) = 1 + (r + 1)x + rx2 E poichè è rx2 ≥ 0, risulta: (1 + x)r+1 ≥ 1 + (r + 1)x Questa non è altro che la 1.19 in cui si è posto r + 1 in luogo di n. Perciò la dimostrazione è conclusa. Il metodo di dimostrazione per ricorrenza può dare, sulle prime, una sensazione di disagio perchè si ha l’impressione di cadere in un circolo vizioso: cioè di assumere come ipotesi la tesi stessa che si vuole dimostrare. Ma se si procede correttamente ci si rende conto che non è così : infatti, anzitutto la nostra affermazione deve essere verificata per n = 0; in secondo luogo, occorre pensare che dal caso n = 0 si passa al caso n = 1, dal caso n = 1 al caso n = 2, dal caso n = 2 al caso n = 3 e così indefinitamente: tutti questi passaggi sono, in un certo senso, ’fatti a macchina’ nella nostra dimostrazione. L’operazione di somma Prima di passare ad altri esempi, inseriamo un breve inciso che riguarda un’importante operazione sulle successioni. Data una successione di numeri reali o complessi: a0 , a1 , a2 , a3 , . . . , an , . . . (1.20) si può considerare la nuova successione S0 , S1 , S2 , S3 , . . . , S n , . . . (1.21) ottenuta sommando man mano i termini della precedente, cioè ponendo S0 = S1 = S2 = ... Sn = ... a0 a0 + a1 a0 + a1 + a2 a0 + a1 + a2 + . . . + an Esattamente, la nuova successione è definita per ricorrenza così: S0 = a0 Sn+1 = Sn + an+1 Se la successione 1.20 è costruibile mediante un programma di calcolo, anche la 1.21 può essere realizzata mediante un programma di calcolo: basta aggiungere l’istruzione di somma dei termini della 1.20 che si ottengono via via. Questa definizione si estende in modo ovvio al caso in cui la successione assegnata sia a1 , a2 , a3 , . . . si porrà S1 = a1 , S2 = a2 + S1 , . . . , Sn+1 = an+1 + Sn . (Insomma: è tutto come se fosse a0 = 0). I simboli Σ e Π È importante anche la seguente scrittura: n X k=0 ak = Sn = a0 + a1 + a2 + . . . + an CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 15 Il segno Σ (lettera greca sigma maiuscola), che si legge sommatoria è un operatore di somma: i termini che vengono sommati sono gli ak , al variare di k tra 0 ed n. Notiamo che l’indice k serve solo ad eseguire l’operazione di somma; il risultato finale non dipende più da k, ma solo dall’intero n che limita k. Per questa ragione si dice che l’indice P k è una variabile muta o apparente. Il simbolo Σ si usa, naturalmente, anche in 8 contesti diversi; ad esempio Pn k=3 an significa a3 + a4 + a5 + a6 + a7 + a8 . È da notare poi che k=0 1 = n + 1, perchè ad ogni valore che assume l’indice k corrisponde un addendo uguale a 1. In modo analogo, la lettera Π (lettera greca pi maiuscola) si usa per indicare il prodotto dei termini di una successione. Ad esempio, il fattoriale si può rappresentare cosi: n! = n Y k k=1 La somma degli interi dispari Ora ci proponiamo di dimostrare che Teorema 1 La somma dei primi n interi dispari è n2 Un intero m dispari può essere scritto nella forma m = 2k + 1; dunque i primi n interi dispari si ottengono dando a k i valori: 0, 1, 2, . . . , n − 1 (si tenga presente che si parte da 0: dunque ci si deve arrestare ad n − 1). Eseguiamo la somma dei primi n interi dispari, facendo via via variare n: per n = 1 (cioè k = 0) si ha 1 = 12 per n = 2 (cioè k = 0, 1) si ha 1 + 3 = 4 = 22 per n = 3 (cioè k = 0, 1, 2) si ha 1 + 3 + 5 = 9 = 32 per n = 4 (cioè k = 0, 1, 2, 3) si ha 1 + 3 + 5 + 7 = 16 = 42 Questi risultati immediati ci portano a congetturare la tesi del teorema, che ora vogliamo dimostrare. Poniamo: Sn = 1 + 3 + 5 + . . . + (2n − 1) = n−1 X (2k + 1) k=0 Ammettiamo che la tesi sia vera per un intero positivo qualsiasi r, cioè che si abbia Sr = r2 . Risulta allora: Sr+1 = Sr + (2r + 1) = r2 + 2r + 1 = (r + 1)2 Pertanto la tesi è vera anche per l’intero r + 1. Sulla base del principio di ricorrenza possiamo dunque affermare che si ha Sn = n2 per ogni intero positivo n. La figura qui sopra ci dice che questo teorema ha anche una rappresentazione (o, se vogliamo, una dimostrazione) geometrica immediata. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 16 Somma di una progressione aritmetica Dimostriamo ora un risultato più generale: Teorema 2 La somma di n numeri in progressione aritmetica è data dal prodotto di n per la media aritmetica fra il primo e l’ultimo termine della progressione. Anche questo enunciato ha un carattere fortemente intuitivo (basta pensare al grafico di una progressione aritmetica). Ne daremo una dimostrazione per ricorrenza. I primi n termini di una progressione aritmetica con valore iniziale a e ragione h sono: a, a + h, a + 2h, . . . , a + (n − 1)h (1.22) Indicando con Sn la somma, vogliamo dimostrare che si ha: a + (a + (n − 1)h) (n − 1)h n Sn = n= a+ 2 2 (1.23) Per n = 1 si ha solo il termine iniziale della progressione e pertanto risulta: S1 = a Dunque per n = 1 la 1.23 vale. Vediamo come si fa il passaggio da un intero r ad r + 1 . Si ha, supponendo vera la 1.23 per n = r: Sr+1 = Sr + (a + rh) = (r − 1)h a+ 2 (r + 1)h r + a + rh = a(r + 1) + r= 2 rh a+ 2 (r + 1) E questa non è altro che la 1.23 in cui n è sostituito da r + 1. Si conclude che la 1.23 è vera per ogni intero n. In particolare, ponendo a = 1 e h = 1 , si ottiene la seguente formula che esprime la somma dei primi n interi positivi: n(n + 1) (1.24) 2 La figura che segue mostra come questa formula può essere facilmente dedotta dall’esame di una configurazione geometrica di punti. Lasciamo, come esercizio, al lettore di dimostrare che dalla formula 1.23 si può immediatamente ricavare il risultato del teorema 1 riguardante la somma dei primi n numeri dispari. 1 + 2 + 3 + 4 + ... + n = CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 17 Somma di una progressione geometrica È facile trovare la somma delle prime n potenze di un numero b. Abbiamo già incontrato in precedenza durante il corso di studi l’identità: (1 − b)(1 + b + b2 + . . . . + bn−1 ) = 1 − bn (1.25) Se è b 6= 1 , da questa relazione si ottiene subito la formula cercata: n−1 X bk = 1 + b + b2 + . . . . + bn−1 = k=0 1 − bn 1−b (1.26) Se è b = 1, è evidente che la somma cercata è n. Naturalmente, possiamo divertirci a ridimostrare la formula 1.25 per ricorrenza. Anzitutto, essa è vera per n = 1 perchè la somma delle potenze si riduce al solo termine 1; pertanto il primo e il secondo membro della 1.25 sono uguali ad 1 − b. Ammettiamo che la 1.25 vera per n = r, cioè che sia: (1 − b)(1 + b + b2 + . . . . + br−1 ) = 1 − br Calcoliamo ora il primo membro della 1.25 con n = r + 1; si ha: (1 − b)(1 + b + b2 + . . . . + br−1 + br ) = = (1 − b)(1 + b + b2 + . . . . + br−1 ) + (1 − b)br = = 1 − br + (1 − b)br = 1 − br+1 Così abbiamo dimostrato la 1.25 per n = r + 1 e, per le solite ragioni, possiamo affermare che la 1.25 vale per ogni intero n Numero delle regioni del piano individuate da n rette Supponiamo assegnate nel piano n rette, a due a due incidenti, e tali che non ne passino più di due per uno stesso punto. Vogliamo trovare il numero Mn delle regioni semplici (cioè non contenenti al loro interno nessuna delle rette, né parti di esse) in cui esse suddividono il piano . Cominciamo esaminando i primi valori di Mn : M0 = 1 (infatti nel caso in cui non vi sia alcuna retta, c’ è un’ unica regione: il piano stesso) M1 = 2 (una retta divide il piano in due semipiani) M2 = 4 (due rette incidenti determinano quattro regioni angolari) A questo punto è spontaneo pensare ad un procedimento ricorrente; siano assegnate n rette. Che cosa succede se ne tracciamo un’altra? CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 18 Essa ha n intersezioni con le rette precedenti, perciò essa attraversa e spezza in due n + 1 delle regioni convesse individuate dalle precedenti rette; possiamo affermare quindi che nel passare da n a n + 1 rette il numero delle regioni convesse aumenta di n + 1: Mn+1 = Mn + (n + 1) Accanto a questa relazione si deve sempre considerare la relazione iniziale: M0 = 1 Da queste relazioni ricaviamo: Mn = 1 + 1 + 2 + 3 + 4 + . . . + n dunque Mn è uguale alla somma dei primi n interi positivi aumentata di 1. Dalla 1.24 abbiamo allora: n(n + 1) + 2 n(n + 1) = 2 2 Osserviamo che, nel nostro caso, sarebbe stato difficile congetturare la formula che esprime Mn sulla base dei primi valori che assume. Ci siamo serviti in modo essenziale della formula 1.24 già dimostrata. Concludiamo l’argomento con alcune importanti osservazioni. Mn = 1 + Il metodo di ricorrenza... lo sapevamo già ! Anzitutto, notiamo che molte dimostrazioni elementari di aritmetica (o, comunque, di affermazioni in cui intervengono gli interi naturali) sono, in fondo, di carattere ricorrente, anche se, per la loro semplicità, non sono presentate come tali. Consideriamo, ad esempio, la seguente formula, valida per n punti del piano (n ≥ 3) (o di un qualunque spazio metrico): A1 An ≤ A1 A2 + A2 A3 + A3 A4 + . . . + An−1 An La si può dimostrare facilmente applicando più volte la disuguaglianza triangolare, ad esempio secondo lo schema: A1 A3 ≤ A1 A2 + A2 A3 A1 A4 ≤ A1 A3 + A3 A4 ≤ A1 A2 + A2 A3 + A3 A4 A1 A5 ≤ A1 A4 + A4 A5 ≤ A1 A2 + A2 A3 + A3 A4 + A4 A5 e così via. Questa locuzione ’così via’ tiene il luogo di una dimostrazione per ricorrenza, che non è difficile esporre in modo preciso (e che il lettore è invitato a scrivere). Induzione matematica e induzione sperimentale Infine, un’osservazione riguardo ai termini usati. Abbiamo già accennato che il procedimento dimostrativo per ricorrenza è chiamato spesso induzione, o anche induzione matematica, per distinguerlo dal procedimento di induzione proprio delle scienze sperimentali, che consiste nel ricavare - attraverso procedure opportune una legge di carattere generale da alcune osservazioni sperimentali. Possiamo trovare una certa analogia fra i due significati del termine ’induzione’ pensando a quella prima fase delle dimostrazioni per ricorrenza in cui si tratta di congetturare la tesi da dimostrare. Negli esempi esposti sopra, abbiamo cercato di mettere in luce questa fase di tipo euristico, molto importante. Detto questo, è opportuno però sottolineare la notevole diversità dei significati del termine ’induzione’. Nel nostro caso non si tratta di fare alcune verifiche della formula o del CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 19 teorema che si deve dimostrare; in effetti, basta fare una sola verifica per il valore iniziale; ma poi è necessario fare la dimostrazione generale del passaggio da n ad n + 1, che, di solito, è la parte più impegnativa del procedimento per ricorrenza. Questo comporta una certa attenzione quando si procede ad una dimostrazione per ricorrenza: vi sono in matematica esempi di ragionamento ricorsivo apparentemente corretto, che portano, però a conclusioni palesemente false. Un primo esempio può essere dato dall’affermazione: ‘Il numero x2 + x + 41 è primo per ogni valore di n.’ Si verifica, infatti, che è primo per x = 0, 1, 2, 3, 4, 5, ..., 39, ma per x = 40 non è più primo. In questo caso l’errore è palese : manca completamente il passo induttivo, cioè il ragionamento che dalla verità della proposizione al livello n faccia passare alla verità della proposizione al livello n + 1. La verifica di una formula in un notevole numero di casi non si può indurre la sua validità generale. n Un esempio simile: i numeri della forma 2(2 ) + 1 (che sono detti numeri di Fermat) sono primi per 5 n = 0, 1, 2, 3, 4 , mentre si ha 2(2 ) + 1 = 232 + 1 = 641 · 6700417. Ma vi sono anche errori meno evidenti, che possono portare ad affermazioni del tipo: ‘Presi n punti del piano, essi sono tutti allineati’. Ecco la dimostrazione: la proposizione è vera per n = 2, infatti due punti sono sempre allineati. Supponiamo che sia vera per n − 1 punti: se consideriamo l’insieme di n punti P1 , P2 , ..Pn , i primi n − 1 fra essi, cioè i punti P1 , P2 , ..Pn−1 per ipotesi induttiva appartegono alla stessa retta P2 Pn−1 , ma anche gli ultimi n − 1, cioè i punti P2 , P3 , ..Pn appartengono alla stessa retta. Quindi tutti gli n punti appartengono ad una stessa retta e sono allineati. L’errore consiste nel fatto che non sussiste una implicazione valida fra il livello n della proposizione e il livello n + 1: due punti sono sempre allineati, ma non c’è alcun ragionamento corretto dal punto di vista matematico che permetta di asserire che se i punti A e B sono allineati (vero) e i punti B e C sono allineati (vero anche questo), allora anche i punti A, B e C siano allineati. Nota: A proposito di induzione, ecco una barzelletta: secondo la calunniosa diceria del Matematico, il Fisico afferma che ’Il numero 60 è divisibile per ogni intero naturale. Infatti: è divisibile per 2, è divisibile per 3, è divisibile per 4, è divisibile per 5, è divisibile per 6, . . . ’. (In realtà , una legge di natura che è riscontrata vera in 5 verifiche sperimentali, ha una indubbia validità ...). CAPITOLO 1. SUCCESSIONI Vocaboli e simboli Successione Progressioni aritmetiche e geometriche Valore iniziale, ragione Termine generale di una successione Ricorrenza Successioni monotone Modello matematico Numeri di Fibonacci Dimostrazione per induzione (o per ricorrenza) Σ, Π 20 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 21 Esercizi paragrafo 1.1 1. Scrivere i primi cinque termini di ciascuna delle seguenti successioni: an = bn = n+1 2n n2 − 1 n2 + 1 n , n −π 2 = 2n sin n 2 r n = n+1 n+1 = 10n cn = (−1)n dn en fn n≥3 2. Esprimere il termine generale delle seguenti successioni (in cui l’intenzione del proponente dovrebbe essere abbastanza evidente . . . ): (a) 0, (b) 1, (c) 0, 1 , 2 1 , 4 1 , 5 2 , 3 1 , 9 2 , 10 3 4 5 , , , ... 4 5 6 1 1 1 , , , ... 16 25 36 3 4 5 , , , ... 17 26 37 3. Idem per le successioni: 1 2 3 4 5 , , , , , ... 3 5 7 9 11 (b) 4, 1, 0, 1, 4, 9, 16, 25, . . . 1 9 25 36 49 (c) 0, , 1, , 1, , , , ... 2 8 32 64 128 2 4 6 8 10 (d) 0, , , , , , ... 3 5 7 9 11 (a) 0, 4. * Esprimere il termine generale delle seguenti successioni: può essere utile a questo scopo ricorrere alla successione (−1)n . (a) 0, 1, 0, 1, 0, 1, . . . (b) 0, −2, 4, −6, 8, −10, . . . (c) 3, 5, 3, 5, 3, 5, . . . (d) 1, 0, 3, 2, 5, 4, 7, 6, . . . (quest’ultima è ottenuta dalla successione degli interi naturali con lo scambio fra due interi successivi). 5. Scrivere i primi cinque termini delle successioni così definite: a0 = 1p an+1 = 1 + a2n a0 = 2 1 an+1 = 1+a n (a) (b) CAPITOLO 1. SUCCESSIONI (c) 22 a0 = 1 an+1 = a2n + an − 1 = 1 a0 a = 2 (d) 1 n−1 an+1 = aann +a −an−1 6. Esercizio svolto Esprimere mediante il termine generale la seguente successione, data in modo ricorsivo: a0 = 0p a2n + 2n + 1 an+1 = Svolgimento Proviamo a calcolare alcuni termini della successione: a1 = a2 = a3 = a4 = q a20 + 2 · 0 + 1 = √ q √ q √ q √ a21 + 2 · 1 + 1 = a22 + 2 · 2 + 1 = a23 + 2 · 3 + 1 = 0+0+1= 1+2+1= 4+4+1= 9+6+1= √ √ √ √ 1=1 4=2 9=3 16 = 4 Si può fare l’ipotesi che sia an = n. In effetti, se sostituiamo n al valore an , otteniamo an+1 = √ n2 + 2n + 1 = n + 1, e ciò è coerente con l’ipotesi che abbiamo fatto. Vedremo la cosa con maggior precisione quando lavoreremo sulla dimostrazione per induzione. 7. Data la successione di termine generale an = 2n n2 − 4n + 3 esprimere il termine an+2 8. Perchè una successione come la seguente: a0 = 2 an+1 = 3an + 2an−1 non è ben definita? 9. Le successioni an e bn sono definite nel modo seguente: a0 = 2 a1 = 1 an+1 = an − an−1 b0 = 1 bn+1 = bn (cos 45◦ + i sin 45◦ ) di ciascuna delle due calcolare i primi otto termini. Qual è la caratteristica che accomuna queste due successioni? CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 23 10. * (dalle Gare Kangourou) La successione an è definita nel modo seguente: a0 = 4 a1 = 6 an , an+1 = an−1 n>2 Quanto vale a2003 ? 11. ** (dal Progetto Olimpiadi della Matematica) La successione sn , con n ≥ 1, è così definita: s1 = 1 s2n = sn s2n+1 = s2n + 1 quanto vale s1000 ? Qual è il massimo valore della successione per n ≤ 2000? 12. Esercizio svolto Considerare le successioni: 1 2 n 100 bn = 1000n + 200 an = dimostrare che a partire da un certo indice n (quale?) i valori della prima superano quelli della seconda. Svolgimento Dobbiamo dimostrare che a partire da un certo valore di n si ha an > bn , cioè: 1 2 n > 1000n + 200 100 Questa disequazione di secondo grado ha discriminante e coefficiente del termine di secondo grado positivi, quindi è verificata per valori esterni all’intervallo delle radici dell’equazione ad essa associata. La maggiore fra le due radici vale 10000, 200. Quindi per ogni n ≥ 10001 la disequazione è verificata e an > bn . 13. Condurre uno studio analogo per le coppie di successioni: an = n2 − 10n + 25 bn = n cn = dn = 1 n 100 n2 14. Nella figura disegnata qua sotto AB1 = 1 e per ogni intero naturale n il punto Bn+1 si ottiene tracciando la perpendicolare ad ABn passante per Bn e muovendosi su tale retta di un segmento lungo 1 in verso antiorario. B5 B4 B3 B2 B6 B7 B8 A B1 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 24 (a) esprimere ABn+1 in funzione di ABn . (b) fra i vari segmenti ABn sono di più quelli che hanno come lunghezza un numero razionale o irrazionale? (c) quanto vale l’area del triangolo ABn Bn+1 ? 15. Considerare la successione cosi definita per ricorrenza: a0 =1 an+1 = 2an Scriverne i primi termini. (Si vedrà che la successione cresce in modo vertiginoso e che ben presto diventa impossibile scrivere esplicitamente i suoi termini). 16. Esercizio svolto Dimostrare che la successione an = 1−n2 n è decrescente. Svolgimento Se an è decrescente, deve risultare che ∀n ∈ N, an+1 < an . Impostiamo la disequazione: 1 − (n + 1)2 1 − n2 < n+1 n e vediamo per quali valori di n essa è verificata. Si possono moltiplicare ambedue i membri della disequazione per n(n + 1) (si tratta di una quantità positiva) e poi semplificare: n − n(n + 1)2 < (n + 1)(1 − n2 ) n − n(n + 1)2 < (n + 1)2 (1 − n) da cui: n < (n + 1)2 (1 − n + n) n < (n + 1)2 questa proposizione è verificata per ogni n ∈ N, questo ci assicura che la an è decrescente. 17. Dimostrare che la successione an = 2n−5 3n è crescente. 18. Dimostrare che la successione n − n2 è decrescente. 19. Fra le seguenti successioni individuare quelle che hanno qualche caratteristica di monotonia: an = 2 + 2n dn = sin nπ 2 bn = 8 − n 3 en = (−2)n cn = 1 − n2 fn = n·(n+1) 2 20. Studiare l’andamento della successione: an = n (n + 1)(n + 2) 21. Una successione an è tale che ∀n ∈ N, an+2 > an . Questa proprietà è equivalente al fatto che la successione sia crescente? E’ condizione necessaria? E’ condizione sufficiente? 22. **Dimostrare che fra due potenze consecutive del 5 sono comprese una o due potenze del 3. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 25 Progressioni aritmetiche e geometriche 23. Il primo termine di una progressione aritmetica è 23 e il quinto è 91. Qual è la ragione della progressione? Quali sono i termini intermedi? Quanto vale il decimo termine? 24. Date le seguenti progressioni aritmetiche, di cui h indica la ragione: (a) a0 = 1 h=2 (b) a0 = 5 h = −4 calcolare a10 e a100 25. Di una progressione aritmetica si sa che la ragione è 4 , a3 = 25 e an = 8033. Quanto vale n? 26. Una progressione aritmetica è tale che il decimo termine è 5 e il ventesimo è 40. Quanto vale il dodicesimo termine? Qual è la ragione della progressione? E il termine iniziale a0 ? 27. La somma di cinque termini consecutivi di una progressione artimetica è 65. La somma dei reciproci del secondo e del quarto termine è 13 80 . Trovare il termine iniziale e la ragione. 28. Esercizio svolto In un triangolo rettangolo le misure dei cateti e dell’ipotenusa formano una progressione aritmetica. Esprimere il perimetro e l’area del triangolo in funzione del cateto minore. Svolgimento a + 2h a a+h Chiamiamo a il cateto minore del triangolo rettangolo, sia h, con h > 0, la ragione della progressione aritmetica. Il cateto maggiore misura a + h e l’ipotenusa a + 2h. Poichè il triangolo è rettangolo, deve valere la relazione pitagorica: a2 + (a + h)2 = (a + 2h)2 Lavorando su questa equazione, con qualche passaggio si ottiene: 3h2 + 2ah − a2 = 0 Risolviamola, assumendo h come incognita (in questo modo otteniamo h in funzione di a). Il discriminante è 16a2 e le due soluzioni h1 = 13 a e h2 = −a. La seconda soluzione va esclusa, avendo inizialmente posto h > 0. La prima equazione permette di trovare le lunghezze del cateto maggiore e dell’ipotenusa: 34 a e 53 a rispettivamente. Il perimetro misura quindi 4a e l’area 23 a2 . 29. Dimostrare che se n numeri sono in progressione aritmetica, la somma fra il primo e l’ultimo termine è uguale alla somma fra il secondo e il penultimo, fra il terzo e il terzultimo e così via. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 26 30. * In un pentagono le misure degli angoli interni formano una progressione aritmetica. Se l’ampiezza del più piccolo è di 60◦ , quali sono le ampiezze degli altri angoli? Dimostrare che se le misure degli angoli interni di un pentagono sono in progressione aritmetica, la misura di uno degli angoli è certamente 108◦ . 31. Un quadrilatero è inscrivibile in una circonferenza. Le misure dei suoi angoli interni possono formare una progressione aritmetica? Possono formare una progressione geometrica? 32. Per la successione: 1, 1 √ , 2 1 , 2 1 √ , 2 2 1 , 4 1 √ , ... 4 2 formulare una legge di ricorrenza ed esprimere il termine generale. Questa successione rientra in un tipo studiato? 33. I dati scritti qua sotto si riferiscono a progressioni geometriche, la cui ragione viene indicata con la lettera h. Trovare le informazioni mancanti: a0 a5 a3 a6 =8 = 0, 48 = 89 5 = 64 h = 0, 5 a8 = 0, 03072 1024 an = 19683 a2 = 54 calcolare calcolare calcolare calcolare a5 h, a0 , a10 n, h h 34. Di una progressione geometrica si sa che a5 = 15 e a9 = 3; calcolare la ragione, il termine a0 e il termine a12 . 35. Una progressione (aritmetica o geometrica) ha necessariamente un andamento monotòno? 36. Esercizio svolto Si ha una successione di cerchi costruita nel modo seguente: si parte da un cerchio di raggio R e si inscrive in esso un quadrato. In una delle quattro lunule che si formano si inscrive un cerchio, nel quale si inscrive un quadrato. Si continua così, inscrivendo un cerchio nella lunula e un quadrato nel cerchio. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 27 (a) esprimere la successione dei raggi dei cerchi mediante il termine generale e in modo ricorsivo. (b) quante volte sarà necessario iterare il procedimento per avere un cerchio il cui raggio sia almeno un milione di volte più piccolo del raggio del cerchio iniziale? Svolgimento √ (a) Il lato del quadrato inscritto nel cerchio di√ raggio R è R 2; per differenza si trova il diametro del cerchio inscritto nella lunula: R − R 22 e quindi il raggio del secondo cerchio: √ ! √ ! 1 2 2− 2 R1 = R−R =R 2 2 4 Con ragionamento analogo si può trovare la relazione fra il raggio Rn+1 dell’n+1-simo cerchio inscritto e il raggio Rn dell’ n-simo cerchio: √ ! √ 2− 2 1 2 ) Rn − Rn = Rn ( Rn+1 = 2 2 4 Questa relazione rende evidente che i raggi dei vari cerchi formano una progressione geometrica, che si può esprimere in modo ricorsivo: ( R0 =R √ Rn+1 = Rn 2−4 2 √ n Il termine generale della successione è invece an = R 2−4 2 . (b) per avere un cerchio di raggio almeno un milione di volte più piccolo di R occorre risolvere la disequazione: √ !n 1 2− 2 < 6R R 4 10 Non abbiamo per ora gli strumenti per risolverla, ma si può procedere facendo qualche tentativo: se n = 4, si ha: R4 = R √ !4 2− 2 ' R · 4, 6 · 10−4 4 In questo caso il cerchio non è ancora abbastanza piccolo. Se però cerchiamo il valore di R8 , troviamo: R8 = R √ !8 2− 2 ' R · 2, 1 · 10−7 4 Questo valore è inferiore al limite che abbiamo posto, vediamo allora cosa succede per R7 : R7 = R √ !7 2− 2 ' R · 1, 4 · 10−6 4 Questo valore, invece, è superiore al limite posto. Quindi per avere un cerchio che abbia raggio almeno un milione di volte minore del raggio iniziale, occorre iterare il procedimento di costruzione del cerchio inscritto nella lunula 8 volte. 37. Se si congiungono fra loro i punti medi di un quadrato Q0 di lato l si ottiene un quadrato Q1 . Congiungendo i punti medi di Q1 si ottiene un altro quadrato, che chiameremo Q2 . Ripetiamo questa operazione alcune volte, fino ad ottenere il quadrato Qn . Esprimere il perimetro e l’area di Qn in funzione di l. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 28 Q2 Q1 Q3 Q0 38. Una piramide retta di vertice V ha per base un quadrato ABCD di lato l. Gli angoli diedri che le facce della piramide formano con la base sono di 60◦ . Unendo i punti medi degli spigoli laterali AV , BV , CV e DV si costruisce un quadrato che è la base di una nuova piramide retta di vertice V . Si può ripetere questa costruzione infinite volte e si genera una successione di piramidi. (a) esprimere la successione Vn dei volumi delle piramidi e la successione An delle superfici totali, sia mediante il termine generale, che in modo ricorsivo; √ (b) se la differenza fra i volumi V2 e V4 è 63 3, calcolare la lunghezza del lato di base della piramide 6 più grande. 39. I numeri 4a; 5a + 1; 6a + 2; 8a − 3 formano una progressione aritmetica. Qual è la ragione della progressione? Quanto valgono i termini? 40. Esercizio svolto Il prodotto di quattro termini consecutivi di una progressione aritmetica di ragione 8 a valori interi è −1071. Trovare almeno una quaterna di numeri interi che soddisfi le condizioni poste. Svolgimento I termini della successione si possono chiamare a, a + 8, a + 16, e a + 24, con a ∈ N. Il loro prodotto è −1071, che, scomposto in fattori, è 32 · 7 · 17. a · (a + 8) · (a + 16) · (a + 24) = −1071 Si può provare a porre a + 24 = 17, dal momento che è il più grande fra i fattori del prodotto. Ne viene a = −7 e, di conseguenza, a + 8 = 1, a + 16 = 9. Abbiamo quindi trovato i termini della progressione richiesti: −7, 1, 9, 17. L’altra soluzione possibile è quella simmetrica: −17, −9, −1, 7. 41. I primi quattro termini di una progressione aritmetica sono a; x; b; 2x. Quanto vale il rapporto tra a e b? 42. Sia (R,S) un angolo acuto di origine O e di ampiezza α. Sia P un punto del lato R e sia Q la sua proiezione ortogonale su S . Si proietti Q ortogonalmente su R ottenendo un punto P1 , poi di nuovo si proietti P1 su S, ottenendo il punto Q1 , e così si prosegua. Rappresentare la successione OPn . CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 29 r P P1 P2 O Q2 Q1 s Q 43. Un serbatoio di acqua ha un rubinetto ad apertura temporizzata che, quando viene azionato, sta aperto per un certo numero di secondi, facendo fuoriuscire il 10% dell’acqua che contiene. Inizialmente nel serbatoio ci sono 100 litri di acqua. Quanta acqua rimane dopo che il rubinetto è stato aperto 8 volte? 44. Il prezzo di un oggetto di antiquariato aumenta del 5% ogni anno. Se il prezzo oggi è di 3000 Euro, quale sarà il prezzo fra n anni? Supponiamo che il proprietario dell’oggetto fra quattro anni si trovi nella necessità di venderlo e, per invogliare i compratori, decida di abbassare il prezzo del 5% ogni anno, fino a quando non si trovi un compratore. Dopo quattro anni, ammettendo che nel frattempo non si sia trovato un compratore, il prezzo sarà tornato quello di oggi? 45. Da un punto P esterno ad un cerchio si mandi una tangente, che tocca il cerchio nel punto T , e una secante che taglia il cerchio nei punti A e B. Dimostrare che le lunghezze dei segmenti P A, P T e P B sono in progressione geometrica. 46. Di una progressione geometrica si sa che a3 · a5 = 19 e che a2 · a4 = 1. Quale può essere la ragione di questa progressione? Quali possono essere i primi 6 termini? 47. Data la successione: a0 = 5 an+1 = 31 an + 2 (a) stabilire se essa è una progressione aritmetica o geometrica; (b) dimostrare che la successione bn = an − 3 è una progressione geometrica (c) esprimere bn e an mediante il termine generale. √ 48. Studiare la progressione geometrica di valore iniziale 1 e di ragione 12 + i 23 . Rappresentare il termine generale utilizzando la funzione rotazione, che, lo ricordiamo è definita così: rot α = cos α + i sin α e rappresenta nel piano complesso la rotazione di coordinata angolare α. 49. Rappresentare nel piano complesso le potenze (positive e negative) del numero 1 + i. Esercizi paragrafo 1.2 50. Calcolare il termine generale delle successione così definita: a0 = b an+1 = a2n 51. Idem per la successione così definita: a0 = b an+1 = a1n (b > 0) CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 30 52. * Calcolare il termine generale della successione così definita: a0 = 0 an+1 = αan + β n 53. Studiare le successione an definita con il seguente procedimento di ricorrenza: a0 = a a1 = b an+1 = an + 1 (n ≥ 1) an−1 dove a e b sono numeri reali positivi. (Calcolare i primi termini della successione: ad un certo punto tutto dovrebbe diventare chiaro. . . ) 54. Trovare il termine generale della successione: 0, 3 2 5 4 7 6 , − , , − , , − ,.... 2 3 4 5 6 7 55. Si constata sperimentalmente che la quantità complessiva di legname in un bosco giovane cresce con legge geometrica. Supponendo che il tasso di accrescimento sia del 3,5% all’anno, calcolare il tasso di accrescimento per 20 anni. Disponendo di una calcolatrice in grado di fare solo moltiplicazioni ed elevamenti al quadrato, quale sarà il minimo numero di operazioni da fare per ottenere il risultato? 56. Esercizio svolto Sia an la successione definita nel seguente modo: a0 = 1 an+1 = an2+3 (a) verificare, dopo aver scritto alcuni termini della successione, che non si tratta né di una progressione aritmetica, né di una progressione geometrica; (b) definire una nuova successione bn = 3 − an ; verificare che bn è una progressione geometrica, di cui si chiede di trovare valore iniziale e ragione; (c) esprimere an mediante il suo termine generale. Svolgimento (a) scriviamo alcuni termini della successione: 23 a0 = 1, a1 = 2, a3 = 52 , a4 = 11 4 , a5 = 8 . . . Se la successione fosse una progressione aritmetica, dovrebbe essere a3 − a2 = a2 − a1 , ma ciò non accade, perché 52 − 2 6= 2 − 1. a3 a2 Se la successione fosse una progressione geometrica si avrebbe = , ma si osserva che a2 a1 5 2 neanche questo accade: 2 6= 2 1 (b) Cerchiamo una definizione di ricorsiva di bn : anzitutto sarà b0 = 3 − a0 = 2. an + 3 Inoltre bn+1 = 3 − an+1 = 3 − . 2 Se bn = 3 − an , si può scrivere an = 3 − bn e sostituire questa relazione in quella che esprime 3 − bn + 3 6 − 3 + bn − 3 bn bn+1 . Quindi: bn+1 = 3 − = = . 2 2 2 La definizione ricorsiva di bn è quindi: b0 = 2 bn+1 = b2n Si tratta di una progressione geometrica di termine iniziale 2 e di ragione 21 . CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 31 (c) Il termine generale di bn è bn = 2 · 1 n 2 = 21−n , da cui si ricava an = 3 − bn = 3 − 21−n . 57. ** Calcolare, utilizzando il metodo dell’esempio 6 del paragrafo 1.2, il termine generale della relazione definita in modo ricorsivo: 1 (an + an−1 ) an+1 = 2 con le condizioni iniziali a0 = 1, a1 = 3. Fare anche un programma di calcolo per ricorrenza e riportare i valori di an per 0 ≤ n ≤ 10. 58. Si consideri la divisione con resto di un intero n per un intero m (m > 0): n=m·q+r (0 ≤ r < m) Supponendo che sia fissato m, esprimere la legge ricorrente che definisce r come funzione di n . (In parole più usuali: come varia r quando si passa da n ad n + 1?). 59. * Dimostrare che la successione pseudocasuale definita nell’esempio 8 è periodica. (Non ci sarebbe proprio da aspettarsi che una successione di numeri a caso fosse periodica: ma in questo caso il periodo è molto lungo... Ripetiamo: si tratta di una successione soltanto pseudocasuale. Per la dimostrazione, riflettiamo: quanti possono essere i termini della successione fra loro diversi?). 60. Considerare la successione an cosi definita per ricorrenza: a0 = 1 a1 = 0 an+2 = −an Descrivere, in qualche modo, l’andamento della successione. 61. * Che cosa si trova se si studia la successione dell’esercizio precedente con lo stesso metodo usato nell’esempio 6 del paragrafo 1.2 per rappresentare i numeri di Fibonacci? 62. ** Studiare la successione: a0 = 1 a1 = 0 1 a2 = 2 an+1 = 12 an−1 + 21 an−2 con lo stesso metodo usato nell’esempio 6 del paragrafo 1.2. (Attenzione: si otterranno, questa volta, potenze di numeri complessi). 63. * Sia data la succesione an così definita: a0 = 1 a1 = 2 an+1 = an−1 an n≥2 Si calcolino i primi dieci termini della successione e si dia poi la definizione della successione mediante il suo termine generale. 64. * (gara AHSME 1987) Una successione tn è definita in modo ricorsivo ponendo t1 = 1 e per n > 1, tn = 1 + t n2 se n è pari e 1 tn = tn−1 se n è dispari. Se tn = 19 87 , qual è il valore di n? CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 32 65. * Si consideri la successione an così definita per ricorrenza: a0 = 1 √1 a1 = √2 an+2 = 2an+1 − an Si calcolino i primi dieci termini, meglio se utilizzando un programma di calcolo. Che cosa si osserva, una volta eseguito il calcolo? Calcolare il termine generale col metodo usato nell’esempio 6 del paragrafo 1.2 e fare il confronto con i risultati numerici. 66. Data la successione: a0 = 113 an+1 = 16an + 11 (mod 1000) calcolarne i primi dodici termini. Scrivere un programma di calcolo che visualizzi l’elenco dei valori della successione e si arresti non appena si arriva ad un valore già raggiunto in precedenza. 67. Scrivere un programma di calcolo che visualizzi i numeri di Fibonacci, arrestandosi non appena il valore della successione supera il miliardo. 68. Sia data la successione così definita: a0 = b, essendo b un qualsiasi intero positivo fissato an+1 = 3an + 1 se an è dispari 1 se an è pari 2 an Scrivere un programma che realizzi questa successione, dando a b qualche valore particolare. Si potrà osservare che da qualsiasi intero si parta, la successione, dopo un tratto più o meno lungo, finisce per assumere ciclicamente i valori 1, 4, 2. Questa proprietà, verificata per un grandissimo numero di interi, non ha, al momento, una dimostrazione e perciò va considerata una congettura (viene chiamata congettura di Collatz, dal nome di Lothar Collatz, che iniziò a studiare il problema intorno al 1930). Esercizi paragrafo 1.3 69. Calcolare le seguenti somme: (a) 2 + 4 + 6 + 8 +. . . + 100 (b) 100 + 200 + 300 + . . . . + 10 000 (c) 10 + 12 + 14 + 16 . . . + 110 (d) (e) 1 3 1 2 + − 1 9 1 4 + + 1 1 27 + . . . + 59049 1 1 1 8 − 16 + . . . − 1024 70. Una ragazza inizia una catena di S. Antonio mandando SMS a 7 amici. Ciascuno di loro dovrà mandare a sua volta un SMS ad altri 7 amici e così via. Supponendo che tutte le persone della catena abbiano spedito i messaggi: (a) quanti messaggi vengono inviati al quinto livello della catena? (b) quanti messaggi sono stati inviati complessivamente nei primi cinque livelli della catena? (c) se ogni messaggio costa 10 centesimi di euro, quanti euro sono stati spesi complessivamente per questa operazione? CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 33 71. Esercizio svolto Dimostrare per induzione la seguente uguaglianza: 1 1 n 1 + + ... + = 1×3 3×5 (2n − 1) × (2n + 1) 2n + 1 Svolgimento 1 1 = 2×1+1 . L’uguaglianza vale per n = 1, infatti 1×3 Supponiamo che sia verificata per il valore n e dimostriamo che vale per n + 1: 1 1 1 1 + + ··· + + 1×3 3×5 (2n − 1) × (2n + 1) (2n + 1) × (2n + 3) 1 n = + 2n + 1 (2n + 1) × (2n + 3) = Sviluppando il secondo termine di questa equazione si ottiene: n 1 (n + 1) × (2n + 1) n+1 + = = 2n + 1 2n + 1 × 2n + 3 (2n + 1) × (2n + 3) 2n + 3 La relazione è quindi dimostrata vera per ogni valore di n. 72. Dimostrare la relazione: 12 + 22 + 32 + . . . + n2 = n(n + 1)(2n + 1) 6 73. Data la successione an = n2 + 3n − 1, sia sn = a0 + a1 + . . . + an . Trovare l’espressione di sn in funzione di n, in particolare calcolare s10 . 74. La somma degli otto termini di una progressione aritmetica è 172, mentre la somma dei quadrati degli otto numeri è 4076. Trovare i termini della progressione. 75. Di una progressione aritmetica an si sa che a7 = 47 e a19 = − 21 4 . Calcolare a0 , la ragione h e la somma dei primi undici termini. Esiste un valore di n per cui la progressione si annulla? 76. Una progressione aritmetica an è tale che a1 + a3 = 10(a2 + a4 ) e a8 = 23 . Calcolare il termine iniziale a0 e la somma dei primi 15 termini. 77. (Gara AHSME 1985) Il volume di un parallelepipedo rettangolo è 8cm3 , l’area della sua superficie totale è di 32cm2 e le sue dimensioni sono in progressione geometrica. Quanto vale la somma di tutti gli spigoli del solido? Q 78. Una successione an è tale che a1 = 103 e an+1 = ann . Quanto vale 10 k=1 ak ? 79. Un dado a sei facce è truccato. Se chiamiamo p(i) la probabilità di uscita del numero i (dove i è un intero compreso fra 1 e 6), si ha che se i < j, p(i) < p(j). Si sa inoltre che le p(i) formano una progressione aritmetica. Calcolare il valor medio di questa variabile aleatoria, sapendo che p(5) = 3p(1). 80. Un ottagono regolare ABCDEF GH è inscritto in un cerchio di centro O e raggio 1. Si traccino i segmenti che congiungono O con i vertici dell’ottagono. Dal vertice A si mandi la perpendicolare a OB, che incontra tale segmento in A1 ; da A1 si tracci poi la perpendicolare ad OC che incontra OC in A2 , poi da A2 la perpendicolare ad OD che incontra OD in A3 e così via. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 34 C D B A2 A1 A3 E A A4 A5 F H G (a) che relazione c’è fra An An+1 e An An−1 ? (b) quanto è lunga la poligonale formata dai primi 20 di questi segmenti? (c) quanto vale la somma delle aree dei primi 20 triangoli di vertici O, An , An+1 costruiti con questo procedimento? (d) supponendo che l’ottagono sia tracciato in un opportuno riferimento cartesiano ortogonale, trovare le equazioni della similitudine che trasforma il triangolo OAn−1 An nel triangolo OAn An+1 81. * (dalle Olimpiadi della Matematica 2004) Una successione di quadrati è disposta come in figura: Se l è il lato del primo quadrato (il più piccolo) e L quello del secondo, esprimere in funzione di l e L il lato del quadrato n - esimo e trovare la somma delle aree dei primi 10 quadrati. b = C BA b = 72◦ . 82. Un triangolo isoscele ABC ha gli angoli alla base C AB C B1 A A1 B b che incontra il lato BC nel punto B1 . Dimostrare che i triangoli (a) si tracci la bisettrice di C AB, ABC e AB1 B sono fra loro simili; CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 35 c1 B, che incontra la base AB in A1 . Dimostrare che il triangolo A1 B1 B (b) si tracci la bisettrice di AB è simile ad ABC e ad AB1 B; qual è il rapporto di similitudine? c1 B fino ad incontrare il lato CB in B2 e (c) si prosegue la costruzione tracciando la bisettrice a B1 A così via. Chiamata S l’area del triangolo ABC, trovare l’area del triangolo An BBn in funzione di S. 83. Una progressione aritmetica an ed una progressione geometrica gn hanno ambedue valore iniziale 5 e ragioni rispettivamente h1 e h2 . Si sa che a3 = g2 e che a15 = g4 . Calcolare il rapporto fra la somma dei primi 12 termini di gn e la somma dei primi 12 termini di an . 84. Sia Sn la somma dei primi n termini della successione 1 , 1·2 1 , 2·3 1 , 3·4 1 ,... 4·5 Dopo aver fatto il calcolo di Sn per i primi valori di n , formulare una congettura riguardo alla forma del termine generale, e dimostrarla per ricorrenza. 85. Un ’bersaglio’ è formato dall’unione di un cerchio interno e infinite corone circolari concentriche , le cui aree sono in progressione aritmetica. Il cerchio interno ha raggio 1, mentre l’area della corona circolare più interna è 2π. Esprimere sia per ricorrenza che mediante il termine generale la lunghezza dei raggi delle circonferenze che individuano le varie corone circolari. Quale sarebbe la successione delle lunghezze dei raggi, se le aree del cerchio interno e delle corone circolari fossero in progressione geometrica? (anche in questo caso fornire un’espressione sia mediante il termine generale che per ricorrenza.) 86. Dimostrare la seguente affermazione: se una successione di numeri reali xn è crescente, anche la successione delle medie aritmetiche, cioè la successione che ha come termine generale: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 36 1 (x1 + x2 + . . . + xn ) n è crescente. 87. Esercizio svolto Dimostrare la validità della seguente formula: n! n = k k! (n − k)! (1.27) Svolgimento La relazione 1.27 è valida per n = 1, infatti: 1 0 =1 1! =1 1! 0! 1 =1 1 1! =1 0! 1! Supponiamo che sia valida al livello n, e cioè per ogni k ≤ n; vogliamo mostrare che: n+1 k = n + 1! k! (n + 1 − k)! Per la relazione 1.13 del paragrafo 1.2 possiamo scrivere: n+1 k = n k−1 + n k applicando quindi l’ipotesi induttiva: n+1 k = n! n! + = (k − 1)! (n − (k − 1))! k! (n − k)! n! k n! (n − k + 1) = + = k! (n − k + 1)! k! (n − k + 1)! n! (k + n − k + 1) = = k! (n − k + 1)! (n + 1)! = k! (n + 1 − k)! in tal modo l’uguaglianza 1.27 è dimostrata per ogni intero naturale n. 88. Dimostrare per induzione la seguente relazione: n n n n + + ... + + = 2n 0 1 n−1 n Si può trovare per questa formula una giustificazione che faccia leva sull’intuizione? 89. ** Calcolare, usando il metodo di ricorrenza rispetto ad n, lo sviluppo di (x + y)n (Il calcolo non è difficile, ma esige un po’ di tecnica; occorre anche ricordare la definizione per ricorrenza dei numeri di Pascal). CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 37 90. Si osserva che: 1 + 2 + 1 = 4 = 22 1 + 2 + 3 + 2 + 1 = 9 = 32 1 + 2 + 3 + 4 + 3 + 2 + 1 = 16 = 42 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 4 + 3 + 2 + 1 = 25 = 52 Fare una congettura sulla somma: Sn = 1 + 2 + 3 + . . . + (n − 1) + n + (n − 1) + . . . + 3 + 2 + 1 e dimostrarla. 91. La tavola pitagorica si presta ad alcune letture interessanti come questa: 13 23 33 43 53 63 → → → → → → 1 2 3 4 5 6 2 4 6 8 10 12 3 6 9 12 15 18 4 8 12 16 20 24 5 10 15 20 25 30 6 12 18 24 30 36 Si osserva che sommando i numeri in ogni ’corridoio’ si ottiene il cubo di un intero naturale. Dimostrare che questa proprietà vale per ogni intero naturale (conviene raccogliere il numero n a fattor comune in ogni ’corridoio’ e poi ricorrere alla proprietà dimostrata nell’esercizio precedente). 92. Esercizio svolto Formulare una congettura riguardo alla somma dei cubi dei primi n interi positivi, e dimostrarla per ricorrenza. Svolgimento Per formulare una congettura occorre fare qualche prova iniziale: n=1 n=2 n=3 n=4 S1 S2 S3 S4 = 13 = 1 = 12 = 13 + 23 = 1 + 8 = 9 = 32 = 13 + 23 + 33 = 1 + 8 + 27 = 36 = 62 = 13 + 23 + 33 + 43 = 1 + 8 + 27 + 64 = 100 = 102 Abbiamo ottenuto sempre quadrati di interi naturali. Esaminando la sequenza delle basi di questi quadrati: 1, 3, 6, 10. . . , riconosciamo le somme dei primi interi naturali (1 = 0 + 1; 3 = 0 + 1 + 2; 6 = 0 + 1 + 2 + 3 . . .). Sappiamo già che la somma dei primi interi natutrali è espressa dalla n · (n + 1) . formula 2 Quindi la congettura è: 3 3 3 3 Sn = 1 + 2 + 3 + . . . + n = n · (n + 1) 2 Proviamo a dimostrarla per induzione: • la congettura è verificata per n = 1 infatti 13 = 1·2 2 =1 2 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 38 • supponiamo che sia verificata per n e dimostriamo che vale per n + 1: 3 3 3 3 3 Sn+1 = 1 + 2 + 3 + . . . + n + (n + 1) n2 · (n + 1)2 + 4 · (n + 1)3 4 (n + 1)2 · (n + 2)2 4 n · (n + 1) 2 = + (n + 1)3 = 2 (n + 1)2 · (n2 + 4n + 4) = = 4 2 (n + 1) · (n + 2) = 2 La congettura risulta quindi dimostrata. 93. Trovare 8 numeri dispari consecutivi la cui somma sia 29 94. Dimostrare per ricorrenza che due numeri di Fibonacci consecutivi sono primi fra loro 95. Una squadra di operai deve costruire un terrapieno. Se la squadra lavorasse al completo, il lavoro sarebbe fatto in 3 ore e 20 minuti. Di fatto un solo operaio inizia il lavoro, dopo un po’ di tempo un secondo operaio lo raggiunge, dopo un tempo uguale un terzo operaio, poi un quarto, un quinto e così via fino all’ultimo. Il tempo di lavoro dell’ultimo operaio è esattamente un nono del tempo di lavoro del primo. Quanto ha lavorato l’ultimo operaio? È possibile sapere quanti sono gli operai della squadra? 96. (Gara Nazionale di Matematica 2000) Manolo e Michele vengono assunti lo stesso giorno in banca. Lo stipendio di Manolo è di 100 euro il primo mese e aumenta di 100 euro ogni mese. Quello di Michele è di 1 euro il primo mese e raddoppia ogni mese. Nel primo mese in cui il guadagno totale (dal primo giorno di lavoro fino a quel momento) di Michele avrà superato il guadagno totale di Manolo, quale sarà la differenza fra detti guadagni? 97. Ho una scacchiera n × n, che riempio nel seguente modo: nella casella in alto a sinistra scrivo 1 e in ogni altra casella scrivo l’intero successivo del numero scritto immediatamente a sinistra o immediatamente sopra. Qual è la somma di tutti i numeri che ho scritto quando ho riempito tutta la scacchiera? 98. * Dimostrare per ricorrenza la seguente disuguaglianza (in cui è n ≥ 1): √ 1 1 1 1 + √ + √ + ... + √ ≥ n n 2 3 (Di questa disuguaglianza si può anche dare una facile dimostrazione diretta: basta contare i termini del primo membro e vedere quale è il più piccolo). 99. Dimostrare per ricorrenza la seguente formula, dove n è un intero positivo ed è x 6= 1: 1 + 2x + 3x2 + . . . + nxn−1 = 1 − (n + 1)xn + nxn+1 (1 − x)2 100. Una macchina agricola ha falciato l’erba e l’ha raccolta in 100 mucchi allineati e disposti a 10 metri l’uno dall’altro. Un motocarro che parte dal primo mucchio deve raccogliere i mucchi trasportandoli ad uno ad uno accanto al primo. Quanti chilometri dovrà percorrere? 101. Esercizio svolto Dimostrare che per ogni intero maggiore o uguale a 3, si ha: n! > 2n−1 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 39 Svolgimento Questa proposizione è vera per n = 3, infatti 3! = 6 > 22 = 4. Supponiamo che la proposizione sia vera per n; per ipotesi induttiva deve essere: (n + 1)! = (n + 1) · n! > (n + 1) · 2n−1 Ma, essendo n ≥ 3, certamente è n + 1 > 2, quindi: (n + 1)! > 2 · 2n−1 = 2n E questa non è altro che l’ipotesi induttiva ’trasportata’ dal livello n-esimo al livello (n + 1)-esimo, e quindi l’affermazione scritta nell’enunciato dell’esercizio risulta dimostrata. 102. Dimostrare per induzione che, a partire da un certo indice (quale?) si ha: 3n > n3 103. Dimostrare per induzione che a partire da un certo indice (quale?) si ha: n! > 3n 104. (Gara Nazionale di Matematica 1986) Trovare il termine generale della successione an definita per ricorrenza nel modo seguente, a partire dal numero reale α > 0: a0 = α an an+1 = 1+a n 105. Dimostrare per induzione che: 1 · 1! + 2 · 2! + 3 · 3! + . . . + n · n! = (n + 1)! − 1 Pn 106. * Posto Sn = k=0 uk , dove uk è la successione di Fibonacci, esprimere Sn mediante la stessa successione di Fibonacci. (Osservando i primi termini di Sn , con un po’ di intuito poliziesco, si farà una congettura, che sarà poi dimostrata per induzione). 107. Dimostrare per induzione che: n X u2k = un · un+1 k=0 dove con un si indica l’n-esimo termine della successione di Fibonacci. 108. Verificare in alcuni casi e dimostrare per induzione che la somma dei primi n numeri di Fibonacci ad indice dispari è uguale al numero della successione di Fibonacci immediatamente successivo al più grande fra quelli sommati. 109. ** Dimostrare che il quadrato di ogni numero di Fibonacci differisce di uno dal prodotto dei due numeri di fianco ad esso nella successione. La differenza è, alternativamente, +1 o −1, via via che la serie continua. 110. * Sia un la successione di Fibonacci sia an la successione così definita: an = un+1 un CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 40 (a) dimostrare che an non è una successione monotona; u2n+1 per n ≥ 1 è monotona. (b) dimostrare che la successione bn = u2n−1 111. Sia ABCD un rettangolo, siano F1 ed E1 i punti medi di AB e CD rispettivamente. Si traccino la diagonale AC e il segmento DF1 che si incontrano in P1 . La perpendicolare ad AB per P1 taglia AB nel punto F2 e DC nel punto E2 . E2 D P2 A E1 C F1 B P1 F2 (a) dimostrare che AF2 = 13 AB; (b) si congiungono A con E1 e D con F2 , il punto di intersezione è P2 ; la perpendicolare ad AB per P2 incontra AB in F3 e CD in E3 . dimostrare che AF3 = 15 AB; (c) il procedimento può essere iterato, tracciando i segmenti AEn−1 e DFn , e chiamando Pn il loro punto di intersezione. La perpendicolare da Pn al segmento AB individua i punti Fn+1 ed En+1 rispettivamente sui segmenti AB e CD. 1 Dimostrare che AFn = f ib(n+2) AB, dove f ib(n) denota l’n-esimo numero della successione di Fibonacci. 112. ** Trovare il termine generale della successione definita nel modo seguente: a0 = 1 1 an+1 = 3−a n Dimostrare che an è una successione limitata e monotona. (provare a calcolare alcuni termini: si osserverà qualcosa che rimanda alla successione di Fibonacci) 113. Quante diverse pile di monete da 1 o 2 centesimi si possono costruire (tenendo conto anche dell’ordine) in modo che il valore di ciascuna pila sia di 7 centesimi? (Dare la risposta sia mediante un ragionamento combinatorio, che ricorrendo al principio di induzione). 114. Dato il pentagono regolare ABCDE di lato unitario: CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 41 D L E I F C H G A B (a) dimostrare che ogni lato è parallelo ad una diagonale; (b) calcolare la lunghezza di ogni diagonale; (c) calcolare la lunghezza del lato del pentagono FGHIL, ottenuto intersecando le diagonali. Qual è il rapporto di similitudine fra questo pentagono e quello più grande? (d) tracciando le diagonali del pentagono più piccolo si ottiene un altro pentagono, le cui diagonali individuano un altro pentagono. . . e così via. Quanto vale la somma dei perimetri dei primi dieci pentagoni? (e) esprimere l’equazione di un’affinità che trasforma il pentagono F GHIL nel pentagono ABCDE (può essere utile usare i numeri complessi). 115. Esercizio svolto. A e B giocano ai dadi. Il lancio di un dado è una partita. Se esce un numero pari A vince la partita, altrimenti vince B. Un gioco è fatto da n partite. Supponiamo che ad un certo punto A abbia vinto n − 1 partite e B nessuna. Qual è la probabilità che A vinca il gioco? Svolgimento É evidente che la probabilità che A vinca il gioco dipende dal numero n delle partite disputate, quindi la possiamo chiamare pn . Si lancia il dado: se il numero uscito è pari (con probabilità 21 ), allora A vince il gioco; se il numero uscito è dispari, B ha totalizzato un punto e A ne ha ancora n − 1, ed è come se si fosse in un gioco in cui si devono vincere n − 1 partite e A ne ha totalizzate n − 2, mentre B ne ha totalizzate 0. Quindi lo schema di ragionamento è lo stesso iniziale, solo riferito ad un numero minore di partite: anziché considerare pn si può considerare pn−1 . Si comprende che si possa in questo modo trovare una definizione ricorsiva per pn : la probabilità di vincere n partite avendone già vinte n − 1 e l’avversario 0 è uguale alla probabilità di vincere la successiva (pari a 21 ) sommata alla probabilità di perdere la successiva, ma di vincere n − 2 partite in un gioco di n − 1: 1 1 + · pn−1 2 2 Ovviamente se n vale 1, cioè se il gioco è formato da una sola partita, la probabilità di vincere questa unica partita non avendone ancora vinta nessuna è 21 : pn = 1 2 Si può trovare il termine generale per pn , facendo alcune prove: p1 = p2 = 1 1 1 3 + · = 2 2 2 4 p3 = 1 1 3 7 + · = 2 2 4 8 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 42 2n − 1 . 2n Proviamo per induzione che è proprio così, ammettendo che l’espressione fornita pero pn sia vera: L’ipotesi che si può fare è che sia pn = 1 1 2n − 1 pn+1 = + · = 2 2 2n n 1 2 + 2n − 1 = · 2 2n 1 2n − 1 · 1+ 2 2n 2n+1 − 1 2n+1 In questo modo l’affermazione risulta dimostrata. 116. * Siano dati nel piano due cerchi secanti di centri C1 e C2 e di raggio r. Essi suddividono il piano in quattro regioni. Si disegnino altri cerchi di raggio r aventi il centro sul segmento C1 C2 . Se i cerchi disegnati sono complessivamente n, quante sono le regioni in cui essi suddividono il piano? 117. (Gara Nazionale di Matematica 1985) Si costruisce la successione di interi a1 , a2 . . . , an , . . . in modo che per n ≥ 3 sia an = an−1 − an−2 . Detta Sn la somma dei primi n termini della successione, calcolare S2001 , sapendo che S1492 = 1985 e S1985 = 1492. 118. Dimostrare che per ogni numero a e per ogni coppia di interi m, n si ha: am+n = am · an (intuitivamente, questa formula è evidente, tanto che l’abbiamo già data per vera; darne una dimostrazione per induzione rispetto ad n tenendo fisso m). 119. Nella stessa situazione dell’esercizio precedente dimostrare che (am )n = am·n 120. Dimostrare per induzione che un numero di tipo n(n2 + 5), con n intero naturale, è sempre multiplo di 6. 121. Dimostrare per induzione che tutte le potenze di 10 sono congrue a 1 mod 9. 122. Riconoscere che la successione: 1, rot α, rot 2α, . . . ., rot nα . . . è una progressione geometrica a valori complessi. (Ricordare le proprietà della funzione di rotazione). Trovare la somma dei primi n termini. 123. ** Data l’equazione: x1 + x2 + x3 + . . . + xn = m con n e m interi positivi e n ≤ m, dimostrare con un procedimento induttivo che essa ha m−1 n−1 soluzioni intere e strettamente positive. 124. * Data la successione di Hofstaedter: a0 = 0 an = n − aan−1 (a) scriverne i primi dieci termini; (b) dimostrare che la successione è non decrescente (si può fare dimostrando che il termine an+1 è uguale al termine an o superiore ad esso di un’unità). CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 43 Soluzioni degli esercizi del capitolo 1 Paragrafo 1.1 1. a1 = 1; a2 = 34 ; a3 = 23 ; a4 = 58 ; a5 = b0 = −1; b1 = 0; b2 = c3 = −3; c4 = 2; c5 = 3 5 4 15 3 5 ; b3 = 5 ; b4 = 17 −5 3 −7 3 ; c6 = 2 ; c7 = 5 d0 = 0; d1 = 2; d2 = 0; d3 = −8; d4 = 0 q q q q e0 = 0; e1 = 12 ; e2 = 23 ; e3 = 34 ; e4 = 45 f0 = 1; f1 = 15 ; f2 = 2. an = bn = cn = 3. an = 3 100 ; f3 = 4 1000 ; f4 = 5 · 10−4 n n+1 1 (n+1)2 n (n+1)2 +1 n 2n+1 bn = (n − 2)2 cn = dn = 4. n2 2n 2n 2n+1 1−(−1)n oppure 2 n (−1) · 2n (a) an = (b) bn = an = 1+(−1)n+1 2 (c) cn = 4 + (−1)n+1 oppure cn = 4 − (−1)n 5. (d) dn = n + (−1)n √ √ √ √ (a) 1; 2; 3; 4; 5 7 (b) 2; 13 ; 34 ; 74 ; 11 (c) 1; 1; 1; 1; 1; 1 (d) 1; 2; 3; 5; 4, −9 7. an+2 = 4 · 2n n2 −1 8. Che valore si dovrebbe dare ad a1 ? 9. a0 = 2; a1 = 1; a2 = −1; a3 = −2; a4 = −1; a5 = 1; a6 = 2; a7 = 1; a8 = −1; a9 = −2 . . . b0 = 1; b1 = (cos 45◦ +i sin 45◦ ); b2 = (cos 90◦ +i sin 90◦ ); b3 = (cos 135◦ +i sin 135◦ ); b4 = −1; b5 = (cos 225◦ + i sin 225◦ ); b6 = (cos 270◦ + i sin 270◦ ); b7 = (cos 315◦ + i sin 315◦ ); a8 = 1 . . . Ambedue le successioni sono periodiche. 10. * a2003 = 2 3 11. ** s1000 = 6 Il massimo valore della successione per n ≤ 2000 è 10. 13. an > bn per n ≥ 8 cn > dn per n ≥ 100. q 2 14. (a) ABn+1 = ABn + 1 (b) ambedue gi insiemi hanno un numero infinito di elementi; ciascuno dei due insiemi può essere messo in corrispondenza biunivoca con N, ciò si esprime dicendo che ha la cardinalità del numerabile. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 44 √ (c) Area = n 2 15. a0 = 1; a1 = 2; a2 = 4; a3 = 16; a4 = 65536; a5 = 265356 =? 17. Basta porre 2n−5 3n < 2(n+1)−5 3(n+1) e dedurre che tale relazione è verificata per ogni intero n. 18. Si procede in modo analogo a quanto fatto nell’esercizio precedente. 19. an , cn , fn sono crescenti, bn è decrescente, dn , en non sono monotone. 20. La successione è definitivamente decrescente (decresce per ogni n > 1). 21. La proprietà enunciata dal testo dell’esercizio non è equivalente alla definizione di successione crescente (basta considerare la successione an = n + cos(nπ). La condizione è necessaria, ma non sufficiente. 22. ** Se per assurdo fra due potenze di 5 non vi fosse alcuna potenza di 3, si avrebbe 3m < 5k < 5k+1 < m+1 k+1 3m+1 , quindi sarebbe 3 3m > 5 5k , da cui si ricaverebbe che 3 > 5. Se, invece, vi fossero più di due potenze di 3 fra due potenze consecutive di 5, ad esempio se ve ne fossero k+1 m+2 tre, si avrebbe 5k < 3m < 3m+1 < 3m+2 < 5k+1 , quindi 3 3m < 5 5k , e si arriverebbe all’assurdo che 9 > 5. 23. La ragione è h = 17, i termini intermedi :40, 57, 74. Il decimo termine è a9 = 176. 24. (a) a10 = 21, a100 = 201 (b) a10 = −35, a100 = −395 25. n = 2005 26. h = 3, 5, a0 = −26, 5 Il dodicesimo termine è a11 = 12 27. Può essere a0 = 7 e h = 3 oppure a0 = 19 e h = −3. In ogni caso i termini della progressione sono gli stessi. 29. Basta scrivere i numeri della progressione su due righe, una volta in ordine crescente e l’altra in ordine decrescente: a0 a0 + h a0 + 2h . . . a0 + (n − 3)h a0 + (n − 2)h a0 + (n − 1)h a0 + (n − 1)h a0 + (n − 2)h a0 + (n − 3)h . . . a0 + 2h a0 + h a0 Sommando ogni coppia di termini scritti uno sotto l’altro si ottiene: 2a0 + (n − 1)h. 30. * 60◦ ; 84◦ ; 108◦ ; 132◦ ; 156◦ 31. Si possono trovare quadrilateri inscrivibili con i lati in progressione aritmetica, mentre non ve ne sono con i lati in progressione geometrica, se non nel caso banale in cui tutti gli angoli siano uguali (rettangolo). 32. Legge di ricorrenza: ( Termine generale: an = √1 2 n a0 = 1 an+1 = √12 an . Si tratta di una progressione geometrica di termine iniziale 1 e di ragione 33. • a5 = 1 4 √1 2 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 45 • h = 0, 4, a0 = 46, 875, a10 = 0, 0049152 • il problema ha infinite soluzioni, di cui una è: n = 10, h = • h= 2 3 1 2 q q q oppure h = − 4 15 (ma anche h = i 4 15 o h = −i 4 15 nel caso che √ √ la progressione abbia valori complessi). Nel primo caso a0 = 75 4 5 e a12 = 53 4 5, nel secondo caso √ √ a0 = −75 4 5 e a12 = − 35 4 5. I valori per il caso complesso si trovano in modo analogo. 34. La ragione può essere h = q 4 1 5 35. Nel caso delle progressioni aritmetiche la successione è crescente o decrescente in dipendenza dal segno della ragione, nel caso delle progressioni geometriche la monotonia è determinata dal segno del termine iniziale e dal fatto che la ragione sia maggiore di 1 o compresa fra 0 e 1; se la ragione è negativa, la progressione geometrica ha segno alterno, quindi non ha proprietà di monotonia. 37. Se indichiamo con 2pn il perimetro e con An l’area del quadrato Qn si ha: √ !n 2 2pn = 4l 2 n 1 An = l 2 2 38. (a) √ ( V0 = l3 63 Vn+1 = V8n √ Vn = l 3 3 1 · 6 8n A0 = 3l2 An+1 = A4n An = 3l2 4n (b) l = 16 39. La ragione della progressione è 7, i termini sono: 24, 31, 38, 45. 41. a b = 1 3 42. OPn = OP (cos α)2n 43. 43 litri. 44. Il prezzo finale sarà di circa 2970 euro. T A e P[ BT hanno la stessa ampiezza , insistendo sulla stessa corda, quindi i triangoli P AT 45. Gli angoli P[ e P BT sono simili. . . 46. Può essere h = 13 oppure h = − 13 , mentre i termini generali possono essere a0 = 27 oppure a0 = −27. Combinando in tutti i modi possibili queste eventualità si ottengono quattro possibili successioni. 47. (a) non è né una progressione aritmetica, né una progressione geometrica; (b) se bn = an −3, si ha an = bn +3; sostituendo nell’espressione ricorsiva della successione si ottiene bn+1 = 13 bn , quindi una progressione geometrica; n n (c) bn = 2 13 , an = 2 13 + 3 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 46 √ 48. Il numero complesso 12 + i 23 è unitario, la sua forma trigonometrica è cos π3 + i sin π3 = rot π3 . La progressione geometrica risulta quindi periodica di periodo 6. 49. Il numero complesso 1 + i non è unitario, ma ha modulo maggiore di 1, quindi le sue potenze hanno modulo sempre crescente e presentano un andamento a spirale Paragrafo 1.2 50. an = b2 n 51. an = b(−1) n 52. * Se α 6= β, an = αn −β n α−β ; an = nαn−1 se α = β, 53. Si trova a5 = a e a6 = b, quindi la successione è periodica di periodo 5. 54. an = (−1)n + 1 n 55. Il tasso di accrescimento fra 20 anni sarà 0, 9897; il numero minimo di operazioni è 6. n 57. ** an = 73 − 34 · − 12 . 58. r0 = 0 se rn < m − 1, rn+1 = rn + 1, se invece rn = m − 1 allora rn+1 = 0. 59. Se una successione prende i suoi valori in un insieme finito I e se r è il numero degli elementi di I, sicuramente per n > r vi sono almeno due valori coincidenti. 60. an = cos(n π2 ). 61. * an = 12 in + 21 (−i)n = 21 rot(n π2 ) + (−n π2 ) . −1+i n 3−i −1−i n 62. ** pn = 25 + 3+i + . 10 2 10 2 63. an = n 1 (−1) F ib(n) , 2 dove F ib(n) è l’ennesimo termine della successione di Fibonacci. 64. * n = 1905 65. * Si osserva che la successione è periodica di periodo 8. 66. I termini sono nell’ordine: 113, 819, 115, 851, 627, 43, 699, 195, 131, 107, 723, 579. Un programma che fa il calcolo dei valori della successione può essere codificato in Pascal: program successione; var a, n, i, f: integer; v: array[1..1000] of integer; begin a:= 113; n:= 0; f:= 1; v[0]:= a; while f = 1 do begin a:= (16*a+ 11) mod 1000; CAPITOLO 1. SUCCESSIONI n:= n+1; v[n]:= a; writeln (v[n]); for i:= 0 to n do if v[i]<> a then f:= f*1 else f:= f*0; end end. 67. Anche per questo algoritmo si sceglie una codifica in Pascal: program Fibonacci; var a,b,c: longint; begin a:= 0; writeln(a); b:= 1; writeln(b); c:= a + b; writeln(c); while c < 1000000000 do a:= b; b:= c; c:= a+b; writeln(c); end; end. 68. program Collatz; var a,n:integer; begin writeln(‘scrivere il numero intero positivo da cui si vuole iniziare il calcolo:’); readln(a); n:= 0; while a<> 1 do begin if a mod 2 = 0 then a:= a div 2 else a:= 3*a + 1; writeln(a); n:= n+1; end; writeln(‘il numero 1 è stato raggiunto in’, n, ’passi.’); end. 47 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 48 Paragrafo 1.3 69. (a) 2550 (b) 505000 (c) 3060 (d) (e) 70. 29524 59049 341 1024 (a) 16807 (b) 19607 (c) 1960, 7 euro 72. Verificare la validità per n = 1 e poi fare il passaggio induttivo. 73. L’esercizio si risolve considerando che siamo in grado di sommare sia i quadrati degli interi naturali (esercizio precedente), sia gli interi naturali. sn = (n + 1)(n2 + 5n − 3) 3 s10 = 539 74. 11, 14, 17, 20, 23, 26, 29, 32 75. a0 = 35 6 ,h 7 = − 12 , S10 = 14 76. a0 = − 33 ,h = 3 22 , S14 = 385 12 175 22 77. La somma di tutti gli spigoli del cubo è 32 cm. 78. Il prodotto di tutti gli elementi è 945. 79. Il valor medio della variabile aleatoria è 80. (a) An+1 An = (b) l = 112 27 . √1 An An−1 2 √ 1023( 2+1 ) 1024 (c) Somma aree = ' 2, 418 220 −1 221 ' 0, 5 (d) In notazione complessa z 0 = (1 + i)z da cui si ricava: 0 x = 12 x − 12 y y 0 = 21 x + 12 y 81. Se chiamiamo Ln il lato del quadrato n-esimo, si ha Ln = La somma delle aree dei primi 10 quadrati è 82. L n l. l L20 −l20 l20 (L2 −l2 ) (a) Il terzo angolo di ABC misura 36◦ e la metà di 72 è 36. L’uguaglianza degli angoli dimostra la similitudine. √ 2 √ 5−1 (b) Il rapporto lineare di similitudine fra ABC e AB1 B è 5−1 , quello fra ABC e A B B è . 1 1 2 2 √ 4n 5−1 (c) Sn = S 2 83. Il rapporto è 52, 5. 84. Sn = n n+1 CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 49 85. Se le aree sono in progressione aritmetica, rn = q e la definizione ricorsiva è: r0 = p 1 rn+1 = rn2 + n + 2 Se le aree sono in progressione geometrica, rn = (n+1)(n+2) 2 √ 2n+1 − 1, mentre la definizione ricorsiva è: r0 = p 1 rn+1 = rn2 × 2 + 1 1 86. Occorre dimostrare che n+1 (x1 + x2 + . . . xn + xn+1 ) > facilmente, ricordando che xn è crescente. 1 n (x1 + x2 + . . . xn ), e questo lo si può fare 88. Scrivere la relazione che si vuole dimostrare al livello n + 1 ed esprimerla in funzione del livello n mediante larelazione 1.13 di questo paragrafo. Si osserva che i vari termini compaiono due volte (tenendo n n+1 n n+1 conto che = = 1 e che = = 1), e conduce alla conclusione. 0 0 n n+1 89. ** Anche in questo caso si può fare ricorso alla relazione 1.13. 90. La congettura è che sia Sn = n2 . 91. Si fa ricorso al risultato dell’esercizio precedente. 93. 57, 59, 61, 63, 65, 67, 69, 71 94. La proprietà si verifica direttamente per i primi numeri di Fibonacci. Siano un−1 e un due numeri di Fibonacci consecutivi, si ha un+1 = un + un−1 . Se un+1 e un avessero un divisore comune, esso dovrebbe essere comune anche a un e un−1 , ma per ipotesi induttiva questi ultimi numeri sono primi fra loro. 95. L’ultimo operaio ha lavorato 40 minuti e il primo 360 minuti, cioè 6 ore. Non è possibile dai dati del testo risalire al numero di operai della squadra. 96. La differenza fra i guadagni sarà di 391 euro. 97. La somma di tutti i numeri sulla scacchiera è n3 . 98. * Per n = 1 la relazione è verificata. Occorre verificare che se la relazione vale per n, essa vale per n + 1. 99. Procedimento uguale a quello dell’esercizio precedente. 100. 99 chilometri. 102. Per n = 0 la disequazione è verificata, così come per n = 1 e n = 2, tuttavia non è verificata per n =3; prendendo n > 3, però , si può dimostrare che vale l’implicazione: 3n > n3 ⇒ 3n+1 > (n + 1)3 e poiché 34 > 43 , la disequazione è verificata per n > 3. 103. Si procede in modo analogo all’esercizio precedente; la disequazione è verificata per n ≥ 7. 104. an = α 1 + nα 105. Occorre ricordare che (n + 1)! = (n + 1) · n!. 106. * Sn = un+2 − 1. 107. Si procede con la normale induzione: occorre tener presente che la somma dei quadrati dei primi n + 1 numeri di Fibonacci si può vedere come la somma dei quadrati dei primi n numeri con il quadrato del numero un+1 . CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 50 108. Si usano l’induzione e la proprietà che definisce i numeri di Fibonacci. 109. ** La dimostrazione si fa per induzione. Si tratta di applicare più volte, la proprietà caratteristica della successione di Fibonacci. 110. * (a) basta fare alcune verifiche: 34 u9 = = 1, 619 . . . , u8 21 u8 21 = = 1, 615 . . . , u7 13 u7 13 = = u6 8 u6 8 = = 1, 6 u5 5 u3 u5 5 (b) si verifica che = (infatti 2 < ). Successivamente si procede per induzione, assumendo per u1 u3 2 u2n+1 u2n+5 u2n+3 u2n+3 ipotesi che > e dimostrando che > . u2n+1 u2n−1 u2n+3 u2n+1 1, 625, 111. Si applica ogni volta la similitudine fra i triangoli APn Fn e DPn En−1 u2n−1 ,dove un rappresenta la successione u2n+1 dei numeri di Fibonacci. La congettura si può dimostrare per induzione. La limitatezza della an si ricava dalla monotonia di un , mentre la monotonia di an è dimostrata nell’esercizio 110 112. Facendo qualche prova iniziale, si arriva alla congettura an = 113. 21 114. (a) Considerare le rette AD e BC tagliate dalla trasversale AC. Mostrare che formano angoli alterni interni uguali. (b) La diagonale EB interseca in F la diagonale AD. Si dimostra che i triangoli EF D e ADC sono 1 = DC ; chiamando x la lunghezza della diagonale, si ha x−1 simili, quindi : FEF 1 = x ... D AD (c) Il rapporto di similitudine è (d) 5 · √ ”10 3− 5 2 √ 1− 3−2 5 1− √ 3− 5 2 . “ ' 8, 1 (e) Una possibilie affinità ha equazione: √ 3+ 5 z =− ·z 2 0 116. n2 − n + 2. 117. S2001 = 986 118. Si tratta di usare la definizione di potenza di base a: a0 = 1 = an · a an+1 e le proprietà delle operazioni. Si procede per induzione, supponendo che an+m = an · am : am+0 = am = am · 1 = am · a0 am+(n+1) = a(m+n)+1 = am+n · a = am · an · a = am · an+1 119. Si procede in modo analogo all’esercizio precedente. 120. L’affermazione risulta vera per n = 0 e per n = 1 . Supponiamo che sia vera al livello n, cioè che sia 2 + 5 è multiplo di 6. Procedendo n(n2 +5) = 6k, con k intero. Si deve dimostrare che (n+1) (n + 1) con qualche calcolo, si ottiene (n + 1) (n + 1)2 + 5 = 6k + 3(n2 + n + 2) e poiché n2 + n + 2 è certamente pari, si arriva alla conclusione. CAPITOLO 1. SUCCESSIONI 51 121. Si ha 1 ≡ 1 (mod 9) e 10 ≡ 1 (mod 9). L’ipotesi induttiva è che sia 10n ≡ 1 (mod 9). Si dimostra che è anche 10n+1 ≡ 1 (mod 9), considerando che 10n+1 = 10n · 10. 122. Basta ricordare che rot kα = (rot k)α . 123. ** Occorre sottolineare che le soluzioni devono essere strettamente positive. Per n = 1 , m = 1 l’affermazione è verificata, così come per n = 1 e m = k (k intero positivo), oppure per n = 2 e m = 2. m−1 Supponiamo che sia vero che l’equazione x1 + x2 + x3 + . . . + xn = m abbia soluzioni n−1 intere positive; vogliamo dimostrare che l’equazione x1 + x2 + x3 + . . . + xn+1 = m + 1 e strettamente m ha soluzioni intere e strettamente positive. n m−1 Contiamo le soluzioni: ci sono le soluzioni ottenute prendendo le soluzioni dell’equazion−1 m−1 ne precedente e aggiungendo 1 all’ultimo valore e ci sono le soluzioni che si ottengono n dall’equazione x1 + x2 + x3 + . . . + xn + xn+1 − 1 = m. m−1 m−1 m Poiché + = , la proposizione è dimostrata. n−1 n n 124. * I primi dieci termini sono: 0, 1, 1, 2, 3, 3, 4, 4, 5, 6. Per tutti questi termini si verifica che il termine an+1 è uguale ad an o lo supera di una unità. Assumiamo questa affermazione come ipotesi induttiva. Sia an+1 = an , allora an+2 = n + 2 − aan+1 = n + 1 − aan + 1 = an+1 + 1 Sia an+1 = an + 1, allora an+2 = n + 2 − aan+1 = n + 2 − aan +1 . Per ipotesi induttiva può essere aan +1 = aan , in tal caso an+2 = n+2−aan = n+1−aan +1 = an+1 +1, oppure può essere aan +1 = aan + 1 e allora an+2 = n + 2 − aan − 1 = n + 1 − aan = an+1 . Non essendoci altre possibilità, l’affermazione è dimostrata. Capitolo 2 Limiti delle successioni Obiettivi Obiettivi generali del capitolo sono l’introduzione e la formalizzazione del concetto di limite di una successione e la caratterizzazione della retta reale per mezzo della proprietà di completezza. Obiettivi specifici: • saper descrivere il comportamento all’infinito di una successione usando un linguaggio tecnicamente corretto; • saper calcolare, se esiste, il limite di una successione; • essere in grado di usare in modo opportuno l’algebra dei limiti; • saper calcolare la somma di alcuni tipi di serie a termini positivi; • saper esprimere la proprietà di completezza di un insieme numerico; • essere in grado di trovare l’estremo superiore ed inferiore di un insieme numerico, riconoscendo i particolare eventuali massimi o minimi. 2.1 La nozione di limite di una successione Esaminando gli svariati esempi di successioni a valori reali considerati nel capitolo precedente, siamo portati spontaneamente a mettere in evidenza alcuni comportamenti tipici. 1. Vi sono successioni , come la successione dei quadrati degli interi naturali: 0, 1, 4, 9, 25, . . . , n2 , . . . i cui termini, al crescere dell’intero n, crescono oltre ogni limite. Anche la successione che rappresenta l’accrescimento geometrico, il cui termine generale è : an = (1 + k)n a0 ha un comportamento di questo tipo se il coefficiente k è positivo. (Con un semplice programma al calcolatore se ne può studiare l’andamento, dando a k e ad a0 dei valori particolari, ed è molto istruttivo osservare cosa succede). 2. In altri casi, il termine generale si avvicina sempre più ad un numero reale. Ad esempio, i termini della successione: 1, 1 , 2 1 , 3 1 , 4 1 , ..., 5 52 1 , ... n+1 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 53 si avvicinano sempre più al valore 0, mentre i termini della successione: 0, 1 , 2 2 , 3 3 , 4 4 , ..., 5 n , ... n+1 si avvicinano indefinitamente al valore 1. Ha un comportamento di questo tipo la successione che abbiamo introdotto nel paragrafo 1.2 (esempio 5) per studiare l’andamento di una popolazione biologica in presenza di risorse limitate. (Rivedere la tabella costruita in un caso particolare). 3. La successione: 1, −1, 1, −1, 1, . . . che ha come termine generale (−1)n , oscilla fra i valori 1 e -1. La successione: 1, −2, 3, −4, 5, −6, . . . è anch’essa oscillante, però con oscillazioni che diventano sempre più grandi. Queste ultime due successioni, così come moltissime altre, non hanno nessuno dei comportamenti che abbiamo osservato nei primi due punti: le classifichiamo quindi in una terza famiglia. In questa famiglia troveremo delle successioni dall’andamento assai bizzarro! Nel descrivere questi comportamenti tipici, ci siamo serviti di espressioni suggestive, come: ’cresce oltre ogni limite’ oppure: ’si avvicina indefinitamcnte al valore... ’, che però non hanno un significato preciso. È necessario che precisiamo questo significato mediante opportune definizioni. Cominciamo dalla prima situazione. Per chiarire che cosa debba significare che la successione an ’cresce oltre ogni limite’, possiamo immaginare un gioco fra due persone: la prima fissa a suo arbitrio un numero m (e lo può prendere anche grandissimo) la seconda è tenuta a rispondere alla mossa esibendo un intero r tale che per ogni intero n maggiore o uguale di r si abbia: an ≥ m (2.1) √ Ad esempio, nel caso della successione dei quadrati: an = n2 , per avere n2 ≥ m basta prendere n ≥ m (supponendo che m sia stato scelto positivo), quindi l’intero r può essere preso uguale al primo intero che sia √ maggiore o uguale a m. Se abbiamo preso m = 106 , si potrà prendere r = 103 . Solo se il secondo giocatore è in grado di rispondere ad ogni mossa del primo (cioè è in grado di contrapporre ad ogni m un r tale che per ogni n ≥ r valga la 2.1) possiamo ragionevolmente dire che la successione an ’cresce oltre ogni limite’. √ Abbiamo parlato poco sopra di ‘primo intero che sia maggiore o uguale a m’: possiamo eliminare questa espressione un po’ ingombrante, introducendo la nozione di parte intera di un numero. Definizione 3 Dato un numero reale a, si chiama parte intera di a e si denota con [a] il più grande intero minore o uguale ad a. √ √ Con questa nozione, il primo intero r maggiore o uguale a m è [ m] + 1. Definizione di limite infinito Ed ecco allora la definizione precisa: Definizione 4 Si dice che la successione di numeri reali an tende a +∞ e si scrive: lim an = +∞ se, qualunque sia il numero m, esiste un intero r tale che per ogni n ≥ r si abbia: an ≥ m CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 54 Come si vede, l’espressione ’tende a +∞’ viene qui usata in luogo dell’espressione più vaga ’cresce oltre ogni limite’ che avevamo usato prima. Poichè nell’espressione di an possono comparire più variabili, useremo spesso la notazione più completa: lim an = +∞ n→∞ in cui viene messa in evidenza la variabile rispetto a cui si fa il limite. Quanto al misterioso simbolo +∞ (che si legge ’più infinito’) avremo presto occasione di motivarlo. Vediamo ancora un esempio. Consideriamo la progressione geometrica di ragione b: 1, b, b2 , b3 , . . . , bn , . . . Si tratta della legge dell’accrescimento geometrico che abbiamo richiamato sopra, in cui si è posto b = 1+k e si è preso, per semplicità, a0 = 1. Vogliamo dimostrare che se è b > 1 (cioè k > 0), si ha: lim bn = +∞ n→∞ Questa affermazione è intuitivamente evidente; per dimostrarla ricordiamo l’importante disuguaglianza che abbiamo ottenuto nel paragrafo 1.4, formula 1.19: bn = (1 + k)n ≥ 1 + nk (2.2) valida per k ≥ 0. In base alla nostra definizione, si tratta di fare vedere che, fissato un numero m qualsiasi, è possibile trovare un intero r tale che, per n ≥ r, sia: bn ≥ m (2.3) Ora, a motivo della disuguaglianza 2.2, la 2.3 vale certamente se risulta: 1 + nk ≥ m (2.4) cioè se è : m−1 k m−1 + 1, per n ≥ r vale allora la 2.4 e perciò la (ricordiamo che abbiamo supposto k > 0). Se r = k 2.3. Così dunque l’affermazione è dimostrata. Una variante abbastanza ovvia della nostra definizione è quella del limite a −∞. n≥ Definizione 5 Si dice che la successione di numeri reali an tende a −∞ e si scrive: lim an = −∞ n→∞ se, qualunque sia il numero m, esiste un intero r tale che per n ≥ r risulta: an ≤ m È facile verificare, ad esempio, che la successione: 0, −1, −2, −3, . . . , −n, . . . formata dagli opposti degli interi naturali tende a −∞. Fissiamo infatti un numero m e vediamo per quali valori di n si ha: −n ≤ m Questa disuguaglianza equivale alla n ≥ −m, quindi è soddisfatta per n ≥ r, essendo r = [−m] + 1. Un’osservazione quasi ovvia: nella definizione di lim an = +∞ possiamo limitarci a prendere m positivo. Infatti, se sappiamo ’rispondere alla mossa’ quando m è positivo, a maggior ragione lo sappiamo fare per m ≤ 0. Analogamente, nella definizione di lim an = −∞ si può prendere sempre m negativo. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 55 Definizione di limite finito Passiamo alla situazione esaminata nel punto 2: abbiamo l’avvicinamento indefinito dei termini di una successione ad un numero reale. La definizione precisa è la seguente: Definizione 6 Si dice che la successione di numeri reali an tende al numero reale l (o ha per limite l) se, per ogni numero positivo , esiste un intero r tale che per n ≥ r sia: |an − l| ≤ (2.5) Per indicare che la successione an tende ad l si scrive: lim an = l , oppure, con più precisione: lim an = l n→∞ La struttura logica di questa definizione non è diversa da quella precedente. Anche qui, per chiarire la definizione, possiamo pensare ad un gioco fra due persone: il primo fissa il numero positivo; per mettere in difficoltà il suo avversario, sarà indotto a prendere molto piccolo. Il secondo giocatore, per rispondere alla mossa, dovrà avvicinarsi a l per meno di e sarà quindi costretto a prendere il numero r molto grande: l’importante è, comunque, che riesca a trovare un tale r. La sua strategia consisterà nel fissare, una volta per tutte, una funzione → r() di risposta, cioè tale che per n ≥ r() valga la 2.5. Dimostriamo, applicando letteralmente la definizione, che: n =1 n→∞ n + 1 Fissato un numero > 0, consideriamo la disuguaglianza: n ≤ − 1 n + 1 lim (2.6) che si può scrivere: 1 n + 1 ≤ ed anche, dal momento che è certamente n + 1 > 0: 1 ≤ n+1 Questa, a sua volta, si può scrivere: n≥ 1 −1 Se r() = 1 − 1 + 1, per n ≥ r() è soddisfatta la 2.6. Così la dimostrazionc è conclusa. È anche interessante la traduzione geometrica della nozione di limite. Consideriamo nel piano cartesiano la striscia formata dai punti (x, y) tali che |y − l| ≤ . CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 56 y l+ǫ l l−ǫ O 1 2 3 4 5 6 7 8 x Ebbene, la definizione ci dice che i punti rappresentativi della successione (n, an ), per n abbastanza grande, stanno tutti nella striscia. Si dice anche che sono definitivamente contenuti nella striscia; in seguito sarà comodo dire che i termini di una successione possiedono definitivamente una certa proprietà se la possiedono a partire da un certo indice. Ad esempio, diremo che i termini della successione an = n−5 sono definitivamente positivi (infatti sono positivi per n ≥ 6). I due teoremi seguenti sono importanti anche per comprendere meglio la definizione di limite. L’unicità del limite Teorema 3 Se una successione an tende ad un limite, questo è unico. Per dimostrarlo, supponiamo per assurdo che la successione an converga verso due limiti distinti, l1 e l2 . Possiamo evidentemente supporre che sia l1 < l2 . l1 l2 l2 − l1 Prendiamo un positivo che sia inferiore a : in tal modo i due intervalli [l1 − , l1 + ] e [l2 − , l2 + ] 2 non hanno punti in comune. Essendo lim an = l1 , possiamo trovare un intero r1 tale che per n ≥ r1 si abbia |an − l1 | ≤ (cioè : i punti della successione stanno definitivamente nel primo intervallo); analogamente, essendo lim an = l2 , possiamo trovare un intero r2 tale che per n ≥ r2 si abbia |an − l2 | ≤ (cioè : i punti della successione stanno definitivamente nel secondo intervallo). Indichiamo con r il maggiore dei due interi r1 , r2 ; per n ≥ r il punto an dovrebbe appartenere sia al primo che al secondo intervallo, e questo è è evidentemente assurdo. 2 L’unicità del limite ci permette di dire ’il limite della successione an ’ (usando l’articolo determinativo). La ’permanenza del segno’ Teorema 4 Se una successione tende ad un limite positivo, i suoi termini sono definitivamente positivi. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 57 Dimostrazione: sia l > 0 il limite della successione an . Preso = 2l , sia r tale che per ogni intero m ≥ r risulti: |am − l| ≤ l 2 Da questa disuguaglianza si ottiene la seguente: am − l ≥ − da cui : am ≥ l 2 l >0 2 Dunque, per ogni m ≥ r, am risulta positivo. 2 Ovviamente, se la successione tende ad un limite negativo, i suoi termini risultano definitivamente negativi. Un’osservazione importante Se è lim an = l, non è detto che la successione an debba avvicinarsi a l sempre crescendo o sempre decrescendo. Ad esempio la successione: 1 1 1 1 1 , − , , − , ... 1, − , 2 3 4 5 6 tende a zero, tuttavia non è né crescente né decrescente: è oscillante, ma con oscillazioni sempre più smorzate. Non è neppure detto che l’approssimazione migliori nel passare da un termine al successivo (cioè che la successione |an − l| sia decrescente). Ad esempio, nella successione: 1 1 1 1 , 0, , 0, , 0, 2 3 4 5 il limite (che è 0) viene raggiunto, ma anche lasciato, infinite volte. 0, 1, 0, ... Successioni infinitesime Definizione 7 Una successione che tende a zero si dice infinitesima. Rileggendo con cura la definizione di limite finito, si scopre che la successione an tende al limite l se e solo se la successione an − l è infinitesima. Questa osservazione ci sarà molto utile nel prossimo paragrafo. A proposito di nomenclatura: si dice che una successione è convergente se tende ad un limite finito mentre si dice che è divergente se tende a +∞ oppure a −∞. Rivedendo dunque la classificazione fatta all’inizio, possiamo includere nel tipo 1) tutte le successioni divergenti (a +∞ o anche a −∞ ), nel tipo 2) tutte le successioni convergenti. Nel tipo 3) includeremo tutte le altre. 2.2 Operazioni algebriche e limiti Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto l’operazione di limite; è utile vedere come essa si comporta in relazione alle operazioni algebriche tra successioni: addizione, moltiplicazione, operazioni di ’opposto’ e di ’reciproco’. Ecco un quesito tipico: se an e bn sono successioni a valori reali, è spontaneo chiamare successione somma la successione an + bn ; ebbene: se an e bn sono convergenti, come si comporta la successione somma? È abbastanza naturale congetturare che essa converga verso la somma dei limiti. Analogo quesito si pone per la successione prodotto an · bn , per la successione degli opposti e dei reciproci di una successione an . Ecco un primo risultato importante: CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 58 Il limite della successione somma Teorema 5 Se le successioni an e bn tendono ai limiti l1 e l2 rispettivamente, la successione somma an + bn tende al limite l1 + l2 . Prima di dimostrare il teorema, dimostriamo un lemma, che è un caso particolare del teorema stesso. (Si usa chiamare lemma una proposizione di carattere tecnico, che ha un ruolo strumentale nella dimostrazione di un teorema). Lemma 1 La successione somma di due successioni infinitesime è una successione infinitesima. Anzitutto, ricordiamo la disuguaglianza che sussiste per i valori assoluti dei numeri reali: |x + y| ≤ |x| + |y| (2.7) Siano ora αn e βn due successioni infinitesime. Fissiamo un numero > 0. Esiste un intero r1 tale che per n ≥ r1 risulta: (2.8) 2 (se è un numero positivo, anche 2 è un numero positivo). Analogamente, essendo anche la successione βn infinitesima, esiste un intero r2 tale che per n ≥ r2 risulta: |αn | ≤ |βn | ≤ 2 (2.9) Sia ora r il maggiore dei due interi r1 e r2 ; per n ≥ r valgono sia la 2.8 che la 2.9. Applicando la disuguaglianza 2.7 si ha allora: |αn + βn | ≤ |αn | + |βn | ≤ + = 2 2 Dunque, per n ≥ r: |αn + βn | ≤ (2.10) Questo appunto ci dice che la successione αn + βn è infinitesima. 2 È facile ora dimostrare il teorema 5. Come abbiamo osservato a conclusione del paragrafo precedente, affermare che an tende a l1 equivale a dire che la successione an − l1 è infinitesima. Poniamo an − l1 = αn , cioè an = l1 + αn . Analogamente, ponendo bn − l2 = βn , cioè bn = l2 + βn , la successione βn risulta infinitesima. Pertanto si può scrivere: an + bn = l1 + l2 + (αn + βn ) Il lemma ora dimostrato ci dice che la successione αn + βn è infinitesima. Questo equivale appunto a dire che la successione an + bn ha come limite l1 + l2 Il limite della successione prodotto Occupiamoci ora della successione prodotto di due successioni convergenti. Per procedere più speditamente, è opportuno premettere due semplici lemmi. Lemma 2 La successione prodotto di una successione infinitesima per una successione costante è infinitesima. Sia αn una successione infinitesima e sia k una costante. Se è k = 0, la successione prodotto k · αn è nulla, ed è perciò, banalmente, infinitesima. Sia k 6= 0. Preso un numero > 0, sia r un intero tale che per n ≥ r risulti: |αn | ≤ (teniamo presente che anche |k| è un numero positivo). |k| CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 59 Per n ≥ r si ha allora: |k · αn | = |k| · |αn | ≤ |k| · = |k| Dunque, per n ≥ r risulta: |k · αn | ≤ Questo ci dice che la successione k · αn è infinitesima. 2 Lemma 3 La successione prodotto di due successioni infinitesime è infinitesima. Siano αn e βn due successioni infinitesime; fissiamo un numero > 0 , arbitrario. Esiste un intero r1 tale che per n ≥ r1 risulta: |αn | ≤ Esiste un intero r2 tale che per n ≥ r2 risulta: |βn | ≤ 1 (anche 1 è un numero positivo). Sia r il maggiore fra r1 ed r2 . Per n ≥ r si ha: |αn · βn | = |αn | · |βn | ≤ · 1 Dunque, per n ≥ r si ha: |αn · βn | ≤ 2 Pertanto la successione αn · βn è infinitesima. Ed ecco il risultato che riguarda la successione prodotto: Teorema 6 Se le successioni an e bn tendono ai limiti l1 e l2 , rispettivamente, la successione prodotto an · bn tende al limite l1 · l2 . Dopo i lemmi 2 e 3, la dimostrazione del teorema è molto semplice. Per ipotesi, possiamo porre: an = l1 + αn , bn = l2 + βn dove αn e βn sono successioni infinitesime. Si ha: an · bn = (l1 + αn ) · (l2 + βn ) = l1 · l2 + αn · l2 + l1 · βn + αn · βn Per i lemmi 2 e 3, le successioni αn · l2 , l1 · βn , αn · βn sono infinitesime; per il lemma 1 la successione αn · l2 + l1 · βn + αn · βn è infinitesima. Questo ci dice che la successione an · bn ha come limite l1 · l2 . 2 I limiti della successione opposta e reciproca Teorema 7 Se la successione an tende al limite l, la successione opposta −an tende al limite −l. La dimostrazione è molto semplice e la lasciamo come esercizio al lettore. Teorema 8 Se la successione an tende al limite l, diverso da 0, la successione ’reciproca’ 1 . l 1 tende al limite an CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 60 Prima di passare alla dimostrazione vera e propria, dobbiamo fare un’osservazione sull’enunciato. Chiedia1 moci: la successione ’reciproca’ è definita? Veramente, la nostra ipotesi non esclude che per qualche indice an n sia an = 0 e, pertanto, l’espressione non sia definita; però è certo che per valori di n abbastanza grandi è an 6= 0. Infatti, per il teorema 4, i termini della successione sono o definitivamente positivi, o definitivamente negativi; pertanto il nostro enunciato ha senso, a patto di considerare eventualmente la successione a1n definita solo per n abbastanza grande. Conviene, comunque, procurarsi una disuguaglianza analoga a quella che abbiamo usato per dimostrare il teorema 4. Essendo, per ipotesi, lim an = l, con l 6= 0, esiste un intero r1 tale che, per ogni n ≥ r1 si ha: |l| |an − l| ≤ 2 e si ricava facilmente: |l| 2 Da questa disuguaglianza ne deriva un’altra, che è il punto centrale della nostra dimostrazione. Per n ≥ r1 si ha: 1 − 1 = |an − l| ≤ 2 |an − l| an l |an | · |l| |l|2 |an | ≥ |l| − |an − l| ≥ Fissato un > 0, è possibile trovare un intero r2 tale che per n ≥ r2 sia 2 |an − l| ≤. |l|2 · |l|2 Basta evidentemente che per n ≥ r2 sia |an − l| ≤ e ciò è ancora una volta possibile perché è 2 lim an = l. Dunque, detto r il più grande dei due numeri r1 e r2 , si ha, per n ≥ r: 1 1 − ≤ an l 1 1 = . 2 an l Dai teoremi dimostrati si deducono molte conseguenze ovvie: ad esempio, se an e bn sono successioni tendenti ai limiti l1 e l2 rispettivamente, la successione an − bn tende a l1 − l2 . Se poi è l2 6= 0, la successione l1 an tende a . bn l2 e questo ci dice appunto che lim 2.3 La completezza della retta reale Il principale problema che abbiamo affrontato in questo capitolo è quello di vedere se una successione è convergente, cioè se tende ad un limite finito. In certi casi il limite balza subito agli occhi, in altri casi non è facile decidere: può darsi che il limite non esista, oppure che esista ma non lo sappiamo riconoscere fra i numeri che ci sono già noti. Insomma, è importante sapere se esiste il limite di una successione, prescindendo dal fatto che lo sappiamo rappresentare in qualche modo. Ma per raggiungere questo scopo è opportuno conoscere bene l’ambiente in cui cerchiamo il limite, cioè l’insieme dei numeri reali, così come, prima di mettersi a pescare in un fiume, è ragionevole informarsi se vi sono molti o pochi pesci... Non vi è un unico modo di descrivere l’insieme dei numeri reali, vi sono caratterizzazioni diverse ma equivalenti legate ai nomi dei matematici che le hanno pensate (Dedekind, Cantor. . . ). Noi useremo l’idea delle ’scatole cinesi’, che chi ha seguito questo corso fin dai primi anni probabilmente ricorda. La riprendiamo comunque: Una scatola cinese è una successione [an , bn ] di intervalli tali che: a) ciascuno è contenuto nel precedente; b) le ampiezze diventano piccole quanto si vuole (cioè, col linguaggio che abbiamo ora appreso: CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 61 lim (bn − an ) = 0). n→+∞ Un numero reale può essere individuato da una sola scatola cinese? La nostra intuzione ci dice di no. Per esempio, il numero zero può essere rappresentato da: [−1, 1], [−1; 0], [0, 1], [− 21 , 12 ], [− 12 , 0], [0, 12 ], [− 13 , 31 ], [− 31 , 0], [0, 31 ], ... ... ... Come si vede, si tratta di scatole cinesi diverse (perché ognuna ha intervalli che non ci sono nelle altre due) che godono, tuttavia, di questa comune proprietà: preso un intervallo [an ; bn ] da una scatola e un intervallo [cm ; dm ] da un’altra, essi hanno sempre almeno un punto in comune. È, allora, abbastanza spontaneo dare la seguente definizione: Definizione 8 Due scatole cinesi [an ; bn ] e [cn ; dn ] si ‘agganciano’ se per ogni n ∈ N gli intervalli [an ; bn ] e [cn ; dn ] hanno punti in comune. La dimostrazione che questa relazione è una relazione di equivalenza (gode, cioè, delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva), non è difficile, ed è abbastanza intuibile, perciò la tralasciamo. L’insieme delle scatole cinesi, in base a questa relazione di equivalenza, viene ripartito in classi di equivalenza: ognuna di esse è un numero reale. Una singola scatola cinese è un rappresentante della classe di equivalenza cui appartiene, cioè di un numero reale. Naturalmente, per semplicità, continueremo ad usare la singola scatola cinese come numero reale pensando di identificarla con la classe di equivalenza cui appartiene. Possiamo dimostrare che l’insieme delle classi di equivalenza di scatole cinesi può essere dotato di una relazione d’ordine che è la stessa relazione che abbiamo sempre usato fino ad ora e che ha le seguenti due proprietà : 1. Se è x ≤ y, per ogni numero h si ha x + h ≤ y + h 2. Se è x ≤ y ed è h ≥ 0, si ha xh ≤ yh Una rigorosa dimostrazione di queste proprietà deve tener conto che tutti i numeri reali in gioco sono classi di equivalenza di scatole cinesi: ciò rende un po’ pesanti le relative dimostrazioni, e ci induce ad ometterle. In definitiva possiamo dire che R è un corpo (perché l’addizione è un’operazione che ha le proprietà associativa, commutativa, è dotata di un elemento neutro, che chiamiamo zero, e di un opposto per ogni numero, e anche la moltiplicazione, pure commutativa ed associativa, ha un elemento neutro ed ammette un inverso per ogni numero diverso da zero). Per quello che abbiamo appena osservato, R è un corpo ordinato. Ma tutte le proprietà che abbiamo elencato spettano anche all’insieme Q dei numeri razionali, in altre parole: anche Q è un corpo ordinato. Vi è però una proprietà molto importante che spetta ad R ma non a Q. Per enunciarla, premettiamo una definizione. Definizione 9 Siano A e B sottoinsiemi non vuoti di R. A B Si dice che (A; B) è una coppia di classi contigue se : 1. ogni elemento di A è minore o uguale ad ogni elemento di B 2. preso un qualunque numero positivo , si possono trovare un elemento a di A ed un elemento b di B tali che: b−a≤ Ad esempio: sia A l’insieme di tutti i numeri reali ≤ 0 , e B l’insieme di tutti i numeri reali ≥ 0. Allora (A, B) è una coppia di classi contigue. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 62 A B an bn Per fare un altro esempio consideriamo una scatola cinese [an ; bn ]. Se A è l’insieme degli estremi sinistri degli intervalli: A = {an } e B l’insieme di quelli destri: B = {bn } allora la coppia (A, B) è una coppia di classi contigue. Naturalmente, per introdurre i numeri rcali avevamo considerato scatole cinesi con estremi an e bn razionali, ma nessuno ci vieta ora di considerare anche scatole cinesi con estremi reali. Definizione 10 Un numero reale x si dice elemento separatore della coppia di classi contigue (A, B) di numeri reali se per ogni elemento a di A ed ogni elemento b di B si ha a≤x≤b (Intuitivamente: se ’sta fra mezzo’ agli insiemi A e B). Si dimostra facilmente che l’elemento separatore è unico. Infatti, supponiamo che ve ne siano due: x1 e x2 ; possiamo supporre che sia x1 < x2 . Allora, essendo per ogni elemento a di A ed ogni elemento b di B: a ≤ x1 < x2 ≤ b A B a x1 x2 b risulta b − a ≥ x2 − x1 e questo contrasta con la proprietà delle coppie di classi contigue, come si vede prendendo < x2 − x1 . Ed ecco la proprietà importante che abbiamo preannunciato: Teorema 9 Sulla retta reale R, per ogni coppia di classi contigue esiste un elemento separatore. La proprietà espressa dal teorema si dice proprietà di completezza; perciò il contenuto del teorema può essere espresso dicendo che R è un corpo ordinato completo. L’insieme Q dei numeri razionali è, invece, un corpo ordinato ma non completo. Infatti, riflettiamo alla scatola cinese che ci ha permesso di definire il numero √ √ 2: essa ha come unico elemento separatore il numero 2, che non è razionale. Dunque, se ci limitiamo a considerarla nel corpo Q dei numeri razionali, essa non ha elemento separatore. La proprietà di completezza di R è molto significativa anche da un altro punto di vista, che ora vogliamo spiegare: come siamo passati da Q ad R cercando nuovi elementi per mezzo di scatole cinesi costruite in Q , così, partendo da R , potremmo pensare di ottenere un insieme numerico più ampio per mezzo di scatole cinesi costruite in R. Invece, la proprietà di completezza ci dice che non usciamo da R: infatti ogni scatola cinese costruita in R ha un elemento separatore che appartiene ancora ad R. La dimostrazione del teorema di completezza non è difficile, ma esige un riesame un po’ minuzioso della teoria dei numeri reali, che spezzerebbe il filo della nostra esposizione e richiederebbe un certo tempo. Preferiamo perciò ometterla. A questo punto, il lettore si domanderà: che c’entra la completezza della retta reale con il problema enunciato all’inizio di questo paragrafo di decidere se una successione an ammette limite finito? Un primo legame (altri verranno considerati nel paragrafo successivo) è dato dal seguente teorema: CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 63 Teorema 10 Sia [an , bn ] una scatola cinese di numeri reali e sia λ il numero reale che essa comprende (cioè l’elemento separatore delle due classi A = {an } e B = {bn }). Allora si ha: lim an = λ, lim bn = λ n→+∞ n→+∞ La dimostrazione è immediata. Preso un numero > 0, arbitrario, sia r un intero tale che per n ≥ r valga la disuguaglianza bn − an ≤ . Poiché λ è l’elemento separatore della coppia (A, B) si ha: an ≤ λ ≤ bn e, perciò: |bn − λ| = bn − λ ≤ , |an − λ| = λ − an ≤ Queste disuguaglianze provano le relazioni di limite che costituiscono la tesi del teorema. 2 L’algoritmo di Erone Applichiamo il teorema dimostrato alla costruzione di un algoritmo rapido per il calcolo della radice quadrata di un numero reale non negativo: si tratta di un algoritmo che risale ad Erone e che è comunemente utilizzato nel calcolo automatico. L’idea da cui si parte è molto semplice. Sia k un numero reale positivo. Se x0 è la radice quadrata di k , cioè se è: x20 = k risulta: k x0 √ Se invece x0 è un valore approssimato per difetto di k, cioè se è: x0 = x20 < k (2.11) √ k è un valore approssimato per eccesso di k. Infatti, dalla 2.11, x0 moltiplicando membro a membro per k e dividendo per x20 si ottiene: allora è facile rendersi conto che k< k x0 2 k è approssimato per difetto. x0 Ed ecco come si sviluppa la nostra idea: se abbiamo due approssimazioni, una per difetto ed una per eccesso, si può sperare che la loro media aritmetica migliori l’approssimazione. Il grafico seguente traduce geometricamente la situazione. Nel primo quadrante del piano cartesiano riferito agli assi x, y consideriamo il ramo di iperbole di equazione: Viceversa, se x0 è approssimato per eccesso, xy = k CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 64 y N Q P M 0 y x √ x k x √ √ Il punto P in cui l’iperbole taglia la retta x = y ha coordinate ( k, k) ; quindi le coordinate di P sono ciò che ci interessa. Fissato un numero positivo qualsiasi x0 , consideriamo il punto dell’iperbole di ascissa x0 , cioè il punto k M ↔ (x0 , ) ed il punto N simmetrico di M rispetto alla retta x = y. x0 Il punto Q in cui M N taglia la retta x = y è il punto medio del segmento M N ed ha per ascissa (e la retta 1 k ordinata) x1 = x0 + . 2 x0 Costruiamo una successione in questo modo: x0 sia un numero positivo qualsiasi; assumiamo la seguente legge di ricorrenza: k 1 xn+1 = xn + (2.12) 2 xn k . xn Dimostriamo che, in ogni caso, xn+1 è un valore approssimato per eccesso. Si tratta di dimostrare che: in cui il termine xn+1 è la media aritmetica fra xn e yn = 2 1 k xn + ≥k 2 xn Questa disuguaglianza si può scrivere: 1 4 cioè: x2n k2 + 2k + 2 xn −k ≥0 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 1 4 x2n k2 − 2k + 2 xn 65 1 k 2 = (xn − ) ≥0 4 xn relazione che è senz’altro vera. (Il segno di uguaglianza vale solo nel caso in √ cui sia x2n = k). Dunque, per ogni indice n ≥ 1, xn è un valore approssimato per eccesso di k. Ne segue che yn = un valore approssimato per difetto. Consideriamo allora la successione di intervalli [yn , xn ]: √ è k yn+1 yn k xn xn+1 xn Il punto xn+1 , essendo il punto di mezzo dell’intervallo [yn , xn ], risulta interno all’intervallo [yn , xn ], k k quindi si viene ad avere xn+1 < xn ed anche < , cioè yn < yn+1 . Si può concludere che l’intervallo xn xn+1 [yn+1 , xn+1 ] è contenuto nell’intervallo [yn , xn ]. Essendo poi xn+1 il punto di mezzo dell’intervallo [yn , xn ], si ha, evidentemente: 1 xn+1 − yn+1 < (xn − yn ) 2 Poiché l’ampiezza degli intervalli viene ridotta a meno della metà ad ogni passo, si conclude che √ essa è infinitesima. Dunque, [yn , xn ] è una scatola cinese di valori approssimati per difetto e per eccesso di k. Possiamo concludere che: √ √ lim yn = k e lim xn = k. Come dicevamo, √ questo algoritmo converge molto rapidamente e si presta perciò molto bene per il calcolo approssimato di k. Nell’esecuzione del calcolo, si deve anche decidere il grado di approssimazione che si vuole ottenere; nel nostro caso, disponiamo di un valore per eccesso xn e di un valore per difetto yn ; si può allora decidere di arrestare il calcolo non appena xn − yn diventa inferiore ad una quantità (ad esempio = 10−6 ). 2.4 L’estremo superiore In un insieme finito di numeri reali c’è sempre un elemento massimo, cioè un numero che è maggiore di ogni altro. Ciò è del tutto evidente: basta compiere un certo numero di confronti a due a due (quanti?) per decidere qual è il numero più grande. Quando si ha un insieme infinito di numeri reali, non è detto che vi sia un elemento massimo. Consideriamo, ad esempio, l’insieme: n n+1 dove n varia nell’insieme N degli interi naturali, cioè l’insieme formato dai numeri: 0, 1 , 2 2 , 3 3 , 4 4 , 5 5 , ... 6 n , infatti, l’elemento di indice n+1 n+1 è magggiore dell’elemento di indice n, come si può facilmente verificare sviluppando la disequazione: Questo insieme non ha elemento massimo; nella successione an = n n+1 < n+1 n+2 possiamo perciò dire che la successione an è crescente; di conseguenza, preso un qualsiasi elemento dell’insieme, se ne trova un altro che lo supera (basta prendere un qualsiasi termine della successione di indice maggiore): dunque non c’è un elemento massimo. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 66 La mancata esistenza del massimo è uno dei tanti fatti strani che possono intervenire nei passaggio dagli insiemi finiti agli insiemi infiniti; vi sono molti casi importanti in cui, sotto particolari ipotesi, si può assicurare l’esistenza del massimo anche per insiemi infiniti, ma a volte occorre compiere uno studio abbastanza complesso per arrivare a dimostrarlo. Avremo occasione più avanti di ritornare su questi problemi. Intanto, però, ci è necessaria una nozione più generale di quella di massimo, che possa essere impiegata in molti casi in cui questa non si può adoperare. Consideriamo ancora l’esempio appena esposto; è chiaro che si ha n < 1 per ogni n. È anche evidente che sostituendo 1 con un numero λ più piccolo, questa disuguaglianza n+1 non è più vera per ogni n. Infatti, poichè risulta: n =1 n→+∞ n + 1 si ha, per tutti i valori di n che superano un certo intero r: lim n ≥λ n+1 (Per esercizio, si determini un possibile valore di r). Dunque, il numero 1 è il più piccolo fra i numeri reali che superano o uguagliano ogni numero dell’insieme. Diamo le seguenti definizioni: Definizione 11 Dato un insieme T di numeri reali, un numero reale λ si dice limitazione superiore per T (o maggiorante di T ) se per ogni elemento x di T si ha x ≤ λ. Un insieme che possiede almeno una limitazione superiore si dice limitato superiormente. Ad esempio, l’insieme N degli interi naturali non è limitato superiormente; l’insieme dei valori assunti dalla funzione seno è limitato superiormente. Definizione 12 Si dice estremo superiore di un insieme T di numeri reali la più piccola delle limitazioni superiori di T . n } ci hanno portato ad affermare che il Le considerazioni che abbiamo fatto sopra riguardo all’insieme { n+1 suo estremo superiore è 1. La definizione di estremo superiore che abbiamo data è puramente descrittiva, cioè non si compromette sul fatto che questo estremo superiore esista o no. È evidente che se un insieme S non è limitato superiormente, l’insieme delle limitazioni superiori è vuoto e perciò non ha elemento minimo; quindi S non ha estremo superiore. Ma, tolto questo caso irrimediabile, le cose vanno bene, come ci dice il seguente teorema: Teorema 11 Ogni insieme non vuoto T di numeri reali se è limitato superiormente ammette estremo superiore. Dimostrazione: Consideriamo l’insieme L di tutte le limitazioni superiori di T ; poichè T , per ipotesi, è limitato superiormente, L è certamente non vuoto. Possiamo affermare che (T, L) è una coppia di classi contigue. Infatti, in primo luogo è evidente che ogni elemento di T è minore o uguale di ogni elemento di L essendo gli elementi di L limitazioni superiori per l’insieme T ; è quindi soddisfatta la proprietà 1. della definizione di classi contigue. Dimostriamo che vale la proprietà 2. dell’avvicinamento indefinito: sia un numero positivo qualunque: dobbiamo dimostrare che esistono un elemento x di T ed un elemento y di L tali che y − x ≤ x0 xh−1 xh y0 Sia x0 un qualunque elemento di T ed y0 un qualunque elemento di L. Suddividiamo l’intervallo [x0 , y0 ] y0 − x0 in n intervalli di ampiezza inferiore ad ; in altre parole, facciamo in modo che sia < (questo è n y0 − x0 possibile pur di prendere n > ). Siano x0 , x1 , x2 , . . . , xn = y0 gli estremi di questi intervalli, in ordine crescente. Teniamo presente che xn = y0 è, per ipotesi, una limitazione superiore, dunque xn appartiene ad L. Fra i punti xk consideriamo il CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 67 più piccolo che appartenga ad L, cioè che sia una limitazione superiore: sia esso xh . Se è xh = x0 , ciò significa che x0 appartiene sia a T che ad L , e allora la proprietà di avvicinamento è banalmente vera. Se è h > 0 , consideriamo xh−1 : esso non è una limitazione superiore e pertanto vi sono elementi di T che superano xh−1 (e che non superano xh , dal momento che xh è una limitazione superiore). Questi elementi di T hanno una distanza da xh inferiore all’ampiezza dell’intervallo [xh−1 ; xh ], cioè inferiore ad . Dunque vale la proprietà 2. della definizione. Per il teorema di completezza esiste un elemento separatore s della coppia (T, L). Si ha: 1. x ≤ s per ogni x di T : dunque s è una limitazione superiore per T . 2. s ≤ y per ogni y di L : dunque s è la più piccola delle limitazioni superiori. In altre parole: s è l’estremo superiore che cercavamo. 2 L’estremo inferiore In modo perfettamente simmetrico possiamo parlare di limitazioni inferiori (o minoranti) e quindi di estremo inferiore di un insieme numerico. Evidentemente, chiameremo estremo inferiore la più grande delle limitazioni inferiori di un insieme numerico. Ad esempio, il numero 0 è l’estremo inferiore dell’insieme dei numeri positivi (e non è elemento minimo di questo insieme). La retta reale ampliata: i punti +∞, −∞ Spesso si conviene di aggiungere alla retta reale due punti: il punto +∞ (’più infinito’), che segue ogni altro punto, e il punto −∞ (’meno infinito’), che precede ogni altro punto. In questo modo la retta reale rimane un insieme totalmente ordinato; non è però più un corpo, perché non è possibile definire le operazioni algebriche anche per questi enti in modo da conservare le proprietà formali. Ad esempio, l’unica definizione ragionevole (se pensiamo alle proprietà di ordinamento) dell’operazione 3 + (+∞) è +∞; scriviamo dunque 3 + (+∞) = +∞. Ammettendo però di poter semplificare (sommando ad ambo i mebri −∞ , cioè l’opposto di +∞ ), si otterrebbe 3 = 0. Dunque, i simboli +∞ e −∞ si possono benissimo usare nelle questioni in cui interviene solo l’ordinamento, ma devono essere usati con assoluta cautela in un contesto algebrico. Nel caso dell’estremo superiore ed inferiore, risultano naturali le seguenti definizioni: Definizione 13 Ogni insieme T che non è limitato superiormente ha come estremo superiore +∞ ; ogni insieme T che non è limitato inferiormente ha come estremo inferiore −∞. Dunque, se aggiungiamo questi nuovi punti alla retta reale possiamo concludere che ogni insieme T non vuoto di numeri reali ha estremo superiore ed estremo inferiore (eventualmente uguali a +∞ e a −∞, rispettivamente). L’ampliamento della retta reale che ora abbiamo compiuto ci permette di dare un significato più preciso alle notazioni: lim an = +∞ , lim an = −∞ che abbiamo impiegato nello studio dei limiti delle successioni. n→∞ n→∞ Infatti, una volta introdotti i punti +∞ e −∞ , le successioni divergenti possono essere viste come successioni che tendono al punto +∞ , o al punto −∞, rispettivamente. La nozione di estremo superiore è molto utile al fine di stabilire l’esistenza del limite per certe successioni, sulla base del seguente teorema: Teorema 12 Sia an una successione crescente (o, perlomeno, non decrescente) e limitata superiormente. Allora essa tende ad un limite finito che coincide con l’estremo superiore dell’insieme. La dimostrazione è molto semplice. Sia λ l’estremo superiore dell’insieme {an }. Sia un numero positivo arbitrario. Esiste certamente un termine ar della successione tale che ar > λ − . Infatti λ è la minima delle limitazioni superiori dell’insieme {an }: il numero λ − non è più una limitazione superiore. D’altra parte, essendo la successione an non decrescente si ha, per ogni n ≥ r, che an ≥ ar . Pertanto, per ogni n ≥ r si ha: CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 68 λ − < an ≤ λ In base alla definizione di limite, questo ci dice che lim an = λ. n→∞ Notiamo che il teorema si può estendere omettendo l’ipotesi che l’insieme an sia limitato : la tesi allora è che la successione an tende all’estremo superiore dell’insieme {an } (finito, oppure uguale a +∞ ). 2 2.5 Somme di infiniti addendi Abbiamo visto nel primo capitolo che ad una successione di numeri reali (o anche complessi): a0 , a1 , a2 , . . . .., an , . . . si può associare una nuova successione Sn , dove: Sn = a0 + a1 + a2 + . . . + an Nel caso in cui esista finito il limite della successione Sn , cioè: S = lim Sn n→+∞ diremo che S è la somma della successione an e scriveremo: a0 + a1 + a2 + . . . = S L’espressione che compare al primo membro viene detta tradizionalmente serie avente come termine generale an e il numero S viene detto (benchè impropriamente) somma della serie. Un caso particolarmente interessante è quello in cui i termini della successione an sono positivi; allora la successione Sn è crescente e, per quello che sappiamo, tende ad un limite finito, oppure a +∞. Noi ci occuperemo quasi esclusivamente delle somme delle successioni a termini positivi e non faremo una teoria generale, ma svilupperemo solo qualche esempio interessante. Anzitutto, occorre fare attenzione: la somma S può essere uguale a +∞ anche nel caso in cui la successione an sia infinitesima. Consideriamo, ad esempio, la successione: 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 , , , , , , , , , , , , , ... 2 2 3 3 3 4 4 4 4 5 5 5 5 5 i cui termini possono essere raccolti in tanti gruppetti aventi come somma 1. Se si prende n abbastanza grande, la somma Sn congloba un numero arbitrariamente grande di questi gruppetti, quindi Sn cresce oltre ogni limite, malgrado il termine generale della successione sia evidentemente infinitesimo. 1, Significato di un allineamento decimale Le somme infinite (o serie) trovano un’importante applicazione nella rappresentazione dei numeri reali. Sappiamo già che i numeri reali si possono rappresentare mediante allineamenti decimali infiniti, del tipo: a, α1 α2 α3 . . . .αn . . . (2.13) dove a è un intero relativo ed α1 α2 α3 . . . sono numeri interi compresi fra 0 e 9, cioè sono cifre decimali. Naturalmente anche l’intero a si può scrivere in forma decimale, se si vuole. Un discorso analogo vale per le rappresentazioni con basi diverse da 10. Ad esempio, nel caso della rappresentazione binaria le cifre αn possono assumere i valori 0 e 1. Qual è il significato di un allineamento decimale infinito? CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 69 1. Un primo significato va ricondotto alle scatole cinesi che abbiamo definito per descrivere i numeri reali. Abbiamo visto che un numero decimale individua una scatola cinese: il numero reale che si vuole rappresentare risulta - con la terminologia che abbiamo introdotto precedentemente - come l’elemento separatore di questa scatola cinese (che è una particolare coppia di classi contigue). Ad esempio, l’allineamento decimale: 0, 11111 . . . .. sta per la scatola cinese: [0, 1; 0, 2], [0, 11; 0, 12], [0, 111; 0, 112], . . . che ha come elemento separatore 91 . √ Si può costruire la scatola cinese di 2 considerando √ intervalli incapsulati di estremi an e bn tali che a2n < 2 e b2n > 2. Una possibile scatola cinese per 2 è: [1; 2], [1, 4; 1, 5], [1, 41; 1, 42], [1, 414; 1, 415], . . . in cui √ 2 è l’elemento separatore. L’allineamento decimale corrispondente è: 1, 41421356 . . . 2. Ma, data una coppia di classi contigue (A, B), l’elemento separatore coincide con l’estremo superiore della classe ’per difetto’ A. Dunque, il numero reale rappresentato dall’allineamento decimale 2.13 non è altro che l’estremo superiore dell’insieme numerico: a a, α1 a, α1 α2 Negli esempi considerati, si può dire che 0, 1 e √ a, α1 α2 α3 a, α1 α2 α3 α4 . . . (2.14) 1 è l’estremo superiore dell’insieme: 9 0, 11 0, 111 0, 1111 . . . . 2 l’estremo superiore dell’insieme: 1 1, 4 1, 41 1, 414 1, 4142 . . . 3. D’altra parte, la 2.14 rappresenta una successione: poiché essa è non decrescente, il suo estremo superiore coincide con il suo limite. Ecco un nuovo significato di un allineamento decimale. 4. Che significa l’allineamento decimale finito a, α1 α2 . . . .αn ? Evidentemente il suo significato è: a, α1 α2 . . . .αn = a + α1 α2 α3 αn + + + .... + n 10 102 103 10 Perciò: lim (a, α1 α2 . . . αn ) = a + n→∞ α1 α2 α3 αn + 2 + 3 + .... + n + ... 10 10 10 10 Ed ecco, finalmente ottenuto il significato più interessante (ed anche più naturale, dopo tutto!) di un allineamento decimale: è una particolare somma infinita (o serie) che rappresenta il nostro numero reale. Ad esempio possiamo scrivere: CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 70 1 1 1 1 1 = + 2 + 3 + ... + n + ... 9 10 10 10 10 √ 2=1+ 1 4 2 4 + 2 + 3 + 4 + ... 10 10 10 10 La serie geometrica Come abbiamo detto, rinunciamo a svolgere qui la teoria generale delle somme infinite (o serie). Vogliamo però segnalare una particolare serie che ha notevole interesse. Consideriamo la progressione geometrica di ragione x: 1, x, x2 . . . ., xn , . . . Sappiamo (1.26) che per x 6= 1 si ha: Sn = 1 + x + x2 + . . . + xn = 1 − xn+1 1−x Supponiamo ora che sia 0 ≤ x < 1. Risulta allora lim xn+1 = 0. n→+∞ Applicando i teoremi sui limiti, si ha: lim Sn = n→+∞ 1 1−x relazione che possiamo anche scrivere: 1 (2.15) 1−x Questa formula vale evidentemente anche per −1 < x < 0; possiamo dunque affermare che essa vale per |x| < 1. Per x ≥ 1, come è evidente, si ha S = lim Sn = +∞ n→∞ La formula 2.15 è molto bella ed ha svariate applicazioni. Vediamone alcune. 1 + x + x2 . . . . + xn + . . . = 1. Possiamo dare un’interpretazione geometrica della 2.15 per il caso particolare x = 21 . Sia AB un segmento di lunghezza 2; dividiamolo a metà mediante il punto A1 , quindi dividiamo a metà il segmento A1 B, mediante il punto A2 , poi dividiamo a metà il segmento A2 B, mediante il punto A3 e così via. A1 A A2 A3 B Si ha: An B = 2 1 = n−1 n 2 2 e perciò lim An B = 0. È allora del tutto intuitivo che si possa esprimere la lunghezza AB come somma (infinita) delle lunghezze AA1 , A1 A2 , A2 A3 , . . . 1 In effetti, si ha, dalla formula 2.15, sostituendo ad x: 2 1+ 1 1 1 1 1 + + + .... + n + ... = 2 4 8 2 1− 1 2 =2 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 71 2. Vediamo ora un’aplicazione probabilistica. Consideriamo questa situazione: un tiratore spara successivamente contro un bersaglio finché non lo colpisce. Supponiamo che sia p > 0 la probabilità che ha egli di colpire il bersaglio ogni volta che spara e supponiamo che p rimanga costante al crescere del numero dei tentativi. Qual è la probabilità che il tiratore riesca a colpire il bersaglio (non importa in quanti tentativi)? no sı̀ no sı̀ no sı̀ no sı̀ no sı̀ no sı̀ no sı̀ La situazione è descritta dal grafo in figura. Ogni vertice rappresenta un tentativo; da esso partono due rami in corrispondenza dei due possibili esiti. Quali sono gli eventi elementari favorevoli? Quelli che risultano da un insieme di n insuccessi (n ≥ 0) seguiti da un successo; essi sono rappresentati da un cammino formato da n archi diretti verso destra seguiti da un arco diretto verso il basso. Poniamo q = 1 − p (con ciò si esprime la probabilità di fallire il bersaglio). Le probabilità degli eventi elementari favorevoli sono: p, qp, q 2 p, . . . , q n p, . . . La probabilità richiesta è la somma dei termini di questa successione. posto: Sn = p + qp + q 2 p + . . . + q n p . . . calcoliamo il limite di Sn utilizzando la formula 2.15. Poichè è 0 ≤ q < 1 si ha: S = lim Sn = p · n→+∞ p 1 = =1 1−q p Dunque la probabilità cercata è 1, cosa che era intuitivamente prevedibile tenendo conto che è permesso al tiratore ripetere indefinitamente i suoi tentativi. Domandiamoci ancora: nella nostra analisi abbiamo preso in esame tutti gli eventi elementari favorevoli. Ma vi è anche qualche evento elementare sfavorevole? Evidentemente ve n’è uno solo, che consiste di infiniti insuccessi e che, nel nostro grafo è rappresentato dal cammino rettilineo infinito orientato verso destra. Quale probabilità compete a questo evento? Una probabilità inferiore a q n con n arbitrario, e quindi una probabilità nulla, essendo lim q n = 0. Questa osservazione completa la soluzione del nostro problema. 3. Un ultimo esempio che mette in luce l’importanza della formula 2.15 lo si trova con i numeri decimali periodici. Come sappiamo, l’allineamento decimale che rappresenta un numero razionale è, almeno da un certo punto in poi, periodico. La formula 2.15 ci permette - inversamente - di associare ad ogni allineamento decimale che sia definitivamente periodico una frazione che ha il medesimo valore e che è detta frazione generatrice. Ci basterà fare qualche esempio. Consideriamo l’allineamento decimale 0, 1111 . . . . (che viene anche scritto 0, 1). Come abbiamo visto, il suo valore è dato dalla somma infinita: 1 1 1 1 + 2 + 3 + ... + n + .... 10 10 10 10 Raccogliendo il fattore 1 e applicando la 2.15 si ottiene: 10 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 72 1 1 1 1 1 1 1 (1 + + 2 + 3 + . . .) = · = 1 10 10 10 10 10 1 − 10 9 Come ulteriore esempio, consideriamo l’allineamento decimale 1, 3232323232 . . . (che viene anche scritto 1, 32); esso si può scrivere: 32 32 32 + + + ... = 2 3 100 100 100 1 1 32 1+ + + . . . = =1+ 100 100 1002 32 1 32 100 131 =1+ · 1 = 1 + 100 · 99 = 99 100 1 − 100 1+ CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI Vocaboli e simboli Limite di una successione Successione convergente, divergente Definitivamente ∞ Classi contigue di numeri Elemento separatore Propietà di completezza Limitazione superiore, inferiore (maggiorante, minorante) Estremo superiore, inferiore Serie, somma della serie Frazione generatrice di un numero decimale 73 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 74 Esercizi paragrafo 2.1 1. Qual è il comportamento all’infinito delle seguenti successioni? an = n + n1 n+1 dn = cos n2 +1 bn = n 2 + 1 en = n−2 n+1 cn = (−1)n · n2 3 fn = nn−1 3 (Dare, per il momento, una risposta a livello intuitivo). 2. Quali fra le seguenti successioni non convergono ad un limite finito? 200+n n2 sin nπ 2 + an = dn = bn = en = 2 3−5n 2n−4 2n −10 n4 (−1)n ·3n (−1) qn+1 (n+2) fn = 9n+2 n cn = 3. Dimostrare che la successione an = n2 − 10n − 500 è definitivamente positiva 4. Esercizio svolto Dimostrare che: r lim n→∞ n2 − 10 = +∞ n Svolgimento Sia M un numero positivo arbitrario. Vogliamo far vedere che, per quanto esso possa essere grande, da un certo punto in poi tutti i termini della successione lo superano. Poniamo quindi la disequazione: r n2 − 10 >M n e svolgiamo i calcoli. n2 − 10 > M2 n da cui si ricava: n2 − nM 2 − 10 > 0 Il discriminante di questa√equazione è ∆ = M 4 + 40, sicuramente positivo, per cui la disequazione √ 2 2 4 4 è verificata per n < M − 2M +40 oppure per n > M + 2M +40 . La prima di queste due disequazioni non ha interesse ai fini del calcolo del limite, riguarda infatti un insieme che, essendo formato da interi negativi, è esterno al dominio di definizione della successione. La seconda disequazione, invece, ci assicura che se chiamiamo nM l’intero immediatamente √ M 2 + M 4 +40 successivo di (il fatto di aver scritto l’indice M serve a sottolineare che il valore di 2 questo intero dipende strettamente dal valore di M ), ogni termine della successione con indice maggiore di nM supera il valore M , e questo significa che la successione tende a +∞. 5. Data la successione an = n2 − 1000 n+1 (a) trovare un intero naturale m tale che am superi il valore 100. Per n ≥ m i valori di an superano tutti il valore 100 o qualcuno scende al di sotto di esso? (b) è possibile trovare un intero r tale che ar superi il valore 1000? Per n ≥ r, i valori di an superano tutti il valore 1000 o qualcuno scende al di sotto di esso? CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 75 (c) potremmo proseguire scegliendo valori ancora più grandi (un milione, un miliardo. . . ), ma il ragionamento sarebbe sempre lo stesso. Scegliamo allora un numero K > 0 e chiediamoci se esiste un intero s tale che ∀n ∈ N, n > s si abbia an > K. Se questo valore esiste abbiamo dimostrato che lim an = +∞. 6. Per le successioni bn = √ n 3n + 1 2 procedere in modo analogo a quanto fatto nell’esercizio precedente. cn = 7. Dimostrare che lim n − n2 = −∞ n→∞ 8. Dimostrare la seguente affermazione: se an e bn sono due successioni a valori reali, tali che per ogni intero naturale an ≤ bn e se lim an = +∞ allora anche lim bn = +∞. n→∞ n→∞ 9. Dimostrare che lim n! = +∞. n→∞ 10. Data la successione an = 4n − 5 2n (a) è possibile trovare un intero naturale n tale che 1, 5 < an < 2, 5? Questa disuguaglianza vale per tutti gli interi naturali maggiori di n? (b) è possibile trovare un intero naturale m tale che 1, 9 < am < 2, 1? Questa disuguaglianza vale per tutti gli interi naturali maggiori di m? (c) preso un qualsiasi numero reale , che potrebbe essere anche molto piccolo, è possibile dimostrare che esiste un intero s (che dipende da ) tale che ∀n > s si abbia che 2 − < as < 2 + ? Cosa possiamo dire di lim an ? n→∞ 11. Esercizio svolto Dimostrare, applicando la definizione di limite, che: 3n2 + 7 =3 n→∞ n2 + 4 lim Svolgimento Occorre dimostrare che, preso un qualsiasi numero reale > 0, vale definitivamente la disuguaglianza: 2 3n + 7 < − 3 n2 + 4 che equivale alla: −5 n2 + 4 < da cui si ricava, con pochi passaggi: n2 > 5 − 4 Se 5 − 4 < 0, cioè se > 54 la disequazione è verificata per ogni valore di n. Ser5 − 4 ≥ 0, si può estrarre la radice di ambedue i membri della disequazione, ottenendo n < r 5 − 4 5 − 4 − , oppure n > . CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 76 La prima delle due disuguaglianze non interessa, dal momento che n non può assumere valori rnegativi; consideriamo, quindi, solo la seconda. Sia n l’intero immediatamente successivo a 5 − 4 . Per ogni n ≥ n risulta verificata la disequazione scritta all’inizio, quindi si è dimostrato 3n2 + 7 che lim 2 =3 n→∞ n + 4 n2 + 2n + 3 = 1. n→∞ n2 12. Dimostrare che lim 13. Dimostrare, applicando la definizione di limite, che: 2 2n2 + 5 = n→∞ 3n2 − 1 3 lim e che: r lim n→∞ 9n + 4 =3 n 14. Esercizio svolto. n2 + 1 non è 1. n→∞ 2n2 + 1 Applicando la definizione di limite, verificare che lim n2 + 1 = 1, dovrebbe verificarsi da un certo indice in poi la disequazione: n→∞ 2n2 + 1 2 n +1 < − 1 2n2 + 1 Svolgimento Se fosse lim che, sviluppata, dà: −n2 2n2 + 1 < e infine: n2 (2 − 1) > − − . Poiché il primo membro è sempre positivo e il secondo negativo, 2 − 1 la disequazione è verificata per ogni indice n. Se invece < 12 , si ha n2 < , da cui si ricava 0 < n < . 1 − 2 1 − 2 Quindi la disequazione iniziale vale solo per un numero limitato di indici e non per ogni indice da un certo intero in poi. Non si può quindi affermare che il limite della successione è 1. Se 2 − 1 > 0, si ha n2 > 2n + 1 non è 3. n→∞ n (Occorre verificare che non è vero che preso un qualsiasi valore reale la successione definitivamente cade nell’intervallo (3 − ; 3 + )). 15. Applicando la definizione di limite di una successione, verificare che lim 16. Sia an una successione di numeri reali. Dimostrare che se an è infinitesima, lo è anche la successione bn = |an | e viceversa. 17. Sia an una successione di numeri positivi. Dimostrare che se lim an = +∞, allora lim a1n = 0, e viceversa. 18. Esercizio svolto Studiare la successione bn , dove b è un numero reale non nullo. Classificare i vari comportamenti possibili. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 77 Svolgimento Abbiamo dimostrato all’inizio di questo capitolo che se b > 1 la successione bn tende a +∞. Nel caso che sia b = 1, si ha la successione costantemente uguale a 1 il cui limite è 1. Se 0 < b < 1 si può ricorrereal teorema dimostrato nell’esercizio precedente, scrivendo che 1 1 n 1 n 1 = +∞ e quindi lim 1 n = 0 b = 1 n . Poiché b > 1, lim n→∞ b n→∞ b b Se −1 < b < 0 si osserva che lim |bn | = 0; per un teorema dimostrato in un esercizio precedente n→∞ possiamo affermare lim bn = 0 n→∞ Nel caso in cui b < −1, i termini della successione hanno valore assoluto crescente, ma segno alterno. La successione, quindi, non ha limite. 19. La successione an = n + (n − 1) sin nπ tende a +∞? 2 20. In un sacchetto ci sono inizialmente palline bianche e azzurre. Aggiungiamo successivamente palline azzurre; indichiamo con an la probabilità di estrarre una pallina azzurra e con bn la probabilità di estrarre una pallina bianca dopo aver aggiunto n palline azzurre. Quale è il comportamento della successione an ? e della successione bn ? 21. Variante dell’esercizio precedente: si aggiungono ogni volta due palline azzurre e tre bianche. Si ricerca ancora il comportamento delle successioni an e bn . 22. Considerata la successione di termine generale: an = 1 + 2 + 4 + . . . + 2n+1 an . 2n calcolare lim n→∞ 23. * È dato un quadrato P1 Q1 RS di lato unitario. Si costruiscono due successioni di punti Pn e Qn nel modo seguente: • P2 è il punto di intersezione fra le diagonali Q1 S e P1 R. • Qn è il punto di intersezione fra il lato RQ1 e la perpendicolare a tale lato abbassata da Pn . • Pn+1 è il punto di intersezione fra la diagonale P1 R e il segmento SQn . (a) esprimere in funzione di n le lunghezze RQn , Pn Qn , Qn Pn+1 ; (b) calcolare: Qn Pn+1 n→∞ Pn Qn lim 24. Dato il fascio di cerchi Cn di equazione x2 + y 2 − 2ny = 0 dove il parametro n è un intero naturale, siano Pn i punti di ascissa positiva ottenuti dall’intersezione della tangente a Cn nel punto (0, 2n) con Cn+1 . (a) trovare le coordinate del punto Pn ; (b) individuare l’equazione della curva cui appartengono tutti i Pn ; (c) esprimere l’ascissa xn+1 del punto Pn+1 in funzione dell’ascissa xn di Pn ; (d) esprimere la successione xn mediante il suo termine generale; (e) calcolare lim (xn+1 − xn ). n→∞ 25. Un segmento, che ha lunghezza a, (a ∈ R+ ), viene diviso in n parti uguali. Sulle prime n − 1 parti si costruisce un triangolo equilatero, mentre l’ultima si lascia stare. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 78 (a) Sia An la somma delle aree di tutti i triangolini della n-esima suddivisione. Calcolare: lim An n→∞ (b) Sia Pn la somma dei perimetri di tutti i triangolini della n-esima suddivisione. Calcolare: lim Pn n→∞ 26. * Dato un intero n, si indichi con c(n) il numero di cifre della sua rappresentazione decimale. Ad esempio è c(3757) = 4. Si dimostri che: lim c(n) = +∞ n→∞ 27. Esercizio svolto Come sappiamo l’insieme dei numeri primi è infinito. Indichiamo con π(n) il numero dei numeri primi che non superano n. (Ad esempio π(2) = 1, π(3) = 2, π(10) = 4). Dimostrare che: lim π(n) = +∞ n→∞ Svolgimento Per mostrare che lim π(n) = +∞, possiamo scegliere in modo arbitrario un intero m. Si tratta di n→∞ far vedere che vale definitivamente la disuguaglianza: π(n) > m Consideriamo m numeri primi p1 , p2 , . . . , pm e sia r il più grande di essi. Per n ≥ r la disequazione scritta appena sopra è valida, dal momento che, fra i numeri primi inferiori ad n vi sono certamente perlomeno p1 , p2 , . . . , pm . Così è dimostrato che lim π(n) = +∞ n→∞ 28. Sia an una successione di numeri positivi. Dimostrare che: √ • se lim an = +∞, allora lim an = +∞; √ • se lim an = 0, allora lim an = 0. 29. * Una successione an ha la seguente proprietà: per ogni indice n si ha: an+1 − an ≥ 1 Qual è il suo limite? 30. Indicando con un la successione di Fibonacci, si dimostri che: lim un = +∞ n→∞ 31. * Si disegnino due quadrati di lato unitario aventi un lato in comune: si ottiene un rettangolo di lati 1 e 2. Su uno dei due lati più lunghi del rettangolo, esternamente ad esso, si disegni un quadrato: si ottiene un altro rettangolo; su uno dei lati più lunghi di quest’ultimo, esternamente ad esso, si disegni un quadrato. Si supponga di poter ripetere questa costruzione infinite volte, e sia ln la lunghezza del lato dell’n-esimo quadrato disegnato. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 79 (a) qual è il termine generale della successione ln ? (b) il rapporto fra le lunghezze dei lati di due quadrati consecutivi tende ad un limite per n che tende a ∞? (c) tale rapporto varia in modo monotono al crescere di n? 32. Sia definita la successione an = 1 n(n+1) . (a) calcolare lim an ; n→∞ (b) studiare la monotonia della successione; h k + ; n n+1 (d) a partire da quanto ricavato nel punto precedente, trovare un’espressione per la somma Sn = a1 + a2 + . . . + an ; (c) determinare due numeri reali h e k tali che sia an = (e) calcolare lim Sn . n→∞ 33. * (Esame di Stato 1999 - sessione straordinaria) È data una semicirconferenza γ1 di diametro AB = 2. Si costruisca una successione di triangoli nel seguente modo: b = α; • T1 è il triangolo ABC inscritto in γ1 , avente l’angolo ABC • T2 è il triangolo BCC 0 , inscritto nella semicirconferenza γ2 di diametro BC e che ha in comune con il triangolo ABC solo il segmento BC, essendo C 0 il punto di intersezione di γ2 con la parallela ad AB per C; • T3 è il triangolo CC 0 C 00 inscritto nella semicirconferenza γ3 , di diametro CC 0 , e che ha in comune c0 C 00 = α; col triangolo BCC 0 solo il segmento CC 0 , essendo l’angolo C C • T4 è il triangolo C 0 C 00 C 000 inscritto nella semicirconferenza γ4 di diametro C 0 C 00 e che ha in comune col triangolo CC 0 C 00 solo il segmento C 0 C 00 , essendo C 000 il punto di intersezione di γ4 con la parallela a CC 0 per C 00 , e così via. Il candidato: (a) determini le misure dei cateti dei triangoli T1 , T2 , T3 , T4 . . .; (b) dimostri che le aree σ1 , σ2 , σ3 , σ4 . . . dei triangoli T1 , T2 , T3 , T4 . . . sono termini di una progressione geometrica; (c) considerata la somma Sn dei primi n termini della suddetta progressione, dimostri che esiste il lim Sn e lo determini; n→∞ (d) determini il perimetro del poligono formato da T1 , T2 e T3 quando detto limite vale 4. Esercizi paragrafo 2.2 34. Esercizio svolto Calcolare il limite della successione: an = 4n2 + 2n − 1 3n2 + n + 10 Svolgimento Si possono dividere numeratore e denominatore per n2 (l’eventualità che sia n = 0 non ci interessa: stiamo considerando valori molto grandi di n) an = 4n2 +2n−1 n2 3n2 +n+10 n2 = 4+ 3+ 2 n 1 n − + 1 n2 10 n2 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 80 Chiamiamo bn e cn le successioni rispettivamente a numeratore e a denominatore. Per quanto abbiamo visto riguardo alle operazioni sui limiti, si ha: lim bn = 4 + lim n→∞ n→∞ 1 2 − lim =4 n n→∞ n2 1 1 + 10 lim 2 = 3 n→∞ n n→∞ n lim cn = 3 + lim n→∞ bn 4 = . n→∞ cn 3 Quindi lim an = lim n→∞ 35. Calcolare i limiti delle seguenti successioni: 1 1+ 2n + 3 , 5n + 7 n , n+1 1, n 2n2 + 3n + 5 3n2 + 5n + 2 36. Calcolare i limiti delle seguenti successioni: n2 − 3 , n+1 n+1 , n2 + 1 n2 − n, 37. Si consideri una successione del tipo an = Q(n) n4 − 1 n4 + 1 , dove P e Q sono polinomi. Che cosa si può dire, in termini generali, per il suo limite? (Gli esempi già considerati dovrebbero rendere più facile la risposta). 38. Fra le seguenti successioni, individuare quelle che non sono né convergenti né divergenti: an = √ en = n+1− √ 2n 2 bn = sin (3n−2)π 4 n+3 (−1)n n2 fn = n cn = (−1)n n+1 2n 3n−10 gn = (−1)n +1 2 dn = n2 + n(−1)n n hn = (−1)2n +1 n 2 39. Calcolare i limiti delle seguenti successioni: nπ 2 2 √+ n n+1 n n−1 · 3n−1 an = cos dn = 2 +1 bn = 3 + nn3 −1 √ √ en = n − 1 − n + 1 2n+4 5n−11 3n−1 + n+2 4 fn = ( 2n+1 n−4 ) cn = 40. Calcolare i limiti delle seguenti successioni: 2 +3n−1 √ an = n 2n n 2 2 n dn = n+1 − n+1 n bn = en = √ n3 +2n+7 √ 5 n3 +n+1 cos nπ √ 2 n+1 + sin nπ √ 2 n cn = fn = 1 n · 1 1− √1n sin nπ 2 3+cos nπ 2 41. Sia q(n) la somma dei quadrati dei primi n interi naturali. Calcolare: q(n) n→∞ n3 lim 42. In un riferimento cartesiano ortogonale di origine O siano date le parabole P di vertice (1, -1) e passante per l’origine e P 0 , simmetrica di P rispetto all’asse y. Un fascio di rette di equazione y = nx, dove n è un intero naturale, interseca P e P 0 in A e in B rispettivamente, oltre che nell’origine. Calcolare: lim OA + OB n→∞ CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 81 lim OA − OB n→∞ lim n→∞ OB OA OB n→∞ AB lim 1 43. Si consideri in un riferimento cartesiano ortogonale un ramo di iperbole equilatera di equazione y = , x con x > 0. Sia Pn il punto dell’iperbole di ascissa n, con n numero naturale (ovviamente n 6= 0). In Pn tracciamo la tangente all’iperbole, che incontra l’asse x nel punto An e la normale, che incontra l’asse x in Bn . Si verifichi che mentre l’area del triangolo An Bn Pn tende ad un limite finito per n che tende a ∞, il perimetro diverge. 44. * In un riferimento cartesiano ortogonale di origine O si disegni la semicirconferenza di centro C ↔ (1, 0) e raggio 1 appartenente al primo quadrante. Si considerino i punti Pn ↔ (0, n), con n numero naturale, e sia tn la tangente mandata da Pn alla circonferenza, diversa dall’asse y. Sia Tn il punto di contatto fra la circonferenza e la tn . (a) calcolare le coordinate xn e yn di Tn e la lunghezza del segmento Pn Tn ; (b) calcolare lim xn e lim yn ; n→∞ n→∞ (c) calcolare il limite per n che tende a +∞ del rapporto fra l’area del triangolo OPn Tn e l’area del rettangolo di vertici Pn , O e C. 45. Esercizio svolto In un sistema di riferimento cartesiano ortogonale di origine O si considerino la retta r di equazione x + y = 1 e il punto Q ↔ (−2, −1). Siano Pn i punti di intersezione fra r e le rette passanti per Q e di coefficiente angolare n, con n ∈ N. (a) esprimere in funzione di n le coordinate di Pn ; (b) calcolare l’area An del triangolo OPn Pn+1 ; An (c) calcolare lim . n→∞ An+1 Svolgimento (a) L’equazione della retta tn passante per Q è: y + 1 = n(x + 2) La sua intersezione con la retta r si ottiene risolvendo il sistema: y + 1 = n(x + 2) x+y = 1 2 − 2n 3n − 1 e si ottiene Pn = , 1+n 1+n CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 82 (b) Tutti i triangoli OPn Pn+1 hanno la stessa altezza se si considera il segmento Pn Pn+1 come base. Tale altezza è la distanza fra il punto Q e la retta r: h= √ | − 2 − 1 − 1| √ =2 2 2 La lunghezza del segmento Pn Pn+1 è: s 2 − 2n 2 − 2(n + 1) 2 3n − 1 3 − (n + 1) 2 − + − Pn Pn+1 = 1+n 1 + (n + 1) 1+n 1 + (n + 1) E facendo qualche calcolo si ricava: Pn Pn+1 √ 4 2 = (n + 1)(n + 2) Per cui l’area del triangolo OPn Pn+1 risulta: An = 8 (n + 1)(n + 2) (c) An lim = lim n→∞ n→∞ An+1 8 (n+1)(n+2) 8 (n+2)(n+3) = lim n→∞ n+3 =1 n+1 46. Tracciare in un riferimento cartesiano il grafico della semicirconferenza di equazione y = incontra in P , di ascissa negativa, e in Q, di ascissa positiva, l’asse x. √ 1 − x2 , che Le rette di equazione y = n1 , con n ∈ N, n 6= 0, tagliano la semicirconferenza in due punti An di ascissa negativa e Bn di ascissa positiva. Area(An Bn Cn ) . Se Cn ↔ (0, n2 ), calcolare lim n→∞ Area(An P QBn ) 47. Data la parabola di equazione y = 4x − x2 , sia y = nx, con n intero naturale, un fascio di rette che la intersecano nei punti Pn , diversi dall’origine. (a) trovare in funzione di n le aree Sn dei triangoli OPn Pn+1 ; Sn+1 . (b) trovare lim n→∞ Sn 48. Un tetraedro regolare ABCV ha spigolo n (n è un numero intero ≥ 2). Sugli spigoli AV, BV e CV rispettivamente si prendono i punti Pn , Qn e Rn , ciascuno a distanza n2 + n1 dal vertice V . Si proiettano ortogonalmente tali punti sulla faccia ABC ottenendo i punti Pn0 , Q0n e Rn0 . Calcolare il rapporto fra il volume del prisma Pn Qn Rn Pn0 Q0n Rn0 e il volume del tetraedro ABCV al tendere di n a ∞. 49. Un parallelepipedo rettangolo ha dimensioni a, b, c rispetto ad una certa unità di misura. Si operano successive modifiche al parallelepipedo: ogni volta il lato a viene dimezzato, mentre i lati b e c vengono aumentati di 10 unità. Se V0 è il volume iniziale e Vn il volume ottenuto dopo n modifiche: Vn ; V0 Vn+1 (b) calcolare lim . n→∞ Vn (a) calcolare lim n→∞ CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 83 50. Esercizio svolto In una certa località si è osservato che se il tempo in un certo giorno è bello, sarà bello anche il giorno dopo con probabilità 45 , se invece il tempo è brutto, la probabilità che sia bello il giorno dopo è 13 . Se oggi in quella località il tempo è brutto, qual è la probabilità che fra dieci giorni sia bello? Svolgimento Chiamiamo pn la probabilità di avere tempo bello al giorno n (la probabilità di avere tempo brutto in quel giorno è quindi 1 − pn ). Poiché oggi il tempo è bello p0 = 1 e inoltre: 4 1 pn+1 = pn + (1 − pn ) 5 3 da cui, con qualche calcolo, si ricava: 7 1 pn + (2.16) 15 3 Partendo da p0 si potrebbe arrivare a calcolare p1 e poi p2 fino a p10 , ma si tratta di una cosa piuttosto laboriosa. C’ è un modo più rapido ed elegante. Chiediamoci anzitutto se esiste un valore stazionario per la probabilità, cioè un valore per cui ∀n ∈ N si abbia pn+1 = pn . Se chiamiamo p questo valore, deve essere: pn+1 = p= 7 1 p+ 15 3 da cui si p = 58 . Definiamo allora qn = pn − 58 , cioè pn = qn + 85 . La relazione 2.16 diventa: 5 7 qn+1 + = 8 15 5 qn + 8 + 1 3 che si riduce a: qn+1 = 7 qn 15 Questa ultima relazione, insieme alla condizione iniziale q0 = p0 − 7 sione geometrica di termine iniziale 38 e di ragione 15 : È possibile a questo punto ricavare q10 5 8 = 3 8 definisce una progres- 3 7 n qn = 8 15 7 10 = 38 15 da cui: 5 ' 0, 625 8 Questo modo di ragionare ci permette anche di avere un’idea del comportamento all’infinito di pn : 5 lim pn = , ciò significa che la probabilità di avere bel tempo nella località considerata è 58 . n→∞ 8 p10 = q10 + 51. Nella situazione dell’esercizio precedente calcolare: (a) la probabilità che fra cinque giorni sia bel tempo, sapendo che oggi è brutto tempo; (b) la probabilità che fra cinque giorni sia brutto tempo, sapendo che oggi è brutto tempo. 52. ** Un dipendente di un’azienda ha il seguente comportamento per quello che riguarda la presenza al lavoro: se in un certo giorno è presente, vi è probabilità 12 che anche il giorno successivo sia presente, mentre se è assente vi è probabilità 34 che il giorno successivo sia presente. Si suppone che il giorno iniziale (giorno 0) egli sia presente. Indicando con pn la probabilità che egli sia presente nel giorno n-simo, studiare l’andamento di pn . CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 84 53. ** In un sacchetto ci sono 3 palline rosse e 2 azzurre. Una persona ha inizialmente nella mano sinistra una pallina rossa e compie successive estrazioni con queste modalità : estrae a caso una pallina dal sacchetto con la mano destra, mette nel sacchetto la pallina che ha nella mano sinistra, passa la pallina estratta dalla mano destra alla sinistra. Quale è la probabilità pn di estrarre una pallina rossa nell’n-sima estrazione? Come si comporta pn al tendere di n all’infinito? (Fare un grafo; per descrivere la situazione proposta nell’esercizio, possiamo pensare ad un sistema con due stati, secondo i due colori che può avere la pallina che si trova nella mano sinistra...). La teoria dei limiti presenta tante situazioni in cui non basta l’impiego dei soli teoremi dimostrati in questo paragrafo. Il lettore è invitato a rispondere ai successivi tre quesiti dapprima ’ sparando’ una congettura e cercando esempi. In un secondo tempo, eventualmente, cercherà di fare una dimostrazione. 54. Siano an e bn successioni a valori reali. Se lim an = +∞ , lim bn = +∞, come si comportano le successioni an + bn e an · bn ? 55. Sempre nell’ipotesi che lim an = +∞ , lim bn = +∞, come può comportarsi la successione an − bn ? E la successione abnn ? (Fornire il campionario di esempi più ricco possibile). 56. La successione an diverge a +∞; della successione bn si sa solo che bn ≥ k, dove k è una costante positiva. Che cosa si può dire della successione an bn ? 57. Calcolare il limite della successione √ 1 √ . n+1− n (Un artificio utile consiste nel moltiplicare il numeratore e il denominatore per √ √ √ 58. Calcolare il limite della successione n( n + 1 − n). √ n+1+ √ n) (Rifarsi all’esercizio precedente). 59. Calcolare i limiti: 1 lim n→∞ n2 n 2 , 1 lim n→∞ n n 2 , 1 lim n→∞ n2 n 3 (Ricordare le formule che rappresentano i numeri di Pascal). 60. Esercizio svolto n n n n Sia f (n) = + + + ... + . 0 1 2 n f (n) . n→∞ 5n Calcolare lim f (n) 2n = lim = Svolgimento Abbiamo già osservato che f (n) = 2n . Ne consegue che lim n→∞ 5n n→∞ 5n n 2 2 lim = 0, essendo < 1. n→∞ 5 5 61. * Calcolare i limiti: lim n→∞ 1 n b , n lim n→∞ 1 n b n2 dove b è un numero > 1 . (Porre b = 1 + k e servirsi dello sviluppo della potenza n-sima di (1 + k)). 62. ** Sia c(n) il numero delle cifre di n, nella rappresentazione decimale ordinaria. Calcolare il limite c(n) n→∞ n lim CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 85 63. * Dimostrare che, se una successione a1 , a2 , . . . , an , . . . tende a +∞ , anche la successione delle medie aritmetiche dei suoi primi n elementi, cioè la successione bn = 1 (a1 + a2 + . . . + an ) n tende a ∞. 64. Dimostrare che una successione an convergente è limitata (cioè : esiste una costante k tale che per ogni n è |an | ≤ k). 65. Dimostrare il seguente teorema, che è più forte del lemma 3: la successione prodotto di una successione limitata per una infinitesima è infinitesima. Esercizi paragrafo 2.3 66. Trovare un numero razionale compreso fra i numeri 17 33 e 67. Dimostrare che se ab e dc sono due numeri razionali, con razionale pq tale che ab < pq < dc 19 27 . a b < dc , è sempre possibile trovare un numero Questa è una proprietà caratteristica dell’insieme Q, chiamata densità: presi due qualsiasi numeri razionali, posso trovare un altro razionale che sta fra i due; (questa proprietà non vale in Z: non è detto che presi due interi esista un intero compreso fra i due, ad esempio quando i due interi considerati sono consecutivi). √ 68. Con una calcolatrice tascabile, trovare il valore di 7 mediante il procedimento di Erone con una precisione di 9 cifre decimali. Gli esercizi che seguono sono ancora prevalentemente rivolti ad approfondire la nozione di limite 69. Stabilire se le seguenti successioni hanno limite e, in caso affermativo, specificare quanto vale. an = n2 +2n n3 dn = cos(n π2 ) · n2 n π bn = tan( n+1 2) en = cn = (−1)n · (n + 10) 2n+1 5n−1 fn = √ 3 n2 + 1 70. Esercizio svolto Calcolare i seguenti limiti: (a) 2n − 1 n→∞ 2n + 1 lim (b) n2 n→∞ 1 + 2 + 3 + . . . + n lim Svolgimento 2n + 1 − 2 2 2n − 1 può esser scritta =1− n . n n 2 n+ 1 2 +1 2 +1 2 2 −1 Quindi lim n = lim 1 − n = 1. n→∞ 2 + 1 n→∞ 2 +1 n(n + 1) (b) Ricordando che 1 + 2 + 3 + . . . + n = si ha: 2 n2 n2 2n2 lim = lim n(n+1) = lim 2 =2 n→∞ 1 + 2 + 3 + . . . + n n→∞ n→∞ n + n (a) La frazione 2 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 71. Calcolare: 86 12 + 22 + 32 + . . . + n2 n→∞ (1 + 2 + 3 + . . . + n)2 lim 72. * Dimostrare il seguente teorema (che è detto ’teorema dei due carabinieri’): siano an e bn due successioni che tendono al medesimo limite l e sia cn una terza successione tale che an ≤ cn ≤ bn ; allora anche cn tende al limite l. 73. Esercizio svolto sin n − cos n . Calcolare lim n→∞ n Poiché ciascuna delle funzioni sin n e cos n è limitata fra −1 e 1, si può scrivere −2 < 2 sin n − cos n 2 2 2 sin n − cos n < 2 e quindi − < < . Le successioni − e tendono ambedue a n n n n n sin n − cos n 0. Per il teorema ‘dei due carabinieri’ dimostrato appena sopra anche la successione n tende a 0. Svolgimento 74. Sia an una successione che tende al limite l e sia k un intero fissato; allora risulta lim an+k = l 75. * Sia an una successione di numeri positivi, infinitesima. Trovare una successione bn , anch’essa infinitesima, tale che lim abnn = +∞; trovare una successione cn , sempre infinitesima, tale che lim acnn = 0. (Potremo dire che bn tende a zero più lentamente di an , mentre cn tende a zero più velocemente di an ). 76. Esercizio svolto Sia an la successione così definita: a0 =α an+1 = han + k (a) caratterizzare la successione quando h = 1 e k 6= 0. Qual è il termine generale in questo caso? La successione ha limite? In caso affermativo, quanto vale? (b) caratterizzare la successione quando h 6= 1 e k = 0. Qual è il termine generale in questo caso? La successione ha limite? In caso affermativo, quanto vale? (c) siano h 6= 1 e k 6= 0. Ponendo bn = an − x, dimostrare che esiste un valore di x per il quale la successione bn è una progressione geometrica di ragione h; trovare in questo caso il termine generale di bn . (d) a partire dal valore di bn trovato nel punto precedente, trovare il termine generale di an e calcolare, se esiste, lim an . In quali casi la successione converge? In quali diverge? n→∞ Svolgimento (a) se h = 1 e k 6= 0, la successione è definita dalla relazione: an+1 = an + k quindi è una progressione aritmetica di termine iniziale α e di ragione k e il termine generale è: an = α + nk La successione ha limite +∞ oppure −∞ a seconda che k sia positivo o negativo. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 87 (b) se h 6= 1 e k = 0, la successione assume la forma: an+1 = han ed è quindi una progressione geometrica di termine iniziale α e di ragione h : an = αhn . Se h > 0, la successione diverge, se −1 < h < 1 la successione converge a 0, se h < −1 la successione ha un andamento oscillante: non converge, né diverge. (c) se h 6= 1 e k 6= 0, ponendo bn = an − x, la relazione an+1 = han + k diventa: bn+1 + x = h(bn + x) + k cioè : bn+1 + x = hbn + hx + k k , si ha bn+1 = hbn : la successione 1−h k e ragione h: bn è una progressione geometrica di termine iniziale b0 = α − x = α − 1−h k bn = α − 1−h hn Nel caso in cui sia x(1 − h) = k, cioè se x = (d) poiché an = bn + x, si ha: an = k α− 1−h hn + k 1−h an converge per −1 < h ≤ 1, diverge per h > 1, negli altri casi ha un andamento oscillante. 77. La successione an è definita nel modo seguente: a0 =1 an+1 = 35 an + 2 esprimere il termine generale di an e calcolare lim an . n→∞ 78. Della seguente successione: a0 =4 an+1 = 13 an − 1 2 trovare il valore del decimo termine e il limite al tendere di n a ∞. 79. ** Si consideri la coppia di successioni xn , yn , così definita per ricorrenza: x0 = 1 y0 = 1 xn+1 = xn + yn yn+1 = 2xn + yn (a) verificare per induzione che la coppia (xn , yn ) soddisfa l’equazione yn2 − 2x2n = −1 per n pari e l’equazione yn2 − 2x2n = 1 per n dispari; 2 (b) dimostrare che lim xynn = 2. √ (Dalla seconda proprietà si può dedurre che lim xynn = 2: anche con questo metodo i Greci √ calcolarono 2). 80. * Qual è la probabilità che un numero preso a caso sia primo con 6, cioè non abbia fattori >1 in comune con 6? (In questi casi la probabilità viene intesa nel seguente modo: si considera dapprima la probabilità relativa all’insieme {1, 2, 3 . . . , n}, poi si fa tendere n all’infinito, ammesso che il limite esista. . . ). CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 88 81. Qual è la probabilità che il quadrato di un numero naturale preso a caso, scritto nella ordinaria rappresentazione decimale, termini per 9? 82. Esercizio svolto Si forma a caso una fila di n persone. Qual è la probabilità pn che due amici vengano a trovarsi vicini? Qual è lim pn ? n→∞ Svolgimento I casi possibili sono espressi dal numero di combinazioni di due oggetti in un insieme di n(n − 1) n ; i casi favorevoli invece sono n − 1, cioè il numero di coppie di oggetti n: = 2 2 adiacenti in una fila di n. 2 n−1 Quindi pn = n(n−1) = e lim pn = 0. n n→∞ 2 83. ** In un sacchetto ci sono a palline azzurre, b palline bianche, r palline rosse. Qual è la probabilità pn che in n estrazioni successive (con reimbussolamento delle palline estratte) escano palline di tutti e tre i colori? Qual è lim pn ? n→∞ 84. **Il capitano di una nave è un tipo molto indeciso. Si trova in un punto P0 e non sa se dirigersi verso il porto A o verso il porto B. Dirige la nave verso A, ma poi, raggiunto il punto P1 a metà strada, cambia idea e si dirige verso B; raggiunto P2 , punto di mezzo del percorso che congiunge P1 con B, si dirige verso A, fino al punto P2 a metà percorso,. . . e così via. Qual è la rotta della nave? Sarà interessante far vedere che tutti i punti Pn con n pari stanno su una retta, i punti Pn con n dispari su un’altra retta. Esercizi paragrafo 2.4 85. Esercizio svolto Dimostrare che la successione an = n+6 è definitivamente decrescente. n − 10 Svolgimento Occorre mostrare che da un certo valore di n in poi an > an+1 : n+6 (n + 1) + 6 > n − 10 (n + 1) − 10 n+7 n+6 > n − 10 n−9 n+6 n+7 − >0 n − 10 n − 9 da cui si ricava, dopo alcuni calcoli: 16 >0 (n − 10)(n − 9) Per n ≥ 11 i due fattori (n − 10) e (n − 9) sono positivi, quindi l’ultima disequazione (e perciò la prima) è verificata. Dall’indice n = 11 in poi, quindi, la successione è decrescente. 86. Dimostrare che la successione an = n2 − 10n − 24 è definitivamente crescente 87. Dimostrare che la successione an = n+2 è limitata e crescente n+3 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 89 88. Studiare la monotonia della successione an = n2 + cos(nπ) n+3 89. Formulare in modo significativo la negazione della seguente frase, che si riferisce ad un insieme T di numeri reali: ’esiste in T un elemento che è maggiore o uguale ad ogni altro elemento di T ’ (cioè ’T ha un elemento massimo’). 90. In quali casi l’insieme dei valori assunti da un polinomio di secondo grado (in R ) è limitato superiormente? 91. Esercizio svolto Al variare di n in N l’insieme I = n−1 n2 + 1 ha estremo superiore? Ha estremo inferiore? Ha massimo? Ha minimo? Svolgimento Si può anzitutto dimostrare che la successione an = te, infatti impostando la disequazione: n−1 è definitivamente decrescenn2 + 1 n+1−1 n−1 < 2 2 (n + 1) + 1 n +1 con alcuni semplici calcoli si arriva alla disequazione: n2 − n − 2 > 0 la cui equazione associata ha soluzioni n = 2 e n = −1. La seconda soluzione non ha interesse, essendo il problema ambientato in N, mentre la prima soluzione assicura che an decresce per n > 2; quindi ∀n > 2, an > an+1 . L’estremo superiore dell’insieme va quindi cercato fra gli elementi della successione ad indice minore o uguale a 2. Si ha a0 = −1, a1 = 0 e a2 = 51 . Se ne deduce che max I = 51 . Per la ricerca dell’estremo inferiore di I, si può osservare che per n ≥ 0 gli elementi dell’insieme sono positivi o nulli, mentre l’elemento ottenuto sostituendo a n il valore 0 è negativo: pertanto è questo termine il valore minimo dell’insieme I. 92. L’insieme A = n2 − 1 n2 + 1 al variare di n in N ha estremo superiore? Ha massimo? Ha estremo inferiore? Ha minimo? 93. Si ripeta l’esercizio precedente per gli insiemi 10n − 7 A= , n ∈ N, n 6= 0 n2 e B= 3n + 2 , n ∈ N, n 6= 2 2−n 94. Esercizio svolto Data la successione an definita per ricorrenza nel seguente modo: a0 = 0√ 6 + an an+1 = (a) dimostrare che essa è crescente; (b) dimostrare che essa è limitata; (c) calcolare lim an . n→∞ CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 90 Svolgimento (a) osserviamo preliminarmente che, a parte il termine iniziale che è nullo, la successione è a termini positivi. √ Si procede per induzione su n. Verifichiamo anzitutto che a0 = 0 < a1 = 6. Supponiamo √ quindi per ipotesi induttiva che sia an−1 < an , cioè che sia 6 + an−1 > an−1 . Sommando 6 ad ambo i membri, otteniamo: 6+ Poiché an = √ p 6 + an−1 > 6 + an−1 6 + an−1 , è 6 + an−1 = a2n e l’equazione scritta sopra si può riscrivere: 6 + an > a2n e quindi: a2n+1 > a2n da cui si ricava (essendo la successione a termini positivi): an+1 > an che è proprio ciò che volevamo dimostrare. La successione risulta quindi crescente. (b) anche la limitatezza di an può essere dimostrata per induzione. Poichè an è crescente, è limitata inferiormente dal suo primo termine, che è 0. Sia K ≥ 0 una limitazione superiore per i primi n termini della successione. A quali condizioni K è una limitazione superiore anche per il termine an+1 ? Deve valere: an+1 = √ 6 + an ≤ √ 6+K ≤K L’ultima disequazione scritta sopra equivale alla K 2 ≥ 6 + K, che a sua volta equivale a K ≥ 3 oppure K ≤ −2. Questa ultima possibilità non interessa, dato che la successione è a termini positivi. Si conclude, quindi, che ogni valore ≥ 3 è una limitazione superiore per an . In particolare 3, che è la più piccola delle limitazioni superiori, è l’estremo superiore per i termini della successione. (c) Avendo dimostrato che an è crescente e che il suo estremo superiore è 3, per il teorema 12 possiamo affermare che lim an = 3. n→∞ Ma possiamo anche vedere la cosa in un altro modo: Sia l = lim an . Poiché per ogni n si ha: n→∞ a2n+1 = 6 + an i teoremi relativi alle operazioni algebriche sui limiti ci garantiscono che: l2 = 6 + l Questa equazione ha come risultato l = −2 e l = 3. La prima soluzione va esclusa perchéuna successione a termini non negativi non può avere limite negativo. L’altra soluzione è il valore che cerchiamo. 95. Si consideri la successione an così definita per ricorrenza: a0 = 1 √ 1 + an an+1 = si dimostri che essa è limitata e crescente, e se ne calcoli il limite. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 91 96. La successione an è così definita: a0 = 0 an+1 = a2n + 2 (a) dimostrare che ∀n ≥ 2 la successione è limitata fra i valori 2 e 4; (b) dimostrare che an è crescente; (c) trovare lim an . n→∞ 97. Sia bn una successione definita come la an dell’esercizio precedente, eccetto il fatto che il termine iniziale è b0 = 8. (a) dimostrare che ∀n ∈ N la successione è limitata fra i valori 4 e 8; (b) dimostrare che bn è decrescente; (c) trovare lim bn . n→∞ 98. Esercizio svolto In un riferimento cartesiano ortogonale tracciare la retta r per i punti A0 ↔ (0; 3) e A1 ↔ (2; 2). La retta s passa per A0 e ha pendenza − 23 . Il suo punto di intersezione con l’asse x è B1 . Da questo punto si manda una retta verticale che incontra la retta r in A1 ; da A1 si scende all’asse x con un segmento di pendenza − 32 e si ottiene il punto B2 . Procedendo così a zig zag si individua una successione di triangoli An Bn Bn+1 (supponendo che B0 coincida con l’origine del riferimento). Mostrare che le aree di questi triangoli formano una progressione geometrica. Svolgimento Anzitutto si può trovare l’equazione della retta r: y = − 12 x + 3. Si cerca poi di esprimere l’ascissa xn+1 del punto Bn+1 in funzione dell’ascissa xn di Bn , tracciando da Bn la verticale, di equazione x = xn , che incontra la retta r nel punto An di coordinate (xn , − 12 xn + 3). Il punto Bn+1 si trova come intersezione fra l’asse delle ascisse e la retta passante per An di pendenza − 32 : y + 12 xn − 3 = − 23 (x − xn ) y=0 da cui si ricava x = 32 xn + 2. Questa è l’ascissa del punto Bn+1 , quindi abbiamo ottenuto la relazione ricorsiva: 2 xn+1 = xn + 2 3 (2.17) con la condizione iniziale x0 = 0. Per calcolare l’area del triangolo An Bn Bn+1 è utile definire la successione xn mediante il suo termine generale, e lo si può fare utilizzando il metodo degli esercizi precedenti, che definisce una successione yn = xn − α, dove α è scelto in modo tale che yn sia geometrica. Ne deriva, nel nostro caso, che α = 6. La relazione 2.17 diventa: 2 yn+1 + 6 = (yn + 6) + 2 3 cioè: 2 yn+1 = yn 3 relazione che, insieme alla condizione iniziale y0 = x0 − 6 = −6, definisce la progressione n geometrica yn = −6 32 . CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 92 n Da questa ricaviamo xn = yn + 6 = 6 − 6 23 . La base del triangolo n-esimo si trova calcolando xn+1 − xn = 2 n triangolo è yn = 3 32 . Per cui l’area del triangolo n-esimo è: 1 An = · 2 2 2 n 3 , mentre l’altezza del n n n 2 2 4 ·3 =3 3 3 9 Abbiamo così verificato che la successione delle aree dei triangoli costituisce effettivamente una progressione geometrica. 99. Data la successione a0 =√ 0 an+1 = 10an + 11 (a) dimostrare che è limitata (per fare una congettura sull’estremo superiore può essere utile il calcolo di alcuni termini) (b) dimostrare che è crescente (c) calcolare lim an per n che tende a ∞ 100. Si studi la successione dell’esercizio precedente, cambiando però la condizione iniziale (a0 = 20 anziché a0 = 0). Si osservi che questa volta la successione oltre che limitata è decrescente, ma il limite rimane lo stesso rispetto a prima. 101. La successione così definita: a0 = 4 an+1 = 17an + 13 (mod 100) è limitata? Ha limite? 102. Data la successione an = n(n + 1), con n ∈ N (a) qual è la probabilità che, preso a caso un valore della successione, esso sia multiplo di 3? (b) sia Sn = a0 + a1 + a2 + . . . + an ; dimostrare per induzione che: Sn = n(n + 1)(n + 2) 3 (c) qual è il più piccolo indice n per cui Sn > 1000? an (d) dimostrare che la successione bn = 3 è monotona decrescente. n 103. In un riferimento cartesiano ortogonale si disegni il grafico del ramo di iperbole equilatera di equazione 1 y = , con x > 0. x Si consideri una successione di quadrati fra loro adiacenti, inscritti nella zona di piano compresa fra il grafico e il semiasse positivo dell ascisse, aventi un lato sul semiasse stesso e un vertice sul grafico, come in figura. Siano xn le ascisse dei vertici dei quadrati e ln le lunghezze dei loro lati. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 93 y x (a) esprimere xn+1 in funzione di xn (b) verificare che la successione ln è monotona decrescente e che tende a 0 per n tendente a ∞ è crescente. Esercizi paragrafo 2.5 104. Calcolare la somma infinita: 1 1 1 1 + + + + ... 1·2 2·3 3·4 4·5 (Tenere conto dell’esercizio 16 del capitolo 1.3) 105. Calcolare +∞ X k=0 n 2 5· 3 106. Calcolare +∞ X k=0 5· n 3 2 107. Calcolare +∞ X k=5 n 2 5· 3 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 94 108. Trovare la frazione generatrice dell’allineamento decimale 0, 675555555 . . . (0, 675) 109. Trovare la frazione generatrice dell’allineamento binario 0, 10101010 . . . (0, 10) 110. Trovare la frazione generatrice dell’allineamento decimale 0, 142857142857 . . . (0, 142857) e ridurla ai minimi termini 111. Ad un numero razionale corrisponde un allineamento decimale limitato (cioè avente un numero finito di cifre diverse da 0 dopo la virgola), oppure illimitato periodico. Stabilire in quali casi l’allineamento è limitato e in quali casi no. 112. Dimostrare che se un allineamento decimale illimitato non è periodico, ad esso corrisponde un numero irrazionale. 113. Dati due numeri reali α e β, con α < β trovare un numero razionale ab tale che a α< <β b Questa proprietà esprime la densità di Q in R: fra due numeri reali, anche ’vicinissimi’ fra loro è possibile collocare un numero razionale. 114. (dall’Esame di Stato 2001 per le scuole italiane in America Latina) Sn rappresenta la somma di n numeri in progressione geometrica di ragione Calcolare lim Sn . 3 7 e primo termine 7 3. n→∞ 115. Sommando gli infiniti termini di una progressione aritmetica è possibile ottenere una quantità finita? 116. Come è noto, l’inventore del gioco degli scacchi chiese di essere compensato con chicchi di grano: un chicco sulla prima casella, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via, sempre raddoppiando il numero dei chicchi, fino alla 64-esima casella. Assumendo che 1000 chicchi pesino circa 37, 5 g, calcolare il peso in tonnellate della quantità di grano pretesa dall’inventore. 117. Esercizio svolto I cerchi Cn di uno stesso fascio sono tangenti internamente in uno stesso punto. Se rn è il raggio del cerchio Cn , si ha rn+1 = 12 rn , inoltre r0 = 1. Sia A2n la figura che si ottiene togliendo al cerchio C2n il cerchio C2n+1 . Trovare la somma delle aree di tutte le A2n al tendere di n a ∞. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 95 Svolgimento Passando da un cerchio al successivo l’area diventa quattro volte più piccola, perché il raggio dimezza. L’area che cerchiamo è: π− π π π + − + ... 4 16 64 Si tratta di una somma infinita di termini di segno alterno; per calcolarla basta vederla come somma di un’infinità di termini positivi: π+ π π 1 16 + 2 + ... = π = π 1 16 16 15 1 − 16 e di un’infinità di termini negativi: − π π π 1 π 16 − − ... = − · =− · 1 4 64 4 1 − 16 4 15 Sommando le due quantità, si ottiene la misura della somma delle aree cercate. 118. Lancio una pallina di gomma sul pavimento ed essa tocca terra ad una distanza di 1, 5 m da me. Rimbalza alcune volte in modo che la lunghezza di ogni rimbalzo sia 32 della lunghezza del rimbalzo precedente. Qual è la massima distanza da me che la pallina può raggiungere? 119. Calcolare la somma 1 + 2x + 3x2 + . . . . + nxn−1 + . . . dove è |x| < 1. (Tenere presente il risultato dell’esercizio 99 del paragrafo 1.3) 120. Riprendere il problema del tiratore (punto 2 di questo paragrafo). Qual è il numero medio di colpi che sono necessari per colpire il bersaglio? (Tenere presente che basta un solo colpo se si ha un successo al primo tiro, ne occorrono 2 se si ha un solo insuccesso, tre se gli insuccessi sono 2, eccetera . . . ). Si è condotti ad una somma infinita. 121. Dato il sistema di due equazioni nelle incognite x e y a coefficienti reali: ax + by = h cx + dy = k con ad − bc 6= 0, sia (x0 , y0 ) la sua soluzione. Se ai coefficienti a, b, c, d si sostituiscono rispettivamente a2 , 2b , 2c , d2 si ottiene la soluzione (x1 , y1 ). Dividendo ulteriormente a metà i coefficienti di x e y si ottiene la soluzione (x2 , y2 ). Ripetendo il procedimento n volte si ottiene la soluzione (xn , yn ). (a) che relazione c’è fra (xn+1 , yn+1 ) e (xn , yn ) ? (b) che relazione c è fra (xn , yn ) e (x0 , y0 )? (c) quali sono lim xn e lim yn per n che tende a ∞? 122. Esercizio analogo al precedente: anziché dividere i coefficienti delle incognite per 2 si dividono per r, dove r è un numero reale diverso da 0. Esaminare i vari casi. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 96 123. (dall’Esame di Maturità 1995) In un piano riferito ad un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxy è dato il punto A0 ↔ (1, 0). Si costruisca il triangolo rettangolo OA0 A1 avente il vertice A1 sull’asse delle ordinate e sia α l’angolo c0 A1 . Si conduca per A1 la perpendicolare alla retta A0 A1 che incontra l’asse delle ascisse in A2 ; OA si conduca per A2 la perpendicolare alla retta A1 A2 che incontra l’asse delle ordinate in A3 e così via, ottenendo una spezzata A0 A1 A2 A3 . . . An−1 An i cui vertici di indice dispari appartengono all’asse delle ordinate e quelli di indice pari all’asse delle ascisse. Il candidato: (a) dimostri che le lunghezze dei lati della spezzata sono in progressione geometrica e calcoli la lunghezza ln della spezzata; (b) determini il limite di ln al tendere di n all’infinito distinguendo i due casi: 1) α < π 4 2) α > π 4 e verificando che nel caso 1) detto limite assume valore finito l(α); (c) descriva una procedura che, con riferimento alla definizione di progressione geometrica, consenta di calcolare la lunghezza ln della spezzata A0 A1 A2 A3 . . . An−1 An e la codifichi in un linguaggio di programmazione conosciuto. 124. ** In cucina vi sono due recipenti A e B: nel primo c’ è un chilo di farina, nel secondo un chilo di zucchero. Una cuoca creativa mette in atto la seguente procedura: prende un etto del contenuto di B, lo aggiunge ad A, mescola tutto, in modo da ottenere una miscela omogenea, poi prende un etto del contenuto di A, lo passa in B e mescola bene. Qual è la percentuale fn di farina presente in A dopo aver ripetuto questa strana procedura per n volte? Quale sarà questa percentuale per n che tende a ∞? 125. ** Una sfera fatta di materiale conduttore di elettricità quando viene caricata con una carica Q si porta ad un potenziale V che è direttamente proporzionale alla carica presente sulla sfera ed inversamente proporzionale al raggio R della sfera stessa. Inoltre se due conduttori vengono posti a contatto si portano allo stesso potenziale. Supponiamo di avere due sfere conduttrici, una di raggio R, inizialmente scarica ed una di raggio r che ha la funzione di sfera caricatrice, cioè viene posta a contatto con un generatore, da cui acquisisce una carica q e poi, collegata mediante un lungo filo all’altra sfera, le cede un po’ della sua carica. (a) calcolare la quantità di carica Q1 presente sulla sfera di raggio R dopo il primo contatto; (b) calcolare la quantità di carica Qn dopo n contatti con la sfera caricatrice; (c) calcolare qual è la massima quantità di carica che la sfera di raggio r può collocare sulla sfera di raggio R, supponendo che il numero di contatti fra le due sfere possa tendere a ∞ 126. ** Dato un triangolo equilatero di lato b, si divida ciascun lato in tre parti uguali e sulla parte mediana si costruisca esternamente al triangolo iniziale un triangolo equilatero. Si calcolino il perimetro P1 e l’area A1 della figura così ottenuta. Si ripeta questo procedimento dividendo ogni lato in tre parti uguali e costruendo un triangolo equilatero esterno alla figura sulla parte centrale (non è un procedimento semplice da eseguire in pratica: la figura, sempre più frastagliata, viene chiamata ’fiocco di Von Koch’) CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 97 Si esprima il numero dei lati ln , la lunghezza del perimetro Pn e l’area An della figura ottenuta dopo aver ripeturo n volte la costruzione, e infine si calcolino i limiti di ln , Pn e An per n che tende a ∞. 127. * Una successione di numeri complessi zn = rn (cos αn + i sin αn ) è tale che rn è una progressione geometrica di ragione 23 e αn è una progressione aritmetica di ragione 23 π. (a) sapendo che z0 · z1 · z2 = 8, trovare i valori di z0 , z1 e z2 . (b) se Pn è il punto del piano complesso associato al numero zn , esprimere in funzione di n la distanza fra Pn e Pn+1 (può essere utile riflettere che per passare da un punto al successivo si compie una rotazione di 32 π). (c) se chiamiamo Sn la lunghezza della poligonale di vertici P0 , P1 , . . . , Pn , calcolare lim Sn . n→∞ CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 98 Soluzioni degli esercizi del capitolo 2 Paragrafo 2.1 1. an e bn tendono a +∞, cn non tende ad alcun limite, dn tende a 0, en e fn tendono a 1. 2. Le successioni dn e en . 3. La disequazione n2 − 10n − 500 > 0 è verificata ∀n ≥ 28. 5. (a) m = 111 (b) r = 1002 6. Per la successione bn , m = 10001, r = 1000001, per la successione cn , m = 67, r = 667. 7. Si √ fissa un valore arbitrario K positivo e si pone n − n2 < −K; la disequazione è verificata per n > 1+ 1+4K . 2 8. Basta scrivere per esteso la definizione di limite per an e poi sfruttare il fatto che ∀n, bn ≥ an . 9. Basta dimostrare che ∀n ∈ N, n! ≥ n e applicare il teorema enunciato nell’esercizio precedente. 10. (a) n = 6 ∀n ≥ 6 la disuguaglianza è verificata; (b) m = 26; 5 2 ; il limite della successione è 2. √ 1 + 1 + 3 12. Scelto un numero > 0, se n è il primo intero successivo a , si ha che: 2 n + 2n + 3 ∀n > n, − 1 < n (c) s è il primo intero successivo a 13. (a) Fissato > 0, ∀n > (b) Fissato > 0, ∀n > q 17 9 2 2n +5 2 si ha 3n − 2 −1 3 ≤ q si ha 9n+4 n − 3 ≤ + 4 (6+) 1 3 15. Ponendo 2n+1 n − 3 ≤ , si ricava che questa disuguaglianza è verificata solo per un numero finito di 1 termini ( n ≤ 1− ). Addirittura, se > 1 la disuguaglianza non è verificata per alcun intero. 16. Si tratta di applicare la definizione di limite. 17. Se lim an = +∞, ciò significa che ∀K > 0 esiste n ∈ N tale che ∀n > n, an > K; ponendo n→∞ 1 K... = 19. Provare a calcolare alcuni termini della successione. Si osserverà che c’è un termine ricorrente. . . 20. an = a0 + n a0 + b0 + n lim an = 1 n→+∞ 21. an = a0 + 2n a0 + b0 + 5n lim an = n→+∞ 2 5 bn = b0 a0 + b0 + n lim bn = 0 n→+∞ bn = b0 + 3n a0 + b0 + 5n lim bn = n→+∞ 3 5 CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 22. lim n→+∞ 99 an = 4. 2n 23. * 1 Pn Qn = RQn = n r 1 1 Pn+1 Qn = 1+ 2 n+1 n lim n→+∞ 24. Pn+1 Qn =1 Pn Qn √ (a) Pn = (2 n, 2n); (b) y = 21 x2 q (c) xn+1 = 2 √ (d) xn = 2 n (e) 25. (a) (b) xn 2 2 +1 lim (xn+1 − xn ) = 0 n→+∞ lim An = 0 n→+∞ lim Pn = 3a n→+∞ 26. * Preso un arbitrario K > 0, esiste certamente n tale che ∀n > n, c(n) > K: basta prendere n = 10[K] (il simbolo [x] designa la parte intera del numero x). 28. Basta applicare la definizione di limite usando K 2 ed 2 al posto di K ed . 29. * Si dimostra che an ≥ a0 + n, quindi lim an = ∞. n→+∞ 30. La successione è positiva e crescente; inoltre la distanza fra un termine e il successivo è sempre > 1, quindi si può applicare il teorema precedente. 31. * (a) ln = F ib(n), dove F ib(n) rappresenta l’n-esimo numero di Fibonacci; (b) si è dimostrato che F ib(n)2 = F ib(n − 1) · F ib(n + 1) ± 1. Da questo si ricava che : F ib(n + 1) F ib(n) 1 = ± F ib(n) F ib(n − 1) F ib(n − 1) · F ib(n) il secondo addendo del secondo membro tende a 0 al tendere di n a +∞, quindi il rapporto fra due termini successivi tende ad uno stesso valore; (c) l’alternanza dei segni nella relazione scritta sopra mostra che non vi è un andamento monotono. 32. (a) lim an = 0 n→+∞ (b) la successione è decrescente; (c) h = 1, k = −1; (d) Sn = 1 − (e) 1 n perché tutti i termini intermedi si cancellano; lim Sn = 1 n→+∞ 33. * (a) si ha una successione Tn di triangoli fra loro simili (rettangoli con un angolo di ampiezza α). Il rapporto di similitudine è cos α. Nel triangolo Tn il cateto adiacente all’angolo di ampiezza α misura 2 cosn α, il cateto opposto misura 2 sin α cosn−1 α; CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 100 (b) la ragione della progressione geometrica è cos2 α. cos α ; (c) lim Sn = 2 n→+∞ sin α 34 . (d) 15 14 + √ 5 Paragrafo 2.2 35. 1; 1; 2 2 ; . 5 3 36. +∞, 0; +∞; 1. 37. Occorre confrontare i monomi di grado più alto di P (n) e di Q(n): se il grado di P (n) è inferiore al grado di Q(n), il limite è 0, se è superiore il limite è +∞ o −∞ (dipende dal segno dei coefficienti di tali monomi), se i gradi dei due polinomi sono uguali il limite è finito. 38. bn , cn e gn . 39. lim an = +∞, lim bn = 3, lim cn = 17 3 , lim dn = 0, lim en = 0, lim fn = 16. 40. lim an = +∞, lim bn = 15 , lim cn = 1, lim dn = 0, lim en = 0, lim fn = 0. 41. Il limite della successione vale 31 . 42. Il terzo limite vale 1, tutti gli altri +∞. 1 1 43. Pn ↔ (n, ), An ↔ (2n, 0), Bn ↔ (n − 3 , 0). n n p 1 1 1 1 1 1 + 4 , il perimetro n + 3 + n4 + 1 . + L’area ha espressione 2 n n n3 n 44. * (a) Tn ↔ 2n2 ; 2n 1+n2 1+n2 ; Pn T n = n (b) lim xn = 2; lim yn = 0 (c) il limite del rapporto delle aree è 1. 46. Il limite del rapporto fra le aree è 12 . 47. Il limite del rapporto fra le aree è 1. 48. 49. 51. Vprisma 3 = n→+∞ Vtetraedro 8 lim Vn = 0; V0 Vn+1 1 (b) lim = . n→∞ Vn 2 7 5 (a) p5 = 58 − 85 15 ' 0, 611 (a) lim n→∞ (b) 1 − pn ' 0, 389 52. ** La probabilità tende a 53. ** pn = 1 3 − 15 n + 2 3 3 5 2 lim pn = . n→∞ 3 54. Ambedue le successioni tendono a +∞. 56. La successione an · bn diverge. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 101 57. La successione tende a +∞ 58. La successione tende al valore 21 . 59. I limiti sono 12 , +∞ e +∞. 61. * Tendono a +∞ ambedue le successioni. 62. **Il limite è 0. 63. Sia K > 0; poiché an → ∞ esiste r tale che ∀n > r, an > 2K. Sia n ≥ r, allora bn = a1 + a2 + . . . + ar−1 ar + ar+1 + . . . + an + n n Per n → ∞ il primo addendo tende a 0, mentre il secondo, formato da n − r + 1 addendi, ciascuno maggiore di 2K, tende a 2K. Quindi per n ≥ r, bn supera K e quindi tende a +∞. 64. Fissato > 0, la parte ‘finale’ della successione, cioè quella dal termine n() in poi, è confinata nella striscia [l−, l+], i rimanenti termini, quelli iniziali, formano un insieme finito, che è dotato di massimo e minimo. . . 65. Sia an limitata (cioè |an | < K) e bn infinitesima. Fissato > 0, occorre mostrare che definitivamente |an · bn | < . Ma |an · bn | < K · |bn |. Poiché an → 0, definitivamente |an | < K... Paragrafo 2.3 66. Un numero razionale compreso fra i due numeri dati è la media artimetica fra i due. 67. Un razionale che soddisfi la richiesta è, ad esempio, ad+bc 2bd . √ 68. Un’approssimazione per difetto di 7 può essere 2, quindi x0 = 2, da cui x1 = x2 = 12 x1 + x71 = 2, 647 . . . 1 2 2+ 7 2 = 2, 75, 69. Le successioni cn e dn non hanno limite; lim an = +∞, lim bn = +∞, lim en = 25 , lim fn = +∞. 71. Il limite è 0. 72. Fissato > 0, si ha |an − l| < da un certo indice n in poi e |bn − l| < da un certo indice m in poi. Per n > max(n, m), si ha l − ≤ an ≤ bn ≤ l + , ma cn deve stare fra an e bn , quindi. . . n 77. an = −4 · 35 + 5, lim an = 5 n→∞ 78. an = 19 4 · 1 n 3 lim an = − n→∞ − 3 4 3 4 79. ** (a) Le relazioni sono verificate per n = 0 (caso pari) e n = 1 (caso dispari). Ponendo (yn+1 )2 − 2(xn+1 )2 = (2xn + yn )2 − 2(xn + yn )2 e svolgendo i calcoli, si ottiene: (yn+1 )2 − 2(xn+1 )2 = −(yn2 − 2x2n ). Quindi i termini della successione yn2 − 2x2n cambiano di segno con l’incremento di 1 del parametro n. E poiché per n = 0 la successione ha valore −1, si arriva alla conclusione che per i pari il valore è −1 e per i dispari 1. CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI (b) basta scrivere 80. La probabilità è yn xn 2 = 102 2x2n ± 1 . x2n 1 3 81. La probabilità è 15 n n n n n n a+b a+r r+b a b r 83. ** pn = 1 − a+b+r − a+b+r − a+b+r + a+b+r + a+b+r + a+b+r lim pn = 1 n→∞ 84. ** Siano N e M due punti sulla retta AB tali che AN = M N = M B; si trova che i punti Pn con indice pari appartengono alla retta P0 M , mentre i punti Pn con indice dispari stanno sulla retta P1 N . Paragrafo 2.4 86. Per n > 5 la successione risulta crescente. 87. La successione è limitata superiormente da 1, è limitata inferiormente da 23 . 88. Per n ≥ 2 la successione è crescente. 89. ‘Per ogni x ∈ T esiste x ∈ T tale che x > x’. 90. L’insieme dei valori assunti dal polinomio è limitato superiormente se il coefficiente del termine di secondo grado è negativo. 92. sup A = 1 (ma non è il massimo) inf A = −1 (che è minimo) 93. max A = 13 4 , inf A = 0 max B = 5, min B = −11 95. La successione è limitata fra 1 e √ 1+ 5 lim an = . n→∞ 2 √ 1+ 5 2 96. lim an = 4. n→∞ 97. lim an = 4. n→∞ 99. La successione è limitata inferiormente da 0 e superiormente da 11; lim an = 11 n→∞ 101. La successione può assumere al massimo un numero finito di valori (gli interi compresi fra 0 e 99), quindi è limitata. È periodica, senza essere una successione costante, e quindi non ha limite. 2 3 (c) n = 14 √ x + x2 +4 103. xn+1 = n 2 n 102. (a) CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 103 Paragrafo 2.5 104. La somma è 1. Si dimostra anzitutto per induzione che Sn = n n+1 , quindi si calcola lim Sn . n→∞ 105. 15 106. +∞ 107. 160 81 108. 608 900 109. 2 3 110. 142857 999999 , (occorre riflettere che l’allineamento è binario, non decimale). che, semplificato, è uguale a 71 . 111. L’allineamento decimale è limitato se e solo se il numero si può esprimere come frazione decimale, cioè come frazione che abbia per denominatore una potenza di 10. Quindi il denominatore della frazione deve essere il prodotto di sole potenze di 2 o di 5. Se vi sono potenze di altri numeri, si ha una rappresentazione decimale illimitata periodica. 112. Se esso fosse periodico, si potebbe risalire alla sua frazione generatrice. 113. Se [α] 6= [β], il numero razionale può essere [α+β] 2 ; se [α] = [β], siano 0, a1 a2 a3 . . . e 0, b1 b2 b3 . . . la rappresentazioni delle parti decimali dei due numeri. Supponiamo che per ogni indice i < k sia ai = bi , mentre ak 6= bk ; allora il numero razionale cercato può essere [α] + 0,a1 a2 ...ak 2+0,b1 b2 ...bk 114. 49 12 115. No. Condizione necessaria affinché una somma infinita converga è che i suoi termini siano infinitesimi. 116. 6, 9175 × 1011 tonnellate. 118. 4, 5 m. 119. 1 (1−x)2 120. Il valor medio è p1 . 121. (a) xn+1 = 2xn yn+1 = 2yn (b) xn = 2n x0 yn = 2n y0 (c) se x0 = 0, lim xn = 0, se x0 6= 0, lim xn = +∞. Analogamente per la y. n→∞ 122. xn = n→∞ rn x0 yn = r n y0 se r > 1 xn e yn divergono per n che tende a ∞; se r = 1, lim xn = x0 e analogamente per la y; n→∞ se −1 < r < 1 sia xn che yn tendono a 0. Infine se r < −1 xn e yn non hanno limite. 123. (a) A0 A1 = cos1 α , An An+1 = tan αAn−1 An = 1 cos α tann α CAPITOLO 2. LIMITI DELLE SUCCESSIONI 104 1 − tann α 1 · ; cos α 1 − tan α se α ≥ 1, cioè se π4 ≤ α < π2 , lim ln = +∞; (b) ln = n→∞ se α < 1, cioè se 0 < α < π lim ln 4 , n→∞ = 1 1 1 1 − tan α = ; cos α · cos α − sin α 124. ** Sia fn è la quantità di farina, misurata in chili, presente in A dopo aver ripetuto n volte la procedura. Si può definire fn in modo ricorsivo: f0 = 1 1 9 fn + 11 fn+1 = 11 9 n Da cui si ricava il termine generale fn = 21 11 + 12 . Per avere la percentuale basta rapportare fn a un 1 chilogrammo. Il limite per n → ∞ è 2 (come del resto era prevedibile). 125. ** Sia Qn la quantità di carica presente sulla sfera di raggio R dopo che è stata caricata n volte. Si ha Q0 = 0. Qn si può esprimere in modo ricorsivo: Q0 = 0 R Qn + Qn+1 = R+r Rq R+r Il termine generale che esprime Qn è: Qn = e quindi lim Qn = n→∞ 126. ** P1 = 4b, A1 = n R R q 1− r R+r R q. r √ b2 3 3 l n = 3 · 4n Pn = 3 · 4 n 3 L’area An si può esprimere in forma ricorsiva: ( lim ln = +∞, n→∞ lim Pn = +∞, n→∞ 2 √ A0 = b 4 3 An = An−1 + √ b2 3 12 4 n−1 9 · √ 2b2 3 lim An = n→∞ 5 127. * (a) Una delle tre possibili soluzioni è: z0 = 3 − 21 − √ 3i 2 , z1 = 2, le altre due soluzioni si trovano a partire da questa mediante una rotazione di n √ (b) Pn Pn+1 = 23 19 √ (c) lim Sn = 3 19 n→∞ z2 = π 3 4 3 e di − 21 + 4π 3 . √ 3i 2 ; Capitolo 3 Le funzioni continue Obiettivi Obiettivo generale del capitolo è introdurre il concetto di continuità di una funzione e dei più significativi risultati che si possono dedurre dalla continuità delle funzioni reali. Obiettivi specifici: • saper verificare la continuità di una funzione in un punto e in un intervallo, anche utilizzando l’algebra delle funzioni continue; • saper calcolare i limiti di funzioni, per comprenderne l’andamento in punti particolari o all’infinito; • disegnare grafici di funzioni, facendo ricorso alle caratteristiche che si possono individuare nell’equazione della funzione stessa (simmetrie, periodicità, limiti. . . ); • conoscere e saper applicare i principali teoremi sulle funzioni continue (teoremi degli zeri, del massimo, di inversione); • esaminare altri tipi di applicazioni continue, ad esempio curve parametriche o funzioni di più variabili. 3.1 Funzioni reali continue I termini ’continuo’, ’continuità’ sono usati nel linguaggio comune per indicare una modalità che si riscontra frequentemente nei fenomeni naturali. Ad esempio, diciamo che un corpo si muove con continuità per dire che esso non può scomparire per ricomparire istantaneamente in un punto lontano. Analogamente, verifichiamo che la crescita di un essere vivente avviene in modo continuo: esso raggiunge una certa statura solo dopo essere passato per tutte le stature intermedie, senza salti. Vediamo qualche esempio con maggiore dettaglio: • Registriamo l’andamento della temperatura dell’aria in una data località per alcune ore. Possiamo usare uno strumento (termografo) costituito da una lamina sensibile alla temperatura e da un rullo rotante su cui è avvolto un rotolo di carta. Alla lamina è collegata una punta scrivente che si sposta in corrispondenza alle variazioni di temperatura, tracciando sulla carta una linea, come quella rappresentata nella figura seguente. (T indica la temperatura in gradi centigradi ed t il tempo in ore). 105 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 106 T 15 10 5 0 12 36 24 48 t Osserviamo che il grafico si presenta come un tratto continuo, senza salti. • Vediamo ora - per contrasto - un fenomeno fisico che viene rappresentato con una legge di tipo discontinuo. Il grafico qui sotto rappresenta il volume (in cm3 ) di un grammo di H2 O in funzione della temperatura (misurata in gradi centigradi) alla pressione ordinaria di 1 atm. Per rendere il disegno più espressivo, si è rappresentato in ordinata, anziché il volume V , il volume diminuito di 1. Il grafico ha un andamento continuo nel tratto T > 0 (in cui H2 O è liquida) ed anche nel tratto T < 0 (in cui H2 O è solida, cioè si presenta come ghiaccio); nel punto T = 0 c’è un salto (che, nel disegno, è stato ridotto, per comodità ). V −1 0,0905 0,0002 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 T Riusciamo a ’farci una ragione’ dell’esistenza di questa discontinuità (che sembra in contrasto con l’affermazione ’natura non facit saltus’): infatti il punto T = 0 è punto di passaggio dalla fase liquida alla fase solida. Come è noto, solidificandosi l’acqua aumenta di volume. La definizione di funzione continua Cerchiamo ora di esprimere in termini matematicamente precisi la nozione di funzione di variabile reale, a valori reali, continua. Che cosa vogliamo intendere quando diciamo che una funzione f è continua nel punto x0 ? Intendiamo che, pur di restare abbastanza vicini ad x0 , i corrispondenti valori di f restano vicini quanto si vuole ad f (x0 ). Naturalmente, occorre precisare in termini matematici che cosa si intende per ’vicino’: basterà ricordare che la distanza fra due punti della retta reale di coordinate x e y è espressa da |x − y|. Ed ecco allora la definizione, che fu introdotta da Cauchy intorno al 1820, ed è una delle più importanti conquiste del pensiero matematico: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 107 Definizione 14 Si dice che la funzione f , a valori reali definita in un insieme D di R è continua nel punto x0 (appartenente al suo insieme di definzione), se per ogni > 0 esiste un δ > 0 tali che per ogni x ∈ [x0 − δ, x0 + δ] e appartenente a D si ha: |f (x) − f (x0 )| ≤ (3.1) Per capire questa definizione possiamo pensare - analogamente a quanto abbiamo fatto nel paragrafo 2.1 per la definizione di limite di una successione - ad un ’gioco a due’: il primo giocatore fissa a suo arbitrio un intervallo [y0 − , y0 + ] (dove y0 = f (x0 )), il secondo dovrà contrapporre un δ > 0 tale che, al variare di x nel dominio D di f e nell’intervallo [x0 − δ, x0 + δ] il punto f (x) non esca dall’intervallo [y0 − , y0 + ]: naturalmente, il primo giocatore, per prevalere, prenderà valori di sempre più piccoli; il secondo gli opporrà valori di δ che necessariamente saranno sempre più piccoli (ma sempre positivi, per rispettare le regole del gioco). La strategia del secondo giocatore consisterà dunque nel trovare una ’ funzione di risposta’ → δ() opportuna. y0 + ǫ y0 x0 + δ y0 − ǫ x0 x0 − δ Abbiamo rilevato che la struttura logica della definizione di continuità è molto vicina a quella della definizione di limite di una successione: più avanti vedremo che queste due nozioni sono strettamente legate. La definizione di continuità che abbiamo ora dato può essere interpretata in modo espressivo sul grafico della funzione; consideriamo infatti la striscia del piano racchiusa fra le due rette ’orizzontali ’: y = y0 − y = y0 + CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 108 y y0 + ǫ y0 y0 − ǫ 0 a x0 − δ x0 x0 + δ b x Ebbene: la nostra definizione esige che si possa trovare un intervallo (abbastanza piccolo) con centro in x0 , in corrispondenza del quale il grafico sia tutto contenuto nella striscia. La definizione data si completa in modo naturale con la seguente altra: Definizione 15 Si dice che la funzione f : D → R è continua in D se è continua in ogni punto di D. Può essere utile fare alcune precisazioni sull’uso del termine ‘intervallo’. Quando scriviamo [a, b] intendiamo l’insieme dei punti x della retta per cui a ≤ x ≤ b; si tratta dell’intervallo chiuso, in cui sono compresi anche gli estremi. Se invece gli estremi non sono compresi, cioè se l’insieme che consideriamo è l’insieme degli x tali che a < x < b, si parla dell’intervallo aperto (a, b). Infine vi sono gli intervalli (a, b] e [a, b), cui appartiene solo uno dei due estremi. Un intervallo della retta contenente un intervallo aperto cui appartiene un punto x0 viene chiamato intorno del punto x0 . Alcuni esempi interessanti Vediamo qualche esempio interessante di funzione continua: 1. La funzione x → x (identità ) è continua CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 109 y y0 + ǫ y0 y0 − ǫ 0 x0 − δ x0 x x0 + δ Prendiamo, infatti, un qualunque punto x0 e fissiamo un > 0 arbitrario. Vogliamo vedere per quali valori di x è soddisfatta la disuguaglianza: |f (x) − f (x0 )| ≤ cioè, nel nostro caso: |x − x0 | ≤ Si vede subito che basta prendere δ = perché per i punti dell’intervallo [x0 −δ, x0 +δ] la disuguaglianza sia soddisfatta. 2. La funzione x → x2 è continua. y y0 + ǫ y0 y0 − ǫ x0 − δ x0 x0 + δ x Prendiamo, infatti, un qualunque punto x0 e fissiamo un > 0, arbitrario. Vogliamo vedere per quali valori è soddisfatta la disuguaglianza: |x2 − x20 | ≤ (3.2) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 110 Per il nostro scopo, però, è inutile trovare tutte le soluzioni di questa disequazione: ci basta poter dimostrare che le soluzioni riempiono un intervallo simmetrico rispetto ad x0 . (Osserviamo che, nelle dimostrazioni di continuità è inutile in generale cercare il δ ottimale, cioè più grande possibile: basta trovare un δ > 0 tale che valga la 3.1. Ciò permette spesso di semplificare i calcoli.) Possiamo allora limitarci a cercare le soluzioni per cui è |x − x0 | ≤ 1. La 3.2 si può scrivere: |x − x0 ||x + x0 | ≤ Teniamo conto che è |x + x0 | ≤ |x0 | + |x| ≤ 2|x0 | + 1, essendo |x| ≤ |x0 | + 1. Pertanto, la 3.2 è certamente soddisfatta se si ha: |x − x0 |(2|x0 | + 1) ≤ cioè: |x − x0 | ≤ 2|x0 | + 1 Basta dunque prendere δ uguale al minore dei due numeri: 1, per soddisfare alle condizioni 2|x0 | + 1 volute dalla definizione. Quindi la funzione x → x2 è continua. 3. La funzione reciproco x → 1 , definita in R - {0}, è continua. x y y0 + ǫ y0 y0 − ǫ x0 − δ x0 Sia x0 un qualsiasi numero reale diverso da 0. Posto y0 = [y0 − , y0 + ]. x0 + δ x 1 , e preso un > 0 , consideriamo l’intervallo x0 Possiamo supporre che sia così piccolo che questo intervallo non includa lo zero. Domandiamoci per quali valori di x è soddisfatta la disuguaglianza: y0 − ≤ 1 ≤ y0 + x (3.3) Supponiamo dapprima che sia x0 > 0; per il modo con cui abbiamo preso , si ha y0 − > 0 . Dalla 3.3 ricaviamo allora che è x > 0 e, moltiplicando membro a membro per x,otteniamo: x(y0 − ) ≤ 1 1 ≤ x(y0 + ) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 111 da cui: 1 1 ≤x≤ y0 + y0 − 1 1 , , in cui vale la 3.3 contiene nel suo interno il punto x0 ; non importa che L’intervallo y0 + y0 − esso non sia simmetrico rispetto ad x0 : si potrà trovare un intervallo simmetrico contenuto in esso e tale perciò che in esso valga la 3.3. Quindi la funzione reciproco è continua nel punto x0 , se è x0 > 0. Lasciamo al lettore di apportare alla dimostrazione le semplici varianti che occorrono per il caso x0 < 0. 4. Le funzioni coseno e seno sono continue. La dimostrazione verrà data nel prossimo paragrafo, dopo che avremo dimostrato alcune interessanti proprietà delle funzioni continue. Per fare meglio risaltare la nozione di continuità diamo qualche esempio di funzione discontinua. 5. La funzione f così definita: f (x) = 1 0 per x ≥ 0 per x < 0 y 1 0 x non è continua nel punto 0, mentre è continua in tutti gli altri punti. 6. La funzione g così definita: g(x) = x per ogni x razionale −x per ogni x irrazionale è continua nel punto 0 e discontinua in tutti gli altri punti. (Non è possibile dare una rappresentazione grafica efficace di questa strana funzione ...). Lasciamo al lettore la verifica di quanto affermato riguardo a questi esempi. Continuità a destra e a sinistra Definizione 16 Si dice che f è continua a destra nel punto x0 di D se risulta continua in x0 la funzione che si ottiene restringendo la definizione di f ai soli punti x di D per cui è x ≥ x0 . (In altre parole, si considerano solo i punti di D che stanno a destra di x0 , i punti che stanno alla sinistra vengono ignorati). Analogamente si definisce la continuità a sinistra. Ad esempio, la funzione f dell’esempio 5) è continua a destra, ma non è continua a sinistra perché in ogni punto a sinistra di 0 vale 0, mentre in 0 vale 1. Osservazione 2 La definizione di funzione continua in un punto x0 - nei termini che abbiamo esposto - è molto generale: non ha bisogno di alcuna ipotesi sul sottoinsieme D della retta reale in cui la funzione è definita e nemmeno sul punto x0 di D. In particolare, la definizione si applica anche al caso in cui la funzione f sia definita in un intervallo [a, b] e il punto x0 sia uno degli estremi. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 3.2 112 Prime proprietà delle funzioni continue Vediamo ora alcune proprietà delle funzioni continue che si deducono abbastanza rapidamente dalla definizione. Teorema 13 (di permanenza del segno). Una funzione f a valori reali che sia continua e positiva in x0 si mantiene positiva in tutto un intervallo, contenuto nel dominio di f , che ha centro in x0 . y0 . Per la continuità di f in x0 possiamo trovare un intervallo 2 [x0 − δ, x0 + δ], contenuto nel dominio di f , tale che in esso risulti: Per ipotesi è f (x0 ) = y0 > 0. Poniamo = |f (x) − f (x0 | ≤ Da questa disuguaglianza ricaviamo, in particolare: f (x) − f (x0 ) ≥ − cioè: 1 1 f (x) ≥ f (x0 ) − = y0 − y0 = y0 > 0 2 2 Dunque in tutto questo intervallo f si mantiene positiva. 2 In modo analogo si dimostra che se è f (x0 ) < 0, la funzione f si mantiene negativa in tutto un intervallo contenuto nel dominio della funzione, con centro x0 . Teorema 14 La somma di due funzioni reali di variabile reale, entrambe continue in x0 , è una funzione continua in x0 . Teorema 15 Il prodotto di due funzioni reali di variabile reale, entrambe continue in x0 , è una funzione continua in x0 . Dei teoremi 14 e 15 non diamo la dimostrazione: essi hanno un enunciato molto simile a quello dei teoremi 5 e 6 del cap. 2 riguardanti le successioni e anche le dimostrazioni possono essere modellate su quelle di questi ultimi. (È un ottimo esercizio fare questa specie di trascrizione). Del resto, anche la dimostrazione del teorema 13 (di permanenza del segno) è del tutto simile a quella dell’analogo teorema sulle successioni (teorema 4 del cap. 2 ). Funzioni infinitesime È utile la definizione di funzione infinitesima, analoga a quella di successione infinitesima: Definizione 17 Una funzione si dice infinitesima in x0 se è continua in x0 ed è nulla in x0 . Si vede immediatamente che una funzione è continua in x0 se e soltanto se f (x) − f (x0 ) è infinitesima in x0 . Dunque una funzione f continua in x0 si può scrivere nella forma f (x) = f (x0 ) + α(x), dove α(x) è una funzione infinitesima in x0 . Nella parte finale di questo capitolo, il lettore che abbia desiderio di approfondire (e che abbia una sufficiente dose di tenacia) troverà una nuova dimostrazione dei teoremi 14 e 15, condotta da un punto di vista più generale, assieme ad altri interessanti risultati. Il seguente teorema è pure molto importante: Teorema 16 Siano f e g due funzioni reali di variabile reale componibili (cioè tali che il codominio di f sia contenuto nel dominio di g). Sia f (x0 ) = y0 ; allora, se f è continua in x0 e g è continua in y0 , la funzione composta g ◦ f è continua in x0 . CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 113 In breve: la funzione composta di due funzioni continue è una funzione continua. La dimostrazione è veramente semplice. Sia f (x0 ) = y0 , g(y0 ) = z0 per dimostrare che g ◦ f è continua in x0 , prendiamo, come sempre, un numero > 0 arbitrario, e consideriamo l’intervallo [z0 − , z0 + ]: poiché g è continua in y0 , esiste un δ > 0 tale che l’intervallo [y0 − δ, y0 + δ] sia contenuto nel dominio di g e venga mandato dalla g entro l’intervallo [z0 − , z0 + ]. D’altra parte, f è continua in x0 e pertanto esiste un σ > 0 tale che l’intervallo [x0 − σ, x0 + σ] sia contenuto nel dominio di f e sia mandato dalla f entro l’intervallo [y0 − δ, y0 + δ]. Allora è immediato constatare che la g ◦ f porta l’intervallo [x0 − σ, x0 + σ] entro l’intervallo [z0 − , z0 + ] e questo appunto dice che g ◦ f è continua in x0 . 2 Il disegno rende evidente lo schema della dimostrazione. y0 + δ z0 + ǫ y0 x0 + σ z0 x0 y0 − δ z0 − ǫ x0 − σ f g Si noterà come nella determinazione dei vari intervalli (di ampiezza δ, σ) si proceda ’a ritroso ’ rispetto all’ordine con cui le funzioni sono composte. Dai teoremi dimostrati seguono immediatamente alcuni importanti corollari. Corollario 1 Il prodotto di una funzione continua per una costante è ancora una funzione continua. Corollario 2 La differenza fra due funzioni continue è una funzione continua. Corollario 3 Se f è una funzione continua in x0 ed è f (x0 ) 6= 0, allora anche la funzione reciproco x → 1 f (x) è continua in x0 . 1 si può pensare f (x) composta dalle due funzioni f e g: y → y1 ; f è , per ipotesi, continua in x0 , g è continua in y0 = f (x0 ) essendo y0 6= 0 (come si è visto nell’esempio 3 del paragrafo precedente). Basta dunque applicare il teorema 16. Soltanto quest’ultima affermazione richiede qualche commento: la funzione x → Continuità delle funzioni seno e coseno 1. Anzitutto dimostriamo che la funzione x → sin x è continua nel punto 0. (Essendo sin 0 = 0, ciò equivale, secondo la definizione che abbiamo dato, a dimostrare che la funzione seno è infinitesima nel punto 0). In un riferimento cartesiano consideriamo il cerchio avente per centro l’origine O. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 114 Sia P un generico punto del cerchio e A ↔ (1, 0). Misurando gli angoli in radianti, possiamo chiamare [ che la lunghezza dell’arco •AP (su questo argomento torneremo, con x sia la misura dell’angolo AOP maggiore approfondimento, nel capitolo 5). Sia H la proiezione di P sull’asse delle ascisse: P H = | sin x|. Applichiamo la simmetria rispetto all’asse delle ascisse nella quale P 0 è immagine del punto P . Vale la disuguaglianza P P 0 < •P P 0 , infatti P P 0 rappresenta la distanza fra i punti P e P 0 ed è quindi minore o uguale alla lunghezza di ogni altra curva che collega i due punti. P α A H O P′ Ma P P 0 = 2| sin x|, mentre •P P 0 = 2|x|. Perciò possiamo scrivere: | sin x| ≤ |x| Useremo questa disuguaglianza per dimostrare la continuità della funzione seno nell’origine. π π Sia un numero positivo e arbitrario compreso fra − e . Dobbiamo dimostrare che esiste δ > 0 tale 2 2 che se |x| < δ allora | sin x| < . Basta per questo prendere δ = , infatti, per quanto appena dimostrato, è | sin | < ; poiché la funzione seno è crescente nell’intervallo che stiamo considerando, se x < è sin x < e se x > −, è sin x > sin(−) = − sin (questo perché la funzione seno è dispari). In definitiva, se |x| < , allora | sin x| < e questo è sufficiente a garantire la continuità della funzione seno nell’origine. 2. Sia x0 un punto qualsiasi; dimostriamo che la funzione x → sin x − sin x0 è infinitesima in x0 . Dalle formule di prostaferesi si ha: sin x − sin x0 = 2 sin x − x0 x + x0 cos 2 2 e da questa identità si ricava facilmente la disuguaglianza: x − x0 | sin x − sin x0 | ≤ 2 sin 2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 115 Da quanto dimostrato nel punto 1 di questo paragrafo e dal teorema 16 si deduce che la funzione: x − x0 x → 2 sin 2 è infinitesima in x0 . Si conclude che x → sin x − sin x0 è infinitesima in x0 . Dunque la funzione seno è continua in x0 . Osservazione 3 Abbiamo incontrato le formule di prostaferesi nella parte del corso relativa alla trigox + x0 x − x0 nometria. Per chi non le ricorda più, basta porre = p, = q; si tratta di verificare che 2 2 sin(p + q) − sin(p − q) = 2 sin q cos p: questa è un’ovvia conseguenza del teorema di addizione. 3. Per la funzione coseno, si parte dall’identità: cos x − cos x0 = −2 sin x + x0 x − x0 sin 2 2 da cui si ricava la disuguaglianza: x − x0 | cos x − cos x0 | ≤ 2 sin 2 e si conclude come prima. 3.3 Introduzione allo studio di una funzione Nella pratica corrente della matematica spesso diciamo: ‘la retta y = 2x+1’ o: ‘la parabola y = −x2 +2x−3’. Si tratta di modi di dire non corretti, perché quelle che abbiamo scritto sono relazioni funzionali fra una variabile x e una variabile y: retta e parabola sono le curve formate dai punti del piano cartesiano le cui coordinate soddisfano tali relazioni. La geometria analitica ci ha abituato ad associare curve geometriche a equazioni algebriche che legano due variabili (tre nel caso che si rappresenti una curva nello spazio), tanto che spesso sussiste una certa confusione linguistica tra enti algebrici e enti geometrici. Sorge spontaneo perciò il desiderio di associare ad una funzione f un grafico. A questo scopo saranno molto utili gli strumenti dell’analisi matematica, in particolare il calcolo differenziale che verrà sviluppato in seguito. Tuttavia già da ora possiamo utilizzare le nostre attuali conoscenze per condurre, a grandi linee, quello che viene chiamato lo studio di una funzione, e quindi per tracciarne con una certa precisione il grafico. L’insieme di definizione e il segno della funzione Le funzioni che abbiamo trattato fino ad ora sono quasi esclusivamente di variabile reale: ciò significa che la variabile indipendente appartiene all’insieme R. Ma non sempre tutti i valori di R possono essere effettivamente assunti dalla funzione, perché vi sono 1 vincoli legati all’espressione analitica della funzione. Ad esempio nella funzione x → il valore x = 0 x non può p essere assegnato alla variabile x perché si annullerebbe il denominatore della frazione. La funzione x → x(x − 1), invece, è soggetta alla limitazione x(x − 1) ≥ 0, cioè x ≥ 1 oppure x ≤ 0. Studiare il dominio di definizione (o campo di esistenza) della funzione f significa determinare il più ampio insieme di numeri reali per i quali hanno senso tutte le operazioni o funzioni elementari che compaiono nella f. Se il nostro lavoro ha come obiettivo il disegno del grafico della funzione, la determinazione del dominio di definizione ci permetterà di eliminare dall’asse x gli eventuali intervalli sui quali la funzione non è definita. Va ricordato inoltre che il dominio di definizione di una funzione potrebbe essere limitato dalle caratteristiche delle grandezze che vengono rappresentate: se, ad esempio, la variabile indipendente x è associata CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 116 all’altezza di un solido geometrico o una temperatura assoluta, non avrà senso studiare la funzione per valori negativi della x. Sempre ai fini del disegno del grafico ci sarà utile sapere per quali valori della variabile indipendente la funzione assume valori positivi o valori negativi. In tal modo si individuano sul riferimento cartesiano le zone dove il grafico della funzione potrà ‘abitare’. Funzioni simmetriche Supponiamo che il grafico di una funzione sia simmetrico rispetto all’asse y. Se il punto P ↔ (x, f (x)) appartiene al grafico, anche P 0 , simmetrico di P rispetto all’asse y dovrà appartenere al grafico. P 0 ha coordinate (−x, f (x)) e coincide con il punto (−x, f (−x)). In definitiva deve essere: f (−x) = f (x) y O x Quindi il grafico di una funzione definita in R è simmetrico rispetto all’asse y se per ogni x ∈ R si ha f (−x) = f (x). Esempi di funzioni simmetriche rispetto all’asse y sono x → ax2 , x → 3x4 + x2 + 2. . . Osserviamo che se nell’espressione di f (x) la variabile indipendente x compare solo con esponenti pari, il grafico della funzione è simmetrico rispetto all’asse y. Per questo una funzione il cui grafico è simmetrico rispetto all’asse y viene detta pari. Tuttavia questa non è una condizione necessaria, come è il caso, ad esempio, della funzione x → cos x. Una funzione il cui grafico sia simmetrico rispetto all’origine è tale che se il punto P ↔ (x, f (x)) appartiene al grafico, vi deve appartenere anche anche il punto P 0 ↔ (−x, −f (x)), e quindi dovrà accadere che: f (−x) = −f (x) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 117 y O x perché, come già sappiamo, in una simmetria rispetto all’origine le coordinate del punto A0 simmetrico di A sono date dagli opposti delle coordinate di A. Se consideriamo la funzione x → x5 − 4x3 + 2x, essa ha un grafico simmetrico rispetto all’origine. In generale, le funzioni polinomiali in cui compaiono solo potenze dispari della variabile sono simmetriche rispetto all’origine. Per questo le funzioni il cui grafico sia simmetrico rispetto all’origine vengono dette dispari. I termini ‘pari’ e ‘dispari’ non devono trarre in inganno: mentre un numero naturale è pari o dispari, una funzione non è detto che sia pari o dispari. Vi sono moltissime funzioni che non sono né pari né dispari. La simmetria del grafico di una funzione, rispetto all’asse y o all’origine, consente di tracciare il grafico solo per i valori positivi (o, in alternativa, negativi) della x e successivamente completare il disegno operando la simmetria. Funzioni periodiche Le funzioni x → sin x, x → cos x, x → tan x sono periodiche, perché a distanza di un intervallo di ampiezza 2π assumono valori identici: una traslazione di ampiezza 2π lungo l’asse x sovrappone i grafici di tali funzioni a se stessi. Nel caso della funzione x → tan x basterebbe una traslazione di ampiezza π. Diciamo quindi che x → sin x e x → cos x sono periodiche di periodo 2π, mentre x → tan x è periodica di periodo π. Se una funzione ha periodo T , ha anche periodo 2T , 3T . . . kT , con k intero positivo. Definizione 18 In generale, diciamo che una funzione definita in R è periodica se esiste un valore T > 0 tale che per ogni x ∈ R si abbia: f (x + T ) = f (x) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 118 y O x In genere si definisce periodo proprio della funzione il minimo, se esiste ed è diverso da 0, dei numeri reali positivi T per cui vale f (x + T ) = f (x). Vi sono funzioni che sono periodiche secondo la definizione appena data, ma che non hanno un periodo proprio: ad esempio la funzione costante x → k oppure oppure la cosiddetta funzione di Dirichlet: 1 perx irrazionale f (x) = 0 per x razionale Nel caso della funzione costante, ogni valore reale positivo può essere considerato un periodo; nel caso della funzione di Dirichlet ogni numero razionale positivo T (basta riflettere che la somma di due razionali è razionale, mentre la somma di un razionale e di un irrazionale è un irrazionale). Sapere che una funzione è periodica permette di farne lo studio su un intervallo di ampiezza uguale al periodo. Basterà poi replicare quello che si è ottenuto su tutto l’asse reale per ottenere il grafico della funzione nella sua interezza. Funzioni monotòne Definizione 19 Si dice che f è crescente se per ogni coppia di punti x1 , x2 con x1 < x2 si ha f (x1 ) < f (x2 ); si dice non decrescente se per ogni coppia di punti x1 , x2 con x1 < x2 si ha f (x1 ) ≤ f (x2 ). Analogamente, f si dice decrescente se per ogni coppia di punti x1 , x2 con x1 < x2 si ha f (x1 ) > f (x2 ); si dice non crescente se per ogni coppia di punti x1 , x2 con x1 < x2 si ha f (x1 ) ≥ f (x2 ). La conoscenza degli intervalli in cui una funzione cresce o decresce può essere utile a tracciarne correttamente il grafico. 3.4 I limiti delle funzioni Spesso ci si imbatte in questo problema: è data una funzione f , a valori reali, definita in un intervallo della retta reale, ad eccezione di un punto x0 ; ci si domanda: la si può definire anche nel punto x0 in modo che risulti continua in x0 ? Consideriamo, ad esempio, la funzione: √ √ x− 2 x→ (3.4) x−2 definita per x ≥ 0, eccetto che per x = 2. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 119 y 2 O x Possiamo definirla anche nel punto 2 in modo che risulti continua? In questo caso la risposta risulta affermativa, come si vede facilmente con un artificio. Infatti, per x ≥ 0, si può scrivere: √ √ √ √ x − 2 = ( x + 2) · ( x − 2) Allora si ha: √ √ √ √ ( x − 2) 1 x− 2 √ √ =√ √ = √ √ x−2 ( x + 2) · ( x − 2) x+ 2 È possibile dimostrare (vedi esercizio svolto 15 di questo capitolo) che la funzione x → poiché la funzione somma e la funzione reciproco sono continue, la funzione: x→ √ 1 √ x+ 2 √ x è continua; (3.5) 1 è continua anche per x = 2 ed ha valore √ . 2 2 La funzione assegnata 3.4 coincide, dove è definita, con la funzione 3.5, che è definita e continua anche nel 1 punto x = 2. È chiaro perciò che la 3.4 può essere definita anche nel punto x = 2 (col valore √ ) in modo 2 2 da risultare continua. Consideriamo invece la funzione segno di x che è definita per x 6= 0 in questo modo: 1 per x > 0 sgn(x) = −1 per x < 0 Essa non può essere definita anche nel punto 0 in modo tale da risultare continua. O L’esame del grafico rende evidente l’affermazione; facciamo, comunque, un ragionamento preciso: assegnamo alla funzione per x = 0 un valore λ. Fissiamo un numero > 0. Se la funzione così definita fosse continua si potrebbe trovare un δ > 0 tale che, al variare di x nell’intervallo [−δ, δ], i valori della funzione CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 120 appartengano all’intervallo [λ − , λ + ]; ma questo è impossibile se si prende < 1. Infatti, comunque si prenda λ, fra i valori della funzione ci sono 1 e - 1 che distano fra loro di 2 e che, pertanto, non possono essere contenuti in uno stesso intervallo di ampiezza minore di 2. Diamo a questo punto una definizione precisa; supporremo che f sia una funzione definita in un intervallo [a, b] della retta reale (o anche in un intervallo illimitato) eccetto che in un suo punto x0 Definizione 20 Si dice che la funzione f ha come limite λ al tendere di x ad x0 e si scrive: lim f (x) = λ x→x0 se ponendo f (x0 ) = λ la funzione f risulta continua in x0 . Ricordando la definizione di funzione continua in un punto, possiamo porre la definizione in quest’altra forma equivalente. Definizione 21 Si dice che la funzione f tende al limite λ al tendere di x ad x0 , e si scrive: lim f (x) = λ x→x0 se per ogni numero > 0 esiste un numero δ positivo tale che per ogni x del dominio di f per cui è |x − x0 | < δ, risulti: |f (x) − f (x0 )| < (3.6) Abbiamo supposto la funzione f non definita per x = x0 . Se la funzione f fosse definita nel punto x0 , occorrerebbe prescindere da questo valore; in questo caso il limite λ potrebbe benissimo risultare diverso dal valore f (x0 ) (in certi vecchi trattati di calcolo infinitesimale, il limite veniva detto ’valore vero’ della funzione f nel punto x0 : si voleva sottolineare che tra tutti i valori che si possono attribuire alla f nel punto x0 è da preferirsi quello che rende continua la funzione, cioè il limite). Nell’enunciare la definizione di limite in questo caso, basta evidentemente che la 3.6 valga per x 6= x0 . Il termine ’limite’ è già stato impiegato a proposito delle successioni. Viene spontaneo domandarsi: è proprio molto diversa la definizione di limite di una successione da quella di limite di una funzione? Confrontando le due definizioni, ci accorgiamo che non solo esse hanno la stessa struttura logica (pensiamo al solito ‘gioco a due’...) ma che esse, con un’opportuna interpretazione, diventano coincidenti. Nel caso di una successione an , la relazione: lim an = λ significa che, per ogni numero > 0, esiste un intero m tale che, per n ≥ m si ha: |an − λ| ≤ (3.7) Nel caso di una funzione f , la relazione: lim f (x) = λ x→x0 significa che, per ogni numero > 0, esiste un numero δ > 0 tale che nell’insieme [x0 − δ, x0 + δ] ∩ [a, b] (ad eccezione del punto x0 ) si ha: |f (x) − λ| ≤ (3.8) Come si vede, mentre la 3.7 deve valere per n ≥ m, la 3.8 deve valere per |x − x0 | < δ. L’analogia è perfetta se si considerano gli interi n con n ≥ m ’vicini’ al punto +∞, alla stessa maniera con cui i punti per cui è |x − x0 | < δ si pensano ’vicini’ al punto x0 . CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 121 Alcune proprietà del limite In base a questa analogia è facilissimo dimostrare le seguenti affermazioni ricalcando le dimostrazioni che abbiamo fatto nei paragrafi 2.1 e 2.2 per i limiti delle successioni: • Il limite è unico (effettivamente, se non vi fosse stato questo risultato di unicità, non sarebbe stato neppure lecito impiegare la notazione lim f (x) = λ, che presenta il limite come un’operazione univoca). x→x0 • Date due funzioni f e g definite in uno stesso intervallo, escluso il punto x0 dell’intervallo stesso, se si ha: lim f (x) = λ1 , lim g(x) = λ2 x→x0 x→x0 allora risulta: lim (f (x) + g(x)) = λ1 + λ2 x→x0 lim f (x) · g(x) = λ1 · λ2 x→x0 • Se è lim f (x) = λ ed è λ 6= 0, allora si ha: x→x0 lim x→x0 1 1 = f (x) λ Una dimostrazione delle affermazioni riguardanti il limite della somma, del prodotto di funzioni e del reciproco di una funzione può essere ottenuta utilizzando i teoremi analoghi che riguardano la continuità. Vediamo, ad esempio, la dimostrazione nel caso della somma. Sia dunque: lim f (x) = λ1 , lim g(x) = λ2 x→x0 x→x0 Allora, la funzione f diventa continua in x0 se si pone f (x0 ) = λ1 , mentre la funzione g diventa continua in x0 se si pone g(x0 ) = λ2 . La somma delle funzioni cosi ottenute: f + g è continua in x0 e vi assume il valore λ1 + λ2 . Ciò significa (ricordando la definizione di limite nella sua prima formulazione) che λ1 + λ2 è il limite della funzione f + g. 2 Analogamente si procede per le altre affermazioni. In modo analogo a quanto già visto per le successioni si può stabilire il significato delle relazioni: lim f (x) = +∞ x→x0 lim f (x) = λ x→−∞ lim f (x) = +∞ x→+∞ lim f (x) = +∞ x→−∞ e altre analoghe. Per ciascuna delle relazioni scritte si chiede di formulare la definizione precisa e di fornire almeno un esempio. Limiti di funzioni e limiti di successioni Il seguente risultato - del tutto intuibile e di uso frequente - assomiglia molto al teorema di composizione delle funzioni continue che abbiamo dimostrato nel paragrafo 3.2. Teorema 17 Sia xn una successione reale tale che lim xn = x ; sia f una funzione reale definita in un insieme D della retta reale comprendente tutti i punti xn e il punto x, e continua in x. Allora: lim f (xn ) = f (x) n→∞ CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 122 Dimostrazione: Fissiamo un numero > 0, ad arbitrio. Per la continuità di f in x, si può trovare un δ > 0 tale che, se |x − x| ≤ δ, con x ∈ D si ha |f (x) − f (x)| ≤ . A questo punto, determiniamo un m intero, tale che per n ≥ m risulti |xn − x| ≤ δ. Si ha allora, sempre per n ≥ m: |f (xn ) − f (x)| ≤ 2 Come si vede, anche la dimostrazione è molto simile a quella del teorema di composizione delle funzioni continue. Limiti da destra e da sinistra È abbastanza ovvio che cosa debba intendersi per limite di una funzione al tendere di x ad x0 da destra (o da sinistra). Il limite da destra di una funzione f coincide con il limite della funzione che si ottiene restringendo l’insieme di definizione di f ai soli punti x per cui è x > x0 . In altre parole, richiamandoci a quanto abbiamo detto nell’osservazione conclusiva del paragrafo 3.1, il limite al tendere di x ad x0 da destra è quel valore che si deve attribuire ad f nel punto x0 perché essa sia continua a destra. Ad esempio, la funzione parte intera x → [x] ha per ogni valore intero n sia il limite da destra (uguale ad n) sia il limite da sinistra (uguale ad n − 1). y x O Il fatto che questi due limiti non coincidono ci dice che la funzione parte intera è discontinua (cioè non continua) nei punti interi; tuttavia essa è continua a destra anche in questi punti (perché il valore coincide con il limite da destra). Useremo le notazioni: lim f (x) x→x+ 0 lim f (x) x→x− 0 per indicare i limiti di f al tendere di x ad x0 da destra e da sinistra, rispettivamente. 3.5 Le funzioni monotòne e i loro limiti Un’importante proprietà delle funzioni monotòne, analoga a quella espressa dal teorema 12 del paragrafo 2.4, è la seguente: Teorema 18 Per ogni punto x0 interno all’intervallo I di definizione una funzione monotòna ammette limiti finiti da destra e da sinistra. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 123 Dimostrazione. Supponiamo f non decrescente. Consideriamo l’insieme dei valori che f assume a sinistra di x0 , cioè l’insieme {f (x) : x < x0 }. Esso è certamente non vuoto (infatti esistono punti di I a sinistra di x0 ) ed è limitato superiormente (infatti per ogni x < x0 si ha f (x) < f (x0 )); allora esso ha un estremo superiore, che indicheremo con l. Dimostriamo che l è il limite da sinistra. Preso un > 0, esiste, per la definizione di estremo superiore, un punto x tale che x < x0 e che sia: l − < f (x) ≤ l Essendo la funzione f non decrescente, si avrà, per ogni x tale che x ≤ x < x0 : l − ≤ f (x) ≤ f (x) ≤ l Dunque per tutti i punti a sinistra di x0 e tali che 0 < |x − x0 | ≤ |x0 − x| si ha |f (x) − l| ≤ . Ciò dice appunto che il limite da sinistra è l. 2 Analogamente si dimostra che esiste il limite da destra. Anche l’estensione della dimostrazione al caso delle funzioni non crescenti è ovvia. La dimostrazione del teorema mette in evidenza, per una funzione f non decrescente, la disuguaglianza: lim f (x) ≤ f (x0 ) ≤ lim f (x) x→x− 0 x→x+ 0 I limiti da destra e da sinistra possono essere diversi (si pensi alla funzione parte intera); quando coincidono, il loro valore comune non può essere che f (x0 ) e la funzione f risulta continua in x0 Osservazione 4 La dimostrazione del teorema 18 sussiste anche se la funzione f non è definita in x0 (ferma restando l’ipotesi che f sia monotòna in I\{x0 } e che x0 sia interno ad I). 3.6 Il teorema degli zeri e il teorema del massimo In questo paragrafo raccogliamo i frutti più ricchi della teoria che abbiamo svolto, presentando alcuni importanti teoremi. Teorema 19 (degli ’zeri’ di una funzione continua) Una funzione continua, a valori reali, definita in un intervallo [a, b], se agli estremi di questo intervallo assume valori di segno opposto, si annulla almeno in un punto interno ad esso. Dimostrazione. Sia f la funzione continua; possiamo supporre che sia f (a) < 0, f (b) > 0 (se fosse f (a) > 0, f (b) < 0 i cambiamenti da introdurre nella dimostrazione sarebbero ovvi). La dimostrazione si fa descrivendo un algoritmo che fornisce un punto ξ per cui è f (ξ) = 0. Consideriamo il punto di mezzo c a+b dell’intervallo [a, b]: c = e calcoliamo f (c). 2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 124 a = a1 c = b1 b Possono presentarsi questi tre casi: 1. f (c) = 0; in questo caso il punto c dà la soluzione cercata. 2. f (c) > 0; teniamo presente che è f (a) < 0, f (c) > 0; perciò nell’intervallo [a, c] si riproduce la stessa situazione che si verifica nell’intervallo [a, b] (valore negativo nell’estremo sinistro e positivo nell’estremo destro). Poniamo allora a1 = a, b1 = c. 3. f (c) < 0; in questo caso il cambiamento di segno si verifica nell’intervallo [c, b]; si pone allora: a1 = c, b1 = b Operiamo ora nell’intervallo [a1 , b1 ] come abbiamo fatto con l’intervallo [a, b]; precisamente: prendiamo il punto di mezzo c1 ; se in esso la funzione si annulla, abbiamo trovato uno ’zero’ della funzione; altrimenti scegliamo quello dei due intervalli in cui la funzione assume valore negativo nell’estremo sinistro e positivo nell’estremo destro. Chiamiamo [a2 , b2 ] questo nuovo intervallo. Così proseguiamo. È chiaro allora che possono presentarsi questi due soli casi: 1. La funzione si annulla in uno dei punti successivamente intercalati. In questo caso la nostra tesi è evidentemente vera. 2. La funzione non si annulla in alcuno dei punti intercalati; in questo caso, otteniamo una successione di intervalli [an , bn ], ciascuno contenuto nel precedente e tali che: f (an ) < 0, f (bn ) > 0 La successione [an , bn ] è una scatola cinese; la proprietà dell’avvicinamento indefinito (proprietà 2 di pag. 61), è assicurata dal fatto che: bn − an = 1 (b − a) 2n perché l’intervallo [a, b] è stato dimezzato n volte; pertanto la successione bn − an è infinitesima. Chiamiamo ξ il numero reale racchiuso da questa scatola cinese. Notiamo che si ha: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 125 lim an = ξ, lim bn = ξ perciò, per il teorema 17: lim f (an ) = f (ξ), lim f (bn ) = f (ξ) (tenendo presente che f , essendo continua in [a, b], è continua nel punto ξ). Ma, essendo f (an ) < 0, risulta f (ξ) ≤ 0, poiché il limite di una successione a valori < 0 è certamente ≤ 0. Per la stessa ragione, essendo f (bn ) > 0, risulta f (ξ) ≥ 0. Dovendo essere, nello stesso tempo: f (ξ) ≤ 0, f (ξ) ≥ 0 risulta f (ξ) = 0 Così abbiamo trovato anche in questo secondo caso uno ’zero’ della funzione f . Il teorema è completamente dimostrato. 2 La dimostrazione di questo teorema ha un pregio notevole: quello di fornire un algoritmo per il calcolo effettivo dello zero, perché si costruisce un procedimento in grado di decidere se, per i punti c che vengono intercalati, si ha f (c) > 0, f (c) < 0, oppure f (c) = 0. Seguendo la linea di ragionamento della dimostrazione è possibile costruire anche un programma che faccia il calcolo degli zeri di una funzione. Occorre, naturalmente, riflettere sul fatto che i calcoli del calcolatore sono sempre approssimati, e quindi lo zero che si calcola a macchina non sempre è lo zero dei matematici. Questo argomento sarà affrontato con il necessario approfondimento in un’altra parte del corso. Osservazione 5 Se f è crescente, ξ è l’unica soluzione dell’equazione f (x) = 0 (o, come si dice, l’unico zero della funzione f ) nell’intervallo [a, b]: infatti per x > ξ si ha per ipotesi f (x) > 0, per x < ξ risulta f (x) < 0. Teorema 20 Una funzione f continua, a valori reali, definita in un intervallo [a, b] assume ogni valore compreso tra f (a) ed f (b) Infatti, osserviamo che, se y è un valore compreso tra f (a) ed f (b), i due numeri: f (a) − y, f (b) − y hanno segno opposto. Consideriamo allora la funzione continua: x → f (x) − y Essa cambia segno nel passare dall’estremo a all’estremo b; esiste dunque un punto x dell’intervallo per cui essa si annulla; in questo punto x si ha: f (x) − y = 0 cioè: f (x) = y CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 126 Il teorema di inversione L’ultimo risultato ci sarà ora molto utile per un problema importante: invertire una funzione reale. Ricordiamo che un’applicazione f dell’insieme X nell’insieme Y : f :X→Y X Y f y x f −1 si dice bigettiva se è iniettiva e surgettiva; in questo caso essa pone una corrispondenza biunivoca fra X ed Y . Si può allora definire l’applicazione inversa, cioè l’applicazione: f −1 : Y → X tale che, se è f (x) = y si ha x = f −1 (y). In termini intuitivi, eseguendo la f −1 dopo la f si ritorna al punto di partenza, cioè f −1 ◦ f è l’applicazione identica di X; allo stesso modo, f ◦ f −1 è l’applicazione identica di Y . Supponiamo ora che f sia una funzione a valori reali, definita in un intervallo [a, b] della retta reale: vogliamo trovare un criterio che assicuri l’esistenza della funzione inversa. Teorema 21 La funzione f , definita in [a, b] sia crescente e continua; allora esiste la funzione inversa f −1 , definita nell’intervallo [c, d], dove è: c = f (a), d = f (b) Inoltre, anche f −1 è crescente e continua. Dimostrazione. Anzitutto, facciamo vedere che f è iniettiva. Questo è molto semplice; infatti, se x1 ed x2 sono due punti diversi, possiamo supporre che sia x1 < x2 ; allora, posto y1 = f (x1 ), y2 = f (x2 ) , si ha y1 < y2 , essendo f crescente: dunque y1 ed y2 sono diversi fra loro. y d y2 y1 c O a x1 x2 b x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 127 Dimostriamo ora che f è surgettiva sull’intervallo [c, d]. I valori c e d vengono assunti negli estremi a e b, rispettivamente. Sia y un qualsiasi numero compreso fra c e d; il teorema 20 appena dimostrato ci dice che esiste un x tale che f (x) = y. Dunque f : [a, b] → [c, d] è bigettiva, ed esiste la funzione inversa f −1 ; resta da dimostrare che essa è crescente e continua. La prima proprietà si vede facilmente; sia infatti y1 < y2 , dove y1 e y2 sono punti dell’intervallo [c, d] e siano x1 ed x2 i punti dell intervallo [a, b] tali che: f (x1 ) = y1 , f (x2 ) = y2 Allora deve essere x1 < x2 perché se fosse x1 = x2 si avrebbe f (x1 ) = f (x2 ) e se fosse x1 > x2 si avrebbe f (x1 ) > f (x2 ). Dimostriamo ora la continuità di f −1 , dapprima in un punto y0 interno all’intervallo [c, d]; sia f −1 (y0 ) = x0 (Attenzione! ora è x0 il valore assunto dalla nostra funzione). y d y2 y0 y1 c O a x1 x0 x2 b x Essendo c < y0 < d, si ha a < x0 < b. Prendiamo ora un numero > 0, arbitrario, purché tanto piccolo che i punti x1 = x0 − ed x2 = x0 + appartengano entrambi all’intervallo [a, b]. Poniamo y1 = f (x1 ), y2 = f (x2 ) e consideriamo l’intervallo [y1 , y2 ]; la funzione f −1 , essendo crescente, trasforma tutto l’intervallo [y1 , y2 ] nell’intervallo [x1 , x2 ]. D’altra parte, il punto y0 è interno all’intervallo [y1 , y2 ] perché i punti y1 , y0 , y2 si seguono nello stesso ordine con cui si seguono i punti x1 , x0 , x2 e perciò risulta: y1 < y0 < y2 Dunque abbiamo trovato un intervallo avente come punto interno il punto y0 che viene trasformato nell’intervallo [x0 − , x0 + ]. Tanto basta per poter affermare che la funzione f −1 è continua in y0 . Resta da dimostrare la continuità negli estremi c e d; il ragionamento che abbiamo fatto prima si modifica in modo ovvio. Consideriamo ad esempio il punto d; si ha f −1 (d) = b, poiché i valori della funzione f −1 sono contenuti nel’intervallo [a, b], fissato un numero positivo , basterà considerare l’intervallo [b − , b], e questo basta per stabilire la continuità in d, dal momento che l’insieme di definizione di f −1 non comprende valori maggiori di d. Analogamente si procede per l’estremo c. 2 Osservazione 6 Il teorema si estende, con qualche ovvio cambiamento, al caso di intervalli illimitati. Ad esempio, sia f una funzione crescente, continua, definita in [0, +∞) e tale che f (0) = 0 e lim f (x) = a. x→+∞ CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 128 y a y x O x Allora esiste la funzione inversa f −1 definita nell’intervallo [0, a), continua, crescente e tale che: lim f −1 (y) = +∞ y→a Il teorema si estende poi in modo ovvio al caso di una funzione f decrescente; in questo caso anche f −1 sarà decrescente. Ci domandiamo ora: in che relazione stanno i grafici della f e della f −1 ? Teniamo presente che il grafico G di una qualsiasi applicazione f : X → Y è il sottoinsieme di X × Y (prodotto cartesiano di X per Y ) formato da tutte le coppie (x, y) tali che y = f (x). È allora evidente che il grafico della funzione inversa f −1 è costituito da tutte le coppie (y, x) tali che x = f −1 (y), cioè y = f (x). In altre parole: il grafico di f −1 è il sottoinsieme di Y × X ottenuto scambiando fra loro gli elementi delle coppie di G . Nel caso delle funzioni di variabile reale, a valori reali, introdotti gli assi cartesiani X ed Y , il grafico G si rappresenta con un sottoinsieme del piano e l’operazione (x, y) → (y, x) si rappresenta geometricamente mediante una simmetria rispetto alla bisettrice del primo e del terzo quadrante. Raccogliamo allora questa semplicissima conclusione: il grafico di f −1 si ottiene dal grafico di f mediante una simmetria rispetto alla bisettrice del primo e del terzo quadrante. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 129 y b d a c O c a d b x Il teorema del massimo Vi è un altro risultato importante nella teoria delle funzioni continue: un teorema che assicura l’esistenza del massimo e del minimo: Teorema 22 Ogni funzione reale continua definita in un intervallo chiuso e limitato [a, b] ammette un valore massimo e un valore minimo. La tesi afferma che esistono in [a, b] almeno un punto ξ e almeno un punto η tali che si abbia rispettivamente: f (x) ≤ f (ξ) e f (x) ≥ f (η) per ogni x di [a, b]. Osserviamo che la tesi non è più vera se l’intervallo su cui si considera f non è chiuso oppure non è limitato. Ad esempio la funzione: 1 nell’intervallo 0 < x ≤ 1 x è continua ma non ammette ivi massimo; la funzione f→ f : x → x2 nell’intervallo 1 ≤ x < +∞ è continua, ma non ammette ivi massimo. Dimostriamo l’esistenza del massimo (per il minimo si procede in modo analogo). Indichiamo con λ l’estremo superiore dei valori di f nell’intervallo [a, b] (non possiamo escludere che sia λ = +∞, anche se poi vedremo che non è così). Dividiamo l’intervallo [a, b] in due intervalli mediante il punto di mezzo c. In uno almeno dei due intervalli [a, c], [c, b] l’estremo superiore dei valori di f è ancora λ: infatti, chiamati λ1 e λ2 gli estremi superiori negli intervalli [a, c] e [c, b], è evidente che essi non possono superare λ; d’altra parte, se fossero entrambi minori di λ, essendo: f (x) ≤ λ1 , in [a, c]; f (x) ≤ λ2 in [c, b] CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 130 si avrebbe: f (x) ≤ max(λ1 , λ2 ) < λ contro l’ipotesi che λ sia l’estremo superiore in [a, b]. Scegliamo quello dei due intervalli in cui l’estremo superiore è λ (o uno dei due, indifferentemente, nel caso in cui entrambi abbiano questa proprietà) e ripetiamo l’operazione. Otterremo una scatola cinese, formata da intervalli in cui l’estremo superiore dei valori della funzione è sempre λ : sia ξ il numero reale che essa individua. Si tratta ora di dimostrare che ξ è un punto di massimo. Fissato un arbitrario numero positivo , per la continuità di f nel punto ξ esiste un δ tale che per ogni x ∈ [ξ − δ, ξ + δ] sia |f (x) − f (ξ)| ≤ ; da questa si ricava che, per ogni x ∈ [ξ −δ, ξ +δ] è f (x) ≤ f (ξ)+. Ma poiché vi sono intervalli della nostra scatola cinese interamente contenuti nell’intervallo [ξ − δ, ξ + δ] si può affermare che λ ≤ f (ξ) + ; d’altra parte è evidente che f (ξ) ≤ λ, essendo λ l’estremo superiore dei valori di f . Dalla doppia disuguaglianza f (ξ) ≤ λ ≤ f (ξ)+, per l’arbitrarietà di si deduce che λ = f (ξ). Si conclude che per ogni x in [a, b] è f (x) ≤ f (ξ): dunque f (ξ) è un valore massimo e ξ è un punto di massimo. 2 La dimostrazione svolta apparentemente ricalca lo schema di quella del teorema degli zeri (stessa tecnica delle successive bisezioni...), ma in realtà è profondamente diversa: infatti non esiste in generale un algoritmo per decidere a quale dei due sottointervalli appartiene l’estremo superiore di tutto l’intervallo. Si tratta dunque di una tipica dimostrazione di esistenza ‘non costruttiva’. É importante rendersi conto che nell’analisi matematica vi sono procedimenti semplici ed eleganti basati su operazioni ideali che sono del tutto fuori della portata dei calcolatori. Vediamo ora alcune importati applicazioni dei teoremi dimostrati: La radice n-esima... Consideriamo la funzione x → xn dove n è un intero positivo (potenza n-esima); essa è continua. Per x > 0 è crescente, come si può facilmente dimostrare. Se n è dispari, la simmetria rispetto all’origine fa sì che essa sia crescente anche per valori negativi di x. Poiché lim xn = +∞ (e, per simmetria, lim xn = −∞), in base all’osservazione 6 può essere invertita. x→+∞ x→−∞ √ La funzione inversa viene chiamata radice n-esima e si indica con il simbolo n x. √ Nella figura sottostante sono rappresentati i grafici delle funzioni y = x3 e y = 3 x (tratteggiato). y y = x3 y= O 1 √ 3 x x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 131 Se n è pari la funzione x → xn , che a destra dell’origine è crescente, risulta decrescente a sinistra. Quindi non ci sono le condizioni per poterla invertire, se non restringendo il dominio ad un intervallo in cui essa risulti monotòna, ad esempio all’insieme [0, +∞). Anche in questo caso la funzione inversa viene chiamata radice √ n-esima e indicata con il simbolo n x. Osserviamo che, se n è pari, il codominio della funzione x → xn è √ l’intervallo [0, +∞). Con la scelta che abbiamo fatto, anche la funzione inversa n x ha per dominio [0, +∞) e per codominio [0, +∞). Avremmo potuto considerare la restrizione della funzione x → xn ai soli valori negativi di x. In tal caso avremmo ottenuto come funzione inversa una funzione di dominio [0, +∞) e di codominio (−∞, 0]: la √ funzione opposta della radice n-esima: x → − n x. √ Vale la pena, a questo punto, di porre attenzione al fatto che, mentre per un indice n dispari il simbolo n a √ indica l’unica soluzione dell’equazione xn = a, se n è pari e a positivo, n a denota una sola delle due soluzioni reali dell’equazione xn = a. L’arcoseno Consideriamo la funzione seno, dedotta dalla misura degli in radianti; essa, come abbiamo già osservato angoli π π nel paragrafo 3.2 è continua e crescente nell’intervallo − 2 , 2 ; nell’estremo sinistro assume il valore -1, che è il minimo. y 1 sin x − π2 O π 2 x −1 Esiste allora la funzione inversa, definita nell’intervallo [−1, 1], che è detta arcoseno e viene indicata con la notazione arcsin, o anche sin−1 . CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 132 y π 2 arcsin x −1 O 1 x − π2 La funzione seno avrebbe potuto altro intervallo in cui la funzione risulti mo 3 essere invertita πin πqualsiasi π notona (ad esempio: − 2 π, − 2 ). L’intervallo − 2 , 2 è quello a partire dal quale convenzionalmente si definisce la funzione inversa della funzione seno (così come convenzionali saranno gli intervalli sui cui nelle pagine successive definiremo le inverse delle funzioni coseno e tangente). Quando si impiega un calcolatore, si deve far ricorso alla funzione arcoseno tutte le volte che si deve risalire dal seno di un angolo alla misura dell’ angolo, in radianti (analoga definizione si ha per la misura in gradi). L ’arcocoseno La funzione coseno dedotta dalla misura degli angoli in radianti è decrescente nell’intervallo [0, π], passa dal valore 1 al valore -1, è continua e, pertanto, può essere invertita. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 133 y 1 cos x π x π 2 O −1 La funzione inversa è detta arcocoseno ed è indicata con la notazione arcos (od anche cos−1 ). (Analoga definizione si ha per la misura in gradi). y π arccos x π 2 O −1 1 x Tutte le volte che dal coseno di un angolo si deve risalire alla misura dell’angolo si applica la funzione arcocoseno. L’arcotangente La funzione tangente è stata definita mediante la relazione: sin x cos x pertanto essa è definita per tutti i valori di x, tranne quelli che annullano il denominatore, cioè: tan x = CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 134 π + kπ, 2 k∈Z y tan x − π2 π 2 O x In tutti i punti in cui è definita, essa è continua (essendo il quoziente di due funzioni continue). Consideriaπ π mo la funzione tangente nell’intervallo − 2 , 2 . Dimostriamo che essa è crescente: presi due punti x1 , x2 tali che x1 < x2 vogliamo dimostrare che: sin x2 sin x1 < cos x1 cos x2 Tenendo conto che, nell’intervallo considerato, la funzione coseno è positiva, si vede subito che la disuguaglianza scritta equivale alla seguente: sin x2 cos x1 > cos x2 sin x1 ovvero alla: sin x2 cos x1 − cos x2 sin x1 > 0 ma questa, in virtù della formula di addizione, equivale alla disuguaglianza: sin(x2 − x1 ) > 0 che è senz’altro vera, essendo: 0 < x2 − x1 < π Teniamo anche presente che si ha: lim tan x = −∞ x→− π2 (Osserviamo che, in questo discorso, noi consideriamo la funzione tangente come definita solo nell’interπ π vallo − 2 , 2 , perciò il limite scritto non è altro che il limite da destra). Analogamente, si ha: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 135 lim tan x = +∞ x→ π2 In conclusione, la funzione tangente nell’intervallo − π2 , π2 si può invertire; la funzione inversa, che è detta arcotangente è definita su tutta la retta reale e si indica con la notazione arctan, oppure tan−1 (analoga definizione si ha per la misura in gradi). y π 2 arctan x O x − π2 3.7 I cammini continui Una delle situazioni reali più importanti ed interessanti da ’matematizzare’ è quella del moto dei corpi; il caso più tipico e più semplice è quello in cui si vuole descrivere il moto di un corpo così piccolo da essere assimilato ad un punto. La piccolezza del corpo è, ovviamente, relativa alla lunghezza dei percorso e alle altre lunghezze in gioco. Ad esempio, le dimensioni di una nave potranno essere trascurabili rispetto alla lunghezza del viaggio che essa compie; analogamente, le dimensioni degli astri, benché spesso siano assai rilevanti, possono essere considerate come trascurabili rispetto alla lunghezza dell’orbita. Se poi le dimensioni di un corpo non si possono considerare trascurabili, si possono studiare i moti delle particelle che lo compongono, come oggetti assimilabili ad un punto. In questo studio vi sono due elementi essenziali: uno è l’ambiente in cui avviene il moto (che chiameremo spazio), l’altro è il tempo, che rappresenteremo sulla retta reale. Come spazio tipico assumeremo il piano euclideo E, che conosciamo già bene: fissato un riferimento cartesiano, E si può porre in corrispondenza biunivoca con R × R (insieme delle coppie di numeri reali, insieme che verrà indicato anche con R2 ). t R F P = f (t) La descrizione del moto consiste nell’associare ad ogni istante t il punto P in cui si trova il corpo: in altre parole, si tratta di assegnare un’applicazione F : t → P = F (t) della retta reale (o di un intervallo [a, b] di essa) in E. Un’applicazione di questo tipo verrà detta cammino piano; la variabile è detta anche parametro, e l’intervallo [a, b] è detto intervallo parametrico. Notiamo che quest’applicazione può benissimo non essere iniettiva: infatti niente vieta che il corpo passi più volte, in tempi successivi, per lo stesso punto. (Se nei due istanti successivi t1 , t2 il corpo si trova nello stesso punto P , si ha F (t1 ) = F (t2 ) = P , dunque l’applicazione F non è iniettiva). CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 136 Indichiamo con f (t) , g(t) le coordinate cartesiane di F (t): F (t) ←→ (f (t), g(t)) t R y F P x O Appare chiaro che un cammino può essere rappresentato da una coppia di equazioni: x = f (t) y = g(t) (3.9) Questa nozione di cammino piano non è del tutto nuova per noi: in passato l’abbiamo usata per rappresentare il moto rettilineo uniforme mediante le equazioni: x = at + h (3.10) y = bt + k dove i coefficienti a e b non sono entrambi nulli. L’immagine dell’applicazione R → E definita dalla 3.10 è una retta; le equazioni 3.10 erano state chiamate equazioni parametriche della retta. Un altro moto che sappiamo rappresentare è il moto circolare uniforme. Supponiamo che l’origine O del riferimento sia il centro di rotazione e ω la pulsazione; allora il moto di un punto che per t = 0 si trova sul semiasse x+ a distanza R da O è rappresentato dalle equazioni: x = R cos ωt (3.11) y = R sin ωt y Z R sin ωt ωt F R cos ωt x t R Facendo ricorso ai numeri complessi, le due equazioni che descrivono il moto circolare uniforme di centro O e pulsazione ω possono essere sintetizzate nell’unica equazione: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 137 z = R rot ωt Nei libri di fisica si trovano numerosi esempi di cammini piani che descrivono moti importanti: il moto di un punto soggetto alla gravità terrestre, il moto di un pianeta attorno al Sole, ecc. . . Nel caso in cui il moto non si svolga in un piano ma nel nostro spazio ordinario, saranno necessarie tre coordinate (anziché due) per rappresentare un punto: P ←→ (x, y, z). z P y x Le equazioni del moto, anziché del tipo 3.9, saranno allora del tipo: x = f (t) y = g(t) z = h(t) (3.12) Tutto quello che diremo ora per i moti piani si estende in modo ovvio ai moti che si svolgono nello spazio. È molto interessante, a questo punto, cercare di tradurre matematicamente quella proprietà che fa parte della nostra idea intuitiva del moto: la continuità. Questa proprietà significa - come già accennavamo all’inizio del capitolo - che il punto F (t) non può ’scomparire all’improvviso e ricomparire lontano istantaneamente’. Sia F : t → F (t) un cammmino piano; sia t0 un punto qualunque dell’intervallo parametrico e sia P0 = F (t0 ) il punto corrispondente. Prendiamo un qualsiasi disco circolare Γ con centro P0 e sia il suo raggio (naturalmente è > 0). Ebbene: la nostra idea intuitiva di continuità esige che, negli istanti che precedono o seguono di poco il valore t0 , il punto F (t) non esca da Γ. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 138 t0 − δ t0 t0 + δ R F ǫ P0 Diamo una definizione precisa: Definizione 22 Il cammino F si dice continuo in t0 se, preso un qualsiasi numero > 0, esiste un δ > 0 tale che per ogni t dell’intervallo [t0 − δ, t0 + δ] (che appartenga, naturalmente, all’intervallo parametrico) si abbia: F (t)F (t0 ) ≤ (Cioè: il punto F (t) si trovi nel disco con centro in P0 = F (t0 ) e raggio ). Evidentemente il cammino F (t) è continuo in t0 se e soltanto se è infinitesima in t0 la funzione (a valori reali): t → F (t)F (t0 ) che esprime la distanza del punto variabile F (t) dal punto fisso F (t0 ). Abbiamo dato la definizione di cammino continuo in t0 ; occorre ora completare la definizione: Definizione 23 Un cammino si dice continuo se è continuo in ogni punto del suo intervallo parametrico. Dimostriamo dunque che i due cammini che abbiamo preso come esempi sopra sono continui. Continuità del moto rettilineo uniforme Teorema 23 Il cammino 3.10, che rappresenta il moto rettilineo uniforme è continuo. Sia t0 un numero reale qualsiasi. Poniamo: x0 = at0 + h y0 = bt0 + k (3.13) Poniamo inoltre P0 ↔ (x0 , y0 ), P ↔ (x, y). Mediante la differenza membro a membro fra le 3.10 e le 3.13 si ottiene: x − x0 = a(t − t0 ) (3.14) y − y0 = b(t − t0 ) Perciò: p (x − x0 )2 + (y − y0 )2 = p a2 (t − t0 )2 + b2 (t − t0 )2 = p a2 + b2 · |t − t0 | √ Domandiamoci per quali valori di t si ha P P0 ≤ ; questa disuguaglianza si scrive a2 + b2 · |t − t0 | ≤ , cioè: P P0 = |t − t0 | ≤ √ + b2 a2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 139 Basta perciò scegliere il δ di cui parla la definizione così: a2 + b2 Dunque il cammino definito dalla 3.10 è continuo in ogni punto t0 , cioè risulta continuo. δ=√ 2 Continuità del moto circolare uniforme Teorema 24 Il cammino 3.11, che rappresenta il moto circolare uniforme è continuo. Rappresentiamo il moto circolare nel piano complesso, assumendo che l’origine del piano coincida con il centro di rotazione. Ricordiamo che la distanza fra due punti del piano è data dal modulo della differenza dei numeri complessi che li rappresentano. Pertanto: F (t)F (t0 ) = |R rot ωt − R rot ωt0 | = R |rot ωt − rot ωt0 | Scriviamo t = t0 + (t − t0 ); applicando la proprietà di omomorfismo della funzione rot, che, ricordiamo, è la seguente: rot(α + β) = rot(α) · rot(β) e ricordando che è |rot α| = 1 qualunque sia α, si ottiene: F (t)F (t0 ) = R |rot ω (t0 + (t − t0 )) − rot ωt0 | = R |rot ωt0 rot ω(t − t0 ) − rot ωt0 | = R p Ricordando poi che si ha R |rot ωt0 ||rot ω(t − t0 ) − 1| = R |rot ω(t − t0 ) − 1| = p (cos ω(t − t0 ) − 1)2 + (sin ω(t − t0 ))2 = R 2(1 − cos ω(t − t0 )) 1 − cos α α 2 , si conclude che: = sin 2 2 t − t0 F (t)F (t0 ) = 2R sin ω 2 (Si sarebbe potuto ricavare questa relazione anche da considerazioni geometriche dirette, come mostra la figura). CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 140 y F (t) F (t0 ) ωt ωt0 x O Dalla continuità della funzione seno e dai teoremi sulle funzioni continue risulta facilmente che la funzione: t − t0 t → 2R sin 2 è infinitesima in t0 . Tanto basta per poter affermare che il moto rotatorio è continuo. 2 Aggiungiamo ancora qualche osservazione sulla definizione di cammino continuo. Nella definizione si parla di un disco circolare con centro in P0 e raggio ; è facile però vedere che si otterrebbe una definizione equivalente prendendo, invece di un disco, un quadrato (sempre con centro in P0 ). Infatti supponiamo che il cammino F sia continuo secondo la definizione data (per mezzo del disco); allora è continuo anche secondo la nuova definizione perché, dato un quadrato, si può trovare un disco che è contenuto in esso. P0 P0 Se (con i simboli soliti) l’immagine dell’intervallo [t0 − δ, t0 + δ] sta nel disco, essa sta anche nel quadrato. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 141 Viceversa, supponiamo che F sia continuo quando si assume la nuova definizione (formulata con i quadrati); allora la continuità sussiste anche secondo la definizione precedente perché dato un disco, è possibile trovare un quadrato concentrico ad esso e contenuto in esso. Se l’immagine dell’intervallo [t0 − δ, t0 + δ] è contenuta nel quadrato, essa è anche contenuta nel disco. Questa osservazione ci induce ad introdurre un termine nuovo: diremo intorno di un punto P0 un qualunque insieme contenente un disco con centro P0 . Dunque, anche i quadrati con centro in P0 sono intorni di P0 ; non lo sono invece i quadrati che hanno P0 come vertice. Questa definizione è analoga a quella che abbiamo dato di intorno di un punto x0 sulla retta R. Un’importante caratterizzazione dei cammini continui è data dal seguente: Teorema 25 Sia F un cammino piano; preso un riferimento cartesiano, sia: F (t) ←→ (f (t), g(t)) Allora le funzioni reali f e g sono continue se e solo se il cammino F è continuo. Dimostrazione. Supponiamo che F sia un cammino continuo; sia t0 un punto qualsiasi dell’intervallo parametrico, e sia P0 = F (t0 ). Preso un > 0 consideriamo un intorno quadrato con centro in P0 e semilato . (Abbiamo visto ora che, nel piano, è indifferente prendere intorni circolari o intorni quadrati, sempre con centro in P0 ). Poiché F è un cammino continuo, esiste un δ > 0 tale che se è: |t − t0 | ≤ δ y P0 t0 O F (t) sta nel quadrato con centro P0 e semilato . Ciò significa che risulta: |f (t) − f (t0 )| ≤ |g(t) − g(t0 )| ≤ x (3.15) Ma allora le funzioni f e g sono entrambe continue. Viceversa, supponiamo che f e g siano entrambe continue in t0 . Sia > 0 arbitrario. Per la continuità di f in t0 , esiste un numero δ1 > 0 tale che, per |t − t0 | ≤ δ1 , si ha |f (t) − f (t0 )| ≤ ; per la continuità di g in t0 , esiste un numero δ2 > 0 tale che per |t − t0 | ≤ δ2 , si ha |g(t) − g(t0 )| ≤ . Sia ora δ il minore dei due numeri δ1 , δ2 ; per |t − t0 | valgono entrambe le disuguaglianze 3.15, pertanto il cammino F è continuo in t0 . 2 3.8 Le applicazioni continue fra spazi metrici Le definizioni di funzione reale continua e di cammino continuo ci spingono spontaneamente verso un terreno più astratto. È possibile dare una definizione generale di applicazione continua che contenga i due casi ora trattati e che sia predisposta per altri casi interessanti? Domandiamoci, in primo luogo: quali sono gli ingredienti indispensabili per enunciare una definizione del tipo di quelle che abbiamo dato? Si vede subito che l’unica nozione di cui abbiamo bisogno è quella di distanza: infatti un intervallo con centro x0 e raggio δ, cioè un insieme del tipo [x0 − δ, x0 + δ] non è altro che l’insieme dei punti di R che hanno CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 142 distanza minore o uguale a δ da x0 . Allo stesso modo, il disco di raggio e centro P0 nel piano non è altro che l’insieme dei punti che hanno distanza minore o uguale a da P0 . All’inizio di questo corso di studi, quando abbiamo introdotto la geometria del piano, abbiamo parlato di distanza. È opportuno richiamare questa nozione, mediante una definizione generale: Definizione 24 Si dice spazio metrico un insieme S in cui sia stata introdotta una distanza, cioè un’applicazione S × S → R che soddisfa a queste condizioni: 1. d(P, Q) ≥ 0 ed è d(P, Q) = 0 quando e solamente quando si ha P = Q 2. d(P, Q) = d(Q, P ) 3. d(P, R) ≤ d(P, Q) + d(Q, R) (disuguaglianza triangolare) In un qualsiasi spazio metrico S, diremo disco (o anche palla) con centro in P0 e raggio l’insieme dei punti P di S tali che d(P0 , P ) ≤ . Inoltre, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, si dice intorno del punto P0 ogni insieme di S contenente un disco con centro in P0 . L’intervallo (1, 5) è un intorno di x0 = 4 in R, mentre il disco Γ 1 è un intorno del punto P0 ↔ (1; −2) in R2 . Il primo definito dalla disequazione (x − 1)2 + (y + 2)2 < 10 esempio ci offre l’opportunità di osservare che un intorno non deve necessariamente essere simmetrico (un intorno simmetrico di x0 = 4 sarebbe stato l’intervallo (3, 5)). 19 Il disco Γ che abbiamo definito poco sopra non è un intorno del punto P1 ↔ (1, − ). Infatti non è 10 possibile tracciare un disco interamente contenuto in Γ che abbia al suo interno P1 , perché P1 sta sul bordo di Γ. Dato uno spazio metrico S, un punto x0 (non necessariamente appartenente a S) si chiama di accumulazione per S se per ogni intorno di x 0 esiste un punto di S diverso da x0 contenuto nell’intorno. Per fare un esempio, n , n ∈ N dotato della distanza euclidea. Il punto x0 = 1 non appartiene consideriamo l’insieme S = n+1 a S, ma se, preso un qualsiasi > 0, consideriamo un intorno di 1 di raggio , troviamo che esiste un elemento di S diverso da 1 che appartiene a questo intorno. Basta porre la condizione: n ≤1+ n+1 n < 1 mentre 1 + > 1. La prima disuguaglianza La seconda disuguaglianza è banalmente vera, perché n+1 è verificata se: (n + 1)(1 − ) < n 1−≤ cioè se: 1 − n − < 0 1− Concludendo i calcoli si trova che basta scegliere n > . Si verifica così che se anche x0 non appartiene a S, si può sempre trovare un elemento di S che gli sia arbitrariamente vicino. Quindi x0 è un punto di accumulazione per S. Il punto x1 = 1, 1 invece non è di accumulazione per S: basta considerare l’intervallo (1, 05, 1, 15), che è un intorno di 1, 1, e verificare che in esso non cade alcun punto di S. 1 Il punto x2 = appartiene a S. Possiamo dire che è di accumulazione per S? Se questo fosse vero, in ogni 2 2 3 intorno di x2 dovrebbe cadere un punto di S diverso da x2 . Basta considerare l’intervallo ( , ), che contiene 5 5 1 1 il punto , ma nessun altro punto di S, per rendersi conto che ciò non accade. Diciamo perciò che x2 = è 2 2 un punto isolato di S. La nozione di funzione continua, che abbiamo introdotto nello spazio euclideo, puó essere data in forma generale: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 143 Definizione 25 Un’applicazione F di uno spazio metrico S in uno spazio metrico T si dice continua nel punto x0 ∈ S se, preso un qualsiasi disco Γ con centro nel punto F (x0 ) contenuto in T , esiste un disco ∆ con centro x0 contenuto in S tale che F (∆) ⊂ Γ. L’applicazione F si dice continua se è continua in ogni punto di S. T S Γ ∆ x0 F (x0 ) Questa definizione conserva, malgrado l’astrattezza della sua formulazione, un carattere molto intuitivo: la continuità di F in x0 si esprime affermando che, pur di spostare di abbastanza poco il punto x dal punto x0 , il punto F (x) si sposta di poco (tanto poco quanto si vuole!) dal punto F (x0 ). Cerchiamo di aiutarci con un modello concreto. Stendiamo su un tavolo un foglio di gomma, quindi tendiamolo in un modo qualsiasi, ma senza strapparlo e che resti aderente al tavolo. Ciascuno dei punti P del foglio viene mandato, con la deformazione, in un punto P 0 ; poiché il foglio non viene strappato, punti vicini vengono trasformati in punti vicini. Lo spostamento del foglio può essere dunque rappresentato da una trasformazione continua del piano (o di una sua porzione) in sé. Altro sarebbe il caso in cui si prendesse un foglio di giornale e lo si tendesse fino a strapparlo: l’applicazione che descrive lo spostamento non sarebbe più continua. Infatti, in questa situazione, vi sono punti ’vicini quanto si vuole’ (lungo la linea di rottura) che vengono trasformati in punti ’lontani’. Il teorema di composizione in forma generale Vediamo ora un primo vantaggio di una formulazione così generale: risulta facile dimostrare questo importante teorema che estende agli spazi metrici il teorema 16: Teorema 26 La composizione di due applicazioni continue fra spazi metrici è un’applicazione continua. La dimostrazione che segue non è che una trascrizione di quella del teorema 16. Siano S, T, V tre spazi metrici, e siano date le due applicazioni continue: f :S →T eg:T →V Sia x0 un punto di S, sia y0 = f (x0 ), e sia z0 = g(y0 ) = g ◦ f (x0 ). T V S ∆ Σ x0 Γ y0 z0 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 144 Cominciamo col prendere un disco Γ con centro z0 e raggio > 0, contenuto in V . È possibile fissare un disco ∆ con centro y0 e raggio δ, completamente contenuto in T , tale che g(∆) ⊂ Γ: questo perché g è continua in y0 . D’altra parte, poiché f è continua in x0 è possibile trovare un disco Σ con centro x0 e raggio σ, completamente contenuto in S, tale che g(Σ) ⊂ ∆. L’insieme Σ viene mandato in ∆ e ∆ viene mandato in Γ: dunque l’applicazione composta g ◦ f manda Σ in Γ; ciò significa che g ◦ f è continua in x0 . 3.9 Funzioni continue di due variabili reali Conosciamo già alcune funzioni di due variabili definite in R2 , o in sottoinsiemi di R2 . Ad esempio, consideriamo le funzioni, definite in tutto R: (x, y) → x + y (funzione addizione, che ad ogni coppia di numeri reali associa la loro somma) (x, y) → x · y (funzione moltiplicazione) Invece la funzione: x (funzione quoziente) (x, y) → y è definita solo per y 6= 0. Se rappresentiamo R2 su un piano E mediante un riferimento cartesiano, la funzione quoziente risulta definita in E\x (cioè sul piano E privato dell’asse x). Se si indica con f una funzione di due variabili, il valore che essa assume in corrispondenza della coppia (x, y) viene indicato con f (x, y). Le funzioni di due o più variabili sono molto importanti in fisica, in economia e in tutte le applicazioni della matematica. Ad esempio, l’intensità di corrente I che passa attraverso un conduttore è data, secondo la legge di Ohm, dalla formula: V R dove V è la differenza di potenziale (o tensione) fra gli estremi ed R è la resistenza. Una funzione di due variabili può essere studiata tenendo fissa una variabile e facendo variare l’altra. Per esempio, nella legge di Ohm possiamo vedere la sovrapposizione di due leggi: I= V R (proporzionalità diretta dell’intensità di corrente alla tensione) e V → V R (proporzionalità inversa dell’intensità di corrente alla resistenza). Tuttavia la descrizione che cosi si ottiene è frammentaria e poco significativa: è opportuno tener conto di tutte le variabili simultaneamente. Ciò vale anche per lo studio della continuità: data una funzione f definita in un insieme D di R2 , e preso un punto (x0 , y0 ) in D, ci domandiamo se nei punti (x, y) abbastanza vicini ad (x0 , y0 ) il valore f (x, y) si scosta abbastanza poco da f (x0 , y0 ). La definizione di continuità che ora daremo sarà, naturalmente, un caso particolare della definizione generale data nel paragrafo precedente: R→ Definizione 26 Sia f una funzione definita in un insieme D di R2 ; sia P0 ↔ (x0 , y0 ) un punto di D e si ponga z0 = f (x0 , y0 ). Si dice che f è continua in P0 ↔ (x0 , y0 ) se per ogni > 0 esiste un δ > 0 tale che, per ogni P (x, y) per cui è P P0 ≤ δ, risulta: |f (P ) − f (P0 )| ≤ CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 145 y F D O z0 − ǫ z 0 z 0 + ǫ P0 x In altre parole: il disco con centro P0 e raggio δ viene trasformato in un sottonsieme dell’intervallo [z0 − , z0 + ]. Notiamo che l’applicazione, in questo caso, va in senso opposto rispetto a quello considerato nel paragrafo 3.6. Qui si va dal piano alla retta, mentre là si andava dalla retta al piano. Tuttavia - lo ripetiamo - in termini astratti la definizione è sempre la medesima. Presentiamo ora alcuni esempi di importanza fondamentale: Teorema 27 L’addizione (come applicazione R2 → R) è continua. Dimostrazione. Sia (x0 , y0 ) una coppia di numeri reali; fissiamo un numero > 0 e consideriamo la disuguaglianza: |x + y − (x0 + y0 )| ≤ (3.16) Si ha: |x + y − (x0 + y0 )| = |(x − x0 ) + (y − y0 )| ≤ |x − x0 | + |y − y0 | pertanto la disuguaglianza 3.16 risulta certamente soddisfatta se si prende la coppia (x, y) tale che: |x − x0 | ≤ 2 (3.17) |y − y0 | ≤ 2 Queste disuguaglianze individuano un quadrato con centro in P0 ↔ (x0 , y0 ) e semilato , che è un in2 torno del punto P0 . Così resta dimostrato (essendo P0 un punto qualunque) che l’addizione è un’applicazione continua. 2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 146 y x + y = x0 + y0 + ǫ x + y = x0 + y0 y0 x + y = x0 + y0 − ǫ x0 O x Possiamo completare l’interpretazione geometrica: la disuguaglianza 3.16 rappresenta una striscia che contiene nel suo interno il punto P0 ↔ (x0 , y0 ); il sistema 3.17 individua il più grande quadrato con centro in P0 e lati paralleli agli assi contenuto nella striscia. Teorema 28 La moltiplicazione (come applicazione R2 → R) è continua. Dimostrazione. Sia ancora P0 ↔ (x0 , y0 ) un punto qualsiasi di R2 e sia un numero positivo arbitrario. In analogia con quanto fatto per il teorema precedente, studiamo la disuguaglianza: |xy − x0 y0 | ≤ (3.18) Conviene porre x − x0 = ξ , y − y0 = η (ciò equivale a fare una traslazione che porta l’origine del riferimento nel punto P0 ): si ha x = x0 + ξ , y = y0 + η. Sostituendo nella 3.18 si ottiene la disuguaglianza equivalente: |y0 ξ + x0 η + ξη| ≤ (3.19) |y0 ||ξ| + |x0 ||η| + |ξ||η| ≤ (3.20) essa è certamente soddisfatta se si ha: Si tratta ora di cercare un δ > 0 tale che per |ξ| ≤ δ, |η| ≤ δ valga la 3.20; prendiamo, in ogni caso, δ ≤ 1. Notando che è |ξ||η| ≤ δ · 1, si ha: |y0 ||ξ| + |x0 ||η| + |ξ||η| ≤ (|y0 | + |x0 | + 1) δ Perché sia soddisfatta la 3.20, basta dunque prendere δ tale che: (|y0 | + |x0 | + 1) δ ≤ In conclusione, basterà prendere δ uguale al minore dei due numeri: 1, |y0 | + |x0 | + 1 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 147 Il sistema: |ξ| ≤ δ |η| ≤ δ equivale al sistema: |x − x0 | ≤ δ |y − y0 | ≤ δ e quindi rappresenta un quadrato di semilato δ con centro in P0 ↔ (x0 , y0 ). Dunque risulta dimostrata la continuità dell’applicazione ’moltiplicazione’. 2 Anche in questo caso possiamo trovare un’interessante rappresentazione geometrica del risultato ottenuto. Supponiamo x0 > 0, y0 > 0. La relazione 3.18 si può scrivere : x0 y0 − ≤ xy ≤ x0 y0 + y xy = x0 y0 + ǫ xy = x0 y0 − ǫ (x0 , y0 ) x O Essa rappresenta un insieme di punti simmetrico rispetto all’origine, che, per abbastanza piccolo (così che sia x0 y0 − > 0), è situato nel primo e nel terzo quadrante. La parte situata nel primo quadrante è la regione compresa fra i rami delle due iperboli equilatere: xy = x0 y0 − , xy = x0 y0 + Noi abbiamo dimostrato che c’è un quadrato con centro (x0 , y0 ) che è tutto contenuto in questa regione. Lasciamo al lettore il compito di trovare una rappresentazione geometrica per gli altri casi, in particolare per il caso x0 = 0, oppure y0 = 0. Dai teoremi dimostrati si possono dedurre facilmente molte conseguenze importanti. In particolare, possiamo ottenere una nuova, e più naturale, dimostrazione dei teoremi 14 e 15: • La somma di due funzioni f , g continue è continua. • Il prodotto di due funzioni continue è una funzione continua. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 148 Vediamo la dimostrazione della prima affermazione. Siano f e g funzioni continue; la funzione somma si ottiene attraverso queste composizioni: + t −→ (f (t), g(t)) −→ f (t) + g(t) La prima è un cammino continuo (dal momento che f e g sono continue); la seconda è l’addizione, che è continua. Poiché la composizione di due applicazioni continue è continua, l’affermazione è dimostrata. Analogamente si procede per il prodotto. Attraverso questa via possiamo dimostrare in modo particolarmente elegante la continuità di ogni funzione polinomiale in R. Infatti, ogni funzione polinomiale si può ottenere applicando le operazioni di addizione e moltiplicazione a partire dalle funzioni x → k, dove k è una costante e x → x, e queste funzioni sono continue. Ad esempio, il polinomio 3x3 + 2x + 1 si può considerare costruito così: ((3 · (x · (x · x))) + (2 · x)) + 1 e si vede bene che tutte le operazioni in gioco sono continue. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE Vocaboli e simboli Funzione continua Limiti di funzioni Limiti e continuità da destra e da sinistra Funzione periodica Funzione pari, dispari Massimo e minimo di una funzione Funzione inversa Intorno di un punto Punto di accumulazione Arcoseno, arcocoseno, arcotangente Radice n-esima Cammino piano Parametro, intervallo parametrico Spazio metrico, distanza 149 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 150 Esercizi paragrafo 3.1 1. Dimostrare che la funzione ‘parte intera’ x → [x] non è continua per i valori di x interi, mentre è continua per tutti gli altri punti, e tracciarne il grafico. 2. Esercizio svolto Data la funzione x → 2x + 1, si vuole fare qualche ‘prova di continuità’ nel punto x0 = 1 (attenzione: fare qualche prova non significa dimostrare!) (a) prendiamo = 0, 1. Quale può essere un valore di δ tale che, preso un qualsiasi x nell’intervallo [1 − δ, 1 + δ], f (x) appartenga all’intervallo [f (1) − , f (1) + ]? (b) facciamo la stessa cosa con = 0, 01; (c) e poi con = 0, 001 Alla luce delle prove fatte, è possibile trovare in generale un valore di δ (che dipende, naturalmente, da ) per cui se x sta nell’intervallo [1 − δ, 1 + δ], f (x) appartiene all’intervallo [f (1) − , f (1) + ]? Svolgimento (a) Calcoliamo anzitutto il valore della funzione nel punto 1: f (1) = 3 e impostiamo la doppia disequazione alla quale vogliamo arrivare: 3 − 0, 1 ≤ f (x) ≤ 3 + 0, 1; tenendo conto che f (x) = 2x + 1, la relazione precedente si può esprimere nel modo seguente: 2, 9 ≤ 2x + 1 ≤ 3, 1, da cui si ricava con qualche passaggio: 0, 95 ≤ x ≤ 1, 05; questa ultima relazione caratterizza l’intervallo [1 − δ, 1 + δ], in cui sia δ = 0, 05; (b) questa volta impostiamo la relazione 3 − 0, 01 ≤ f (x) ≤ 3 + 0, 01, da cui si arriva alla disequazione 0, 995 ≤ x ≤ 1, 005 e quindi al valore di δ che risulta 0, 005; (c) stesso procedimento; si arriva a δ = 0, 0005. Non è un caso che nelle tre situazioni esaminate sia δ = 2 . Proviamo a rifare il ragionamento in termini generali: impostiamo la doppia disuguaglianza: 3 − ≤ f (x) ≤ 3 + , che equivale a: 3− ≤ 2x+1 ≤ 3+, da cui si ricava con qualche passaggio: 1− 2 ≤ x ≤ 1+ 2 . Prendendo quindi δ = 2 si è trovato un intervallo [1 − δ, 1 + δ] la cui immagine sia [f (1) − , f (1) + ]. 3. Ripetere l’esercizio precedente, ma questa volta lavorando nel punto x0 = 5. Che cosa si osserva? Si può affermare che la funzione x → 2x + 1 è continua in qualsiasi punto x0 del suo insieme di definizione? 4. Dimostrare, a partire dalla definizione di continuità, che la funzione x → ax + b è continua in ogni suo punto. 5. Data la funzione x → x2 − x + 2, trovare, in corrispondenza del valore = 0, 1, un valore δ > 0 che verifichi la seguente proposizione: ‘se x appartiene all’intervallo (1 − δ, 1 + δ), f (x) appartiene all’intervallo (f (1) − , f (1) + )’. 6. Si può affermare che l’intervallo (1, 2] sia un intorno del punto x = 1? e del punto x = 2? Perché? 7. Trovare per quali valori di k > 0 l’intervallo [3 − k, 3 + k] è un intorno di 2. 8. Esercizio svolto Data la funzione: x→ x−1 −2x + 3 se x ≥ 2 se x < 2 dimostrare che essa non è continua in x = 2. Si può affermare che in x = 2 la funzione è continua a destra o a sinistra? Svolgimento Può essere utile una rappresentazione del grafico della funzione: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 151 y 2 x Osserviamo che nel punto x = 2 la funzione ‘salta’, e l’ampiezza del salto è 2. Se la funzione nel punto x = 2 fosse continua, scelto un qualsiasi > 0, dovremmo trovare un valore δ > 0 tale che, se |x − 2| < δ, allora |f (x) − f (2)| = |f (x) − 1| < . Scegliamo un valore di minore dell’ampiezza del ‘salto’ della funzione, ad esempio = 1 ed esaminiamo separatamente le due situazioni: x ≥ 2 e x < 2. Se x ≥ 2, la funzione è espressa nel modo seguente:f (x) = x − 1. Affinché sia |f (x) − 1| < occorre che |x − 1 − 1| < 1, cioè |x − 2| < 1. Questa disequazione è verificata per 1 < x < 3. Se ne deduce che per 2 ≤ x < 3 (cioè in un intorno destro di 2), |f (x) − 1| < , e quindi la funzione è continua a destra. Se x < 2, f (x) = −2x + 3. Procedendo come prima, si pone | − 2x + 3 − 1| < 1 e si ottiene 3 1 3 1 2 < x < 2 . Ma l’intervallo [ 2 , 2 ] non è un intorno di 2, quindi immediatamente a sinistra di 2 non vi è alcun punto la cui immagine cada in un intorno di f (2) = 1, cioè ‘vicino’ a f (2). La funzione, quindi, non risulta continua a sinistra. 9. Data la funzione: 2x − 3 1 2x + a x→ per x ≥ 1 per x < 1 trovare quale valore occorre assegnare ad a perché essa sia continua. Tracciarne poi il grafico. 10. Siano f e g due funzioni a valori reali, continue; la f sia definita per a ≤ x ≤ b e la g per b ≤ x ≤ c; sia inoltre f (b) = g(b). Si dimostri che allora la funzione h definita da: h(x) = f (x) g(x) per a ≤ x ≤ b per b ≤ x ≤ c è continua. 11. Dimostrare che la funzione: f (x) = 1 x+1 x+2 per x ≥ 0 per x < 0 non è continua in x = 0. 12. Rappresentare la funzione x → x−|x| 2x e verificare che essa ha una discontinuità in x = 0. Quale è un possibile valore che si può assegnare ad per verificare che la funzione non è continua in x = 0? 13. È possibile assegnare un valore g(3) alla funzione x → x + punto dell’asse x? |x−3| x−3 affinché essa risulti continua in ogni CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 152 14. Quale valore si può assegnare alla funzione x → x2 +x−2 x2 −4x+3 affinché essa risulti continua nel punto x = 1? 15. Esercizio svolto Dimostrare la seguente disuguaglianza, valida per x ≥ 0, y ≥ 0: p √ √ | y − x| ≤ |y − x| Dedurre che la funzione x → √ x è continua. Svolgimento Possiamo anzitutto supporre x ≤ y (in caso contrario basterebbe scambiare fra loro x e y). Possiamo quindi omettere i segni di valore assoluto e rimane da dimostrare che: √ y− √ x≤ √ y−x che equivale a: √ y≤ √ x+ √ y−x Elevando al quadrato si ottiene: √ √ y ≤ x + (y − x) + 2 x y − x e infine: √ √ 2 x y−x≥0 che è sempre verificata. √ A questo punto non è difficile dimostrare la continuità della funzione x → x nel punto x0 . p √ √ √ √ Vogliamo che sia | x− x0 | ≤ ; poiché abbiamo dimostrato che | y − x| ≤ |y − x|, basterà p fare in modo che sia |x − x0 | ≤ , cioè |x − x0 | ≤ 2 . Basterà quindi prendere δ = 2 . La cosa interessante è che mentre in generale δ è funzione non solo di , ma anche di x0 , in questo caso la scelta δ = 2 va bene per ogni valore di x0 . Non è questo l’unico caso in cui ciò accade, abbiamo osservato questa proprietà anche studiando la continuità della retta. Quando è possibile scegliere un δ in modo indipendente dal punto x0 in cui si deve dimostrare la continuità della funzione, siamo in presenza di qualcosa di più della semplice continuità: si dice che la funzione è uniformemente continua. Usando i quantificatori logici, le due definizioni di continuità e di continuità uniforme si possono enunciare così: ∀x0 , ∀ > 0 ∃δ > 0 ∀x : |x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x0 )| < ∀ > 0 ∃δ > 0 ∀x0 ∀x : |x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x0 )| < Come si vede, il numero e la natura dei quantificatori non cambia: è diversa, invece, la loro posizione ed è diverso il senso della frase. 16. Siano date le funzioni f : x → x2 e g : x → x + 6. Le funzioni: h : x → max(f (x), g(x)) sono continue? e k : x → min(f (x), g(x)) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 153 17. Un’automobile che parte da ferma all’istante t0 = 0 in un intervallo di tempo t compie uno spostamento s = 21 at2 , dove a è l’accelerazione. Dimostrare che la funzione s è continua, sia rispetto al tempo, che rispetto all’accelerazione (nel primo caso si suppone costante l’accelerazione e variabile il tempo, nel secondo caso viceversa). 18. * Nello strano paese di Zumbak, chi ha un reddito inferiore a 1000 scudi (1 scudo vale circa 5 euro , ma questo non ha importanza per il problema) deve pagare, come tasse, il 10% del suo reddito; chi guadagna 1000 scudi o più deve invece pagare il 20 %. Si disegni il grafico del reddito netto in funzione del reddito lordo, e si vedrà che in un punto la funzione è discontinua. Si calcoli poi: (a) con quale stipendio inferiore a 1000 scudi un cittadino, pagate le tasse, si trova nelle stesse condizioni di chi guadagna 1000 scudi; (b) quali degli stipendi superiori a 1000 scudi risultano preferibili a tutti quelli inferiori a 1000 scudi. 19. ** Consideriamo una funzione x → φ(x) avente questo significato: φ(x) rappresenta l’ammontare delle tasse che deve pagare annualmente un cittadino avente il reddito annuale x. La funzione φ deve essere tale da soddisfare ai seguenti requisiti: • deve essere crescente (perché chi guadagna di più deve pagare di più ); • se il cittadino aumenta il suo reddito, il fisco non gli deve prelevare tutto il maggior reddito ottenuto (altrimenti si incoraggerebbe la pigrizia). Dimostrare che la funzione φ è continua. 20. ** Un allievo modifica ’leggermente’ la definizione di funzione continua, in questo modo: ’ Si dice che la funzione f è continua nel punto x0 se esiste un δ > 0 tale che per ogni > 0, se si ha |x − x0 | ≤ δ, risulta |f (x) − f (x0 )| ≤ ’ È accettabile questa definizione? Quali sono le funzioni che risultano continue secondo questa definizione in tutto un intervallo [a, b]? Esercizi paragrafo 3.2 21. Esercizio svolto Date le funzioni f : x → cos x, g : x → x3 − 1, dare l’espressione analitica delle funzioni g ◦ f e f ◦ g e dimostrare che si tratta di funzioni continue. Svolgimento Il dominio della f è R, mentre il codominio è l’intervallo [−1, 1]; il dominio di g è R, e R è anche il codominio. Quindi sia la funzione f ◦ g che la funzione g ◦ f sono ben definite. g ◦ f (x) = cos3 x − 1 f ◦ g(x) = cos(x3 − 1) Poiché f e g sono continue per ipotesi, lo sono anche f ◦ g e g ◦ f per il teorema 16. √ 22. Date le funzioni f : x → −|x + 2| e g : x → 1 + x, discutere la continuità delle funzioni g ◦ f e f ◦ g, dopo avere determinato su quali intervalli della retta reale esse sono definite. √ 23. Dimostrare che la funzione x → cos (x3 + 1) 2 + x4 è continua in ogni punto di R ( non è il caso di applicare direttamente la definizione: meglio usare i teoremi sulle funzioni continue che abbiamo dimostrato!) CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 154 24. Dimostrare che la funzione x → |x| è continua. Dimostrare poi che se f è una funzione reale continua anche |f | (cioè la funzione x → |f (x)|) è continua. 25. Esercizio svolto Dimostrare che la funzione x → xn (con n intero ≥ 1) è continua. Svolgimento Per dimostrare che la funzione x → xn è continua si può procedere per induzione su n. Per n = 1, la funzione x → x è continua, come abbiamo già dimostrato. Supponiamo che x → xn sia continua e dimostriamo che anche x → xn+1 lo è. Basta osservare che xn+1 = x·xn e applicare il teorema 15. Questo basta a dimostrare che x → xn è una funzione continua. 26. Dimostrare che la funzione polinomiale x → a0 + a1 x + a2 x2 + . . . + an xn è continua. 27. Dimostrare che la funzione x → 1 x2 −x + 1 x2 +x 28. Dimostrare che una funzione razionale x → denominatore. (x 6= 0, 1, −1) è continua. P (x) Q(x) è continua per tutti i valori di x che non annullano il 29. Esercizio svolto Un quadrilatero articolato convesso ABCD è costituito da quattro asticelle di legno della stessa lunghezza l, incernierate alle estremità. Mostrare che, allontanando o avvicinando fra loro due vertici opposti, l’area del quadrilatero varia con b sia in funzione della distanza AC. continuità sia in funzione dell’ angolo ADC, Svolgimento D α l A d C B b Sia α la misura dell’angolo ADC. Deve essere 0 ≤ α ≤ π. Per calcolare l’area del quadrilatero in funzione di α, si può considerare il lato AD come base e il segmento CH come altezza. Si ottiene CH = l sin α. Chiamando A l’area, si ha A(α) = l2 sin α. Poiché la funzione α → sin α è continua, e moltiplicando una funzione continua per una costante si ottiene una funzione continua, α → A(α) è certamente una funzione continua. Se invece prendiamo come variabile la distanza d = AC, le limitazioni da porre sono 0 ≤ d ≤ 2l. Per il teorema di Pitagora: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 155 s HD = 2 d − 2 l2 da cui si ricava: s A(d) = d · l2 2 d − 2 La conclusione del teorema si ricava applicando i teoremi sulle funzioni continue già dimostrati. 30. Quanti sono i punti di discontinuità della funzione: x→ |x4 − 6x3 + 11x2 − 6x| x4 − 6x3 + 11x2 − 6x Tracciare il grafico della funzione. 31. * Una funzione decisamente ’patologica’ è la cosiddetta funzione di Dirichlet, che associa il valore 1 ad ogni numero razionale e il valore 0 ad ogni irrazionale. Si dimostra facilmente che questa funzione non è continua in alcun punto, e tentare di farne una rappresentazione grafica è praticamente impossibile. Se però si modifica un po’ la funzione di Dirichlet nel modo seguente: 0 se x è irrazionale f (x) = x se x è razionale allora vi è un punto in cui la funzione è continua. Quale? 32. Esercizio svolto Siano dati la retta r di equazione y = 3x − 1 e il fascio di rette di equazione ax + y + 1 − a = 0. Sia P (a) il generico punto di intersezione fra r e la retta del fascio di parametro a. (a) la funzione che associa a all’ascissa del punto P (a) è biunivoca? (b) è continua in ogni punto? (c) per quale valore di a il punto P (a) appartiene alla bisettrice del primo e terzo quadrante? Svolgimento (a) L’ascissa di P (a) si trova intersecando la retta r con la retta generica del fascio: y = 3x − 1 ax + y + 1 − a = 0 a e, risolvendo, si trova x = . Non vi è corrispondenza biunivoca, perché al valore a = −3 a+3 non è associato alcun punto. In effetti, per a = −3, la retta del fascio ha equazione y = 3x − 4 ed è parallela alla r. a (b) la funzione a → , che è definita per ogni a 6= −3, è continua per ogni valore di a per a+3 cui è definita. L’ascissa compie un ‘salto’ intorno al valore a = −3: per a leggermente minore di −3 f (a) > 0, ma ha grande valore assoluto; per a leggermente maggiore di −3, f (a) < 0, anche in questo caso il valore assoluto di a è molto grande. Quindi per una piccola variazione del parametro a si ha una grande variazione di f (a). 2a − 3 a (c) l’ordinata del punto P (a) è ; il punto P (a) appartiene alla bisettrice se a+3 = 2a−3 a+3 , a+3 cioè per a = 3. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 156 33. Sia Γ una semicirconferenza di diametro AB = 2. Siano P un punto di Γ e H la sua proiezione su AB, r la parallela a P H per B e Q il punto in cui r si incontra con la retta per A e P . Esprimere in funzione b = α la misura P H + P Q e studiare la continuità della funzione ottenuta. dell’angolo P AB 34. Dato un cerchio di raggio r, sia l la lunghezza di una sua corda, che insiste su un angolo al centro α. Trovare in funzione di l la lunghezza della corda che insiste sull’angolo al centro α2 . Dimostrare che la funzione trovata è continua. 35. Esercizio svolto Sia f è una funzione definita in un intervallo chiuso [a, b] , continua, che si annulli in qualche punto, allora l’insieme degli ’zeri’ (cioè dei punti in cui si annulla) ha un elemento massimo e un elemento minimo. Svolgimento Sia c l’estremo superiore dell’insieme degli ’zeri’: deve essere f (c) = 0. Se infatti non fosse così, sarebbe f (c) > 0 oppure f (c) < 0. Per il teorema di permanenza del segno esisterebbe tutto un intervallo con centro in c in cui non cadono ’zeri’ di f , in contrasto col fatto che c è l’estremo superiore di quell’insieme. Quindi deve necessariamente essere f (c) = 0, cioè c deve appartenere all’insieme degli zeri della funzione. Ma se l’estremo superiore di un insieme appartiene all’insieme è un massimo, quindi l’insieme degli zeri ha massimo. Nello stesso modo si può dimostrare che l’insieme ha minimo. 36. Se fra le ipotesi del teorema di permanenza del segno eliminassimo la continuità della funzione f , la tesi rimarrebbe valida? 37. La funzione x → x3 + 2 è positiva per x = 1. Dimostrare che per essa sussistono le ipotesi del teorema di permanenza del segno e trovare qual è il più grande intervallo dell’asse x intorno al valore 1 nel quale essa si mantiene positiva. Esercizi paragrafo 3.3 38. Trovare il dominio di definizione delle seguenti funzioni: a)x → d)x → 2−x x2 −1 q 3 1−x 1+x2 √ x2 − 5x + 7 p e)x → |x − 2| − |x − 3| b)x → c)x → x2 − 1 x−1 coincidono? 40. Esercizio svolto Trovare l’insieme di definizione delle funzioni: (a) x → (b) x → √ cos x 1 √ cos x − 23 sin x 1 (c) x → √ sin 2x − cos x 1 2 Svolgimento e 4 − x2 f )x → √ 39. I grafici della funzione: f :x→ √ g :x→x+1 1 √ 1+x+ x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 157 √ (a) La funzione x → cos x è periodica, quindi la si può studiare su un intervallo di ampiezza pari al periodo (ad esempio l’intervallo [−π, π]), per poi estendere a tutto R i risultati ottenuti. √ In [−π, π] la funzione x → cos x è definita solo se − π2 ≤ x ≤ π2 . Operando su questo intervallo traslazioni di modulo 2kπ, con k ∈ Z, si ottengono infiniti intervalli [− π2 + 2kπ, π2 + 2kπ] la cui unione è il dominio della funzione data. 1 √ (b) x → 3 1 cos x − 2 2 sin x √ Ricorrendo alle formule di addizione, si ricava che 12 cos x − 23 sin x = cos x + π3 . Quindi la funzione può essere riscritta così : x→ 1 cos x + π3 Perché sia definita, occorre che sia cos(x + π3 ) 6= 0, cioè: x+ π π 6= + 2kπ, 3 2 k∈Z e quindi: x 6= π + kπ 6 . 1 (c) x → √sin 2x−cos x Occorre che sia sin 2x − cos x > 0. Ma sin 2x = 2 sin x cos x, quindi cos x(2 sin x − 1) > 0. Lo studio del segno dei due fattori di questa espressione, rappresentato nel grafico, ci permette di individuare gli intervalli per i quali il prodotto è positivo. 2 sin x − 1 cos x −π 1 6π − 12 π 1 2π 5 6π π Anche in questo caso lo studio viene condotto limitatamente all’intervallo [−π, π], essendo la funzione periodica di periodo 2π. Si ottiene che il dominio della funzione è dato dal seguente insieme: π π π 5 [−π, − ) ∪ ( , ) ∪ ( π, π] 2 6 2 6 Per trovare tutto il dominio della funzione, basta operare sull’insieme ottenuto traslazioni di modulo 2kπ, con k ∈ Z. 41. Trovare l’insieme di definizione delle funzioni: s cos 2x √ 3 sin x 3 cos x − r 2−x d)x → 1 − x2 a)x → s 2 + |x − 2| 3 + |x − 3| |2 − x| e)x → 3 x − 4|x| b)x → 42. Determinare l’intervallo di R in cui è vera l’uguaglianza: p x − 3 = − (x − 3)2 tan x c)x → √ cos 2x 4x − 1 f )x → 3 x +8 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 158 43. Esercizio svolto In quali intervalli di R le seguenti funzioni hanno valore positivo? (a) x → |x − 1| |x| − 1 (b) x → sin(2x − π ) 3 Svolgimento (a) Occorre anzitutto osservare che i valori 1 e −1 annullano il denominatore della frazione che esprime la funzione, e quindi non possono far parte del suo dominio di definizione. Si analizza la forma assunta dalla funzione nei vari casi che si possono presentare: 1−x se x < 0, x 6= −1 e quindi f (x) = , il numeratore è certamente positivo, mentre il −x − 1 denominatore è positivo per x < −1. 1−x se 0 ≤ x < 1 e quindi f (x) = = −1, la funzione ha valori negativi. x−1 x−1 , la funzione ha valori positivi. se x > 0 e quindi f (x) = x−1 In conclusione, la funzione ha valori positivi per x < −1 oppure per x > 1. (b) La disequazione sin(2x − π3 ) > 0 è verificata se: 0 + 2kπ < 2x − π < π + 2kπ, 3 h∈Z e cioè se: π π + 2kπ < 2x < π + + 2kπ h∈Z 3 3 Dopo aver opportunamente semplificato, si ottiene che la funzione è positiva per i valori di x tali che: π 2 + kπ < x < π + kπ 6 3 h∈Z 44. In quali intervalli di R le seguenti funzioni hanno valore positivo? x2 + 2x − 3 x−1 2x + 1 e)x → x−3 a)x → −x2 − 2x + 8 √ d)x → 2x + 3 + x − 1 b)x → √ c)x → − x2 − x + 3 sin 2x f )x → cos x 45. Studiare il segno delle seguenti funzioni: a)x → √ x+1− √ x − [x] x √ e)x → cos x − x−2 b)x → d)x → 3|x + 1| − 2|x| + x √1 2 √ c)x → − cos x 3x + 1 f )x → 2 x + 3x − 4 46. Quali fra le seguenti funzioni sono pari, dispari, o né pari né dispari? a)x → x2 − x + 1 x4 + 1 d)x → 3|x + 1| − 2|x| + x2 x6 + 2x4 + 3x2 + 4 x2 + 2 x3 + 5x + 7 e)x → x5 − 4x3 b)x → c)x → sin x + tan x f )x → 1 − x2 − 1 x4 + 2 47. Dei seguenti enunciati dire se sono veri o falsi: se sono veri, trovare una dimostrazione, se sono falsi un controesempio: (a) la somma di due funzioni pari è pari; CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 159 (b) la somma di due funzioni dispari è dispari; (c) il prodotto di due funzioni pari è pari (d) il prodotto di due funzioni dispari è dispari; (e) il quadrato di una funzione qualsiasi è una funzione pari. 48. Data una funzione f (x) definita sull’intervallo (−a, a), mostrare che la funzione g(x) = f (x) + f (−x) è pari e che la funzione h(x) = f (x) − f (−x) è dispari. A partire da queste considerazioni, dimostrare che qualsiasi funzione f definita sull’intervallo (−a, a) può essere espressa come somma di una funzione pari e di una funzione dispari. 49. Tra le seguenti funzioni, individuare quelle periodiche e specificare qual è il periodo proprio: a)x → sin x + cos x + 2 d)x → sin x3 x + [x] 2√ e)x → sin 3x b)x → x − [x] 2 f )x → cos x3 c)x → 50. È vero che se le funzioni reali f e g hanno periodo proprio T , le funzioni h = f + g e k = f · g hanno periodo proprio T? Fare una congettura e dimostrare, oppure trovare un controesempio. 51. Dimostrare che se la funzione reale f (x) ha periodo T , la funzione f (λx), λ ∈ R, λ 6= 0 ha periodo T λ. 52. Esercizio svolto Sia f una funzione pari definita su R. Dimostrare che se f è crescente per x < 0 allora è decrescente per x > 0. Svolgimento Sia 0 < a < b; vogliamo dimostrare che f (a) > f (b). Certamente è −b < −a < 0 e, poiché f è crescente per x < 0, f (−b) < f (−a). Ma f è pari, quindi f (a) = f (−a) e f (b) = f (−b). Se ne deduce che f (b) < f (a), ed è proprio quello che volevamo dimostrare. 53. Trovare gli intervalli di monotonia delle seguenti funzioni: (a) x → −2x2 + 4x − 3 (b) x → cos(2x − π3 ) (c) x → x−3 2x−4 54. Dimostrare che la somma di due funzioni crescenti è crescente. Si può affermare che il prodotto di due funzioni crescenti è una funzione crescente? 55. La somma di due funzioni monotòne è monotòna? 56. Se f e g sono funzioni non decrescenti, la funzione x → max{f (x), g(x)} è non decrescente? E la funzione x → min{f (x), g(x)}? 57. Esercizio svolto In che modo è possibile stabilire se il grafico di una funzione x → f (x) è simmetrico rispetto alla retta x = k? Svolgimento Se il grafico della funzione è simmetrico rispetto alla retta di equazione x = k e P ↔ (x, f (x)) è un punto del grafico, anche il punto P 0 , immagine di P mediante la simmetria, deve appartenere al grafico. Le equazioni della simmetria assiale sono: CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 160 x0 = 2k − x y0 = y Quindi deve essere P 0 ↔ (2k − x, f (x)). il fatto che P 0 appartenga al grafico si esprime nel modo seguente: f (x) = f (2k − x) Se la relazione appena scritta vale per ogni x del dominio della funzione, si può affermare che essa è simmetrica rispetto alla retta di equazione x = k. Un secondo metodo consiste nell’operare una traslazione del sistema di riferimento che faccia coincidere l’asse y con la retta x = k. Se la funzione espressa in queste nuove coordinate risulta pari, significa che essa è simmetrica rispetto al nuovo asse y, cioè alla retta di equazione x = k del riferimento iniziale. b 58. Verificare che la retta di equazione x = − 2a è asse di simmetria per la parabola di equazione y = 2 ax + bx + c 59. Fra i grafici delle seguenti funzioni, quale è simmetrico rispetto all’asse y? x−1 f (x) = 2x + 4 g(x) = |x| − 1 2|x| + 4 h(x) = |x − 1| 2x + 4 60. Esercizio svolto In che modo è possibile stabilire se il grafico di una funzione f ha un centro di simmetria C ↔ (a, b)? Svolgimento Primo metodo: si opera una traslazione del riferimento che porti l’origine nel punto C. Se la funzione rappresentata in questo nuovo riferimento è dispari significa che essa è simmetrica rispetto all’origine e quindi, nel vecchio riferimento, rispetto al punto C. Secondo metodo: se P ↔ (x, f (x)) è un punto del grafico della funzione e se la funzione è simmetrica rispetto al punto C, significa che il punto P 0 immagine di P mediante la simmetria deve appartenere ancora al grafico. Le equazioni della simmetria sono: x0 = 2a − x y 0 = 2b − y Quindi P 0 ↔ (2a−x, 2b−f (x)). Ma se P 0 appartiene al grafico, deve essere 2b−f (x) = f (2a−x). Quando questa relazione è valida per ogni punto P del campo di esistenza, il grafico della funzione è simmetrico rispetto al punto C ↔ (a, b). 61. Trovare il centro di simmetria del grafico della funzione x → 62. Verificare che il grafico della funzione: x→ x+2 x−4 è simmetrico rispetto al punto C ↔ (4, 1). 63. Verificare che il grafico della funzione: x→ è simmetrico rispetto al punto C ↔ (2, 3). x2 + 2x − 4 2(x − 2) 5x − 2 2x + 6 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 161 64. Verificare che il grafico della funzione: x→ x2 − 6x + 11 x2 − 6x + 8 è simmetrico rispetto alla retta di equazione x = 3. 65. Ha senso chiedersi se il grafico di una funzione f è simmetrico rispetto all’asse x? 66. Tracciare il grafico della funzione x → x − [x]. 67. Esercizio svolto Tracciare il grafico della funzione x → x · cos x. Svolgimento L’insieme di definizione della funzione è tutto R. La funzione è dispari, infatti f (−x) = −x · cos(−x) = −x · cos(x) = −f (x). Quindi il grafico è simmetrico rispetto all’origine (e lo si può studiare solo per x > 0, replicando quello che si ottiene mediante una simmetria rispetto all’origine). Poiché | cos x| ≤ 1, il grafico della funzione è compreso fra le rette y = x e y = −x. Per x > 0, il segno della funzione dipende dal segno di cos x, quindi la funzione è positiva per −π π 2 + 2kπ < x < 2 + 2kπ, con k ∈ N. Infine il grafico attraversa l’asse x nel punto 0 e nei punti di ascissa x = π2 + kπ, con k ∈ N e tocca la retta di equazione y = x nei punti di ascissa x = 2kπ e la retta di equazione y = −x nei punti di ascissa x = (2k + 1)π. Fatte queste considerazioni, è posssibile tracciare il grafico: y x 68. Tracciare i grafici delle funzioni x → x3 , x → 1 + x3 , x → x3 − x. 69. Tracciare il grafico della funzione x → sin x − cos x (È opportuno scriverla prima in una forma più compatta). 70. Tracciare il grafico della funzione x → x3 − 3x2 + 3x − 1. 71. Tracciare il grafico della funzione x → x4 + x2 + 1. 72. Della funzione: x→ √ x 1 − x2 studiare il campo di esistenza, il segno, le eventuali simmetrie e gli intervalli di monotonia. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 162 73. Esercizio svolto Disegnare il grafico della funzione: f :x→ x−2 x−3 e a partire da esso tracciare i grafici delle funzioni: x − 2 g:x→ x − 3 e h:x→ |x| − 2 |x| − 3 Svolgimento Il grafico della funzione f si traccia abbastanza facilmente, trattandosi di una iperbole equilatera con centro di simmetria in C ↔ (3, 1). y x Il grafico di g coincide con quello di f là dove f assume valori positivi, mentre coincide con quello di −f se f è negativa. y x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 163 Il grafico di h coincide con il grafico di f per x > 0. Per tracciare la restante parte del grafico, basta osservare che la funzione h è pari, essendo h(−x) = h(x). Quindi il grafico della funzione si completa mediante una simmetria rispetto all’asse y. y x 74. Riprendere la funzione f dell’esercizio precedente per disegnare i grafici delle funzioni x → f (x) + 1 e x → f (x + 1) 75. Data una sfera di raggio unitario, sia 2x l’altezza di un cilindro in essa inscritto. Trovare la funzione che esprime il volume del cilindro in funzione di x e studiarla, prescindendo dalle limitazioni geometriche del problema. 76. Sia data la semicirconferenza di centro O e di diametro AB = 2. Sia C un suo punto e sia H la b il rapporto f fra proiezione ortogonale di C su AB. Esprimere, in funzione dell’angolo α = C OB, l’area del triangolo ACH e l’area del triangolo COH. Studiare poi, a prescindere dalle limitazioni geometriche del problema, campo di esistenza, segno, monotonia ed eventuali simmetrie e periodicità della f . 77. (dalla Maturità Scientifica PNI 1998 - sessione suppletiva) In un piano riferito ad un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxy si considerino i punti A ↔ (2, 0) e P ↔ (x, 0). Il candidato: (a) esprima in funzione di x le funzioni s(x) = P O + P A e d(x) = |P O − P A|, distinguendo le posizioni occupate dal punto P ; (b) tracci le linee di equazione y = s(x) e y = d(x); (c) tracci, quindi, la linea C di equazione y = s(x) d(x) . Esercizi paragrafo 3.4 78. Esercizio svolto Dimostrare le seguenti relazioni di limite, ricorrendo direttamente alla definizione: lim x2 = +∞ r 1 (b) lim 1+ =1 x→+∞ x (a) x→+∞ CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 164 1 = +∞ x→1 (x − 1)2 (c) lim Svolgimento (a) Preso un qualsiasi valore K > 0, occorre dimostrare che esiste un numero reale x tale che, se x > x, f (x) = x2 >√K. Basta scegliere x = K e la disequazione è verificata. (b) In questo caso si vuole dimostrare che il limite è finito e vale 1: occorre scegliere un intorno di 1 e verificare che esiste un valore x tale che per ogni x maggiore di x, f (x) appartiene all’intorno. q Se (1 − , 1 + ) è l’intorno di 1, deve accadere che 1 − < 1 + x1 < 1 + . Poiché stiamo cercando il limite per x → +∞, ha senso porre x > 0. q La prima delle due disequazioni è verificata, infatti 1 − è una quantità minore di 1, mentre 1 + al quadrato i termini della seconda disequazione, si ottiene: 1 x è maggiore di 1. Elevando 1 < (1 + )2 x 1 Questa disequazione è verificata per ogni x > 2 , quindi è sufficiente considerare x = + 2 1 per dimostrare che la funzione tende a 1 quando x tende a +∞. 2 + 2 (c) Occorre dimostrare che scelto un valore K > 0 è possibile trovare un intorno di 1 in corrispondenza dei punti del quale la funzione assume valori maggiori di K. Poniamo quindi: 1+ 1 >K (x − 1)2 da cui si ricava: (x − 1)2 < 1 K e quindi: 1 |x − 1| < √ K Nei punti dell’intorno di centro 1 e di ampiezza δ = √1K la funzione assume valori maggiori di K. Questo ci permette di dire che la funzione tende a +∞ per x che tende a 1. 79. Dimostrare le seguenti relazioni di limite: a) lim 1 x→+∞ x3 x2 − d) lim x→2 =0 4 =0 x+2 sin x =0 x x e) lim = +∞ x→1 (x − 1)2 b) lim x→+∞ √ c) lim x→+∞ x = +∞ f ) lim xn = +∞, (n ∈ N) x→+∞ 80. Calcolare i seguenti limiti: (x − 3)2 x→+∞ x2 − 3 x3 + 10 d) lim x→−∞ 2x3 − 4 3x4 + x2 + 3 g) lim x→−∞ 5x3 + 2x + 1 a) lim x2 + x + 1 x→+∞ x2 + 100x + 1000 3x2 − x + 1 e) lim x→−∞ 4x2 + 3x + 2 x+3 h) lim 3 x→+∞ x + 27 b) lim 2x2 + 3 x→+∞ √x 3 x f ) lim x→+∞ √ x2 2 x+3 i) lim x→+∞ x c) lim CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 165 81. Calcolare i seguenti limiti: r 3x2 − x + 1 √ a) lim , x→+∞ x4 − 3 2 x −1 d) lim 2 x→+∞ x + 1 10x2 + 4x − 7 , b) lim x→−∞ 5x2 + x + 2 2 x − |x| e) lim , x→+∞ 2x √ x x c) lim 2 , x→+∞ x + 1 2 x − |x| f ) lim x→−∞ 2x 82. Esercizio svolto Dimostrare le seguenti relazioni: x2 − 1 =4 (a) lim √ x→1 x−1 √ 1 1+x−1 = (b) lim x→0 x 2 Svolgimento x2 − 1 (a) La funzione x → √ non è definita nel punto x0 = 1, quindi deve essere necessariamente x−1 x 6= 1. Osserviamo che il numeratore della frazione può essere scomposto nel seguente modo: √ √ x2 − 1 = (x − 1)(x + 1) = ( x − 1)( x + 1)(x + 1) e, poiché x 6= 1, la frazione può essere semplificata: √ x2 − 1 f (x) = √ = ( x + 1)(x + 1) x−1 √ x2 − 1 Se ne ricava che lim √ = lim ( x + 1)(x + 1) = 4 x→1 x − 1 x→1 (b) Al tendere di x a 0, sia il numeratore che il denominatore della frazione tendono a 0; non siamo in grado, a causa di questa indeterminazione, di sapere se il limite esiste, e, se esiste, quanto vale;√si ricorre allora al seguente artificio: moltiplicare e dividere numeratore e denominatore per 1 + x + 1 (un’operazione che somiglia alla razionalizzazione delle frazioni algebriche): √ √ √ 1 1+x−1 ( 1 + x − 1)( 1 + x + 1) √ = =√ x x( 1 + x + 1) 1+x+1 √ 1+x−1 1 1 Ne segue che lim = lim √ = x→0 x→0 x 2 1+x+1 83. Dimostrare le seguenti relazioni di limite: √ 1 x−1 a) lim 3 = x→1 x − 1 6r √ 2 x −1 2 d) lim √ = + 3 3 x→1 x −1 √ √ 1 2− x b) lim = √ x→2 2− x 2 2 √ 3 − x2 + 9 e) lim =0 x→0 x x4 − 1 c) lim √ =8 x→1 x− √1 5 − x + 25 1 f ) lim =− x→0 x 10 84. Calcolare i seguenti limiti: √ 2−x π x→1 1+x sin 2x d) limπ x→ 4 1 − sin2 x √ √ 1 + sin x − 1 − sin x g) lim x→0 tan x a) lim sin b) lim x − sin x x→+∞ r tan x e) lim x→0 sin 2x √ √ x − 2 + x2 − 4 √ h) lim x→2 x−2 1 tan x tan 2x f ) lim x→0 sin x √ √ 1 + sin x − 2 i) limπ cos2 x x→ 2 c) lim x→0+ CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 166 85. Esercizio svolto Data la funzione: f :x→ x2 + 2x − 3 x2 − 4 calcolare: lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x) x→+∞ x→−∞ x→−2− x→−2+ x→2+ x→2− . In che modo il calcolo di questi limiti può essere di aiuto nel disegno del grafico della f ? Svolgimento Per x → +∞ e per x → −∞ la funzione tende a 1, ciò significa che, per punti molto lontani dall’origine, il grafico è ‘abbastanza vicino’ alla retta di equazione y = 1. Poichè la funzione non è definita per x = 2 e per x = −2, ha senso cercare di capire qual è il suo andamento nell’intorno di questi punti, e ciò si può fare mediante il calcolo dei limiti elencati nel testo di questo esercizio, ricavando: lim f (x) = −∞ x→−2− lim f (x) = −∞ lim f (x) = +∞ x→−2+ lim f (x) = +∞ x→2− x→2+ I risultati ottenuti ci forniscono alcune informazioni sul grafico, ad esempio possiamo sapere che se x si avvicina al valore 2 per valori maggiori di 2, la funzione assume valori positivi molto grandi. y x 86. Data la funzione: f :x→ x3 − 3x2 − 6x + 8 x2 + x − 2 calcolare: lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x), lim f (x) x→+∞ . x→−∞ x→1+ x→1− x→−2+ x→−2− CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 167 87. Esercizio svolto Determinare per quali valori dei parametri reali a e b la funzione: a cos2 x 3+x f (x) = 2 bx + 5 se x < 0 se 0 ≤ x ≤ 1 se x > 1 è continua in ogni punto di R e disegnarne il grafico. Svolgimento Devono valere le seguenti equazioni: lim f (x) = lim f (x) x→0− x→0+ Se così non fosse, la funzione presenterebbe una discontinuità nel punto x = 0. Poiché lim f (x) = lim x + 3 = 3 x→0+ x→0+ deve essere: lim f (x) = lim a cos2 x = 3 x→0− x→0− da cui si ricava a = 3. Inoltre deve essere: lim f (x) = lim f (x) x→1− x→1+ Poiché: lim f (x) = lim 3 + x = 4 x→1− x→1− si ha lim f (x) = lim bx2 + 5 = b + 5 = 4, da cui si ottiene b = −1. x→1+ x→1+ y −π − 21 π O 1 x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 168 88. Data la funzione: 2 x +x sin x f (x) = −x2 + bx se x < 0 se 0 ≤ x ≤ se x > π2 π 2 Determinare per quale valore del parametro reale b la funzione è continua in ogni punto di R. 89. Una funzione f è tale che ∀x ∈ R f (x) = f (x + 2) e inoltre: f (x) = x 1 per 0 ≤ x ≤ 1 per 1 < x < 2 Studiare la continuità di questa funzione e tracciarne il grafico. Quanto valgono lim f (x)? e lim f (x)? x→4− x→4+ 90. Si può affermare che la funzione: f :x→ x|x − 2| x−2 tende ad un limite quando x tende a 2? 91. (dal questionario dell’Esame di Stato 2002) Considerata la funzione di variabile reale f : x → tendente a 1 e giustificare la risposta. √ x−1+ √ 1 − x, dire se esiste il limite di f per x 92. Per quale valore del parametro reale a la funzione: f :x→ (x − a)2 (x − 1) |x − 3| risulta continua in x = 3? cos 2x non è definita per x = sin x − cos x questo punto perché in esso risulti continua? π 4. 93. La funzione f : x → Quale valore si può assegnare alla f in 94. Si consideri l’equazione di secondo grado contenente un parametro u: x2 − x + u = 0 A quali limiti tendono le sue radici quando u tende a 0? 95. ** Si consideri la seguente equazione in x contenente il parametro u: ux2 − x + 1 = 0 A quale limite tendono le sue radici quando u tende a 0 da destra? e quando u tende a 0 da sinistra? Quando tende a −∞? 96. Calcolare i seguenti limiti: √ lim x→+∞ x + 1 + 3x √ , 2+x+ x lim x→+∞ x + sin x x + cos x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 169 97. * Dimostrare il seguente teorema (detto ‘teorema dei due carabinieri’): Siano g, f e h tre funzioni tali che per ogni x in un intorno del punto x0 (escluso il punto x0 ) si abbia: g(x) ≤ f (x) ≤ h(x) e sia lim g(x) = lim h(x) = l. x→x0 x→x0 Allora lim f (x) = l. x→x0 98. Siano f e g due funzioni tali che ∀x > x si abbia f (x) ≤ g(x). Dimostrare che se lim f (x) = +∞, x→+∞ allora anche lim g(x) = +∞ x→+∞ 99. Dire se la funzione così definita: f (x) = x2 sin x1 0 per x 6= 0 per x = 0 è continua in x = 0. 100. Dimostrare che per valori di x positivi e abbastanza grandi si ha: 2 2x 3 − 2x + 2x4 x ≥ x (cos x + 3x5 ) 101. Si consideri un cerchio di raggio r; per ogni arco di lunghezza minore di un semicerchio, si indichi con η la lunghezza della corda, con ξ la saetta (si chiama cosi la massima distanza dei punti dell’arco dalla corda). Calcolare il limite del rapporto ηξ , quando ξ tende a zero. 102. Esercizio svolto Si consideri una parabola del fascio y = x2 − ax e siano t1 e t2 le rette tangenti ad essa rispettivamente nell’origine e nel punto T di ascissa 2a. Sia P il punto di intersezione fra t1 e t2 . Calcolare lim a→+∞ OP . PT Svolgimento Il punto di tangenza T si trova per sostituzione nell’equazione della parabola: T (2a, 2a2 ). Le equazioni delle rette tangenti t1 e t2 sono: t1 : t2 : y = −ax y = 3ax − 4a2 Il punto di intersezione fra t1 e t2 è P (a, −a2 ). Quindi: OP = PT = p p p a2 + a4 = |a| 1 + a2 (2a − a)2 + (2a2 + a2 )2 = p p a2 + 9a4 = |a| 1 + 9a2 E infine: √ OP |a| 1 + a2 1 √ lim = lim = a→+∞ |a| 1 + 9a2 a→+∞ P T 3 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 170 103. Su un quadrato ABCD si costruisca la diagonale AC e l’arco di cerchio avente centro in B e passante per i punti A e C. Una retta per B taglia in H l’arco di cerchio e in K la diagonale AC. Calcolare HK lim . H→A KA 104. Un punto P appartiene ad un quadrante di cerchio OAB di raggio OA = r. K è la proiezione di P su PK PK . e lim OA. H è l’intersezione fra la tangente al cerchio in P e la retta OA. Calcolare lim P →B P H P →A P H 105. Due corde di una circonferenza AB e CD sono tali che, se α è l’angolo al centro che insiste su AB, 3α quando α → 0. è l’angolo al centro che insiste su CD. Trovare il limite del rapporto CD AB 106. Nel piano sono dati due punti A e B ed una retta r. Sia P un punto variabile su r; calcolare i limiti di AP e di AP − BP al tendere di P all’infinito sull’una o sull’altra delle semirette di r. Cercare di fare BP prima una congettura sul valore dei limiti. (Servirsi di un opportuno riferimento cartesiano). 107. P è un punto di ascissa positiva appartenente alla parabola di equazione y = x2 . Sia t la tangente alla parabola nel suo punto T di ascissa 1, H la proiezione di P su t e K la proiezione di P sull’asse delle ascisse. PH , quando l’ascissa di P tende all’infinito, quando tende a 1 e quando Calcolare il limite del rapporto PK tende a 0. 108. Sia P un punto appartenente al lato AB del quadrato ABCD. La diagonale AC interseca in H il segmento DP e K è la proiezione di H sul lato AB. PH PH e lim al tendere di P ad A. HK PK 109. (Maturità 1992 - sessione ordinaria) Data una circonferenza γ di raggio unitario e centro O, tracciare una semiretta s uscente da O ed intersecante γ in un punto Q. Indicato con P un generico punto di s esterno alla circonferenza γ, tracciare da esso le due tangenti alla circonferenza: siano A e B i punti di tangenza. Indicata con x la lunghezza del segmento P Q, trovare il limite per x tendente ad infinito del rapporto: Calcolare lim k= AQ + QB AB 110. Esercizio svolto Sia f una funzione definita su un dominio B, tale che lim f (x) = l. x→x0 Sia x una funzione continua definita su un dominio A, tale che l’immagine di A mediante x contenga B (cioè che ogni punto di B sia immagine di qualche punto di A). Sia inoltre t0 ∈ A e lim x(t) = x0 . t→t0 Allora lim f (x(t)) = l. t→t0 Svolgimento Poiché lim f (x) = l, in corrispondenza di un qualsiasi valore > 0 esiste δ > 0 tale x→x0 che se x ∈ B\{x0 } si abbia |f (x) − l| < . Per la continuità dell’applicazione x, in corrispondenza di δ è possibile trovare un valore reale positivo λ tale che se t ∈ A e |t − t0 | < λ, si abbia |x(t) − x(t0 )| = |x(t) − x0 | < δ. Si può quindi affermare che in corrispondenza di un arbitrario valore > 0, esiste λ > 0 tale che per ogni t ∈ A\{t0 }, con |t − t0 | < λ si abbia |f (x(t) − l| < e questo assicura che lim f (x(t)) = l. t→t0 111. Esercizio svolto Dimostrare che: √ 16 + x − 4 lim √ =4 4 x→0 16 + x − 2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 171 √ Svolgimento Si può scrivere 4 16 + x = t e quindi ricavare la funzione continua x(t) = t4 − 16. Se t → 2, x(t) → 0. Il teorema dimostrato nell’esercizio precedente ci assicura che: √ 16 + x − 4 t2 − 4 =4 lim √ = lim x→0 4 16 + x − 2 t→2 t − 2 112. ** Quali sono i polinomi p(x) di R[x] che per ogni x reale soddisfano alla seguente doppia disuguaglianza? 1 − x4 ≤ p(x) ≤ 1 + x4 113. ** In un libro di matematica si legge la seguente dimostrazione del ’principio di identità dei polinomi’ in R[x] (di cui si è parlato precedentemente in questo corso): ’Si supponga che il polinomio an xn + an−1 xn−1 + . . . + a1 x + a0 si annulli per ogni valore di x : allora tutti i coefficienti sono nulli. Infatti, poniamo x = 0; si ottiene subito a0 = 0. Dunque, dividendo per x, si ha an xn−1 + an−1 xn−2 + . . . + a1 = 0 Ragionando come prima, si ottiene a1 = 0; così si prosegue giungendo a dimostrare che tutti i coefficienti sono nulli’. Trovare l’errore della dimostrazione e far vedere che, utilizzando la nozione di limite, la dimostrazione può essere aggiustata. Esercizi paragrafo 3.5 114. La funzione: f : x → [x3 ] soddisfa le condizioni del teorema 18? Calcolare lim f (x) e lim f (x). x→3− x→3+ 115. Stessi quesiti dell’esercizio precedente per la funzione: f : x → [x2 ] − [x]2 limitatamente all’intervallo [0, +∞). 116. Se una funzione monotòna f è definita in un intervallo (a, b), che cosa si può dire dei limiti: lim f (x), x→a+ lim f (x)? x→b− 117. Si consideri la funzione: x→ x2 + 2 x2 − 1 che è definita per x 6= −1 e x 6= +1. Individuare gli intervalli in cui è monotona, e calcolarne i limiti al tendere di x agli estremi di questi. 118. Sia f una funzione crescente. Si può affermare che la “funzione reciproca” affermativo di può dire qualcosa sul tipo di monotonia? 1 f è monotòna? In caso CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 172 119. Sia f una funzione reale di variabile reale, tale che lim f (x) = l, (a e l sono numeri reali). x→a È sufficiente questo a poter affermare che f (a) = l? Cambia la risposta se si aggiunge l’ipotesi che la funzione sia crescente? E se si aggiunge l’ipotesi della continuità? Esercizi paragrafo 3.6 120. Esercizio svolto Data la funzione f : x → x2 + sin x − 2, dimostrare che esiste un unico punto appartenente all’intervallo [0, π2 ] in cui essa si annulla, e calcolarlo con la precisione di una cifra decimale. Svolgimento f (x) è continua, perché somma delle funzione polinomiale y = x2 − 2 e della funzione y = sin x, 2 che sono ambedue continue; f (0) = −2, mentre f ( π2 ) = π2 + sin π2 − 2 > 0. f (x) è crescente, infatti per 0 ≤ x ≤ π2 sia la sinusoide che la parabola sono crescenti, e quindi lo è la loro somma. Possiamo quindi affermare che il punto in cui si annulla la funzione è unico. Per calcolarlo, si può usare l’algoritmo di bisezione. Il punto medio dell’intervallo [0, π2 ] è π4 e f ( π4 ) = −0, 676 < 0. Quindi lo zero si trova nell’intervallo [ π4 , π2 ]. Calcolando il valore della funzione nel punto medio di questo intervallo si ottiene f ( 38 π) = 0, 312 > 0. Si continua ad operare in questo modo, scegliendo ogni volta l’intervallo ai cui estremi la funzione assume valori di segno opposto. Se non si trova un valore per cui la funzione si annulla, dopo un certo numero di passi, quando l’ampiezza dell’intervallo è inferiore all’approssimazione richiesta, ci si arresta. Poiché ad ogni passo l’ampiezza dell’intervallo dimezza, è possibile calcolare il massimo numero di iterazioni necessarie. Ad esempio, nel nostro caso l’intervallo iniziale ha ampiezza π2 e occorre dare la soluzione con un errore inferiore a 0, 1. Quindi occorre che sia: π 2 n 1 < 0, 1 2 Da cui si ricava la disequazione 2n+1 > 10π, che è risolta per n > 4. Proseguiamo quindi il calcolo trovando il valore della funzione nel punto medio dell’intervallo 5 5 π) < 0, quindi il successivo intervallo da considerare è [ 16 π, 38 π], il cui punto medio [ π4 , 38 π]: f ( 16 11 11 è 32 π. Si trova che f ( 32 π) > 0. 5 11 Lo zero della funzione è compreso fra 16 π ' 0, 9817 e 32 π ' 1, 0799: la differenza fra questi due valori è inferiore a 0, 1, quindi siamo arrivati all’approssimazione richiesta. Possiamo dare come 21 valore dello zero della funzione il punto medio di questo ultimo intervallo: 64 π. 121. Dimostrare che l’equazione x3 + 31 x − 1 = 0 ha un’unica soluzione, che appartiene all’intervallo [0, 1] e calcolarla a meno di 10−2 . 122. Dimostrare che l’equazione sin x = 12 x ha un’unica soluzione nell’intervallo π2 , π e calcolarla. (Come si è detto più volte, le funzioni coseno e seno si intendono definite a partire dalla misura degli angoli in radianti, salvo avviso contrario). 123. Si dimostri che la funzione x → x2 − cos x si annulla in un unico punto nell’intervallo 0 ≤ x ≤ π. 124. Si dimostri che l’equazione x6 + 3x2 − 1 = 0 ha due e due sole soluzioni. 125. * Trovare il campo di esistenza della funzione: r x→ sin x − 1 2 x 10 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 173 Suggerimento La rappresentazione grafica delle funzioni x → sin x e x → 1 2 10 x può essere di aiuto. 126. Esprimere con la precisione di due cifre decimali lo zero della funzione: x→ √ 3 x + x3 − 1 (come si può essere certi che esiste un unico zero?) 127. Due automobilisti percorrono lo stesso tratto di strada in senso opposto, partendo nello stesso istante. Dimostrare che si incontrano. (Il risultato che si trova è, letteralmente, banale, ma è importante rendersi conto che la descrizione del moto, per essere aderente all’intuizione, deve essere fatta con lo strumento delle funzioni continue). 128. (da ’Tangente’ n. 23 - 2004) Dimostrare che in ogni istante esistono due punti dell’equatore terrestre situati agli antipodi l’uno dell’altro in cui la temperatura è rigorosamente la stessa. 129. Esercizio svolto Dato il rettangolo ABCD di lati AB = 6 e BC = 10, si prenda il punto E sul lato AB in modo che sia AE = x, F sul lato BC in modo che sia BF = x, G sul lato CD in modo che sia CG = x e H sul lato DA in modo che sia DH = x. (a) su quale intervallo di R può variare x affinché il problema abbia senso? (b) esprimere, mediante la funzione f (x) l’area del parallelogramma EF GH. (c) verificare che il segno di f (x) è sempre positivo nell’intervallo di variazione di x (come è abbastanza naturale aspettarsi). (d) dimostrare che in tale intervallo la f assume massimo e minimo e trovare questi valori; (e) c’è un valore di x per cui il parallelogramma EF GH abbia area 30? Svolgimento (a) x deve essere positivo o nullo, trattandosi della lunghezza di un segmento, inoltre x non può eccedere la lunghezza del lato più corto del rettangolo, quindi 0 ≤ x ≤ 6. (b) si calcola facilmente l’area del parallelogrammo togliendo all’area del rettangolo la somma delle aree dei triangoli EBF, F GC, DGH e AHE: x(10 − x) x(6 − x) −2· = 2x2 − 16x + 60 2 2 (c) f (x) è una funzione polinomiale di secondo grado; si possono cercare gli eventuali valori in cui si annulla: f (x) = 60 − 2 · 2x2 − 16x + 60 = 0 Si trova che il discriminante è negativo, e poiché il coefficiente del termine di secondo grado è positivo, f (x) è positiva per ogni valore di x. (d) f (x) è una funzione continua, definita su un intervallo chiuso e limitato, quindi ammette massimo e minimo. Il minimo si trova facilmente calcolando l’ascissa del vertice della parabola xV = 16 4 = 4. Per tale valore, l’area è 28. Per calcolare il massimo, si cerca sui valori estremi all’intervallo (infatti la funzione è decrescente fra [0, 4] e crescente fra [4, 6]): f (0) = 60, f (6) = 36 Quindi il valore massimo si ha per x = 0. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 174 (e) Affinché l’area del parallelogramma sia 30, deve essere: f (x) = 2x2 − 16x + 60 = 30 da cui si ricava che l’area vale 30 per x = 5 o x = 3. 130. Sul lato AB di un quadrato ABCD avente lunghezza a si prenda un punto P e si disegni una circonferenza Γ1 di centro P e raggio AP . Si prenda sul segmento CB un punto Q in modo che sia il centro di una circonferenza Γ2 passante per C e tangente esternamente la Γ1 . (a) esprimere il raggio di Γ2 in funzione del raggio x di Γ1 (dopo aver posto le opportune limitazioni a x); (b) studiare la funzione ottenuta e tracciarne il grafico, senza tener conto delle limitazioni poste alla x; (c) verificare che la funzione ottenuta è strettamente decrescente nell’intervallo [0, a] e che l’immagine di [0, a] è [0, a]; (d) la funzione assume tutti i valori tra 0 e a? Perché? b vale π . Facendo centro in C si 131. Nel triangolo ABC rettangolo in B, l’ipotenusa vale a e l’angolo B AC 3 traccia un arco di circonferenza che incontra il cateto BC in E e l’ipotenusa AC in D. Facendo centro in A si costruisce un arco di cerchio tangente in D a quello precedentemente costruito, che incontra il cateto AB in F . Si ponga DC = x. (a) quali sono le limitazioni da porre ad x affinché la costruzione sia realizzabile? (b) quanto vale l’area A(x) del quadrilatero mistilineo EDF B, ottenuto togliendo al triangolo i due settori circolari? (c) per quale valore di x A(x) è massima? per quale è minima? 132. Nel cubo ABCDEF GH gli spigoli AE, BF, CG hanno lunghezza unitaria. Sullo spigolo BF si prenda un punto L a distanza x dal vertice B e sullo spigolo CG un punto M a distanza x dal vertice C. Sia V il punto medio dello spigolo EH. Si consideri la piramide ottenuta congiungendo V con i punti A, L, M e D. (a) si mostri che il volume della piramide V ALM D non dipende da x; (b) si calcoli l’area totale A della piramide in funzione di x e si verifichi che si tratta di una funzione continua nell’intervallo di definizione di x. (c) si può affermare che la funzione A(x) è monotòna? si può affermare che essa ammette una valore massimo e uno minimo? 133. Tracciare il grafico della curva di equazione: x→ p 4x − x2 Sia P un punto di tale curva, siano t e n le rette rispettivamente tangente e normale alla curva in P . Detti A il punto in cui t incontra l’asse x e B il punto in cui n incontra l’asse y: PA in funzione dell’ascissa x di P PB (b) mostrare che la funzione f (x) è strettamente decrescente; (c) trovare l’equazione della funzione f −1 , inversa della f ; (d) calcolare lim f (x), lim f (x), lim f (x) (a) esprimere il rapporto f (x) = x→2 x→0 x→4 134. Come è noto, secondo la legge di Newton, una massa m concentrata in un punto O esercita su una massa M concentrata nel punto P una forza attrattiva data da k mM2 , essendo k una costante. OP Supponiamo che nei punti A e B, posti a distanza λ, siano concentrate le masse m1 ed m2 rispettivamente; si dimostri che sul segmento AB esiste un punto P in cui la forza di attrazione è nulla e se ne calcoli la distanza da A. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 175 135. Riprendendo l’esercizio precedente, si supponga che in tre punti allineati A, B, C di ascisse a, b, c (a < b < c), siano concentrate le masse m1 , m2 , m3 ; sia AB = r, BC = s. Dimostrare che nel segmento AB vi è un punto, ed uno solo, in cui la forza di attrazione è nulla. (Analoga affermazione si può fare, evidentemente, per il segmento BC). 136. Individuare il più ampio sottoinsieme di R per cui sono vere le seguenti affermazioni: √ a)√x2 = x d) x6 = x3 √ 2 = |x| b) x√ 4 e) − x4 = x √ 3 6 = x2 c) x√ 5 f ) − x5 = x 137. Data la funzione: r x→ x3 − 1 3 trovare l’ampiezza del massimo intervallo sul quale essa risulta invertibile, e trovare l’equazione della funzione inversa. 138. Stessa richiesta dell’esercizio precedente per la funzione: r x→ 3 x2 − 1 3 139. * Una funzione f , definita su un intervallo [a, b], assume in tale intervallo un minimo m ed un massimo M . Inoltre assume tutti i valori compresi fra m e M . Si può affermare che f è continua? Se a queste ipotesi si aggiunge che f è strettamente crescente in [a, b], si può affermare che f è continua? 140. La funzione f : x → x2 + 1 è continua e crescente nell’intervallo (0, 1)? In tale intervallo ha massimo e minimo? 141. Siano f e g due funzioni continue definite su un intervallo [a, b] tali che f (a) < g(a) e f (b) > g(b). Dimostrare che esiste almeno un valore c ∈ (a, b) tale che f (c) = g(c). 142. * Sia f una funzione continua su un intervallo [a, b] a valori in [a, b]. Dimostra che f ammette almeno un punto fisso (cioè un valore c ∈ [a, b] tale che f (c) = c). 143. * Una funzione continua definita su un intervallo reale può assumere soltanto valori razionali? Quali sono le funzioni con questa proprietà? 144. ** (da ’Tangente’ n. 23 - 2004) Mostrare che l’equazione xn + xn−1 + xn−2 + . . . + x − 1 = 0 ha, per n > 1 un’unica radice xn nell’intervallo (0, 1). Dimostrare poi che la successione {xn } è strettamente decrescente. Dopo aver dimostrato che questa successione ammette limite, calcolarlo (si può ricorrere alla somma dei termini di una serie geometrica). Esercizi paragrafo 3.7 Premettiamo una convenzione: si dice orbita (o anche traiettoria) di un moto l’insieme descritto dal punto che si muove. In termini più esatti: dato un cammino (che, come abbiamo visto, è un’applicazione di un intervallo di R nel piano o nello spazio tridimensionale) si dice orbita (o traiettoria) la sua immagine. Se, ad esempio, consideriamo il moto circolare uniforme dato dalle seguenti equazioni: x = R cos t y = R sin t l’orbita del moto è il cerchio di centro l’origine e raggio R. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 176 145. Confrontare le orbite dei due seguenti cammini continui: x= x = cos t y = sin t y= 1 − t2 1 + t2 2t 1 + t2 146. Utilizzando un foglio di carta millimetrata, tracciare per punti le orbite dei seguenti cammini: x = 2 cos t y = sin t x = t2 y = t3 147. Esercizio svolto Due sbarrette, fissate in modo da formare un angolo retto, presentano una scanalatura nella quale possono scorrere le estremità di una terza sbarretta di lunghezza a + b, come rappresentato in figura. B O A P Un pennino è posto a distanza a da un’estremità della sbarretta. Quale orbita descrive, se la sbarretta mobile scorre sulle due sbarrette fisse? Svolgimento b 0 ≤ α ≤ 2π, e supponiamo che le due sbarrette stiano sugli assi Se chiamiamo α l’angolo OAB, di un riferimento cartesiano ortogonale (il punto comune alle due sbarrette coincide con l’origine), si possono definire le coordinate cartesiane di P : P ↔ (b cos α, a sin α) Quindi l’orbita che P percorre quando la terza sbarretta scorre nelle scanalature è : x = b cos α y = a sin α Osserviamo che fra x e y sussiste la relazione canonica di un’ellisse di semiassi a e b. x2 b2 + y2 a2 = 1, e questa non è altro che la forma CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 177 Il dispositivo descritto in questo esercizio, chiamato ellissografo o compasso di Archimede, permette di tracciare in modo accurato le ellissi. La posizione del pennino permette di variare l’eccentricità. Dove andrebbe posizionato il pennino per tracciare una circonferenza? 148. Tracciare l’orbita del seguente cammino: x= y= 1−t t 2t+1 t2 Il cammino è continuo in ogni punto? Qual è la forma cartesiana con cui si può rappresentare l’orbita? 149. Dato il cammino continuo: x = sin t y = sin 2t individuare le simmetrie che caratterizzano la sua orbita. E’ possibile esprimere questa orbita mediante una relazione funzionale fra y e x? 150. Cercare di farsi un’idea del cammino continuo così definito nello spazio tridimensionale (riferito ad un sistema cartesiano): x = r cos t y = r sin t z = λt (r e λ sono costanti positive) C’è qualche oggetto noto che ha (pressappoco) la forma dell’orbita di questo cammino? Eventualmente, fare un modello di . . . fil di ferro. 151. Trovare, nel piano riferito ad assi cartesiani, un cammino continuo che congiunga il punto (−3, 0) col punto (3, 0) senza incontrare il disco x2 + y 2 ≤ 1. 152. Disponendo di una calcolatrice grafica o di un programma per tracciare grafici al calcolatore, disegnare alcune orbite di tipo: x = cos at y = sin bt dove a e b sono interi naturali. Che tipo di curve si trovano? Cosa accade se il rapporto fra a e b non è razionale? Esercizi paragrafo 3.8 153. Dimostrare che un’isometria (del piano o, più in generale, di qualunque spazio metrico) è un’applicazione continua. 154. Dimostrare che un’omotetia, nel piano euclideo, è un’applicazione continua. Dimostrare che una similitudine è un’applicazione continua. 155. Dimostrare che nel piano euclideo un’affinità è un’applicazione continua. 156. Dimostrare che la proiezione ortogonale del piano su una sua retta è un’applicazione continua. 157. Dimostrare che in ogni spazio metrico la distanza da un punto è una funzione continua. 158. * Dato nel piano un cerchio Γ, ogni cammino continuo che congiunge un punto ad esso interno A con un punto ad esso esterno B taglia Γ. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 178 A O B Γ 159. Dimostrare la seguente affermazione: dati nel piano E una retta R e due punti A e B che si trovano in semipiani opposti rispetto ad R, ogni cammino continuo che congiunge A con B taglia R. (Prendere la retta R come asse X di un riferimento cartesiano). A r B 160. ** Supponiamo di sostituire alla distanza euclidea che abitualmente utilizziamo nel piano d(A, B) = p (xA − xB )2 + (yA − yB )2 una nuova distanza così definita: d(A, B) = |xA − xB | + |yA − yB | (a) verificare che la definizione data soddisfa le condizione richieste ad una distanza; (b) quanti sono i cammini di minima distanza che congiungono due punti A e B nella distanza euclidea? Quanti sono i cammini di minima distanza in questa nuova metrica? (c) se definiamo ’cerchio’ l’insieme dei punti che hanno la stessa distanza dal centro, disegnare il ’cerchio’ di centro l’origine e raggio 5. Si può ancora affermare che il perimetro del cerchio è 2π? (d) la nozione di distanza di punto da una retta rimane invariata rispetto a quella ottenuta con la distanza euclidea? Per averne un’idea, calcolare la distanza fra il punto P ↔ (1, 2) e la retta y = 2x − 8 utilizzando le due diverse distanze. (e) come si disegna l’asse di un segmento in questa nuova distanza? Dati i punti A ↔ (1; 3), B ↔ (1; 7), C ↔ (5; 3), disegnare l’asse del segmento AB, del segmento AC e del segmento BC; (f) quante sono le isometrie che trasformano un cerchio in sé con la distanza euclidea? Quante sono le isometrie che trasformano un cerchio in sé con questa nuova distanza? 161. Esercizio svolto Dimostrare che il punto x = 3 è di accumulazione per l’insieme A = 6n − 1 ,n ∈ N . 2n + 4 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 179 Svolgimento Occorre mostrare che, preso un qualsiasi intorno del punto 3 di raggio arbitrario, esiste un elemento di A diverso da 3 che appartiene all’intorno. 6n − 1 Sia > 0 la semiampiezza dell’intorno, occorre dimostrare che esiste un elemento di tipo 2n + 4 tale che: 3−≤ 6n − 1 ≤3+ 2n + 4 Svolgendo i passaggi, si perviene alle disequazioni: 6n − 2n + 12 − 4 < 6n − 1 che è verificata per n > 13 2 − 2 e: 6n − 1 < 6n + 2n + 12 + 4 vera per ogni valore di n. Quindi fissato un intorno arbitrario di 3, basta prendere un valore di n abbastanza grande per avere un elemento dell’insieme diverso da 3, che appartenga all’intorno. n n 162. Dato l’insieme A = (−1) , n ∈ N , trovare i suoi punti di accumulazione. 2n + 1 163. Quanti sono i punti di accumulazione dell’intervallo (3, 6)? 164. L’insieme dei vertici delle parabole del fascio di equazione: y = x2 + (2 + 1 4 )x + 3 − n n (n numero naturale diverso da 0) ha un punto di accumulazione? 165. Quali interi naturali sono punti di accumulazione per l’insieme A = m n dove m, n ∈ N e m > 3n? 166. Un insieme formato da un numero finito di punti può avere punti di accumulazione? Esercizi paragrafo 3.9 167. Dimostrare che la funzione di due variabili (x, y) → x+y è continua nel suo insieme di definizione. x−y 168. Nel piano siano dati due punti: A e B. Per ogni punto P diverso da A e B risulta definito l’angolo APbB. Dimostrare che il coseno di questo angolo è funzione continua di P . 169. Consideriamo nel piano il triangolo ABP , dove i punti A e B sono fissi, mentre il punto P varia. Dimostrare che l’area del triangolo ABP è una funzione continua di P . CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 180 Soluzioni degli esercizi del capitolo 3 Paragrafo 3.1 1. Per ogni valore intero n la funzione è continua solo a destra, ma non a sinistra. Per dimostrarlo basta prendere < 1 e osservare che nessun punto a sinistra di 1 ha immagine contenuta nell’intorno [n − , n + ]. 3. Per x0 = 5, si ha f (x0 ) = 11. Procedendo come nell’esercizio precedente, si osserva che per ogni valore di esiste un intorno di centro 5 e ampiezza δ = 2 tale che per |x − 5| < δ, |f (x) − 11| < . Quindi la funzione è continua nel punto 5. In modo analogo si può dedurre che f è continua in qualsiasi altro punto. 4. Fissato > 0, basta considerare δ = |a| e operare in modo analogo agli esercizi precedenti. 5. Basta che sia δ = 0, 09. 6. No: in ambedue i casi l’intervallo (1, 2] non contiene un intervallo aperto che contenga i punti x = 1 e x = 2. 7. k > 1. 9. a = − 32 . 10. Il punto critico per il quale occorre verificare la continuità è x = b. La f è continua a sinistra, quindi, preso un arbitrario intorno di f (b) esiste un intorno sinistro di b i cui punti appartengono all’intorno di f (b). Ragionamento analogo per la continiutà a destra di g(b). E poiché f (b) = g(b), si è costruito un intorno completo di b i cui punti hanno immagine nel prefissato intorno di h(b). 11. Nel punto x = 0 la funzione fa un ‘salto’ di ampiezza 1. Scegliendo < 1, si osserva che nessun punto in un intorno sinistro di 0 è tale che |f (x) − f (0)| < . y 1 O x 12. Basta assegnare a il valore 1 2 e si prova la discontinuità della funzione in x0 = 0. 13. No. 14. f (1) = − 32 16. Le funzioni h e k sono ambedue continue. 17. Continuità rispetto al tempo per t = t0 : si assume a costante; Sia > O; poniamo | 12 at2 − 12 at20 | < . Procedendo in modo analogo a quanto fatto per dimostrare che la funzione x → x2 è continua si perviene alla soluzione. Più semplice la dimostrazione della continuità rispetto ad a (in tal caso si pone t come costante). 18. * (a) 888, 8 scudi; (b) sono preferibili gli stipendi superiori a 1125 scudi. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 181 . 19. ** Le condizioni poste sulla funzione φ si traducono nel seguente modo: 0 < φ(x + h) − φ(x) < h Da questa relazione è abbastanza semplice dimostrare la continuità di φ. 20. ** La funzione deve necessariamente essere costante in tutto [a, b]. Paragrafo 3.2 √ 22. È possibile comporre f con g, ottenendo f (g(x)) = −|3 + x|, mentre g ◦ f è definita solo per x = −2. 23. La funzione si ottiene mediante somme, prodotti o composizioni di funzioni continue, quindi è continua. p 24. |f (x)| = f (x)2 . Poiché sono continue sia f (x) che le funzioni quadrato e radice quadrata, è continua la funzione che si ottiene componendole. 26. La funzione polinomiale è ottenuta sommando funzioni di tipo x → xn moltiplicate per costanti; ciascuna di queste funzioni è continua. 27. Basta ricorrere al teorema di composizione. 28. I polinomi sono funzioni continue, il rapporto fra funzioni continue è una funzione continua. 30. Ci sono quattro punti di discontinuità: x = 0, x = 1, x = 2 e x = 3. 31. * La funzione è continua solo in x = 0. 1 33. f (α) = sin 2α + 2( − cos α) è continua nell’intervallo in cui è definita: 0 ≤ α ≤ π2 . Negli estremi cos α si ha continuità solo a sinistra o a destra. r q 2 34. Si ottiene la funzione f (l) = 2r2 − 2r r2 − 2l . 36. No; ad esempio, sia d(x) la funzione ‘parte decimale di x’ e sia h(x) = 12 − d(x). Si ha d(1) = 12 , ma in un tutto un intervallo immediatamente a sinistra di 1 la funzione assume valori negativi. Questo a causa della sua discontinuità. √ 37. Il massimo intervallo in cui la funzione si mantiene positiva è (− 3 2, +∞). Paragrafo 3.3 38. a)x 6= 1, x 6= −1 d)R b)R e)x ≥ 5 2 c) − 2 ≤ x ≤ 2 f )x ≥ 0 39. No, nel punto x = 1 il valore di g è 2, mentre la f non è definita. 41. 42. x ≤ 3 a)[− 34 π + 2kπ, − 23 π + 2kπ) ∪ − π4 + 2kπ, π4 + 2kπ ∪ ( π3 + 2kπ, 34 π + 2kπ], k ∈ Z b)R c) − π4 + kπ, π4 + kπ , k ∈ Z d)(−1, 1) ∪ [2, +∞) e)x 6= 2, x 6= 0 f )x 6= −2 CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 44. a) − 4 < x√ <2 d)x > 2 − 6 182 b)x > −3 ∧ x 6= 1 e)x < − 12 o x > 3 c)∅ f )2kπ < x < (2k + 1)π, x 6= π 2 + 2kπ, k ∈ Z. 45. Sugli intervalli sottoelencati le funzioni hanno segno positivo: a)x ≥ 2 b)(−∞, 0) d)x > − 12 e) − π 3 + 2kπ < x < π 3 + 2kπ, k ∈ Z sempre negativa sull’insieme di c) definizione f ) −4, − 31 ∪ (1, +∞) 46. b) ef ) sono pari, c) è dispari, a),d) ed e) non sono né pari, né dispari. 47. a), b), c) sono vere, e), d) false. 48. Basta calcolare f (−x) e g(−x) e confrontarli con f (x) e g(x) rispettivamente, per studiarne la parità. Si h(x) osserva inoltre che f (x) = g(x) 2 + 2 . 49. Non sono periodiche le funzioni b) e f ). Le altre sono periodiche di periodo: a) → 2π, c) → 1, d) → 6π, 2π . e) → √ 3 50. Nessuna delle due affermazioni è vera (nel caso della somma basta considerare le funzioni x → sin x e x → 1 − sin x; nel caso del prodotto le funzioni x → sin x e x → cos x). 51. Se f è periodica di periodo T, f (z + T ) = f (z). Sia g(x) = λx; si ha f (λx) = (f ◦ g)(x), quindi f (λx + T ) = f (λ(x + f (λx) = (f ◦ g)(x) (f ◦ g)(x) = (f ◦ g)(x + = (f ◦ g)(x + T λ) = T λ) quindi la funzione (f ◦ g) è periodica di periodo 53. T λ )) T λ. (a) crescente per x < 1, decrescente altrove; (b) crescente per − π3 + kπ < x < π 6 + kπ, k ∈ Z, decrescente altrove; (c) la funzione è crescente per x < 2 o x > 2 54. ∀a, b sia a < b, e siano f (a) < f (b) e g(a) < g(b); allora: h(a) = f (a) + g(a) < h(b) = f (b) + g(b) Quindi la funzione somma risulta crescente. Il prodotto di due funzioni crescenti non necessariamente è crescente: ad esempio siano f (x) = (x − 1)3 e g(x) = 12 x − 2. Ambedue g e f sono crescenti, ma il loro prodotto no. 55. No. Non è difficile trovare controesempi. 56. Sono non decrescenti ambedue le funzioni. 58. Si applica il risultato dell’esercizio precedente. 59. Solo il grafico della g, infatti si ha ∀x g(x) = g(−x). 61. Il centro di simmetria è il punto C ↔ −3, 52 . 62. Si verifica facilmente con uno dei metodi esposti nell’esercizio 60 63. Si verifica facilmente con uno dei metodi esposti nell’esercizio 60 64. Vedi esercizio 57 65. No, ad un valore della variabile x una funzione associa un solo valore della y. Per una eventuale simmetria ce ne dovrebbero essere due. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 183 66. La funzione è definita per ogni x ∈ R, è sempre positiva e inoltre è periodica di periodo 1, infatti f (x + 1) = x + 1 − [x + 1] = x + 1 − [x] − 1 = x − [x] = f (x). Il grafico è il seguente: y 1 −3 −2 1 O −1 y 2 x y = x3 + 1 y = x3 y = x3 − x x O 68. √ 69. sin x − cos x = 2 sin x − π4 , quindi il grafico è il seguente: y √ 2 O π 4 70. Basta osservare che x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3 : x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 184 y x 1 O y 1 O x 71. 72. Dominio: −1 < x < 1; simmetria rispetto all’origine, fiunzione sempre crescente, positiva per x > 0. 74. Il primo grafico è quello della f traslato di 1 verso l’alto, il secondo grafico è quello della f traslato di 1 verso sinistra. 75. V : x → 2πx(1 − x2 ) 76. f : α → 1+cos α | cos α| CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 185 y − 32 π − 12 π O 1 2π 3 2π 77. s : x → |x| + |x − 2| d : x → ||x| − |x − 2|| y s(x) 2 O 2 x x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 186 y 2 d(x) 1 O 2 x y 2 1 1 2 O −1 3 2 2 3 Paragrafo 3.4 80. a)1 81. a)3 b)1 c) + ∞ d) 12 e) 34 f )0 g) − ∞ √ b) 2 c)0 d)1 e) + ∞ f ) − ∞ 84. a)1 b) + ∞ 86. x→+∞ c) + ∞ lim f (x) = +∞, lim f (x) = −3, x→1+ 88. b = π 2 + e) √12 f )2 lim f (x) = −∞, x→−∞ lim f (x) = −6, x→−2− g)1 h)3 i)0. i) − lim f (x) = −3, x→1− lim f (x) = −6 x→−2+ 2 π 89. lim f (x) = 1, x→4− d)2 h)0 lim f (x) = 0 x→4+ 90. No: il limite destro e il limite sinistro in 2 non coincidono. 1 √ . 4 2 x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 187 91. Gli argomenti delle due radici devono essere positivi o nulli, quindi il dominio della funzione è ridotto al singolo punto x = 1. Non ha quindi senso parlare di limite della funzione per x → 1, perché essa non è definita in un intorno di 1. 92. a = 3. π 4 93. Il valore della funzione in x = √ è − 2. 94. Le radici tendono rispettivamente ai valori 1 e 0. 95. ** Se x1 = √ 1+ 1−4u 2u e x2 = √ 1− 1−4u , 2u si ha lim x1 = +∞ e lim x1 = −∞, mentre lim x2 = 1. u→0− u→0+ Le due radici tendono a 0 per u che tende a −∞. u→0+ 96. Il primo limite è 3, il secondo 1. 99. La funzione è continua in x = 0. Si può applicare il teorema dei due carabinieri utilizzando le funzioni y = x2 e y = −x2 che tendono ambedue a 0 per x → 0. 2x2 x3 − 2x + 2x4 ≥ 1, cosa che viene abbastanza facile considerando il limite 100. Basta dimostrare che x(cos x + 3x5 ) di questa frazione per n → +∞. 101. Il limite cercato è +∞. √ 103. 2 2 104. Se P → A il rapporto tende a 1, se P → B il rapporto tende a 0. 105. Il limite del rapporto è 3. 106. Il limite del rapporto fra le lunghezze dei due segmenti è 1, quando P si sposta all’infinito su ambedue le semirette. Il limite della differenza è b − a quando P va all’infinito sulla semiretta positiva, a − b su quella negativa. 107. lim x→+∞ 1 PH =√ , PK 5 lim x→1 PH = 0, PK lim x→0 PH = +∞. PK 108. Il primo limite vale 1, il secondo +∞. √ 109. * 2. 112. ** I polinomi di tipo p(x) = ax4 + 1 con |a| ≤ 1. 113. Non si può dividere per x, se x = 0: occorre dividere per x quando x 6= 0 e poi sfruttare la continuità delle funzioni polinomiali. Paragrafo 3.5 114. Sì, la funzione soddisfa le condizioni del teorema. lim f (x) = 26, x→3− lim f (x) = 27 x→3+ 115. Manca la condizione di monotonia. lim f (x) = 4, x→3− lim f (x) = 0 x→3+ 116. I limiti agli estremi dell’intervallo esistono e coincidono con l’estremo inferiore o l’estremo superiore dell’insieme dei valori assunti dalla funzione. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 188 117. La funzione è simmetrica rispetto all’asse y, è decrescente per 0 < x < 1 e per x > 1. Quindi è crescente per x < −1 e per −1 < x < 0. lim f (x) = −∞, x→1− lim f (x) = +∞, x→1+ lim f (x) = 1 x→+∞ 118. La funzione reciproca risulta decrescente. 119. Il limite di una funzione in un punto ci può essere anche se la funzione non è definita in quel punto, o se ha un valore diverso dal limite. La monotonia della funzione non è sufficiente a definire la funzione nel punto, la continuità sì. Paragrafo 3.6 121. La funzione è continua e crescente, assume valori di segno opposto agli estremi dell’intervallo, quindi esiste un unico punto per cui si annulla: x = 0, 89. 122. Lo zero vale 1, 89. 123. Esercizio analogo al precedente. 124. La funzione è pari: per simmetria il numero di zeri deve essere pari. Per x > 0 è crescente, perché somma di funzioni crescenti; f (0) = −1, lim f (x) = +∞. Quindi per x > 0 esiste un unico zero. x→+∞ 125. * [0; 2, 47] 126. x = 0, 56 127. Se f e g sono le funzioni che rappresentano la legge oraria del moto dei due automobilisti, deve essere f (0) = a e g(0) = b, supponendo a < b, e a ≤ f (t) ≤ b, a ≤ g(t) ≤ b. Se il primo automobilista arriva in b dopo un tempo t1 e il secondo in a dopo un tempo t2 , per t = min(t1 , t2 ), ponendo h(t) = f (t) − g(t), la funzione h soddisfa le condizioni del teorema degli zeri. . . 128. La soluzione è analoga a quella dell’esercizio precedente: sia A un punto sull’equatore e si prenda come riferimento la semiretta avente come origine il centro della Terra O e passante per A. Se P è b = α una coordinata angolare che individua P (è un qualsiasi punto delll’equatore terrestre, sia P OA indifferente il verso di percorrenza). Sia T (α) la temperatura (in un dato istante) nel punto individuato da α. Se T (0) = T (π), il teorema è dimostrato; se è T (0) 6= T (π), supponiamo T (0) > T (π), quindi T (0) − T (π) > 0; ma la temperatura varia con continuità. . . 130. a−x ; a+x (b) il grafico è quello di un’iperbole equilatera di asintoti x = −a e y = −a; (a) y = a (c) basta porre 0 ≤ x1 < x2 ≤ a e verificare che 0 ≤ f (x2 ) < f (x1 ) ≤ a; 131. (d) si applicano i teoremi sulle funzioni continue. √ (a) a2 ≤ x ≤ a2 3 (b) A : x → − π4 x2 + π3 ax + √ 3 2 8 a − π6 a2 (c) A(x) è massima per x = 23 a, è minima per x = 132. 133. √ 3 2 a. (a) per ogni posizione di L sullo spigolo BF , il volume della piramide è 31 . √ √ √ (b) A : x → 12 + 1 + x2 + 21 5 + x2 + x2 − 2x + 2 (c) non si può affermare che A(x) sia monotona, mentre i teoremi sulle funzioni continue assicurano che A(x) ha massimo e minimo sull’intervallo [0, 1]. √ 4x − x2 (a) f : x → 0≤x≤4 x CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 189 (b) si dimostra facilmente scrivendo f (x) = 4 x2 + 1 (d) lim f (x) = 1, q −1 + 4 x (c) f −1 : x → x→2 lim f (x) = +∞, x→0 lim f (x) = 0 x→4 134. Assegnando al punto A ascissa 0 e al punto B ascissa λ, la forza complessiva agente su un punto di kmm2 kmm1 − . ascissa x è f (x) = 2 x (λ − x)2 Poiché f è continua e lim f (x) = +∞, lim f (x) = −∞, esiste certamente un punto, di ascissa x→0 x→λ compresa fra 0 e λ, per cui f (x) = 0. Risovendo l’equazione di secondo grado si trovano due valori, ma uno solo rappresenta un punto compreso fra A e B. 135. Se x è l’ascissa di un punto del segmento AB, in cui è collocata la massa m, la forza totale che agisce su mè: f (x) = kmm2 kmm3 kmm1 − − 2 2 (x − a) (x − b) (x − c)2 lim f (x) = +∞, lim f (x) = −∞; poiché f è continua in (a, b), esiste uno zero per f (dimostrando che x→a x→b f è monotona si dimostra l’unicità). Analogamente per b < x < c. 136. a)[0, +∞) d)[0, +∞) b)R e)(−∞, 0] c)R f ){0} 137. Il dominio √ di f è [1, +∞), su tale insieme la funzione risulta crescente, quindi invertibile; l’inversa è 3 −1 f (x) = 3x2 + 1. √ 138. Un insieme su cui la f è invertibile è [0, +∞). La funzione inversa è f −1 (x) = 1 + 3x3 . 139. * No, ad esempio, la funzione f : x → [x] definita sull’intervallo [0, 10] ha m = 0 e M = 1, inoltre assume tutti i valori fra 0 e 1, ma non è continua. Se però si aggiunge l’ipotesi della monotonia, la funzione risulta necessariamente continua. 140. La funzione non ha né massimo né minimo (li avrebbe se fosse definita sull’intervallo chiuso [0, 1]. 141. Si può introdurre una funzione h(x) = f (x) − g(x) e applicare ad essa il teorema degli zeri. 142. * Se f (a) = a oppure f (b) = b il punto fisso esiste. Se f (a) 6= a oppure f (b) 6= b, deve essere f (a) > a e f (b) < b, quindi si applica il risultato dell’esercizio precedente, ponendo g(x) = x. 143. * f deve necessariamente essere una funzione costante. Se infatti per x1 6= x2 fosse f (x1 ) 6= f (x2 ) (ricordiamo che f (x1 ) e f (x2 ) sono numeri razionali), per l’ipotesi di continuità f dovrebbe assumere tutti i valori compresi tra f (x1 ) e f (x2 ), ma fra due razionali ci sono infiniti irrazionali. . . 144. **Si introduce la funzione f : x → xn + xn−1 + . . . + x − 1, che è continua, e si applica il teorema degli zeri sull’intervallo [0, 1]. Successivamente si applica lo stesso teorema alla funzione g : x → xn+1 + xn + xn−1 + . . . + x − 1 sull’intervallo [0, xn ]. Per cercare il valore del limite si può ricorrere alla somma di una progressione geometrica. CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 190 Paragrafo 3.7 145. In ambedue i casi è x2 + y 2 = 1, quindi l’immagine è costituita da punti della circonferenza di centro O e raggio 1. Nel primo caso l’immagine coincide con la circonferenza (percorsa infinite volte al variare di t in R); nel secondo caso è escluso il punto (−1, 0). 146. Nel primo caso si ottiene un’ellisse; l’immagine del secondo cammino, simmetrica rispetto all’asse x, si chiama parabola semicubica. 148. Il cammino è continuo perché lo sono le sue componenti x(t) e y(t). La forma cartesiana è la parabola di equazione y = x2 + 4x + 3 privata del punto (−1, 0). 149. Per 0 ≤ t ≤ π2 la curva ha immagine nel primo quadrante. Per π2 ≤ t ≤ π l’immagine della curva è nel quarto quadrante, in particolare, poiché sin(π − t) = sin t e cos(π − t) = − cos t, le coordinate dei punti della curva in valore assoluto sono uguali a quelle dei punti del primo quadrante, ma le ordinate cambiano di segno, mentre le ascisse no, quindi la curva è simmetrica rispetto all’asse x. Analoghe considerazioni si possono fare par valori del parametro compresi fra π e 32 π e poi fra 23 π e 2π. La curva risulta simmetrica anche rispetto all’asse y e quindi rispetto all’origine. La forma cartesiana della curva è : y 2 = 4x2 (1 − x2 ). 150. L’orbita è un’elica (infatti sul piano xy si ha un moto circolare uniforme, sull’asse z un moto uniforme). 151. Vi sono molte possibili risposte, una è data dal seguente cammino: x = 3 cos t y = 3 sin t con 0 ≤ t ≤ π. 152. Curve di questo genere, molto belle, sono chiamate figure di Lissajou. Se il rapporto fra a e b è razionale le orbite sono periodiche. Paragrafo 3.8 153. Poiché l’isometria conserva le distanze, ogni intorno circolare di raggio di un punto P viene trasformato in un intorno circolare di raggio di P 0 , trasformato di P . 154. Un’omotetia modifica le distanze secondo un fattore k. Sia σ un’omotetia e sia P 0 = σ(P ). Sia D un intorno circolare di P 0 di raggio . Ogni punto Q0 di D proviene da un punto Q ed è tale che P 0 Q0 = kP Q. Se, quindi, deve essere P 0 Q0 < , basterà scegliere P Q ≤ k . L’applicazione risulta quindi continua. 155. Sia P 0 l’immagine di un punto P del piano mediante un’affinità σ. Sia dato un disco di raggio r di centro P 0 . In tale disco è possibile inscrivere un quadrato di centro P 0 . L’affinità inversa di σ trasforma il quadrato in un parallelogramma, di cui P è il centro di simmetria, nel quale è inscrivibile un intorno circolare di P . Tutti i punti di questo intorno vengono trasformati in punti interni al disco di centro P 0 . La trasformazione è quindi continua. 156. Sia P un punto del piano e D un disco di centro P e raggio . La proiezione ortogonale lo trasforma in un intervallo della retta di centro P 0 , proiezione ortogonale di P , e semiampiezza . La continuità è facile da provare, prendendo δ = . 157. Sia P0 un fissato punto del piano e sia f (P ) = P0 P . Sia Q un punto appartenente ad un intorno di P di raggio : è P Q < . Basta applicare la disuguaglianza triangolare: |P P0 − QP0 | < P Q < . CAPITOLO 3. LE FUNZIONI CONTINUE 191 158. * I punti interni del cerchio sono caratterizzati dalla disequazione x2 + y 2 < 1, quelli esterni dalla disequazione x2 + y 2 > 1. Sia (f (t), g(t)) un cammino continuo parametrizzato sull’intervallo [a, b]. Sia A (f (a), g(a)) e B (f (b), g(b)). Se A è interno al cerchio è f 2 (a) + g 2 (a) < 1, se B è esterno è f 2 (b) + g 2 (b) > 1. La funzione h(t) = f 2 (t) + g 2 (t) − 1 è continua su [a, b] e ad essa si può applicare il teorema degli zeri. 159. Sia (f (t), g(t)) il cammino continuo definito sull’intervallo parametrico [a, b]. Nel riferimento avente come asse X la retta R, si avrà A (f (a), g(a)) e B (f (b), g(b)). Poiché A e B stanno da parti opposte rispetto all’asse X, g(a) e g(b) dovranno avere segni opposti. Basta quindi applicare il teorema degli zeri. 160. ** (a) occorre ricordare che se a e b sono numeri reali, si ha |a + b| ≤ |a| + |b|; (b) nella metrica euclidea c’è un solo cammino di minima distanza, in quella di questo esercizio ce ne sono infiniti; (c) il cerchio di centro O e raggio 5 è l’insieme dei punti tali che |x| + |y| ≤ 5, cioè un quadrato. Il perimetro nella nuova metrica è 40; (d) le due distanze generalmente non sono uguali (lo sono solo nel caso di rette orizzontali o verticali); (e) se i due punti appartengono ad una retta orizzontale o verticale l’asse coincide con quello della metrica euclidea, altrimenti l’asse si spezza; (f) con la distanza euclidea vi sono infinite isometrie che trasformano in sé il cerchio, con questa metrica sono solo le isometrie che trasformano un quadrato in sé (quattro rotazioni e quattro simmetrie assiali). 162. 1 2 e − 21 . 163. Infiniti: tutti i punti dell’intervallo [3, 6]. 164. Il punto di accumulazione è P (−1, 2). 165. Tutti gli interi maggiori o uguali a 3. 166. Se per assurdo fosse P un punto di accumulazione, si potrebbe trovare il punto dell’insieme Q più vicino a P . Se d = P Q, basterebbe considerare un intorno di P di raggio d2 . . . Paragrafo 3.9 167. La funzione f (x, y) = x+y x−y si ottiene come quoziente di somme, sono tutte funzioni continue . . . 168. Il teorema di Carnot ci permette di esprimere cos α nel seguente modo: 2 cos α = 2 BP + AP − AB 2AP · BP 2 Le operazioni utilizzate sono somme, prodotti, quozienti, e sono tutti funzioni continue; il teorema di composizione ci assicura che la funzione che si ottiene è continua. 169. L’area del triangolo si può esprimere mediante la formula di Erone: q A(P ) = p · (p − AB) · (p − BP ) · (p − AP ) dove p è il semiperimetro del triangolo. Anche in questo caso il teorema di composizione ci assicura che questa funzione è continua. Capitolo 4 Funzioni esponenziali e logaritmi Obiettivi Obiettivi generali del capitolo sono l’introduzione della funzione esponenziale, a partire dalle proprietà che la caratterizzano, e della sua funzione inversa, il logaritmo. Obiettivi specifici: • estendere la definizione della funzione esponenziale ai razionali e ai reali, a partire dalla relazione di omomorfismo che ‘fa corrispondere somme a prodotti’; • individuare le caratteristiche di monotonia e continuità della funzione esponenziale; • definire la funzione logaritmo e le proprietà che la caratterizzano; • saper risolvere semplici equazioni e disequazioni di tipo esponenziale e logaritmico; • saper riconoscere in vari fenomeni naturali accrescimenti di tipo esponenziale o logaritmico; n • definire il numero e, come limite della successione 1 + n1 . 4.1 Introduzione alla funzione esponenziale Una bottiglia d’acqua che si raffredda in frigorifero, un conto in banca e una coltura di batteri sono realtà a prima vista molto diverse fra loro. Se vogliamo trovare qualcosa che le accomuna è il fatto che ciascuna di esse subisce cambiamento nel tempo: la temperatura dell’acqua si abbassa, il conto invece aumenta, così come il numero di batteri della coltura. Quello che scopriremo in questo capitolo è che in queste tre situazioni, come in moltissime altre in ambito fisico, chimico, economico, biologico, medico, demografico, la legge che regola il cambiamento è dello stesso tipo e va sotto il nome di funzione esponenziale. Conviene partire da due esempi, per comprendere le caratteristiche e la natura di questa funzione. Tempo e denaro Chi prende a prestito del denaro deve ricambiare il vantaggio goduto restituendo al creditore, oltre al denaro ricevuto, una certa somma detta interesse. E’ evidente, infatti, che non è la stessa cosa poter disporre di una certa somma di denaro immediatamente, oppure fra un mese o fra un anno. Cerchiamo di capire quali sono i criteri matematici che ci permettono di stabilire l’equivalenza fra due somme di denaro scambiate in tempi diversi. Partiremo da tre postulati, il più possibile ragionevoli e chiari: 1. Supponiamo che una certa somma S venga data in prestito al tempo t0 e restituita al tempo t (t0 < t, ovviamente). E’ evidente che la somma che deve essere restituita sia proporzionale a quella ricevuta in prestito. Quindi, la somma che dovrà essere restituita è: f (t0 ; t) · S 192 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 193 dove f è una funzione dei due valori t0 e t. 2. Un secondo postulato è che f (t0 ; t) dipenda solo dall’intervallo di tempo trascorso, e non dalla data di erogazione del prestito; questo postulato è ragionevole se si assume che la situazione economica rimanga stazionaria, cioè se il valore della moneta rimane fisso o, più in generale, se il tasso di inflazione resta costante. (Nella realtà le cose sono più complicate, d’altra parte la costruzione di modelli matematici spesso richiede che si usino ipotesi semplificative, come già abbiamo osservato nel primo capitolo; sarà poi il confronto con i dati sperimentali a testare la validità del modello). Tornando al postulato che stiamo trattando, possiamo esprimerlo sinteticamente così : f (t0 ; t) = f (0; t − t0 ) Avendo scelto il tempo t0 = 0 come valore iniziale, possiamo scrivere f (t) in luogo di f (t0 ; t). Dunque la somma che deve essere restituita al tempo t a seguito del prestito di una somma S versata al tempo t0 è data da: f (t) · S e quello che conta è la sola ampiezza t dell’intervallo di tempo, non l’istante in cui inizia questo intervallo. 3. L’ultimo postulato, infine, è che f sia crescente, e anche questo è abbastanza ovvio. Chiediamoci ora cosa succede se si impiega una somma S per una durata t + h, essendo t ed h numeri positivi. Possiamo pensare che al tempo t il debitore, anzichè restituire la somma dovuta, cioè f (t) · S, la trattenga per un ulteriore tempo h. Allora la somma che egli deve restituire al tempo t + h è data da: f (t + h) · S = f (h) · (f (t) · S) cioè: f (t + h) · S = f (h) · f (t) · S E, semplificando, si ha : f (t + h) = f (h) · f (t) (4.1) Poniamo attenzione a questa ultima proprietà e passiamo ad un secondo esempio. Batteri e ancora batteri Supponiamo che le condizioni in cui una popolazione di batteri si viene a trovare siano ottimali per la riproduzione, cioè che siano assenti fattori frenanti come la scarsità di cibo o l’inquinamento ambientale. Anche in questo caso possiamo porre alcuni postulati: 1. Il numero di batteri presenti al tempo t con t > t0 è direttamente proporzionale al numero di batteri n0 presenti all’istante t0 : n(t) = n0 · f (t, t0 ) avendo indicato con n(t) il numero di batteri presenti all’istante t. 2. Non vi devono essere tempi favorevoli alla riproduzione e tempi ’di magra’, quindi il valore n(t) non deve dipendere dall’istante iniziale t0 . Solo la durata dell’intervallo di tempo t − t0 deve essere significativa: n(t) = n0 · f (t − t0 ) CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 194 e se t0 = 0, deve essere: n(t) = n0 · f (t) 3. L’ultimo postulato, infine, è che f sia crescente. Anche in questo caso possiamo osservare che se al tempo t0 = 0 sono presenti n0 batteri e al tempo t ce ne sono n(t) = n0 · f (t), al tempo t + h ce ne saranno: n(t + h) = n0 · f (t + h) Del resto, possiamo pensare che i batteri presenti al tempo t + h siano l’esito della riproduzione, durata un intervallo di tempo di lunghezza h, degli n(t) batteri che c’erano al tempo t: n(t + h) = n(t) · f (h) = (n0 · f (t)) · f (h) = n0 · f (t) · f (h) Dalle ultime due equazioni, semplificando n0 otteniamo: f (t + h) = f (t) · f (h) (4.2) Il contesto è cambiato, ma la 4.2 è uguale alla 4.1. Un’estensione delle potenze La profonda analogia esistente fra l’accrescimento del capitale e l’accrescimento della popolazione di batteri si esprime nell’uguaglianza formale dei postulati scelti. In ambedue i casi abbiamo incontrato una funzione f (t) che ci permette, conoscendo la situazione iniziale, di calcolare l’ammontare del capitale o la numerosità della popolazione al tempo t. L’obiettivo che abbiamo a questo punto è sapere come è fatta f (t). Abbiamo due indizi importanti: 1. f è crescente 2. con riferimento alle 4.1 e 4.2, per ogni coppia di valori reali t e h si deve avere: f (t + h) = f (t) · f (h) (4.3) Abbiamo trovato in passato che una tale funzione esiste, si tratta dell’elevamento a potenza n → bn , studiata nel primo capitolo e che chiameremo funzione esponenziale. La relazione 1.6 è proprio quella che caratterizza f (x) e inoltre sappiamo che se b > 1 tale funzione è crescente. C’ è però una differenza sostanziale con la f (x) che stiamo cercando: quella è definita solo per valori interi della variabile, mentre noi vorremmo una funzione definita su tutto l’asse reale (immaginiamo, infatti, che il tempo fluisca in modo continuo, e non a salti). Il lavoro che dobbiamo fare allora è quello di ampliare l’operazione di elevamento a potenza in modo che sia definita su tutto R e coincida con quella che già conosciamo quando l’esponente è un numero intero. Procederemo per gradi, estendendo prima la funzione a Q e successivamente a R. Gli esponenti razionali, l’estensione a Q Ammettiamo che la funzione f sia la funzione esponenziale di base 2 x :→ 2x per x intero. Sappiamo dare un 1 significato a espressioni come 23 e anche 2−10 . Possiamo attribuire un valore a f ( 12 ), cioè all’espressione 2 2 ? Torniamo alla popolazione di batteri e supponiamo che la modalità di accrescimento sia tale che ogni batterio in un’ora mediamente ne riproduca b (dove, evidentemente, deve essere b > 0). Quanti sono i batteri originati da questo singolo batterio iniziale in mezz’ora? Se f (t) rappresenta il numero di batteri presenti al tempo t, si avrà f (1) = b, e il nostro problema sarà sapere quanto vale f ( 12 ). Supponiamo di saperlo, e chiamiamo x questo numero. Dunque x è il numero di batteri che in mezz’ora si riesce ad ottenere da un batterio iniziale: x = f ( 21 ). Tutti questi x batteri nella seconda mezz’ora si riproducono, quindi al termine della seconda mezz’ora, cioè dopo un’ora dall’inizio, ci sono x · x = x2 batteri. Ma sappiamo che i batteri presenti dopo un’ora sono b. Allora ricaviamo che: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 195 2 1 = f (1) = b x = f 2 2 da cui: √ 1 f = b 2 In generale, se n è un intero positivo, che significato possiamo dare a f la 4.3 e che f (1) = b? 1 1 1 Poiché 1 = + + · · · + per la 4.3 deve risultare: n n n {z } | 1 n , tenuto conto che deve valere n volte 1 1 1 1 1 1 f (1) = b = f + + ··· + ·f · ··· · f =f n n n n n n | {z } | {z } n volte n f attori Posto allora f ( n1 ) = x, troviamo l’equazione xn = b. Dunque f ( n1 ) = x deve coincidere con la radice n-sima di b: sappiamo che essa esiste ed è unica per ogni √ b positivo e si indica con n b. Poniamoci una domanda ulteriore: che valore attribuiamo ad f ( m n ), dove m ed n sono interi positivi? Sempre per la relazione 4.3 deve essere: √ m 1 1 1 n = ( b)m f( ) = f ·f · ··· · f n n n n {z } | m f attori Dunque, porremo: f m √ n = ( b)m (4.4) n Ma, a questo punto, si impone una precisazione: un numero razionale può essere rappresentato con infinite m0 0 0 frazioni, fra loro equivalenti. Due frazioni m n e n0 sono fra loro equivalenti se e soltanto se risulta mn = m n. Se vogliamo che la 4.4 sia una buona definizione della f nell’insieme dei numeri razionali positivi, dobbiamo m0 far vedere che sostituendo la frazione m n con una ad essa equivalente n0 il valore fornito dalla 4.4 non cambia. Poniamo dunque: √ n y = ( b)m , y0 = ( √ n0 0 b)m vogliamo dimostrare che è y = y 0 . Ricordiamo che due numeri positivi sono uguali se e soltanto se per un certo intero r le loro potenze r-esime sono uguali. Prendiamo r = mn0 = m0 n. Risulta: √ √ √ 0 0 0 0 0 n n n (y)m n = (( b)m )m n = ( b)mm n = (( b)n )mm = bmm Analogamente, elevando y 0 alla potenza mn0 , si ha: 0 (y 0 )mn = (( √ n0 0 0 b)m )mn = ( √ n0 0 0 b)m mn = (( √ n0 0 0 0 b)n )mm = bmm Per quanto detto, possiamo concludere che è y = y 0 . Quindi la definizione che abbiamo dato è sensata. Verifichiamo ora che f soddisfa alla 4.3 per argomenti razionali positivi, cioè che si ha: f (x + y) = f (x) · f (y) (4.5) essendo x e y numeri razionali positivi. la verifica è molto facile perché per quanto abbiamo dimostrato prima, siamo autorizzati a rappresentare x e y con frazioni aventi lo stesso denominatore: x= m1 , n y= m2 n CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 196 Allora: √ n m1 f (x) · f (y) = ( b) √ n m2 · ( b) √ n m1 +m2 = ( b) =f m1 + m2 n = f (x + y) Così la 4.5 è verificata. Resta da estendere la definizione ai numeri razionali negativi: per questo scopo, possiamo seguire la stessa via che abbiamo seguito nel capitolo 1 per gli interi. Poniamo cioè per ogni razionale x < 0: f (x) = 1 b−x Lasciamo al lettore il compito di verificare che la funzione f soddisfa alla 4.5 quando x e y sono numeri razionali qualunque: si tratta di procedere esattamente come si è fatto nel capitolo 1 per gli interi. A questo punto la funzione f è definita su tutto l’insieme Q e poiché ha le stesse proprietà dell’elevamento a potenza, è ragionevole indicarla mediante la consueta notazione esponenziale. Avendo posto f (1) = b, la base da considerare dovrà essere proprio b, infatti, ponendo f (x) = bx per ogni x razionale, per x = 1 si ha f (1) = b1 = b. La funzione: x → bx definita, per ora, su Q e che, nel corso di questo capitolo, verrà estesa a tutta la retta reale R, viene detta funzione esponenziale di base b. Dimostriamo ora alcune proprietà importanti della funzione esponenziale definita in Q. Teorema 29 La funzione x → bx , con b > 1, definita in Q, è crescente. m Dimostrazione. Anzitutto, notiamo che per ogni numero razionale positivo h = si ha bh > 1. Infatti è n √ √ bh = √ ( n b)m . Ora, risulta n b > 1 (infatti la radice n-sima di un numero > 1 è un numero > 1); è allora ovvio che ( n b)m > 1. Siano x1 , x2 due numeri razionali, con x1 < x2 ; poniamo x2 − x1 = h > 0. Allora: bx2 = bx1 +h = bx1 · bh Essendo bh > 1 ed essendo bx1 > 0, risulta: bx1 · bh > bx1 Questo ci dice appunto che la funzione x → bx è crescente. Teorema 30 Si ha in Q, sempre per b > 1: 2 lim bh = 1 h→0 Dimostrazione. Cominciamo col dimostrare che si ha: 1 lim b n = 1 n→∞ 1 n Sappiamo già che è b > 1 per ogni intero positivo n. Basterà quindi dimostrare che per ogni numero > 0 esiste un intero m > 0 tale che per n ≥ m si ha: 1 bn ≤ 1 + Ma questa equivale alla disuguaglianza b ≤ (1 + )n , e sappiamo che questa è vera per n abbastanza grande perché, essendo > 0, risulta, come abbiamo visto nel paragrafo 2.1: lim (1 + )n = +∞ n→∞ CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 197 1 Con questo abbiamo dimostrato che la successione b n tende al valore 1. Basandoci su questo risultato possiamo dimostrare la tesi del teorema. Indichiamo con m() il più piccolo intero per cui è b ≤ (1 + )n . Sia ora h un qualunque numero razionale tale che: |h| ≤ 1 =δ m() Distinguiamo due casi: per h > 0 si ha, essendo la funzione x → bx crescente: 1 < bh ≤ bδ ≤ 1 + per h < 0 si ha: 1 > bh = Infatti vale la disuguaglianza 1 1 ≥ ≥1− 1+ b−h 1 ≥ 1 − , essendo: 1+ (1 + )(1 − ) = 1 − 2 ≤ 1 In conclusione, per |h| ≤ δ = 1 m() si ha: 1 − ≤ bh ≤ 1 + cioè: |bh − 1| ≤ e questo prova la tesi. 2 4.2 Le funzioni esponenziali in R Compiamo ora il passo decisivo: l’estensione della definizione della funzione x → bx a tutta la retta reale. Supporremo b > 1, con semplici varianti si potrà poi trattare il caso b < 1. Formuliamo dapprima con esattezza le proprietà che la funzione esponenziale x → bx (con b > 1) deve avere in R. Noi richiediamo che essa: • sia crescente • sia tale che la proprietà 4.5: f (x + y) = f (x) · f (y) valga per ogni coppia di numeri x e y reali . In altre parole, come abbiamo dato un significato all’espressione bx scegliendo x fra i numeri razionali, così vorremmo che tale espressione avesse un senso anche se x è un numero irrazionale. √ Nell’esercizio svolto 24 di questo capitolo abbiamo costruito una scatola cinese contenente il numero 2 3 . Proviamo a formulare un ragionamento più generale: Teorema 31 Dato un numero b > 1 esiste un’unica funzione f tale che f (1) = b, che gode delle seguenti proprietà : 1. ∀x, y ∈ R, f (x + y) = f (x) · f (y) 2. f crescente CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 198 Inoltre tale funzione è continua. Dimostrazione. Anzitutto notiamo che per ogni numero reale x esistono successioni un , non decrescenti e successioni vn non crescenti di numeri razionali tali che: lim un = lim vn = x n→∞ n→∞ Basta infatti considerare una coppia di successioni razionali (un , vn ) tale che la scatola cinese [un , vn ] comprenda il punto x. un vn x Consideriamo dunque, per ogni x reale, una successione non decrescente un di numeri razionali tale che lim un = x. Esiste certamente il limite: n→∞ lim bun = λ n→∞ ed è un numero positivo. Infatti bun è una successione non decrescente di numeri positivi, ed è limitata superiormente, essendo bun ≤ bk , dove k è un qualsiasi numero razionale tale che per ogni n sia un ≤ k. Il limite non dipende dalla particolare successione scelta; sia infatti u0n un’altra successione non decrescente di numeri razionali avente come limite x , e sia: 0 lim bun = λ0 n→∞ Allora, per i teoremi sui limiti: bun λ 0 = u n→∞ b n λ0 lim bun un −u0n = 1, in virtù del teorema 30. 0 = lim b n→∞ bun n→∞ Si ricava allora λλ0 = 1, cioè λ = λ0 . Poniamo allora, per ogni x reale (per definizione) D’altra parte è lim bx = lim bun (4.6) n→∞ dove un è una qualsiasi successione non decrescente di numeri razionali che converge ad x. Notiamo che se, in particolare, x è razionale, la nuova definizione coincide con quella già data in Q (ciò che ci autorizza ad usare la stessa notazione bx ). Infatti, se x è razionale, possiamo prendere la successione costante un = x. Dimostriamo che la funzione x → bx ha le proprietà 1) e 2) dell’enunciato del teorema: 1) Siano x ed y numeri reali arbitrari e sia: lim un = x, lim sn = y n→∞ n→∞ essendo un ed sn successioni non decrescenti di numeri razionali. Si ha: bun +sn = bun · bsn perché la proprietà 4.5 vale in Q. Teniamo conto che un + sn è una successione razionale non decrescente che converge ad x + y. Allora: bx+y = lim bun +sn = lim bun · lim bsn = bx · by n→∞ n→∞ n→∞ (Qui si è applicato il teorema sul limite di un prodotto). Così si conclude che: bx+y = bx · by CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 199 2) Sia x < y; per dimostrare che bx < by basterà dimostrare che by−x > 1 cioè bh > 1 per ogni numero h > 0. Sia tn una successione non decrescente di numeri razionali che tende ad h. Per n abbastanza grande si avrà tn > 0 perciò btn > 1. Ma una successione non decrescente di numeri maggiori di 1 ha limite maggiore di 1. Dunque bh > 1. Il fatto che la definizione del valore della funzione bx sia determinato dal valore di x, indipendentemente dalla particolare scatola cinese che si sceglie per determinarlo, fa sì che la funzione esponenziale sia univocamente definita, e quindi, una volta assegnato il valore che essa assume per x = 0, essa sia unica. Resta da dimostrare la continuità di x → bx . Dimostriamo anzitutto la continuità in 0. Riprendiamo la dimostrazione del teorema 30, usando le stesse notazioni. Fissato > 0, risulta definito un intero m() tale che 1 , (h razionale) si ha: per |h| ≤ δ = m() 1 − ≤ bh ≤ 1 + Ma poiché la funzione x → bx è crescente e il numero δ = 1 è razionale, si ha per ogni h reale, con m() |h| ≤ δ: 1 − ≤ b−δ ≤ bh ≤ bδ ≤ 1 + Dunque si ha |bh − 1| ≤ per |h| ≤ δ, e questo prova la continuità nel punto 0. Sia ora x0 un numero reale qualsiasi. Possiamo scrivere: |bx − bx0 | = bx0 |bx−x0 − 1| Al tendere di x ad x0 , la differenza x − x0 tende a zero e, per quanto appena dimostrato, si vede subito che il secondo termine dell’equazione tende a zero. Così la dimostrazione del nostro teorema è conclusa. 2 Finora abbiamo sempre supposto b > 1. Per 0 < b < 1 si può fare una trattazione analoga (la funzione x → bx risulterà decrescente in Q e si prolungherà in una funzione decrescente in R). È tuttavia più semplice definire in questo modo la funzione esponenziale per 0 < b < 1: bx = −x 1 b e si vede facilmente che essa è l’unica funzione f tale che f (1) = b, che sia decrescente ed abbia la proprietà 1) del teorema 31. Per b = 1 si porrà, per ogni x, bx = 1 Accanto alla notazione bx , che è quella tradizionale e che si raccorda con la notazione usata per le potenze, si usa talvolta, soprattutto per la sua maggiore comodità tipografica, la notazione: expb x La figura sottostante riporta i grafici di funzioni esponenziali con varie basi. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 200 y x 1 2 1 x 10 10x 2x x O Per concludere, presentiamo una formula molto importante, che estende la ben nota formula di elevamento a potenza di una potenza (bx )y = bxy (4.7) per ogni b > 0 e per ogni coppia (x, y) di numeri reali. Sarebbe assai complicata la dimostrazione passo a passo di questa formula, a partire dal caso di x e di y interi. Si può invece fare una dimostrazione molto rapida e intelligente. Anzitutto, per x = 0 la formula è banalmente vera. Fissiamo dunque un x 6= 0 e consideriamo le due applicazioni di R in R+ : g(y) = (bx )y ; h(y) = bxy Se b > 1, si verifica subito che si tratta di due funzioni che sono entrambe crescenti se è x > 0, entrambe decrescenti se è x < 0 . Inoltre per y = 1 assumono lo stesso valore: g(1) = (bx )1 = bx = bx·1 = h(1) Infine si verifica che per ambedue le funzioni vale la proprietà 1) del teorema 31, infatti: g(y + z) = (bx )y+z = (bx )y · (bx )z = g(y) · g(z) h(y + z) = bx(y+z) = bxy+xz = bxy · bxz = h(y) · h(z) Considerazioni analoghe si potrebbero condurre nel caso 0 < b < 1. Il teorema 31 ci assicura che è unica l’ applicazione che abbia le caratteristiche che abbiamo osservato nelle applicazioni g e h, quindi esse devono coincidere, per cui si può scrivere che (bx )y = bxy . CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 201 Omomorfismi Supponiamo di considerare due strutture algebriche di gruppo (A, ∗) e (B, ◦) e sia g una funzione da A a B. Se succede che: ∀x, y ∈ A, g(x ∗ y) = g(x) ◦ g(y) si dice che g è un omomorfismo di A in B. In parole semplici, un omomorfismo fra due gruppi è un’applicazione che ’trasporta’ l’operazione del primo gruppo nell’operazione del secondo. La proprietà: f (x + y) = f (x) · f (y) che caratterizza la funzione esponenziale, è una proprietà di omomorfismo (’trasporta’ le somme in prodotti). Le proprietà delle potenze ad esponente intero, che abbiamo conosciuto fin dalla scuola media, caratterizzano l’omomorfismo fra (Z, +) e (R+ , ·); tutto il lavoro compiuto fin qui in questo capitolo ha esteso questo omomorfismo ad un omomorfismo fra (R, +) e (R+ , ·). In aggiunta possiamo osservare che la corrispondenza fra le due strutture è biiettiva, quindi possiamo parlare di isomorfismo (un isomorfismo è un omomorfismo biiettivo). 4.3 I logaritmi La funzione esponenziale di base b > 1 è crescente, continua, e soddisfa inoltre a queste relazioni di limite: lim bx = +∞; x→+∞ lim bx = 0 x→−∞ In virtù del teorema 21 del paragrafo 3.6, le proprietà che abbiamo elencato ci assicurano l’esistenza della funzione inversa: questa è definita in R+ , ha come immagine R, viene detta logaritmo di base b ed è indicata con il simbolo logb . Si dice anche: il logaritmo di base b del numero y è quell’esponente che bisogna dare alla base b per ottenere y : bx = y. (Naturalmente il ’dare come esponente’ x a b sottintende quell’itinerario piuttosto lungo con cui siamo arrivati alla definizione della funzione esponenziale; sottintende anche che l’equazione bx = y ha, per ogni y > 0, un’unica soluzione). √ √ 1 Ad esempio log5 25 = 2 perché 52 = 25, log2 2 = 21 , perché 2 2 = 2, ecc. . . Dunque, tenendo conto del fatto che il logaritmo e l’esponenziale di base b sono funzioni inverse l’una dell’altra, si hanno le relazioni: blogb y = y logb bx = x o, con altre notazioni: (expb ◦ logb )y = y (logb ◦ expb )x = x Evidentemente, è ancora la stessa cosa dire che expb ◦ logb è l’identità di R+ , oppure che logb ◦ expb è l’identità di R. Come sappiamo, se f è una funzione reale invertibile, il grafico di f −1 si ottiene dal grafico di f mediante una simmetria che scambi fra loro i semiassi X + e Y + . Ecco dunque i grafici della funzione x → 2x e della funzione y → log2 y messi a confronto: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 202 y 2x log2 x x O Per quello che sappiamo già dalle proprietà generali delle funzioni inverse, possiamo affermare che la funzione logb (sempre per b > 1) è crescente e verifica queste due relazioni di limite: lim logb x = +∞; x→+∞ lim logb x = −∞ x→0 Naturalmente, quest’ultima relazione è di limite da destra, essendo la funzione logaritmo definita solo per valori positivi. Nel caso in cui è 0 < b < 1 la funzione x → bx è decrescente e si ha: lim bx = 0; x→+∞ lim bx = +∞ x→−∞ Anche in questo caso si può definire la funzione logb , che risulta decrescente e che verifica le seguenti relazioni di limite: lim logb x = +∞; x→0 Anche queste relazioni sono rese evidenti dai grafici. lim logb x = −∞ x→+∞ CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 203 y O x 1 log 21 x La relazione di omomorfismo per il logaritmo Ed ecco la proprietà fondamentale del logaritmo: logb (x · y) = logb x + logb y (4.8) cioè : il logaritmo trasforma il prodotto di due numeri nella somma dei loro corrispondenti. Questo è del tutto intuibile pensando che il logaritmo è l’inverso della funzione esponenziale con la stessa base. Per verificare la 4.8 basta applicare ad ambo i membri la funzione bx e verificare che si ottengono risultati uguali: blogb (x·y) = x · y b(logb x+logb y) = blogb x · blogb y = x · y Così la 4.8 è verificata. La 4.8 può anche essere vista in un ambito più astratto. Infatti, supponiamo che siano dati due gruppi: (G, ∗), (G0 , ◦) ed un omomorfismo f di (G, ∗) in (G0 , ◦). Se f è bigettiva, allora f −1 è un omomorfismo di (G0 , ◦) in (G, ∗): in altre parole, f è un isomorfismo fra i due gruppi. La dimostrazione è quella stessa che abbiamo fatto ora nel caso concreto. Il logaritmo di una potenza Un’altra formula importante è la seguente: logb (cx ) = x logb c (4.9) dove b e c sono numeri reali positivi, mentre x può essere un numero reale qualunque. Anche in questo caso la dimostrazione si può fare applicando ad ambo i membri la funzione bx (cioè, se si vuole, dandoli come esponenti alla base b) e constatando che i risultati coincidono: • il primo membro diventa cx . CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 204 • il secondo membro si trasforma cosí, applicando la 4.7: bx(logb c) = (blogb c )x = cx La coincidenza trovata ci dice che la 4.9 è vera. Ad esempio: √ log10 35 · 27 75 ! = = 1 1 log10 (35 · 27 ) + 5 log10 = 2 7 5 7 log10 3 + log10 2 − 5 log10 7 2 2 Il cambiamento di base nel logaritmo É importante vedere quali legami sussistano fra i logaritmi di uno stesso numero in due basi diverse. Consideriamo la relazione che definisce il logaritmo di un numero positivo x in base b (b > 0, b 6= 1): x = blogb x Prendiamo i logaritmi in base c (c > 0, c 6= 1) di ambo i membri, utilizzando la 4.9: logc x = logb x logc b Questa è la relazione cercata, che lega logb x e logc x. Dividendo membro a membro per logc b (che è certamente diverso da 0, essendo b 6= 1), si ricava: logb x = logc x logc b (4.10) Questa formula ci dice che, se siamo in grado di calcolare il logaritmo di un qualsiasi numero rispetto ad una base c, siamo anche in grado, con semplici operazioni aritmetiche, di calcolare il logaritmo di un qualsiasi numero rispetto ad una qualsiasi altra base. Le calcolatrici scientifiche in genere sono predisposte par calcolare i logaritmi decimali (cioè in base 10) oppure i logaritmi naturali (aventi per base un numero, e, di cui parleremo fra breve). Supponiamo di volar calcolare log2 9. La calcolatrice non è in grado di darci direttamente questo risultato, ma sappiamo che: log2 9 = log10 9 0, 95424 . . . = = 3, 16992 . . . log10 2 0, 30103 . . . Se avessimo fatto lo stesso calcolo, ma utilizzando i logaritmi naturali (che, generalmente, sulle calcolatrici vengono indicati dal tasto ln, mentre quelli decimali dal tasto log), avremmo trovato: log2 9 = 2, 19722 . . . ln 9 = = 3, 16992 . . . ln 2 0, 69314 . . . Si osserva che il risultato è lo stesso. Geometricamente, le due curve logaritmiche: y = log10 x; y 0 = log2 x0 sono ottenute l’una dall’altra con una trasformazione del tipo 0 x = x y 0 = ky k= 1 log10 2 che è una dilatazione in direzione dell’asse y. Naturalmente, questo discorso ha carattere generale: due curve logaritmiche con basi diverse sono sempre ottenute l’una dall’altra con trasformazioni di questo tipo. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 205 y y = log2 x y = log10 x O 1 x 2 I logaritmi nel calcolo numerico Più avanti, quando studieremo qualche elemento di calcolo differenziale ed integrale, vedremo alcune fondamentali applicazioni delle funzioni logaritmiche. Intanto, siamo già in grado di valutare l’importanza dei logaritmi nei calcoli numerici. Una funzione logaritmica, trasformando le moltiplicazioni in addizioni, gli elevamenti a potenza ed estrazioni di radici in moltiplicazioni, abbassa, in un certo senso, le difficoltà di calcolo. Ad esempio, avendo la possibilità di calcolare il logaritmo o l’esponenziale di un certo numero in una certa base, è possibile calcolare la radice n-sima di un√ arbitrario numero x > 0. Supponiamo, ad esempio, di voler calcolare 5 7 = x. Si ha: 1 1 log10 7 ' 0, 8451 ' 0, 1690 5 5 Per ottenere il valore di x non c’è che da applicare la funzione exp10 . Si ottiene: log10 x = x ' 1, 4758 Fino all’avvento del calcolo elettronico i logaritmi sono stati il più importante strumento del calcolo numerico. Si spiega così la tendenza, che ha lungamente persistito nella matematica applicata, di memorizzare e di fare comparire nei calcoli, anziché le grandezze in gioco, i loro logaritmi, anche in casi in cui questi logaritmi non erano molto significativi. Ad esempio, in trigonometria, anziché usare le tavole del coseno e del seno si usavano le tavole delle funzioni log10 cos x, log10 sin x e si cercava in tutti i modi di ottenere formule di tipo moltiplicativo, cioè espresse solo con operazioni di moltiplicazione e divisione, di cui poter calcolare facilmente il logaritmo. Oggi, tutto questo virtuosismo di calcolo non serve più perché gli elaboratori elettronici (grandi e piccoli) sono in grado di calcolare con ottima approssimazione un gran numero di funzioni. Vi sono però casi in cui è significativo l’uso del logaritmo delle variabili. Le scale logaritmiche Come abbiamo già visto all’inizio di questo capitolo, le funzioni esponenziali sono importanti anche per le applicazioni a molti fenomeni naturali. Per la loro rappresentazione sul piano si usano di frequente alcuni artifici che ora indicheremo. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 206 Se rappresentiamo una funzione esponenziale, per esempio x → f (x) = 3 · 102x su un normale foglio usando la stessa unità di misura sugli assi x e y, ci troviamo subito in difficoltà perché la curva, crescendo molto rapidamente, esce presto dal foglio e, quindi, ci dice poco del fenomeno studiato. A questo inconveniente si può ovviare cercando di comprimere l’unità di misura sull’asse y, per esempio, con una trasformazione del tipo 0 x = x y 0 = ky con 0 < k < 1 Con un trucco di questo tipo si riesce a leggere sull’asse y un maggior numero di valori della funzione assegnata, ma il suo grafico rimane sempre di tipo esponenziale. Su di esso si legge male un’importante proprietà della funzione e cioè che a incrementi uguali della variabile indipendente x corrispondono incrementi relativi uguali della variabile dipendente y, cioè se x2 − x1 = x4 − x3 , allora: f (x4 ) f (x2 ) = f (x1 ) f (x3 ) L’idea, dunque, è operare un cambiamento di variabili in modo da ottenere un grafico sul quale si possa leggere immediatamente questa proprietà e che, nello stesso tempo, contenga molti valori della funzione senza cambiare l’unità di misura sull’asse delle ordinate. Si può raggiungere lo scopo con una trasformazione non lineare, logaritmica di questo tipo: 0 x = x y 0 = log10 y y ′ = log10 y log10 10000 = 4 log10 1000 = 3 log10 100 = 2 log10 10 = 1 O 1 2 3 4 x′ = x Il sistema di assi così ottenuto si dice semilogaritmico, perché la scala logaritmica interessa un solo asse. In tale situazione, data una funzione x → f (x) con f (x) > 0, sul piano non si rappresenta il punto (x, f (x)) , ma il punto (x, log10 f (x)). Che cosa diventa la funzione x → 3 · 102x ? CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 207 y 4 3 2 1 y = 3 · 102x −2 −1 O 1 2 Nelle nuove variabili essa diventa: x → log10 (3 · 102x ) = log10 3 + log10 (102x ) = 2x + log10 3 cioè un polinomio di primo grado. Esso quindi è l’equazione di una retta. x CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 208 y ′ = log10 y log10 10000 = 4 y ′ = 2x + log10 3 log10 1000 = 3 log10 100 = 2 log10 10 = 1 O 1 2 3 4 x′ = x Questo fatto si può generalizzare. Così la funzione esponenziale: x → a10bx con a e b costanti ed a > 0 diventa: x → log10 a + bx É ovvio che sul grafico di questa funzione si legge immediatamente la proprietà della costanza degli incrementi relativi della funzione esponenziale. A questo punto non è difficile intuire che può essere utile, a volte, operare in modo analogo anche sull’asse x; Ci sono, infatti, funzioni nelle quali a incrementi relativi uguali (cioè con rapporti costanti) della variabile indipendente x corrispondono incrementi relativi uguali della variabile dipendente, cioè se: x2 x4 = x1 x3 allora: f (x2 ) f (x4 ) = f (x1 ) f (x3 ) In questo caso si preferisce operare una trasformazione logaritmica di ambedue le coordinate, cioè: 0 x = log10 x y 0 = log10 y e nel piano anziché il punto (x, f (x)) si rappresenta il punto (log10 x, log10 f (x)). Naturalmente sia x che f (x) devono essere positivi. Il riferimento così ottenuto si dice logaritmico (si parla anche di scala logaritmica). CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 209 y 18 15 12 y = 3x2 9 6 3 O 1 2 Ad esempio la funzione x → 3 · x2 , che è del tipo predetto, diventa: x → log10 3 + 2 log10 x cioè : x0 → log10 3 + 2x0 x CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 210 y ′ = log10 y log10 100 = 2 y ′ = 2x′ + log10 3 log10 10 = 1 O log10 10 = 1 log10 100 = 2 x′ = log10 x Anche in questo caso il risultato si può generalizzare. Ogni funzione del tipo x → axb , con a > 0 e b reale fissato diventa, nelle nuove variabili: x0 → log10 a + bx0 È appena il caso di osservare che tutto ciò dipende dalla fondamentale proprietà del logaritmo di trasformare prodotti in somme, cioè, in sostanza, dalla proprietà di omomorfismo della funzione esponenziale. 4.4 Il logaritmo decimale Il logaritmo in base 10 risulta particolarmente comodo nel calcolo, a motivo del suo legame con la numerazione in base 10. Un esempio, che può a prima vista sembrare curioso, ci permette di intuire questo legame. Con una calcolatrice scientifica cerchiamo i valori approssimati di alcuni logaritmi decimali: log10 2, 356 = 0, 3721752 . . . log10 23, 56 = 1, 3721752 . . . log10 235, 6 = 2, 3721752 . . . log10 2356 = 3, 3721752 . . . log10 23560 = 4, 3721752 . . . Si osserva che la parte dopo la virgola di questi numeri rimane invariata, mentre ogni volta che si moltiplica il numero di cui si vuole calcolare il logaritmo per 10 aumenta di 1 la parte prima della virgola. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 211 Questo succederebbe per ogni altra sequenza di numeri (provare per credere). É un fatto che si può spiegare senza difficoltà: ogni numero reale può essere espresso come prodotto di un numero compreso fra 1 e 10 (escluso il 10) e di una potenza di 10. Se chiamiamo y il numero reale, possiamo dire che esistono x ∈ [1, 10) e k ∈ Z tali che: y = 10k · x Ad esempio: 235, 6 = 2, 356 · 102, 2, 356 = 2, 356 · 100 ecc. . . Ma allora log10 y = log10 10k · x = log10 10k + log10 x = k + log10 x. Si comprende perché i logaritmi che abbiamo elencato poco sopra abbiano la stessa parte decimale, infatti si ottengono l’uno dall’altro semplicemente moltiplicando per una potenza di 10. Sia z un qualsiasi numero reale e sia [z] la sua parte intera. Si dice mantissa di z il numero z − [z]. La mantissa è quindi un elemento dell’intervallo [0, 1). Viceversa, se si ha z = k + r, dove k è un intero relativo mentre è 0 ≤ r < 1, è ovvio che k è la parte intera di z, mentre r è la mantissa. Il procedimento che abbiamo indicato per il calcolo del logaritmo decimale, perciò, ci presenta automaticamente il logaritmo nella scomposizione parte intera + mantissa. Se prendiamo in esame, però, il numero 0, 2356, le considerazioni che abbiamo fatto sembrano non essere più valide: infatti log10 0, 2356 = −0, 6278247 . . . , e questo numero non ha la stessa mantissa dei numeri maggiori di 1 elencati sopra, eppure 0, 2356 si ottiene da 2, 356 moltiplicando per 10−1 , che è una potenza ad esponente intero di 10. Si tratta di un’anomalia solo apparente, dovuta al fatto che non abbiamo scritto il logaritmo nella sua rappresentazione parte intera + mantissa. La parte intera di log10 0, 2356 = −0, 6278247 . . . non è 0, ma −1. Se proviamo a scrivere il numero come parte intera + mantissa: −0, 6278247... = −1 + 0, 3721752.. vediamo la sua rappresentazione ha la stessa mantissa dei primi logaritmi che abbiamo elencato. 4.5 Il numero e All’inizio di questo capitolo abbiamo introdotto la funzione esponenziale a partire da un esempio legato alla finanza: abbiamo visto che se chiamiamo C0 un certo ammontare di denaro (capitale iniziale), dato in prestito ad un tasso di interesse annuale i > 0, il montante dopo un anno, cioè la somma fra capitale iniziale ed interessi maturati, sarà: C1 = C0 + i · C0 = C0 (1 + i) É evidente che C1 > C0 . Ci si potrebbe chiedere quanto vale il montante se lo si calcola a metà dell’anno. Occorre valutare quale debba essere l’interesse relativo a sei mesi: sembra ragionevole pensare che se in un anno è i in sei mesi sia 2i . Quindi il montante dopo mezzo anno è: i i C 1 = C0 + · C0 = C0 1 + 2 2 2 Mettendo a frutto questo montante per altri sei mesi, si otterrebbe alla fine dell’anno il seguente montante: C10 = C0 i 1+ 2 + C0 i 1+ 2 i i 2 · = C0 1 + 2 2 Sviluppando il quadrato nell’espressione appena scritta: i2 4 0 si osserva che C1 > C1 : la ricapitalizzazione intermedia ha ha avuto l’effetto di aumentare il montante relativo ad un anno. Perché, allora, non dividere l’anno in tre parti uguali, calcolando due capitalizzazioni intermedie, con tasso di interesse quadrimestrale 3i ? C10 = C0 + i · C0 + C0 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI C1 3 C2 3 i i = C0 + · C0 = C0 1 + 3 3 i i = C0 1 + = C1 + · C1 = C1 1 + 3 3 3 3 3 i i = C2 + · C2 = C2 1 + = C0 1 + 3 3 3 3 3 212 i 3 2 2 i i 3 · 1+ = C0 · 1 + 3 3 2 3 Anche in questo caso, sviluppando il trinomio possiamo verificare che C0 · 1 + 3i > C0 · 1 + 2i . Vengono spontanee a questo punto un’osservazione ed una congettura. L’osservazione è che il montante annuale non è costante, ma è funzione del numero di ricapitalizzazioni operate durante l’anno ad intervalli regolari: se l’anno viene diviso in n intervalli di uguale durata e al termine di ogni intervallo si procede al ricalcolo del montante, alla fine dell’anno avremo: i n C1 = C0 1 + n C100 i 3 La congettura è che all’aumentare dei ricalcoli n nel corso dell’anno aumenti il montante finale; in termini più matematici, che la successione an = 1 + ni sia crescente. Per fare la dimostrazione supponiamo che sia i = 1, per rendere più semplici i conti, poi vedremo cosa succede per un qualsiasi valore di i 1 n Teorema 32 La successione an = 1 + è crescente. n 1 n utilizzando i coefficienti binomiali: Si sviluppa l’espressione an = 1 + n n n 1 n 1 n 1 n 1 an = 1+ + + + ··· + = 2 3 0 1 n 2 n 3 n n nn n! n! 1 n! 1 n! 1 = 1+ + + ··· + = 2 0!n! 1!(n − 1)! n 2!(n − 2)! n n!0! nn n(n − 1) n(n − 1)(n − 2) n(n − 1)(n − 2) · · · 1 + + ··· + = = 1+1+ 2 3 2!n 3!n n!nn 1 n−1 1 (n − 1)(n − 2) 1 (n − 1)(n − 2)(n − 3) = 2+ + + + ··· + 2! n 3! n2 3! n3 1 (n − 1)(n − 2)(n − 3) · · · 1 + n! nn I vari addendi di questa somma possono essere trasformati nel seguente modo: 1 n−1 1 1 = 1− 2! n 2! n 1 (n − 1)(n − 2) 1 1 2 = 1− 1− 3! n2 3! n n e in generale: 1 (n − 1)(n − 2) · · · (n − k + 1) 1 = k! k! nk 1− 1 n 2 k−1 1− ··· 1 − n n (4.11) Quindi: an 1 1 1 2 1− + 1− 1− + ··· + n 3! n n 1 1 2 n−1 +··· + 1− 1− ··· 1 − n! n n n 1 = 2+ 2! (4.12) CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 213 In modo analogo si può esprimere il termine an+1 : an+1 1 1 1 1 2 = 2+ 1− + 1− 1− + ··· + 2! n+1 3! n+1 n+1 1 2 n−1 1 1− 1− ··· 1 − + + n! n+1 n+1 n+1 1 1 2 n−1 n + 1− 1− ... 1 − 1− (n + 1)! n+1 n+1 n+1 n+1 Si osserva che an+1 haun addendo inoltre gli addendi di an sono più piccoli dei corrispondenti in più di an e k k addendi di an+1 essendo 1 − < 1− per ogni k. Per ambedue questi motivi si può affermare n n+1 che an < an+1 e quindi la successione an risulta crescente. 2 Tornando all’esempio del capitale e del montante, abbiamo dimostrato che maggiore è il numero di intervalli al termine dei quali riconteggiare il montante, maggiore è la somma che si realizza alla fine dell’anno. Un risparmiatore che presta una somma ad una banca potrebbe domandarsi cosa succede se ad ogni istante si fa l’operazione di ricapitalizzazione: questo corrisponde a far tendere a +∞ il numero di intervalli nei quali si suddivide l’anno e quindi a calcolare: 1 n lim 1 + n→∞ n Per quanto sappiamo, questo limite esiste (vedi teorema 12 del paragrafo 2.4). Si tratta di capire se è finito o infinito. 1 n Teorema 33 La successione an = 1 + è limitata superiormente n 1 n mediante lo sviluppo Dimostrazione. Abbiamo espresso i termini della successione an = 1 + n binomiale (espressione 4.12). Per n > 1 ciascuno dei fattori di tipo (1 − nk ) della (4.12) è minore di 1, perciò possiamo affermare che: 1 n 1 1 1 an = 1 + < 1 + 1 + + + ... + n 2! 3! n! Con semplici passaggi si può dimostrare (lo abbiamo già fatto nell’esercizio 101 del primo capitolo) che: ∀n ≥ 3, n! > 2n−1 Questo ci permette di scrivere: an < 1 + 1 + 1 1 1 1 1 1 + + ... + < 1 + 1 + + 2 + 3 + ... 2! 3! n! 2 2 2 Ma 1+1+ 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 =2+ · 1 =3 + + + . . . = 2 + (1 + + 2 + . . .) = 2 + · 2 22 23 2 2 2 2 1 − 12 2 2 Quindi ∀n ∈ N, an < 3 e quindi anche: lim n→∞ 1 1+ n n ≤3 È così dimostrato che la successione an è limitata superiormente e che quindi tende ad un limite finito. 2 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 214 1 n viene chiamato numero di Nepero e indicato con la lettera e. Il numero lim 1 + n→∞ n Si tratta di un numero irrazionale, trascendente (cioè che non può essere soluzione di un’equazione ottenuta uguagliando a zero un polinomio a coefficienti interi). Possiamo avvicinarci a tale numero per mezzo di una calcolatrice, dando a n valori sempre più grandi: 1 10 1+ = 2, 59374246 . . . 10 1 100 1+ = 2, 704813829 . . . 100 1000 1 1+ = 2, 716923932 . . . 1000 La calcolatrice stessa è in grado di fornirci le prime cifre di e: e = 2, 718281828 . . . . Funzioni esponenziali di base e (e funzioni che contengono logaritmi di base e, chiamati anche logaritmi naturali) descrivono una gamma molto ampia di fenomeni naturali. Studiando in seguito il calcolo differenziale capiremo ancora meglio le caratteristiche di questa particolare famiglia di funzioni. D’ora in poi per indicare logaritmi decimali useremo la notazione log, mentre denoteremo i logaritmi naturali con ln (queste sono le notazioni utilizzate anche maggior parte delle calolatrici elettroniche), senza bisogno di indicare la base. 4.6 Alcuni limiti notevoli 1 n Dal limite lim 1+ = e se ne possono ricavare alcuni altri, che vengono chiamati notevoli: il loro n→+∞ n valore non è evidente a colpo d’occhio e richiede qualche calcolo. 1 x Teorema 34 La funzione f (x) = 1 + ha come limite per x → +∞ il numero e. x Dimostrazione. Sia x > 1 e sia n l’intero definito dalla condizione n ≤ x < n + 1. Si ha: 1 1 1 ≥ > n x n+1 e quindi: 1 1 1 <1+ ≤1+ n+1 x n L’ordine che sussiste fra n, x e n + 1 permette di scrivere: 1+ 1 1+ n+1 n < 1 1+ x x ≤ 1 1+ n n+1 Passiamo ora al limite, tenendo conto che, se n → +∞, anche x e n + 1 tendono allo stesso limite: lim n→∞ 1+ 1 n+1 n n+1 1 n+1 1 + n+1 1+ = lim n→∞ 1 =e (infatti il numeratore di questa ultima frazione tende a e, mentre il denominatore a 1). lim n→∞ 1 1+ n n+1 = lim n→∞ 1 1+ n n 1 · 1+ =e n CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 215 (infatti il primo fattore dell’ultimo prodotto scritto tende a e e il secondo fattore a 1). 1 x Avendo ’ingabbiato’ lim 1+ fra due limiti uguali a e, necessariamente anche questo limite deve x→+∞ x essere e (vedi esercizio 97 del capitolo 3). 2 Procediamo ora con la ricerca di altri limiti. Nei ragionamenti che seguono, faremo ricorso ad alcune sostituzioni di variabile: se f (x) è una funzione e desideriamo calcolare lim f (x), talvolta può essere più x→x0 comodo esprimere la variabile x come funzione di una variabile t, sotto la condizione che sia x(t0 ) = x0 e che la funzione x = x(t) sia continua in t0 (vedi esercizio svolto 110 del capitolo 3). Allora il limite cercato assumerà la forma: lim f (t) = lim f (x) = l x→x0 t→t0 x 1 . x→−∞ x Basterà operare una sostituzione di variabile t = −x, e osservare che se x → −∞, deve essere t → +∞, quindi abbiamo: Per fare un esempio, calcoliamo lim lim t→+∞ = lim t→+∞ 1 1− t 1+ −t 1 1+ t−1 = lim t→+∞ t = lim t→+∞ t−1 t −t = lim t→+∞ 1 1+ t−1 t t−1 t−1 · 1+ t 1 t−1 = =e In modo del tutto simile si può calcolare il valore di altri limiti notevoli: • 1 lim (1 + x) x x→0 Poiché è necessariamente x 6= 0, si può porre t = – lim t→+∞ – lim t→−∞ 1 1+ t t 1 1+ t t 1 x e si ottiene: nel caso di x > 0 nel caso di x < 0 In ambedue i casi questo limite vale e. 2 • lim x→0 logb (1 + x) x Il limite del numeratore è 0 e così pure quello del denominatore. Per calcolare questa forma indeterminata, occorre ricordare che c logb x = logb xc , quindi: 1 1 logb (1 + x) = logb (1 + x) = logb (1 + x) x x x 1 1 Essendo la funzione logaritmo continua, se (1 + x) x tende al valore e, la funzione logb (1 + x) x tende a logb e: logb (1 + x) 1 = logb e = x→0 x ln b lim 2 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI • 216 bx − 1 x→0 x lim Ponendo bx − 1 = t, si osserva che per x → 0, t → 0. Dopo questa sostituzione il limite diventa quindi: t t→0 logb (1 + t) lim che è il reciproco del limite calcolato nel punto precedente. Ne deduciamo che il limite cercato è ln b. bx − 1 = ln b x→0 x lim 2 4.7 Matematica e musica Il suono, come è noto, è un fenomeno vibratorio caratterizzato da una frequenza: ad esempio il la della terza ottava del piano corrisponde ad una frequenza di 440 hertz (vibrazioni al secondo). Il nostro orecchio è capace di percepire e distinguere una gamma molto vasta di suoni, ma la musica ne impiega solo un numero limitato, basta pensare che un pianoforte ha, di norma, 88 tasti ed è quindi in grado di produrre 88 suoni distinti. Vogliamo qui chiarire come siano stati scelti tali suoni, ossia secondo quale criterio sia stata costruita la scala musicale. Requisiti di una scala musicale Precisiamo intanto che il problema sussiste e si è posto per la costruzione di certi strumenti, come il pianoforte, che producono solo un numero limitato di suoni. Un violino o un violoncello sono in grado di produrre, all’interno di un certo intervallo di frequenze (diapason), suoni di frequenza qualsiasi e quindi la selezione viene fatta direttamente dall’esecutore. Il problema non è così semplice come potrebbe sembrare: ci sono esigenze tipicamente musicali che devono essere rispettate: in primo luogo i suoni che vengono introdotti devono poter essere combinati dando come risultato un suono gradevole all’udito. Ora, è noto, che la vibrazione di una corda è il risultato della sovrapposizione di vibrazioni di frequenze f, 2f, 3f . . . , ossia una corda emette contemporaneamente, ma ad altezze diverse, suoni di frequenze multiple chiamati armonici del suono fondamentale (questo fenomeno può essere prodotto pizzicando una corda di chitarra e poi sfiorandola appena al centro: il suono fondamentale cesserà e si potranno sentire gli armonici). Due suoni che hanno frequenze una doppia dell’altra, se sovrapposti, sono particolarmente gradevoli; sarà allora necessario richiedere che, se la scala contiene il suono di frequenza f , contenga anche il suono di f frequenza 2f (se ci sono suoni di frequenza minore di f , deve contenere il suono di frequenza ). 2 Due suoni, però, non sempre si sovrappongono: più spesso si susseguono. La successione di più suoni forma una melodia. Come ogni melodia può essere cantata ad altezze diverse, a seconda che l’esecutore sia un tenore o un basso, così la melodia deve poter essere ’trasportata ’ sulla nostra scala: ossia poter esser riprodotta a partire da un suono di frequenza qualsiasi. Ma in che senso riprodotta? Una melodia è caratterizzata dai rapporti tra le frequenze di due suoni successivi, e sono proprio tali rapporti che si debbono mantenere quando si vuole riprodurre una melodia partendo da un suono di frequenza diversa. Riassumendo: la scala musicale che vogliamo costruire deve soddisfare a due condizioni: 1. Se contiene tra i suoi suoni il suono di frequenza f , deve contenere anche quelli di frequenza 2f e 2. Deve permettere il trasporto di una melodia senza alterarla. f ; 2 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 217 Supponiamo allora di aver costruito la nostra scala: l’intervallo fra un suono di frequenza f e quello di frequenza 2f , prende il nome di ottava. Siano: f0 < f1 < f2 < . . . < fm = 2f le frequenze dei suoni contenuti nell’ottava [f, 2f ] che viene ad essere divisa in m intervalli o gradi. Questa successione di suoni forma una melodia: trasportiamola di un grado, ossia iniziamo, anziché da f0 , da f1 ; allora terminerà sul suono fm+1 (da ora in poi, per maggiore semplicità di linguaggio, indicheremo un suono con la sua frequenza). Certamente fm+1 > fm , ma siamo anche certi che fm+1 sarà il suono della scala successivo di fm . Infatti, 0 se esistesse f 0 compreso fra fm e fm+1 , esisterebbe anche f2 compreso tra f0 e f1 , e questo è falso. Si hanno allora le due successioni di frequenze: f0 < f1 < f2 < . . . < fm f1 < f2 < f3 < . . . < fm+1 Se la melodia iniziale non è stata alterata, deve essere: f1 f2 f2 f3 fm fm+1 = , = ,..., = f0 f1 f1 f2 fm−1 fm ossia: f1 f2 f3 fm+1 = = = ... = f0 f1 f2 fm Dunque la successione f0 < f1 < f2 < . . . < fm forma una progressione geometrica: la ragione di tale √ m progressione è q = 2 (infatti: fm = q m f0 = 2f0 ). Il problema diventa allora quello di determinare il numero m dei gradi in cui dividere l’ottava. Passiamo dalle frequenze f0 , f1 , f2 . . . ai logaritmi in base 2 (o binari) di tali frequenze: log2 f0 , log2 f1 , log2 f2 , . . . , log2 fm L’ottava si trasforma in un intervallo di ampiezza 1 e la progressione geometrica f0 , f1 , f2 . . . nella pro1 gressione aritmetica log2 f0 , log2 f1 , log2 f2 , . . . , log2 fm , di ragione m . Sull’asse dei logaritmi l’ottava viene 1 ad essere rappresentata dall’intervallo [log2 f0 , log2 fm ], suddiviso in m sottointervalli di ampiezza m . Riconsideriamo gli armonici di una corda: analogamente a quanto accade per i suoni f e 2f , anche i suoni f e 3f , se sovrapposti, danno un risultato gradevole. Siamo allora indotti a porre una nuova condizione cui deve sottostare la costruzione della nostra scala: 3) Se la scala contiene il suono di frequenza fondamentale f deve contenere il suono di frequenza 3f . D’altra parte, avendo già convenuto (condizione 1) che la nostra scala deve contenere anche il suono di f f 3 frequenza , se ne conclude che anche il suono 3 · = f deve appartenervi. 2 2 2 Tale suono è contenuto nell’ottava [f, 2f ] che stiamo considerando: supponiamo che occupi il posto k3 esimo: ossia fk = f . 2 Passando ai logaritmi binari: 3 3 k log2 f0 = log2 + log2 f0 = log2 f0 + 2 2 m Si ha dunque l’equazione: log2 3 k = 2 m dove k e m sono numeri interi. Si vede facilmente che questa equazione nelle incognite k ed m non ha soluzioni negli interi, il che equivale a dire che log2 23 è un numero irrazionale; infatti se fosse razionale sarebbe: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI k 2m = 218 3 2 e cioè : m 3 2 = 2 k e infine: 2k+m = 3m e questo è impossibile. Dunque la costruzione della scala fino ad ora considerata non è compatibile con l’esistenza di un intervallo del tipo [f, 32 f ]. D’altra parte tale intervallo, che prende il nome di quinta giusta, è particolarmente importante dal punto di vista musicale e, nello stesso tempo, la suddivisione in intervalli uniformi è necessaria per il trasporto di una melodia. Dovremo allora cercare una soluzione di compromesso per non rinunciare a nessuna delle due proprietà . Una soluzione approssimata Una buona idea è quella di approssimare il numero irrazionale log2 32 con una successione di numeri razionali k m. Sarà sufficiente un’approssimazione che corrisponda ad una differenza tra le relative frequenze non percepibile dal nostro orecchio: ossia inferiore ad 1 hertz. Vediamo quale deve essere la precisione del calcolo: prendiamo l’ottava che va da 262 a 524 hertz, corrispondente all’ottava centrale di un pianoforte. Sulla scala logaritmica corrisponde ad un intervallo di lunghezza 1, dunque 1 hertz corrisponde approssimativamente ad un intervallo di 0,004 sulla scala logaritmica, per cui l’errore dovrà essere inferiore a 0,004. Prima di proseguire il nostro calcolo è necessario precisare che l’intervallo di quinta giusta non è l’unico che considerazioni teoriche e musicali ci impongono, ne esistono altri: oltre all’ottava, l’intervallo di terza corrispondente al rapporto 45 , quello di quarta, 43 , quello di sesta, 53 , di seconda, 89 e di settima, 15 8 . Da una tavola dei logaritmi binari ricaviamo i seguenti valori (limitandoci alla terza cifra decimale) che ci interessa approssimare: log2 3 2 ' 0, 585 log2 5 4 = 0, 737 log2 9 8 ' 0, 169 log2 15 8 log2 2 = 1 log2 5 3 ' 0, 323 log2 4 3 ' 0, 416 ' 0, 907 k Il valore m , che cerchiamo, dovrà approssimare con la precisione voluta log2 32 , e nello stesso tempo, dare la suddivisione della scala in m gradi che approssimino in modo soddisfacente anche gli altri valori. Veniamo al calcolo; per definizione di logaritmo, cerchiamo x tale che: 2x = Certamente x < 1, quindi poniamo x = 3 2 1 y con y > 1; l’equazione diventa: y 3 =2 2 2 Il valore y è compreso tra 1 e 2 (infatti 32 < 2 < 49 = 32 ), allora poniamo y = 1 + l’equazione diventa: 3 · 2 ossia 3 2 = 4 z 3 . 1 3 z =2 2 1 z con z > 1 e CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI Ora, z è compreso tra 1 e 2 l’equazione diventa: 4 3 < 3 2 16 9 < 4 · 3 u ossia 34 = 98 . Questa volta u è compreso fra 2 e 3 ( 81 64 < diventa: 4 3 4 2 3 = 219 , possiamo allora porre z = 1 + 1 u con u > 1 e 1 4 u 3 = 3 2 < 729 512 = 9 3 8 ); poniamo u = 2 + v1 , con v > 1 e l’equazione 2 1 9 v 4 9 · = 8 8 3 cioè: 9 = 8 256 243 v passando ai logaritmi si ha: v(log10 256 − log10 243) = log10 9 − log10 8 v(2, 4082 − 2, 3856) = 0, 9542 − 0, 9031 0, 026v = 0, 0511 Dunque v è compreso fra 2 e 3. Il calcolo, si capisce, potrebbe continuare indefinitamente, ma ci fermiamo qui. Si ottiene: x= 1 = y 1 1 1 = 1 1+ z 1+ 1 1 = 1+ 1 1+ u 1+ 1 = 1 2+ 1 1+ 1 1 1+ 1 v 2+ 1 2 + ··· allora: 1 1 =1 1 1 1 =2 1+ 1 1 1+ = 35 1 1+ 1 2 1 1+ 7 = 12 1 1 1+ 1 2 saranno approssimazioni sempre migliori del numero cercato: la prima e la seconda sono approssimazioni 7 grossolane, la terza: 35 = 0, 600 presenta già un errore abbastanza piccolo; la quarta: 12 = 0, 583 presenta un errore 0, 002 inferiore a quello stabilito essere ammissibile. 2+ La costruzione di una scala musicale Quest’ultima soluzione corrisponde ad una suddivisione della scala in 12 gradi; sull’asse logaritmico l’intervallo [0, 1] viene diviso in dodici parti uguali dai punti: 1 12 = 0, 083 2 12 = 0, 167 3 12 = 0, 250 4 12 = 0, 333 5 12 = 0, 418 6 12 = 0, 500 7 12 = 0, 583 8 12 = 0, 667 9 12 = 0, 750 10 12 = 0, 833 11 12 = 0, 917 12 12 = 1, 000 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 220 Come si vede questa suddivisione fornisce una buona approssimazione anche per gli altri valori che ci interessano. É dunque quella più conveniente: la scala è divisa in dodici √ parti alle quali corrispondono dodici suoni tali che il rapporto tra le frequenze di due suoni successivi è 12 2. L’intervallo che separa due gradi successivi si chiama semitono, l’intervallo composto da due semitoni si chiama tono. La situazione è riassunta in figura: 0 log2 f0 1 12 2 12 0, 169 3 12 4 12 5 12 0.323 0.416 6 12 7 12 8 12 0.585 9 12 0.737 10 12 11 12 1 0.907 log2 2f0 Sceglieremo come suoni fondamentali della scala quelli corrispondenti al grado più vicino: invece di prendere f1 tale che log2 ff10 = 0, 169 prenderemo f10 tale che: log2 f10 2 = = 0, 167 f0 12 e cosìvia. Concludendo: se la prima nota dell’ottava è do, la prima a distanza di un tono si chiama re, la seconda a distanza di un tono è mi, la terza a distanza di un semitono è fa, e la quarta a distanza di un tono è sol. Queste quattro note formano un primo tetracordo; a partire dal sol (' 23 f0 ) si costruisce un secondo tetracordo: a distanza di un tono la, poi si, e infine, a distanza di un semitono, il do all’ottava del do di partenza. Oltre ai sette suoni fondamentali (do, re, mi, fa, sol, la, si) la scala contiene altre cinque note, in tutto 12, che prendono il nome delle note fondamentali, a seconda che si trovino un semitono più in alto (diesis) o più in basso (bemolle): ad esempio, la prima nota a distanza di un semitono dal do si chiama do diesis oppure re bemolle. Si è quindi costruita la scala tonale uniforme (divisa in dodici intervalli uguali). Questa grande conquista della teoria musicale fu proposta verso il 1700 da Andreas Werckmaister, che presentò anche un piano costruito ed accordato secondo tale scala; la validità di tale sistema fu magistralmente dimostrata, come tutti sanno, dall’opera di Johann Sebastian Bach ’Il clavicembalo ben temperato’. Nel corso del tempo si è provato a migliorare le approssimazioni per minimizzare l’errore, ma questa maggiore precisione va a scapito della semplicità degli strumenti, e i tentativi fatti in questo senso non hanno avuto seguito . CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI Vocaboli e simboli Funzione esponenziale Logaritmi Sistema di logaritmi, base Scale logaritmiche, semilogaritmiche Mantissa Numero di Nepero e 221 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 222 Esercizi paragrafo 4.1 1. Disegnare su carta millimetrata un riferimento cartesiano ortogonale e riportare su di esso i punti della seguente tabella: x y 3 23 2 22 −1 2−1 −2 2−2 1 1 22 2 4 4 23 3 0 20 1 21 −0,1 −0, 1 2 2. Dimostrare che per 0 < b < 1 la funzione x → bx è decrescente e la tesi del teorema 30 sussiste inalterata. 3. Dimostrare che la funzione: f : Q→ R x → bx (b > 0, b 6= 1) è iniettiva. 4. Quante soluzioni può avere l’equazione 2x = 14 ? Motivare la risposta. 5. Esercizio svolto Risolvere nell’insieme Q la seguente equazione: √ −x 9·3 = 3 27 Svolgimento Conviene esprimere i numeri che compaiono nei due termini dell’equazione come potenze di 3: 1 2 3 ·3 −x 32 = 3 3 Ricorrendo alle proprietà delle potenze l’equazione può essere riscritta: 1 32−x = 3 2 −3 L’iniettività della funzione x → 3x ci assicura che se due potenze aventi la stessa base sono uguali, necessariamente gli esponenti sono uguali, quindi: 1 −3 2 9 x= 2 2−x= Provando a sostituire nell’equazione iniziale il valore di x ottenuto: − 92 9·3 √ 1 1 1 3 =9· √ =9· √ = √ = 4 2 27 3 3 3 3 39 vediamo che effettivamente il valore di x che abbiamo ottenuto è la soluzione. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 223 6. Risolvere nell’insieme Q le seguenti equazioni: √ 1 (a) 2x · 2 = 16 (b) 3x−4 = 9 3x (c) 101−x = (d) 2 2x −1 √ 0, 00001 =8 7. Risolvere nell’insieme Q le seguenti equazioni: (a) 3x+1 + 3x+2 + 3x+3 = √ 5 13 3 1 163x+ 2 2x−1 (c) 2x + 4 = 6 · 2x−2 (b) 642 = (d) 4x+1 − 22x−3 = √ 47 2 16 m 8. Riconoscere che si ha b n − 22x+1 √ = n bm ∀n, m ∈ Z 9. Dimostrare che per ogni x razionale ed ogni intero positivo n risulta: √ n 10. Quante soluzioni razionali ha l’equazione 22x x bx = b n 2 +3x−2 = 1? 11. Perché l’equazione 2x = −4 non ha soluzione in R? Perché in generale l’equazione bx = α, con b > 0, x ∈ Q non può avere soluzione se α < 0? 12. Esercizio svolto Risolvere in Q la seguente equazione: 3x+3 + 9x+1 = 10 Svolgimento Il primo membro dell’equazione può essere espresso mediante potenze di 3: 3x · 33 + 32 x+1 = 27 · 3x + 32x+2 = 27 · 3x + 9 · 32x Quindi l’equazione iniziale si può scrivere: 27 · 3x + 9 · 32x = 10 Si introduce una variabile ausiliaria t = 3x e si trasforma l’equazione esponenziale in una semplice equazione di secondo grado: 9t2 + 27t − 10 = 0 che si risolve nel modo consueto: ∆ = 272 + 4 · 9 · 10 = 1089 = 332 t1 = 6 1 −27 + 33 = = 18 18 3 t2 = −27 − 33 60 10 =− =− 18 18 3 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 224 Ricordiamo che t = 3x , quindi una soluzione si ottiene risolvendo l’equazione 3x = 13 e ricavando x = −1. L’equazione 3x = − 10 3 , invece, non ha soluzione, essendo negativo il secondo membro dell’equazione. Quindi l’unica soluzione dell’equazione proposta è x = −1. 13. Calcolare le radici dell’equazione 9 − 2x = 23−x 14. Esercizio svolto Risolvere in Q la seguente disequazione: x+1 √ 1 >2 2 2 Svolgimento 1 x+1 √ 1 3 = 2−x−1 , mentre 2 2 = 2 · 2 2 = 2 2 . Quindi la disequazione può essere scritta: 2 3 2−x−1 > 2 2 3 La funzione x → 2x è crescente perché ha la base maggiore di 1, quindi se 2−x−1 > 2 2 , deve essere −x − 1 > 23 , da cui si ricava x < − 25 . 15. Risolvere le seguenti disequazioni in Q: 1 3−x (a) 10 ≤ 10 −x+2 1 (b) 16 ≥ 14 √ (c) 8−x ≤ 5 32 16. Qual è il maggiore dei due seguenti numeri: 51000 , 10500 ? 3 4 17. Qual è il maggiore dei due seguenti numeri: 4 4 , 3 3 ? 18. Esercizio svolto Per quali valori razionali di x il numero 3x può essere razionale? E il numero bx , dove b è un intero maggiore di 1 ? Svolgimento Sia x = p q un numero razionale; 3x è un numero razionale solo se si verifica: p 3x = 3 q = dove si può supporre che le frazioni m n p m e siano ridotte ai minimi termini. q n p p p m > 0, da 3 q = si può ricavare che n · 3 q = m, e quindi che nq · 3p = mq . q n Quindi n deve dividere m, ma n e m sono primi fra loro per ipotesi, quindi non può essere che n = 1 e 3p = mq , cioè m è una potenza di 3 : n = 3s . Procedendo con il ragionamento: Se 3p = (3s )q = 3sq cioè sq = p. Ma p e q sono primi fra loro, quindi q = 1, cioè 3x = 3p ; ne risulta che x deve essere un intero. p −p Se pq < 0, poiché abbiamo dimostrato che 3 q è un intero, si ha che anche 3 q è un razionale, essendo il reciproco di un intero. Il ragionamento svolto per l’intero 3 può essere sviluppato in modo analogo per un intero b > 1. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 225 19. Il numero 1 + 3 + 32 + ... + 31000 è maggiore di 31001 ? 20. (Olimpiadi di Matematica 1993) 1 3 5 2n+1 Si considerino i numeri 10 10 , 10 10 , 10 10 , . . . , 10 10 , con n ∈ N. Qual è il più piccolo valore di n per cui moltiplicando fra loro questi numeri il risultato è maggiore di un miliardo? 21. (Olimpiadi di Matematica 1997) p √ 5 Quanto vale 2 4 2? √ (A) 20 2 √ (B) 9 2 √ (C) 4 2 (D) √ 20 29 √ (E) 20 4 22. Ogni cm2 di superficie della Terra è sovrastato da una massa di circa 10 kg di aria. La superficie totale del Lazio è circa 1, 718 · 104 km2 . Calcolare la massa dell’atmosfera che sovrasta il Lazio. Calcolare la massa dell’ossigeno supponendo che sia il 22% della massa totale. 23. In un libro di fisica si può consultare una tabella che riporta dati relativi alla pressione atmosferica di un certo luogo in relazione all’altitudine di quel luogo sul livello del mare; la pressione è misurata in Pascal e l’altitudine in metri: altitudine(m) pressione(P a) 0 101300 1000 89900 79500 2000 3000 70100 4000 61600 5000 54000 6000 47200 7000 41000 8000 35600 9000 30700 10000 26400 (a) verificare che la relazione fra pressione e altitudine non è di diretta o inversa proporzionalità né di proporzionalità quadratica; (b) verificare che il rapporto fra ogni dato di pressione e il suo successivo è all’incirca costante. Utilizzare questa caratteristica per esprimere la legge funzionale che lega la pressione atmosferica in un dato luogo all’altitudine. (c) quale sarebbe, secondo questa legge funzionale, la pressione che si può misurare a 500 m? e a 5500 m? (d) a quale altitudine si potrebbe misurare una pressione di 50000 Pa? 24. Esercizio svolto √ Sia an una successione a valori in Q, crescente, tale che lim an = 3 e bn una successione a valori n→∞ √ in Q, decrescente, tale che lim bn = 3. Dimostrare che la successione di intervalli 2an , 2bn è una n→∞ scatola cinese. Svolgimento Poiché le due successioni sono strettamente monotone, per ogni valore di n si ha an < an+1 e bn > bn+1 . La funzione esponenziale x → 2x definita in Q è, come abbiamo visto, crescente, perciò, se an < an+1 , certamente 2an < 2an+1 e se bn > bn+1 , sarà 2bn > 2bn+1 . Ne segue che 2an+1 , 2bn+1 ⊂ 2an , 2bn e con ciò è dimostrata la prima proprietà che caratterizza le scatole cinesi. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 226 Dimostriamo ora che la lunghezza ln di ogni intervallo 2an , 2bn tende a 0 al tendere di n a ∞. √ n tale che ∀n > n, 3 − an < ed esiste m tale che Sia un arbitrario numero razionale; esiste √ ∀n > m, bn − 3 < . Per ogni n > max(n, m) si può scrivere: √ 3 − < an e bn < √ 3+ da cui si ricava: bn − an ≤ 2 Con pochi calcoli, si arriva a scrivere: 2bn − 2an = 2an 2bn −an − 1 ≤ 2b0 (2 − 1) Il teorema 30 ci assicura che lim 22 = 1 e ciò comporta che la quantità 22 − 1 tenda a 0; ne →0 consegue che anche ln = 2bn − 2an tende a 0. Quindi abbiamo dimostrato che è verificata anche la seconda proprietà delle scatole cinesi. L’assioma di completezza garantisce che ogni scatola cinese racchiude un numero reale: quello √ 3 racchiuso dalla scatola cinese che abbiamo costruito sarà il numero 2 . Esercizi paragrafo 4.2 25. Disponendo di un calcolatore che oltre alle operazioni aritmetiche possa eseguire solo le radici quadrate, tracciare su carta millimetrata un grafico accurato della funzione x → 3x nell’intervallo [0, 1]. 26. Tra le seguenti funzione esponenziali, quali sono crescenti? y= 1 x 3 x y = 3x y = 52 y= 1 −x 4 y = (0, 001)1−x 27. Si sa che 2x > 2y . Che relazione intercorre fra x e y? 1 a 1 b 28. Si sa che 10 > 10 . Che relazione intercorre fra a e b? 29. Si sa che se a > 0 e x < y, 1 ax > 1 ay ; cosa si può affermare del numero a? 30. Rappresentare il grafico delle seguenti funzioni: y = 2x+1 y = 2x + 1 y = 2|x| y = 2−x 31. Dimostrare che, presi due numeri reali qualunque x1 , x2 si ha: b x1 +x2 2 1 < (bx1 + bx2 ) 2 (b > 0, b 6= 1) 32. (Olimpiadi di Matematica 2001) Siano x, y numeri reali positivi. Quale delle seguenti condizioni è sufficiente per garantire che xy < y x ? (A) 1 < x < y (B) 1 < y < x (C) x < 1 < y (D) x < y < 1 (E) y < x < 1 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 227 33. (Giochi di Archimede 1995) Siano x, y numeri reali tali che: 2x = 4y−1 27y = 3x+1 Quanto vale x + y? (A) −3 (B) 1 (D) −5 (C) 3 (E) non è possibile determinare x + y 34. Esercizio svolto Dimostrare che, se è b > 1, risulta: lim bx = +∞ x→+∞ lim bx = 0 x→−∞ Svolgimento Sia K > 0 un numero reale arbitrario. Vogliamo mostrare che esiste s ∈ R tale che per ogni x > s sia bx > K. Nel paragrafo 2.1 di questo testo abbiamo dimostrato che se b > 1, lim bn = +∞; ciò significa che in corrispondenza di K esiste n ∈ N tale che per ogni n > n si n→∞ ha bn > K. Poiché per b > 1 la funzione x → bx è crescente, si avrà che ∀x > n, bx > K e questo ci permette di affermare che lim bx = +∞. x→+∞ 1 . = +∞, esiste certamente un numero reale Per dimostrare che lim b = 0, scegliamo > 0 e poniamo bx < , da cui si ricava b−x < x x→−∞ Se x → −∞, allora −x → +∞, e poiché lim −x→+∞ b−x s tale che se −x > s, b−x > 1 , che equivale a dire che se x < −s, bx < ; la relazione di limite risulta così dimostrata. 35. L’equazione b2x + 3bx + 2 = 0 può avere soluzioni in R? 36. Risolvere in R le equazioni (b > 0): b2x + bx − 2 = 0 b2x − b2 = 0 37. Trovare una soluzione approssimata dell’equazione 2x = 20. 38. Risolvere in R le seguenti equazioni esponenziali: (a) 35 = √ 7 (b) 22x 2 −5 9 813x · 4x = 1 22x−1 6 √ − 9x 3− 3 x 1 (d) 3x−4 = 9 (c) 3x = 39. Risolvere nell’insieme R le seguenti equazioni: −4 2 (a) 2x −1 − 12 = √12 √ (b) 2 x−5 = 32 · 2− √ x (c) 5x − 5x−1 = 3 · 2x + 2x+1 (d) 22x 2 −1 2 + 21−2x = 17 4 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 228 40. Risolvere nell’insieme R le seguenti equazioni: √ (a) 22x+3 − 2x+2 = 2(2x+1 − 1) (b) (20 − x6 ) · x−6 = 1 − 3 · x−3 3 1 1 (c) 3 2 x − 10 · 3 2 x + 9 · 3− 2 x = 0 (d) 5 + 53x = 52x + 5x+1 41. Risolvere in R i seguenti sistemi di equazioni: x·y 2 = 2x+y−1 (a) x 2 = 22+y x+y 9 = 3x+1 (b) x+1 y 3 · 3 = 35y−1 42. Risolvere in R le seguenti disequazioni: 1 x 16 274x+1 (a) 26(x+1) ≥ (b) 9−5 ≤ 2 (c) (0, 001)x ≥ (0, 1)3x+1 (d) 2 · 4x + 5 · 2x < 3 43. Esercizio svolto In natura vi sono sostanze i cui atomi tendono a decadere, con emissione di particelle, dando luogo ad altre sostanze o a isotopi della stessa sostanza. La velocità di decadimento varia da sostanza a sostanza e viene individuata mediante il cosiddetto ’tempo di dimezzamento’, il tempo necessario affinché il numero di atomi della sostanza, presenti inizialmente in un certo campione, si riduca della metà. In che modo si può descrivere la variazione del numero di atomi non decaduti nel corso del tempo? Svolgimento Sia n0 il numero di atomi presenti all’istante t = 0 e sia t → n(t) la funzione che rappresenta il numero di atomi non decaduti al tempo t. Si deve trattare in modo ovvio di una funzione strettamente decrescente, inoltre essa deve dipendere secondo una legge di diretta proporzionalità dal numero n0 di atomi presenti all’inizio: n(t) = n0 f (t). Al tempo t + h gli atomi non decaduti saranno n(t + h) = n0 f (t + h). Supponiamo di cominciare ad osservare il fenomeno al tempo t, quando sono presenti n(t) atomi; dopo un tempo h gli atomi presenti saranno n(t + h) = n(t)f (h), cioè n0 f (t)f (h). Queste osservazioni ci portano a concludere che f (t + h) = f (t)f (h). Riconosciamo quindi nella funzione f le due proprietà caratteristiche della funzione esponenziale: la monotonia e la proprietà di omomorfismo. Il decadimento delle particelle avviene, quindi, secondo una legge esponenziale: f (t) = αt , e il fatto che la f sia decrescente ci assicura che 0 < α < 1. Per sapere quanto vale α possiamo usare l’informazione che abbiamo sul tempo di dimezzamento t: 1 n(t) = n0 αt = n0 2 1 1 e α = 12 t . 2 La legge che descrive il decadimento degli atomi è quindi: da cui αt = t 1 t n(t) = n0 2 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 229 44. Il carbonio 14 è una sostanza radioattiva con un tempo di dimezzamento di circa 5730 anni. Se oggi in una roccia sono presenti 1023 atomi di carbonio 14, quanti ce n’erano 2000 anni fa? Quanti ce ne saranno fra un 100 anni? fra 1000 anni? fra 105 anni? 45. Le emissioni di un campione di sostanza radioattiva possono essere misurate da un contatore Geiger, uno strumento che segnala il passaggio di particelle cariche in una certa zona di spazio. A partire dalle 8 del mattino un contatore Geiger fa una rilevazione ogni ora e fornisce la seguente successione di dati: ora 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 n. decadimenti 13560 11303 9421 7846 6533 5450 4541 3787 3150 2628 (a) cosa si può prevedere per l’undicesima lettura del contatore? (b) quale lettura ci si potrebbe aspettare alle 14.30? e alle 15.45? (c) qual è il tempo di dimezzamento di questa sostanza? 46. (Coppa Fermat - Genova 2003) Nei laboratori biotecnologici dell’Università di Genova si vuole studiare un pericoloso tipo di batteri, con la particolarità che dopo un tempo fisso ogni batterio si divide in tre. Poiché all’inizio vi è un unico esemplare, un ricercatore decide di metterlo in una coltura ed aspettare che si riproduca un numero sufficiente di volte. Dopo un certo periodo il ricercatore riesamina la coltura e procede ad un primo conteggio dei batteri, che però è ancora insuffficiente per condurre gli studi. Passato un altro po’ di tempo, il ricercatore riconta i batteri e nota che ora ce ne sono 2106 in più rispetto al conteggio precedente. Determinare quanti batteri ci sono nella coltura al primo conteggio. 47. Un vetro opaco, omogeneo, dello spessore di 1 cm assorbe il 30 % dell’intensità luminosa di un fascio di luce. Trovare quale è la percentuale di intensità luminosa che viene assorbita da un vetro dello stesso materiale, dello spessore di x cm. 48. * Una lampadina viene accesa all’istante 0. Supponiamo che la probabilità p(t) che essa sia ancora funzionante dopo t ore soddisfi a queste condizioni: a) la probabilità di ulteriore durata per la lampada che è ancora funzionante ad un certo istante non dipende dalla durata del funzionamento precedente. (In altre parole: si pensa che la probabilità che la lampadina si bruci in un certo intervallo di tempo non aumenti con la durata del funzionamento). b) si sa che, preso un gran numero di lampadine, tutte dello stesso tipo che ci interessa, dopo 800 ore di funzionamento ne sono ancora buone la metà. Trovare l’espressione di p(t). Esercizi paragrafo 4.3 49. Calcolare: a) log3 27 50. Calcolare: b) log3 1 9 2 2 b) log4 8 c) log√2 64 51. Se loga b = c, trovare il valore dei seguenti logaritmi: (a) log 1 b a a √1 3 √ a) log8 (b) log 1 c) log3 1 b (c) loga·b b √ 7 d) log3 ( 32 ) √ d) log8 ( 5 16) CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI (d) log√a √ 230 b 52. Tracciare il grafico della funzione f : x → loga x con 0 < a < 1, poi rispondere alle seguenti domande: (a) qual è il valore della funzione per x = a1 ? (b) per quali valori di x la funzione ha valori compresi fra 2 e 3? (c) se x1 < x2 , cosa si può dire di loga x1 e loga x2 ? (d) la funzione assume un valore minimo? se sì, quale? 53. Dimostrare che log10 3 è irrazionale. 54. Generalizzando il contenuto dell’esercizio precedente: se n è un intero fissato, in quali casi il logaritmo in base n di un numero razionale è razionale? 55. Trovare l’insieme di definizione delle seguenti funzioni: a)x → log3 (1 − x) p d)x → loga x b)x → log0.5 1+x x−3 e)x → log2 2x − log(2x − 1) c)x → log10 x2 −1 x+2 f )x → loga sin x 56. Le funzioni f : x → log10 (x2 − 1) e g : x → log10 (x − 1) + log10 (x + 1) hanno lo stesso campo di esistenza? 57. Siano b e c due numeri positivi diversi da 1. Dimostrare che: logb c · logc b = 1 58. Esercizio svolto Risolvere in R la seguente equazione: log10 (x − 4) + log10 (x − 6) = log10 (x + 6) Svolgimento Occorre anzitutto considerare che non tutti i valori reali possono essere assunti dalla variabile x: un logaritmo, infatti, non può avere come argomento un numero negativo o nullo. Perciò si pone: x−4 >0 x−6 >0 x+6 >0 da cui si ricava la condizione x > 6. Utilizzando le proprietà dei logaritmi, si riduce l’uguaglianza iniziale ad un’uguaglianza equivalente, nel dominio x > 6: log10 (x − 4) · (x − 6) = log10 (x + 6) La funzione logaritmo è biunivoca nel suo insieme di definizione, quindi l’uguaglianza fra due logaritmi implica l’uguaglianza fra gli argomenti, per cui: (x − 4) · (x − 6) = x + 6 x2 − 4x − 6x + 24 − x − 6 = 0 x2 − 11x + 18 = 0 da cui si ricava x = 9 oppure x = 2. La prima soluzione è accettabile, perché compatibile con le condizioni poste inizialmente, la seconda no. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 231 59. Risolvere in R le seguenti equazioni logaritmiche nell’incognita x: (a) 2 log10 (x − 1) = log10 (3 − x) (b) loga (x + 1) + loga (x − 2) = loga (3x − 1) q (c) log3 (x + 1) − log3 (x − 1) = log√3 23 + log9 x2 (d) log10 x2 + 2 = 2 log10 6 (e) log2 x3 + 2 log2 x = − log 1 2 1 x5 + log√2 1 (f) log4 (x − 1) + log4 2 = log2 (2x − 1) − 1 60. Risolvere in R le seguenti equazioni logaritmiche nell’incognita x: √ 1 1 8 3 (a) x · loga + log √ a2 = 3 a a + loga a x 3 q x (b) log3 x2 +20 = −1 (c) loga (loga x) = 1 (d) xloga x = a 61. Risolvere l’equazione 2x + 2−x = 10 3 . 62. Risolvere l’equazione 5x · 31−x = 10. 63. Risolvere l’equazione 2x · 32x = 2. 5x · 72x 64. Esercizio svolto Risolvere in R le seguenti disequazioni logaritmiche: (a) log5 x + log5 (x − 2) ≤ log5 (2x − 3) (b) log 1 (x + 2) − log 1 (x − 3) ≤ −1 2 2 Svolgimento (a) Occorre anzitutto trovare l’insieme di definizione delle funzioni logaritmiche che compaiono nella disequazione: >0 x x−2 >0 2x − 3 > 0 Questo sistema è equivalente alla condizione x > 2. Si opera sui membri della disequazione in modo che si pervenga ad una disequazione fra due logaritmi: log5 x · (x − 2) ≤ log5 (2x − 3) Poiché la funzione x → log5 x è crescente, la disequazione appena scritta implica che: x · (x − 2) ≤ (2x − 3) da cui, sviluppando i calcoli: x2 − 4x + 3 ≤ 0 La soluzione di questa disequazione si ha per 1 ≤ x ≤ 3. Confrontando questo risultato con l’intervallo di esistenza trovato all’inizio del nostro ragionamento, troviamo la soluzione della disequazione: 2 < x ≤ 3. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 232 (b) Anche in questo caso si cerca l’insieme di definizione delle funzioni logaritmiche che compaiono nella disequazione: x+2 >0 x−3 >0 da cui si ricava x > 3. Anche in questo caso è utile riportarsi ad una disequazione fra due logaritmi, e per fare questo si può scrivere il numero −1 come log 1 2 2 x+2 ≤ log 1 2 log 1 2 2 x−3 La base del logaritmo è minore di 1, quindi la funzione è decrescente, per cui si avrà: x+2 ≥2 x−3 Questa disequazione ha come soluzione x ≤ 8. Ricordando le condizioni di esistenza iniziali, troviamo la soluzione: 3<x≤8 . 65. Risolvere in R le seguenti disequazioni: (a) log 1 (2x − 3) ≤ 0 2 (b) log2 (x2 − 4) ≤ 2 (c) 2 log4 x ≥ log2 (x − 3) − 2 (d) 1 ≤ log 1 |9 − x2 | 3 (e) log10 x − logx 10 ≥ 2 66. Risolvere in R le seguenti disequazioni logaritmiche, in cui a è un parametro reale positivo: √ (a) loga loga x − 2 > 0 (b) loga |x2 − a| > 1 (c) 2(loga x − 1) > loga x 67. Esercizio svolto Risolvere in R la seguente equazione esponenziale: 10x + 2x ≤ 5 + 5x+1 Svolgimento Considerando che 10x = 2x · 5x e che 5x+1 = 5 · 5x , si può riscrivere la disequazione: 2x · 5x + 2x ≤ 5 + 5 · 5x 2x (5x + 1) ≤ 5(5x + 1) da cui: (2x − 5) · (5x + 1) ≤ 0 Il fattore (5x + 1) è sempre positivo, per cui il primo membro della disequazione risulta negativo se e solo se (2x − 5) ≤ 0, cioè se 2x ≤ 5, che equivale a x ≤ log2 5. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 233 68. Risolvere in R le seguenti equazioni esponenziali: (a) 3x+1 > 3x+2 + 3x − 9 22x−1 2x+3 (b) x−1 − x >5 2 −3 2 −6 (c) 42x + 3 · 8x − 5 · 22x+1 < 0 11 · 3x+1 (d) 9x + 28 > 3 69. Dimostrare che log 1 a 1 = loga b. b 70. Dimostrare per induzione che ∀n ∈ N: log an = n log a 71. Tracciare il grafico della funzione x → log2 x e, a partire da esso, tracciare il grafico delle funzioni x → log2 (x − 1), x → log2 x − 1, x → 2 log2 x, x → log2 x2 , x → | log2 x|, x → log2 |x|. 72. Sia an una progressione geometrica a termini positivi; sia bn = log an . Dimostrare che bn è una progressione aritmetica. 73. Giocando a dadi è più probabile ottenere almeno una volta 1 con 4 lanci di un solo dado, oppure almeno un doppio 1 con 24 lanci di due dadi? 74. Un tiratore spara ripetutamente ad un bersaglio; la probabilità di colpirlo è di 0, 3 per ciascun tiro. Quanti tiri deve fare per avere probabilità ≥ 0, 99 di colpirlo almeno una volta? 75. Si consideri l’algoritmo di bisezione per il calcolo delle radici di una funzione (pag.123). Quante bisezioni occorre fare, a partire da un intervallo di ampiezza 1, per trovare una radice a meno di 10−k ? 76. Si sa che una grandezza fisica y dipende da un’altra x secondo una legge del tipo y = kxα dove k ed α sono costanti incognite. Una misura simultanea di x ed y, eseguita in due diverse situazioni, ha dato i risultati riportati nella tabella seguente: x y 2 3,25 3 5,81 Calcolare k ed α. 77. Esercizio svolto La luminosità apparente di una stella osservabile dalla Terra dipende dalla sua luminosità intrinseca e dalla sua distanza dalla Terra. Nel secondo secolo avanti Cristo, Ipparco di Nicea definì di prima magnitudine le stelle più brillanti e di sesta magnitudine quelle appena visibili ad occhio nudo. Alla fine del 1800, partendo dalla classificazione di Ipparco, si volle definire una scala di magnitudini apparenti, secondo la quale la magnitudine apparente di una stella è legata alla sua intensità apparente nel seguente modo: l’intensità luminosa apparente di una stella di magnitudine M è k volte l’intensità luminosa apparente di una stella di magnitudine M + 1, inoltre l’intensità luminosa apparente di una stella di magnitudine 1 è 100 volte quella di una stella di magnitudine 6. (a) che relazione lega fra loro la magnitudine e l’intensità luminosa apparenti di una stella? CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 234 (b) qual è l’intensità luminosa che si percepisce da una stella di magnitudine 3, rispetto all’intensità luminosa di una stella di magnitudine 1? (c) che magnitudine ha una stella di intensità 50 volte maggiore dell’intensità di una stella di magnitudine 1? Svolgimento (a) Sia i1 l’intensità luminosa associata alle stelle più difficilmente visibili ad occhio nudo, cioè alle stelle di magnitudine 6. Se i2 è l’intensità di una stella di magnitudine 5, deve sussistere la relazione i2 = ki1 . Se poi si considera una stella di magnitudine 4 ed è i3 la sua intensità, deve valere: i3 = ki2 = k 2 i1 . In questo modo si ottiene per una stella di magnitudine 1 e di intensità i6 : i6 = ki5 = k 2 i4 = k 3 i3 = k 4 i2 = k 5 i1 √ Ma i6 = 100i1 , quindi k 5 i1 = 100i1√, da cui si ricava k = 5 100 ' 2, 512. √ √ 5 5 Si avrà, quindi, i2 = 5 100i1 , i3 = 1002 i1 , i4 = 1003 i1 . . . e, passando ai logaritmi: logk i2 = logk k · i1 = logk k + logk i1 = 1 + logk i1 logk i3 = logk k 2 · i1 = logk k 2 + logk i1 = 2 + logk i1 logk i4 = logk k 3 · i1 = logk k 3 + logk i1 = 3 + logk i1 e così via. Da queste relazioni si ricava logk in − logk i1 = logk iin1 = n. Sapendo che ad n = 1 corrisponde una magnitudine M = 6, ad n = 2 una magnitudine 5 e così via, la legge cercata sarà: M = 6 − logk (b) Se M = 3, per trovare il rapporto in i1 i3 basta sostituire nella formula trovata ad M il valore 3: i1 i3 3 = 6 − logk i1 logk i3 =3 i1 √ i3 5 = k 3 = 1003 ' 15, 85 i1 per cui sarà i3 ' 15, 85 · i1 . (c) Se una stella è tale che la sua intensità apparente è 50 volte i1 , si ha: M = 6 − logk 50i1 log 50 log 50 √ =6− =6− ' 1, 75 i1 log k log 5 100 78. Se la magnitudine di Sirio è −1, 6 e la magnitudine del Sole −26, 8, che rapporto c’è fra le intensità luminose apparenti dei due astri? 79. Nella costellazione dei Pesci c’è una stella doppia, la Zeta, formata da due stelle, una di magnitudine 5,6 e l’altra di magnitudine 6,5. Poiché sono molto vicine, appaiono come un’unica stella. Di quale magnitudo? CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 235 Esercizi paragrafo 4.4 80. Quante cifre ha il numero 760 nella rappresentazione decimale? 81. ** Qual è la cifra di ordine massimo nella rappresentazione decimale di 760 ? Qual è la cifra delle unità ? 82. * Riprendere il seguente esercizio già risolto: dimostrare che fra due potenze consecutive di 5 sono comprese una o due potenze di 3. Suggerimento Impostare alcune opportune disequazioni ed applicare il logaritmo. 83. Un pozzo di petrolio pompa da un giacimento che contiene 100 milioni di barili di petrolio. Si constata che ogni anno si estrae dal pozzo il 10% del petrolio rimasto dall’anno precedente. Non si riesce a pompare più il combustibile una volta che questo si riduca a 500 barili. Tra quanti anni il pozzo sarà inutilizzabile? 84. Calcolare il valore dell’espressione: log10 (tg5◦ ) + log10 (tg10◦ ) + log10 (tg15◦ ) + log10 (tg20◦ ) + . . . + log10 (tg85◦ ) 85. Dato il numero reale s > 0, s 6= 1 risolvere la seguente equazione: log 1 logs x > logs logs x s 86. Risolvere in R l’equazione: 1000x = 1000logx 1001 1001 87. Tracciare il grafico y = log10 x, e, basandosi su questo, il grafico delle funzioni x → log 1 x e x → log10 10 1 x 88. Sia an la successione il cui termine generale è definito nel modo seguente: 1 1 1 1 an = (1 + ) · (1 + ) · (1 + ) · · · · · (1 + ) 1 2 3 n (a) esprimere an in modo più semplice, operando algebricamente sui fattori; (b) a partire da quanto trovato nel punto a), esprimere il valore della somma: 1 1 1 1 bn = log(1 + ) + log(1 + ) + log(1 + ) + · · · + log(1 + ) 1 2 3 n 89. Data la funzione: f : x → log(−2x2 + 4x + 6) (a) trovarne il campo di esistenza; (b) trovare per quale valore di x la funzione assume valore massimo; (c) si può affermare che f assume un valore minimo? (d) trovare per quali valori di x la funzione assume valori positivi; (e) la f ha caratteristiche di simmetria? (f) la f è invertibile? (g) tracciare un grafico approssimativo di f . 90. Data la funzione f : x → x2 − x − log x: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 236 (a) trovare lim f (x); x→0 (b) trovare lim f (x); x→+∞ (c) dimostrare che esistono due valori dell’ascissa per i quali la funzione si annulla. Calcolare tali valori con la precisione di due cifre significative. Esercizi paragrafo 4.5 91. Calcolare il valore delle seguenti espressioni: a) ln e−1 b) ln √ 7 1 √ 5 3 e 2 c) ln (e5 )e0,4 d)e5 ln 3 92. Esercizio svolto Risolvere in R le seguenti equazioni: (a) e2x + ex = 2 (b) ln x3 = 1 − ln x (c) 2 ln x − 5 = 3 ln x Svolgimento (a) e2x + ex = 2 Ponendo ex = t, l’equazione diventa t2 + t − 2 = 0, che si risolve nel modo consueto: ∆=1+8=9 t= −1 ± 3 2 da cui t = 1 o t = −2. Considerando che t = ex , si ha 1 = ex e quindi x = 0. Il secondo valore di t invece non corrisponde ad alcuna soluzione reale dell’equazione, perché non esiste alcun valore reale di x tale che ex = −2. L’unica soluzione dell’equazione è, quindi, x = 0. (b) ln x3 = 1 − ln x Occorre anzitutto porre la condizione di esistenza del logaritmo: x > 0. Possiamo scrivere ln x3 come 3 ln x, quindi l’equazione diventa: 3 ln x = 1 − ln x 4 ln x = 1 ln x = 1 x = e4 = 1 4 √ 4 e √ 4 L’equazione è verificata per x = e. (c) 2 ln x − 5 = ln3x Perché le espressioni scritte abbiano senso occorre che sia x > 0 e ln x 6= 0, cioè x 6= 1. Fatte queste premesse, si può passare a trasformare l’equazione, moltiplicandone i due membri per ln x: 2 ln2 x − 5 ln x = 3 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 237 2 ln2 x − 5 ln x − 3 = 0 Ponendo ln x = t, si ha: 2t2 − 5t − 3 = 0 E con semplici calcoli si ottengono due valori di t: t1 = 3 e t2 = − 21 cui corrispondono i 1 valori x1 = e3 e x2 = e− 2 = √1e . Ambedue queste soluzioni sono compatibili con le condizioni poste inizialmente. 93. Risolvere in R le seguenti equazioni: a)e2x = 12 d)esin x = e b)ex = 2e 2 1 e)ex = e2x c)e3x−1 = 5 f ) 41 = e1−2x 94. Risolvere in R le seguenti equazioni: a) ln x = 1 d) ln x = −1 g) ln x = 0 b) ln 5 + ln(x − 1) = ln(x2 − 1) e) (3 ln x)2 − 12 ln x + 4 = 0 h) ln(x + 2) + ln(x + 3) = ln(4 − x) c) 2 ln x2 = ln x + 1 f ) ln(x − 2) = 1 i) ln(x + 2) − ln x = 3 95. Dimostrare che valgono i seguenti limiti: lim ln x = +∞ x→+∞ lim ln x = −∞ x→0+ 96. Calcolare i seguenti limiti: x2 + x + 3 a) lim ln x→+∞ x2 − 1 1 d) lim ln x→−∞ ln(1 − x) 25 − x2 b) lim ln 2 x→5 x +1 e) lim ln x − e−x x→1 c) lim ln x→2− x−4 x−2 f ) limπ ln(sin x) x→ 2 97. Data la funzione: f :x→ ex + e−x ex − e−x (a) studiarne il campo di esistenza e il segno; (b) dimostrare che è una funzione dispari; 1 + e−2x (c) dimostrare che f (x) = ; utilizzando questa uguaglianza calcolare i limiti della funzione a 1 − e−2x +∞ e a −∞; (d) mostrare che la funzione è decrescente per x > 0. 98. Tracciare il grafico della funzione f : x → x2 − 10x + 24 e da esso dedurre il grafico della funzione g : x → log2 f (x). 99. In una certa massa di materiale radioattivo siano presenti n0 nuclei al tempo t0 : il numero dei nuclei n(t) presenti al tempo t si esprime mediante la seguente legge: n(t) = n0 e−αt dove α è una costante tipica della sostanza in questione. Se per una certa sostanza la costante di decadimento radioattivo α vale 10−3 1s , quanto tempo è necessario 1 perché la massa non ancora decaduta sia 10 della massa iniziale? CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 238 1 100. La costante di decadimento del protoattinio (Pa 233) è 0, 2567 giorno (a) qual è il tempo di dimezzamento del protoattinio? (b) che percentuale di una certa massa di protoattinio decade in un tempo pari a cinque tempi di dimezzamento? (c) che percentuale di una certa massa di protoattinio decade in una settimana? 101. Supponiamo che un contatore Geiger posto accanto ad una roccia produca 3000 ticchettii al minuto (un ticchettio significa il passaggio di una particella, quindi un decadimento), e dopo 48 ore produca 1000 ticchettii al minuto. (a) qual è la costante di decadimento del materiale radioattivo presente nella roccia? (b) dopo quanto tempo dall’inizio dell’osservazione il contatore segna 2000 ticchettii al minuto? 102. Il carbonio 14 (14 C) è un isotopo radioattivo del carbone presente in piccola percentuale nell’aria. Le piante lo possono assorbire mediante la fotosintesi clorofilliana; i vari passaggi della catena alimentare permettono di trovarlo anche nelle cellule animali. L’assunzione di 14 C, unitamente al 12 C che non è radioattivo, dura fino a quando l’organismo è in vita. Al momento della morte, il 14 C comincia a decadere (il tempo di dimezzamento è 5730 anni). Confrontando il numero di decadimenti per unità di tempo con quelli che avrebbero luogo in un organismo vivente si può risalire al tempo in cui l’organismo ha cessato di vivere, e quindi datare reperti archeologici, fossili, oggetti antichi. . . Supponendo che il 14 C contenuto in un frammento osseo umano di massa 2 g trovato in uno scavo archeologico abbia un’attività di 22 decadimenti al minuto, (mentre l’osso di un uomo vivente produce mediamente 15 decadimenti al minuto per grammo), qual è l’età del frammento osseo? 103. Le cellule tumorali in un organismo possono essere sterilizzate mediante terapie radiologiche, in modo da evitare che moltiplicandosi danneggino altre cellule sane. La zona malata viene trattata con dosi di radiazione ionizzante (D), misurate in gray (un’esposizione di un gray corrisponde ad una radiazione che deposita 1J per kg di materia). Un modello matematico della risposta cellulare alla radiazione afferma che la percentuale di cellule sopravvissute al trattamento è: s(D) = e−αD−βD 2 dove α e β sono coefficienti positivi. (a) qual è il valore massimo assunto dalla funzione s(D)? quale valore di D corrisponde a tale valore? (b) per quali valori di D ci si può aspettare che sopravvivano meno del 10% delle cellule irradiate? 104. Prescindendo dal modello introdotto nell’esercizio precedente, si può studiare una funzione: 2 f : x → e−αx−βx dove α e β non sono necessariamente positivi. (a) ponendo α = 2, per quali valori di β la f ha un massimo? (b) se α = 2 e β = −3, qual è lim f (x)? x→+∞ (c) in corrispondenza dei valori di α e β fissati al punto precedente, per quali valori di x la f supera il valore 100? (d) qual è il valore minimo assunto dalla funzione? (e) tracciare un grafico approssimativo della funzione. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 239 105. Un circuito elettrico molto semplice è formato da un condensatore C e da una resistenza R collegati da filo elettrico. Nel circuito è presente anche un interruttore. Inizialmente il condensatore è carico e fra le sue armature vi è una differenza di potenziale V0 . Chiudendo l’interruttore, la carica inizia a fluire da un’armatura all’altra attraverso la resistenza e il condensatore si scarica. La dipendenza della differenza di potenziale fra le armatura in funzione del tempo si può esprimere mediante la seguente legge esponenziale: t V (t) = V0 e− RC (dove, se V è misurato in volt, R in ohm e C in farad, t sarà espresso in secondi) 1 1 1 1 (a) trovare gli intervalli di tempo per cui la differenza di potenziale fra le armature diventa , , , 2 4 8 16 di quella iniziale. (b) qual è lim V (t)? t→+∞ 106. In un circuito come quello dell’esercizio precedente la relazione fra la differenza di potenziale V (t) che si stabilisce fra le armature del condensatore e l’intensità di corrente i(t) che attraversa il circuito è data dalla legge di Ohm: V (t) = Ri(t) (a) quanto tempo occorre affinché l’intensità di corrente si riduca di un fattore 10 rispetto all’istante in cui viene chiuso il circuito? (b) la durata dell’intervallo cambia se si sostituisce la resistenza R con una resistenza tore di capacità C con uno di capacità 2C? R 2 e il condensa- 107. Un silos contiene, al tempo t0 = 0, 1000 litri di un certo liquido, che fuoriesce da un foro praticato sulla sua base inferiore. La quantità di liquido presente nel silos in funzione del tempo è: q(t) = q0 e−0,096t (q è misurato in litri e t in minuti). Non appena la quantità di liquido scende sotto il livello di 100 litri si provvede a riempire nuovamente il silos, versandoci altri 1000 litri di liquido (si può pensare che questo riempimento avvenga in modo istantaneo). (a) in quale istante avviene il primo rabbocco del silos? (b) quanto tempo intercorre tra questo rabbocco e quello successivo? (c) si può affermare che q(t) sia una funzione periodica nell’intervallo [0, +∞)? 108. Un capitale di 1000 Euro è depositato in banca ad un tasso di interesse annuale del 2%. (a) se non viene fatta alcuna ricapitalizzazione nel corso dell’anno, qual è il montante alla fine dell’anno? (b) se viene effettuata una ricapitalizzazione trimestrale ad un tasso dello 0, 5% (pari ad un quarto del tasso annuale esaminato nel punto precedente) qual è il montante alla fine dell’anno? 109. Calcolare il montante di 2000 Euro al tasso di interesse annuo del 2% dopo 10 anni, dopo 15 anni e dopo 20 anni. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 240 110. Esercizio svolto Un capitale C0 è prestato ad una banca in regime di capitalizzazione composta; come abbiamo visto, la crescita del montante segue un andamento esponenziale: m(t) = C0 eαt . Quale deve essere la costante α affinché il tasso di interesse annuo sia i? Qual è la legge che esprime in funzione del tempo gli interessi maturati? Svolgimento Se l’interesse annuo è i, dopo un anno il montante dovrà essere C0 + C0 i = C0 (1 + i). Quindi m(1) = C0 eα = C0 (1 + i), da cui si ricava eα = (1 + i) e α = ln(1 + i). Il valore del montante nel tempo è descritto dalla seguente funzione: m(t) = C0 eln(1+i)t = C0 (1 + i)t L’interesse è dato dalla differenza fra montante e capitale: m(t) = C0 (1 + i)t − C0 = C0 (1 + i)t − 1 111. Un capitale di 10000 Euro viene depositato ad un interesse annuale del 3%. Calcolare gli interessi maturati, sia in regime di capitalizzazione semplice che composta: (a) dopo 4 mesi; (b) dopo 6 mesi; (c) dopo un anno; (d) dopo un anno e mezzo; (e) dopo 2 anni. In alcuni casi la capitalizzazione semplice dà interessi superiori alla capitalizzazione composta, in altri casi è il contrario. Fare un’ipotesi sul motivo di questo fatto. 112. Le banche A e B garantiscono che se oggi depositi un capitale C fra un anno avrai un montante C 0 = 1, 03 C. La banca A pratica la capitalizzazione semplice, la banca B la capitalizzazione composta. Ho un capitale C da mettere a frutto, e vorrei ottenere l’interesse più alto possibile. A quale banca mi conviene rivolgermi se: (a) penso di ritirare il mio capitale con gli interessi fra sei mesi; (b) penso di ritirare il mio capitale con gli interessi fra tre anni. Suggerimento E’ utile, per risolvere questo problema, una rappresentazione grafica. 113. In quanti anni un capitale investito al tasso di interesse composto annuale i si raddoppia? La risposta dipende dall’ammontare del capitale investito? 114. Un capitale è investito al tasso semestrale dell’ 1%. Qual è il tasso annuale corrispondente? 115. A quale tasso di interesse occorre investire una somma di 10000 Euro perché in 12 anni dia luogo ad un montante di 20000 Euro? 116. Una somma x di denaro viene depositata in banca ad un tasso di interesse annuo a; il tasso di inflazione annuo, però, è b. Valutare quale delle due seguenti espressioni fornisce il valore reale del denaro disponibile alla fine dell’anno: x · (1 + a − b) x· 1+a 1+b CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 241 117. Esercizio svolto Una banca pratica un interesse annuale i. Oggi deposito una somma C0 che fra n anni avrà valore C. Quanto vale C0 ? Svolgimento Il valore C0 viene detto valore attuale della somma che ha montante o valore futuro C in n anni. In regime di capitalizzazione composta, il valore di una somma C0 in n anni è: C = C0 · (1 + i)n da cui si ricava che: C0 = C(1 + i)−n 118. Un capitale C investito al tasso del 2% annuale deve rendere fra 5 anni un montante di 7000 Euro. Qual è il valore attuale di questo capitale? 119. Esercizio svolto Il mutuo è una forma di prestito di denaro a lungo termine. Quando una persona accende (si dice così) un mutuo presso un istituto di credito, riceve in prestito un capitale C e si impegna a restituirlo in n rate, versate con scadenza periodica, di uguale importo. Qual è l’ammontare di ogni rata? Svolgimento L’ammontare delle rate si calcola considerando che la somma delle rate via via versate, ridotte al valore attuale, deve uguagliare l’importo C del mutuo. Si ha, dunque, indicando con r l’ammontare di ogni rata: r(1 + i)−1 + r(1 + i)−2 + r(1 + i)−3 + . . . + r(1 + i)−n = C I singoli addendi di questa somma rappresentano il valore attuale delle rate versate, rispettivamente, dopo il primo, il secondo.. l’n-esimo anno. Ci troviamo di fronte al problema, già incontrato nel primo capitolo, di sommare i termini di una progressione geometrica. Ponendo d = (1 + i)−1 , il primo membro dell’equazione scritta sopra si può esprimere così: r(d + d2 + d3 + . . . + dn ) = rd(1 + d + d2 + . . . + dn−1 ) = 1 − dn 1 − (1 + i)−n 1 − (1 + i)−n rd =r = r 1−d (1 + i) · (1 − (1 + i)−1 ) i Uguagliando questo ultimo termine a C si ottiene: r= iC 1 − (1 + i)−n Ad esempio, per C = 10000, n = 10 e i = 4% annuo, si ha: r= 0, 04 · 10000 ' 1233 1 − 1, 04)−10 Dunque per ogni 10000 Euro presi a prestito, la rata annuale è di 1233 Euro. 120. Un mutuo di 9000 Euro viene rimborsato in 12 rate annuali di uguale importo alla fine di ogni anno. Il tasso di interesse è del 3, 8%. Qual è l’importo di ogni rata? 121. Una banca concede ad un cliente un mutuo della durata massima di 15 anni, con il tasso di interesse annuo del 3, 2%. Il cliente è in grado di pagare rate annuali per un importo massimo di 1200 Euro all’anno. Quale è la somma massima che il cliente può ricevere in prestito dalla banca? CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 242 122. Qual è il numero minimo di anni in cui si potrà estinguere un mutuo di x Euro al tasso di interesse annuale i, potendo versare rate annuali di importo non superiore ad a? 123. * Un commerciante ha contratto con una banca un mutuo di 30000 Euro da rimborsare in 15 rate annuali, al tasso di interesse del 4%. Dopo 10 anni, però, vuole liberarsi con un solo versamento del suo debito. Quanto deve versare? 124. Dimostrare che la funzione i → i (dove è i ≥ 0, ed n è un intero positivo fissato) è 1 − (1 + i)−n crescente. 125. * Dimostrare che, se C, n, r e i hanno il significato che è stato loro dato nei precedenti esercizi, si ha: nr(1 + i)−1 > C nr(1 + i)−n < C (per i > 0, n > 1) Che significato intuitivo hanno queste disuguaglianze? 126. Esercizio svolto Conoscendo la durata di un mutuo (n anni) e l’ammontare r delle rate annuali, fare approssimativamente il calcolo del tasso di interesse. (Le disuguaglianze trovate nel precedente esercizio forniranno un primo intervallo in cui cercare l’incognita i). Svolgimento Abbiamo già dimostrato che la rata annuale di un mutuo si può esprimere nel modo seguente: r= Ci 1 − (1 + i)−n doce C è il capitale prestato, i il tasso di interesse e n il numero di anni necessari ad estinguere il mutuo. Supponendo di conoscere C, n e r, si vuole trovare i. i In un esercizio precedente abbiamo visto che la funzione i → 1−(1+i) −n è crescente; si osserva inoltre che è una funzione continua. Essendo, come abbiamo già osservato: Ci C = −n −1 −2 1 − (1 + i) (1 + i) + (1 + i) + (1 + i)−3 + . . . + (1 + i)−n C Ci Ci = , mentre lim = +∞. −n i→+∞ 1 − (1 + i) n 1 − (1 + i)−n C Ci La funzione i → 1−(1+i) −n ha come codominio l’intervallo ( n , +∞) ed è continua e crescente, risulta lim i→0 quindi è invertibile. Se r > C n, esiste un unico valore di i per cui Ci 1−(1+i)−n = r. Ci 1−(1+i)−n −r mediante l’algoritmo di bisezione, p nr considerando che, per quanto ricavato nell’esercizio precedente, deve essere n nr C −1 < i < C −1. Per calcolarlo, basta cercare lo zero della funzione 127. Un mutuo di 20000 Euro viene rimborsato in 10 rate annuali dell’importo di 2400 Euro. Qual è il tasso di interesse praticato dall’istituto di credito che eroga il mutuo? Esercizi paragrafo 4.6 128. Esercizio svolto Dimostrare che lim n→∞ (a) lim n→∞ k 1− n 1+ n = k n 1 ek n = ek e dedurne che: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI (b) lim n→∞ 1 1+ 2n Svolgimento n = √ e L’espressione 1 + k n n 1+ biamo calcolare è lim n→∞ La successione 1+ 1 x 243 1 1 si può scrivere come 1+ 1 n k n !k k . Quindi quello che dob- n !k k . n k n n k k converge a e. Infatti, come abbiamo dimostrato nel teorema 34, la funzione 1 + x ha come limite e, quindi in corrispondenza diun arbitrario valore positivo di 1 x esiste un numero reale x tale che per ogni x > x si abbia 1 + x − e < . n il primo intero tale che n > kx. Per n > n si può essere certi che nk > x e quindi Sia n n 1 k 1 k < . Questo significa che 1 + 1 + − e tende al valore e per n che tende a ∞. n n k k n 1 k k = e, Poiché la funzione x → x è continua, si può applicare il teorema 17: se lim 1 + n n→∞ k n !k 1 k 1+ n allora lim = ek e con ciò è conclusa la dimostrazione richiesta. n→∞ k (a) Il ragionamente è del tutto simile a quello appena fatto, solo che si opera la sostituzione − nk = t; 1 √ 1 1 n 1 2n 2 = 1 + 2n (b) si scrive 1 + 2n e si ottiene che il valore del limite è e 2 , cioè e. 129. Calcolare il limite delle seguenti successioni: 2 n a) lim 1 + n→∞ n 3 n d) lim 1 − n→∞ n 1 1 n c) lim 1 + n→∞ n 1 1−n f ) lim 1 + n→∞ n 1 2n b) lim 1 + n→∞ n 1 sin nπ e) lim 1 + n→∞ n 130. Calcolare il limite delle seguenti successioni: n3 + 4n2 − 3 b) lim log0,5 n→∞ n2 " n+2 # n−2 d) lim ln n→∞ n+2 p f ) lim log( 4n2 − 3n + 1 − 2n + 1) 2 a) lim ln(n + 1) n→∞ log n c) lim log n→∞ n 1 e) lim log 1 √ √ 2 n→∞ n+1− n n→∞ 131. Dimostrare che: ex − 1 =1 x→0 x lim 132. Calcolare il valore dei seguenti limiti, ricorrendo, se necessario, ad opportune sostituzioni: CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI a) lim 1+ x→+∞ 1 x 244 x2 1 x x→+∞ x2 4−x x d) lim x→+∞ 6 − x ln(1 + 3x) f ) lim x→0 x 1+ b) lim x2 +3 x 1 c) lim 1+ x→+∞ x ln(x + 10) − ln x e) lim x→0 x 1 x 3−x g) lim x→3 3 1 − e−x i) lim x→0 x 1 h) lim x(e x − 1) x→+∞ √ l) lim e x→0 x −1 x 133. Confrontare il valore di e fornito dalla calcolatrice con quello che si può ottenere dalla formula 1 + sostituendo ad n valori positivi sempre più grandi (ad esempio 100, 1000, 106 ). 1 n n 134. Esercizio svolto Dimostrare la seguente uguaglianza, dovuta a Leonhard Euler: 1 1 1 + + + ... 1! 2! 3! 1 n Svolgimento Sviluppiamo l’espressione 1 + come in 4.12 di pagina 212. n Facciamo tendere n a +∞ e osserviamo il k-esimo termine dello sviluppo, che corrisponde al1 , tende a 1 (infatti le l’equazione 4.11: vediamo che ciascuno dei fattori del prodotto, escluso k! k−1 1 2 frazioni n , n , . . . , n tendono a 0 al crescere di n). Quindi di ogni addendo della somma si ’salva’ 1 solo k! e possiamo scrivere: e=1+ lim n→∞ Poiché lim n→∞ 1+ 1 n 1+ 1 n n =1+ 1 1 1 + + + ... 1! 2! 3! n = e l’enunciato del teorema è dimostrato. 135. Esercizio svolto Dimostrare che il numero e è irrazionale. Svolgimento Questo teorema si può dimostrare per assurdo. Se e fosse razionale, si potrebbe scrivere e = ab , con a e b interi; poiché 2 < e < 3 deve essere b > 1. Per quanto visto nell’esercizio precedente, si può scrivere: e=1+ 1 1 1 + + + ... 1! 2! 3! quindi: a 1 1 1 = 1 + + + + ... b 1! 2! 3! Moltiplicando ambo i membri dell’equazione scritta sopra per b! si ottiene: a · (b − 1)! = b! + b! + b! b! b! b! b! b! + + ... + + + + + .... 2! 3! (b − 1)! b! (b + 1)! (b + 2)! Il termine a primo membro è un intero, così come sono interi i primi b + 1 addendi a secondo membro. La ’coda’ della sommatoria, nonostante sia formata da infiniti addendi, non riesce a CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 245 1 b+1 ; poiché per ipotesi b > 1, 1 1 1 b! b+1 < 2 , in modo analogo si può mostrare che (b+2)! < 4 e che, in generale, ’coda’ della sommatoria, quindi, risulta minore di 21 + 14 + 18 + . . ., cioè di 1. formare un numero intero: consideriamo infatti la frazione sarà b + 1 > 2 e b! (b+1)! = 1 < 2k+1 . La Si perviene perciò ad un asssurdo (un numero intero dovrebbe essere espresso come somma di un intero e di un numero non intero). Questo assurdo deriva dall’aver supposto che e sia un numero razionale. b! (b+k)! Esercizi paragrafo 4.7 136. Esercizio svolto In una corda vibrante fissa alle due estremità la distanza fra i due punti fissi è pari a metà della lunghezza dell’onda che produce quando viene eccitata. A sua volta la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla frequenza del suono. In una chitarra vengono misurate le lunghezze dei tratti di corda fra il ponticello e il punto in cui il chitarrista tocca la corda (circa a metà del tasto). Si misurano le seguenti lunghezze, in cm: 62, 6 59, 1 56, 0 52, 9 49, 7 47, 0 44, 4 41, 8 39, 4 37, 3 35, 1 33, 3 31, 4 29, 6 27, 8 26, 3 24, 7 23, 4 33, 1 I tasti della chitarra sono posizionati in modo che fra l’uno e l’altro intercorra un semitono? Svolgimento Affinché fra un tasto √ e il tasto adiacente vi sia un semitono occorre che il rapporto fra le 12 frequenze dei due suoi sia 2: √ f2 12 = 2 f1 con f2 > f1 Indicando con λ la lunghezza d’onda del suono, poiché vale la relazione λ · f = costante, si avrà λ1 f2 = . Nella corda con due estremi fissi λ = 2d, avendo indicato con d λ1 · f1 = λ2 · f2 , da cui f1 λ2 la distanza fra i punti fissi della corda, e quindi: λ1 d1 f2 = = f1 λ2 d2 Calcolando i rapporti fra un tratto di lunghezza di corda e il successivo si ottengono valori che con √ buona approssimazione corripondono a 12 2, quindi si può affermare che fra un tasto e l’altro vi è proprio un semitono. 137. La corda di una chitarra è lunga 62 cm e suona un la. Che nota si ottiene: (a) se si preme la corda esattamente a metà della lunghezza? (b) se si preme la corda a 10 cm dal capotasto? 138. Un maestro di violino per aiutare una giovane allieva attacca dei bollini adesivi sul manico dello strumento in corrispondenza dei punti su cui dovrà posizionare le dita per ottenere le varie note. La corda vuota fra ponticello e capotasto è lunga 33 cm e suona un re. A quali distanze dal capotasto deve mettere i bollini per suonare il re], il mi, il fa, il fa] e il sol? 139. Una sorgente sonora irradia onde acustiche la cui intensità è definita come il rapporto fra la potenza W emessa e la superficie su cui l’onda stessa si distribuisce. L’unità di misura dell’intensità sonora è m 2 (watt per metro quadro). W W Un suono appena udibile ha intensità di 10−12 m 2 , mentre un suono di intensità 1 m2 può provocare lesioni all’apparato uditivo. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 246 La gamma di intensità dei suoni si estende su parecchi ordini di grandezza, ed è perciò poco agevolmente rappresentabile. Si ricorre perciò ad una scala logaritmica, prendendo come riferimento il valore I0 = W 10−12 m 2 e definendo il livello di intensità sonora (misurato in bel) nel modo seguente: Ibel = log10 I I0 (a) a che intensità corrispondono i suoni di 0 bel, 1 bel, 2 bel, 10 bel? W (b) a quanti bel corrisponde un suono di 0, 1 m 2? 140. Un’unità di misura più ’fine’ del bel è il decibel (dB) pari a 0, 1 bel. Quale fra le seguenti relazioni non esprime correttamente la misura del livello di intensità sonora in decibel? I(dB) = log10 I I0 I(dB) = 10 log10 I I0 I(dB) = log10 I I0 10 141. Un’orchestra da camera suona un ’pianissimo’ a 50 dB, poi passa ad un ’fortissimo’ aumentando di 45 dB. Di quale fattore è variato il livello di intensità del suono emesso dall’orchestra? 142. In un coro 30 persone cantano ciascuna con un livello di intensità sonora di 70 dB. Qual è il livello di intensità sonora del coro nel suo insieme? 143. Un’orchestra da camera è formata da due violini, una viola, un violoncello, un flauto, un’oboe e un pianoforte. Il pianoforte raggiunge un livello di intensità sonora massimo di 100 dB, il flauto di 87 dB, tutti gli altri strumenti 92 dB ciascuno. (a) qual è il massimo livello di intensità sonora che possono raggiungere tutti insieme? (b) qual è il massimo livello di intensità sonora che si può raggiungere se suonano solo gli archi? 144. Il passaggio di un’automobile a 20 m di distanza corrisponde ad un livello di intensità sonora di 40 dB, quello di un autobus a 45 dB. Se le norme sull’inquinamento acustico prevedono che in prossimità di un edificio scolastico non si superi il livello di intensità sonora di 50 dB: (a) qual è il massimo numero di atomobili che possono transitare contemporaneamente? (b) è consentito che passino contemporaneamente 2 autobus e 5 automobili? 145. Trovare un’approssimazione razionale per il numero log2 43 (corrispondente all’intervallo di quarta) utilizzando il metodo esposto nel sottoparagrafo ’Una soluzione approssimata’. Soluzioni degli esercizi del capitolo 4 Paragrafo 4.1 2. Se b < 1 si ha a = 1 > 1; quindi x → ax è crescente; se ne deduce che x → bx è decrescente. b 3. Se è x 6= y, poiché la funzione x → bx è strettamente crescente, non può essere bx = by . 4. Una sola per l’iniettività della funzione x → 2x . 9 2 6. a) − 7. a) − 2 b)3 b) − 3 55 c) 27 d)2, −2 c)3 d) − 1 4 8. Basta elevare ambedue le espressioni alla potenza n-esima. 9. Esercizio analogo al precedente. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 10. Due soluzioni: x = 1 2 247 e x = −2. 11. Occorre provare che la funzione esponenziale assume solo valori positivi. 13. x1 = 0, x2 = 3. 15. a)x ≤ 4 b)x ≤ 0 c)x ≥ − 31 16. 51000 > 10500 ; infatti 51000 = 52·500 = 25500 > 10500 . 3 4 17. 4 4 < 3 3 . 19. No: 1 + 3 + 32 + . . . + 31000 = 31001 −1 3−1 = 31001 2 − 1 2 < 31001 . 20. n = 9 21. La risposta è C) 22. mtot = 1, 718 · 1015 kg mossigeno = 3, 78 · 1013 kg 23. a (b) Il rapporto è circa 0, 88. La relazione fra a e p è p(a) = 101300 · 0, 88 1000 (c) p(500m) = 95028 Pa p(5500m) = 50149 Pa (d) a = 5400 m Paragrafo 4.2 26. Sono tutte crescenti, tranne a). 27. x > y 28. a < b 29. 0 < a < 1 y 2x+1 2 30. O x CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 248 y 2x + 1 2 x O y 2|x| 1 O x y 2−x 1 O 31. Basta riconoscere che b ne. x1 +x2 2 = √ x bx1 · bx2 e quindi elevare al quadrato ambo i membri della disequazio- 32. (C) 33. (D) 35. No 36. Se b = 1 le due equazioni sono identità verificate per tutti i valori di x; se b 6= 1, la prima equazione ha solo la soluzione x = 0 e la seconda x = 1. 37. x ' 4, 32 38. a)x = − 74 39. a)x = √ b)x = 1, x = −3 √ 5, x = − 5 b)x = 9 √ √ d)x = 2 + 2, x = 2 − 2 q q 3 c)x = 2 d)x = 2 , x = − 32 c)x = 1 2 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI √ 3 40. a)x = −1, x = − 32 41. (a) x = 3, y = 1 oppure x = 1, y = −1 (b) x = 0, y = 42. b)x = c)x = 2, x = 0 d)x = 0, x = 1 2 1 2 √ c) 3−6 21 ≤ x ≤ 13 b)x ≥ − 12 a)x ≥ − 35 4 249 √ 3+ 21 6 d)x < −1 44. 2000 anni fa c’erano 1, 27 · 1023 atomi di carbonio; fra 100 anni ce ne saranno 0, 988 · 1023 , fra 1000 0, 886 · 1023 e fra 105 anni 5, 58 · 1017 45. (a) Circa 2185 particelle; (b) 4135 particelle; (c) 3291 particelle; (d) 3 ore e 47 minuti. 46. Al primo conteggio ci sono 81 batteri. 47. * La percentuale di intensità luminosa in funzione dello spessore x del vetro è: 1 − 48. * p(t) = 1 2 t 800 7 x 10 . , dove t è misurato in ore. Paragrafo 4.3 c) − b) 32 c)12 a)3 50. a) − 51. a) − c 52. 1 2 b) − 2 49. 1 6 c b)c c) 1+c (a) f a1 = −1; d) 27 4 d) 15 d)c (b) 2 < f (x) < 3 se a3 < x < a2 ; (c) loga x1 > loga x2 perché la funzione è decrescente; (d) la funzione non ha valore minimo. p 53. Se log10 3 fosse razionale, si potrebbe scrivere log10 3 = pq , con p e q naturali, e quindi sarebbe 10 q = 3, cioè 10p = 3q , ma questo non è possibile. . . 54. Soluzione analoga a quella dell’esercizio precedente. 55. a)x < 1 d)x ≥ 1, se a > 1; 0 < x < 1, se a < 1 b)x < −1 o x > 3 e)x > 12 c) − 2 < x < 1 o x > 1 f )2kπ < x < (2k + 1)π 56. L’intervallo di esistenza della f è (−∞, −1) ∪ (1, +∞), quello della g è solo (1, +∞). 57. Basta usare la proprietà del cambiamento di base del logaritmo. √ a)x = 2 b)x = 2 + 5 c)x = 3 59. d)x = 35 , x = − 35 e)x = 1 f )x = 32 60. a)x = −3, x = 1 b)x = 5, x = 4 c)x = aa 61. x = log2 3 o x = − log2 3 62. x = log 10 − log 3 ' 2, 35. log 5 − log 3 63. x = log 2 ' −0, 2654. log 2 + 2 log 3 − log 5 − 2 log 7 d)x = a, x = 1 a CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 65. 250 (a) x ≥ 2 √ √ (b) −2 2, −2 ∪ 2, 2 2 (c) x > 3 q q q q 26 26 28 (d) − 28 ≤ x < −3 o −3 < x < − o < x < 3 o 3 < x < 3 3 3 3 (e) 101− 66. √ 2 < x < 1 o x > 101+ √ 2 (a) La disequazione è verificata per x > a2 + 2, se a > 1 e per 2 + a2 < x < 3, se 0 < a < 1; √ √ √ √ (b) la disequazione è verificata per x > 2a o x < − 2a, se a > 1 e per − 2a < x < 2a, x 6= √ √ a, x 6= − a, x 6= 0, se 0 < a < 1; (c) la disequazione è verificata per x > a2 , se a > 1 e per x < a2 se 0 < a < 1. 68. a)x < 2 − log3 7 b)x > log2 10 o log2 3 < x < log2 6 c)x < 1 d) log3 4 < x < log3 7 69. Basta applicare opportunamente le proprietà dei logaritmi. 70. Si verifica che l’uguaglianza vale per n = 0 (infatti log a0 = log 1 = 0 = 0 · log a). Supponendo vera l’ipotesi induttiva, si scrive log an+1 = log an · a = . . . y log2 x 1 x O 71. y log2 (x − 1) 2 x O y log2 x − 1 2 O x CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 251 y 2 log2 x 1 x O y log2 x2 1 x O y | log2 x| O x 1 y log2 |x| O 1 x 72. Se an è una progressione geometrica, si ha an+1 = kan , passando ai logaritmi (gli an sono positivi), si ha log an+1 = log kan = log k + log an . Si è ottenuta una progressione aritmetica di ragione log k. 73. È maggiore la probabilità di ottenere almeno una volta 1 in quattro lanci. 74. Se n è il numero di tiri, dovrà essere n ≥ 13. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 75. Il numero di bisezioni deve essere maggiore di 252 k log 2 . 76. α ' 1, 4327, k ' 1, 2039. 78. Il rapporto è 1, 2 × 1010 . 79. La magnitudo della stella doppia è 5, 2. Paragrafo 4.4 80. 51 cifre. 81. ** La cifra di ordine più alto è 5, quella di ordine più basso è 1. 82. * Ponendo 5k < 3m < 5k+1 e passando ai logaritmi in base 3, si ha: k log3 5 < m < log3 5 + k log3 5 Poiché 1 < log3 5 < 2, ci possono essere 1 o 2 interi fra k log3 5 e k log3 5 + log3 5, quindi vi possono essere una o due potenze di 3 fra 5k e 5k+1 . 83. Il pozzo sarà inutilizzabile fra 116 anni. 84. Il valore dell’espressione è 0. 85. Se 1 < x < s nel caso s > 1; 0 < x < s nel caso 0 < s < 1. 86. x1 = 1 1000 , x2 = 1001 y log10 x 1 x O 87. y O x 1 1 x log 10 CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 253 y O x 1 log10 1 x 88. an = n + 1, bn = log(n + 1) 89. (a) −1 < x < 3; (b) il massimo si ha per x = 1; (c) la funzione non ha minimo; √ (d) 1 − 14 2 √ <x<1+ 14 2 ; (e) vi è simmetria rispetto alla retta di equazione x = 1; (f) f non è invertibile. 90. (a) +∞; (b) +∞; (c) x = 1, x ' 0, 58. Paragrafo 4.5 b) − 3 5 91. a) − 1 93. a)x = − 12 ln 2 d)x = π2 + 2kπ, k ∈ Z 94. a)x = e 1 d)x = e g)x = 1 b)x = 4 √ 3 e)x = e2 h)x = −3 − c) − 12 7 d)243 c)x = ln 5+1 3 4 f )x = 1+ln 2 b)x = ln 2 + 1 e)x = 0, x = −2 c)x = √ 7, x = −3 + √ √ 3 e f )x = 2 + e 7 i)x = 2 e3 −1 95. Per dimostrare il primo limite, fissato K > 0, basta che sia x > eK ; per il secondo limite è δ = b) − ∞ c) + ∞ d) − ∞ e) − 1 e 96. a)0 97. (a) La funzione è sempre definita, tranne che per x = 0. È positiva per x > 0; (b) basta verificare che f (−x) = −f (x); (c) basta dividere numeratore e denominatore per ex . f )0 1 . ek CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 254 y x2 − 10x + 24 x O log2 (x2 − 10x + 24) 98. 99. 38 minuti e 22 secondi. 100. (a) Il tempo di dimezzamento è 2 giorni, 16 ore e 48 minuti. 31 (b) della massa iniziale; 32 (c) 83, 4%. 101. 1 (a) α = 0, 023 ora (b) dopo 17 ore e 42 minuti. 102. 2564 anni. 103. (a) Se si considera D ≥ 0 (D rappresenta il numero di dosi di radiazione), il massimo si ha per D = 0 (in questa situazione la percentuale di cellule sopravvissute è 1). Se invece non si pogono limitazioni a D, si ha: α2 α Dmax = − , smax = e 4β 2β p −α + α2 + 4β ln 10 (b) D > 2β 104. (a) f ha un massimo se β > 0; (b) f tende a +∞; (c) x > √ 1+ 1+3 ln 100 3 oppure x < √ 1− 1+3 ln 100 3 1 (d) il valore minimo assunto dalla funzione è e− 3 . 105. (a) Il tempo di dimezzamento è RC ln 2, quindi perché la differenza di potenziale diventi un quarto di quella iniziale occorre un tempo 2RC ln 2, perché diventi un ottavo 3RC ln 2 e cosí via. (b) 106. lim V (t) = 0. n→+∞ (a) t = RC ln 10 ' 2, 3RC. (b) la durata dell’intervallo non cambia. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 107. 255 (a) Il primo rabbocco avviene dopo circa 24 minuti; (b) il secondo rabbocco dopo circa 25 minuti; (c) la funzione non è periodica, perché il primo intervallo è più corto; lo diventa se la si considera dal secondo intervallo in poi. 108. (a) 1020 Euro; (b) 1020, 15 Euro. 109. C10 = 2438, C15 = 2692, C20 = 2972. 111. (a) 100 Euro, 99 Euro; (b) 150 Euro, 148, 9 Euro; (c) 300 Euro, 300 Euro; (d) 450 Euro, 453 Euro; (e) 600 Euro, 609 Euro. 112. Nel caso di un deposito di sei mesi conviene la banca A, nel caso di un deposito di tre anni la banca B. 113. t = ln 2 ln(1 + i) 114. Circa del 2%. 115. Circa 6 . 100 116. L’espressione corretta è x 1+a . 1+b 118. Il valore attuale è di circa 6340 Euro. 120. Circa 948 Euro. 121. Circa 14120 Euro. 122. Il numero minimo di anni è dato dall’intero naturale che approssima il numero log a−log(a−ix) . log(1+i) 123. * 14710 Euro. 124. Basta considerare che i 1−(1+i)−n = 1 . (1+i)−1 +(1+i)−2 +...+(1+i)−n 125. Basta considerare che C = r(1 + i)−1 + r(1 + i)−2 + . . . + r(1 + i)−n e sostituire questa espressione nella disequazione. 127. Il tasso di interesse è del 3, 46%. Paragrafo 4.6 128. a)e2 b)e2 129. a) + ∞ b) − ∞ c)1 d)e−3 c) − ∞ e)1 d) − 4 f )e−1 e) − ∞ f ) − log 4 bx − 1 = ln b, basta sostituire il numero e a b. x→0 x 130. Poiché lim a) + ∞ 131. f )3 b)1q g) 3 1e c)e d)e2 e) + ∞ h)1 i)1 l) + ∞ 132. Il valore fornito dalla calcolatrice è 2, 704813829, gli altri valori si trovano sostituendo a n il numero scelto. Si osserva che la convergenza della successione a e è molto lenta. CAPITOLO 4. FUNZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMI 256 Paragrafo 4.7 137. (a) la nota che si ottiene premendo la corda a metà della lunghezza è ancora un la (il la all’ottava superiore); (b) la nota che si ottiene premendo la corda a 10 cm dal capotasto è un do. 138. Le distanze dal capotasto sono, nell’ordine: dre] = 1, 9 cm, dmi = 3, 6 cm, df a = 5, 2 cm, df a] = 6, 8 cm, dsol = 8, 3 cm 139. W −11 W , 2 bel a 10−10 W , 10 bel a 10−2 W ; (a) 0 bel corrispondono a 10−12 m 2 , 1 bel 10 m2 m2 m2 (b) corrispondono a 11 bel. 140. La prima espressione definisce il bel, non il decibel. 141. Il livello sonoro è cresciuto di un fattore 104,5 pari a circa 31623. 142. Il livello di intensità sonora del coro è di circa 85 dB. 143. (a) Il massimo livello di intensità sonora dell’intera orchestra è di 102 dB; (b) il massimo livello di intensità sonora degli archi è di circa 98 dB. 144. (a) Il massimo numero di automobili che possono transitare contemporaneamente è 10; (b) non è consentito il transito di due autobus e cinque auto. Capitolo 5 La lunghezza di un cammino Obiettivi Obiettivo generale del capitolo è presentare il concetto di lunghezza di un cammino ed esaminare alcuni argomenti matematici riferiti a questa fondamentale nozione. Obiettivi specifici: • definire la lunghezza di un cammino come estremo superiore delle lunghezze delle poligonali inscritte nel cammino; • dimostrare che il cerchio è rettificabile, e definirne la lunghezza; • rivedere il concetto di misura angolare alla luce della nozione di lunghezza di un arco di cerchio; • dimostrare ed utilizzare la disuguaglianza sin α < α < tan α per α prossimo a 0; • esporre e confrontare metodi di calcolo numerico per la determinazione del numero π. 5.1 La lunghezza: definizione e prime proprietà L’idea di lunghezza di un cammino (ad esempio di un certo percorso stradale) è molto chiara per la nostra intuizione, ed è già stata usata più volte in ambito geometrico. Si tratta ora di formulare in modo preciso questa nozione, utilizzando gli strumenti che abbiamo recentemente introdotto, come l’operazione di estremo superiore e quella di limite. Nel terzo capitolo abbiamo chiamato cammino piano un’applicazione F di un intervallo della retta reale nel piano euclideo (che possiamo identificare con R2 , una volta introdotto il riferimento cartesiano). Qui considereremo solo il caso di un intervallo parametrico [a, b] limitato, cioè l’insieme dei t reali tali che a ≤ t ≤ b, dove a e b sono numeri reali fissati, e supporremo che il cammino sia continuo. P1 P2 B = P8 A = P0 P3 P7 P4 P5 t1 t2 t3 t4 t5 t0 = a t6 t7 tm = b 257 P6 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 258 Cominciamo con un’osservazione: l’intervallo parametrico, come sottoinsieme della retta reale, è ordinato. (Nell’interpretazione più ovvia l’intervallo parametrico ha il significato di un intervallo temporale: c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’..). Consideriamo un insieme di punti di [a, b]: t0 = a < t1 < t2 < ... < tm = b Ad essi corrispondono i punti sulla curva: P0 = A, P1 , P2 , .... , Pm = B dove abbiamo definito Pk = F (tk ). I punti A e B si dicono gli estremi del cammino. Questi punti rappresentano la posizione raggiunta nei vari istanti dall’oggetto di cui studiamo il moto; è importante notare che essi non sono dati ‘alla rinfusa’, ma in un certo ordine che è indotto dal parametro e che è rispecchiato dall’indice con cui sono contrassegnati. Ora costruiamo la poligonale (o spezzata) che ha come vertici P0 , P1 , ...., Pm ; una tale poligonale verrà detta inscritta nel cammino. Di essa si definisce in modo ovvio la lunghezza: P0 P1 + P1 P2 + P2 P3 + ... + Pm−1 Pm Ed ecco un’osservazione fondamentale: Osservazione 7 se si infittisce la suddivisione dell’intervallo parametrico, cioè se si intercalano nuovi punti fra i punti Pk , la lunghezza della poligonale aumenta, o, almeno, conserva il medesimo valore. Ad esempio, se fra i punti Pk e Pk+1 intercaliamo un punto Q, nel calcolo della poligonale troviamo la somma Pk Q + QPk+1 in luogo di Pk Pk+1 ; per la disuguaglianza triangolare si ha: Pk Pk+1 ≤ Pk Q + QPk+1 Pk−1 Pk Q Pk+2 Pk+1 e il segno di uguaglianza vale solo nel caso in cui Q stia sul segmento Pk Pk+1 . Ci rendiamo conto intuitivamente che se si fa crescere la lunghezza della poligonale ‘al massimo possibile’, essa finisce per aderire strettamente al cammino assegnato. Siamo dunque portati ‘naturalmente’ a dare questa definizione: Definizione 27 Si dice lunghezza di un cammino F l’estremo superiore delle lunghezze delle poligonali inscritte. Occorre notare che in certi casi, anche quando il cammino F è continuo, questo estremo superiore può essere +∞. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 259 Un cammino si dice rettificabile quando questo estremo superiore è finito. Il termine ’rettificazione è quello che si usa tradizionalmente per indicare il calcolo delle lunghezze dei cammini: esso ha una notevole suggestione perché fa assimilare il cammino ad un filo inestensibile che viene poi tirato in modo da diventare un segmento: la lunghezza del segmento coincide con la lunghezza del cammino. Ma questa idea intuitiva non giova a suggerire una definizione rigorosa, dal momento che per poter parlare di un filo inestensibile occorrerebbe già disporre della nozione di lunghezza di una curva. Vediamo ora le proprietà più elementari della lunghezza di un cammino: 1. Proprietà di additività. Dato un cammino F definito in [a, b] e preso un punto c, con a < c < b, indichiamo con F1 ed F2 le restrizioni di F agli intervalli [a, c] e [c, b] rispettivamente (diciamo che F si spezza nei cammini F1 ed F2 ). Se il cammino rettificabile F , di lunghezza L, si spezza nei cammini F1 ed F2 , di lunghezze L1 e L2 rispettivamente, vale la relazione: L = L1 + L2 B A F C a c b Dimostrazione. Per ogni poligonale iscritta nel cammino F , ne possiamo ottenere un’altra, di lunghezza non minore, ottenuta intercalando il vertice C = F (c). Dunque ai fini del calcolo della lunghezza di F , che è l’estremo superiore delle lunghezze delle poligonali inscritte in F , possiamo limitarci a quelle che includono fra i punti di suddivisione dell’intervallo parametrico il punto c, e che perciò hanno fra i loro vertici C = F (c). Indichiamo con λ la lunghezza di una tale poligonale, con λ1 la lunghezza della parte inscritta in F1 , con λ2 la lunghezza della parte inscritta in F2 ; si ha λ1 ≤ L1 e λ2 ≤ L2 , ed è: λ = λ1 + λ2 Allora risulta: λ ≤ L1 + L2 Quindi L1 + L2 è una limitazione superiore per le lunghezze delle poligonali inscritte in F . Ma essa è la più piccola limitazione superiore. Per dimostrarlo, fissiamo un numero > 0 qualunque, e consideriamo una poligonale inscritta in F1 , di lunghezza λ1 tale che: L1 − < λ1 Analogamente, prendiamo una poligonale inscritta in F2 , di lunghezza λ2 tale che: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 260 L2 − < λ2 queste poligonali certamente esistono perché L1 e L2 sono gli estremi superiori delle lunghezze delle poligonali inscritte in F1 e in F2 . Saldando insieme queste due poligonali si ottiene una poligonale di lunghezza λ = λ1 + λ2 ; per le ultime disuguaglianze si ha: λ = λ1 + λ2 > L1 + L2 − 2 Poiché è un numero positivo, che può essere preso arbitrariamente piccolo, questa disuguaglianza ci dice che L1 + L2 è la più piccola delle limitazioni superiori per le lunghezze delle poligonali inscritte in F e perciò è la lunghezza di F , ovvero L. 2 Osservazione 8 La prima parte di questa dimostrazione assicura che se F1 e F2 sono rettificabili, allora anche F lo è. Osservazione 9 Nel caso che uno dei due cammini, F1 o F2 , non sia rettificabile, la proprietà appena dimostrata continua ad essere vera: infatti o F1 o F2 ha lunghezza infinita e quindi anche la lunghezza di F è infinita. 2. Proprietà di invarianza per isometrie. La lunghezza di un cammino rimane invariata quando questo viene trasformato mediante una isometria. Dimostrazione. Sia γ un’isometria del piano; il cammino trasformato di F secondo γ è, per definizione, il cammino γ ◦ F . É evidente che una qualunque spezzata inscritta nel cammino F , di vertici: A = P0 , P1 , P2 , ... , Pm = B viene trasformata da γ in una spezzata di vertici: 0 A0 = P00 , P10 , P20 , ... , Pm = B0 che sono i trasformati dei vertici precedenti. Poiché γ è un’isometria, si ha: 0 0 P0 P1 = P00 P10 , P1 P2 = P10 P20 , . . . , Pm−1 Pm = Pm−1 Pm B ′ = P4′ P1 P3′ B = P4 A = P0 P2′ P2 P1′ P3 A′ = P0′ Le due spezzate hanno dunque la stessa lunghezza. Poiché gli estremi superiori di due insiemi numerici aventi gli stessi elementi coincidono, si conclude che F e γ ◦ F hanno la stessa lunghezza. 2 Come un’isometria conserva la lunghezza di un cammino, una similitudine di rapporto k la modifica secondo un fattore k, e questo si può dimostrare facilmente: Teorema 35 Sia F un cammino rettificabile di lunghezza L e sia F 0 il trasformato di F mediante una similitudine di rapporto k, con k > 0. Allora la lunghezza di F 0 è L0 = kL. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 261 Siano: P0 , P1 , P2 , .... , Pm i vertici di una poligonale inscritta in F e siano: 0 P00 , P10 , P20 , .... , Pm i loro corrispondenti nella similitudine. Essi appartengono a F 0 e si ha: 0 0 = kP P00 P10 = kP0 P1 , P10 P20 = kP1 P2 , ... , Pm−1 Pm m−1 Pm dunque è: m−1 X h=0 0 Ph0 Ph+1 =k m−1 X Ph Ph+1 h=0 Si può quindi dire che vi è corrispondenza biunivoca fra le poligonali inscritte in F e quelle inscritte in F 0 ed anche fra i due insiemi I e I 0 delle loro lunghezze; inoltre, se λ0 è il corrispondente di λ, si ha λ0 = kλ. Allora è evidente che: L0 = sup I 0 = k sup I = kL 2 Facciamo ora un’osservazione importante. Chiediamoci che cosa accade se suddividiamo l’intervallo parametrico [a, b] in m intervalli di uguale ampiezza, mediante i punti: t0 = a < t1 < t2 < ... < tm = b b−a b−a Sarà dunque tk = a + k, essendo l’ampiezza di ciascun intervallo. m m Consideriamo la poligonale corrispondente, di vertici: P0 , P1 , P2 , .... , Pm e di lunghezza: λ = P0 P1 + P1 P2 + P2 P3 + ... + Pm−1 Pm Si intuisce che, al tendere di m all’infinito, i lati della poligonale si fanno sempre più piccoli e la poligonale si avvicina sempre di più alla curva. Inoltre si può dimostrare che al tendere di m all’infinito, la successione tende alla lunghezza del cammino (finito o uguale a +∞). La dimostrazione può essere fatta con gli strumenti di cui disponiamo, ma risulta comunque un po’ complicata, perciò la omettiamo. Il risultato è però importante: infatti è utile sapere che la lunghezza di un cammino può essere ottenuta con un procedimento di limite, oltre al procedimento di estremo superiore insito nella definizione. Ora passiamo a considerare esempi in cui la rettificabilità può essere facilmente dimostrata. Teorema 36 Un cammino continuo rappresentato in forma cartesiana da un’equazione y = f (x), dove f è una funzione definita in un intervallo [a, b], continua e crescente, è rettificabile. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 262 y ym yk+1 Pk+1 yk Pk y0 O a = x0 xk xk+1 b = xm x Consideriamo una poligonale costruita a partire dalla suddivisione: x0 = a < x1 < x2 < ... < xm = b dell’intervallo [a, b]. Poniamo: f (xk ) = yk , Pk ↔ (xk , yk ) Per la disuguaglianza triangolare, si ha: Pk Pk+1 < (xk+1 − xk ) + (yk+1 − yk ) (qui si è tenuto presente che è xk+1 > xk ed è yk+1 > yk ). Sommiamo rispetto all’indice all’indice k, per esprimere la lunghezza λ della poligonale: λ= m−1 X Pk Pk+1 < (b − a) + (ym − y0 ) = (b − a) + (f (b) − f (a)) k=0 Dunque l’insieme delle lunghezze delle poligonali ammette una limitazione superiore. Ciò significa che il cammino è rettificabile. 2 Osservazione 10 Allo stesso modo si dimostra il teorema per f decrescente. Un caso di importanza fondamentale: il cerchio Per comodità di rappresentazione, e per maggiore aderenza al problema della misura degli angoli, che affronteremo nel prossimo paragrafo, ci occuperemo del semicerchio con centro nell’origine degli assi e raggio unitario, situato nel semipiano y > 0. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 263 y P2 P1 B O x2 x1 A x Come sappiamo, la rappresentazione cartesiana di questo semicerchio è: p y = 1 − x2 (x ∈ [−1, 1]) Per 0 ≤ x ≤ 1 la funzione y(x) è decrescente: infatti prendendo due ascisse x1 < x2 appartenenti all’intervallo [0; 1], si ha: x21 < x22 e quindi: 1 − x21 > 1 − x22 da cui si ricava: q q 2 y1 = 1 − x1 > 1 − x22 = y2 Sui punti del quarto di cerchio di estremi A e C possiamo stabilire una relazione d’ordine: P1 precede P2 se y2 > y1 . Ma se y2 > y1 , per la monotonia della y si ha x2 < x1 : la relazione d’ordine sul segmento [0, 1] corrisponde ad una relazione d’ordine, sia pure di verso opposto, sui punti del quarto di cerchio AC. Questo ci permette di interpretare il segmento [0, 1] come un intervallo parametrico, e quindi la funzione y come un cammino cartesiano. √ La funzione f : x → 1 − x2 nell’intervallo [0, 1] è continua e decrescente e quindi, per il teorema 36 il cammino continuo da essa rappresentato, cioè il quarto di cerchio, è rettificabile. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 264 y B A O x Ricalcando la dimostrazione di tale teorema, si può dimostrare che ogni poligonale inscritta nel quarto di cerchio ha lunghezza inferiore a 2 (si rifletta sulla figura sopra rappresentata). Per i valori del parametro compresi fra −1 e 0 si ottiene il quarto di cerchio simmetrico di quello appena esaminato rispetto all’asse y, la lunghezza è la stessa. Di conseguenza, per l’osservazione 8, il semicerchio è rettificabile ed ha una lunghezza non superiore a 4. La lunghezza del semicerchio di raggio 1 è indicata con il simbolo π (pi greco, cioè la lettera p dell’alfabeto greco). Poiché si può inscrivere nel semicerchio un semiesagono regolare, che ha lunghezza 3, possiamo affermare che è 3 ≤ π ≤ 4. (In un successivo paragrafo ci occuperemo di questa celebre costante). y B O A x La lunghezza del cerchio unitario è, per la proprietà 1, 2π. La lunghezza di un cerchio di raggio r si calcola facilmente tenendo presente che esso è il trasformato del cerchio unitario in un’omotetia di rapporto r. Si può concludere, in conseguenza del teorema 35, che: Teorema 37 La lunghezza del cerchio di raggio r è 2πr. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 5.2 265 La misura degli angoli Di misura degli angoli si parla a più riprese, a partire dalla scuola di base, tuttavia solo ora, con nuovi strumenti a nostra disposizione, siamo in grado di esaminare in modo più completo questo argomento. Occorre fare alcuni richiami: se r e s sono due semirette aventi origine comune in in punto O, definiamo angolo (r, s) l’insieme dei punti che appartengono al semipiano generato dalla retta di r contenente s e al semipiano generato dalla retta di s contentente r. Si tratta, come sappiamo, di un insieme convesso. Nelle pagine che seguono prenderemo in esame angoli convessi; estenderemo poi i risultati ottenuti anche agli angoli non convessi. \ dove A e B sono punti delle semirette r e Per indicare gli angoli faremo uso anche della notazione AOB, s rispettivamente, diversi da O. s A t r O B Nella parte di questo corso relativa alla geometria del piano, abbiamo formulato un assioma, identificato come Assioma 9, che aveva come oggetto la misura degli angoli. Si trattava di un ’assioma temporaneo’: le affermazioni che conteneva non erano dimostrabili a quel livello di conoscenze. Ora siamo in grado di fornirne la dimostrazione, ma prima conviene riscriverne l’enunciato: Teorema 38 (Assioma 9) Esiste un’unica applicazione, detta misura angolare, che fa corrispondere ad ogni angolo del piano un numero reale non negativo, con le seguenti proprietà: 1. La misura di un angolo (r, s) è 0 quando e solo quando r coincide con s. La misura di un qualsiasi angolo piatto è un numero positivo Π fissato. 2. Se t è una semiretta interna all’angolo (r, s), la misura dell’angolo (r, s) è uguale alla somma della misura dell’angolo (r, t) con la misura dell’angolo (t, s) (proprietà di additività della misura). 3. Per ogni numero α, con 0 ≤ α ≤ Π, esiste un angolo che misura α (proprietà di surgettività della misura). 4. Se esiste un’isometria che trasforma l’angolo (r, s) nell’angolo (r0 , s0 ), i due angoli (r, s) e (r0 , s0 ) hanno la stessa misura (proprietà di invarianza della misura rispetto alle isometrie). Si tratta di dimostrare anzitutto che esiste una misura angolare avente le proprietà che sono state elencate sopra; successivamente, una volta fissato il valore Π da assegnare alla misura dell’angolo piatto, vedremo che essa è unica. Diamo quindi un’ importante definizione: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 266 Definizione 28 Dato un angolo (r, s) con origine O, la sua misura è la lunghezza del minore fra i due archi che esso intercetta sul cerchio con centro O e raggio 1. Indichiamo con •AB la lunghezza del minore fra i due archi di cerchio di estremi A e B. \ Si dice radiante un angolo che intercetta Il numero •AB verrà detto misura in radianti dell’angolo AOB. un arco di lunghezza uguale a 1 sul cerchio unitario. Vediamo ora come la misura angolare appena definita verifica le proprietà dell’ Assioma 9: Se prendiamo la misura dell’angolo piatto uguale a π (lunghezza del semicerchio di raggio 1), la prima proprietà è senza dubbio verificata. Se si vuole che sia verificata per qualsiasi altro valore positivo Π, non Π (nel sistema c’ è che da assumere come misura la lunghezza dell’arco moltiplicata per la costante positiva π 180 sessagesimale, secondo cui l’angolo piatto è diviso in 180◦ , si prenderà come costante .) π s B O A r La seconda e la quarta proprietà sono dimostrate perché per la lunghezza di un qualsiasi cammino abbiamo dimostrato l’additività e l’invarianza rispetto alle isometrie (nel precedente paragrafo). Prima di verificare la terza proprietà, dimostriamo che l’applicazione che fa corrispondere ad ogni angolo un numero reale non negativo e soddisfacente alle proprietà 1), 2) e 4) è unica, non appena si fissi il valore che essa fa corrispondere all’angolo piatto. Indicando con Ψ un’ applicazione che ha queste proprietà e per cui la misura dell’angolo piatto sia π, dimostreremo che essa coincide con la lunghezza dell’arco intercettato sul cerchio unitario. Consideriamo un angolo piatto, riferito ad un sistema cartesiano, il cui vertice coincida con l’origine O del riferimento, e i cui lati siano le due semirette dell’asse x. Ogni angolo convesso potrà essere trasportato isometricamente in modo che abbia il vertice in O, un lato coincida con il semiasse positivo delle x e l’altro cada entro l’angolo piatto. In questo modo ogni angolo sarà individuato in base al punto P in cui il secondo lato incontra il semicerchio unitario di centro O. Il semiasse positivo delle y, bisecando l’angolo piatto individua due angoli retti: essi devono avere la stessa misura secondo la Ψ, perché sono isometrici e la somma deve essere uguale a π (infatti cosí è stata scelta la misura dell’angolo piatto). Allora la misura che la Ψ assegna ad un angolo retto deve essere π2 , cioè deve essere uguale alla ltunghezza dell’ arco. Bisecando ciascuno degli angoli retti, si ottengono quattro angoli che misurano π4 ; così proseguendo per n volte si ottengono 2n + 1 punti: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 267 y B O P0 = A, P1 , P2 , P3 , ... , Pk , ... , P2n = B A x (5.1) che hanno ascisse: x0 = 1, x1 , x2 , ..., xk , ..., x2n = −1 L’ordine con cui si susseguono queste ascisse, come abbiamo già visto, è opposto a quello dei punti sul semicerchio. \ Il procedimento di bisezione assicura che la misura secondo la Ψ dell’angolo Pk−1 OPk coincide con \k è π k . Consideria•Pk−1 Pk e perciò è uguale a 2πn ; pertanto la misura secondo la Ψ dell’angolo AOP 2n mo ora un qualsiasi punto P sul semicerchio. Se esso coincide con uno dei punti ottenuti per bisezione, per [ coincide con la lunghezza •AP per quanto abbiamo ora un certo intero n > 0, la misura dell’angolo AOP provato. Altrimenti, per ogni intero positivo n fissato, P si troverà fra due punti consecutivi della sequenza 5.1, che chiameremo P 0 (n) e P 00 (n): P 0 (n) < P < P 00 (n) Possiamo affermare che per ogni n esiste un intero k compreso fra 0 e 2n tale che: kn kn + 1 , •AP 00 (n) = π (5.2) 2n 2n In questo modo abbiamo definito due successioni di numeri reali: •AP 0 (n) e •AP 00 (n), che evidentemente [ costituiscono una scatola cinese avente come elemento separatore •AP . Ma anche la misura dell’angolo AOP 0 00 \ \ secondo la Ψ deve essere compresa fra le misure di AOP (n) e AOP (n): poiché queste coincidono con •AP 0 (n) e con •AP 00 (n) rispettivamente, se ne deduce che essa deve coincidere con il numero reale compreso [ coincide con •AP . nella scatola cinese 5.2, cioè con •AP . Così abbiamo dimostrato che la misura Ψ di AOP Quanto abbiamo dimostrato è da sottolineare particolarmente: ogni applicazione definita nell’insieme degli angoli e tale da godere delle proprietà 1), 2) e 4), in cui sia π la misura dell’angolo piatto coincide con la misura in radianti. Occorre infine dimostrare la surgettività della misura in radianti, che è la proprietà 3) del nostro enunciato. b che misura α (in Sia dato un numero α, con 0 ≤ α ≤ π; c’ è da dimostrare che esiste un angolo AOP radianti). Possiamo scrivere α = πγ, con 0 ≤ γ ≤ 1. Se γ è un numero binario, cioè del tipo k2nn , con (0 ≤ kn ≤ 2n ), la tesi è evidente, basta prendere il punto P (k) della sequenza 5.1. Altrimenti, per ogni intero n > 0, γ sarà compreso fra due numeri binari consecutivi: •AP 0 (n) = π kn , 2n kn + 1 2n CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 268 Ma queste coppie di numeri binari costituiscono una scatola cinese (infatti la successione k0 , k1 , k2 , ...., kn non è altro che lo sviluppo del numero reale in base 2). Siano P 0 (n), P 00 (n) i due punti del semicerchio tali che: •AP 0 (n) = π kn , 2n •AP (n) = π kn + 1 2n P ′′ (n) P∗ P ′ (n) O x′′n x∗ x′n A x e siano x0n , x00n le proiezioni di P 0 (n) e P 00 (n) sull’asse x. Per la proprietà di ordinamento degli angoli, risulta x00n < x0n ; inoltre la successione x00n è non decrescente, la successione x0n è non crescente. Teniamo presente che è P 0 (n)P 00 (n) < •P 0 (n)P 00 (n), inoltre x0n − x00n ≤ P 0 (n)P 00 (n). Risulta allora: π 2n Perciò [x00n , x0n ] è una scatola cinese che comprende un punto x∗ ; ad esso corrisponde sul semicerchio un \∗ ha misura che è compresa, per ogni punto P ∗ che è compreso fra P 0 (n) e P 00 (n) per ogni n. L’angolo AOP 0 00 n, fra •AP (n) ed •AP (n) e che perciò è il numero reale individuato dalla scatola cinese: kn kn + 1 π n,π 2 2n x0n − x00n < ma questo numero è esattamente πγ = α. Cosí il contenuto dell’Assioma 9 è stato completamente dimostrato (e l’assioma è diventato un teorema). 2 5.3 Una disuguaglianza fondamentale Lo scopo che ora ci proponiamo è di dimostrare una disuguglianza molto importante, che riguarda la lunghezza b di un arco di cerchio. Su un cerchio di centro O, prendiamo un arco di estremi A e B, tale che l’angolo AOB sia acuto. Sia H la proiezione ortogonale del punto B sulla retta OA, e sia K il punto di incontro del raggio OB con la tangente al cerchio in A (che è, ovviamente, la perpendicolare al raggio OA nel punto A). CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 269 K B O H A Teorema 39 Con le notazioni ora introdotte, vale la doppia disuguaglianza: BH < •AB < AK (5.3) É molto facile dimostrare la disuguaglianza BH < •AB. Infatti si ha BH < AB, essendo il segmento BH perpendicolare alla retta OA, mentre il segmento BA è obliquo. D’altra parte il segmento BA può essere considerato come una particolare poligonale inscritta nell’arco, ed ha perciò una lunghezza che non supera la lunghezza di questo (per la definizione generale di lunghezza di un arco); dalle disuguaglianze BH < BA, BA ≤ •AB segue subito che BH < •AB. 2 Più complessa è la dimostrazione dell’altra disuguaglianza: •AB < AK. Per ottenerla, occorre dimostrare un lemma del tutto elementare. Lemma 4 Dato un triangolo isoscele OM N , con vertice O, e preso un punto M 0 sul prolungamento del lato OM , dalla parte di M , ed un punto N 0 sul prolungamento del lato ON dalla parte di N si ha: M N < M 0N 0 (5.4) Dimostrazione del lemma. Se M M 0 = N N 0 , i triangoli M N O e M 0 N 0 O sono simili, con rapporto di M 0O similitudine > 1; si può quindi affermare che M N < M 0 N 0 . MO K M O S N N′ M′ CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 270 Se M M 0 6= N N 0 , non è restrittivo supporre che M M 0 ≥ N N 0 ; esiste, quindi, un punto K sul segmento M M 0 tale che N N 0 = M K. ON 0 Il triangolo ON 0 K è simile al triangolo ON M , con rapporto di similitudine > 1, quindi KN 0 > ON MN. 0 KM 0 è ottuso, essendo il supplementare dell’angolo OKN \0 (che è acuto perché angolo alla L’angolo N\ base di un triangolo isoscele). Poiché in un triangolo a lati più lunghi sono contrapposti angoli di maggior ampiezza, si ha che M 0 N 0 > KN 0 e quindi M 0 N 0 > M N 2 Osservazione 11 Scorrendo la dimostrazione, si vede subito che la 5.4 vale anche quando sia M = M 0 ed ON 0 > ON , oppure, viceversa, quando siano N = N 0 ed OM 0 > OM . K = Pn′ Pn = B P4′ P4 P3′ P3 P2 P1 O P2′ P1′ P0 = A = P Veniamo dunque alla dimostrazione del teorema. Prendiamo una qualsiasi poligonale inscritta nell’arco, con vertici: P0 = A, P1 , P2 , .... , Pn = B Dal centro O proiettiamo questi punti sulla retta AK, ottenendo i punti: P00 = A, P10 , P20 , .... , Pn0 = K che appartengono evidentemente al segmento AK. In virtù del lemma geometrico, abbiamo: 0 Pk−1 Pk < Pk−1 Pk0 (per k = 1, 2, ..., n) Sommando membro a membro rispetto all’indice k si ottiene: n X k=1 Pk−1 Pk < n X 0 Pk−1 Pk0 = AK k=1 Dunque, il numero AK è una limitazione superiore per la lunghezza di una qualsiasi poligonale inscritta nell’arco. Ricordando che la lunghezza di un arco è, per definizione, l’estremo superiore (cioè la più piccola delle limitazioni superiori) delle lunghezze delle poligonali inscritte, si ha: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 271 •AB ≤ AK (5.5) Non siamo ancora arrivati all’obbiettivo, infatti dobbiamo dimostrare che la disuguaglianza vale in senso forte (cioè che il segno ≤ può essere sostituito da <). K B M C O A b e chiamando È facile ora ottenere anche questo risultato. Infatti, tracciando la bisettrice dell’angolo AOB C il punto in cui essa taglia l’arco e M il punto in cui taglia il segmento AK, per la disuguaglianza 5.5 si ha: •AC ≤ AM ed anche: •CB ≤ BM da cui: •AB ≤ AM + BM ma, essendo BM < M K, perché la retta BM è ortogonale alla retta OB, mentre M K è obliqua, si ha: •AB ≤ AM + BM < AK così anche la seconda delle disuguaglianze 5.3 è dimostrata. 2 La disuguaglianza 5.3 è particolarmente importante per lo studio delle funzioni circolari. Sia infatti α un numero reale tale che 0 < α < π2 . Possiamo interpretare α come coordinata angolare di un punto P ↔ (x, y) che si trova sul cerchio unitario, nel primo quadrante. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 272 y K P O H A x Siano A ↔ (1, 0), H la proiezione di P sull’asse x e K l’intersezione della retta OP con la perpendicolare mandata sull’asse x in A. Pertanto si ha: P H = y = sin α, AK = tan α Teniamo presente che, avendo adottato la misura degli angoli in radianti, risulta: •AP = α Applicando la disuguaglianza 5.3 si ha allora immediatamente: sin α < α < tan α (5.6) valida per 0 < α < π2 . Occorre tenere ben presente che è essenziale, per la validità di questa formula, che le funzioni circolari siano definite a partire dalla misura degli angoli in radianti. Possiamo aggiungere - e lo vedremo bene in seguito - che dipende proprio dalla relazione 5.6 il vantaggio che si ha nel definire le funzioni circolari in questo modo. Dalla 5.6 si possono trarre alcune importanti conseguenze. Sempre supponendo 0 < α < π2 , dividiamo membro a membro per sin α, che è un numero positivo. Ricaviamo: 1 α < sin α cos α Possiamo anche passare ai reciproci, invertendo tutte le disuguaglianze: 1< sin α <1 α Osserviamo che questa disuguaglianza vale non solo per 0 < α < sin α le funzioni coseno e α → sono pari. α cos α < (5.7) (5.8) π 2, ma anche per − π2 < α < 0. Infatti, CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 273 Teniamo presente che si ha lim cos α = 1 (infatti la funzione coseno è continua e assume valore 1 nel α→0 sin α punto 0). Allora la funzione α → , essendo compresa fra due funzioni che tendono al limite 1, tende α anch’essa al limite 1. In conclusione abbiamo dimostrato il: Teorema 40 Vale la seguente relazione di limite: lim α→0 sin α =1 α (5.9) Naturalmente anche questa formula vale solo se la misura degli angoli è fatta in radianti. D’ora in poi quando useremo le notazioni sin x, cos x, tan x intenderemo esclusivamente la misura degli angoli in radianti. Nella 5.7 possiamo porre sin α = y e, naturalmente, α = arcsin y. Tenendo conto che, per − π2 < α < π2 è cos α > 0, si avrà: cos α = p p 1 − (sin α)2 = 1 − y 2 Pertanto la 5.7 diventa: 1< 1 arcsin y <p y 1 − y2 valida per −1 < y < 1, y 6= 0. In modo analogo a quello seguito prima otteniamo: arcsin y =1 y→0 y lim 5.4 Poligonali circoscritte ad un arco di cerchio Su un arco di cerchio di estremi A, B, prendiamo ordinatamente i punti: P0 = A, P1 , P2 , .... , Pm = B con la sola condizione che l’arco compreso fra due punti consecutivi sia minore di un semicerchio. Mandiamo quindi per essi le rette tangenti al cerchio e consideriamo i punti in cui si incontrano le tangenti mandate per due vertici consecutivi: sia Qk il punto in cui si intersecano le tangenti per Pk−1 e Pk . I punti: Q0 = A, Q1 , Q2 , .... , Qm , Qm+1 = B sono vertici di una poligonale che è detta circoscritta all’arco e che può essere indicata come la poligonale circoscritta associata alla poligonale inscritta P0 , P1 , P2 , .... , Pm . Q3 P2 Q2 P1 B = P3 = Q4 Q1 O A = P0 = Q0 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 274 Consideriamo l’archetto di estremi Pk−1 e Pk , il lato Pk−1 Pk della poligonale inscritta e la spezzata di vertici Pk−1 , Qk , Pk , che è contenuta nella poligonale circoscritta. Pk Qk Pk−1 O Applicando la formula 5.3 del paragrafo precedente, si trova: Pk−1 Pk < •Pk−1 Pk < Pk−1 Qk + Qk Pk Sommando rispetto all’indice k, si trova: m X k=1 Pk−1 Pk < •AB < m+1 X Qk−1 Qk k=1 Quindi si ha il seguente: Teorema 41 La lunghezza di un arco di cerchio è compresa fra la lunghezza di una qualunque poligonale inscritta e la lunghezza della poligonale circoscritta ad essa associata. Il calcolo di π Abbiamo indicato con π la lunghezza di un semicerchio di raggio 1. L’impiego di poligonali inscritte e circoscritte è molto utile per il calcolo di π perché ci consente di ottenere valori approssimati per difetto e per eccesso, e di avere cosí anche una maggiorazione dell’errore che si commette. Dato un semicerchio di raggio 1, di centro O e di estremi A e B, consideriamo la poligonale inscritta ottenuta dividendo il semicerchio in 2n parti di uguale ampiezza (in altre parole: la poligonale inscritta è la metà di un poligono regolare di 2n+1 lati). B A Indichiamo con In la lunghezza della poligonale inscritta, con Cn la lunghezza della poligonale circoscritta ad essa associata. Dunque, per ogni intero n, In fornisce un valore approssimato per difetto di π e Cn un valore approssimato per eccesso. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO B 275 A È possibile passare da In e Cn a In+1 e Cn+1 mediante un procedimento di ricorrenza. Indichiamo con λn il semilato della poligonale inscritta, che abbiamo ottenuta suddividendo l’angolo piatto im 2n angoli uguali. Dunque: In = 2λn 2n = λn 2n+1 B (5.10) A Indicheremo con sn il semilato della poligonale circoscritta associata (nella figura Qk Pk+1 ). Dunque: Cn = 2sn 2n = sn 2n+1 (5.11) Un dato molto importante è l’apotema OMk , che indicheremo con an . Si ha, per il teorema di Pitagora: a2n + λ2n = 1 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 276 Pk+1 λn O Θn an Mk sn Qk Pk I due triangoli rettangoli OPk+1 Qk e OMk Pk+1 sono evidentemente simili, con rapporto di similitudine: 1 OPk+1 = an OMk Perciò si ha: sn = λn an e, moltiplicando membro a membro per 2n+1 si ottiene, in base alle 5.10 e 5.11: Cn = In an (5.12) Ora è il momento di passare dall’indice n all’indice n + 1: facciamolo dapprima con an . Indicando con θn la semiampiezza dell’angolo Pk\ OPk+1 , cioè l’ampiezza dell’angolo Mk\ OPk+1 , si ha θn evidentemente an = cos θn . Poiché θn+1 = , abbiamo: 2 r θn 1 + cos θn an+1 = cos = 2 2 Dunque: r 1 + an an+1 = (5.13) 2 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 277 Pk+1 1 2 Θn an+1 λn 1 2 Θn O Mk È facile rendersi conto, anche osservando la figura 5.4, che il rapporto Tk In+1 è uguale al rapporto: In 1 Pk+1 Tk = Pk+1 Mk cos θ2n Perciò: In+1 = In an+1 =q In (5.14) 1+an 2 Esprimiamo ora Cn+1 : Cn+1 = In In In+1 = 2 = 1+an an+1 an+1 2 (5.15) Una buona idea è quella di passare ai reciproci: 1 Cn+1 1 = 2 1 an + In In ma, ricordando la 5.12, si riconosce che questa si può scrivere: 1 1 1 1 = + Cn+1 2 In Cn (5.16) Questa relazione ci dice che il reciproco di Cn+1 è la media aritmetica dei reciproci di In e di Cn ; si può anche dire che Cn+1 è la media armonica fra In e Cn . Quindi siamo riusciti ad esprimere Cn+1 mediante In e Cn solamente. Cerchiamo ora di fare lo stesso per In+1 . La 5.14 si può scrivere, utilizzando la 5.15: s p In p In+1 = 1+an In = Cn+1 In 2 Questa relazione ci dice che In+1 è la media geometrica fra In e Cn+1 . Naturalmente, volendo far figurare i reciproci dei numeri In e Cn , questa relazione si potrà scivere: s 1 1 1 = · (5.17) In+1 In Cn+1 Le formule 5.16 e 5.17 consentono una calcolo numerico spedito, che procede secondo lo schema seguente: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 278 In In+1 In+2 Cn Cn+1 Cn+2 Si terrà conto che: 1 1 = √ , I1 2 2 1 1 = C1 4 Un calcolatore può velocemente fare i calcoli, basta impostare un programma che faccia passare da 1 1 e che metta in evidenza In , Cn , pur conservando nella memoria i reciproci. In+1 Cn+1 Abbiamo riportato in una tabella alcuni risultati che si possono ottenere. Come si vede, essi forniscono un’approssimazione eccellente per π. ad , 1 1 , In Cn n 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 In 2, 828427125 3, 061467459 3, 121445152 3, 136548491 3, 140331157 3, 141277251 3, 141513801 3, 141572940 3, 141587725 3, 141591422 3, 141592346 3, 141592577 3, 141592634 3, 141592649 3, 141592652 3, 141592653 Cn 4 3, 313708499 3, 182597878 3, 151724907 3, 144118385 3, 142223630 3, 141750369 3, 141632081 3, 141602510 3, 141595118 3, 141593270 3, 141592808 3, 141592692 3, 141592663 3, 141592656 3, 141592654 C’è un altro modo di condurre il calcolo, che consiste nel cercare di rappresentare la formula In senza far intervenire i numeri Cn , ma facendo intervenire i numeri an (gli apotemi, come si è visto). Si osserva dapprima che: √ √ 2 I1 = 2 2, a1 = 2 Si ricava poi dalla 5.14: 1 I2 = , I1 a2 I3 1 In 1 = , ... , = I2 a3 In−1 an e moltiplicando membro a membro queste uguaglianze: In 1 = I1 a2 · a3 · · · · · an−1 · an da cui: CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 279 √ 2 2 In = a2 · a3 · · · · · an−1 · an che si può scrivere, essendo a1 = √1 , 2 In = 2 a1 · a2 · a3 · · · · · an−1 · an (5.18) √ Anche questa formula può essere utilizzata per il calcolo di π, tenendo presente che a1 = 22 e utilizzando la 5.13 per ottenere an+1 da an . Il calcolo di π è un classico tema nella storia della matematica. Archimede intorno al 225 a.C. riuscì a determinare π con l’approssimazione seguente: 22 223 <π< 71 7 calcolando il semiperimetro dei poligoni regolari di 96 lati inscritto e circoscritto al cerchio unitario. Archimede partì dall’esagono regolare e impiegò quel procedimento di raddoppio del numero dei lati che abbiamo utilizzato anche noi in questo paragrafo. Fu Niccolò Cusano (1401-1464) che trovò le formule esplicite 5.16 e 5.17 che consentono un facile passaggio da un poligono regolare al poligono con numero di lati doppio. Infine, la formula 5.18 è di Francois Viète (1593); con questa formula Viète ottenne un valore approssimato di π con 10 cifre decimali esatte. Ma il problema più rilevante riguardo a π non è stato tanto quello di darne una buona approssimazione, quanto quello di ottenere π attraverso una costruzione geometrica o un’espressione analitica, del tipo più semplice possibile. Fin dall’antichità si è posto il problema di costruire con riga e compasso un segmento che abbia la stessa lunghezza di un cerchio assegnato (questo problema, come vedremo, è equivalente a quello di costruire un quadrato avente la stessa area racchiusa da un cerchio assegnato: problema della quadratura del cerchio). Questo problema si traduce, per quello che sappiamo, nel problema di ottenere π per mezzo di operazioni razionali e di estrazioni di radici quadrate. Molti matematici, noti e ignoti, si affaticarono per secoli su questo problema, finché F. Lindemann nel 1882 dimostrò che π non può essere soluzione di alcuna equazione algebrica a coefficienti interi (cioè non può rendere nullo alcun polinomio di grado positivo a coefficienti interi). Da questo segue, in particolare (come si potrebbe vedere impiegando un po’ di algebra), che π non si può ottenere per mezzo di operazioni razionali ed estrazioni di radici quadrate. Il risultato di Lindemann ha dunque troncato ogni discorso sulla quadratura del cerchio. Ma in matematica i risultati di impossibilità, come questo, non sono una tragedia: dimostrano semplicementre che il mondo che la scienza cerca di esplorare è sempre straordinariamente più vasto di quello che la limitata fantasia dell’uomo può prevedere. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO Vocaboli e simboli Poligonale (o spezzata) Lunghezza di un cammino Cammino rettificabile Misura angolare π 280 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 281 Esercizi paragrafo 5.1 1. Dimostrare che se A e B sono gli estremi di un cammino ed L la sua lunghezza si ha: AB ≤ L. In quale caso vale il segno di uguaglianza? 2. Dimostrare che il cammino cartesiano y = x2 , con 0 ≤ x ≤ 1 è rettificabile. Fare un calcolo approssimato della lunghezza prendendo prima intervalli di ampiezza 0, 1, poi 0, 01; confrontare i risultati ottenuti (almeno nel caso della parametrizzazione più fine, è bene far lavorare un calcolatore . . . ) 3. Idem per il cammino cartesiano y = 2x nell’intervallo [0, 1]. 4. Idem per il cammino cartesiano y = log2 x nell’intervallo [1, 2]. 5. In un riferimento cartesiano ortogonale Oxy è dato il cerchio C di centro (0, 1) e raggio 1. Provare che esso intercetta sulla parabola di equazione y = 2x2 un arco la cui lunghezza è maggiore di 2. 6. Calcolare la lunghezza dell’arco di iperbole di equazione y = 1 x compreso fra i punti x = 1 e x = 2. 7. Trovare la lunghezza del cammino: x = cos t y = sin t dove 0 ≤ t ≤ 4π. 8. Esercizio svolto Indichiamo con λ(x) la lunghezza dell’arco di parabola y = x2 relativo all’intervallo [0, x], con x > 0. Dimostrare che: lim x→+∞ λ(x) =1 x2 lim x→0 λ(x) =1 x Svolgimento √ La lunghezza λ(x) è compresa fra x2 + x4 e x + x2 , come suggerisce la figura sottostante: p x2 + x4 < λ(x) < x + x2 (5.19) y P O xP x CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 282 Studiamo separatamente i due limiti. Per calcolare il primo, dividiamo la 5.19 per x2 . Otteniamo: r λ(x) 1 1 +1≤ 2 ≤ +1 2 x x x r 1 1 Poiché lim + 1 = 1 e lim +1=1 x→+∞ x x→+∞ x2 si deduce che: λ(x) =1 x→+∞ x2 lim Per calcolare il secondo limite, dividiamo per x. p λ(x) 1 + x2 < <1+x x Poiché: lim (1 + x) = 1, lim x→0 x→0 p 1 + x2 = 1 si deduce che: λ(x) =1 x→0 x lim . 9. Sia F una cammino rettificabile di lunghezza L. Che succede se lo trasformiamo con una similitudine di rapporto λ? (Esporre in forma generale il ragionamento fatto nel testo per il cerchio). 10. Fare il calcolo approssimato della lunghezza dell’ellisse così rappresentata: x = 2 cos t y = sin t 0 ≤ t ≤ 2π (Dividere l’intervallo parametrico in 100 intervalli uguali). 11. * Fare il calcolo approssimato della lunghezza della curva g così rappresentata (nello spazio tridimensionale): x = π2 cos t 0 ≤ t ≤ 2π y = π2 sin t 3 z = 2π t (Tutto procede come nelle curve piane; suddividere l’intervallo parametrico in 100 intervalli uguali). 12. ** Supponiamo di essere in grado di calcolare la lunghezza s(u) della curva y = x2 nell’intervallo [0, u] per un qualsiasi valore di u. Se a è una qualsiasi costante positiva, è possibile calcolare la lunghezza della curva y = ax2 nell’intervallo [0, v] senza dover rifare tutti i calcoli? 13. ** Sia F un cammino di estremi A, B e lunghezza L. Qual è la massima distanza che un punto del cammino può avere dalla retta AB? 14. ** E dal segmento AB? CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 283 Esercizi paragrafo 5.2 15. Calcolare la lunghezza di un arco di cerchio di raggio r = 15 m, il cui angolo al centro è di 80◦ . 16. Due cerchi C1 e C2 sono fra loro secanti; conoscendo i loro raggi e le distanze dei centri, esprimere la lunghezza dell’arco di C1 che è interno a C2 , e la lunghezza del’arco C2 che è interno a C1 . 17. Esercizio svolto Una cinghia è√tesa fra due pulegge circolari di raggi rispettivamente r1 = 6 e r2 = 1 con i centri che distano d = 5 2. Quanto è lunga la cinghia? T1 A T2 C2 C1 Svolgimento Due circonferenze di centri C1 e C2 rispettivamente, rappresentano le due pulegge; una tangente alle due circonferenze, che le lasci nello stesso semipiano, rappresenta il tratto di cinghia che collega le due pulegge. Siano T1 e T2 i punti di tangenza. \ Le note proprietà del cerchio ci assicutrano che gli angoli C\ 1 T1 T2 e C2 T2 T1 sono retti, quindi i raggi C1 T1 e C2 T2 sono fra loro paralleli. Sia A il punto in cui la parallela alla tangente T1 T2 passante√per C2 incontra il raggio C1 T1 . Il triangolo C1 AC2 è rettangolo e inoltre C1 A = 5, C1 C2 = 5 2. Con queste informazioni è pos\ sibile ricavare la misura dell’angolo α = AC 1 C2 , che è certamente minore dell’angolo retto, ed è C1 A π 1 tale che cos α = C C = √2 per cui α = 4 e AC2 = T1 T2 = 5. 1 2 La lunghezza di ogni tratto di cinghia non avvolto ad una puleggia è quindi 5, mentre la lunghezza π del tratto di corda avvolto alla puleggia grande è 2π − 2 r1 = 9π e la lunghezza del tratto di corda avvolto alla puleggia piccola è 2π − 32 π r2 = π2 . La lungezza complessiva della cinghia è, quindi, l = 10 + 19 2 π. 18. Due pulegge di raggi r1 e r2 sono collegate da una cinghia incrociata; conoscendo la distanza d dei due centri (d > r1 + r2 ) calcolare la lunghezza della cinghia. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 284 A B r2 r1 x O1 O2 P B′ A′ 19. Il diametro AB di un cerchio di centro O e raggio r viene prolungato dalla parte di B. Da un punto P del prolungamento si mandano le tangenti al cerchio, che lo toccano in C e in D. Trovare la misura \ (in radianti, con l’approssimazione di una cifra dopo la virgola) per il quale la dell’angolo α = COP lunghezza dell’arco di cerchio CAD è pari a 6 volte CP + P D. 20. Un triangolo rettangolo ABC ha i cateti AB = 8 e BC = 15. Un semicerchio è inscritto nel triangolo, come in figura. Trovare i perimetri dei triangoli mistilinei ADG e F EB. C F G β A D α O B E 21. Un naufrago si trova in mare con una scialuppa a motore e con carburante per 60 miglia. Non ha alcuno strumento per orientarsi e la visibilità è nulla. Sa soltanto di trovarsi a 10 miglia dalla costa, che ha andamento rettilineo. Egli è indeciso fra queste strategie: (a) muoversi verso una direzione fissa, senza deviare mai per tutte le 60 miglia; (b) muoversi in cerchio, in modo da ritornare al punto di partenza dopo le 60 miglia; (c) muoversi per 20 miglia in direzione arbitraria; non trovando la costa invertire la rotta e percorrere le altre 40 miglia in direzione opposta; (d) muoversi per 10 miglia verso una direzione a caso, poi girare di un angolo retto e muoversi su un cerchio di raggio 10 miglia, e centro nel punto di partenza, fino ad esaurimento del carburante. Calcolare per ciascuna di queste strategie la probabilità che la scialuppa possa arrivare a terra. Esercizi paragrafo 5.3 22. Esercizio svolto Calcolare i seguenti limiti: lim α→0 sin 2α α lim α→0 sin α 2α + α2 lim α→0 sin 2α sin 3α CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 285 Svolgimento In questo esercizio si tratta di trasfomare preliminarmente le espressioni delle funzioni, in modo che il loro limite appaia evidente: si dovrà, anziché ‘semplificare’ le espresssioni, ‘complicarle’ in modo intelligente... sin 2α sin 2α sin 2α (a) =2· , quindi lim = 2. α→0 α 2α α sin α sin α 1 sin α 1 (b) = · , quindi lim = 2 2 α→0 2α + α 2α + α α 2+α 2 sin 2α sin 2α 2 sin 2α 3α 2 (c) = · · , quindi lim = α→0 sin 3α sin 3α 3 2α sin 3α 3 23. Calcolare il valore dei seguenti limiti: sin(α − π2 ) 2α − π α→ 2 α sin 12 e) lim 1 α sin 3α α→0 5α sin α d) lim α→π π − α b) limπ a) lim α→+∞ 2 sin α5 α→0 α3 √ √ sin α − α f ) lim √ √ α→0+ sin α + α c) lim 24. Esercizio svolto Calcolare il limite: 1 − cos α α→0 α2 lim Svolgimento Per α abbastanza vicino a 0, è 1 + cos α 6= 0, quindi si possono moltiplicare per 1 + cos α il numeratore e il denominatore della frazione: 1 − cos α (1 − cos α)(1 + cos α) 1 − cos2 α = = α2 α2 (1 + cos α) α2 (1 + cos α) E, passando al limite: 1 − cos α sin2 α 1 = lim = 2 2 α→0 α→0 α α (1 + cos α) 2 lim 25. Calcolare il valore dei seguenti limiti: 1 − cos 3α α2 sin(α − π3 ) d) limπ α→ 3 2 cos α − 1 a) lim α→0 1 − cos α α sin α sin α − cos α e) limπ α − π4 α→ 4 b) lim α→0 sin 3α 1− cos α 1 1 1 f ) lim − sin α tan α α→0+ α c) lim α α→0 26. Se si indica con sin(2Π) α la funzione seno con periodo 2Π (cioè la funzione seno definita in base ad una misura degli angoli che attribuisce valore 2Π all’angolo piatto) trovare il valore del limite: lim α→0 sin(2Π) α α 27. Dimostrare che: α − sin α =0 α→0 α2 lim Suggerimento Utilizzare la disuguaglianza 5.6 CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 286 28. * Calcolare i seguenti limiti: a) lim α→0 1 1 − sin α α 29. ** Dimostrare che per 0 < α < π 4 b) limπ α→ 2 cos α α − π2 tan α α→0 2α c) lim si può porre: α3 sin α = α − s(α), essendo 0 < s(α) < √ 2 Nota: Questa formula ci dice che sostituendo sin α con α commettiamo un errore molto piccolo quando α è piccolo; per la dimostrazione ricorriamo ancora una volta alla 5.6. 30. ** Utilizzando il risultato dell’esercizio precedente,si dimostri che si può scrivere per 0 < α < π4 : 1 cos α = 1 − α2 + r(α) 2 dove per r(α) si ha 0 < r(α) < 1 √ α4 . 4 2 Nota: Dunque r(α) è molto piccolo... Per la dimostrazione utilizzare ancora la formula 1 − cos 2α = 2(sin α)2 . 31. Utilizzando i risultati dei due esercizi precedenti, dare un’espressione approssimata per il coseno e il seno di angoli piuttosto piccoli, espressi in gradi sessagesimali. Dare una maggiorazione dell’errore. Confrontare i valori approssimati cosí ottenuti con quelli forniti dalla calcolatrice per 1◦ , 2◦ , 10◦ , 20◦ , 30◦ . 32. Sono date nel piano due rette fra loro parallele, con distanza 2h. È dato un cerchio di centro equidistante dalle due rette e raggio r > h. Calcolare la lunghezza L(r) di ciascuno dei due archi di cerchio compresi fra le due rette e trovare il limite di L(r) al tendere di r all’infinito. 33. Uno specchio ha la forma di una calotta sferica; un fascio di raggi paralleli alla direzione dell’asse di simmetria si riflette sulla parte concava. α Trovare per ciascun raggio riflesso il punto in cui esso taglia l’asse di simmetria. Far vedere che, se l’angolo di apertura α dello specchio è piccolo, questi punti si trovano molto vicini fra loro. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 287 Esercizi paragrafo 5.4 34. Esercizio svolto Dimostrare che le successioni In e Cn convergono (il calcolo numerico svolto, benché estremamente convincente, non è una dimostrazione della convergenza). Svolgimento Definiamo le successioni αn = I1n e βn = Per le formule 5.16 e 5.17 possiamo scrivere: 1 Cn . Poiché In < Cn , deve essere αn > βn . p 1 (αn + βn ) , αn+1 = αn βn+1 2 Cerchiamo di esprimere la differenza αn+1 − βn+1 in funzione della differenza αn − βn . Ricordando che la media geometrica fra due numeri positivi non supera la loro media aritmetica (anzi, è inferiore, se i due numeri sono diversi) si ha: βn+1 = αn+1 − βn+1 = p 1 1 1 1 αn βn+1 − (αn + βn ) < (αn + βn+1 ) − (αn + βn ) = (αn − βn ) 2 2 2 4 È chiaro, quindi, che le successioni αn e βn costituiscono una scatola cinese: la disuguaglianza appena provata ci fa comprendere che si tratta di una convergenza piuttosto veloce. 35. Dimostrare la relazione: √ 2 2 = · π 2 p 2+ 2 √ q p √ 2+ 2+ 2 2 · · 2 r q 2+ 2+ 2 p √ 2+ 2 · .... Questa bizzarra formula è importante perché ci dà una rappresentazione del numero π attraverso un algoritmo infinito: si tratta di un prodotto infinito, cioè del limite di un’espressione del tipo a1 ·a2 ·. . .·an . La nozione di prodotto infinito è analoga a quella di somma infinita introdotta nel secondo capitolo. Per la dimostrazione, basta rifarsi alla 5.18. 36. Mostrare che il procedimento del raddoppio del numero dei lati si può realizzare (sempre mediante le formule 5.16 e 5.17) anche a partire da un semiesagono, o da una qualsiasi poligonale con lati uguali inscritta nel semicerchio. 37. Partendo dal semiesagono anziché dal semiquadrato, trovare la formula analoga alla 5.18 e dedurne una nuova rappresentazione di π mediante un prodotto infinito. Verificare l’esattezza della formula mediante il calcolatore. Soluzioni degli esercizi del capitolo 5 Paragrafo 5.1 1. Se P0 = A, P1 , . . . , Pm = B sono punti del cammino, per la disuguaglianza triangolare si ha: AB ≤ P0 P1 + P1 P2 + . . . + Pm−1 Pm . AB è minore o uguale alla lunghezza di una poligonale inscritta nel cammino, quindi è minore o uguale alla lunghezza del cammino. l’uguaglianza si ha quando il cammino coincide con il segmento AB e i punti Pi , appartenenti al segmento, mantengono l’ordine degli indici. 2. Se l’intervallo parametrico ha ampiezza 0, 1, la lunghezza della poligonale inscritta nel cammino è 1, 478. 3. Se l’intervallo parametrico ha ampiezza 0, 1, la lunghezza della poligonale inscritta nel cammino è 1, 421. 4. La lunghezza del cammino è uguale a quella dell’esercizio precedente (basta riflettere che le funzioni che esprimono i due cammini sono reciprocamente inverse) CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 288 5. Si trova una stima per difetto della lunghezza dell’arco di parabola compreso fra l’origine e il punto di intersezione fra parabola e cerchio appartenente al primo quadrante. Con la corda, si trova un valore superiore a 1. L’arco di parabola completo, quindi deve avere una lunghezza superiore a 2. 6. Suddividendo l’intervallo [1, 2] in dieci sottointervalli, si ricava che la lunghezza della poligonale inscritta è 1, 13. 7. La lunghezza del cammino è 4π. 9. La dimostrazione si basa sul fatto che la similitudine trasforma ogni poligonale di lunghezza l inscritta nel cammino F in una poligonale di lunghezza λl. Se L è l’estremo superiore delle lunghezze delle poligonali inscritte in F (L esiste finito perché F è rettificabile), allora le lunghezze delle immagini delle poligonali inscritte in F mediante la similitudine hanno come estremo superiore λL. 10. Naturalmente è consigliabile fare il calcolo in modo automatico: si ottiene che la lunghezza dell’ellisse è L = 9, 688348. 11. * La distanza fra due punti P1 ↔ (x1 , y1 , z1 ) e P2 ↔ (x2 , y2 , z2 ) di R3 è p (x1 − x2 )2 + y1 − y 2 )2 + z1 − z 2 )2 (versione tridimensionale del teorema di Pitagora). Anche in questo caso per gestire il calcolo è bene ricorrere ad un calcolatore. La lunghezza della curva è circa 5. 12. ** L’omotetia di centro O e costante a trasforma la parabola di equazione y = ax2 nella parabola di equazione y = x2 e l’intervallo [0, v] nell’intervallo [0, av], modificando la lunghezza della curva di un fattore a. Quindi se s(av) è la lunghezza dell’arco di parabola y = x2 sull’intervallo [0, av], si avrà che la lunghezza cercata è L = a1 s(av). q 2 1 13. ** La massima distanza è 2 L2 − AB (nel caso in cui il cammino consti di due segmenti di uguale lunghezza L2 , che formano un triangolo isoscele). 14. ** I punti del cammino F giacciono entro un’ellisse di fuochi A e B. Rappresentando tale ellisse in un riferimento cartesiano ortogonale, in modo che siano A ↔ (−c, 0) e B ↔ (c, 0) e i vertici (a, 0), (−a, 0), (0, b) e (0, −b), occorre dimostrare che per c < x < a la distanza di un punto dell’ellisse da B è inferiore alla distanza da Bqdi un punto dell’ellisse la cui ascissa sta fra 0 e c. In tal modo, la massima distanza rimane ancora 1 2 L2 − AB 2 Paragrafo 5.2 15. l = 20 3 π ' 20, 94395 16. l1 == 2r1 arccos d2 +r12 −r22 , l2 2r1 d d2 +r2 −r2 == 2r2 arccos 2r22 d 1 hp 18. La lunghezza della cinghia è l = 2 d2 − (r1 + r2 )2 + (r1 + r2 ) π 2 2 + arcsin r1 +r d i 19. α ' 0, 4. 20. Il perimetro di ADG è 6, 03, il perimetro di F EB è 21, 29. 21. (a) 0, 4467 (b) 0, 4850 (c) 0, 6667 (d) 0, 7958 l’ultima strategia è quella che offre maggiore probabilità di salvezza al naufrago. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 289 Paragrafo 5.3 23. a) 53 b) 12 c)0 d)1 25. a) 29 b) 12 c)6 d) − e)1 f )0 √ e) 2 f ) 21 √1 3 26. Basta tener presente che: sin(2P ) α = sin( α π) P 27. La disuguaglianza sin α < α < tan α, valida per α abbastanza vicino a 0, permette di scrivere: sin α − sin α < α − sin α < tan α − sin α da cui si ricava: 0 < α − sin α < sin α 1 − cos α cos α Dividendo per α2 si perviene alla conclusione. 28. * a)0 c) 12 b) − 1 29. ** Per 0 < α < π 4 si può scrivere: α − sin α < Poiché cos α > √1 2 e 1 − cos α = 2 sin2 α 2 sin α (1 − cos α) cos α si ha che: α √ α − sin α < 2 2 sin α sin2 2 Sfruttando il fatto che sin α < α, si arriva all’uguaglianza: α3 α − sin α < √ 2 da cui si ricava la conclusione. 30. ** Ponendo cos α = 1−2 sin2 si ottiene: α 2 e utilizzando il risultato dell’esercizio precedente: sin α2 = cos α = 1 − Ponendo r(α) = 2 α s α 2 − 2s α 2 2 , α 2 −s α 2 , α α α2 + 2 α s( ) − 2 s( )2 2 2 2 α4 si dimostra che r(α) > 0 e r(α) < √ . 4 2 απ απ ' . 180 180 Nei due esercizi precedenti abbiamo trovato una maggioranzione dell’errore, sia nel caso del seno, che π π 3 √1 nel caso del coseno. Nel caso dell’angolo di 1◦ , la differenza fra sin(360) 1 e 180 è inferiore a 180 · 2. Analoghe considerazioni si possono fare per l’approssimazione del coseno. 31. Si ha sin(360) α = sin 32. L(r) = 2r arcsin hr limr→+∞ L(r) = 2h. CAPITOLO 5. LA LUNGHEZZA DI UN CAMMINO 290 33. Se O è il centro della sfera e Q il punto in cui il raggio riflesso tocca l’asse di simmetria, facendo ricorso a r formule di trigonometria, si dimostra che 0Q = 2 cos β , dove β < α è l’ampiezza dell’angolo di incidenza del raggio luminoso sullo specchio. Per α piccolo , anche β è piccolo e cos β tende a 1, quindi OQ tende a 2r . I raggi, quindi tendono a concentrarsi vicino al punto che sta a metà strada fra il centro di curvatura e il vertice dello specchio. Paragrafo 5.4 35. Partendo dalla formula 5.18, si può affermare che: 2 n→∞ a1 · a2 · a3 · . . . · an π = lim e quindi: lim a1 · a2 · a3 · . . . · an = n→∞ Con qualche calcolo, si vede che an = n volte). q √ √ 2+ 2+...+ 2 2 2 π (a numeratore il termine 2 compare esattamente Moltiplicando un numero finito di termini a1 , a2 , . . . , an si ottiene un’approssimazione per difetto di π2 . L’uguaglianza si ha solo per un numero infinito di termini, e ciò si può fare ricorrendo all’operazione di limite. 36. Preso un semicerchio, si considerano i semipoligoni regolari di n lati inscritto e circoscritto. Se ln è il semilato inscritto, sn il semilato del poligonoq circoscritto e an l’apotema, si dimostra, come nel caso dei poligono di 2n lati, che s = l a e che an+1 = 1+an 2 . Si continua con lo stesso procedimento esposto nel paragrafo 5.4. 37. Partendo dal semiesagono si hanno i seguenti valori iniziali: √ √ C1 = 2 3, I1 = 3, , a1 = 3 2 La relazione: In 1 = I1 a2 · a3 · · · · · an−1 · an rimane valida, e da essa si ricava: 3 = π p 2+ 2 √ q 3 · p √ 2+ 2+ 3 · 2 r 2+ q 2+ 2 p 2+ √ 3 ... Capitolo 6 La misura, l’area Obiettivo generale del capitolo è introdurre il concetto di misura di un insieme ed in particolare di area. Obiettivi specifici: • introdurre un sistema di assiomi caratteristico di ogni tipo di misura; • definire l’area di un insieme del piano mediante successioni di pluriquadrati inscritti e circoscritti nell’insieme, e verificare che l’area così definita soddisfa gli assiomi della misura; • sviluppare una breve teoria della equiscomponibilità (limitatamente ai poligoni); • giustificare alla luce della nozione di area introdotta le note formule per l’area del disco e del settore circolare; • inquadrare alla luce della teoria della misura alcuni aspetti del calcolo delle probabilità. 6.1 Le funzioni additive d’insieme: l’area Nelle attività pratiche, nella scienza, nella tecnologia si compiono spesso operazioni di misura. In fisica si misurano lunghezze, tempi, aree, masse, cariche elettriche; in economia si compie l’attribuzione di un valore a certi beni economici: anche questo può essere visto come un procedimento di misura. Che significa misurare? Ogni tipo di misura procede con un metodo ben determinato, che entra in modo essenziale nella definizione della grandezza che si vuole misurare. Ma se, con atteggiamento tipicamente matematico, prescindiamo dalle particolarità dei singoli procedimenti, ci accorgiamo che essi possiedono questa caratteristica comune: di far corrispondere a ciascun oggetto di un certo tipo un numero reale, che viene chiamato sua misura. Possiamo associare ad ogni corpo la sua massa o la sua carica elettrica, una volta stabiliti l’unità di misura ed il procedimento per compiere la misura. Un’importante proprietà di molti procedimenti di misura è l’additività: se scomponiamo un corpo di cui abbiamo misurato la massa in due parti, ci aspettiamo che sommando le masse di queste si ottenga la massa iniziale; in modo analogo, il valore complessivo di più beni economici può essere pensato come la somma dei valori dei singoli beni. Qualche volta può accadere che il valore di due beni economici superi la somma dei loro valori separati, oppure può accadere che chi acquista molta merce possa ottenere uno sconto rispetto alla somma dei singoli importi. Anche in fisica vi sono grandezze che non sono additive, come la temperatura o la densità di un corpo. Ma questi esempi non tolgono importanza alla legge di additività, che rimane fondamentale. In matematica il concetto di misura è fondamentale, e l’abbiamo usato fino dalla scuola di base: misure di lunghezze, di aree, di segmenti. . . È giusto, a questo punto, dare una sistemazione teorica più precisa a questa materia, e ci sarà utile fare ricorso alla teoria degli insiemi. Sia dunque X un insieme e sia F una famiglia di sottoinsiemi di X ( ci renderemo conto più avanti che non sempre F può essere la famiglia di tutti i sottoinsiemi di X). La famiglia F deve contenere l’insieme vuoto; inoltre, se A e B appartengono a F, anche A ∪ B, A ∩ B e A\B devono appartenere a F. (In altre parole: 291 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 292 vogliamo che le operazioni di unione, intersezione, differenza si possano compiere restando sempre in F). Gli insiemi della famiglia F vengono detti misurabili. Ed ecco la prima definizione fondamentale: Definizione 29 Si dice funzione additiva di insieme (o misura) definita in F un’applicazione m:F →R a valori reali non negativi che abbia le seguenti proprietà: 1. (di additività). Se A e B appartengono a F ed è A ∩ B = ∅ (cioè A e B sono disgiunti), si ha: m(A ∪ B) = m(A) + m(B) (6.1) 2. (di isotonia). Se A e B appartengono ad F ed è A ⊂ B, allora si ha: m(A) ≤ m(B) (6.2) Da questa definizione si ricavano immediatamente alcune proprietà interessanti: 1. Risulta m(∅) = 0. Basta infatti prendere nella 6.1 A = ∅, B = ∅. Si ottiene m(∅) = m(∅) + m(∅) da cui, appunto, risulta m(∅) = 0. 2. La proprietà 6.2 è conseguenza della 6.1. Infatti possiamo scrivere B = A ∪ (B\A); gli insiemi A e B\A appartengono ad F e sono disgiunti. Per la 6.1 si ha: m(B) = m(A) + m(B\A) Essendo m(B\A) ≥ 0 ( perché m è una funzione a valori non negativi), si conclude che è m(B) ≥ m(A). Ricordiamo che anche all’interno della matematica abbiamo già trovato operazioni di misura: prima di tutte l’operazione di contare, che consiste nell’associare a ciascun insieme finito il numero degli elementi che lo compongono. Anche la misura dei segmenti, la lunghezza dei cammini continui, la misura degli angoli rientrano in questo quadro generale, pur di allargare un poco la famiglia degli insiemi misurabili. Consideriamo, ad esempio, il primo caso (cioè la misura dei segmenti): se vogliamo poter compiere le operazioni di unione, intersezione, differenza ottenendo sempre insiemi della famiglia F, dobbiamo supporre che questa non contenga solo i segmenti, ma anche gli insiemi che sono unioni di famiglie finite di segmenti. Analogamente, nel secondo caso dovremmo considerare gli insiemi che sono unione di una famiglia finita di cammini, e nel terzo caso regioni che sono unioni di una famiglia finita di angoli aventi la stessa origine. Tuttavia per quanto ci interessa, non avremo bisogno di questo ampliamento del nostro quadro; ci limitiamo a studiare quella importantissima funzione additiva di insieme che è l’area (nel piano); riguardo ad essa, finora abbiamo utilizzato solo alcuni risultati appresi a livello intuitivo nei nostri studi precedenti. È opportuno che ora fissiamo, sulla base della nostra intuizione, le proprietà che riteniamo essenziali per la nozione di area. (Nel fare matematica non è importante solo svolgere dimostrazioni, ma anche saper indurre dall’esperienza leggi e proprietà precise, da dimostrare o da mettere come base di successive deduzioni). Il nostro problema può dunque essere posto così: oltre ad essere una funzione additiva d’insieme, quali ulteriori proprietà deve avere l’area? Anzitutto è necessario ‘legare’ l’area con la distanza, ponendo la condizione ovvia che due figure isometriche abbiano la stessa area. Inoltre occorre fissare l’unità di misura, cosa che sempre si fa - in modo più o meno convenzionale - nei procedimenti di misura per ‘standardizzare’, cioè per rendere univoco, il procedimento di misura. Nel caso dell’area, la scelta dell’unità di misura è vincolata alla distanza, già introdotta nel piano (o, se si vuole, all’unità di misura scelta per le lunghezze). Le proprietà da aggiungere, quindi, sono le seguenti: 3. (di invarianza rispetto alle isometrie). Se un insieme A è misurabile, ogni insieme A0 ad esso isometrico, cioè ottenuto da A mediante isometria, è misurabile ed ha la stessa misura. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 293 4. (di normalizzazione). Un quadrato di lato 1 è misurabile ed ha misura 1. La nozione di area risale alle origini della storia della matematica, forse per esigenze di carattere pratico come la misura dell’estensione di campi, e per molto tempo ha svolto un ruolo più importante della stessa nozione di isometria (che oggi è invece ritenuta fondamentale). In Euclide il termine ‘uguali’, riferito alle figure, significa ‘aventi la stessa area’. Per noi non sarebbe irragionevole prendere come assioma l’esistenza della funzione di insieme area, con le proprietà 1), 2), 3) e 4), definita per una classe opportuna di insiemi. Preferiamo però dimostrare l’esistenza dell’ area. In questo modo avremo anche il vantaggio di veder nascere la famiglia F degli insiemi misurabili. La costruzione dell’area verrà svolta nel prossimo paragrafo. Accanto al termine ‘area’ impiegheremo anche il termine più generale di misura, che, a seconda del contesto, potrà indicare funzioni additive d’insieme diverse dall’area. 6.2 La costruzione dell’area Il procedimento generale che seguiremo per introdurre l’area di un insieme del piano imita il modo con cui, disponendo di un foglio di carta millimetrata, si valuta l’area di una figura tracciata sul foglio stesso. Supponiamo che la figura rappresenti, in un’opportuna scala, un certo territorio, ad esempio un’isola. Supponiamo che, nella scala adottata, 1 km sia rappresentato da 1 cm. Per avere una stima per difetto dell’area, in km2 , possiamo contare i quadrati di lato 1 cm contenuti completamente nella figura, per avere una stima per eccesso, possiamo contare i quadrati che hanno almeno un punto in comune con la figura (in altre parole, escludiamo i quadrati che rappresentano solo mare). Fra i valori c’è una discrepanza piuttosto forte. Possiamo ottenere una migliore approssimazione contando i quadratini di lato 1 mm: quelli compresi nella figura e quelli aventi almeno un punto in comune con essa (avremo allora un valore per difetto e uno per eccesso dell’area in ettometri quadrati). CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 294 Volendo avere un risultato ancora più preciso, possiamo pensare di suddividere ogni quadratino di lato 1 mm in cento quadratini di lato un decimo di millimetro: la cosa risulta poco agevole sul piano pratico, ma teoricamente è possibile continuare a fare quadrettature sempre più fini, rendendo sempre più piccola la differenza fra l’area circoscritta e l’area inscritta. Proviamo allora a definire in termini più precisi il procedimento di misura. Quadrettature e pluriquadrati Consideriamo anzitutto un riferimento cartesiano e tracciamo le rette parallele all’asse x di ordinata intera (y = k, con k ∈ Z) e le rette parallele all’asse y di ascissa intera (x = h, con h ∈ Z). Otteniamo così una quadrettatura, cioè una famiglia di quadrati, che indicheremo con 0 ; tutto il piano risulta ricoperto da questi quadrati. Per poter far giocare in 0 la proprietà di additività è opportuno che 0 sia una partizione del piano, cioè che sia formata da quadrati fra loro disgiunti e ciò può avvenire se si stabilisce che da ogni quadratino venga tolta una parte della sua frontiera, e precisamente il lato destro e il lato superiore; così dei quattro vertici viene assegnato al quadratino solo quello in basso a sinistra. Se le coordinate di questo vertice sono (m, n), con m e n interi relativi, i punti del quadratino sono i punti P ↔ (x, y) tali che: m ≤ x < m + 1, n≤y <n+1 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 295 (m, n + 1) (m + 1, n + 1) (m, n) (m + 1, n) Indichiamo con 1 la quadrettatura ottenuta suddividendo ogni lato dei quadratini di 0 in 10 parti uguali, mediante rette parallele agli assi (e considerando i quadratini sempre privi del loro lato destro e del loro lato m n superiore). I vertici dei quadratini di 1 avranno coordinate 10 , 10 , essendo m e n interi relativi; ogni quadrato di 0 risulta scomposto in 100 quadratini di 1 . Così si può proseguire. Indicheremo con k la quadrettatura n m , con m e n interi relativi. costituita dai quadratini che hanno i vertici nei punti di coordinate 10 k 10k y O x CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 296 Definizione 30 Chiamiamo pluriquadrato una figura che sia unione di un numero finito di quadratini presi da una stessa quadrettatura k . Naturalmente, se un pluriquadrato è estratto da una quadrettatura k , esso può pensarsi estratto anche da una quadrettatura più fine di k , cioè da ogni r , con r > k. La famiglia dei pluriquadrati è di impiego particolarmente comodo: si verifica subito che l’unione, l’intersezione e la differenza di pluriquadrati sono ancora pluriquadrati. Basta prendere l’ovvia precauzione di considerare fra i pluriquadrati anche l’insieme vuoto (unione di una famiglia . . . vuota di pluriquadrati). Le quadrettature risultano comode in tante questioni pratiche: anche lo schermo della televisione è basato su una quadrettatura del campo visivo (con la complicazione ulteriore della varia intensità luminosa e del colore di ogni quadratino). L’attribuzione dell’area ai quadratini è ovvia, se si tiene presente che per l’area devono valere le proprietà 1), 2), 3) e 4). Posta uguale ad 1 l’area dei quadrati di 0 , è chiaro che l’area di ciascun quadratino di 1 deve 1 (ce ne sono 100 in ogni quadratino di 0 , e devono avere tutti la stessa area, perché si essere uguale a 100 ottengono l’uno dall’altro mediante una traslazione). Così proseguendo, si capisce che ogni quadratino di k deve avere area 1012k . Rispettando l’additività, si deve dunque assegnare ad un pluriquadrato D estratto dalla quadrettatura k l’area: r (6.3) 102k dove r è il numero dei quadratini che lo compongono. Naturalmente, se D viene considerato estratto da una quadrettatura più fine di k , l’area che si attribuisce rimane la medesima. La proprietà di additività nella famiglia dei pluriquadrati è ovvia: se due pluriquadrati D1 e D2 (che possiamo pensare estratti da una medesima quadrettatura k ) sono disgiunti, D1 ∪ D2 è costituito da un numero di quadratini che è esattamente la somma di quelli di D1 con quelli di D2 . Dopo queste premesse, siamo in grado di introdurre un procedimento di misura di tipo generale. Sia T un insieme limitato di R2 (ricordiamo che ‘limitato’ significa che è tutto contenuto in un disco o, equivalentemente, in un quadrato - con centro nell’origine). Fissata la quadrettatura k di tutto il piano, risultano fissati: m(D) = 1. il pluriquadrato più grande possibile, estratto da k , tutto contenuto in T . Esso sarà formato da tutti i quadratini di k che sono interamente contenuti in T ; lo chiameremo pluriquadrato inscritto in T . Lo indicheremo con Dk0 , e indicheremo con m0k la sua misura. Nel caso in cui non vi sia alcun quadratino di k tutto contenuto in T , Dk0 è l’insieme vuoto e la sua misura è nulla. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 297 y x O 2. il pluriquadrato più piccolo possibile, estratto da k , che contiene T . Esso è formato da tutti i quadratini di k che contengono qualche punto di T . Poiché i quadratini di k sono a due a due disgiunti, se vogliamo ricoprire T con un pluriquadrato, dobbiamo inserire in esso tutti i quadratini che contengono qualche punto di T . Indichiamo con Dk00 il pluriquadrato circoscritto a T e con m00k la sua misura. Occorre tenere presente che, essendo T limitato, sia Dk0 che Dk00 sono composti da un numero finito di quadratini. Notiamo ora che si ha m0k ≤ m00k (perché tutti i quadratini di Dk0 fanno parte anche di Dk00 ); inoltre valgono le seguenti proprietà molto importanti: • la successione m0k è crescente al crescere di k (o, almeno, non decrescente): infatti, quando la quadrettatura si infittisce, il pluriquadrato inscritto in T resta tale e quale o si arricchisce di altri quadratini. • la successione m00k è decrescente al crescere di k (o, almeno, non crescente): infatti, quando la quadrettatura si infittisce, il pluriquadrato circoscritto a T resta tale e quale o perde qualche quadratino. Ed ecco allora la fondamentale definizione: Definizione 31 Se le successioni m0k e m00k costituiscono una scatola cinese (in altre parole: se esse hanno anche la proprietà dell’avvicinamento indefinito, o contiguità) il numero reale che esse comprendono si dice area o, più generalmente, misura di T : m(T ) e l’insieme T si dice misurabile (o anche quadrabile). Il termine ‘misurabile’ è generico, si riferisce a qualsiasi tipo di misura, mentre il termine ‘quadrabile’ si riferisce a quel particolare tipo di misura che è l’area. Osserviamo che la successione m0k , essendo non decrescente e limitata superiormente, tende all’estremo superiore dell’insieme {m0k }, analogamente, la successione m00k , essendo non crescente e limitata inferiormente, tende all’estremo inferiore dell’insieme {m00k }; se l’insieme T è misurabile, il limite delle successioni è evidentemente il medesimo ed è m(T ). Dunque l’area può essere ottenuta anche con il procedimento di limite. Riflettiamo ancora sulla definizione che abbiamo dato: osserviamo che, volendo attribuire a T un’area, non abbiamo altra scelta. Infatti, essendo: Dk0 ⊂ T ⊂ Dk00 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 298 per la proprietà 2) dell’area (isotonia), la misura di T deve essere compresa, per ogni k, fra m0k = m(Dk0 ) e m00k = m(Dk00 ). Dunque, nel caso in cui [m0k , m00k ] sia una scatola cinese, non c’è altra scelta possibile; nel caso in cui [m0k , m00k ] non sia una scatola cinese, c’è tutto un intervallo di indeterminazione (fra l’estremo superiore di {m0k } e l’estremo inferiore di {m00k }). Questa incertezza ci distoglie dall’attribuire una misura (area) a T . Ma possiamo trovare effettivamente esempi di insiemi non misurabili? Sia T l’insieme costituito dai punti del quadrato 0 ≤ x < 1, 0≤y<1 a coordinate razionali, cioè con x e y numeri razionali. Il quadrato formato da tutti i punti (x, y) con 0 ≤ x < 1, 0 ≤ y < 1 è un elemento della quadrettatura 0 . D’altra parte, tutti i quadratini in cui si spezza passando alla quadrettatura 1 e alle successive contengono sia punti di T , sia punti che non sono di T . Se ne conclude che, in questa caso, per ogni k si ha: m0k = 0, m00k = 1 L’insieme che abbiamo preso in osservazione, quindi, risulta non misurabile. Abbiamo iniziato con l’ esempio di un insieme non misurabile, ma ora dimostreremo che molte delle figure che già conosciamo sono misurabili e che la loro area ha il valore che ci è familiare fin dalle scuole medie. Cominciamo con il rettangolo, anzi, con il rettangolo avente i lati paralleli agli assi. Teorema 42 Un rettangolo con i lati paralleli agli assi è misurabile, e la sua area è uguale al prodotto delle lunghezze dei lati. Abbiamo parlato del rettangolo, senza precisare se in esso siano da includere i lati che lo limitano o no (o se siano da includere soltanto in parte); come vedremo nella dimostrazione, il risultato finale è il medesimo. Cominciamo la dimostrazione con un caso particolare: quello di un rettangolo [a, b) × [c, d), (con a < b, c < d), dove a, b, c, d sono numeri decimali finiti; si può dunque scrivere: a= α , 10k b= β , 10k c= γ , 10k d= δ , 10k (6.4) y d c O a b x CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 299 dove k è un intero ≥ 0 e α, β, γ, δ sono interi relativi. È evidente che in questo caso il rettangolo coincide con un pluriquadrato estratto dalla quadrettatura k ; i quadratini che lo compongono sono disposti secondo (β − α) colonne e (δ − γ) righe. In tutto, dunque, vi saranno (β − α)(δ − γ) quadratini, ciascuno di area 10−2k . In base alla definizione che abbiamo dato, l’area del rettangolo è data da (β − α)(δ − γ)10−2k . Sostituendo ad α, β, γ, δ i valori dati dalla 6.4, si ottiene che l’area è: (b − a) · (c − d) Fino a qui la dimostrazione, a parte la maggiore pignoleria, coincide con quella che si fa nella scuola elementare. Consideriamo ora un rettangolo [a, b] × [c, d], essendo a, b, c, d numeri reali qualsiasi, con a < b e c < d. Fissato un intero k > 0, risultano determinati un pluriquadrato inscritto ed un pluriquadrato circoscritto estratti da k . Si verifica subito che essi sono entrambi rettangoli (privi del lato destro e del lato superiore). Sia [a0k , b0k ] × [c0k , d0k ] il pluriquadrato inscritto. y d d′k c′k c O aa′ k b′k b x Si ha: lim a0k = a, lim b0k = b, lim c0k = c, lim d0k = d k→∞ k→∞ k→∞ k→∞ Infatti si ha: a ≤ a0k < a + 10−k , b ≤ b0k < b + 10−k , c ≤ c0k < c + 10−k , d ≤ d0k < d + 10−k Per quanto abbiamo dimostrato prima, l’area del pluriquadrato inscritto è (b0k − a0k ) · (d0k − c0k ). Al tendere di k all’infinito, questa successione tende a (b − a) · (c − d). Questo prova che il rettangolo è misurabile, ed ha per area (b − a) · (c − d). 2 Osservazione 12 Questa formula ci dice, fra l’altro, che un rettangolo conserva la sua area quando viene sottoposto ad una traslazione. Osservazione 13 Se avessimo considerato un rettangolo privo del suo contorno, cioè (a, b) × (c, d), oppure un rettangolo privo del suo lato inferiore avremmo trovato lo stesso risultato. Osservazione 14 Il ragionamento fatto ci dice che un segmento parallelo all’asse x o all’asse y (che si può considerare come un rettangolo degenere, avente, cioè, un lato di lunghezza nulla) è misurabile ed ha area nulla. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 300 Proprietà degli insiemi misurabili Prima di procedere allo studio di altri casi particolari, è opportuno dimostrare un risultato di carattere generale: il teorema che segue ci dice che la famiglia di insiemi misurabili è chiusa rispetto alle operazioni di unione, intersezione e differenza. Teorema 43 Se A e B sono insiemi di R2 misurabili, anche A ∪ B, A ∩ B, A\B lo sono. Se, inoltre, A e B sono disgiunti, si ha: m(A ∪ B) = m(A) + m(B) (6.5) Prima di affrontare la dimostrazione del teorema, riflettiamo ancora sulla definizione di insieme misurabile. La misurabilità consiste nel fatto che, indicando sempre con Dk00 il pluriquadrato circoscritto e con Dk0 il pluriquadrato inscritto, estratti da k , la differenza: m(Dk00 ) − m(Dk0 ) tende a zero al tendere di k all’infinito: ma questa differenza rappresenta la misura del pluriquadrato Dk00 \Dk0 . Come si possono caratterizzare i quadratini di Dk00 \Dk0 ? Sono quadratini che contengono punti dell’insieme T , ma che non sono interamente contenuti in T ; potremmo chiamarli quadratini di confine. Veniamo dunque alla dimostrazione del teorema, cominciando con il caso dell’unione. Le considerazioni che faremo potranno essere seguite più facilmente osservando la figura seguente: y B A O x Presa la quadrettatura k , quali sono i quadratini di confine per A ∪ B? Un tale quadratino contiene punti di A ∪ B e punti che non sono di A ∪ B, cioè punti che non sono né di A né di B. Allora, se esso contiene punti di A, lo ritroviamo fra i quadratini di confine di A; se contiene punti di B, lo ritroviamo fra i quadratini di confine di B. Naturalmente, un quadratino di confine di A ∪ B può essere simultaneamente di confine per A e per B. In conclusione il pluriquadrato di confine di A ∪ B è contenuto nell’unione del pluriquadrato di confine di A con il pluriquadrato di confine di B, ed ha area che non supera la somma delle aree di questi. Ma A e B sono misurabili per ipotesi: l’area del pluriquadrato di confine di A e l’area del pluriquadrato di confine di B tendono a zero; così, per quello che si è detto, anche l’area del pluriquadrato di confine di A ∪ B, CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 301 essendo maggiorata dalla somma delle aree dei due pluriquadrati di confine, tende a zero. Perciò A ∪ B è misurabile. Dimostriamo ora la proprietà di additività dell’area. Siano A e B insiemi misurabili disgiunti. Sappiamo già che A ∪ B è misurabile, quindi, per calcolare l’area di A ∪ B, non c’ è che da prendere il limite dell’area del pluriquadrato estratto da k inscritto in A ∪ B , che indicheremo con Dk0 . Vediamo come è fatto questo pluriquadrato; esso comprende: 0 , inscritto in A; • quadratini tutti contenuti in A; essi formano il pluriquadrato D1,k 0 , inscritto in B; • quadratini tutti contenuti in B; essi formano il pluriquadrato D2,k • quadratini tutti contenuti in A ∪ B, che si trovano ‘a cavallo’ fra A e B (cioè che contengono sia punti di A che punti di B); essi formano un pluriquadrato che indicheremo con Mk . Possiamo dunque scrivere: 0 0 Dk0 = D1,k ∪ D2,k ∪ Mk poiché A e B sono disgiunti, questi tre pluriquadrati sono anch’essi certamente disgiunti (qualcuno di essi può essere, naturalmente, anche vuoto). Allora, per le aree si ha: 0 0 m(Dk0 ) = m(D1,k ) + m(D2,k ) + m(Mk ) (6.6) ma Mk , contenendo sia punti di A che punti che non sono di A, è tutto contenuto nel pluriquadrato di confine di A; la sua area, m(Mk ), non supera l’area del pluriquadrato di confine di A e perciò tende a 0 al tendere di k all’infinito. Dunque, passando al limite in entrambi i membri della relazione 6.6, si ottiene: m(A ∪ B) = m(A) + m(B) che è, appunto la 6.5. Per concludere la dimostrazione, resta da provare la misurabilità di A ∩ B e di A\B, quando A e B siano misurabili. L’unica cosa da vedere è che il pluriquadrato di confine di A ∩ B e quello di A\B sono anch’essi contenuti nell’unione del pluriquadrato di confine di A, con il pluriquadrato di confine di B. E questo lo lasciamo da verificare al lettore. 2 Abbiamo ancora bisogno di un risultato generale. Il seguente teorema ci dice che la misurabilità di un insieme può essere accertata ‘rinserrandolo’ fra due insiemi misurabili (anziché soltanto fra due pluriquadrati come vuole la definizione). Questo ci darà un grande vantaggio in pratica, perché gli insiemi di cui abbiamo verificato la misurabilità ci serviranno come insiemi ‘di prova’ per mostrare la misurabilità di nuovi insiemi. Teorema 44 Un insieme T è misurabile se si possono trovare due insiemi misurabili, uno contenente T e uno contenuto in T , le cui aree differiscono di tanto poco quanto si vuole. Prendiamo un numero > 0, arbitrario. Per ipotesi, si possono trovare due insiemi misurabili A0 , A00 tali che sia: A0 ⊂ T ⊂ A00 e: m(A00 ) − m(A0 ) < Essendo A0 ed A00 misurabili, si può trovare una quadrettatura k , con k tanto grande che, indicando con Dk0 il pluriquadrato inscritto in A0 e con Dk00 il pluriquadrato circoscritto ad A00 , si abbia: m(Dk00 ) − m(A00 ) ≤ , m(A0 ) − m(Dk0 ) ≤ (Si tenga presente che il limite di m(Dk0 ) al tendere di k all’infinito è m(A0 ) e, analogamente, il limite di m(Dk00 ) è m(A00 )). Si ha dunque che Dk0 ⊂ A0 ⊂ T ⊂ A00 ⊂ Dk00 e, come si può vedere nella figura, la differenza fra le misure di un insieme e di quello immediatamente successivo non supera mai . CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 302 m(Dk′ ) m(A′ ) ≤ǫ m(A′′ ) m(Dk′′ ) ≤ǫ ≤ǫ Se ne ricava che: m(Dk00 ) − m(Dk0 ) ≤ 3 Dunque abbiamo ottenuto un pluriquadrato Dk00 contenente T ed un pluriquadrato Dk0 contenuto in T , entrambi estratti dalla quadrettatura k , le cui aree differiscono per meno di 3. A maggior ragione, il pluriquadrato estratto da k inscritto in T (che contiene Dk0 ) e quello estratto da k circoscritto a T (che è contenuto in Dk00 ) hanno misure che differiscono per non più di 3. Essendo 3 un numero positivo qualsiasi, si conclude che T è misurabile. Naturalmente, per l’isotonia della misura si ha: m(A0 ) ≤ m(T ) ≤ m(A00 ) Dunque la misura di T è l’elemento separatore della coppia di classi contigue formata dall’area degli insiemi misurabili contenuti in T e dall’area degli insiemi misurabili contenenti T . 2 Osservazione 15 Il teorema dimostrato ci dice anche che la classe degli insiemi misurabili non si allarga più se adoperiamo gli insiemi misurabili anziché i pluriquadrati per ‘rinserrare’ gli insiemi che vogliamo misurare. Ed ecco alcuni risultati particolari di notevole interesse. Teorema 45 Un segmento è misurabile ed ha area nulla. Abbiamo già dimostrato il teorema nel caso di un segmento parallelo ad un asse. Possiamo dunque limitarci al caso del segmento obliquo. Siano P ↔ (a, c), Q ↔ (b, d) gli estremi del segmento. Preso un intero n > 0, suddividiamo il segmento P Q in n intervalli di uguale ampiezza, mediante i punti P0 = P, P1 , P2 , . . . , Pn = Q (in ordine) e consideriamo i rettangoli con i lati paralleli agli assi che hanno come vertici opposti due punti consecutivi della suddivisione. y Q d Pk Pk−1 c P O a b x (b−a)·(d−c) d−c Ciascuno dei rettangoli ha base b−a . Essi costituiscono un insieme n , altezza n e perciò area n2 (che potremo chiamare plurirettangolo) che è certamente misurabile, essendo unione di rettangoli e che ha area: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 303 (b − a) · (d − c) (b − a) · (d − c) = n2 n Al tendere di n all’infinito, la misura del plurirettangolo tende a 0. Per il teorema 44 possiamo affermare che il segmento è misurabile ed ha misura nulla. 2 n· Teorema 46 Ogni triangolo è misurabile. Consideriamo, infatti, a partire dalla quadrettatura k , i quadratini di confine: questi, contenendo sia punti interni che punti esterni al triangolo T , contengono certamente almeno un lato di T . C T B A Ma, per il teorema precedente, il pluriquadrato estratto da k che copre uno dei lati del triangolo ha misura che tende a zero al tendere di k all’infinito. Lo stesso accade dunque anche per il pluriquadrato che copre l’insieme AB ∪ BC ∪ CA (cioè la frontiera del triangolo). 2 Questo risultato si può estendere facilmente ai poligoni: occorre però, in via preliminare, ritornare sulla definizione di poligono. In geometria elementare si considerano esclusivamente poligoni convessi; qui daremo, invece, la seguente definizione più ampia: Definizione 32 Si dice poligono un insieme del piano che è unione di una famiglia finita di triangoli i quali, a due a due, possono avere: • nessun punto in comune • un solo vertice in comune • un intero lato in comune In altre parole, questi triangoli non devono sovrapporsi. Un poligono convesso (cioè una regione piana limitata da una spezzata chiusa convessa) rientra nella nostra definizione, perché lo si può facilmente scomporre in triangoli. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 304 Ma la nostra definizione è più generale: infatti un poligono - secondo questa definizione - può non essere convesso e può anche essere ‘fatto di più pezzi’. Dalla definizione e dai teoremi 43 e 46 risulta subito che ogni poligono è misurabile. 6.3 Le proprietà geometriche dell’area Restano da dimostrare le proprietà geometriche dell’area: in primo luogo la proprietà 3 (di invarianza rispetto alle isometrie). Procederemo per gradi, cominciando con l’invarianza rispetto alle traslazioni. Teorema 47 Sia T un insieme misurabile, e T̃ l’insieme ottenuto da T mediante una traslazione. Allora T̃ è misurabile ed ha la stessa misura di T . Indichiamo, al solito, con Dk0 il pluriquadrato inscritto e con Dk00 il pluriquadrato circoscritto, estratti dalla medesima quadrettatura k . La traslazione τ che porta T in T̃ , porta Dk0 in un insieme D̃k0 e Dk00 in un insieme D̃k00 . Tf τ T CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 305 Qui occorre fare attenzione: D̃k0 e D̃k00 non saranno in generale pluriquadrati nel nostro senso (solo una traslazione di componenti h e k numeri decimali trasforma un pluriquadrato in un pluriquadrato). Ma quello che importa è che D̃k0 e D̃k00 sono misurabili (e lo sono certamente, perché unioni di quadrati) e che hanno la stessa area di Dk0 e Dk00 rispettivamente. Infatti, come ci dice il teorema 6.2 del paragrafo precedente, i rettangoli, ed in particolare i quadrati, conservano l’area quando sono sottoposti a traslazione. Dunque T̃ è compreso fra insiemi misurabili che hanno la stessa area dei corrispondenti che comprendono T . Per il teorema 44 del paragrafo precedente, T̃ è misurabile ed ha evidentemente la stessa area di T . 2 Teorema 48 Un rettangolo ABCD ed un parallelogramma A0 B 0 C 0 D0 siano tali che i punti A, B, A0 , B 0 siano allineati, i punti C, D, C 0 , D0 siano allineati e sia AB = A0 B 0 (e, pertanto, anche DC = D0 C 0 ). A A′ D B B′ C Allora essi hanno la stessa area. Eseguendo, eventualmente, una traslazione in direzione della retta AB, possiamo supporre che il rettangolo ed il parallelogramma abbiano un lato in comune: sia D = D0 , C = C 0 . Uno dei punti A0 , B 0 (a meno che il parallelogrammo non coincida con il rettangolo) cade fuori dal segmento AB; supponiamo dunque che B 0 cada fuori dal segmento AB dalla parte di B. La traslazione che manda D in C manda A in B, A0 in B 0 . Dunque i triangoli AA0 D e BB 0 C, essendo trasformabili l’uno nell’altro mediante traslazione, hanno la stessa area, per il teorema precedente. Consideriamo il trapezio ADCB 0 ; esso si scompone nel rettangolo ABCD e nel triangolo BB 0 C; ma esso si può anche scomporre nel parallelogrammo A0 B 0 CD e nel triangolo AA0 D. Dunque: m(ADCB 0 ) = m(ABCD) + m(BB 0 C) = m(A0 B 0 CD) + m(AA0 D) Ma essendo m(BB 0 C) = m(AA0 D) si ricava subito che: m(ABCD) = m(A0 B 0 CD) che è appunto la nostra tesi. 2 Nel prossimo paragrafo, avremo occasione di occuparci con più ampiezza dell’area dei poligoni. Intanto passiamo a dimostrare le proprietà di invarianza rispetto alle simmetrie assiali. Poiché, come sappiamo, ogni isometria può essere generata mediante simmetrie assiali, avremo concluso la dimostrazione della proprietà 3. Teorema 49 Sia T un insieme misurabile, e T̃ l’insieme ottenuto da T mediante una simmetria assiale. Allora T̃ è misurabile ed ha la stessa misura di T . La dimostrazione, come si capisce subito, ha lo stesso impianto di quella del teorema 47. L’unica variante necessaria sta nel dimostrare che trasformando un quadrato Q = ABCD mediante una simmetria che ha per asse una retta r, si ottiene un quadrato Q0 = A0 B 0 C 0 D0 che ha la stessa area. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA E 306 D F C B A t s B′ r A′ C′ F′ D′ E′ Supponiamo dapprima che la retta AB non sia parallela ad r. Mandiamo per A e per B rispettivamente le rette s e t perpendicolari a r. Tali rette passano certamente per A0 e B 0 rispettivamente e tagliano la retta CD nei punti E e F e la retta C 0 D0 nei punti E 0 e F 0 . Per il teorema 48 il quadrato ABCD ha la stessa area del parallelogramma ABF E, ed il quadrato A0 B 0 C 0 D0 ha la stessa area del parallelogrammo A0 B 0 F 0 E 0 ; ma i due parallelogrammi, sempre per lo stesso teorema 48, hanno la stessa area, uguale all’area di un rettangolo che ha la base uguale a AE = A0 E 0 e altezza uguale alla distanza delle due rette s e t. Nel caso in cui la retta AB sia parallela alla retta r, i due quadrati ABCD e A0 B 0 C 0 D0 si ottengono l’uno dall’altro mediante traslazione, e la nostra affermazione è immediata. 2 Il teorema di invarianza ci dice anche una cosa molto interessante: che la misura introdotta non dipende (come poteva sembrare inizialmente) dall’orientamento del sistema cartesiano di cui ci siamo serviti. Infatti, il cambiamento del sistema cartesiano produrrebbe lo stesso effetto di un’isometria, e pertanto lascerebbe invariata l’area. È importantissimo anche vedere come si comporta l’area rispetto alle similitudini: Teorema 50 Una similitudine di rapporto k > 0 trasforma un insieme misurabile T di area a in un insieme T̃ di area k 2 a. Ricordiamo che una similitudine di rapporto k si può sempre ottenere componendo un’isometria con un’omotetia di rapporto k; quindi basta dimostrare il teorema per il caso dell’omotetia. La dimostrazione segue ancora lo schema di quella del teorema 47. L’unica variante consiste ora nel vedere come si trasforma un quadrato Q di lato λ (e area λ2 ): esso viene trasformato in un quadrato Q̃ di lato kλ e di area k 2 λ2 . CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 307 y e Q Q x O I pluriquadrati inscritti e circoscritti, estratti dalla quadrettatura k di area m0k ed m00k rispettivamente, vengono trasformati in insiemi misurabili, contenuti in T̃ e contenenti in T̃ rispettivamente, di area k 2 m0k e k 2 m00k . Queste due successioni costituiscono una scatola cinese, dal momento che così è per le successioni m0k e m00k ; il numero reale che essa comprende, che è l’area di T̃ , è uguale al prodotto k 2 per il numero reale compreso fra le succcessioni m0k , m00k , che è l’area di T . In simboli: m(T̃ ) = k 2 m(T ) 2 Applichiamo i risultati trovati ad un problema classico, di cui abbiamo sentito più volte parlare: l’area del cerchio (più esattamente: del disco). Dal nostro punto di vista, il problema che ci poniamo è: il disco è misurabile? Possiamo limitarci a considerare un disco di raggio 1, dal momento che da esso, con una similitudine di rapporto r, ne possiamo ottenere un altro di raggio r arbitrario: il teorema 50, ora dimostrato, ci assicura allora la misurabilità di questo nuovo disco e ce ne fornisce l’area. Consideriamo dunque un disco D di raggio 1 e centro nell’origine del riferimento cartesiano. Piuttosto che impiegare le quadrettature, conviene servirsi di suddivisioni del piano più adatte al nostro scopo. Preso un intero n > 0, suddividiamo l’intervallo [−1, 1] dell’asse x in 2n intervalli di uguale ampiezza. In corrispondenza degli estremi di questi intervalli mandiamo le parallele all’asse y; dai punti in cui queste tagliano il cerchio mandiamo le parallele all’asse x. Intersecando le strisce ‘verticali ‘ e ‘orizzontali’ così ottenute, si ricavano dei rettangoli (alcuni dei rettangoli sono impropri, cioè hanno uno o entrambi i lati di lunghezza infinita, ma questi non ci interessano. . . ). Consideriamo quei rettangoli che sono interamente contenuti nel disco: la loro unione costituisce un plurirettangolo, che indicheremo con Pn0 (il termine plurirettangolo indica l’unione finita di una famiglia di rettangoli con i lati paralleli agli assi e non sovrapposti a due a due, cioè aventi solo i punti del loro contorno in comune). Analogamente indichiamo con Pn00 il minimo plurirettangolo estratto dalla nostra suddivisione che copre il disco. Il disegno ci mostra chiaramente come è fatto: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 308 y O x La differenza m(Pn00 ) − m(Pn0 ) è uguale alla somma delle aree dei rettangolini che appartengono a Pn00 e non a Pn0 . È facile valutare questa somma dal momento che questi rettangolini hanno tutti la stessa base n1 ; basta allora valutare la somma delle altezze. La somma delle altezze di quelli che stanno nel primo quadrante è 1, quindi la somma complessiva delle altezze è 4. Si conclude che: 4 n Poiché il numero n4 tende a zero al tendere di n all’infinito, si deduce che il disco D è misurabile. 2 Non ci accontentiamo di sapere che il disco è misurabile, ma vogliamo, in qualche modo, esprimere la sua area in funzione dei dati che ci sono già noti. È opportuno ampliare questo problema, e calcolare l’area di un settore circolare convesso. Come è noto, si dice settore circolare l’intersezione di un disco con un angolo avente il vertice nel centro del disco. m(Pn00 ) − m(Pn0 ) = Anzitutto, è chiaro che un settore circolare è misurabile, perché esso può essere ottenuto come intersezione del disco con un opportuno triangolo: e noi sappiamo dal teorema 43 che l’intersezione di due insiemi misurabili è misurabile. Notiamo poi che due settori circolari con la stessa ampiezza, sempre nel disco di raggio 1, hanno la stessa area, dal momento che essi possono essre trasformati l’uno nell’altro mediante un’isometria, e l’isometria conserva la misura (ricordare il teorema 49). CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 309 Possiamo indicare con a(θ) l’area del settore circolare di ampiezza θ, dove intenderemo che θ sia la misura dell’angolo in radianti. Si ha 0 ≤ a(θ) ≤ a(π) e risulta a(θ) = 0 solamente per θ = 0. Notiamo che se si spezza un angolo di ampiezza θ in due angoli di ampiezza θ1 , θ2 , con θ = θ1 + θ2 , si ha: a(θ) = a(θ1 ) + a(θ2 ) Infatti i due settori in cui viene spezzato il settore circolare assegnato hanno in comune solo un lato, che ha misura nulla: dunque vale ancora la formula 6.5. Ma le proprietà di a(θ) che ora abbiamo esposto ci dicono che a(θ) è una misura angolare e che perciò esiste una costante positiva k tale che: a(θ) = kθ (6.7) Si tratta di determinare k. Consideriamo la stessa configurazione studiata nel paragrafo 5. Il settore circolare limitato dall’arco di estremi A e B contiene il triangolo OAB ed è contenuto nel triangolo OAK; la sua area è dunque compresa fra l’area di questi. K B Θ O H A Essendo HB = sin θ, AK = tan θ, si ha: sin θ tan θ < a(θ) < 2 2 Sostituendo ad a(θ) l’espressione 6.7, si ha: sin θ tan θ < kθ < 2 2 da cui, dividendo per θ: sin θ tan θ <k< 2θ 2θ La costante k risulta dunque compresa fra due funzioni di θ che, al tendere di θ a zero, tendono al medesimo limite 21 . Allora è evidente che deve essere k = 21 . CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 310 Dunque si ha a(θ) = 21 θ. Se consideriamo un settore circolare di ampiezza θ in un cerchio di raggio r, basta tener presente che esso può essere ottenuto da un settore preso da un disco di raggio 1 applicando una similitudine di rapporto r, e allora si fa riferimento al teorema 50. Infine, se il settore circolare di ampiezza θ non è convesso, esso può essere considerato come unione di settori circolari convessi disgiunti; per la proprietà di additività, la sua area è data dalla somma delle aree dei singoli settori; e con pochi passaggi si verifica che tale area può essere espressa con la stessa formula usata per l’area del settore circolare convesso. Possiamo così concludere che: Teorema 51 Un settore circolare di ampiezza θ (in radianti) e di raggio r ha area uguale a 21 θr2 . In particolare l’area del disco di raggio r è πr2 . La formula che abbiamo ottenuto può essere scritta così : 12 (θr)r. In questa forma essa dimostra un’affermazione nota fin dalle scuola medie e facilmente intuibile: un settore circolare ha la stessa area di un triangolo avente per base l’arco e per altezza il raggio. 6.4 L’equiscomponibilità Vi è un altro metodo, classico, di affrontare lo studio dell’estensione delle figure, secondo il quale, piuttosto che definire l’area in generale, si cercano criteri per stabilire quando due figure debbono ritenersi ugualmente estese’. In altre parole, non si cerca (almeno in un primo tempo) di introdurre una funzione additiva, ma si vuole studiare un’opportuna relazione di equivalenza. La teoria che si ottiene è più elementare e meno potente di quella che abbiamo esposto, ma contiene risultati veramente eleganti, che vale la pena di conoscere. Prima di dare una definizione precisa, vediamo un esempio. Sia ABC un triangolo; per il punto di mezzo M del lato AC, mandiamo una parallela alla retta BC. (Come sappiamo, essa taglia il lato AR nel suo punto di mezzo N ). A N B M S C La simmetria con centro M manda A in C, N in un punto S. I due triangoli M AN , M CS si corrispondono in questa simmetria. Il quadrilatero N SCB è un parallelogrammo perché ha i lati opposti paralleli. Constatiamo immediatamente che: - l’unione del trapezio N M CB con il triangolo M CS è il parallelogrammo N SCB; - l’unione del trapezio N M CB con il triangolo M AN è il triangolo ABC. Dunque, spezzando e ricomponendo in modo diverso il triangolo si ottiene il parallelogrammo, e viceversa. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 311 Prima di dare la definizione annunciata, avvertiamo che questa riguarderà solo i poligoni, per motivi di semplicità. Quando parleremo di scomposizione di un poligono, intenderemo dire che esso è rappresentato come unione di una famiglia finita di poligoni i quali, a due a due, possono avere solo punti dei lati in comune. Definizione 33 Due poligoni A, B vengono detti equiscomponibili fra loro se si possono scomporre in uno stesso numero di parti poligonali A = A1 ∪ A2 ∪ A3 ∪ . . . ∪ An , B = B1 ∪ B2 ∪ B3 ∪ . . . ∪ Bn che siano corrispondentemente congruenti (con le notazioni usate: Ai sia congruente a Bi per i = 1, 2, ..., n). Poichè due poligoni congruenti hanno la stessa area, applicando la proprietà di additività si vede subito che due poligoni equiscomiponibili hanno la stessa area. Viene spontanea la domanda: due poligoni che hanno la stessa area risultano necessariamente equiscomponibili? La risposta è affermativa, come dimostra il seguente teorema. Teorema 52 Due poligoni che hanno la stessa area sono equiscomponibili Prima di passare alla dimostrazione vediamo ancora un esempio. Esempio 10 Consideriamo i due parallelogrammi ABCD, A0 B 0 CD con il lato CD in comune e i punti A, A0 , B, B 0 su una stessa retta. In più supponiamo che, in una delle due relazioni di ordine possibili su questa retta, questi punti siano nel seguente ordine: A < A0 < B < B 0 A A′ B S B′ V T D C Indichiamo con S il triangolo AA0 D , con V il triangolo BB 0 C, con T il trapezio A0 BCD. I triangoli S e V sono congruenti perché la traslazione che manda D in C manda A in B ed A0 in B 0 . Dunque i due parallelogrammi sono equiscomponibili, dal momento che essi possono essere rappresentati, rispettivamente nella forma S ∪ T e V ∪ T Per dimostrare il teorema, dobbiamo dimostrare tre proposizioni Lemma 5 L’equiscomponibilità gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva Le prime due proprietà sono ovvie, la terza assai meno. Indichiamo con ∼ la relazione di equiscomponibilità e supponiamo che sia A ∼ B e B ∼ C, essendo A, B e C poligoni. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 312 3 2 1 A 1 B 2 3 Dunque, per ipotesi, si ha: A= m [ Ai , B= i=1 m [ Bi i=1 (A e B sono scomposti in m parti congruenti). β α α β B C B= n [ j=1 Bj∗ , C= n [ j=1 Cj CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 313 (B e C sono scomposti in n parti congruenti). La difficoltà sta nei fatto che B è scomposto in due modi diversi, per le due diverse esigenze di confronto con A e con C. Come si può fare? L’idea è di prendere in B una scomposizione più fine di entrambe. Consideriamo infatti gli insiemi: Sij = Bi ∩ Bj∗ dove è i = 1, 2, . . . , m e j = 1, 2, . . . , n. Questi insiemi rappresentano i ‘mattoni più piccoli’ a partire dai quali possiamo ricostruire entrambe 1e scomposizioni operate su B. Infatti si ha: Bi = n [ Sij , Bj∗ = j=1 m [ Sij i=1 1, β 2, β 1, α 3, β 2, α 3, α (riflettere: i punti di Bi devono essere rimessi assieme, dai vari Bj ∗ fra cui sono stati distribuiti). Naturalmente, se vogliamo, possiamo eliminare dagli insiemi Sij quelli che eventualmente risultassero vuoti. Si tratta ora di ottenere, in base alla scomposizione più fine eseguita in B, scomposizioni più fini in A e in C. Consideriamo ad esempio il poligono Ai : la congruenza che porta Bi in Ai trasforma tutti i ‘mattoni più piccoli’ di Bi , cioè gli insiemi Si1 , Si2 , . . . , Sin in poligoni contenuti in Ai , che forniscono una scomposizione di Ai . Alla stessa maniera, la congruenza che porta Bj∗ in Cj trasforma tutti i ‘mattoni più piccoli’ di Bj∗ cioè gli insiemi S1j , S2j , . . . , Smj in poligoni contenuti in Cj , i quali forniscono una scomposizione di Cj . Così abbiamo suddiviso A, B, C nello stesso numero di parti (non più di m · n) ed è evidente ora che A e C sono equiscomponibili perché le parti di A, per mezzo di isometrie che sono prodotto di due delle isometrie assegnate all’inizio, vengono trasformate nelle corrispondenti parti di C. Con questo abbiamo finito. 2 In molti libri il termine equivalenti viene impiegato nel significato di equiscomponibili oppure nel significato di aventi la stessa area. Per noi il termine equivalenti si applica in tutti i casi in cui sussiste una relazione di equivalenza, cioè una relazione avente le proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva; naturalmente deve essere chiaro dal contesto di quale relazione si tratta. Ed ora enunciamo un risultato sui parallelogrammi più generale di quello che abbiamo esposto prima. Lemma 6 Due parallelogrammi, che hanno un lato in comune e i lati opposti a questo su una medesima retta, sono fra loro equiscomponibili. Siano ABCD e A0 B 0 CD i due parallelogrammi assegnati, aventi il lato DC in comune e tali che i punti A, B, A0 , B 0 si trovino su una stessa retta r. È facile allora costruire una catena di parallelogrammi: P0 , P 1 , . . . , P r CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 314 tutti aventi in comune il lato CD e aventi il lato opposto a questo sulla retta r, tali che P0 e Pr coincidono con i due parallelogrammi assegnati, e che per ogni coppia di parallelogrammi consecutivi i lati opposti al lato CD abbiano intersezione non vuota. A1 B A A2 B1 C A′ B2 B′ D Per il risultato ottenuto nell’esempio precedente, ogni parallelogrammo è equiscomponibile con quello che lo segue nella catena, e per la proprietà di transitività P0 e Pr sono fra loro equiscomponibili. 2 Lemma 7 Due rettangoli di uguale area sono equiscomponibili. Questo risultato non è dcl tutto ovvio; per dimostrarlo, si sarebbe tentati di ritagliare da uno dei rettangoli assegnati dei pezzi rettangolari cercando di sovrapporli all’altro; ma solo in casi particolari questo metodo sarebbe efficace. La proposizione è subito dimostrata risolvendo il seguente problema: assegnato un rettangolo costruirne un altro avente un lato di lunghezza assegnata ed equiscomponibile con esso. F E N R S A D B M G C Sia ABCD il rettangolo assegnato; sul prolungamento del lato AB costruiamo un segmento BG di lunghezza uguale al valore assegnato per il lato del nuovo rettangolo. Per i punti B e G mandiamo le perpendicolari alla retta BG. Mandiamo poi le parallele r, s alla retta CG per i punti A e D; sia E il punto in cui r interseca la perpendicolare mandata per B. La traslazione che manda B in A (e C in D) manda G in un punto M della retta AB e della retta s; la traslazione che manda A in E manda D in un punto N della retta BE e manda M in un punto F che appartiene alla retta s e alla parallela ad AB mandata per E; dunque EF è perpendicolare ad EB, ed è BG = AM = F E; pertanto EBGF è un rettangolo, che è equiscomponibile con il parallelogrammo N F GG; a sua volta il rettangolo ABCD è equiscomponibile con il parallelogrammo M GCD. Ma i due parallelogrammi N F GC ed M GCD hanno un lato in comune e i lati opposti a questo su una medesima retta (la s); dunque sono equiscomponibili. In conclusione: per transitività i due rettangoli ABCD e EF GB sono equiscomponibili. 2 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 315 Osservazione 16 È interessante notare che nella dimostrazione del lemma 6 e in quella del lemma 7 intervengono, come isometrie fra le varie parti delle scomposizioni, solo traslazioni. Quando ciò accade si dice che i due poligoni sono equiscomponibili per traslazioni. I lemmi dimostrati ci permettono di trarre una conclusione interessante. Anzitutto, ogni triangolo si può trasformare, per equiscomponibilità, in un parallelogrammo, questo in un rettangolo, ed infine questo rettangolo in un rettangolo con un lato di lunghezza fissata (per esempio: uguale ad 1). Dunque un poligono, che è unione di triangoli, può essere trasformato per equiscomponibilità nell’unione di rettangoli aventi un lato di lunghezza assegnata: questi infine possono essere saldati in modo da costruire un unico rettangolo. Concludiamo: due poligoni di uguale area sono equiscomponibili perché si possono trasformare in un medesimo rettangolo. E così il teorema 52 è completamente dimostrato. Nell’insieme dci poligoni l’introduzione dell’area si può compiere attraverso l’equiscomponibilità: infatti, come abbiamo visto, ogni poligono è equiscomponibile con un rettangolo avente un lato di lunghezza unitaria: allora la lunghezza del lato variabile misura l’area del rettangolo. Le difficoltà sorgono quando si cerca di estendere la teoria dell’equiscomponibilità fuori dell’ambito dei poligoni: ad esempio, come si intuisce facilmente, un disco non può essere equiscomponibile con un poligono. Ciò non significa che non sia possibile calcolarne l’area: già nel terzo secolo avanti Cristo, Archimede fu in grado di farlo con notevole precisione utilizzando il cosiddetto metodo di esaustione; fu in grado anche di valutare l’area del segmento di parabola, facendo ricorso sempre allo stesso metodo e dimostrando che tale segmento è equivalente a 43 del triangolo inscritto in esso. Nonostante la grande messe di risultati conseguita da Archimede e da altri dopo di lui, manca nella matematica greca un principio unificatore capace di dare una risposta generale al problema dell’area. Solo molti secolo dopo, nella prima metà del 1600, un allievo di Galileo, Bonaventura Cavalieri, enunciò una ‘teoria degli indivisibili’ per mezzo della quale poteva calcolare aree di figure piane e volumi di solidi. Secondo tale teoria ogni figura piana può essere pensata come unione di infiniti indivisibili (che possono essere, ad esempio, tutte le corde della figura parallele ad una data direzione). Cavalieri scrive: ‘Figure piane hanno tra di loro il medesimo rapporto che hanno tutte le linee di esse prese con un riferimento qualunque.’ In parole più semplici: se due figure piane possono essere collocate nella striscia compresa fra due rette parallele e se qualsiasi retta parallela a queste stacca sulle figure corde che stanno fra lora in un dato rapporto, questo sarà anche il rapporto fra le aree delle due figure. Le argomentazioni addotte da Cavalieri a dimostrazione del suo principio non sono rigorose, tuttavia sono un punto di giunzione fra la geometria antica e il calcolo infinitesimale, che sarebbe nato pochi decenni dopo e che avrebbe permesso di portare a compimento la teoria generale dell’area, mediante l’uso di strumenti molto potenti (quali il limite di successioni, o l’estremo superiore), ampliandone notevolmente il campo di applicazione e offrendo una notevole semplicità di trattazione. 6.5 La probabilità come misura Alle varie esemplificazioni della nozione di misura viste nel primo paragrafo di questo capitolo, se ne può aggiungere una che il lettore, forse, avrà già trovato da sé: la probabilità. Cerchiamo di introdurre con cura questo tema. Fin dalle prime nozioni sulla probabilità abbiamo impiegato il termine evento per indicare gli enunciati soggetti ad incertezza e ci siamo abituati a rappresentare gli eventi come sottoinsiemi di un certo insieme. I punti di questi insiemi hanno il significato di ‘casi elementari’ che possono verificarsi. Ad esempio, i risultati del lancio di un dado possono essere rappresentati con l’insieme di 6 elementi: {1, 2, 3, 4, 5, 6}. Ogni possibile evento conseguente ad un lancio del dado può essere rappresentato mediante un sottoinsieme di questo insieme (ad esempio, l’evento ‘esce un numero pari’ dal sottoinsieme {2, 4, 6}). Abbiamo già trovato casi in cui l’insieme ambiente (che possiamo anche chiamare universo) è infinito: ad esempio, può essere un intervallo della retta. Indichiamo con S l’insieme ambiente, con F la famiglia dei sottoinsiemi che rappresentano gli eventi che ci interessano. Gli eventi devono poter essere combinati con i connettivi logici cioè con quelle particelle che collegano varie proposizioni per formare una frase (quelli che al momento ci interessano sono e, o e non): ciò si ripercuote sulle proprietà della famiglia F, nel modo che ora vediamo. Siano A, B due eventi e siano A, B, rispettivamente, i sottoinsiemi di S che li rappresentano. Allora: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 316 • L’evento ‘A e B’ è rappresentato da A ∩ B, cioè dall’insieme dei ‘casi elementari’ in cui entrambi gli eventi sono verificati. • L’evento ‘A o B’ è l’evento che è verificato quando uno (almeno) dei due eventi è verificato; esso è dunque rappresentato dall’insieme A ∪ B. • L’evento ‘non A’ è verificato quando e solo quando non è verificato A; esso è dunque rappresentato da C(A) (insieme complementare di A), cioè dall’insieme degli elementi di S che non appartengono ad A. La famiglia F, essendo chiusa rispetto alle operazioni di unione, intersezione e complemento, è anche chiusa rispetto all’operazione di differenza (perché?); noi ammettiamo che anche l’insieme S appartenga ad F. Allora anche l’insieme vuoto ∅ appartiene ad F (essendo il complementare di S rispetto ad S. . . ). Insomma, la famiglia F ha tutte le proprietà che abbiamo richiesto nel primo paragrafo di questo capitolo. Associamo ora a ciascun evento, e quindi all’insieme X che lo rappresenta, una probabilità P (X), in modo che si abbia P (S) = 1; inoltre se A, B sono due eventi disgiunti (cioé non possono mai verificarsi contemporaneamente) i due insiemi rappresentativi corrispondenti A, B sono necessariamente disgiunti. La ‘regola della somma’ si può allora esprimere cosi: Se: A∩B =∅ allora: P (A ∪ B) = P (A) + P (B) Dunque, introdotta la rappresentazione insiemistica per gli eventi, la probabilità è rappresentata da una misura. Chiameremo spazio di probabilità il complesso dei tre seguenti dati: l’insieme-ambiente S, la famiglia F (degli insiemi misurabili, ossia degli eventi), la misura P . Facciamo ancora un osservazione. Supponiamo che ogniqualvolta si verifichi l’evento A si verifichi anche l’evento B. Ciò si può esprimere, come sappiamo, con la scrittura A ⇒ B; pertanto, in tutti i ‘casi elementari’ in cui è vero A, è vero anche B. Questo comporta che è A ⊂ B e, pertanto, P (A) ≤ P (B), come deve effettivamente essere, a lume di buon senso. Naturalmente, queste considerazioni matematiche non rendono affatto superfluo lo studio del significato che può avere la probabilità e delle possibili applicazioni alla realtà: ci dicono solo che la matematica di oggi è in grado di inquadrare la nozione di probabilità in un contesto molto generale e di farla interagire con tanti altri concetti matematici. Ora svilupperemo un tema molto interessante: vedremo che si può applicare al calcolo delle probabilità non solo la nozione generale di misura che abbiamo introdotto nel primo paragrafo, ma anche la teoria dell’area che abbiamo sviluppato nei paragrafi successivi. Cominciamo con un esempio. Supponiamo che l’arrivo di un treno in una stazione possa verificarsi in un certo intervallo di tempo I, dell’ampiezza di un’ora; supponiamo ancora (facendo un’ipotesi veramente un po’ rozza, ma che ha il pregio di semplificare le cose) che la probabilità di arrivo in un certo intervallo di tempo [α, β] ⊂ I dipenda solo dall’ampiezza dell’intervallo; essa sarà allora data da β − α se si tiene conto che l’intervallo totale ha ampiezza 1. Supponiamo ora che un secondo treno debba arrivare nella stessa stazione durante lo stesso intervallo di tempo I, e che anche per questo treno l’ora di arrivo dipenda solo dall’ampiezza di I. Come potremo rappresentare tutti i possibili esiti? Lo spazio rappresentativo S è, evidentemente, l’insieme di tutte le possibili coppie (x, y), con x ∈ I, y ∈ I , avendo chiamato x è l’istante di arrivo del primo treno e y quello del secondo. x y CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 317 Dunque S è il prodotto cartesiano I × I, che si può rappresentare come un quadrato di lato 1. Si tratta ora di introdurre in modo ragionevole una probabilità in S. Supponiamo che vi sia indipendenza fra l’arrivo di un treno e l’arrivo dell’altro. Questa circostanza si può tradurre nella regola del prodotto: la probabilità che il primo treno arrivi nell’intervallo [a, b] e che il secondo arrivi nell’intervallo [c, d] è data dal prodotto delle due probabilità: (b − a) · (d − c) d c y x a b Ma questa non è altro che l’area del rettangolo che è prodotto cartesiano dei due intervalli. Se un evento è l’unione disgiunta di un certo numero di eventi elementari, può essere rappresentato da un plurirettangolo e la sua probabilità, per la proprietà di additività,è data dall’area di questo. In generale, se un evento è rappresentato da un insieme misurabile T , l’unica probabilità che gli si può ragionevolmente attribuire è l’area di T ; infatti, essa deve essere compresa fra l’area di un qualunque plurirettangolo contenuto in T (che rappresenta un evento meno probabile) e l’area di un qualunque plurirettangolo contenente T (che rappresenta un evento più probabile). Ora siamo in grado di risolvere alcuni problemi interessanti. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 318 1. Riprendiamo l’esempio dei due treni che arrivano nella stessa stazione durante un intervallo di tempo di un’ora. Supponiamo che ciascun treno compia una sosta di 20 minuti prima di ripartire. Qual è la probabilità che i due treni si trovino contemporaneamente nella stazione? L’evento che interessa si verifica quando l’istante di arrivo dei due treni differisce per non più di 20 minuti. L’evento è dunque rappresentato dall’insieme delle coppie (x, y) soddisfacenti alla disequazione: |x − y| ≤ 1 3 1 3 1 3 (I 20 minuti diventano 31 dal momento che abbiamo assunto l’ora come unità di misura). Si tratta di valutare l’area dell’insieme tratteggiato in figura. Si trova con calcoli elementari che questa area è 95 . Dunque la probabilità cercata è 95 . 2. Un viaggiatore vuole andare da Pisa a Bologna; alla stazione di Firenze deve trasbordare su un treno proveniente da Roma, il quale, secondo l’orario ufficiale, dovrebbe partire 6 minuti dopo l’arrivo del treno da Pisa. Tuttavia il treno da Pisa può avere un ritardo massimo di 10 minuti, con probabilità di arrivo uniforme in questo intervallo (con questo si vuole dire che la probabilità di arrivo in un certo intervallo di tempo è proporzionale all’ampiezza dell’intervallo: come si è detto, si tratta di un’ipotesi un po’ rozza, ma adeguata ad un primo approccio al problema). Il treno da Roma ha un ritardo massimo di 15 minuti, sempre con probabilità di arrivo uniforme in questo intervallo. Sapendo che al viaggiatore occorrono 4 minuti per il trasbordo, quale è la probabilità che egli possa farcela? Prendiamo come ‘istante zero’ l’ora ufficiale di arrivo del treno da Pisa; indichiamo con x l’istante di arrivo del treno da Pisa, con y l’istante di partenza del treno per Bologna. Misurando il tempo in minuti, lo spazio degli eventi S 0 è dato da un rettangolo con un lato di ampiezza 10 ed uno di ampiezza 15. La probabilità di un evento è data dall’area dell’insieme che lo rappresenta, divisa per l’area di S 0 (cioè per 150). L’evento che ci interessa è rappresentato dalla disequazione y ≥ x + 4. Sappiamo che questo è il semipiano dei punti che stanno ‘al di sopra’ della retta y = x + 4. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 319 21 6 4 10 0 Fatta la figura, il calcolo è semplicissimo. Si trova che la probabilità ha valore: 150 − 32 118 = ' 0, 79 150 150 3. Qualche volta può essere interessante procedere in senso opposto, cioè, invece di valutare una probabilità mediante il calcolo di un’area, calcolare un’area mediante una valutazione di probabilità, da ottenersi per via empirica. Vediamo, ad esempio, come si può valutare in questo modo l’area di un disco di raggio 1, cioè il numero π. Dato un sistema di assi cartesiani, consideriamo - per comodità - solamente la porzione del disco di raggio 1, con centro nell’origine, che si trova nel primo quadrante; la sua area è π4 e coincide con la probabilità che scegliendo a caso due numeri reali x e y nell’intervallo [0, 1] (sempre con distribuzioni di probabilità uniformi e indipendenti) il punto P ↔ (x, y) si trovi nel disco. In pratica, supponiamo di avere un dispositivo che ci fornisca numeri a caso nell’intervallo [0, 1], con distribuzione uniforme. Abbiamo già parlato, nell’esempio 8 del primo capitolo, del modo con cui ciò può essere fatto, mediante un opportuno programma di calcolo. (Sappiamo che così si ottengono, in realtà, sequenze pseudocasuali, che simulano sequenze casuali). CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 320 Potendo utilizzare un programma che costruisca successioni di coppie di numeri a caso, si possono contare le coppie per cui è x2 + y 2 ≤ 1: la frequenza relativa, cioè il rapporto fra il numero di queste coppie e il numero totale delle coppie estratte ci fornisce una stima delle probabilità, cioè di π4 . Naturalmcnte, la bontà di questa approssimazione sarà solo un fatto . . . abbastanza probabile; per dare un senso pieno a questo procedimento occorrerebbe saper calcolare la probabilità di commettere un certo errore, cosa che, con le conoscenze elementari che ci siamo procurati fino a questo punto, non siamo in grado di fare. In pratica occorre un numero piuttosto grande di estrazioni (dell’ordine del migliaio) per avere il valore π 4 con una sola cifra decimale esatta. Tuttavia, se si dispone di un piccolo calcolatore programmabile questo esperimento numerico è senza dubbio interessante; consigliamo di svolgerlo in modo completo. Il vantaggio pratico in questo caso è nullo perché (come abbiamo visto) vi sono metodi rapidi per calcolare π con grandissima precisione. Tuttavia, in altri casi più complessi, il metodo di calcolo basato su una stima empirica di probabilità (chiamato ‘metodo Montecarlo’) si è rivelato di grandissima utilità. Abbiamo voluto presentare questo problema, anche se manchiamo, a questo punto, di una base teorica che ci consenta di inquadrarlo con sicurezza, per stimolare il lettore ad una più approfondita conoscenza dcl calcolo delle probabilità. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA Vocaboli e simboli Funzione additiva d’insieme Misura, area Insieme misurabile Pluriquadrato, plurirettangolo Poligoni equiscomponibili Isotonia dell’area 321 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 322 Esercizi paragrafo 6.1 1. Esercizio svolto Dimostrare che per ogni funzione additiva d’insieme m vale la seguente formula, in cui A e B sono insiemi misurabili qualsiasi: m(A ∪ B) + m(A ∩ B) = m(A) + m(B) Svolgimento Possiamo esprimere l’insieme unione A ∪ B come unione disgiunta di tre insiemi: A ∪ B = (A\B) ∪ (B\A) ∪ (A ∩ B) Poiché gli insiemi A\B, B\A e A ∩ B sono misurabili (essendo misurabili A e B), e fra loro disgiunti, si può utilizzare la proprietà di additività e si ottiene: m(A ∪ B) = m(A\B) + m(B\A) + m(A ∩ B) Sommando ad ambo i membri dell’equazione m(A ∩ B) si ha: m(A ∪ B) + m(A ∩ B) = m(A\B) + m(A ∩ B) + m(B\A) + m(A ∩ B) Considerando che (A\B) ∪ (A ∩ B) = A e che i due insiemi sono disgiunti, si può sostituire a m(A\B) + m(A ∩ B) l’espressione m(A), così come m(B) = m(B\A) + m(A ∩ B). Se ne ricava che m(A ∪ B) + m(A ∩ B) = m(A) + m(B). 2. Se A e B sono insiemi misurabili qualsiasi, si ha: m(A ∪ B) ≤ m(A) + m(B) 3. * Se A, B e C sono insiemi misurabili qualsisasi, si ha: m(A ∪ B ∪ C) = m(A) + m(B) + m(C) − m(A ∩ B) − m(A ∩ C) − m(B ∩ C) + m(A ∩ B ∩ C) Esercizi paragrafo 6.2 4. Rendersi conto (eventualmente con l’aiuto di un disegno) che l’intersezione di due triangoli è un poligono convesso. 5. Rendersi conto (eventualmente con l’aiuto di un disegno) che la differenza fra due triangoli è un poligono. 6. Si applichi il procedimento introdotto in questo paragrafo al calcolo dell’area del triangolo di vertici (0, 0), (0, 1), (1, 0). 7. ** Sia A un insieme misurabile in R2 . Sia Ex l’insieme dei punti del piano che hanno ascissa ≤ x. Dimostrare che la funzione f : x → m(A ∩ Ex ) è continua. Dedurre che esiste una retta parallela all’asse y che divide A in due parti di uguale area. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 323 y x0 O x 8. Esercizio svolto Consideriamo i poligoni convessi che, nel piano riferito ad assi cartesiani, hanno tutti i vertici a coordinate intere. Per brevità chiameremo nodi della quadrettatura (o, semplicemente, nodi) i punti che hanno coordinate intere. Ci si può domandare se l’area di questi poligoni può essere espressa facendo intervenire il numero dei nodi che sono in qualche relazione con il poligono. Effettivamente, per l’area a del poligono vale la formula: 1 a=m+ n−1 2 (6.8) dove m è il numero dei nodi interni al poligono, mentre n è il numero dei nodi che si trovano sulla frontiera di esso. Dimostrare che la 6.8 vale per i rettangoli con i lati paralleli agli assi. Svolgimento Siano r e s le dimensioni del rettangolo. I nodi interni sono (r − 1) · (s − 1), mentre quelli di frontiera sono 2(r + s). Applicando la formula 6.8 si ottiene: 1 · 2 · (r + s) − 1 = rs − s − r + 1 + r + s − 1 = rs 2 e questa è effettivamente la formula che esprime l’area del rettangolo. a = (r − 1) · (s − 1) + CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 324 9. * Dimostrare che la 6.8 vale per i triangoli rettangoli con i cateti paralleli agli assi. 10. * Dimostrare che la 6.8 ha carattere additivo, in questo senso: supponiamo che un poligono venga scomposto in due poligoni mediante un segmento che unisce due vertici. Siano m e n i nodi interni ed i nodi di frontiera del poligono, m0 , m00 e n0 , n00 i nodi interni e di frontiera (rispettivamente) per ciascuno dei due poligoni che si ottengono. Allora si ha: 1 m+ n−1= 2 1 0 1 00 00 m + n −1 + m + n −1 2 2 0 11. * Dimostrare che la 6.8 vale per un qualsiasi triangolo. 12. Dimostrare che la 6.8 vale per un qualsiasi poligono convesso, i cui vertici siano a coordinate intere. 13. * Dare un esempio di poligono avente i vertici nei nodi per cui la 6.8 non vale. Esercizi paragrafo 6.3 14. Esprimere, servendosi delle funzioni circolari: (a) l’area di un parallelogrammo, dati i lati a e b e un angolo θ; (b) l’area di un triangolo, dati due lati a, b e l’angolo compreso γ. (c) l’area di un triangolo, dato un lato a e i due angoli adiacenti β e γ. 15. È dato un angolo di ampiezza θ, ed un punto O sulla sua bisettrice, a distanza r dal vertice. Calcolare l’area dell’intersezione dell’angolo con il disco avente centro in O e raggio r. 16. * Un poligono convesso ha perimetro λ. Calcolare l’area dell’insieme formato dai punti esterni che hanno distanza non superiore ad r dal poligono. 17. * Esprimere, servendosi delle funzioni circolari, l’area di un quadrilatero convesso, date le lunghezze di tre lati consecutivi e le ampiezze dei due angoli compresi. 18. Sono dati nel piano un disco di raggio r ed una retta S avente distanza d dal centro minore di r. Esprimere l’area della parte del disco che sta nel semipiano opposto a quello che contiene il centro, rispetto a S. 19. ** Sono dati nel piano due dischi di raggio r1 e r2 ; la distanza dei centri è d. esprimere l’area della loro intersezione. 20. Esercizio svolto Due dischi di uguale raggio r hanno la distanza fra i centri uguale a d, minore di 2r. Si indichi con f (r, d) l’area della loro differenza simmetrica (come è noto, si dice differenza simmetrica di due insiemi A e B l’insieme formato dai punti dell’uno che non appartengono all’altro, cioè l’insieme (A\B) ∪ (B\A)). Calcolare il limite: f (r, d) d→0 d lim Svolgimento Consideriamo soltanto metà della differenza simmetrica: la zona tratteggiata nella figura sottostante: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 325 P Q W T O1 O2 S M Z N Per calcolare l’area di tale zona, possiamo aggiungere alla regione tratteggiata i due ‘triangoli’ M SN e P QT aventi i lati M N e P Q rispettivamente rettilinei e gli altri formati da archi di cerchio. In questo modo si ottiene un’area calcolabile (si toglie all’area totale, che è unione di due semicerchi e di un rettangolo in mezzo, l’area di un cerchio). Risulta che tale area è 2rd. Si ha allora: 1 f (r, d) < 2rd 2 Possiamo cercare di ottenere un’area che approssimi per difetto l’area che cerchiamo: basta togliere al valore 2rd l’area dei due triangoli (questa volta triangoli q veri e propri) M N S e P QT . La base di questi triangoli misura d, l’altezza SZ = W T è r − In conclusione si ha: r 2rd − d r − d2 r2 − 4 ! r2 − d2 4 . 1 < f (d, r) < 2rd 2 Dividendo i membri della disequazione per d e passando al limite per d → 0 si ottiene che il primo e l’ultimo membro tendono a 4r e quindi anche l’espressione in mezzo. 21. Dimostrare che fra tutti i quadrilateri convessi di cui sono assegnati i lati a, b, c, d, quello di area massima è un quadrilatero che si può inscrivere in un cerchio. 22. * Riesaminiamo la dimostrazione della misurabilità del disco; se con le notazioni impiegate, si prendesse come valore approssimato dell’area del disco il numero: 1 m(Pn00 ) + m(Pn0 ) 2 si avrebbe un valore approssimato per difetto o per eccesso? (Occorre dare un significato a questo numero). 23. * Dare una nuova dimostrazione della misurabilità del disco unitario, utilizzando i poligoni regolari inscritti e circoscritti di n lati. 24. * Consideriamo la trasformazione piana D così rappresentata: x0 = hx y 0 = ky dove h e k sono numeri positivi. (Si tratta di una ‘dilatazione’ che opera con un rapporto diverso lungo l’asse x e lungo l’asse y). Si dimostri che essa trasforma un insieme misurabile A in un insieme misurabile A0 e che m(A0 ) = khm(A). CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 326 25. * Si calcoli l’area della regione di piano compresa dall’ellisse: x2 y 2 + 2 =1 a2 b 26. ** Un cerchio γ è diviso in due parti di uguale area da un arco di un altro cerchio; dimostrare che la lunghezza di questo arco è maggiore del diametro di γ. 27. Due dischi hanno uguale raggio r. Come deve essere la distanza dei loro centri perché l’area della loro intersezione sia uguale all’area della loro differenza simmetrica? Suggerimento Prendere come incognita un angolo opportuno; si troverà un’equazione non risolubile elementarmente, ma di cui si può trovare una soluzione approssimata. Esercizi paragrafo 6.4 28. Esercizio svolto Il teorema di Pitagora è uno dei più antichi della matematica, ed anche uno dei più indispensabili al suo sviluppo. Modi ingegnosi per dimostrarlo sono stati pubblicati a centinaia, col contributo di persone notevolmente diverse; buona parte di queste dimostrazioni fa ricorso al concetto di area, come accade nell’insegnamento tradizionale. Tra queste ne sono state scelte tre, interessanti sia per la personalità di chi le ha proposte, sia per gli strumenti matematici cui possono far ricorso; tutte si prestano a una trattazione coerente col nostro progetto. (a) In ordine cronologico, la prima delle dimostrazioni che presentiamo sembra sia di Leonardo da Vinci: la letteratura scolastica inglese attribuisce a lui la figura sottostante: E F D G A H B I C L che si ottiene completando con pochi tratti la figura classica del teorema di Pitagora. C’è quanto basta per ricavarne una dimostrazione, togliendo una stessa area dalle aree (uguali) degli esagoni ABCDEF ed AGHILC. (b) La seconda dimostrazione ha una storia più complessa: fu trovata da un certo Henry Perigal, agente di borsa e astronomo dilettante, verso il 1830, ma fu pubblicata soltanto nel 1873. Questa volta nella figura classica del teorema di Pitagora CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 327 il quadrato sul cateto maggiore è suddiviso in quattro parti dalla parallela e dalla perpendicolare all’ipotenusa condotte per il centro del quadrato; con queste quattro parti e col quadrato sul cateto minore si può realizzare una piastrellatura del quadrato sull’ipotenusa. Perigal fu cosi compiaciuto di questa sua scoperta, che la fece stampare sui biglietti da visita e regalò agli amici centinaia di giochi costituiti dai cinque pezzi della piastrellatura (si tratta di un puzzle tutt’altro che banale). (c) La terza dimostrazione fu pubblicata tre anni dopo, nel 1876: l’autore è James A. Garfield, che divenne più tardi presidente degli Stati Uniti, ma che l’aveva trovata durante un ‘momento di passatempo matematico’ assieme ad altri colleghi, deputati al Congresso. Due copie del triangolo rettangolo in questione sono disposte come in figura, dando luogo a un trapezio di cui si calcola l’area in due modi diversi. c b a c a b 2 29. Trovare una scomposizione della figura sottostante in tre parti, che ricomposte formino un quadrato di lato 5. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 328 4 1 3 4 3 7 30. (da ’Tangente’ n. 69 - 70) Un quadrato viene suddiviso in otto triangoli rettangoli fra loro simili, aventi un cateto doppio dell’altro. Se le superfici di ciascuno dei triangoli, espresse in cm2 , sono numeri interi, qual è la minima area che può avere il quadrato? 31. In quale caso un rettangolo può essere scomposto in quadratini tutti fra loro congruenti? 32. In quale caso due rettangoli con la stessa area possono essere scomposti mediante parallele ai lati in rettangolini tutti fra loro congruenti? 33. Mostrare che ogni triangolo può essere scomposto in n2 triangoli fra loro isometrici. 34. Esercizio svolto Trovare un triangolo che sia scomponibile in cinque triangoli fra loro isometrici. Svolgimento Basta giustapporre fra di loro due triangoli rettangoli fra loro simili i cui cateti siano uno doppio dell’altro, come in figura: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 329 B A C H Infatti il triangolo BHC può essere scomposto in quattro triangoli fra loro isometrici, congiungendo fra loro i punti medi dei lati. Ciascuno di questi triangoli è simile a HBC, la lunghezza del cateto minore è pari a AH = 21 BH e quella del cateto maggiore pari a BH = 12 HC. Quindi ciascuno dei triangoli è isometrico ad AHB. Il triangolo ABC risulta quindi suddiviso in cinque triangoli isometrici. 35. Trovare un triangolo scomponibile in n2 + m2 triangoli isometrici, con n, m ∈ N. 36. Scomporre un rettangolo in quattro trapezi fra loro isometrici. 37. Scomporre un trapezio rettangolo in quattro trapezi tra loro isometrici. 38. * (da ’Tangente’ n. 91) Scomporre la seguente figura in quattro parti fra loro isometriche. 39. Dato un triangolo ABC e detto Q il punto in cui la bisettrice mandata da A incontra il lato BC, dimostrare che vale la relazione: AB BQ = AC CQ 40. Dato un triangolo ABC e preso un punto B 0 sulla semiretta AB, determinare sulla semiretta AC un punto C 0 tale che i triangoli ABC e AB 0 C 0 abbiano la stessa area. 41. ** Dato un triangolo ABC e dato un punto M del lato BC, mandare per M una retta r che suddivida il triangolo in due regioni aventi la stessa area. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 330 42. ** Sono dati un angolo ed un punto P ad esso interno. Trovare la retta passante per P che con i lati dell’angolo determini un triangolo di area minima. 43. ** Supponiamo che un quadrato con il lato di 1 cm abbia la stessa area di un parallelogrammo che ha un lato di 150 cm. Dimostrare che per equiscomporli occorre suddividerli in più di 100 pezzi. Esercizi paragrafo 6.5 44. Una moneta di diametro d viene lanciata sul pavimento, che è ricoperto di mattonelle quadrate con lato λ > d. Quale è la probabilità che la moneta vada a finire internamente ad una mattonella? (Cioè che non tagli i lati dei quadrati). 45. Esercizio svolto Qual è la probabilità che, spezzando a caso un bastoncino in due punti, e congiungendo i tre pezzi si possa ottenere un triangolo? (Si pensa che i due punti siano scelti con probabilità uniforme e indipendentemente l’uno dall’altro; assumiamo uguale ad 1 la lunghezza del bastoncino). Svolgimento Sia dato un triangolo equilatero di lato 1. Ad ogni suo punto interno P si può associare una terna (x, y, z) tale che x + y + z = 1. Infatti, mandando da P le parallele ai lati del triangolo, si formano tre triangoli equilateri di lati x, y e z. Osservando la figura, ci si rende facilmente conto del fatto che x + y + z = 1. P x y z Ogni punto interno al triangolo, quindi, corrisponde ad una possibile assegnazione delle lunghezze dei tre frammenti di bastoncino. Le terne per cui si chiude il triangolo sono quelle che soddisfano la disuguaglianza triangolare: x<y+1−x−y y <x+1−x−y 1−x−y <x+y che corrispondono alle disequazioni: x < 12 y < 12 x+y > 1 2 I punti che soddisfano queste relazioni si trovano nel triangolo equilatero centrale rappresentato nella figura sottostante: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 331 La probabilità cercata corrisponde al rapporto fra l’area di questo triangolo, che rappresenta i casi favorevoli, e l’area del triangolo grande, che rappresenta tutti i casi possibili. Il suo valore è 14 . 46. * Un bastoncino viene spezzato in due punti presi a caso; qual è la probabilità che nessuno dei pezzi in cui è suddiviso il bastoncino abbia lunghezza maggiore di un numero a > 0 fissato? 47. Sia M un punto fissato su un cerchio; qual è la probabilità che prendendo su questo due punti a caso P e Q l’angolo P\ M Q sia acuto? 48. Dato un quadrato di lato λ, qual è la probabilità che, presi a caso due punti P, Q su due lati consecutivi (con distribuzione di probabilità uniforme) sia P Q ≤ hλ, essendo h un numero reale fissato? 49. Dato un quadrato di lato λ, qual è la probabilità che, presi a caso due punti P e Q su due lati opposti (con distribuzione di probabilità uniforme) sia P Q ≤ hλ, essendo h un numero reale fissato? Soluzioni degli esercizi del capitolo 6 Paragrafo 6.1 2. Il risultato dimostrato nell’esercizio precedente ci suggerisce che m(A∪B) = m(A)+m(B)−m(A∩B). Se m(A ∩ B) = 0 si ha la relazione m(A) + m(B) = m(A ∪ B) (questo significa che necessariamente A e B sono disgiunti?). Se m(A ∩ B) 6= 0, può essere solo m(A ∩ B) > 0, perché la misura è una funzione a valori non negativi, in tal caso vale la disuguaglianza stretta. 3. * m(A ∪ B ∪ C) = m((A ∪ B) ∪ C) = m(A ∪ B) + m(C) − m((A ∪ B) ∩ C) = . . . Paragrafo 6.2 4. Basta considerare il fatto che l’intersezione di due convessi è sempre un convesso. 5. Con un campionario di disegni abbastanza vasto, si osserva che l’intersezione di due triangoli dà sempre luogo ad un poligono (intendendo per poligono l’unione di triangoli, secondo la definizione data) CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 6. m01 = 332 45 100 . (0, 1) (0, 0) (1, 0) Ogni volta che si passa da un valore m0k al successivo, si decuplica il numero di quadratini che stanno 1 sul ‘lato obliquo’ del triangolo. Ciascuno di questi quadrati è omotetico secondo un fattore 100 (relativo all’area) rispetto al quadratino della quadrettatura immediatamente precedente. Quindi ad ogni passo si 1 aggiunge all’area m0k un’area pari a 10 m0k . Si ha quindi una progressione geometrica di termine iniziale 45 1 100 e di ragione 10 la cui somma infinita è 0, 5. 7. ** L’insieme A è limitato (perché misurabile) ed è quindi contenuto in un rettangolo [a, b] × [c, d] CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 333 y c O a x x+h b x d Sia x ∈ [a, b]. Si ha m ((A ∩ Ex+h )\(A ∩ Ex )) = m (A ∩ (Ex+h \Ex )) ≤ |x+h−x|·(d−c). Ponendo , si ha m ((A ∩ Ex+h )\(A ∩ Ex )) ≤ , quindi la funzione |h| · (d − c) ≤ , si ricava che per |h| < d−c m(A ∩ Ex ) è continua in x. 9. * Occorre dimostrare che a = m + 21 − 1 = r·s 2 Duplicando il triangolo (mediante una simmetria rispetto al punto medio dell’ipotenusa), si ottiene un rettangolo i cui lati misurano r e s. Sia f il numero di −2) punti a coordinate intere sull’ipotenusa. Si ha m = (r−1)(s−1)−(f , mentre i punti di frontiera sono 2 r + s + f − 1. Inserendo queste espressioni nella formula, si ottiene: a= r·s (r − 1)(s − 1) − (f − 2) 1 + (r + s + f − 1) − 1 = 2 2 2 E questa è proprio l’espressione dell’area del triangolo. 10. * Se t è il numero di nodi interni che stanno sul segmento che unisce i due vertici, si ha m = m0 + m00 + t e n = n0 + n00 − 2t − 2; ne segue che m + 21 n − 1 = m0 + m00 + t + 12 (n0 + n00 − 2t − 2) − 1. Basta a questo punto riordinare i termini e semplificare. 11. * Si costruisce il più piccolo rettangolo con i lati paralleli agli assi e i vertici a coordinate intere contenente il triangolo assegnato. Si ragiona per differenza, togliendo all’area del rettangolo le aree dei vari triangoli rettangoli con i lati paralleli agli assi coordinati. Poiché ogni area è esprimibile dalla formula a = m + 12 n − 1, e tenendo conto dell’esercizio precedente, si arriva al risultato. 12. I poligoni convessi sono unioni di triangoli; le considerazioni fatte sui triangoli e la proprietà di additività ci permettono di estendere la formula 6.8anche ad essi. 13. * Basta considerare un deltoide concavo. Paragrafo 6.3 14. (a) A = ab sin θ (b) A = 12 ab sin γ (c) A = a2 sin β sin γ 2 sin(β+γ) 15. A = r2 (θ + sin θ) CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 334 16. A = πr2 + λr 17. Se a, b e c sono i lati consecutivi, θ l’angolo compreso fra a e b e φ l’angolo compreso fra b e c si ha: A = 21 b (a sin θ + c sin φ) − 12 ac sin(θ + φ) √ 18. A = r2 arcos dr − d r2 − d2 19. ** Sia p = r1 +r2 +d ; 2 allora si ha: A = r12 arcos p r2 + d2 − r12 r12 + d2 − r22 + r22 arcos 2 − 2 p(p − d)(p − r1 )(p − r2 ) 2r1 d 2r2 d 21. Il quadrato convesso di area massima, in base alla formula dimostrata nell’esercizio precedente, è quello per cui s2 è massima, cioè quello per cui cos(α + γ) = −1. Ciò significa che α + γ = π, cioè che il quadrilatero è inscrivibile in un cerchio. 22. * Si otterrebbe un valore approssimato per difetto (sarebbe come sostituire al cerchio un poligono i cui lati siano le diagonali dei plurirettangoli di confine). 23. * Preso un disco di raggio unitario, si calcola che il poligono regolare di n lati inscritto gha area a0n = n 2π π 00 2 sin n , mentre quello circoscritto ha area an = n tan n . Ambedue i limiti tendono a π per n → +∞. 24. * Sia T misurabile e sia T 0 il suo trasformato mediante D. Sia p0n un pluriquadrato inscritto e p00n un pluriquadrato circoscritto, con lim m(p00n ) − m(p0n ) = 0. n→+∞ p0n L’immagine di è un plurirettangolo di area khm(p0n ), analogamente l’immagine di p00n . La differenza fra queste due misure tende a 0; questo garantisce che T 0 è misurabile e che m(T 0 ) = khm(T ). 25. * L’ellisse in questione è la trasformata del cerchio di equazione x2 + y 2 = 1 mediante l’affinità che trasforma (x, y) in (ax, by). Poiché l’area del disco è π, applicando il risultato dell’esercizio precedente,si ottiene che l’area è πab. 26. ** Siano A e B i punti di incontro fra γ e l’altro cerchio, che chiameremo σ. Sia K il punto in cui la retta dei centri incontra la corda AB e H il punto in cui la stessa retta incontra σ. I punti H, O, K e O0 si devono susseguire in questo ordine (se fosse H fra O e O0 le due parti del disco non potrebbero avere la stessa area, così come se fosse K estreno al segmento OO0 ). Il diametro di γ è OA + OB < BH + HA. Ma BH + HA è la lunghezza di una poligonale inscritta nell’arco AB, quindi è minore o uguale alla lunghezza di tale arco. 27. L’area di metà dell’intersezione fra i due cerchi deve corrispondere a 31 dell’area di uno dei dischi. Siano \ A e B i punti in cui i due cerchi si incontrano e O1 e O2 i centri. Sia θ = AO 2 O1 . L’area di metà dell’intersezione fra i dischi si trova per differenza fra l’area del settore circolare A02 B e del triangolo A02 B. Si perviene all’equazione θ = π3 + 21 sin 2θ; per risolverla si può usare il metodo di bisezione e si trova θ = 1, 3026. La distanza fra i centri è, quindi, d = 2r cos θ ' 0, 53. Paragrafo 6.4 29. Tre soluzioni possibili sono le seguenti: CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 335 Ma ce ne sono altre! 30. 500cm2 . 31. Il rapporto fra le lunghezze dei lati deve essere razionale. 32. Se a, b sono le lunghezze dei lati del primo rettangolo e c, d le lunghezze dei lati del secondo, deve essere a b a b e razionale oppure e razionale. c d d c 33. Si individuano su ogni lato del triangolo i punti che lo suddividono in n parti uguali, da ciascuno di questi si mandano le parallele agli altri due lati e si ottengono n2 triangoli simili al triangolo di partenza, con rapporto di similitudine n1 e quindi fra loro congruenti. 35. Basta considerare un triangolo rettangolo per cui il rapporto fra le lunghezze dei cateti sia m . n 36. 37. Si trasforma il trapezio in un rettangolo, come illustrato in figura, e ci si riconduce al problema esaminato nell’esercizio precedente. 38. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 336 39. Le aree dei triangoli ACQ e ABQ possono essere calcolate a partire dalle basi AC e AB rispettivamente, ottenendo: AC · h AB · h , A(ABQ) = A(ACQ) = 2 2 \ essendo h la distanza fra Q e ciascuno dei lati dell’angolo CAB. Ma si può anche calcolare l’area sulle basi CQ e QB, chiamando k l’altezza mandata da A: A(ACQ) = CQ · k , 2 A(ABQ) = BQ · k 2 A questo punto non è difficile tirare la conclusione. 40. Fissato B 0 sulla semiretta AB, si congiunge B 0 con C e si manda da B la parallela a B 0 C, fino ad incontrare la semiretta AC in C 0 . I due triangoli B 0 CB e B 0 C 0 C hanno la stessa area perchè hanno la stessa base e la stessa altezza. Se ne deduce che ABC e AB 0 C 0 hanno la stessa area. 41. ** Se M è il punto medio del segmento BC, la conclusione è immediata (ogni mediana divide un triangolo in due parti equiestese). Se M non è il punto medio, supponiamo che sia M C < M B. Sia M 0 il punto sul lato BC tale che M C = M 0 B. La parallela al segmento AM passante per M 0 taglia il lato AB in un punto B 0 ; i triangoli AM 0 B 0 e M 0 B 0 M sono equivalenti, avendo la stessa base M 0 B 0 e la stessa altezza (la distanza fra le rette parallele AM e B 0 M 0 ). Ne consegue che i triangoli B 0 BM e M 0 BA sono equivalenti. Anche i triangoli CM A e M 0 BA sono equivalenti, perché hanno basi della stessa lunghezza (i segmenti CM e M 0 B) e la stessa altezza (l’altezza del triangolo ABC relativa al lato BC). Per transitività i triangoli CM A e M BB 0 sono equivalenti. Sia K il punto medio del segmento AB 0 : la retta per M e K è mediana del triangolo AB 0 M e lo divide in due parti equivalenti. Tale retta è proprio quella cercata, infatti il quadrilatero AKM C e il triangolo KM B sono equivalenti, essendo unione di triangoli aventi la stessa area. 42. ** Siano A e B i punti in cui la retta per P incontra i lati dell’angolo: si ha il triangolo di area minima se P A = P B. Per dimostrarlo, si può considerare il parallelogrammo OBO0 A, ottenuto dalla simmetria rispetto al centro P dei segmenti OB e OA. Sia r una retta passante per P diversa da quella per A e B: essa taglia i lati dell’angolo nei punti A0 e B 0 appartenenti, rispettivamente, ai lati OA e OB, individuando i due triangoli OP A0 e OP B 0 . Supponiamo che sia OA0 < OA (e, quindi, OB < OB 0 ). Sia K il punto di intersezione fra la retta r e il segmento O0 B. Si ha: m(AOB) = m(AA0 P ) + m(OA0 P ) + m(OBP ) m(OA0 B 0 ) = m(OA0 P ) + m(OBP ) + m(P BK) + m(BKB 0 ) Poiché m(AA0 P ) = m(P KB), si conclude che m(OA0 B 0 ) > m(AOB). 43. ** Gli insiemi della decomposizione, essendo contenuti nel quadrato devono avere diametro√che non √ supera 2 (cioè presa due qualsiasi punti dell’insieme, la loro distanza non deve superare 2). La diagonale del parallelogrammo supera certamente 150 cm. Se gli insiemi della decomposizione fossero 100, considerando la limitazione posta al diametro, potrei ricoprire al massimo una lunghezza pari a √ 100 · 2cm ' 141cm. Ma la diagonale del parallelogrammo è più lunga, quindi occorre un maggiore numero di insiemi per la decomposizione. CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 337 Paragrafo 6.5 44. La moneta cade internamente alla mattonella se la distanza del suo centro dal bordo della mattonella supera d2 , cioè se il centro della moneta cade in un quadrato concentrico alla mattonella di lato λ − d. La probabilità cercata è data dal rapporto fra le aree dei due quadrati: (λ − d)2 =1− λ2 46. * Si deve avere a > minori di 13 . Se 1 3 1 3, 2 d λ non è infatti possibile che tutti e tre i pezzi del bastoncino abbiano lunghezze ≤ a ≤ 21 , la probabilità è (3a − 1)2 , se a > 1 2 la probabilità è 1 − 3(1 − a)2 . 47. La probabilità è 34 . 48. Sia O un vertice del quadrato, P e Q due punti appartenenti p a due lati consecutivi aventi O come estremo comune. Sia OP = x e OQ = y. Si deve avere P Q = x2 + y 2 ≤ λh, da cui si ricava x2 +y 2 ≤ λ2 h2 . Se 0 < h < 1, la probabilità cercata è data dal rapporto fra l’area del quadrante di cerchio di centro O e raggio λh e l’area del quadrato: πλ2 h2 1 · 2 4 λ Se h > 1, si considera la figura formata dall’intersezione fra il quadrato e il quadrante di cerchio: λ λh O λ Tale figura è data dall’unione di due triangoli rettangoli e di un settore circolare; la probabilità cercata si calcola come rapporto fra l’area di questa figura e l’area del quadrato di lato λ: p λ2 − 1 + h2 π 1 − h2 arccos 4 h 49. Siano x e y le ascisse dei due punti, si ha: PQ = 2 e si deve avere P Q ≤ λ2 h2 , cioè : p (x − y)2 + λ2 CAPITOLO 6. LA MISURA, L’AREA 338 (x − y)2 + λ2 ≤ λ2 h2 |x − y| ≤ λ p h2 − 1 Il grafico rappresentativo di questo insieme è il seguente: La probabilità cercata è data dal rapporto fra l’area di questo insieme e l’area di tutto il quadrato, ed è, quindi: 2 p h2 − 1 − h2 + 1 Indice 1 Successioni 1.1 Introduzione alle successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Alcune successioni interessanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Dimostrazioni per ricorrenza (o induzione) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 7 12 2 Limiti delle successioni 2.1 La nozione di limite di una successione 2.2 Operazioni algebriche e limiti . . . . . 2.3 La completezza della retta reale . . . . 2.4 L’estremo superiore . . . . . . . . . . . 2.5 Somme di infiniti addendi . . . . . . . . 3 4 5 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 52 57 60 65 68 Le funzioni continue 3.1 Funzioni reali continue . . . . . . . . . . . . 3.2 Prime proprietà delle funzioni continue . . . 3.3 Introduzione allo studio di una funzione . . . 3.4 I limiti delle funzioni . . . . . . . . . . . . . 3.5 Le funzioni monotòne e i loro limiti . . . . . 3.6 Il teorema degli zeri e il teorema del massimo 3.7 I cammini continui . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Le applicazioni continue fra spazi metrici . . 3.9 Funzioni continue di due variabili reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 105 112 115 118 122 123 135 141 144 . . . . . . . 192 192 197 201 210 211 214 216 Funzioni esponenziali e logaritmi 4.1 Introduzione alla funzione esponenziale 4.2 Le funzioni esponenziali in R . . . . . . 4.3 I logaritmi . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 Il logaritmo decimale . . . . . . . . . . 4.5 Il numero e . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Alcuni limiti notevoli . . . . . . . . . . 4.7 Matematica e musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La lunghezza di un cammino 5.1 La lunghezza: definizione e prime proprietà 5.2 La misura degli angoli . . . . . . . . . . . 5.3 Una disuguaglianza fondamentale . . . . . 5.4 Poligonali circoscritte ad un arco di cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257 257 265 268 273 La misura, l’area 6.1 Le funzioni additive d’insieme: l’area 6.2 La costruzione dell’area . . . . . . . . 6.3 Le proprietà geometriche dell’area . . 6.4 L’equiscomponibilità . . . . . . . . . 6.5 La probabilità come misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 291 293 304 310 315 . . . . . . . . . . . . . . . 339