Roma. Il Tempo. Domenica 10 aprile 1983.
In crisi con cane e gatto.
Al Teatro La Scaletta: “A volte un gatto...” di Cristiano Censi.
Che un gatto, camminando sui tetti, riesca ad arrivare da via Celsa sino a
via del Collegio Romano è cosa abbastanza facile e poco importa sapere il
perché e il percome lo abbia fatto: bisogna, invece, festeggiare questo
spettacolo di Cristiano Censi, Isabella Del Bianco, Alida Cappellini e
Toni Garrani al Teatro La Scaletta che così - teatro o club privato che sia
- vuole inserirsi fra gli spazi più nuovi, interessanti ed aperti del centro
storico.
Reduce da successi a Torino e a Firenze, lo spettacalo di Censi appare a
Roma per la prima volta e, apparentemente, non si discosta molto da quella
amara e ironica vivisezione di una coppia tipica del neoconsumismo in crisi,
la stessa di Forza Fido! (che è del 1972) o, addirittura di Cosa stiamo
dicendo? (del mitico 1968), sulla quale, come sugli attori e su noi tutti, si è
andata depositando la polvere degli anni. C’è, però, un colpo di reni, rispetto
all’ultimo Pesci banana (1981). La trovata è avere messo accanto a Carlo e
Maria Luisa - che, naturalmente, sono Cristiano e Isabella - un’altra coppia
che è il loro contraltare e la loro immagine riflessa in uno specchio
deformante: Isadora e Cristoforo che, però, non sono due persone, ma la cagnetta e il gatto di casa, tanto di razza, la prima, quanto randagio il secondo.
E ad interpretarli sono chiamati proprio due attori, gli affiatatissimi Alida
Cappellini e Toni Garrani.
Non ci sono caricature di voci o di costumi, anzi la differenza è inesistente,
e sull’esilissima vicenda di una squallida storia di corna e di incomprensione
fra sabato e domenica - in una pinteriana casa in cui tutto si è rotto e da fuori
vengono rumori di traffico, di pioggia e segnali di segreterie telefoniche - i
quattro personaggi giocano un sottilissimo gioco intrecciato, dal quale
emerge l’egoismo, l’indifferenza e la crudeltà con cui gli “umani” vedono i
propri “animali”, ora grotteschi simulacri di figli mai avuti, ora idealizzati tentativi di partners perfetti sempre sognati. Nel loro sonoro silenzio Isadora e
Cristoforo sono così, di questa coppia, i continui testimoni, commentatori ed
accusatori, dimostrando di loro molta più saggezza, filosofia ed umanità. Il
piangersi addosso e il masochistico compiacersi di farlo, come in Pesci
banana, cede ad una maggiore coscienza di sé, un autoaccusa delle
esasperazioni del maschilismo e del femminismo insieme e - con un finale
che non raccontiamo per non togliere il gusto a chi lo andrà a vedere - la
commedia si chiude non senza un filo di speranza, tanto difficile in questi
giorni, proprio quando Carlo e Maria Luisa cominceranno a fare i versi dei
loro saggi - ma essi non lo sanno - animali di casa.
La regia di Cristiano, come sempre, è professionale, abile e
controllata: anzi, diremo, che c’è, quasi, un non rendersi conto che nel
testo vi è più di quanto si veda in superficie: tanto che spesso quasi lo
svende come alla ricerca della battuta brillante e del facile applauso, come si
dovessero seguire gusti, esigenze e direttive di qualche originale radiofonico
o televisivo. Ma sono condizionamenti psicologici ai quali gli autori finiscono
col sottostare al di là delle loro intenzioni: ed è una considerazione che, caso
mai, va tutta a vantaggio del testo, se non il migliore, forse il più maturo di
quelli di Censi. Bravissimo Cristiano nello sperduto squallore di questo
indefinito intellettuale di riporto, perfetta Isabella, la sua insicura, logorroica, nevrotica compagna e, deliziosi, gli «animaletti» di scena: Alida
Cappellini, vezzosa cagnetta un pò snob e Toni Garrani, sornione e pigro
gattaccio romanesco. Non invadenti scene e costumi di Licheri e di Garrani le
musiche di fondo.
Il pubblico ha partecipato e si è divertito moltissimo, forse anche
sollecitando più del dovuto, con risate ed applausi, un testo e uno spettacolo
che camminano benissimo anche da soli (come ci diranno senza meno le
repliche) e già lungamente applauditi con l’autore-regista-attore e i suoi
compagni.
Lucio Romeo