Fisica del continuo dielettrico ed elastico

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Fisica del continuo
dielettrico ed elastico
Elettromagnetismo
Bergamaschini Roberto
20 aprile 2005
Dispensa realizzata in riferimento alle lezioni del corso di Fisica del Continuo
Dielettrico ed Elastico del Dott. Sanguinetti nell’anno accademico 2004/05
(Scienza dei Materiali - Università degli Studi di Milano Bicocca).
Le informazioni contenute sono ricavate dagli appunti delle lezioni e dai
seguenti libri:
• Introduction To Classical Electrodynamics - Y K Lim (capitoli 1, 2 e 5)
• A student’s Guide To Fourier Transforms - J. F. James (capitolo 1)
Si declina ogni responsabilità sulla correttezza del contenuto.
Per eventuali osservazioni e correzioni [email protected]
Indice
1 Fenomeni elettrici e magnetici
~ . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1 Campo elettrico E
1.2 Campo elettrostatico . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.1 Potenziale elettrostatico . . . . . . . . .
1.2.2 Conservatività del campo elettrostatico
1.3 Teorema di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Campi elettrici nei materiali . . . . . . . . . . .
1.4.1 Potenziale del dipolo elettrico . . . . . .
~ . . . .
1.4.2 Vettore spostamento elettrico D
1.5 Corrente elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Equazione di continuità . . . . . . . . .
~ . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Induzione magnetica B
~ . . . . . .
1.6.1 Calcolo della divergenza di B
1.6.2 Legge di Ampère e non conservatività di
1.7 Campi magnetici nei materiali . . . . . . . . . .
1.7.1 Correnti di polarizzazione nei materiali
~ . . . . . . . . . . .
1.7.2 Magnetizzazione M
~ . . . . .
1.7.3 Intensità di magnetizzazione H
1.7.4 Teorema di Ampère in forma generale .
1.8 Legge di induzione di Faraday-Lenz . . . . . . .
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B
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6
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17
18
20
20
22
23
24
24
2 Equazioni di Maxwell
2.1 Equazioni di Maxwell nel vuoto . . . . . . . . . .
2.2 Equazioni di Maxwell nella materia . . . . . . . .
2.3 Equazioni di Maxwell in forma integrale . . . . .
2.4 Condizioni al contorno . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Equazioni di Maxwell in mezzi omogenei, isotropi
2.6 Potenziale vettore e scalare . . . . . . . . . . . .
2.6.1 Trasformazioni di gauge . . . . . . . . . .
2.6.2 Condizione di Lorentz . . . . . . . . . . .
2.7 Teorema di Poynting . . . . . . . . . . . . . . . .
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e
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lineari
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36
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3 Onde elettromagnetiche
3.1 Equazioni delle onde elettromagnetiche
3.1.1 Onde elettromagnetiche piane .
3.1.2 Polarizzazione . . . . . . . . . .
3.2 Teorema di Fourier . . . . . . . . . . .
3.2.1 Sintesi di Fourier . . . . . . . .
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3
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4
INDICE
3.3
3.4
3.2.2 Analisi di Fourier . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.3 Rappresentazione in forma complessa . . .
3.2.4 Trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . .
Propagazione delle onde elettromagnatiche . . . . .
3.3.1 Sovrapposizione di onde elettromagnetiche .
3.3.2 Equazione d’onda in forma vettoriale . . . .
Fenomeni di riflessione e rifrazione . . . . . . . . .
3.4.1 Leggi di Snell . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 Leggi di Fresnel . . . . . . . . . . . . . . . .
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55
56
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59
A Operazioni sui campi vettoriali
65
A.1 Integrali di linea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
A.2 Integrali di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
B Operatori differenziali
B.1 Vettore Gradiente . . . . . . . . . . .
B.2 Vettore Rotore . . . . . . . . . . . . .
B.3 Divergenza . . . . . . . . . . . . . . .
B.4 Laplaciano . . . . . . . . . . . . . . . .
B.5 Proprietà degli operatori differenziali .
B.6 Combinazioni di operatori differenziali
B.6.1 Rotore di un gradiente . . . . .
B.6.2 Divergenza di un rotore . . . .
B.6.3 Rotore di un rotore . . . . . . .
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67
67
68
68
68
69
69
69
70
C Teoremi sui campi vettoriali
71
C.1 Teorema fondamentale del calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
C.2 Teorema di Stokes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
C.3 Teorema della divergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
Capitolo 1
Fenomeni elettrici e
magnetici
I fenomeni elettrici e magnetici, anche se apparentemente differenti tra loro,
presentano una notevole connessione essendo entrambi legati all’esistenza di
carica elettrica: cariche ferme sono responsabili di fenomeni elettrici mentre
cariche in moto (correnti) producono fenomeni magnetici.
Per descrivere le interazioni tra le cariche si potrebbe pensare di ricorrere
all’idea di forze agenti istantaneamente (teoria dell’azione a distanza) ma ciò
risulta in contrasto con considerazioni sia matematiche che fisiche: in particolare, se consideriamo cariche in moto relativo tra loro, gli effetti che l’una produce sull’altra non si manifestano istantaneamente ma si propagano con velocità
finita (pari, nel vuoto, alla velocità della luce). Un’interpretazione più corretta
dei fenomeni considerati è fornita dalla teoria dei campi la quale afferma che
le cariche non interagiscono direttamente tra di loro ma mediante mediazione
dei campi generati da esse stesse (dal punto di vista matematico, per campo
si intende una corrispondenza biunivoca tra i punti dello spazio e una certa
grandezza fisica, scalare o vettoriale). Ogni carica comporta una perturbazione
dello spazio che la circonda, il campo, indipendentemente dalla presenza di altre
cariche con cui interagire; quando una seconda carica viene collocata entro lo
spazio perturbato dalla prima, essa interagisce a mezzo del proprio campo con
il campo presente dando luogo agli effetti osservabili empiricamente.
L’introduzione del concetto di campo consente una trattazione matematica
e fisica completa dei fenomeni elettrici e magnetici a partire da un numero limitato di relazioni empiriche.
1.1
~
Campo elettrico E
Quando una particella ferma sperimenta una forza proporzionale alla sua stessa carica elettrica è possibile definire l’esistenza di un campo elettrico E. In
generale, possiamo determinare l’intensità del campo elettrico come forza per
unità di carica, esercitata dal campo stesso su una carica esploratrice positiva.
Detta F la forza agente sulla carica esploratrice q il campo elettrico presente
5
6
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
nel punto in cui è collocata la carica è
E = lim
q→0
F
q
dove il ricorso al limite è reso necessario per assicurare l’assenza di interferenze
della carica esploratrice con il campo esterno. In realtà, essendo la carica una
grandezza quantizzata la cui unità minima è la carica elementare e, l’applicabilità del limite è valida solo per fenomeni macroscopici. L’interpretazione dei
fenomeni microscopici è comunque possibile estendendo in tale contesto le conclusioni relative al mondo macroscopico.
1.2
Campo elettrostatico
In condizioni statiche, ovvero in presenza di cariche elettriche ferme, e nel vuoto,
è possibile definire un particolare tipo di campo elettrico: il campo elettrostatico. Sperimentalmente l’interazione tra particelle cariche ferme nello spazio è
descritta dalla legge di Coulomb:
F =
Qq r
4πε0 r3
dove ε0 è la costante dielettrica del vuoto (8, 85 · 10−12 F/m) e r è il vettore
posizione della carica q esploratrice rispetto alla carica Q sorgente del campo
(considerata come origine del sistema di riferimento).
Applicando la definizione di campo elettrico otteniamo
E=
Q r
4πε0 r3
Il campo elettrostatico può essere eventualmente generato, anziché da una
carica puntiforme singola, da un numero finito N di cariche qi . In tal caso
esso può essere definito attraverso l’applicazione del principio di sovrapposizione
come somma dei campi generati indipendentemente dalle singole cariche. In
tale operazione occorre prestare però attenzione alla definizione delle distanze:
fissato un sistema di riferimento univoco, si individua il punto in cui calcolare il
campo elettrico mediante il vettore posizione r e le N cariche sorgenti mediante
i vettori ri0 ; poichè le distanze coinvolte nel calcolo del campo elettrico sono
quelle tra ciascuna carica generatrice e il punto considerato si definisce allora
lo spazio delle differenze composto dai vettori posizione ri∗ = r − ri0 . Il campo
elettrostatico della distribuzione di carica data è quindi
N
1 X ri∗
qi
E=
Ei =
4πε0 i=1 ri∗ 3
i=1
N
X
Quanto costruito per cariche discrete può essere direttamente trasferito al
caso di distribuzioni continue di carica, considerando una somma integrale estesa
a tutti i singoli elementi infinitesimi di carica. Se consideriamo una certa superficie S sulla quale è presente una distribuzione di carica definita dalla funzione
σ(r) densità di carica superficiale il campo elettrico in un punto P è:
Z
Z
r∗
1
EP =
dE (r) =
σ(r) ∗i3 dS
4πε0 S
ri
S
1.2. CAMPO ELETTROSTATICO
7
Se la carica si trova distribuita su un volume V secondo una densità volumica
di carica ρ(r) il campo elettrico in P può essere espresso come:
Z
Z
r∗
1
EP =
dE (r) =
ρ(r) ∗i3 dV
4πε0 V
ri
V
1.2.1
Potenziale elettrostatico
Al campo elettrostatico è possibile associare una funzione potenziale ovvero è
possibile definire una grandezza φ di cui il campo è il gradiente:
E = −∇φ
In base alla definizione del campo elettrostatico generato da una singola carica
otteniamo:
Q r
Q 1
E=
= −∇φ
⇒
φ=
3
4πε0 r
4πε0 r
♣ Dimostrazione
Q
−∇φ = −∇
4πε0 r
=
Q
1
p
= −∇
4πε0 x2 + y 2 + z 2
Q Dx y zE
Q r
=E
· 3, 3, 3 =
4πε0
r r r
4πε0 r3
!
=
2
L’equazione qui determinata per il caso del campo elettrostatico generato da
una carica singola può essere estesa in maniera immediata al caso di una sorgente
di campo costituita da un insieme finito di cariche, con l’unico accorgimento di
definire correttamente le distanze coinvolte:
E=
N
N
1 X ri∗
1 X
1
qi ∗ 3 =
qi ∇∗(i) ∗
4πε0 i=1 ri
4πε0 i=1
ri
⇒
φ=
N
1 X qi
4πε0 i=1 ri∗
dove con ri∗ si considerano le distanze riferite allo spazio delle differenze (ri∗ =
r − ri0 ). Nella valutazione del potenziale occorre tenere presente quale spazio
delle distanze viene considerato nel calcolo del gradiente; indicando con x∗i =
x − xi una qualsiasi delle componenti di ri∗ valgono le seguenti relazioni:
∂f ∂x∗i
∂f
∂f
=
·
=
∂x
∂x∗i ∂x
∂x∗i
∂f
∂f ∂x∗i
∂f
=
·
=− ∗
∂xi
∂x∗i ∂xi
∂xi
∇∗(i) f = ∇f = −∇i f
In generale la differenza di potenziale tra due punti rappresenta il lavoro che è
necessario compiere contro le forze del campo per spostare una carica positiva
unitaria da un punto A iniziale a un punto B finale. Se infatti calcoliamo tale
grandezza otteniamo:
Z B
Z B
Z B
L
− =−
E · dr =
∇φ · dr =
dφ = φB − φA
q
A
A
A
8
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
dove nella risoluzione dell’integrale si è tenuto presente che:
∇φ · dr =
∂φ
∂φ
∂φ
dx +
dy +
dz = dφ
∂x
∂y
∂z
Poiché la dipendenza tra potenziale e campo elettrico in un punto è definita
mediante un operazione di gradiente, la funzione φ è in generale indeterminata,
nel senso che non è possibile definire in maniera univoca il potenziale elettrico
in un punto dello spazio ma solo la differenza di potenziale che sussiste tra due
punti. Se infatti fissiamo arbitrariamente la funzione φ, qualunque funzione
φ0 = φ + costante soddisfa la definizione di potenziale. Possiamo allora stabilire un valore di riferimento in corrispondenza del quale il potenziale è fissato:
per semplicità si assume che il potenziale di un punto a distanza infinita dalla
sorgente del campo sia nullo e pertanto si definisce il potenziale in un qualsiasi
punto P come il lavoro che è necessario svolgere contro le forze del campo per
spostare una carica, inizialmente a distanza infinita, nel punto considerato.
Z P
φ=−
E · dr
∞
Alla luce della definizione data possiamo facilmente calcolare il potenziale
generato da una sorgente qualsiasi di campo elettrostatico. Nel caso di un
sistema di N cariche discrete si ottiene:
Z
P
φP = −
∞
Z P
N
N
N
1 X
1
1 X qi
1 X ri∗
qi ∗ 3 · dr =
qi
∇∗(i) ∗ · dri∗ =
4πε0 i=1 ri
4πε0 i=1
ri
4πε0 i=1 ri∗
∞
Considerando un sistema costituito da una distribuzione continua di carica
di densità superficiale σ e densità volumica ρ, applicando la definizione data di
potenziale elettrostatico otteniamo:
Z
Z
σ(r)
ρ(r)
1
1
dS
+
dV
φP =
4πε0 S r∗
4πε0 V r∗
1.2.2
Conservatività del campo elettrostatico
Per definire se il campo elettrostatico è conservativo si procede semplicemente
alla valutazione della sua circuitazione verificando che l’integrale di linea di E
lungo un qualsiasi cammino chiuso C è nullo. Applicando il teorema di Stokes
otteniamo
I
Z
E · ds = (∇×E) · dA
C
S
da cui si ricava che la circuitazione è identicamente nulla se il rotore del campo
è nullo. Tale condizione risulta in generale sempre verificata per il campo elettrostatico in quanto esso è definito come gradiente di un potenziale (il rotore di
un gradiente è sempre nullo).
I
E = −∇φ
⇒
∇×E = ∇×(−∇φ) = 0
⇒
E · ds = 0
C
Il campo elettrostatico è quindi un campo conservativo: il lavoro compiuto
spostando una carica lungo un qualsiasi percorso chiuso è quindi sempre uguale
1.3. TEOREMA DI GAUSS
9
a zero. Tale conclusione può essere ricavata anche effettuando il calcolo diretto
del lavoro, nel caso in cui il punto iniziale A coincida con il punto finale B:
come evidente l’integrale di linea del lavoro è indipendente dal cammino e, per
qualsiasi percorso chiuso, fornisce risultato nullo, come atteso:
Z B
L
E · dr = φB − φA = 0
(A ≡ B)
− =−
q
A
La proprietà di conservatività del campo elettrico è prerogativa esclusivamente del campo elettrostatico: considerando un generico campo elettrico E,
comprendente una componente non conservativa E 0 non elettrostatica la circuitazione totale si riduce alla circuitazione di quest’ultima componente ed è
quindi diversa da zero:
I
I
E · ds =
E 0 · ds
C
C
Il valore della circuitazione del campo elettrico non conservativo viene definita tensione del circuito elettrico o forza elettromotrice e rappresenta il lavoro
svolto dal campo nel muovere una carica unitaria lungo l’intero cammino chiuso
C.
1.3
Teorema di Gauss
Il teorema di Gauss permette di quantificare il flusso di un campo elettrico E
attraverso una superficie chiusa S semplicemente valutando l’entità della carica
in essa contenuta:
P
I
qi
E · dA = i
ε0
S
♣ Dimostrazione
1 X ri∗
E=
qi ∗ 3
4πε0 i
ri
I
⇒
E · dA =
S
I
ri∗
1 X
· dA
qi
∗3
4πε0 i
S ri
ri∗
ri∗
dA
ˆ∗ 1
=
r
⇒
· dA = rˆi∗ · n̂ ∗ 2 = dΩs
i
3
2
ri∗
ri∗
ri∗ 3
ri
dove l’ultima uguaglianza deriva dalla definizione di angolo solido sotteso dall’elemento di superficie dA e individuato dal vettore ri∗ . Se la carica qi è interna
alla superficie S, tenendo presente che l’angolo solido per una qualsiasi superficie
chiusa vale 4π:
P
I
I
qi
1 X
1 X
qi
dΩs =
qi · 4π = i
2
E · dA =
4πε
4πε
ε
0 i
0 i
0
S
S
Il teorema di Gauss può essere espresso anche in termini di distribuzioni
continue di carica: detta ρ la densità di carica volumica, se V è il volume
delimitato dalla superficie S si ricava che
I
Z
1
E · dA =
ρdV
ε0 V
S
10
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Applicando il teorema della divergenza possiamo esprimere il teorema di
Gauss, sin qui riportato in forma integrale, in notazione differenziale:
I
1
E · dA =
ε
0
S
⇒
Z
Z
∇·EdV
ρdV =
V
∇·E =
V
ρ
ε0
Dal punto di vista fisico l’equazione integrale del teorema di Gauss consiste
nel conteggio delle linee di campo che attraversano una superficie considerata e
in particolare descrive formalmente che, in generale, il numero di linee di campo
provenienti da una carica è proporzionale alla carica stessa. In base all’equazione
in forma differenziale possiamo ritenere il valore di ∇·E come una valutazione
del campo elettrico in prossimità del punto considerato.
Anche se la legge di Gauss è stata ricavata nel caso di campi elettrostatici,
essa è considerata sempre valida per qualsiasi tipo di campo elettrico, essendo
strettamente collegata al principio generale di conservazione della carica.
1.4
Campi elettrici nei materiali
Le equazioni considerate nelle sezioni precedenti presentano validità limitata a
campi elettrici nel vuoto. Se si opera in presenza di materia, occorre tenere in
conto gli effetti del campo sul materiale considerato.
Se in un campo elettrostatico viene immesso un materiale metallico, caratterizzato dalla presenza di elettroni liberi (elettroni di conduzione), questi, sotto
l’azione accelerante del campo, migrano all’interno del corpo generando un campo elettrico interno che, una volta raggiunta la condizione statica di equilibrio,
rende nullo il campo risultante interno al materiale. In un materiale metallico,
quindi, il campo elettrostatico è sempre identicamente nullo.
Se nel campo elettrostatico viene collocato un materiale dielettrico (isolante)
non si assiste ad alcun trasferimento di carica, in quanto non sono presenti elettroni liberi. Il campo, provoca tuttavia spostamento di carica su scala atomica
dando luogo a fenomeni di polarizzazione che portano, in generale, alla formazione di dipoli elettrici che tendono ad orientrsi in direzione del campo esterno, modificando il campo elettrico stesso. Il meccanismo di polarizzazione
è differente a seconda che il materiale sia polare o meno: se il dielettrico è
di per sé caratterizzato da molecole con distribuzione asimmetrica di carica,
ovvero da dipoli permanenti, il campo elettrico agisce semplicemente sugli stessi
provocando il loro allineamento (polarizzazione per orientamento) contro il disordine prodotto dall’agitazione termica; nel caso in cui il dielettrico sia costituito
da molecole apolari, l’applicazione del campo esterno produce, per interazione
coulombiana, una separazione tra il centro di carica positiva e quello negativo
formando quindi dei dipoli elettrici indotti, orientati secondo la direzione del
campo (se le cariche spostate sono elettroni si parla di polarizzazione elettronica, mentre nel caso di ioni positivi e negativi il processo prende il nome di
polarizzazione ionica).
1.4. CAMPI ELETTRICI NEI MATERIALI
1.4.1
11
Potenziale del dipolo elettrico
Per poter caratterizzare il comportamento complessivo di un dielettrico polarizzato occorre definire il contributo al potenziale totale determinato dalla presenza
degli elementi dipolari.
Un dipolo puó essere schematizzato come costituito da due cariche di ugual
modulo q ma di segno opposto, collocate ad una data distanza 2l. Se fissiamo un
sistema di riferimento avente origine nel centro del dipolo possiamo individuare
la carica (+q) mediante il vettore posizione l; la posizione dell’altra carica (−q)
può essere descritta mediante il vettore posizione l0 = −l.
Consideriamo allora un punto P individuato dal vettore posizione r, tale che
r >> l, ovvero collocato a distanza molto maggiore rispetto alla dimensione
del dipolo (condizione sperimentale in generale sempre valida) e calcoliamo il
potenziale presente in tale posizione:
φP
=
=
=
=
=
1
−q
1
+q
+
=
4πε0 |r − l| 4πε0 |r − l0 |
q
1
1
−
=
4πε0 |r − l| |r + l|
q
4πε0
1
1
!
p
−p
=
(r − l) · (r − l)
(r + l) · (r + l)
1
1
q
√
−√
=
4πε0
r2 + l2 − 2r · l
r2 + l2 + 2r · l


q 
r
4πε0 r 
1
1+
l2
2r · l
− 2
r2
r
−r
1+
1
l2
2r · l
+ 2
r2
r



Tenendo conto del fatto che l/r << 1 possiamo semplificare i termini tra parentesi definendo una variabile x = l/r → 0 e ricorrendo all’approssimazione di
12
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Taylor:
f=
!− 12
− 21
2
− 12
l
l
± 2r̂ · l̂ ·
= 1+
= 1 + x2 ± 2r̂ · l̂x
r
r
− 32
∂f
1
1 + x2 ± 2r̂ · l̂x
(2x ± 2r̂ · l̂)
=−
∂x
2
∂
l
⇒ f ≈ f(x=0) +
f(x=0) x = 1 ∓ r̂ · l̂ ·
∂x
r
2r · l
l2
1+ 2 ± 2
r
r
Sostituendo le approssimazioni calcolate nell’equazione relativa al calcolo del
potenziale dovuto al dipolo otteniamo:
2ql
q
l
l
q 2l · r
1
=−
φP ≈
1 + r̂ · l̂ · − 1 − r̂ · l̂ ·
=
·∇
4πε0 r
r
r
4πε0 r3
4πε0
r
Il comportamento elettrico del materiale considerato può essere utilmente
caratterizzato introducendo il vettore momento di dipolo elettrico p. Tale grandezza è definita in generale, per molecole dipolari di volume V0 , come
Z
p=
ρrdV
V0
Se la struttura del dipolo risulta schematizzabile a mezzo di due cariche discrete
opposte, di uguale modulo q, e poste a una distanza individuata dal vettore d,
di modulo pari a 2l e verso convenzionalmente definito dalla carica negativa a
quella positiva, otteniamo semplicemente che p = q · d = q · 2l. Il potenziale del
dipolo da noi considerato può essere allora definito come:
φ=−
1.4.2
1
1
p·∇
4πε0
r
~
Vettore spostamento elettrico D
Un mezzo dielettrico soggetto ad un campo elettrico esterno può essere considerato come una distribuzione continua di dipoli elementari e quindi la sua caratterizzazione è possibile introducendo una densità di momento dipolare (dipolo
netto per unità di superficie), definita polarizzazione P :
PN
P =
i=1
pi
dV
E’ possibile allora definire il potenziale dovuto alla polarizzazione del dielettrico
estendendo estendendo l’equazione del dipolo all’intero materiale, mediante il
vettore di polarizzazione:
Z
1
1
φ=−
P · ∇∗(i) ∗ dV 0
4πε0 V
ri
dove si sono definite le distanze relative ai singoli elementi di volume appartenenti allo spazio delle differenze mentre l’integrazione è relativa al volume descritto
nelle coordinate delle sorgenti del campo. Sfruttando le relazioni, già definite,
1.4. CAMPI ELETTRICI NEI MATERIALI
13
tra i gradienti relativi ai differenti spazi si può rendere omogeneo l’integrale,
riferendo tutte le distanze allo spazio delle sorgenti:
Z
1
1
φ=
P · ∇i ∗ dV 0
4πε0 V
ri
Tenendo conto che, in generale, F ∇ψ = ∇·(ψF ) − ψ∇·F (vedi proprietà 2 della
divergenza illustrata in Appendice) possiamo esprimere il potenziale come:
Z
Z
1
P
∇i ·P
1
0
dV 0
∇i · ∗ dV −
φ=
4πε0 V
ri
4πε0 V ri∗
Applicando il teorema della divergenza al primo termine si ricava
I
Z
1
1
P
∇i ·P
0
φ=
· dS −
dV 0
4πε0 S ri∗
4πε0 V ri∗
dove S rappresenta la superficie di delimitazione del volume V . Confrontando l’equazione con quelle precedentemente ottenute per distribuzioni di carica
superficiali e volumiche si può osservare che il potenziale dovuto al dielettrico
è definito dalla somma di due termini. Il primo termine è costituito dall’integrale sulla superficie chiusa S e corrisponde al potenziale generato da una
distribuzione superficiale di carica di densità σp = P · n̂ (n̂ è il versore normale
alla superficie S). Il secondo elemento che definisce il potenziale consiste nell’integrale di volume corrispondente ad una carica, detta carica di polarizzazione,
distribuita entro il volume V con densità ρp = −∇·P .
Alla luce di quanto sin qui considerato possiamo valutare il teorema di Gauss
anche nel caso di un sistema di cariche immerso in un dielettrico. Se indichiamo
con ρ la densità di carica reale e con ρp la densità di carica di polarizzazione del
dielettrico otteniamo:
∇·E =
ρ + ρp
ρ − ∇·P
=
ε0
ε0
Riordinando l’equazione precedente e introducendo un nuovo vettore di campo
D = ε0 E + P
detto spostamento elettrico, induzione elettrica o spostamento dielettrico otteniamo un espressione molto simile a quella originaria per le cariche nel vuoto:
∇·P
ρ
=
ε0
ε0
∇·(ε0 E + P ) = ρ
∇·E +
∇·D
= ρ
Applicando il teorema della divergenza possiamo allora ottenere l’espressione
in forma integrale del teorema di Gauss generalizzato anche alla presenza di
eventuali dielettrici:
Z
I
∇·DdV =
D · dS = q
V
S
14
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Le equazioni sin qui riportate esprimono D in funzione delle due variabili, P
ed E, supposte tra loro indipendenti. In realtà, in molti casi esiste una relazione
di dipendenza tra la polarizzazione del mezzo ed il campo elettrico applicato.
Per definire le relazioni suddette occorre caratterizzare il mezzo dal punto di
vista delle sue proprietà elettriche. Un materiale può definirsi omogeneo se è
caratterizzato da composizione uniforme; se gli effetti legati al campo elettrico
sono indipendenti dall’orientazione del corpo il mezzo si dice isotropo e, nel
caso in cui la polarizzazione proporzionale al campo applicato si parla di mezzo
lineare (mezzi non lineari sono caratterizzati da dipendenza della polarizzazione
dal campo definita da un polinomio di grado n). Per un mezzo omogeneo,
isotropo e lineare, la polarizzazione P è parallela e proporzionale al campo
elettrico E e può quindi essere espressa mediante la relazione
P = ε0 χe E
La costante di proporzionalità χe è definita suscettività elettrica o polarizzabilità
del mezzo. Sostituendo l’equazione data nella definizione del vettore spostamento elettrico D si ottiene allora una relazione di proporzionalità con il campo
elettrico E applicato:
D = ε0 E + P = ε0 (χe + 1) E = ε0 εr E = εE
La costante di proporzionalità ε detta costante dielettrica o permettivit elettrica del mezzo ed ´ definita dal prodotto tra ε0 e la costante dielettrica relativa
εr = χe + 1. Poichè P ed E sono sempre equiversi tra loro (χe > 0), lo
spostamento elettrico nel mezzo D sempre maggiore del corrispondente campo
elettrico nel vuoto E ovvero ε > ε0 . Si noti che ε è una grandezza scalare
solo se il mezzo considerato è isotropo; nel caso di mezzo anisotropo, poichè la
proporzionalità tra D ed E è dipendente dalla direzione considerata, ε si rappresenta mediante una matrice quadrata 3×3 (diagonale) e costituisce un tensore.
1.5
Corrente elettrica
Si definisce corrente elettrica un flusso ordinato di carica attraverso la superficie
di un conduttore. Se in un tempo dt una sezione normale del conduttore (tale
per cui il versore normale n̂ sia parallelo al moto delle cariche) è attraversata
da una carica netta dq, l’intensità della corrente elettrica corrispondente è
I=
dq
dt
Come descritto nella formula precedente, l’intensità di corrente è una grandezza scalare ed è indipendente dalla natura dei portatori di carica (essi possono
essere infatti sia cariche positive che negative). L’informazione fornita da I è
però insufficiente per poter caratterizzare compiutamente il flusso di carica. Si
definisce allora una grandezza vettoriale, detta densità di corrente J che descrive
la corrente che fluisce attraverso ciascun punto della superficie del conduttore,
sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: J è definita nella direzione di
scorrimento della carica, orientata secondo il moto delle cariche positive (anche
1.5. CORRENTE ELETTRICA
15
se eventualmente la corrente è dovuta a cariche negative) e ha modulo
J=
dI
dS
in cui dI è la corrente che fluisce attraverso l’elemento infinitesimo di area dS del
conduttore. Sfruttando la definizione precedente è possibile ricavare l’intensità
di corrente attraverso un integrale di flusso di J , esteso a tutta la superficie S
del conduttore:
Z
I=
J · dS
S
Dal punto di vista microscopico J può essere definita come:
PN
qi · v i
J = i=1
dV
dove qi è la carica i-esima che attraversa il volume dV con velocità vi . Se tutte
le cariche si muovono alla medesima velocità v, detta ρ la densità volumica di
carica, si ottiene:
PN
qi
J = i=1 · v = ρv
dV
In generale, il moto delle cariche elettriche è dovuto alla presenza di una fem
non nulla agente sul circuito, ovvero ad un campo elettrico E. Nel caso di
particolari mezzi omogenei, isotropi e lineari si può ritenere J proporzionale al
campo applicato (legge di Ohm microscopica):
J = σE
dove σ è definita conducibilità elettrica ed è caratteristica per il conduttore considerato. Tale corrispondenza è valida solo considerando correnti macroscopiche;
essa è infatti inapplicabile al caso di fenomeni relativi a correnti atomiche o
molecolari in quanto in questo caso intervengono effetti quantistici (come la
superconduttività).
1.5.1
Equazione di continuità
L’equazione di continuità della corrente elettrica è una diretta conseguenza del
principio di conservazione della carica: la quantità di carica in uscita da una
certa superficie chiusa, nell’unità di tempo, deve essere uguale alla velocità di
diminuzione della carica in essa contenuta. In termini matematici, quanto sopra
enunciato si traduce in:
Z
Z
I
d
∂ρ
J · dS = −
ρdV = −
dV
dt
S
V
V ∂t
dove V è un volume arbitrario delimitato dalla superficie S. Applicando il
teorema della divergenza e considerando che V è arbitrariamente definito
I
Z
Z
∂ρ
J · dS =
∇·J dV = −
dV
S
V
V ∂t
⇒
∇·J +
∂ρ
=0
∂t
16
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Una corrente si dice stazionaria se non si hanno né accumuluni né sorgenti
di carica in qualsiasi punto del suo percorso. Tale condizione equivale a dire
∂ρ
=0
∂t
⇒
∇·J = 0
Nel caso di correnti stazionarie, quindi, la densità di corrente è solenoidale.
1.6
~
Induzione magnetica B
I fenomeni magnetici sono differenti da quelli elettrici per il semplice fatto che
essi sono interpretabili in termini di interazioni tra correnti e non richiedono l’esistenza di alcuna specifica carica magnetica. Lo studio del magnetismo è quindi
possibile definendo empiricamente le relazioni fondamentali che sussistono tra
elementi di corrente, intendendo con questo termine il prodotto di una corrente
I per una lunghezza elementare dr di conduttore in cui essa fluisce.
Se consideriamo due circuiti C1 e C2 percorsi rispettivamente dalle correnti
I1 e I2 possiamo esprimere la forza magnetica che il circuito 1 esercita sul circuito
2 mediante la seguente formula sperimentale:
I I
dr2 ×(dr1 ×r21 )
µ0
I1 I2
F2 =
3
4π
r21
C1 C2
dove r21 è un vettore che esprime la posizione dell’elemento di lunghezza dr2 del
circuito 2, rispetto alla posizione dell’elemento di lunghezza dr1 del circuito 1
(se le posizioni di dr1 e dr2 sono definite rispetto all’origine di un sistema di assi
cartesiani da due vettori r1 e r2 , il vettore r21 è pari alla loro differenza r2 −r1 ).
La costante µ0 è detta permeabilità magnetica del vuoto e, per definizione, è
esattamente pari a 4π · 10−7 H/m.
Anche se, nella forma in cui è riportata, l’equazione di interazione tra correnti
risulta asimmetrica rispetto agli indici 1 e 2, essa non presenta violazione della
terza legge di Newton (F2 = −F1 ).
In analogia con quanto già effettuato per il campo elettrico, possiamo definire
il campo magnetico, o più propriamente l’induzione magnetica, come il termine
dell’espressione della forza dipendente esclusivamente dalla sorgente (circuito 1)
e non dal circuito 2 che funge da sonda:
I
µ0
dr1 ×r21
B1 =
I1
3
4π
r21
C1
In base a questa definizione di B è possibile definire la forza cui è soggetto il
circuito 2 mediante un espressione più semplice:
I
F2 = I2
dr2 ×B1
C2
Si può notare che in questa enunciazione la formula diviene simmetrica rispetto
agli indici 1 e 2, a dimostrazione che la forza considerata è newtoniana.
L’equazione precedentemente riportata per il campo magnetico generato dal
circuito 1 può essere interpretata come una somma integrale dei contributi infinitesimi di campo dB dovuti ai singoli elementi di corrente Idr 0 , relativa ad
~
1.6. INDUZIONE MAGNETICA B
17
un punto considerato dello spazio, individuato mediante il vettore differenza
r ∗ = r − r 0 (dove r è la posizione del punto rispetto all’origine di un sistema
di assi di riferimento). La legge di Biot-Savart esprime in termini matematici
queste considerazioni:
µ0 Idr 0 ×r ∗
dB =
4π
r∗ 3
Osservando le due equazioni relative al campo e alla forza corrispondente, si
può ricavare che, per testare sperimentalmente la presenza del campo magnetico
in un dato punto, è necessario l’utilizzo di un elemento di corrente Idr, tuttavia,
l’idea di una corrente isolata non può essere realizzata fisicamente e pertanto
occorre definire relazioni differenti che non richiedano l’utilizzo di elementi di
corrente. A tal fine possiamo introdurre il vettore densità di corrente ottenendo:
Idr = J dA · dr = J dV
Le equazioni per il campo magnetico B e per la forza magnetica F possono
essere allora equivalentemente espresse in termini di densità di corrente come:
Z
J ×r ∗ 0
µ0
B=
dV
4π V 0 r∗ 3
Z
F =
J ×BdV
V
dove con V 0 si considera il volume comprendente tutti i punti sorgente mentre
con V si indica il volume contenente tutti i punti del campo.
In base alla definizione microscopica dalla densità di corrente (J = ρv)
possiamo calcolare la forza magnetica agente su una carica puntuale Q (forza
di Lorentz ):
Z
Z
J ×BdV =
F =
V
1.6.1
ρv×BdV = qv×B
V
~
Calcolo della divergenza di B
Considerando una distribuzione continua di corrente, contenuta in un volume
V 0 , la divergenza del campo magnetico B è data da:
Z
Z
J ×r ∗ 0
J ×r ∗
µ0
µ0
∇·
∇·B = ∇·
dV
=
dV 0
4π V 0 r∗ 3
4π V 0
r∗ 3
dove lo spostamento dell’operatore divergenza all’interno del segno di integrale è
reso possibile dal fatto che, mentre la divergenza opera rispetto allo spazio delle
coordinate del campo (mantenendo fissi i punti sorgente), l’integrale è riferito
allo spazio delle sorgenti (e mantiene quindi inalterate le posizioni del campo).
Considerando che ∇·(F1 ×F2 ) = F2 · (∇×F1 ) − F1 · (∇×F2 ) (vedi proprietà
3 della divergenza riportata in Appendice), la nuova funzione integranda può
essere formulata come
1
1
J ×r ∗
∗ 1
=
−∇·
J
×∇
= − (∇×J ) · ∇∗ ∗ + J · ∇×∇∗ ∗
∇·
3
∗
∗
r
r
r
r
dove con ∇∗ si intende che l’operazione è riferita allo spazio delle differenze
tra punti di campo e sorgenti. Considerando il primo termine dell’equazione
18
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
riportata possiamo notare che esso è identicamente nullo in quanto J è definita
in funzione dei punti sorgente ed è quindi costante rispetto alle coordinate del
campo, a cui si riferisce l’operazione di rotore:
∇×J = 0
Per quanto riguarda il secondo termine dell’equazione, tenendo presente la relazione che sussiste tra le operazioni differenziali nel sistema di coordinate delle
differenze, rispetto a quello dei punti di campo, è possibile ricavare che anch’esso
è nullo:
1
1
J · ∇×∇∗ ∗ = J · ∇∗×∇∗ ∗ = 0
r
r
Dato un generico campo magnetico di induzione B vale quindi la seguente
proprietà:
∇·B = 0
Tale conclusione risulta immediata tenendo presente che non esistono monopoli
magnetici ma solo sistemi dipolari e correnti tali da generare campi magnetici
le cui linee di campo sono sempre chiuse. Il campo magnetico B è quindi
solenoidale.
1.6.2
~
Legge di Ampère e non conservatività di B
La valutazione del rotore di un campo magnetico B è particolarmente complessa
se trattata nella sua forma più generale. Una trattazione semplificata è possibile
considerando di operare con correnti stazionarie (∇·J = 0) introducendo la legge
di Ampère come dato sperimentale:
I
Z
B · dr = µ0
J · dS = µ0 I
C
S
dove I è la corrente concatenata a una qualsiasi superficie delimitata da C.
Applicando il teorema di Stokes alla legge di Ampère, possiamo quindi definire
il rotore del campo magnetico generato dalle correnti stazionarie considerate:
I
Z
Z
B · dr =
(∇×B) · dS = µ0
J · dS
C
S
⇒
S
∇×B = µ0 J
Poichè ∇×B 6= 0 è possibile concludere che il campo magnetico non è conservativo, ovvero non può essere associato ad una funzione potenziale scalare.
La validità della legge di Ampère nella forma indicata è limitata al caso di
correnti stazionarie. Se nel circuito considerato sono presenti eventualmente dei
punti in cui si può verificare accumulo di carica oppure delle sorgenti, cadono le
ipotesi di stazionarietà e pertanto l’equazione non può essere più applicata. Tale
fatto può essere infatti evidenziato considerando un semplice circuito elettrico,
percorso da una certa corrente e contenente un condensatore a piatti paralleli:
calcolando la circuitazione relativa ad un percorso chiuso C che circonda un tratto del conduttore, se si valuta l’integrale utilizzando come superficie delimitata
da C una qualsiasi superficie S intersecante il conduttore, si ottiene un valore
non nullo (la corrente passante nel circuito è infatti concatenata alla superficie),
mentre, per superfici S, ugualmente delimitate da C ma passanti per lo spazio
~
1.6. INDUZIONE MAGNETICA B
19
compreso tra le armature del condensatore, la circuitazione dovrebbe invece
avere valore nullo (non vi sono correnti concatenate). La legge di Ampère conduce quindi ad una contraddizione che è dovuta alla mancanza di stazionarietà
della corrente.
Per ripristinare la validità dell’equazione di Ampère occorre quindi sostituire
a J una densità di corrente J 0 , equivalente ad una corrente stazionaria e tale
da contenere le informazioni relative alla reale corrente non stazionaria. Per
definire la densità di corrente equivalente J 0 possiamo esprimere la velocità di
variazione della densità di carica ρ avvalendoci della legge di Gauss:
∇·E =
ρ
ε0
⇒
∂ρ
∂
∂E
=
(ε0 ∇·E) = ε0 ∇·
∂t
∂t
∂t
Considerando il principio di continuità otteniamo:
∂ρ
=0
∂t
∂E
∇·J + ε0 ∇·
=0
∂t
∂E
∇· J + ε0
=0
∂t
∇·J +
Il termine ε0 Ė ha le dimensioni di una densità di corrente ma non corrisponde
ad un reale trasferimento di cariche; viene pertanto definito densità di corrente di spostamento nel vuoto e consente di interpretare l’instaurarsi di campi
magnetici per effetto di campi elettrici variabili, anche in assenza di correnti
concatenate. La somma che figura come argomento dell’operatore divergenza
è in definitiva una densità di corrente e corrisponde alla densità di corrente
stazionaria equivalente J 0 :
∂E
J 0 = J + ε0
∂t
La legge di Ampère può essere allora estesa al caso di correnti non stazionarie
nel modo seguente:
I
Z
Z ∂E
B · dr = µ0
J 0 · dS = µ0
· dS =
J + ε0
∂t
C
S
S
Z
d
dΦE
E · dS = µ0 I + µ0 ε0
= µ0 I + µ0 ε0
dt S
dt
L’equazione sopra riportata riassume in sé le modalità con cui è possibile generare un campo magnetico: mediante una corrente elettrica I oppure mediante
induzione attraverso un flusso di campo elettrico variabile nel tempo. Applicando il teorema di Stokes possiamo ottenere l’espressione del rotore del campo
magnetico B anche nel caso di correnti non stazionarie:
I
Z
Z ∂E
· dS
B · dr =
(∇×B) · dS =
J + ε0
∂t
C
S
S
⇒
∇×B = µ0 J + µ0 ε0
∂E
∂t
20
1.7
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Campi magnetici nei materiali
Quanto finora considerato sui campi magnetici ha validità limitata a condizioni
di vuoto. Quando si opera in presenza di materiali, essi interagiscono con i
campi magnetici alterandone le caratteristiche. Occorre pertanto definire correttamente gli effetti che un materiale produce su un campo magnetico esterno
in modo da estendere le equazioni ottenute a qualsiasi condizione sperimentale.
In un mezzo materiale, infatti, la nostra analisi non si limita alle correnti reali
ed eventualmente alle correnti di spostamento ma deve tenere in considerazione
altri termini di corrente associati al mezzo stesso. Limitandoci a considerare un
mezzo stazionario, infatti, occore tenere in considerazione due tipi di correnti
addizionali: le correnti di polarizzazione e quelle di magnetizzazione.
1.7.1
Correnti di polarizzazione nei materiali
Se consideriamo un materiale polarizzabile, in generale, un campo magnetico
può agire sui dipoli (permanenti o indotti) generando un spostamento di carica
nel dipolo stesso e dando quindi luogo a correnti microscopiche relative a ciascun
elemento dipolare del mezzo. Il processo di riarrangiamento della carica all’interno di ciascuna molecola o atomo può essere descritto mediante la derivata
temporale del vettore momento di dipolo elettrico p. Se la carica del dipolo
è descritta mediante densità volumica ρ e v è la velocità di spostamento della
carica stessa, la corrente dipolare può essere descritta come J = ρv e pertanto,
in base al principio di continuità si ottiene:
∇·J +
∂ρ
=0
∂t
⇒
∂ρ
= −∇·J = −∇·(ρv)
∂t
In base alla definizione di momento di dipolo elettrico (vedi sezione 1.4.1),
sfruttando la relazione precedente, otteniamo che
Z
Z
Z
d
∂ρ
dp
=
ρrdV =
rdV = −
r∇·(ρv)dV
dt
dt V0
V0 ∂t
V0
dove v0 è il volume della molecola (o atomo) considerata ed r è la posizione
della carica in moto rispetto al centro della molecola. Poichè r è un vettore,
l’integrale deve essere calcolato rispetto a ciascuna componente di r stesso.
Considerando quindi una qualsiasi delle componenti di r, indicata con x, e
applicando la proprietà 2 dell’operatore divergenza ψ∇·F = ∇·(ψF ) − F ∇ψ
(vedi Appendice), si ricava
x∇·(ρv) = ∇·(xρv) − ρv · ∇x = ∇·(xρv) − ρvx
dove ∇x è il versore relativo alla componente x considerata. Alla luce della relazione evidenziata per ciascuna componente, attraverso l’applicazione del
teorema della divergenza al primo termine dell’equazione precedente, si ricava
che
I
Z
dp
=−
rρv · dS +
ρvdV
dt
S0
V0
in cui S0 è la superficie comprendente l’intero volume V0 della molecola. Osservando l’integrale di superficie, si nota che esso rappresenta il flusso relativo alla
1.7. CAMPI MAGNETICI NEI MATERIALI
21
carica della molecola sulla sua intera superficie, moltiplicato per ciascuna componente del vettore r; poichè le molecole del dielettrico sono complessivamente
neutre, ovvero la carica risultante all’interno della superficie è nulla, anche il
flusso espresso dall’integrale è nullo e pertanto la variazione della polarizzazione
del mezzo può essere semplicemente espressa mediante il secondo integrale di
volume:
Z
I
dp
=
ρvdV
rρv · dS = 0
⇒
dt
V0
S0
L’entità della corrente di polarizzazione relativa all’intero mezzo è definita
dalla somma di tutti i contributi relativi a ciascuna molecola del dielettrico
e pertanto può essere espressa in termini di variazione temporale del vettore
polarizzazione P (vedi sezione 1.4.1), ovvero come velocità di variazione del
momento di dipolo relativo a un volume unitario:
Z
1 dp
1
∂P
=
=
ρvdV =< ρv >
∂t
V0 dt
V0 V0
Si ricava quindi che la densità di corrente di polarizzazione, espressa dalla variazione temporale di P , è pari alla media delle densità di correnti molecolari. Tale
corrente produce una variazione del campo magnetico B che può essere quantificata includendo il termine di polarizzazione nella definizione della densità di
corrente totale J tot :
∂P
J tot = J +
∂t
Poichè, in generale, Jtot può non essere stazionaria, occorre inoltre definire,
mediante applicazione del principio di continuità, una densità di corrente equivalente J 0 , stazionaria. A tale scopo è necessario tenere in conto che il mezzo
è polarizzato e pertanto, oltre alle cariche effettive, di densità volumica ρ, sono
presenti cariche di polarizzazione di densità volumica ρp .
∇·J 0 = ∇·J tot +
∂ρtot
∂P
∂
= ∇·J 0 = ∇· J +
+
(ρ + ρtot ) = 0
∂t
∂t
∂t
Dal teorema di Gauss si ricava che ρ + ρp = ε0 ∇·E quindi
∂P
∇·J = ∇· J +
∂t
0
∂
∂
+
(ε0 ∇·E) = ∇· J +
(ε0 E + P ) = 0
∂t
∂t
introducendo il vettore spostamento elettrico D = ε0 E + P si ricava
∂D
∂D
0
∇·J = ∇· J +
=0
⇒
J0 = J +
∂t
∂t
da cui si può notare che la polarizzazione del mezzo può essere tenuto in conto
per semplice sostituzione di E con D.
Definita la densità di corrente equivalente J 0 possiamo esprimere il rotore
del campo magnetico B, in presenza di materiali polarizzabili, come
∇×B = µ0 J 0 = µ0 J + µ0
∂D
∂t
22
1.7.2
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
~
Magnetizzazione M
Nella trattazione sin qui portata avanti abbiamo trascurato la possibilità che i
materiali presentino un carattere magnetico proprio. In realtà, la materia è di
per sè costituita da cariche in moto: all’interno di ciascun atomo (o molecola),
indipendentemente da stimoli esterni, gli elettroni sono in moto continuo all’interno dei corrispondenti orbitali e pertanto generano correnti microscopiche
assimilabili a quelle generate da spire percorse da corrente. Queste correnti
intrinseche al materiale generano deboli campi magnetici caratterizzabili mediante una grandezza che, in analogia con la polarizzazione dei dielettrici, è
definita momento di dipolo magnetico m. Poichè ciascun atomo (o molecola) è
caratterizzato da un proprio momento dipolare, a livello macroscopico il comportamento complessivo del materiale si può caratterizzare mediante il vettore
magnetizzazione M , corrispondente al momento di dipolo magnetico netto per
unità di volume:
PN
mi
M = i=1
dV
Se la magnetizzazione è uniforme (mezzo isotropo), tutte le correnti microscopiche relative a ciascun atomo (o molecola) sono identiche e, pertanto,
l’effetto complessivo è un trasferimento di carica solo sulla superficie esterna del
materiale in quanto, all’interno, le correnti relative a dipoli magnetici adiacenti
sono uguali ed opposte e non danno quindi luogo ad alcun effettivo spostamento di carica. Nel caso in cui la magnetizzazione non sia uniforme (mezzo
anisotropo), non si verifica annullamento dei termini di corrente interni al materiale poichè la corrente associata a ciascun dipolo magnetico è differente. In
questo caso all’interno del materiale è presente una corrente risultante non nulla,
chiamata corrente di magnetizzazione, la cui densità è definita pari a
Jm = ∇×M
Considerando quindi un materiale stazionario possiamo esprimere la densità
di corrente totale Jtot come la somma della densità di corrente effettiva J ,
della densità di corrente di polarizzazione Ṗ e della densità di corrente di
magnetizzazione Jm :
∂P
Jtot = J +
+ ∇×M
∂t
Occorre allora definire una densità di corrente equivalente e stazionaria J 0
che tenga in conto sia della polarizzazione P che della magnetizzazione M
del mezzo. Applicando il principio di continuità della corrente, tenendo presente che, oltre alla carica effettiva (di densità ρ), è presente una carica di
polarizzazione di densità ρp , otteniamo
∇·J 0 = ∇·J tot +
∂P
∂
∂ρtot
= ∇·J 0 = ∇· J +
+ ∇×M +
(ρ + ρtot ) = 0
∂t
∂t
∂t
Applicando il teorema di Gauss e introducendo il vettore spostamento elettrico
D (nelle modalità già descritte nella sezione precedente) otteniamo:
∂D
∂D
0
∇·J = ∇· J +
+ ∇×M = 0
⇒
J0 = J +
+ ∇×M
∂t
∂t
1.7. CAMPI MAGNETICI NEI MATERIALI
23
L’espressione ottenuta per J 0 consente di trattare le correnti come solenoidali,
sia nel caso del vuoto, sia in presenza di materiali (polarizzabili e magnetizzabili), sia nel caso in cui la corrente reale stessa non presenta stazionarietà. I
fenomeni magnetici, dovuti a correnti elettriche, possono quindi essere sempre
trattati considerando opportune correnti stazionarie.
Possiamo allora calcolare il rotore del campo magnetico B presente in un
materiale polarizzato e magnetizzato:
∇×B = µ0 J 0 = µ0 J + µ0
1.7.3
∂D
+ µ0 ∇×M
∂t
~
Intensità di magnetizzazione H
L’equazione precedentemente riportata per il rotore di B puó essere utilmente
riordinata, attraverso l’applicazione della proprietà distributiva dei rotori, in
modo da ottenere un singolo operatore:
∂D
∇×(B − µ0 M ) = µ0 J +
∂t
L’equazione cosı̀ riportata può essere allora interpretata considerando il campo
magnetico prodotto dalla somma di correnti di conduzione e di spostamento
come la quantità
B
H=
−M
µ0
che viene definita intensità magnetica e la cui utilità si presenta nel momento in
cui si considerano campi magnetici in mezzi materiali. In base alla definizione
data possiamo allora esprimere la relazione precedente come
∇×H = J +
∂D
∂t
Quanto sin qui affermato è valido in generale per un qualsiasi mezzo materiale stazionario. Tuttavia, considerando mezzi isotropi, omogenei e lineari
possiamo ricavare l’esistenza di una relazione di proporzionalità tra l’intensità
magnetica H e la magnetizzazione M del materiale tale per cui:
M = χm H
dove la costante di proporzionalità χm è detta suscettività magnetica.
Considerando materiali che soddisfano l’equazione precedente, in base alla
definizione del vettore H, possiamo verificare che tra H stesso e B esiste una
relazione lineare:
B = µ0 H + M = µ0 (1 + χm )H = µ0 µr H = µH
La costante di proporzionalità µ detta costante magnetica o permeabilità magnetica del mezzo ed ´ definita dal prodotto tra µ0 e la permeabilità magnetica
relativa del mezzo µr = χm +1. In generale il valore di χm può essere sia positivo
che negativo a seconda del materiale considerato: per i materiali diamagnetici
24
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
χm è negativo e pertanto l’introduzione di un siffatto materiale produce una
diminuzione complessiva del campo magnetico esterno; per materiali paramagnetici χm presenta invece valori positivi e pertanto l’impiego di tali sostanze
comporta un incremento del campo esterno. Se osserviamo i valori effettivi
di χm , possiamo osservare che, in generale, |χm | << 1 sia per sostanze diamagnetiche che paramagnetiche e pertanto si può concludere che l’effetto del
materiale sul campo magnetico è praticamente trascurabile: µ ≈ µ0 . Come
già notato nel caso dei dielettrici, anche µ è una grandezza scalare solo se il
mezzo è isotropo, altrimenti essa assume la forma di un tensore, in modo da
caratterizzare il diverso comportamento del materiale in ogni possibile direzione.
Da queste considerazioni sono esclusi i materiali ferromagnetici in quanto
essi presentano fenomeni di isteresi di carattere non lineare e non possono quindi
essere caratterizzati da una suscettività magnetica definita, nemmeno in condizioni normali. A differenza degli altri tipi di materiali, i mezzi ferromagnetici
producono notevoli effetti sui campi magnetici.
1.7.4
Teorema di Ampère in forma generale
Avendo introdotto il vettore H, capace di interpretare i fenomeni magnetici nei
mezzi materiali, è necessario estendere il teorema di Ampère al caso generale
di un mezzo qualsiasi, in cui siano presenti sia fenomeni di polarizzazione che
di magnetizzazione. A tal fine possiamo sfruttare l’equazione precedentemente
ottenuta per il rotore di H:
∂D
∂t
Applicando il teorema di Stokes, otteniamo quindi la formulazione generale della
legge circuitale di Ampère:
Z
I
Z Z
∂D
d
(∇×H) · dS =
H · dr =
J+
· dS = I +
D · dS
∂t
dt S
S
C
S
∇×H = J +
dove C rappresenta il contorno della superficie aperta S definita arbitrariamente.
Si noti che l’equazione ottenuta è valida sia che si operi nel vuoto (in questo caso
H ≡ B e D ≡ E), sia che si consideri un mezzo materiale e inoltre permette di
considerare sia le correnti reali (I) che le correnti di spostamento dovute a campi
elettrici variabili (Ḋ) ed è quindi applicabile sia nel caso di correnti stazionarie
che non.
1.8
Legge di induzione di Faraday-Lenz
Un campo elettrico puó essere generato non solo da cariche elettriche ma anche attraverso un flusso variabile di un campo magnetico. Tale fenomeno è
ottenibile in molti modi differenti: ad esempio, modificando il modulo di B,
la sua direzione oppure variando la superficie rispetto alla quale si calcola il
flusso. L’interpretazione compiuta dell’induzione magnetica costituisce la legge
di Faraday-Lenz: la forza elettromotrice indotta è pari alla variazione del flusso
del campo magnetico rispetto alla superficie considerata.
I
Z
d
dΦB
B · dS = −
E =
E · dr = −
dt
dt
C
S
1.8. LEGGE DI INDUZIONE DI FARADAY-LENZ
25
Il segno meno presente nell’equazione ha come unico significato quello di specificare che il verso della fem indotta, in ossequio alla legge di Lenz, è tale da
opporsi, a mezzo del campo magnetico da essa stessa generato, alla variazione
di flusso, responsabile dell’induzione.
Ricorrendo al teorema di Stokes, considerando la superficie S fissata, è possibile
ricavare:
I
Z
Z
∂B
· dS
E · dr =
(∇×E) · dS = −
C
S
S ∂t
∂B
∂t
Nell’ipotesi che la superficie S di integrazione sia costante, il campo elettrico
indotto è generato da un campo magnetico B variabile nel tempo (dovuto a
correnti non stazionarie). Il fatto che ∇×E 6= 0 in presenza di campi magnetici
variabili, implica che il campo elettrico indotto non è conservativo.
⇒
∇×E = −
26
CAPITOLO 1. FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI
Capitolo 2
Equazioni di Maxwell
La trattazione dei campi elettrici e magnetici nel capitolo precedente ha evidenziato l’esistenza di una notevole interconnessione tra i due fenomeni: in base
alle leggi di Faraday e di Ampère (nella forma generalizzata da Maxwell) si può
infatti osservare che una variazione di un campo magnetico comporta variazione del campo elettrico presente e viceversa. Appare quindi logico e realistico
definire i fenomeni elettrici e magnetici in un unica teoria: l’elettromagnetismo.
Campi elettrici e magnetici possono allora essere descritti come differenti termini
di uno stesso campo elettromagnetico.
Le leggi fondamentali che permettono una descrizione completa dei fenomeni
elettromagnetici, dette equazioni di Maxwell, sono essenzialmente quattro:
1. Legge di Faraday-Lenz
2. Legge di Ampère generalizzata
3. Legge di Gauss per l’elettricità (corrispondente al principio di conservazione della carica elettrica)
4. Legge di Gauss per il magnetismo (relativa all’impossibilità di separare i
poli magnetici)
A tali equazioni si può inoltre aggiungere il principio di continuità della corrente
elettrica (anch’esso legato alla conservazione della carica elettrica).
Nella trattazione che segue, in generale, si considereranno solamente mezzi
stazionari e quindi nei termini descritti non saranno presenti le variazioni delle
correnti convettive e della magnetizzazione che si dovrebbero tenere in conto nel
caso di materiale non stazionario.
2.1
Equazioni di Maxwell nel vuoto
Limitandoci a considerare i fenomeni elettromagnetici che si verificano nel vuoto le equazioni di Maxwell possono essere interamente definite mediante i soli
27
28
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
vettori campo elettrico E ed induzione magnetica B:
∂B
∂t
ρ
3. ∇·E =
ε0
2. ∇×B = µ0 J + µ0 ε0
1. ∇×E = −
∂E
∂t
4. ∇·B = 0
A queste si aggiunge anche l’equazione di continuità della corrente:
∇·J +
∂ρ
=0
∂t
Confrontando tra loro le equazioni relative al campo elettrico e quelle relative al campo magnetico, si osserva una sostanziale asimmetria giustificata dal
fatto che mentre esistono cariche elettriche elementari, non esistono equivalenti
“cariche magnetiche” (ovvero monopoli magnetici). In quest’ottica è possibile
giustificare la differenza che sussiste tra le equazioni 3 e 4, considerando che,
mentre per E ha senso parlare di densità di carica ρ, ciò non è possibile considerando B; analogamente, la presenza del termine relativo alla corrente elettrica nell’equazione 2, relativa a B, e non nell’equazione 1, riferita a E, trova
piena giustificazione in quanto non esistono equivalenti “correnti magnetiche”.
A dimostrazione di quanto sin qui affermato, si può facilmente notare che, in
assenza di cariche elettriche, e quindi di correnti, le equazioni diventano tutte
perfettamente simmetriche tra loro.
2.2
Equazioni di Maxwell nella materia
Se consideriamo il caso generale di campi elettromagnetici nei mezzi materiali
(stazionari) le equazioni di Maxwell sono rappresentate in forma compatta utilizzando, oltre ai vettori E e B, anche lo spostamento elettrico D e l’intensità
magnetica H:
1. ∇×E = −
∂B
∂t
2. ∇×H = J +
3. ∇·D = ρ
∂D
∂t
4. ∇·B = 0
a cui si aggiunge l’equazione di continuità della corrente:
∇·J +
∂ρ
=0
∂t
E’ importante tenere presente che l’introduzione di D e H non è concettualmente necessaria in quanto le equazioni 2 e 3, nelle quali tali vettori compaiono,
possono comunque essere espresse in termini dei soli vettori E e B nella forma
seguente:
∂P
∂E
+
+ ∇×M + J
∇×B = µ0 ε0
∂t
∂t
1
∇·E =
(−∇·P + ρ)
ε0
2.3. EQUAZIONI DI MAXWELL IN FORMA INTEGRALE
29
Appare tuttavia evidente il guadagno che deriva dall’impiego di D e H in termini di semplicità di rappresentazione delle equazioni di Maxwell e, per questo
motivo, qualunque relazione relativa a fenomeni elettromagnetici nella materia
viene di norma espressa mediante tali vettori.
2.3
Equazioni di Maxwell in forma integrale
Le equazioni di Maxwell, sin qui riportate nella loro definizione puntuale, in
forma differenziale, possono essere utilmente espresse anche in forma integrale
(ammettendo per ipotesi che i campi coinvolti e le loro derivate siano funzioni
continue e definite entro il dominio di integrazione considerato). La conversione
da una forma all’altra è immediata applicando per le equazioni 1 e 2 il teorema
di Stokes e per le equazioni 3 e 4 il teorema della divergenza. Operando come
descritto si ottengono allora le seguenti espressioni:
I
Z I
Z
∂D
∂B
· dS
2.
· dS
H · dr =
J+
1.
E · dr = −
∂t
C
S
C
S ∂t
I
Z
I
3.
D · dS =
ρdV = q
4.
B · dS = 0
S
V
S
dove nelle equazioni 1 e 2 S è una superficie qualsiasi, aperta, di cui il circuito
chiuso C è il bordo, mentre nelle equazioni 3 e 4 S è una superficie chiusa di cui
V è il volume interno. Anche l’equazione di continuità della corrente può essere
espressa in forma integrale, sfruttando il teorema della divergenza:
I
Z
dq
∂ρ
dV = −
J · dS = −
dt
S
V ∂t
in cui S è una superficie chiusa arbitraria che racchiude il volume V .
La rappresentazione in forma integrale delle leggi di Maxwell permette di interpretare facilmente il loro significato fisico. Le equazioni 1 e 2 consistono essenzialmente nelle leggi di Faraday e di Ampère e permettono di definire le modalità
di creazione di campi elettrici e magnetici rispettivamente. Le equazioni 3 e 4,
corrispondenti alle leggi di Gauss per i due tipi di campo, possono essere interpretate in maniera più approfondita a partire dalle equazioni sperimentali 1 e
2 considerando il caso particolare in cui la superficie S dell’integrale sia chiusa:
gli integrali di linea corrispondenti divengono identicamente nulli, perché riferiti
a un circuito C contratto in un singolo punto. Relativamente all’equazione 1 si
ottiene:
I
d
B · dS = 0
dt S
che significa che il flusso del campo magnetico sulla superficie S chiusa è necessariamente costante. Del resto è empiricamente noto che non esistono monopoli
magnetici ma solamente elementi dipolari tali da generare linee di campo chiuse
e quindi, considerando la superficie chiusa S, le linee di campo entranti sono
necessariamente pari alle linee di campo uscenti e ciò implica che il flusso netto
è nullo ovvero
I
B · dS = 0
S
30
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
che coincide con l’equazione 4 di Maxwell. In definitiva, quindi, tale legge
afferma semplicemente che il campo magnetico è caratterizzato da linee di campo chiuse. Per quanto riguarda l’equazione 3, questa può essere interpretata
considerando l’equazione 2, nel caso di superficie S chiusa:
I
I
d
D · dS +
J · dS = 0
dt S
S
Ciò significa che, attraverso la superficie chiusa S, la corrente di conduzione
(definita dal flusso di J ) e la corrente di spostamento (corrispondente al flusso di
Ḋ) devono compensarsi tra loro. Grazie al principio di continuità della corrente
elettrica si ottiene:
I
I
dq
d
D · dS = − J · dS =
dt S
dt
S
Confrontando il primo e l’ultimo termine dell’equazione precedente e tenendo
presente che in assenza di carica il campo elettrostatico è nullo si ricava
I
D · dS = q
S
soluzione coincidente con il teorema di Gauss, ovvero con l’equazione 3 di
Maxwell. Tenendo presente che la continuità della corrente deriva direttamente
dal principio di conservazione della carica, è quindi possibile ritenere l’equazione
3 come un’enunciazione della conservazione della carica.
2.4
Condizioni al contorno
Le equazioni di Maxwell, espresse in forma integrale, possono essere utilmente
sfruttate per caratterizzare il comportamento dei vettori del campo elettromagnetico in corrispondenza della superficie di separazione tra due mezzi differenti.
L’applicazione delle leggi di Maxwell è tuttavia possibile solo ammettendo che
i campi e le loro derivate siano funzioni continue e pertanto è richiesto che anche le proprietà della materia varino in modo continuo attraverso la superficie di
separazione tra i due mezzi. Tale requisito non può essere soddisfatto, dal punto
di vista concettuale, poichè l’interfaccia tra due mezzi è caratterizzata da discontinuità. Per risolvere il problema, possiamo allora immaginare, almeno per
fenomeni macroscopici, l’esistenza di un sottile “strato di transizione” tra i due
mezzi, di spessore h → 0, in cui si verifica una variazione continua della permettività elettrica e della permeabilità magnetica dai valori relativi a un mezzo a
quelli corrispondenti all’altro. In questo modo, i campi e le loro derivate preservano la loro continuità anche al passaggio tra due materiali diversi e quindi le
equazioni di Maxwell possono essere correttamente applicate.
A. Induzione magnetica B
La variazione del campo magnetico B da un mezzo all’altro può essere
evidenziata applicando l’equazione 4 di Maxwell ad una superficie opportuna comprendente l’interfaccia tra i due materiali: un cilindro retto con
asse perpendicolare al piano di interfaccia tra i mezzi (a metà tra di essi),
altezza h → 0 (tale da mantenere il cilindro entro lo strato di transizione)
e superficie di base A finita ma arbitrariamente piccola.
2.4. CONDIZIONI AL CONTORNO
31
Effettuando le dovute operazioni di calcolo si ottiene:
I
B · dS =
0
S
h
h
δ1 + δ2 = 0
2
2
dove δ1 e δ2 sono i valori relativi al flusso sulla superficie laterale di spessore infinitesimo, coincidenti con i flussi relativi alla superficie di separazione tra i mezzi, interna al cilindro. Tenendo presente che n̂1 = −n̂2
e considerando che, per ipotesi, h → 0 si ricava:
B1 · n̂1 A + B2 · n̂2 A +
(B1 · n̂1 + B2 · n̂2 )A = 0
B2 · n̂2 − B1 · n̂2 = 0
⇒
Bn1 = Bn2
dove l’indice n specifica che si considera la componente di B relativa alla normale della superficie di interfaccia, diretta dal mezzo 1 al mezzo
2. Il risultato ottenuto evidenzia quindi che la componente normale dell’induzione magnetica B è continua al passaggio tra due mezzi differenti,
ovvero in corrispondenza di una superficie di discontinuità.
B. Spostamento elettrico D
L’andamento del vettore spostamento elettrico D al passaggio tra due
mezzi materiali differenti può essere descritto utilizzando l’equazione 3 di
Maxwell, relativamente ad una superficie cilindrica di proprietà analoghe a
quelle descritte precedentemente per la caratterizzazione di B. Svolgendo
gli opportuni calcoli si ottiene:
I
D · dS = q
S
Z
h
h
D1 · n̂1 A + D2 · n̂2 A + δ1 + δ2 =
ρdV
2
2
V
dove δ1 e δ2 sono i valori relativi al flusso sulla superficie laterale di spessore infinitesimo, coincidenti con i flussi relativi alla superficie di separazione tra i mezzi, interna al cilindro. Tenendo presente che n̂1 = −n̂2
e considerando che, per ipotesi, h → 0 si ricava:
Z
(D1 · n̂1 + D2 · n̂2 )A =
σdA
A
D2 · n̂2 − D1 · n̂2
= σ
32
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
⇒
Dn2 − Dn1 = σ
dove l’indice n specifica che si considera la componente di B relativa alla
normale della superficie di interfaccia, diretta dal mezzo 1 al mezzo 2 e σ
rappresenta la densità di carica relativa all’interfaccia stessa (il passaggio
da ρ a σ è giustificato considerando che, per h → 0, il volume si appiattisce
su una superficie e, ammettendo, per ipotesi, che ρ sia uniforme, in modo
che anche σ sia uniforme). Il risultato ottenuto evidenzia quindi che la
componente normale dello spostamento elettrico D è continua al passaggio
tra due mezzi differenti a meno di una densità di carica superficiale.
C. Intensità elettrica E
Il comportamento del vettore campo elettrico E in corrispondenza dell’interfaccia tra due differenti mezzi può essere caratterizzato mediante
calcolo dell’integrale relativo all’equazione 1 di Maxwell. Tale operazione
richiede di definire un circuito C di integrazione opportuno: si considera
allora un rettangolo, collocato perpendicolarmente al piano di separazione
tra i due mezzi, posizionato in modo da giacere per metà in un mezzo per
metá nell’altro; i due lati più lunghi (paralleli all’interfaccia tra i dielettrici) sono caratterizzati da lunghezza l, gli altri due hanno invece lunghezza
h, corrispondente allo spessore dello strato di transizione (i lati sono assunti cosı̀ corti che E può essere ritenuto costante lungo ciascun lato del
circuito). La superficie A può essere allora considerata come una qualsiasi superficie di cui C è il contorno (poichè A può essere presa piccola a
piacere, si può ritenere che su di essa il campo B sia costante). Svolgendo
l’integrale sul circuito cosı̀ definito si ricava:
I
Z
∂B
E · dr = −
· dA
C
A ∂t
h
h
dB
= −
l·h
E1 · t̂1 l + E1 · n̂1 + E2 · t̂2 l + E2 · n̂2
2
2
dt
Passando al limite per h → 0 e tenendo presente che tra i versori tangenziali considerati sussistono le relazioni t̂1 = −t̂2 , l’espressione precedente
può essere riscritta come
(E1 · t̂1 + E2 · t̂1 )l
E2 · t̂2 − E1 · t̂2 l
⇒
=
=
0
0
Et1 = Et2
Si conclude quindi che il campo elettrico, al passaggio da un mezzo all’altro, conserva inalterata la propria componente tangenziale.
2.5. EQUAZIONI DI MAXWELL IN MEZZI OMOGENEI, ISOTROPI E LINEARI33
D. Intensità magnetica H
La caratterizzazione dell’andamento dell’intensità magnetica in corrispondenza di una superficie di discontinuità tra mezzi materiali differenti,
può essere condotta facilmente applicando l’integrale dell’equazione 4 di
Maxwell ad un circuito chiuso C di proprietà pari a quelle descritte precedentemente per E (in particolare, le dimensioni di C sono assunte sufficientemente piccole da poter ritenere il campo costante H lungo ciascun
lato e, inoltre, la corrispondente superficie A è definita in modo da poter
ritenere costanti le correnti di conduzione J e quelle di spostamento Ḋ):
I
Z ∂D
+ J · dA
H · dr =
∂t
C
A
h
h
H1 · t̂1 l + H1 · n̂1 + H2 · t̂2 l + H2 · n̂2
= J0 · h · l
2
2
Il passaggio al limite per h → 0 non comporta problemi per quanto riguarda il termine di sinistra dell’equazione; la parte destra dell’uguaglianza
invece introduce alcune problematiche legate alla possibile presenza di correnti pellicolari. Mentre nel caso di campi a bassa frequenza la corrente
equivalente J 0 in corrispondenza della superficie tra i mezzi è limitata e
quindi, al limite, il termine di destra è nullo, in condizioni di correnti ad
alta frequenza si riscontra un’elevata concentrazione di corrente sull’interfaccia e pertanto si ottiene che, per h → 0, il prodotto J 0 · h → Il , dove Il
è una densità di corrente lineare, corrispondente alla corrente pellicolare
che fluisce attraverso l’interfaccia tra i mezzi. Considerando che t̂1 = −t̂2
si ricava allora:
(H1 · t̂1 + H2 · t̂2 )l
H2 · t̂2 − H1 · t̂2
⇒
= Il · l
= Il
Ht2 − Ht1 = Il
Si conclude quindi che, a meno della presenza di correnti pellicolari, al
passaggio da un mezzo all’altro, la componente tangenziale dell’intensità
magnetica H si conserva inalterata.
2.5
Equazioni di Maxwell in mezzi omogenei,
isotropi e lineari
Prima di introdurre le semplificazioni attese per le equazioni di Maxwell, ricordiamo le proprietà della categoria di mezzi considerati:
• OMOGENEITÀ: un mezzo si definisce omogeneo se presenta composizione
chimica uniforme.
• ISOTROPIA: un mezzo è isotropo se il suo comportamento fisico è indipendente dall’orientamento.
• LINEARITÀ: un mezzo è detto lineare se il suo comportamento fisico può
essere espresso mediante relazioni lineari.
34
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
Le proprietà elettriche e magnetiche di un mezzo che sia contemporaneamente
omogeneo, isotropo e lineare possono essere descritte mediante semplici relazioni:
D = εE
B = µH
J = σE
dove le costanti ε, µ e σ sono, rispettivamente, la permettività elettrica, la
permeabilità magnetica e la conducibilità del mezzo considerato. Poichè tali
costanti sono dipendenti dalla frequenza dei campi corrispondenti, è possibile
evitare queste complicazioni immaginando di considerare il materiale collocato
nello spazio libero.
Alla luce delle relazioni tra i vettori di campo precedentemente evidenziate le
equazioni di Maxwell possono essere espresse, relativamente ai mezzi omogenei,
isotropi e lineari, in forma più semplice, utilizzando i soli vettori E e B:
∂B
∂t
ρ
3. ∇·E =
ε
2. ∇×B = µJ + µε
1. ∇×E = −
∂E
∂t
4. ∇·B = 0
a cui si aggiunge l’equazione di continuità della corrente:
∇·E +
2.6
1 ∂ρ
=0
σ ∂t
Potenziale vettore e scalare
Sebbene il campo magnetico B non sia conservativo, esso può essere comunque
caratterizzato a mezzo di una funzione potenziale vettore A(r,t) . In particolare,
sfruttando l’equazione 4 di Maxwell (indipendente dalle sorgenti di campo), si
può facilmente intuire che, per mantenere sempre verificata la relazione, B deve
essere espresso come
B = ∇×A
infatti
∇·B = ∇·(∇×A)) = 0
condizione sempre verificata in base alla definizione degli operatori rotore e
divergenza.
Anche il campo elettrico può essere espresso in termini di funzioni potenziale, vettore e scalare. Considerando l’equazione 1 di Maxwell (anch’essa indipendente dalle sorgenti), sostituendo la definizione data di B in termini del
potenziale vettore A si ottiene:
∇×E = −
∂B
∂
∂A
= − (∇×A) = −∇×
∂t
∂t
∂t
∂A
=0
∇× E +
∂t
2.6. POTENZIALE VETTORE E SCALARE
35
∂A
− ∇φ
∂t
dove φ = φ(r,t) è la funzione potenziale scalare.
Per ottenere delle equazioni differenziali tali da correlare i potenziali vettore
e scalare con le sorgenti del campo elettromagnetico occorre sostituire nelle
restanti equazioni di Maxwell (2 e 3) le equazioni ottenute di B ed E in termini
dei potenziali. Per poter operare in modo semplice tali sostituzioni limitiamo la
nostra trattazione al caso dei mezzi omogenei, isotropi e lineari. Considerando
l’equazione 2 si ottiene
∂ ∂A
+ ∇φ
∇×(∇×A) = µJ − µε
∂t ∂t
∂φ
∂2A
∇(∇·A) − ∇2A = µJ − µε 2 − µε∇
∂t
∂t
2
∂
A
∂φ
⇒
∇2A − µε 2 + µJ = ∇ ∇·A + µε
∂t
∂t
⇒
E=−
L’equazione 3 può invece essere riformulata come:
∂A
ρ
+ ∇φ
=
−∇·
∂t
ε
∂A
ρ
⇒
∇·
+ ∇2φ = −
∂t
ε
Le due equazioni ottenute forniscono le espressioni dei potenziali funzionalmente
legati alle densità di carica ρ e di corrente J , ovvero alle sorgenti del campo.
2.6.1
Trasformazioni di gauge
In base alla definizione data di A risulta evidente che tale funzione non è univocamente determinata: fissato un dato campo B essa può essere indicata a
meno del gradiente di una funzione scalare. Se infatti consideriamo un nuovo
potenziale vettore dato da
A0 = A + ∇ψ
esso è comunque ugualmente corretto per la caratterizzazione dello stesso campo
B in quanto, tenendo presente che, per definizione, il rotore di un gradiente è
identicamente nullo, si ottiene
B = ∇×A0 = ∇×A + ∇×(∇ψ) = ∇×A
L’indeterminazione di A si riflette direttamente anche nella determinazione
dei potenziali vettore e scalare relativi al campo elettrico E. Sostituendo il nuovo
potenziale vettore A0 nell’equazione 1 di Maxwell e ripetendo le operazioni già
considerate in precedenza si ottiene infatti un’espressione equivalente del campo:
∇×E = −
∂B
∂
∂A0
= − (∇×A0 ) = −∇×
∂t
∂t
∂t
⇒
E=−
∂A0
− ∇φ0
∂t
36
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
dove φ0 = φ0(r,t) è la nuova funzione potenziale scalare associata al potenziale
vettore A0 .
E’ allora evidente che, per ottenere una rappresentazione dello stesso campo
elettrico E, se viene modificata la definizione del potenziale vettore A è necessario introdurre una variazione del potenziale scalare φ. La trasformazione
dalle definizioni originarie (A, φ) a quelle finali (A0 , φ) prende il nome di
trasformazione di gauge e può essere ricavata dalle espressioni precedentemente
ottenute per il campo elettrico E:

∂A

− ∇φ
 E=−
∂t
0

 E = − ∂A − ∇φ0
∂t
Sottraendo membro a membro e sfruttando la definizione di A0 = A + ∇ψ, si
ottiene:
∂
(A0 − A) + ∇(φ0 − φ)
∂t ∂ψ
∇
+ ∇(φ0 − φ)
∂t
∂ψ
0
∇
+φ −φ
∂t
∂ψ
+ φ0 − φ
∂t
⇒
φ0 = φ −
=
0
=
0
=
0
= cost
∂ψ
+ cost
∂t
Fissati i valori iniziali A, φ dei potenziali (in base alla configurazione particolare
delle sorgenti), definita la funzione ψ arbitraria, i valori dei nuovi potenziali A0
e φ0 (detti gauges) sono definiti di conseguenza dalle relazioni precedentemente
ricavate:
A0 = A + ∇ψ
∂ψ
+ cost
φ0 = φ −
∂t
Per una qualsiasi trasformazione di gauge la fisica è fissata; in particolare, le
equazioni di Maxwell mantengono la loro generale validità indipendentemente
dal sistema di riferimento considerato.
2.6.2
Condizione di Lorentz
Poiché in generale i potenziali vettore e scalare sono funzioni non definite in
maniera univoca, anche le equazioni precedentemente ottenute che esprimono
la loro dipendenza dalle sorgenti non sono determinate ma ammettono infinite soluzioni. Per selezionare una soluzione particolare possiamo allora ricorrere all’imposizione di una condizione iniziale. Considerando le due equazioni
2.6. POTENZIALE VETTORE E SCALARE
37
suddette
∂2A
∂φ
+
µJ
=
∇
∇·A
+
µε
∂t2
∂t
∂A
ρ
∇·
+ ∇2φ = −
∂t
ε
∇2A − µε
risulta particolarmente utile imporre come condizione l’equazione seguente (detta condizione di Lorentz ):
∇·A0 + µε
∂φ0
=0
∂t
Tale imposizione comporta una corrispondente trasformazione di gauge dai
potenziali iniziali (A, φ) a quelli desiderati (A0 , φ0 ), detti Lorentz gauges, descritta a mezzo di una funzione scalare ψ. Ricordando le definizioni generali dei
potenziali trasformati A0 e φ0 , riportate in precedenza, per sostituzione nella
condizione di Lorentz si ottiene
∂ψ
∂
φ−
=0
∇·(A + ∇ψ) + µε
∂t
∂t
∂φ
∂2ψ
−∇2ψ + µε 2 = ∇·A + µε
∂t
∂t
dove A e φ sono i potenziali non trasformati. La condizione di Lorentz è allora
soddisfatta applicando ai potenziali una trasformazione di gauge definita da una
delle funzioni ψ soluzione dell’equazione differenziale sopra riportata.
Il ricorso alla condizione di Lorentz comporta una notevole semplificazione
delle equazioni differenziali relative ai potenziali:
∂ 2 A0
+ µJ = 0
∂t2
∂ 2 φ0
ρ
∇2φ0 − µε 2 + = 0
∂t
ε
∇2A0 − µε
Si noti che entrambe le equazioni cosı̀ ottenute sono espresse nella medesima
forma matematica (si tratta di equazioni d’onda non omogenee) e che le due variabili A e φ sono definite indipendentemente tra loro. E’ importante osservare,
inoltre, che l’introduzione della condizione di Lorentz non permette di definire
dei valori univoci di potenziale: tutte le possibili soluzioni delle equazioni d’onda
disomogenee considerate soddisfano infatti le condizioni imposte. Se pertanto
consideriamo una funzione f che soddisfi l’equazione d’onda omogenea
∇2f − µε
∂2f
=0
∂t
e poniamo
∂f
∂t
0
0
i nuovi valori dei potenziali (A e φ ) soddisfano le equazioni ottenute dalle
Lorentz gauges.
Un altra importante considerazione relativa alle due equazioni dei potenziali
è che mentre A dipende solo dalla distribuzione di corrente specificata J , φ
A0 = A − ∇f
φ0 = φ +
38
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
è determinato dalla distribuzione di carica ρ. Le due sorgenti possibili per
il campo elettromagnetico appartengono quindi a due equazioni indipendenti
e pertanto, nella condizione di Lorentz, esse non presentano apparentemente
alcun legame. In realtà effettuando alcune manipolazioni sulle equazioni date
possiamo facilmente ricavare che la condizione di Lorentz non è altro che una
enunciazione equivalente del principio di continuità della corrente, ovvero della
relazione che lega J e ρ. Per evidenziare questo fatto modifichiamo le equazioni
come indicato di seguito:

∂ 2 A0

2 0

= −µ∇·J
∇·
∇
A
−
µε

∂t2 ∂
∂ ρ
∂ 2 φ0


 µε
∇2φ0 − µε 2 = −µε
∂t
∂t
∂t ε

∂2


 ∇2 (∇·A0 ) − µε 2 (∇·A0 ) = −µ∇·J
∂t
0
∂2
∂φ0
∂ρ
∂φ

2

 ∇ µε
− µε 2 µε
= −µ
∂t
∂t
∂t
∂t
sommando membro a membro si ottiene
∂φ0
∂2
∂φ0
∂ρ
2
0
0
∇ ∇·A + µε
− µε
∇·A + µε
= −µ ∇·J +
∂t
∂t
∂t
∂t
Si ricava pertanto che il fatto di imporre la condizione di Lorentz implica il
principio di continuità della corrente e viceversa:
∇·A0 + µε
2.7
∂φ0
=0
∂t
⇐⇒
∇·J +
∂ρ
=0
∂t
Teorema di Poynting
La conservazione dell’energia elettromagnetica in un mezzo può essere descritta
definendo un opportuno vettore, detto vettore di Poynting N , le cui caratteristiche derivano direttamente da una manipolazione delle equazioni di Maxwell.
Per ricavare l’espressione esplicita di N , verificando il suo significato energetico
si può operare sulle equazioni di Maxwell moltiplicando scalarmente l’equazione
1 per H e moltiplicando l’equazione 2 per E:

∂B

 H · (∇×E) = −H ·
∂t

 E · (∇×H) = E · J + E · ∂D
∂t
Sottraendo la prima equazione del sistema alla seconda si ottiene
E · (∇×H) − H · (∇×E) = E · J + E ·
∂D
∂B
+H ·
∂t
∂t
2.7. TEOREMA DI POYNTING
39
Tenendo presente la proprietà 3 dell’operatore divergenza ∇·(F1 ×F2 ) = F2 ·
(∇×F1 ) − F1 · (∇×F2 ) (vedi Appendice) si ricava
−∇·(E ×H) = E · J + E ·
∂D
∂B
+H ·
∂t
∂t
Considerando il mezzo in cui si opera omogeneo, isotropo e lineare valgono le
seguenti relazioni:
D = εE
2
B = µH
1 ∂
1
∂E
1 ∂E
ε
= ε (E · E) = ε
2 ∂t
2 ∂t
2
∂t
1 ∂H 2
1 ∂
1
∂H
µ
= µ (H · H) = µ
2 ∂t
2 ∂t
2
∂t
J = σE
∂E
∂E
∂D
·E+E·
= εE ·
=E·
∂t
∂t
∂t
∂H
∂H
∂B
·H +H ·
= µH ·
=H·
∂t
∂t
∂t
e pertanto l’equazione precedente può essere riscritta come
∂ 1 2 1
2
2
εE + µH
=0
∇·(E ×H) + σE +
∂t 2
2
Il vettore di Poynting N può essere definito come il prodotto vettoriale tra i
due campi, elettrico E e magnetico H:
N = E ×H
e il suo significato può essere interpretato in base alla sua divergenza, corrispondente al teorema di Poynting:
∂ 1 2 1
∇·N + σE 2 = −
εE + µH 2
∂t 2
2
dove il termine σE 2 rappresenta l’espressione microscopica della legge di Ohm
e corrisponde alla densità di energia dissipata nell’unità di tempo per effetto
Joule; la quantità 12 εE 2 corrisponde alla densità di energia associata al campo
elettrico e 12 µH 2 è la densità di energia relativa al campo magnetico. Considerando quindi il significato fisico dell’operatore divergenza possiamo interpretare il teorema di Poynting come un bilancio energetico relativo al campo
elettromagnetico, in base al quale si ottiene che l’energia che fuoriesce da un
elemento di volume nell’unità di tempo sommata a quella dissipata per effetto
Joule è esattamente pari alla velocità di diminuzione dell’energia immagazzinata
nel campo elettromagnetico stesso.
Tale interpretazione può essere resa più immediata mediante rappresentazione del teorema di Poynting in forma integrale:
Z
I
Z
Z d
1 2 1
2
N dV =
N · dS = −
E · J dV −
εE − µH dV
dt V 2
2
V
S
V
dove, nel primo passaggio, si è fatto uso del teorema della divergenza. Analizzando i termini che compaiono a destra si evidenzia che essi rappresentano valori
di potenza: l’integrale relativo alle densità di corrente corrisponde alla potenza
dissipata per effetto Joule; gli integrali corrispondenti alle densità di energia dei
campi elettrico e magnetico forniscono l’energia elettromagnetica contenuta nel
40
CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI MAXWELL
volume considerato e, poiché tale quantità è derivata rispetto al tempo, nell’equazione di Poynting essa corrisponde alla velocità di variazione dell’energia
totale contenuta nel volume considerato. Allora, il vettore di Poynting N integrato sulla superficie S che racchiude il volume considerato rappresenta il flusso
complessivo di energia e pertanto N corrisponde alla densità di flusso elettromagnetico ovvero alla quantità di energia elettromagnetica che fluisce nell’unità
di tempo, attraverso una superficie unitaria, normale alla direzione del flusso.
Capitolo 3
Onde elettromagnetiche
Uno degli aspetti più importanti e significativi della teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell è il fatto che essa contiene in sé la previsione delle onde elettromagnetiche ovvero individua la propagazione dei campi elettrici e magnetici
mediante oscillazioni periodiche nello spazio. Ciò significa che attraverso l’applicazione delle equazioni di Maxwell è possibile descrivere tutti i fenomeni legati
alla propagazione di segnali elettromagnetici ondulatori: riflessione, rifrazione,
riflessione totale.
3.1
Equazioni delle onde elettromagnetiche
L’espressione relativa alla propagazione di un campo elettrico può essere ricavata calcolando il rotore dei termini che figurano nell’equazione 1 di Maxwell e
sostituendovi l’equazione 3:
∂H
∇× −µ
= ∇×(∇×E)
∂t
∂
−µ (∇×H) = ∇(∇·E) − ∇2E
∂t
∂
∂E
−µ
ε
+J
= ∇(∇·E) − ∇2E
∂t
∂t
∂2E
−µε 2 + µJ = ∇(∇·E) − ∇2E
∂t
Considerando la legge di Ohm microscopica (J = σE) e l’equazione 3 di Maxwell,
riferita alla condizione di assenza di cariche, si ricava
∇2E − µε
∂2E
∂E
− µε
=0
∂t2
∂t
che rappresenta l’equazione d’onda generale del campo elettrico.
L’equazione relativa alla propagazione del campo magnetico può essere ricavata in modo analogo al campo elettrico calcolando il rotore di entrambi i membri dell’equazione 2 di Maxwell e sostituendo nel risultato ottenuto l’espressione
41
42
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
fornita dall’equazione 1:
∂E
∇× ε
+J
∂t
∂
ε (∇×E) + ∇×J
∂t
∂H
∂
−µ
+ ∇×J
ε
∂t
∂t
∂2H
−µε 2 + ∇×J
∂t
= ∇×(∇×H)
= ∇(∇·H) − ∇2H
= ∇(∇·H) − ∇2H
= ∇(∇·H) − ∇2H
Considerando l’equazione 4 di Maxwell e la legge di Ohm microscopica (J = σE)
si ottiene
∂2H
−µε 2 + σ∇×E = −∇2H
∂t
∂2H
∂H
∇2H − µε 2 − µε
=0
∂t
∂t
che corrisponde all’equazione d’onda generale del campo magnetico.
Osservando le due equazioni ottenute per la propagazione del campo elettromagnetico, occorre tener presente che, in generale, le due soluzioni non sono
indipendenti tra loro ma sono legate tranmite le equazioni di Maxwell: è quindi
sufficiente ricavare la soluzione relativa all’equazione d’onda di un campo per
ottenere l’espressione corrispondente per l’altro.
Dal punto di vista della struttura matematica è possibile rilevare che le
due equazioni ottenute sono caratterizzate dalla somma di un termine periodico
∂2
∂
(dato da ∇2+ 2 ) e un termine aperidico (corrispondente a µε ) che esprime
∂t
∂t
un decadimento esponenziale dell’ampiezza dell’onda, dovuto allo smorzamento
indotto dal mezzo. A seconda del tipo di materiale in cui l’onda si propaga si
possono ottenere situazioni in cui uno dei termini presenti risulta praticamente
nullo. Nel caso di un dielettrico ideale il termine di smorzamento è trascurabile
in quanto σ ≈ 0 e pertanto le equazioni d’onda diventano
∂2E
∂t2
∂2H
∇2H − µε 2
∂t
∇2E − µε
=
0
=
0
Se consideriamo invece che la propagazione del campo elettromagnetico avven∂2
ga all’interno di un materiale conduttore il termine µε 2 può essere a ragione
∂t
trascurato e pertanto le equazioni che ne derivano sono corrispondenti a quelle
di un fenomeno di diffusione, senza propagazione di onde.
Le soluzioni generali dell’equazione d’onda ottenuta per la propagazione dei
campi elettromagnetici nei dielettrici sono infinite e differenti le une dalle altre
ma tutte consistono in funzioni della quantità u = r ± vt dove v è la velocità di
propagazione dell’onda stessa, detta velocità di fase. Se per semplicità ci limitiamo alla sola componente x dell’onda, una generica soluzione dell’equazione
generale avrà la forma
G(x, t) = A · g1 (x + vt) + B · g2 (x − vt)
3.1. EQUAZIONI DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
43
Se cosideriamo una qualsiasi funzione g = g(u), soluzione dell’equazione d’onda,
possiamo ricavare v per sostituzione diretta:
∂ 2 Ex
∂ 2 Ex
− µε
=0
2
∂x
∂t2
considerando la funzione g = g(u) e u = x − vt per le regole di derivazione della
funzione composta otteniamo
∂g
∂g ∂u
∂g
=
= −v
∂t ∂u ∂t
∂t ∂g
∂ ∂g
∂
∂g
∂
∂g
∂2g
=
=
−v
=
−v
−v
= v2 2
2
∂t
∂t ∂t
∂t
∂u
∂u
∂u
∂u
∂g ∂u
∂g
∂g
=
=
∂x
∂u
∂x
∂u
∂2g
∂
∂g
∂
∂g
∂
∂g
∂2g
=
=
=
=
∂x2
∂x ∂x
∂x ∂u
∂u ∂u
∂u2
sostituendo nell’equazione d’onda di partenza otteniamo
∂2g
∂2g
− µεv 2 2
u
∂u
∂u
∂2g
1 − µεv 2
∂u2
=
0
=
0
per far sı̀ che l’equazione sia soddisfatta occorre quindi che
1
v=√
µε
da questa trattazione, definita la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo
considerato si può osservare l’esistenza di una relazione di dipendenza tra la
permittività elettrica e la permeabilità magnetica.
3.1.1
Onde elettromagnetiche piane
Le onde elettromagnetiche possono essere caratterizzate da funzioni molto differenti, tali da soddisfare l’equazione d’onda ricavata dalle equazioni di Maxwell.
Tra le possibili soluzioni quelle di maggiore interesse sono senza dubbio le onde
piane, sia per la loro semplicità matematica, sia per l’estensione ad un elevato
numero di casi reali: qualsiasi onda reale, a distanza sufficientemente elevata
dalla sorgente ed entro porzioni opportunamente limitate, può essere rappresentata, con buona approssimazione, da onde piane. Inoltre mediante analisi di
Fourier, qualunque tipo di onda può essere descritto come sovrapposizione di
opportune onde piane.
Un onda piana è definita a mezzo di fronti d’onda piani. Ciò significa che,
considerando un qualsiasi istante, la perturbazione presente su ciascun piano
perpendicolare alla direzione di propagazione è uniforme e funzione solamente
della distanza del piano da un’origine fissata lungo il percorso di propagazione.
Considerando quindi un onda elettromagnatica piana che si propaga lungo la
44
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
direzione dell’asse x, essa sarà caratterrizzata da un campo elettrico E = E(x, t)
e da un campo magnetico H = H(x, t) e pertanto ne consegue che
∂E
∂Ex
∂Ey
∂Ez
=0
⇒
=
=
=0
∂y
∂y
∂y
∂y
∂E
∂Ex
∂Ey
∂Ez
=0
⇒
=
=
=0
∂z
∂z
∂z
∂z
considerazioni analoghe valgono per il campo magnetico H. L’onda piana
è inoltre caratterizzata dall’assenza di perturbazione in corrispondenza della
direzione di propagazione ovvero essa consiste in un’onda trasversale:
Ex = 0
Hx = 0
Quest’ultima proprietà può essere ricavata direttamente da quella relativa
all’uniformità sui piani perpendicolari alla direzione di propagazione: se consideriamo l’equazione 3 di Maxwell, in condizioni di assenza di carica, otteniamo
che
∂Ey
∂Ez
∂Ex
+
+
=0
∇·E = 0
⇒
∂x
∂y
∂z
ma, essendo per ipotesi il campo uniforme rispetto alle direzioni y e z l’equazione
precedente si riduce a
∂Ex
=0
∂x
da cui consegue che il campo elettrico relativo alla direzione di propagazione
è stazionario. Considerando invece l’equazione 2 di Maxwell rispetto alla sola
componente x si ricava:
(∇×H)x
∂Hz
∂Hy
−
∂y
∂z
∂Ex
∂t
∂Ex
= ε
∂t
= ε
e, sempre per l’uniformità sui piani perpendicolari
∂Ex
=0
∂t
che significa che il campo su x è uniforme. Si conclude quindi che il campo elettrico, lungo la direzione di propagazione dell’onda è uniformemente e
costantemente nullo.
In maniera del tutto analoga si dimostra che anche il campo magnetico H
è costantemente e uniformemente nullo secondo la direzione di propagazione.
Dall’equazione 4 di Maxwell si ricava
∇·H = 0
⇒
∂Hy
∂Hz
∂Hx
+
+
=0
∂x
∂y
∂z
⇒
∂Hx
=0
∂x
che indica l’uniformità del campo; dall’equazione 1 di Maxwell relativa alla
componente x si ottiene
(∇×E)x
∂Ez
∂Ey
−
∂y
∂z
∂Hx
∂t
∂Hx
∂t
∂Hx
= −µ
∂t
= −µ
=
0
3.1. EQUAZIONI DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
45
che indica la stazionarietà del campo. Di conseguenza risulta corretto affermare
che Hx = 0.
Sfruttando la proprietà di uniformità delle onde piane, l’equazione vettoriale
delle onde elettromagnetiche
∇2E − µε
∂2E
=0
∂t2
si riduce a due equazioni scalari relative alle componeneti del campo non nulle:
mentre sull’asse x il campo è, per ipotesi, uniformemente e costantemente nullo,
lungo la direzione dell’asse y esso è dato da
∂ 2 Ey
∂ 2 Ey
∂ 2 Ey
∂ 2 Ey
+
+
− µε 2
2
2
2
∂x
∂y
∂z
∂t
2
∂ Ey
∂ 2 Ey
− µε 2
2
∂x
∂t
=
0
=
0
=
0
=
0
secondo l’asse z, invece, si ottiene
∂ 2 Ez
∂ 2 Ez
∂ 2 Ez
∂ 2 Ey
+
+
− µε 2
2
2
2
∂x
∂y
∂z
∂t
∂ 2 Ez
∂ 2 Ez
− µε 2
∂x2
∂t
Come si può notare le due equazioni sono a variabili separate ovvero non esiste
alcuna dipendenza funzionale tra la componente del campo elettrico sull’asse y
(Ey ) e quella relativa all’asse z (Ez ).
Analogamente si ricavano le equazioni relative alla propagazione del campo
magnetico
∂ 2 Hy
∂ 2 Hy
−
µε
∂x2
∂t2
2
∂ 2 Hz
∂ Hz
− µε
2
∂x
∂t2
=
0
=
0
anche in questo caso le equazioni sono disaccoppiate tra loro e quindi non esiste
alcuna interdipendenza tra i valori che il campo assume sull’asse y e quelli
relativi all’asse z. Si noti che, come previsto dalla definizione di onda piana il
campo elettromagnetico ha valore non nullo solo nelle direzioni perpendicolari
a quella di propagazione (rappresentata dal vettore velocità v).
In virtù delle equazioni 1 e 2 di Maxwell, i campi elettrico e magnetico non
sono indipendenti tra loro. Se consideriamo l’equazione 2 e ci limitiamo alla
sola componente lungo l’asse y otteniamo:
∂Ey
∂t
∂Hx
∂Hz
∂Ey
−
=ε
∂z
∂x
∂t
∂Hz
∂Ey
−
=ε
∂x
∂t
(∇×H)y = ε
46
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Poiché in generale tutte le soluzioni dell’equazione d’onda sono definite rispetto
alla forma g = g(u) con u = x ± vt, tenendo presente le relazioni
∂g
∂g
∂g
∂g
= ±v
=
∂t
∂u
∂x
∂u
l’espressione precedentemente ottenuta relativa alla dipendenza tra Ey e Hz può
essere espressa come
∂Ey
∂Hz
±εv
=−
∂u
∂u
Integrando i membri dell’equazione e trascurando qualsiasi eventuale costante
si ottiene
Z
Z
∂Ey
∂Hz
±εv
du =
du
∂u
∂u
±εvEy = Hz
dove nell’ultima equazione si è introdotto il valore ottenuto per la velocità di
propagazione dell’onda. Come evidente, fissato il campo elettrico nella direzione
dell’asse y, il campo magnetico oscilla lungo la direzione perpendicolare definita
dall’asse z. Analogamente, ripetendo il ragionamento considerando la componente z del campo elettrico si conclude che il corrispondente campo magnetico
è orientato nella direzione dell’asse y cioè comunque perpendicolare al campo
elettrico. In definitiva, quindi, fissata la direzione e il modulo del campo elettrico E, il campo magnetico H ha intensità definita dalla relazione precedente
ed è orientato sempre perpendicolarmente al vettore E stesso.
3.1.2
Polarizzazione
Considerazione particolarmente importante è legata al concetto di polarizzazione.
In generale un onda elettromagnetica è definita linearmente (o planarmente)
polarizzata se il campo elettrico (e di conseguenza il campo magnetico) è caratterizzato da una direzione di oscillazione fissata e invariante nel tempo. La possibilità di ottenere onde elettromagnetiche polarizzate è mostrata direttamente
dal fatto che le due equazioni relative alle componenti del campo elettrico su
due assi ortogonali alla direzione di propagazione sono disaccoppiate e pertanto fissata l’oscillazione del campo nella direzione di uno degli assi (y), rispetto
all’asse ortogonale (z) il campo si mantiene inalterato e costantemente nullo. Il
piano all’interno del quale avviene l’oscillazione del campo elettrico viene detto
piano di polarizzazione e, di conseguenza, il campo magnetico oscilla perpendicolarmente ad esso. Un onda elettromagnetica si definisce invece non polarizzata
o polarizzata casualmente se la direzione di oscillazione del campo elettrico (e
quindi del campo magnetico) varia in ogni istante e in ogni punto in maniera
completamente irregolare. In questo caso l’onda ha uguale probabilità di oscillare lungo qualsiasi direzione del piano yz e pertanto le componenti Ey ed Ez
presentano, in media, la stessa intensità ma sono in relazione di fase completamente casuale; l’onda non polarizzata può allora essere descritta tramite le due
componenti ortogonali del campo elettrico Ey ed Ez , definite dalla medesima
ampiezza ma da sfasamento del tutto casuale: si tratta quindi di considerare
l’onda non polarizzata come composizione di due identiche onde linearmente
polarizzate i cui piani di polarizzazione sono mutuamente perpendicolari.
3.2. TEOREMA DI FOURIER
3.2
47
Teorema di Fourier
Dall’elaborazione delle equazioni di Maxwell abbiamo ricavato che le onde elettromagnetiche sono descritte in generale da funzioni qualsiasi definite rispetto
alla variabile u = r ± vt. Sappiamo inoltre che il modello delle onde piane
soddisfa l’equazione generale delle onde e pertanto, considerata la semplicità di
trattazione di queste ultime, risulta alquanto utile poter descrivere qualsiasi onda mediante onde piane. Tale risultato è reso possibile attraverso l’applicazione
del teorema di Fourier, in base al quale un qualsiasi segnale (sia periodico che
non) può essere definito tramite sovrapposizione di armoniche elementari corrispondenti a onde piane sinusoidali e cosinusoidali. Tale possibilità deriva direttamente dal fatto che funzioni seno e coseno del tipo sin (2πnν0 t) e cos (2πnν0 t)
definiscono un sistema ortonormale completo e costituiscono, quindi, una base
dello spazio relativo a tutte le possibili funzioni d’onda. Essendo le funzioni
seno e coseno soluzioni possibili delle onde elettromagnetiche, interpretate come
onde piane, qualsiasi funzione d’onda F (t), comunque complessa, per la proprietà di completezza può essere ottenuta per opportuna combinazione lineare
delle funzioni armoniche di base.
Mentre per un segnale periodico le frequenze delle armoniche componenti da
considerare sono discrete e la loro sovrapposizione è definita mediante somma
in serie, per un segnale aperiodico si ha una distribuzione continua di frequenze
e petanto la sovrapposizione è definita da un integrale.
Nella trattazione seguente assumiamo in generale di avere a che fare con
segnali periodici. Comunque le formule riportate possono essere considerate
valide anche per il caso di segnali non ripetuti semplicemente sostituendo la
sommatoria con un integrale.
3.2.1
Sintesi di Fourier
Il processo di sintesi di Fourier consiste nella composizione di un’onda qualsiasi
a partire dalle singole onde componenti. Le armoniche componenti sono costituite da un’armonica fondamentale di frequenza base ν0 , che rappresenta la
frequenza dell’onda risultante, e da un numero molto grande (idealmente infinito) di armoniche secondarie la cui frequenza è un multiplo intero di ν0 . Nella
definizione della funzione d’onda risultante (F (t)) ciascuna componente viene
sommata secondo un peso opportuno, definito da un coefficiente numerico che
la precede:
F (t)
= a0 + a1 cos (2πν0 t) + b1 sin (2πν0 t) + a2 cos (4πν0 t) + b2 sin (4πν0 t) +
+a3 cos (6πν0 t) + b3 sin (6πν0 t) + ... =
∞
X
=
[an cos (2πnν0 t) + bn sin (2πnν0 t)]
n=−∞
dove l’uso di funzioni seno e coseno per ciascuna armonica è legato all’eventuale
differenza di fase tra l’una e l’altra. La sommatoria può essere espressa in
maniera più semplice sfruttando le seguenti relazioni:
cos(−x) = cos x
An = an + a−n
sin(−x) = − sin x
Bn = bn + b−n
48
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Sostituendo nell’equazione precedentemente ricavata si ottiene infatti
∞
F (t) =
A0 X
+
[An cos (2πnν0 t) + Bn sin (2πnν0 t)]
2
n=1
dove i termini An e Bn rappresentano i pesi relativi alle singole armoniche.
Lo spettro di frequenza dell’onda consiste nel grafico a istogramma che mostra
le diverse ampiezze (An e Bn ) rispetto alla frequenza fondamentale e ai suoi
multipli.
La serie di Fourier cosı̀ ottenuta può essere utilmente espressa anche in termini di ampiezza di ciascuna componente Rn e di sfasamento tra l’una e l’altra
mediante angolo di fase φn . Se infatti definiamo
An = Rn cos φn
Bn = Rn sin φn
sostituendo nell’espressione relativa alla serie di Fourier precedentemente determinata otteniamo
∞
F (t)
=
A0 X
+
[Rn cos φn cos (2πnν0 t) + Rn sin φn sin (2πnν0 t)]
2
n=1
=
A0 X
+
[Rn cos (2πnν0 t + φn )]
2
n=1
∞
In questo modo, anzichè definire le ampiezze An e Bn di entrambe le funzioni
seno e coseno relative a ciascuna componente, si definisce l’ampiezza Rn di una
sola onda sinusoidale ed il suo angolo di fase. Ciò comporta inoltre due altri
vantaggi: permette di ricavare direttamente l’intensità delle singole componenti
(proporzionale a Rn2 ) e di definire lo sfasamento tra un’armonica e l’altra (se
∆φ = φm − φn = 0◦ le armoniche m-esima e n-esima sono in fase; se ∆φ = 180◦
le onde sono in opposizione di fase).
3.2.2
Analisi di Fourier
Il procedimento inverso alla sintesi di Fourier è definito analisi di Fourier e
consiste nella decomposizione di una data onda qualsiasi F (t) nelle sue armoniche costituenti. A tal fine occorre ricavare la frequenza fondamentale ν0 e
i coefficienti An e Bn relativi alle ampiezze delle singole componenti.
Il primo problema è di semplice risoluzione in quanto la frequenza fondamentale ν0 coincide con la frequenza dell’onda F (t) e si ricava quindi direttamente
dall’inverso del periodo della stessa:
ν0 =
1
T
La determinazione delle ampiezze relative di ciascuna armonica, ovvero dei
coefficienti An e Bn , è invece possibile sfruttando la proprietà di ortonormalità
delle funzioni seno e coseno. Tale proprietà afferma che, la sovrapposizione (cioè
il prodotto) di due funzioni seno, due funzioni coseno o un seno e un coseno,
relativi a multipli di una certa frequenza ν0 , integrata su un tempo pari ad un
3.2. TEOREMA DI FOURIER
49
periodo T ha sempre valore nullo a meno di casi particolari. Tradotto in forma
matematica
Z
2 T
0 m 6= n
cos (2πnν0 t) · cos (2πmν0 t)dt =
1 m=n
T 0
Z T
2
0 m 6= n
sin (2πnν0 t) · sin (2πmν0 t)dt =
1 m=n
T 0
Z T
2
cos (2πnν0 t) · sin (2πmν0 t)dt = 0
T 0
Considerando la funzione d’onda F (t) espressa come serie di Fourier e calcolandone l’integrale di sovrapposizione con l’m-esima funzione seno di base
si ricava
Z
T
F (t) sin (2πmν0 t)dt =
0
T
Z
=
0
)
∞
A0 X
+
[An cos (2πnν0 t) + Bn sin (2πnν0 t)] sin (2πmν0 t)dt =
2
n=1
Z T
Z T
T
2
=
Bm sin (2πmν0 t) = Bm
sin2 (2πmν0 t) = Bm
2
0
0
(
da cui, invertendo la relazione, si ricava un espressione che permette di calcolare
l’m-esimo coeffieciente Bm :
Z
T T
Bm =
F (t) sin (2πmν0 t)dt
2 0
Ripetendo quindi il calcolo per tutte le m frequenze considerate si ricavano
tutti i coefficienti relativi alle armoniche sinusoidali. L’espressione relativa ai
coefficienti delle funzioni coseno può essere direttamente ricavata dagli integrali
di sovrapposizione di F (t) con ciascuna componente armonica cosinusoidale.
Ripetendo gli stessi calcoli precedenti si ricava allora
Z T
F (t) cos (2πmν0 t)dt =
0
Z
=
0
T
)
∞
A0 X
+
[An cos (2πnν0 t) + Bn sin (2πnν0 t)] cos (2πmν0 t)dt =
2
n=1
Z T
Z T
T
=
Am cos2 (2πmν0 t) = Am
cos2 (2πmν0 t) = Am
2
0
0
Z T
T
⇒
Am =
F (t) cos (2πmν0 t)dt
2 0
(
♠ Esempio: Onda quadra
Definiamo un’onda quadra di periodo T =
(
b
2
b
2
h
−
0
t < − 2b ∧ t >
F (t) =
<t<
1
ν0 ,
b
2
data dalla funzione analitica
per ogni periodo
50
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Se per comodità fissiamo l’origine del sistema di riferimento in corrispondenza
della metà di un picco la funzione è pari e pertanto nello sviluppo di Fourier
tutti i termini sinusoidali sono nulli, essendo il seno dispari.
Occorre allora procedere al calcolo dei coefficienti Am relativi alle sole armoniche
cosinusoidali. Applicando la formula precedentemente ricavata si ottiene
Am
2
=
T
Z
T
Z
F (t) cos (2πmν0 t)dt = 2ν0
1
2ν0
F (t) cos (2πmν0 t)dt
− 2ν1
0
0
tenendo presente che l’ampiezza della pulsazione è h entro il solo tempo b, mentre
per il resto del periodo la funzione d’onda è nulla possiamo sostituire gli estremi
di integrazione ottenendo
Z
b
2
Am = 2ν0
h cos (2πmν0 t)dt
− 2b
risolvendo l’integrale e ricordando che sin(−x) = − sin x si ricava
Am
2hν0
[sin (πmν0 b) − sin (−πmν0 b)] =
2πmν0
2h
=
sin (πmν0 b) =
πm
sin (πmν0 b)
= 2hν0 b
=
πmν0 b
= 2hν0 b · sinc(πmν0 b)
=
La funzione analizzata può essere allora espressa mediante la seguente serie di
Fourier:
∞
X
F (t) = hν0 b + 2hν0 b
[sinc(πν0 mb) cos (2πmν0 t)]
m=1
Ai fini pratici la sommatoria può essere estesa ad un numero finito di armoniche
secondarie. Tale numero deve però essere sufficientemente grande affinché gli
spigoli dell’onda quadra non risultino troppo smussati.
3.2.3
Rappresentazione in forma complessa
La serie di Fourier può essere espressa in maniera più sintetica facendo ricorso
ai numeri complessi. La conversione dalle grandezze reali sin qui utilizzate a
3.2. TEOREMA DI FOURIER
51
quelle complesse è possibile in base alle relazioni seguenti:
z = a + ib = |z| cos φ + i|z| sin φ = |z|eiφ
eiφ + e−iφ
eiφ − e−iφ
cos φ =
sin φ =
2
2i
L’equazione reale della serie di Fourier può allora essere riscritta, operando le
dovute sostituzioni, come equazione a valori complessi:
F (t)
∞
X
=
[an cos (2πnν0 t) + bn sin (2πnν0 t)] =
n=−∞
∞ X
bn inθ
an inθ
e + e−inθ +
e − e−inθ + =
2
2i
n=−∞
∞
∞ X
X
an − ibn inθ
an + ibn −inθ
=
e
+
e
2
2
n=−∞
n=−∞
=
dove si è assunto θ = 2πν0 t. Sostituendo −n con un nuovo indice m si ricava
F (t) =
∞
∞ X
X
an − ibn inθ
a−m + ib−m imθ
e
+
e
2
2
n=−∞
m=−∞
Dal momento che an = a−n e bn = b−n , tenendo presente la sostituzione dei
coefficienti An = an + a−n e Bn = bn + b−n , otteniamo
F (t)
∞ X
an − ibn + a−n + ib−n
einθ
=
2
n=−∞
∞ X
inθ An − iBn
=
=
e
2
n=−∞
=
=
∞
A0 X inθ
e (An − iBn )
+
2
n=1
Ricordando che θ = 2πν0 t otteniamo l’equazione complessa attesa:
F (t)
=
∞
A0 X 2πinν0 t
+
e
(An − iBn )
2
n=1
=
A0 X 2πinν0 t +
e
Cn
2
n=1
∞
in cui Cn = An −iBn é il coefficiente complesso della serie di Fourier cosı̀ definita
rappresenta la nuova ampiezza di ciascuna armonica componente.
Tramite il cofficiente Cn possiamo ricavare in modo diretto le informazioni
relative all’ampiezza Rn di ciascuna componente e al suo sfasamento φn : la
prima corrisponde infatti al modulo di Cn mentre la seconda consiste nel suo
argomento
p
Bn
Rn = A2n + Bn2
φn = −
An
52
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Ricordando le espressioni ottenute per la determinazione di An e Bn risulta
immediato ottenere un’analoga espressione per Cn :
Z
2 T
Cn =
F (t)e−2πinν0 t dt
T 0
3.2.4
Trasformata di Fourier
Il passaggio dallo spazio dei tempi a quello delle frequenze (corrispondente allo
spettro dell’onda) è possibile attraverso un’operazione che prende il nome di
trasformazione di Fourier. Tale metodo è di carattere del tutto generale e può
essere applicato sia al caso di funzioni F (t) periodiche, ottenendo una funzione
Φ(ν) che rappresenta lo spettro a righe già descritto, che aperiodiche, definendo
una funzione Φ(ν) continua. L’espressione generale di Φ(ν) può essere ricavata
a partire della serie di Fourier passando al limite per variazioni di frequenza
infinitesime (ν → 0) e quindi per T → ∞. In questo modo è possibile trattare
anche funzioni F (t) aperiodiche come un caso limite di quelle periodiche (per
ν → 0 infatti le armoniche componenti costituiscono una distribuzione continua
di frequenze). Effettuando l’operazione di limite descritta la serie di Fourier
assume la forma di un’integrale:
F (t)
=
∞
X
lim
ν→0
Z
[an cos (2πnν0 t) + bn sin (2πnν0 t)]
n=−∞
∞
=
Z
∞
[a(ν)dν cos (2πνt)] +
−∞
Z ∞
=
[b(ν)dν sin (2πνt)]
−∞
r(ν) cos (2πνt + φ(ν)) dν
−∞
Ricorrendo alla notazione complessa l’espressione precedentemente ottenuta può
essere riformulata in modo più semplice:
Z ∞
Z ∞
F (t) =
[a(ν) − ib(ν)] e2πiνt dν =
Φ(ν)e2πiνt dν
−∞
−∞
La relazione ottenuta è sempre invertibile e pertanto è possibile ricavare un’espressione esplicita della funzione Φ(ν), definita trasformata di Fourier della
funzione F (t). Anche F (t) può essere equivalentemente definita come trasformata di Fourier della funzione Φ(ν) e pertanto le due funzioni costituiscono una
coppia di Fourier cosı̀ definita:
Z ∞
Φ(ν) =
F (t)e−2πiνt dt
−∞
Z ∞
F (t) =
Φ(ν)e2πiνt dν
−∞
La relazione qui riportata è del tutto generale nel senso che t e ν possono essere
due variabili qualsiasi. Essa sancisce, in particolare, una relazione di intima corrispondenza tra tali variabili al punto che esse si possono correttamente definire
3.3. PROPAGAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNATICHE
53
come variabili coniugate. In definitiva la trasformazione di Fourier comporta
una corrispondenza biunivoca tra lo spazio dei tempi e quello delle frequenze
consentendo, tramite le trasformate, di passare direttamente dall’uno all’altro:
Φ(ν) ⇐⇒ F (t)
Dal punto di vista pratico si può notare che, in generale, anche se F (t) è reale,
Φ(ν) può essere sia reale che complessa. Per evitare che Φ(ν) sia definita da una
parte immaginaria è necessario allora che F (t) sia simmetrica (F (−t) = F (t)),
ovvero che essa contenga solamente termini coseno:
Z ∞
a(ν) cos (2πνt) dν
F (t) =
−∞
In questo caso allora la trasformata Φ(ν) è semplicemente definita in termini
reali come
Z ∞
Φ(ν) =
F (t) cos (2πνt) dt
−∞
3.3
Propagazione delle onde elettromagnatiche
Grazie all’introduzione del teorema di Fourier risulta possibile considerare una
generica funzione f (r ± vt), soluzione dell’equazione generale delle onde elettromagnetiche, come sovrapposizione di un opportuno numero di onde piane
sinusoidali. Tale passaggio permette allora di definire il comportamento complessivo dell’onda come sovrapposizione dei comportamenti relativi a ciascuna
componente.
Assumiamo per semplicità di avere a che fare con un’onda elettromagnetica polarizzata linearmente lungo l’asse y di un dato sistema di riferimento e
diretta secondo l’asse x. Tale ipotesi non limita la validità delle nostre considerazioni in quanto un’onda non polarizzata può essere comunque descritta
come composizione di due onde polarizzate orientate lungo due assi ortogonali
e caratterizzata da medesima ampiezza e differenza di fase casuale. Il campo
elettrico associato all’onda polarizzata può allora essere descritto come
E(x, t) = Ey1 (x − vt) + Ey2 (x + vt)
Come già notato quindi la soluzione è definita da una funzione qualsiasi applicata
alla coordinata spaziale u = x ± vt. Tuttavia, spesso è particolarmente utile
definire la dipendenza funzionale dell’onda da una coordinata temporale che
può essere cosı̀ ottenuta:
x
u
t0 = = ± t
v
v
Se limitiamo la nostra analisi al caso di un onda progressiva, che si propaga
lungo la sola direzione positiva, possiamo esprimere il campo elettrico come
E(x, t) = Ey (x − vt) = Ey (vt0 )
54
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
ovvero otteniamo una relazione che lega il campo al tempo e ciò permette di
descrivere l’onda rispetto allo spazio delle frequenze, mediante calcolo della
corrispondente trasformata di Fourier:
0
E(x, t) = Ey (x − vt) ⇐⇒ fy (ν)
0
Z
∞
fy0 e2πiνt dν
Ey (vt ) =
−∞
Z
∞
=
y (ν, vt0 )dν
−∞
dove y (ν, vt0 ) è l’espressione della singola componente di Fourier. Introducendo
le grandezze ω = 2πν e k = ωv si ottiene
y (ν, vt0 ) = fy0 e2πiνt = fy0 ei(kx−ωt)
Si noti in particolare che, anche se l’espressione ottenuta prevede valori complessi, ciò che ha significato fisico è la sola parte reale. Per ciascuna componente
fissato un punto x dello spazio si ricava una funzione sinusoidale di frequenza
ω
; definito invece un certo istante t si ricava una sinusoide di lunghezza
ν = 2π
d’onda λ = 2π
k . Ricercando gli zeri relativi ad una data componente di Fourier
si richiede
sin (kx − ωt) = 0
cos (kx − ωt) = 1
e pertanto la condizione ricercata è
kx − vt = nπ
n ω
xn =
+ t
k
k
dove nk rappresenta la posizione del minimo rispetto alla lunghezza d’onda e
ω
k = v, velocità di propagazione dell’onda.
3.3.1
Sovrapposizione di onde elettromagnetiche
Quando un’onda elettromagnetica non è monocromatica essa risulta definita
da più componenti di Fourier, ciascuna caratterizzata da una certa frequenza. Poiché tutte le componenti cromatiche dell’onda si propagano nella stessa
direzione, esse sono sovrapposte le une alle altre determinando l’onda elettromagnetica risultante. Per osservare in modo semplificato gli effetti di sovrapposizione limitiamo la nostra attenzione alla contemporanea propagazione di un
campo elettrico oscillante definito da due componenti
E(x, t) = E1 (x, t) + E2 (x, t)
dove entrambe le componenti hanno medesima ampiezza
E1 (x, t) = E0 sin (k1 x − ω1 t)
E2 (x, t) = E0 sin (k2 x − ω2 t)
Sfruttando la formula di Werner (sin α + sin β = 2 cos α−β
sen α+β
) pos2
2
siamo scrivere il campo elettrico risultante dalla sovrapposizione come
E(x, t)
= E0 sin (k1 x − ω1 t) + E0 sin (k2 x − ω2 t) =
(k1 + k2 )x − (ω1 + ω2 )t
(k1 − k2 )x − (ω1 − ω2 )t
sin
= 2E0 cos
2
2
3.3. PROPAGAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNATICHE
55
Se le due componenti non differiscono di molto tra loro né per frequenza (ω1 =
ω2 + dω) né per lunghezza d’onda (k1 = k2 + dk) si ottiene
dk · x − dω · t
E(x, t) = 2E0 cos
sin [(k1 + dk)x − (ω1 + dω)t] ≈
2
dk · x − dω · t
≈ 2E0 cos
sin (k1 x − ω1 )
2
Osservando la formula ottenuta si può facilmente notare che essa consiste nel
prodotto della prima componente per un termine modulante legato alla differenza tra le due componenti:
x · dk − t · dω
E1 (x, t)
E(x, t) = 2 cos
2
Onde modulate secondo le modalità descritte dando luogo al fenomeno dei battimenti. Nel caso di sovrapposizione qui descritto occorre allora introdurre una
distinzione sui termini di velocità: la velocità con cui l’onda nel suo insieme si
propaga è detta velocità di fase e, in un dato mezzo di permettività elettrica ε
e permeabilità magnetica µ è pari a
vf =
1
ω
=√
k
εµ
la velocità con cui si muove il termine modulante è invece detta velocità di
gruppo ed è definita come
dω
vg =
dk
Anche se in generale vg 6= vf , nel caso di mezzo omogeneo, isotropo e lineare
le due velocità sono uguali. Un mezzo per il quale invece le due velocità differiscono prende il nome di mezzo dispersivo e comporta un’alterazione della
forma dell’onda a mano a mano che essa si propaga nello spazio.
L’estensione del fenomeno dei battimenti al caso di un numero molto grande
di onde componenti, caratterizzate da differenze minime di frequenza e lunghezza d’onda, comporta la suddivisione dell’intera onda in unità ben definite in
cui la perturbazione è diversa da zero, separate tra loro da tratti in cui la
modulazione determina ampiezza praticamente nulla dell’onda risultante: si ottengono allora singoli treni d’onda separati gli uni dagli altri che vengono detti
pacchetti d’onda. La distinzione tra zone di oscillazione e non diventa sempre più rilevante a mano a mano che aumenta il numero delle componenti e
diminuisce la loro spaziatura di frequenza: nel caso limite di un numero infinito
di armoniche separate tra loro da differenze infinitesime di frequenza, si ottiene
una successione di singole curve gaussiane, ben separate tra loro.
3.3.2
Equazione d’onda in forma vettoriale
Fino ad ora abbiamo sempre descritto la propagazione di onde elettromagnetiche
piane attraverso la comoda scelta arbitraria di un sistema di assi cartesiani,
orientato in modo tale che l’asse x coincida con la direzione di propagazione.
In questo modo risulta possibile definire il campo in funzione della quantità
scalare x − vt. Quando tuttavia si vuole descrivere il comportamento di un’onda
56
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
in moto in uno spazio definito da una terna cartesiana qualsiasi, in generale,
nessun asse è parallelo alla direzione di propagazione dell’onda e pertanto essa
deve essere descritta in termini vettoriali. Detto k̂ il versore di propagazione,
corrispondente alla direzione su cui si muove l’onda, e fissati due punti qualsiasi
lungo il percorso dell’onda, individuati rispetto all’origine mediante i vettori r e
r0 possiamo esprimere lo spostamento lungo la direzione di propagazione come
xk̂ = r − r0
Alla luce di questa relazione l’argomento della funzione dell’onda piana può
essere espresso in termini vettoriali:
x ± vt = k̂ · (r − r0 ) − vt =
1
(k · r − kvt) − k̂ · r0
k
Il vettore k è detto vettor d’onda, ha modulo k = ωv = 2π
λ e direzione e verso
coincidenti con quelli di propagazione dell’onda. Tenendo presente il fatto che il
punto individuato da r0 è arbitrario, il prodotto k̂ · r0 è costante cosı̀ come k, il
campo elettromagnetico sarà dipendente dalla quantità k · r − kvt = k · r − ωt.
Occorre inoltre prestare attenzione al fatto che nel nuovo sistema di riferimento
considerato il campo elettrico E non oscilla più su un asse specificato ma sarà in
generale sempre perpendicolare alla direzione di propagazione ovvero al vettor
d’onda k:
E(r, t) ⊥ k
⇒
E(r, t) · k = 0
In base a questa ipotesi otteniamo allora che per una data componente sinusoidale della generica onda elettromagnetica il campo elettrico oscilla secondo
l’equazione
= 0 ei(k·r−ωt)
di cui solo la parte reale ha significato fisico. Risulta infine possibile caratterizzare anche il campo magnetico H associato all’onda elettromagnetica data,
tenendo presente, mediante introduzione di un prodotto vettoriale, che esso
deve essere perpendicolare sia alla direzione di propagazione, definita da k̂, sia
a quella del campo elettrico E:
r
ε
H=
k̂×E
µ
ottenuta dalla relazione ricavata nella sezione Onde elettromagnetiche piane per
evidenziare il rapporto tra il campo elettrico lungo un asse e il corrispondente
campo magnetico. Sfruttando la definizione di k il campo magnetico H può
essere anche espresso come
r
r
r
εk
εv
ε 1
1
H=
×E =
k×E =
k×E
√ k×E =
µk
µω
µ ω εµ
µω
3.4
Fenomeni di riflessione e rifrazione
Quando un’onda elettromagnetica qualsiasi proveniente da un mezzo dielettrico
si trasmette, attraverso una superficie di interfaccia, ad un’altro mezzo dielettrico, in corrispondenza della superficie di separazione si verificano sia fenomeni
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE
57
di riflessione che di rifrazione. In generale, infatti, solo una parte dell’energia iniziale dell’onda penetra nel secondo mezzo, determinando la rifrazione;
la parte restante di energia rimane invece all’interno del mezzo di provenienza
determinando la riflessione. La caratterizzazione di questi fenomeni è possibile direttamente a partire dalle leggi fondamentali di Maxwell, sfruttando in
particolare le condizioni al contorno relative ai campi elettromagnetici.
Come già sottolineato più volte la descrizione del comportamento di una
qualsiasi onda elettromagnetica può essere resa più semplice attraverso la sua
decomposizione nelle armoniche di Fourier corrispondenti. In questo modo,
risulta possibile analizzare i fenomeni di riflessione e rifrazione relativi alle singole componenti e poi, eventualmente, ricavare l’equazione generale delle onde
riflesse e rifratte, mediante integrale di sovrapposizione delle singole soluzioni
ottenute.
3.4.1
Leggi di Snell
Le informazioni relative alle direzioni di propagazione dei raggi riflesso e rifratto
possono essere ottenute ricavando le leggi di Snell. Per schematizzare i fenomeni
suddetti assumiamo una superficie piana S di separazione tra due mezzi dielettrici differenti e consideriamo un raggio d’onda incidente di lunghezza d’onda
molto minore dell’estensione dell’interfaccia. Fissiamo un sistema di riferimento
avente origine sulla superficie S e definito in modo che due degli assi cartesiani
giacciano sul piano corrispondente S e il terzo sia parallelo alla normale alla
superficie S stessa. Ricorrendo alla rappresentazione vettoriale delle onde elettromagnetiche incidente, riflessa e rifratta, nell’ipotesi di singole componenti
piane e sinusoidali possiamo esprimere i campi corrispondenti come
E
E0
= E0 ei(k·r−ωt)
0
0
= E00 ei(k ·r−ω t)
E 00
= E000 ei(k
00
·r−ω 00 t)
dove la notazione senza apici si riferisce all’onda incidente, quella con un apice
0
corrisponde all’onda rifratta mentre le grandezze con due apici 00 sono relative all’onda riflessa. Se consideriamo le condizioni al contorno ricavate dalle
equazioni di Maxwell per il campo elettrico, ipotizzando l’assenza di correnti pellicolari all’interfaccia tra i mezzi, possiamo affermare che la componente
tangenziale del campo elettrico relativo alle onde presenti nel primo mezzo (l’onda incidente e quella rifratta) si conserva al passaggio nel secondo mezzo (cioé
nell’onda rifratta):
Et + Et00 = Et0
Affinché l’uguaglianza sia soddisfatta i termini esponenziali coinvolti devono
essere necessariamente identici. La validità della relazione per qualunque origine
dell’asse dei tempi implica quindi che
ω = ω 0 = ω 00
il che significa che in seguito ai fenomeni di riflessione e rifrazione l’onda mantiene
inalterata la sua frequenza originaria. Per ottenere la validità dell’uguaglianza
58
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
considerata relativamente a qualunque sistema di riferimento spaziale si richiede
inoltre che
k · r = k0 · r = k00 · r
Se ridefinisco il sistema di riferimento cartesiano in modo da collocare l’origine
lungo la retta di intersezione tra l’interfaccia S dei mezzi ed il piano normale
al raggio incidente e passante per il punto di incidenza, il vettore posizione r
che individua il punto di incidenza rispetto all’origine data è perpendicolare al
vettore d’onda k, corrispondente alla direzione del raggio incidente e pertanto,
considerando l’uguaglianza precedentemente ottenuta si ricava
k⊥r
k · r = k0 · r = k00 · r = 0
⇒
il che permette di concludere che i tre raggi incidente, riflesso e rifratto sono
tutti perpendicolari alla direzione del vettore posizione r e giacciono tutti su uno
stesso piano. Anche la normale n alla superficie di incidenza è perpendicolare
a r, essendo quest’ultimo un vettore di S cui n è normale per definizione:
n⊥r
⇒
n·r=0
Anche n giace quindi nel piano in cui sono contenuti i raggi d’onda considerati.
Tale piano è pertanto caratteristico dell’incidenza dell’onda elettromagnetica su
una qualsiasi superficie ed è detto piano di incidenza. Possiamo allora enunciare
la prima delle leggi di Snell: i raggi incidente, riflesso e rifratto e la normale
all’interfaccia appartengono ad uno stesso piano. Nel caso particolare di incidenza normale i vettori k, k0 , k00 e n sono collocati sulla stessa retta e pertanto
il piano di incidenza non e univocamente definito ma è un qualunque piano
normale a S, contenente la direzione di tali vettori.
Per definire le posizioni reciproche dei raggi relativamente al fenomeno di incidenza obliqua occorre modificare opportunamente il sistema di riferimento
considerato, come mostrato in figura: fissata l’origine in un qualsiasi punto della superficie S si orienta l’asse x parallelamente al piano di incidenza e l’asse y
parallelo
normale
n. Le direzioni
dei raggi iincidente,
rifratto,
sul
00
In base alalla
sistema
di coordinate
cosı̀ riportato
vettori r,riflesso
k, k0 ee k
possono
piano
di
incidenza
possono
allora
essere
definite,
rispettivamente,
mediante
gli
essere descritti come
angoli θ, θ0 e θ00 , riferiti alla direzione di n.
r = hx, 0, zi
k = hk sin θ + x, −k cos θ, zi
0
0
0
0
k = hk sin θ + x, −k cos θ , zi
k00 = hk 00 sin θ00 + x, k 00 cos θ00 , zi
k·r
k0 · r
k00 · r
= k sin θx + x2 + z 2
= k 0 sin θ0 x + x2 + z 2
= k 00 sin θ00 x + x2 + z 2
√
Tenendo presente che k = k 00 = ωv = ω µ1 ε1 in quanto entrambi i vettori sono
riferiti allo stesso mezzo di propagazione, uguagliando tra la loro i due prodotti
scalari relativi ai raggi incidente e riflesso, in base a quanto detto sopra, è
possibile ricavare la legge di Snell relativa alla riflessione:
k·r
2
k sin θx + x + z 2
sin θ
= k00 · r
= k 00 sin θ00 x + x2 + z 2
= sin θ00
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE
⇒
59
θ = θ00
Si è allora dimostrato che raggio incidente e riflesso formano angoli uguali rispetto alla normale nel punto di incidenza.
Per ottenere la legge di Snell relativa ai fenomeni di rifrazione occorre introdurre l’indice di rifrazione del mezzo, ovvero il rapporto tra la velocità della
luce e la velocità effettiva di propagazione dell’onda elettromagnetica nel mezzo
considerato:
c
1
√
n= = √
· µε
v
µ0 ε0
Occorre notare, in particolare, che poiché la costante dielettrica del mezzo ε è in
generale sensibilmente dipendente dalla frequenza del campo elettromagnetico
considerato, l’indice di rifrazione sarà anch’esso variabile con la frequenza della
√
radiazione incidente. Ricordando che, per definizione k = ωv = ω µ1 ε1 e k 0 =
√
ω
v 0 = ω µ2 ε2 possiamo eguagliare tra loro i prodotti scalari relativi all’onda
incidente e a quella rifratta, ottenendo
k · r = k00 · r
k sin θx + x2 + z 2 = k 0 sin θ0 x + x2 + z 2
√
√
ω µ1 ε1 sin θ = ω µ2 ε2 sin θ0
√
√
µ1 ε1 sin θ =
µ2 ε2 sin θ0
√
√
√
µ2 ε2
µ2 ε2
µ0 ε0
sin θ
n2
⇒
=√
=√
·√
=
0
sin θ
µ1 ε1
µ1 ε1
µ0 ε0
n1
L’ultima uguaglianza ottenuta corrisponde alla legge di rifrazione di Snell: raggio incidente e raggio rifratto formano angoli, rispetto alla normale, il cui rapporto è il reciproco degli indici di rifrazione dei rispettivi mezzi di propagazione.
3.4.2
Leggi di Fresnel
Per ottenere informazioni quantitative relativamente alle intensità dei raggi riflesso e rifratto, in confronto a quella del raggio incidente, occorre definire la
60
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
relazione quantitativa che sussiste tra i corrispondenti campi elettromagnetici.
Tale risultato è espresso dalle leggi di Fresnel e può essere ricavato sfruttando
le leggi di Snell, precedentemente ottenute, e le condizioni al contorno relative
alle equazioni di Maxwell, riferite ai tre raggi incidente, riflesso e rifratto:
Et + Et00 = Et0
Ht + Ht00 = Ht0
Per ottenere le informazioni ricercate consideriamo per semplicità onde polarizzate linearmente. Tale assunzione non limita la validità generale delle leggi
ricercate in quanto un onda non polarizzata è comunque esprimibile mediante
sovrapposizione di due onde polarizzate mutuamente perpendicolari, con relazione di fase casuale. Per poter valutare il comportamento generale di un
onda elettromagnetica consideriamo allora i due casi limite possibili che corrispondono ad un posizionamento del piano di polarizzazione rispettivamente
perpendicolare e parallelo al piano di incidenza. Tutti i casi intermedi saranno
allora ottenuti mediante opportuna combinazione di questi due casi estremi.
Limitandoci inoltre alla propagazione di onde nei dielettrici possiamo introdurre un’altra semplificazione assumendo che per i materiali considerati le
permeabilità magnetiche siano pressoché uguali alla permeabilità del vuoto:
µ1 ≈ µ2 ≈ µ0 . In base a questa approssimazione l’indice di rifrazione di ciascun
mezzo è dato da
r
1
ε
c
√
· µε ≈
n= = √
v
µ0 ε0
ε0
La legge di rifrazione di Snell può allora essere espressa come
√
ε2
n2
sin θ
√
≈
=
0
n1
sin θ
ε1
1. Piano di polarizzazione perpendicolare al piano di incidenza
Avendo definito il piano di polarizzazione perpendicolare al piano di incidenza il campo elettrico corrispondente è per definizione parallelo all’interfaccia tra i materiali ed è quindi interamente tangenziale. In base alla
condizione al contorno relativa ad E possiamo allora scrivere
Et + Et00 = Et0
⇒
E + E 00 = E 0
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE
61
Considerando invece il campo magnetico le sue componenti tangenziali alla
superficie di separazione tra i mezzi possono essere ricavate sfruttando gli
angoli di incidenza, riflessione e rifrazione:
Ht + Ht00 = Ht0
⇒
H cos θ − H 00 cos θ00 = H 0 cos θ0
Poichéq
il campo magnetico H è legato al campo elettrico E dalla relazione
ε
H =
µ k̂ × E, tenendo presente che nell’onda elettromagnetica E, k̂
e H sono mutuamente perpendicolari, possiamo riscrivere la relazione
precedente in funzione del campo elettrico:
r
r
r
ε1
ε1 00
ε2 0
00
E cos θ −
E cos θ
=
E cos θ0
µ1
µ1
µ2
r
r
ε1
ε2
(E − E 00 ) cos θ =
E cos0 θ0
µ0
µ0
√
ε2 cos θ0
E − E 00 = √ E 0
ε1
cos θ
dove per le legge di riflessione di Snell si è posto θ00 = θ e si è inoltre sfruttata l’approssimazione µ1 ≈ µ2 ≈ µ0 . Applicando la legge di rifrazione
di Snell (definita rispetto all’approssimazione introdotta) all’equazione
precedente otteniamo allora
E − E 00 = E 0
cos θ0 sin θ
cos θ sin θ0
Le ampiezze relative dei campi elettrici riflesso e rifratto possono essere
allora ottenute risolvendo il sistema

 E − E 00 = E 0
0
 E − E 00 = E 0 cos θ sin θ
cos θ sin θ0
da cui si ricava, svolgendo i calcoli opportuni
E0 =
2 sin θ0 cos θ
E
sin(θ0 + θ)
E 00 =
sin(θ0 − θ)
E
sin(θ0 + θ)
2. Piano di polarizzazione parallelo al piano di incidenza
In base alla definizione del piano di polarizzazione, la condizione al contorno relativa al campo elettrico può essere espressa sfruttando gli angoli
di incidenza, riflessione e rifrazione, tenendo inoltre presente che θ00 = θ:
Et + Et00 = Et0
⇒
E cos θ + E 00 cos θ00
E + E 00
= E 0 cos θ0
cos θ0
= E0
cos θ
Considerando invece il campo magnetico, esso risulta orientato secondo la
direzione tangenziale all’interfaccia e quindi
Ht + Ht00 = Ht0
⇒
H − H 00 = H 0
62
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Considerando la
q relazione che lega il campo magnetico H al campo elettrico E (H = µε k̂ × E) e tenendo presente che nell’onda elettromagnetica E, ĥ e H sono mutuamente perpendicolari, possiamo riscrivere la
relazione precedente in funzione del campo elettrico:
r
r
r
ε1
ε1 00
ε2 0
E−
E
=
E
µ1
µ1
µ2
r
r
ε1
ε2 0
(E − E 00 ) =
E
µ0
µ0
√
ε2
E − E 00 = √ E 0
ε1
dove si è sfruttata l’approssimazione µ1 ≈ µ2 ≈ µ0 . Sostituendo la legge
di rifrazione di Snell (definita rispetto all’approssimazione introdotta)
nell’equazione precedente si ricava
E − E0 = E0
sin θ
sin θ0
Le ampiezze relative dei campi elettrici riflesso e rifratto sono ottenute
quindi dalla risoluzione del sistema

cos θ0


 E + E 00 = E 0
cos θ

sin
θ

 E − E 00 = E 0
sin θ0
da cui si ricava, svolgendo i calcoli opportuni
E0 =
2 sin θ0 cos θ
E
sin(θ0 + θ) cos θ0 − θ
E 00 =
tan(θ0 − θ)
E
tan(θ0 + θ)
Definiamo intensità di un’onda elettromagnetica il flusso medio di energia
relativo ad una superficie unitaria per unità di tempo. Tale grandezza è definita
3.4. FENOMENI DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE
63
come un’energia media, e non istantanea, in quanto la frequenza di un onda
elettromagnetica è in genere alquanto elevata (dell’ordine di 1015 Hz) e quindi
le sue fluttuazioni non sono percepibili; ciò che viene in effetti rilevato è allora il
valore medio delle oscillazioni. Ricordando la definizione del vettore di Poynting
N come flusso istantaneo di energia, possiamo allora definire l’intensità di un
onda elettromagnetica come il valore medio di tale grandezza:
I =<N>=<E ×H>=
1
EH k̂
2
dove si è assunto che per un onda elettromagnetica piana E ed H sono per
definizione perpendicolari tra loro e alla direzione di propagazione k̂ e sono
entrambi funzioni sinusoidali del tempo (da cui deriva che il prodotto tra di essi
comporta un termine sin2 la cui media su un tempo sufficientemente grande da
rendere trascurabili eventuali frazioni di periodo è pari a 1/2).
Definiamo allora un coefficiente di trasmissione T come il rapporto tra
l’intensità dell’onda rifratta e quella dell’onda incidente:
√
I0
=
T =
I
1 0 0
2 E H k̂
1
2 EH k̂
√
E 02 cos θ0 ε2
E 02 cos θ0 sin θ
√
≈
=
=
√
ε
E 2 cos θ ε1
E 2 cos θ sin θ0
E √µ11 E cos θ
ε
E 0 √µ22 E 0 cos θ0
dove ci si è avvalsi dell’approssimazione µ1 ≈ µ2 ≈ µ0 e della legge di rifrazione
di Snell.
Analogamente possiamo definire un coefficiente di riflessione R pari al rapporto tra l’intensità dell’onda riflessa e quella dell’onda incidente:
√
I 00
R=
=
I
1 00 00
2 E H k̂
1
2 EH k̂
=
ε
E 00 √µ11 E 00 cos θ00
√
ε
E õ11 E
cos θ
=
E 002 cos θ
E 002
=
E 2 cos θ
E2
dove si è fatto uso della legge di riflessione di Snell.
Le espressione di T e R ottenute sono del tutto generali e non dipendono
dalla direzione dei campi. Poiché una qualsiasi onda elettromagnetica può essere
espressa come sovrapposizione di due componenti polarizzate su direzioni ortogonali, noti i coefficienti T ed R per tali direzioni estreme, tutti i casi intermedi
possono essere descritti mediante loro opportune sovrapposizioni. Riferendoci
allora ai due casi particolari precedentemente illustrati otteniamo
1. Piano di polarizzazione perpendicolare al piano di incidenza
T⊥ =
sin(2θ0 ) sin(2θ)
sin2 (θ0 + θ)
R⊥ =
sin2 (θ0 − θ)
sin2 (θ0 + θ)
2. Piano di polarizzazione parallelo al piano di incidenza
T// =
sin(2θ0 ) sin(2θ)
sin2 (θ0 + θ) cos(θ0 − θ)
R// =
tan2 (θ0 − θ)
tan2 (θ0 + θ)
Analizzando le equazioni ottenute possiamo innanzitutto notare che i coefficienti
di trasmissione e riflessione sono differenti a seconda della polarizzazione e,
pertanto, se l’onda incidente sulla superficie di interfaccia tra due mezzi non è
caratterizzata da alcuna polarizzazione, le corrispondenti onde riflessa e rifratta
64
CAPITOLO 3. ONDE ELETTROMAGNETICHE
presenteranno comunque un certo grado di polarizzazione dovuto al fatto che le
due componenti polarizzate con cui può essere schematizzata l’onda incidente
non si ripartiscono in ugual misura tra i raggi riflesso e rifratto.
In particolare, si può osservare che nel caso di incidenza tale per cui θ + θ0 =
◦
90 la componente dell’onda il cui piano di polarizzazione è parallelo al piano
di incidenza non subisce alcuna riflessione ma viene totalmente rifratta. L’onda
elettromagnetica riflessa complessivamente è quindi privata delle componenti in
cui il campo elettrico oscilla sul piano di incidenza ed è caratterizzata pertanto
dalle sole componenti il cui piano di polarizzazione è perpendicolare: l’onda
riflessa è quindi linearmente polarizzata in direzione perpendicolare al piano
di incidenza. Parimenti, l’onda rifratta sarà caratterizzata maggiormente dalle
componenti il cui campo è sul piano di incidenza, in quanto queste sono interamente trasmesse: essa è quindi parzialmente polarizzata in direzione parallela
al piano di incidenza stesso. Per determinare l’angolo di incidenza θB , detto
angolo di Brewster che determina questo fenomeno di polarizzazione per riflessione si sfrutta la legge di rifrazione di Snell, imponendo la condizione che lega
l’angolo di incidenza e l’angolo rifratto:
sin θB
sin θB
sin θB
n2
=
=
=
= tan θB
n1
sin θ0
sin(90◦ ) − θB
cos θB
⇒
θB = arctan
n2
n1
Tanto più la radiazione incidente si avvicina a θB tanto maggiore è il grado di
polarizzazione dell’onda riflessa e tanto minore è il contenuto della componente
parallela al piano di incidenza nell’onda rifratta. Ai fini pratici, di norma, nella
polarizzazione per riflessione non viene sfruttato il raggio riflesso polarizzato
ma si procede alla polarizzazione del raggio rifratto mediante l’utilizzo di più
superfici in successione.
Appendice A
Operazioni sui campi
vettoriali
A.1
Integrali di linea
Data una funzione scalare f (x(t), y(t), z(t)) = f (r(t)), continua in una regione
contenente un cammino C, descritto dalla funzione vettoriale r(t) con a ≤ t ≤ b,
si può definire l’integrale di linea di f lungo C come:
Z
Z b
f (x, y, z)ds =
f (r(t)) |r 0 (t)| dt
C
a
Il valore dell’integrale di linea è indipendente dal verso di percorrimento della
curva C:
Z
Z
f (x, y, z)ds =
f (x, y, z)ds
−C
C
Data una funzione vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂, continua in una regione
dello spazio contenente il cammino di integrazione C, individuato dalla funzione
vettoriale r(t)(a ≤ t ≤ b), l’integrale di linea di F lungo C è:
Z
Z b
Z
F · dr =
F (r(t)) · r 0 (t)dt =
F · T ds
C
a
C
A differenza degli integrali di linea di funzioni scalari, per funzioni vettoriali il
segno dell’integrale è dipendente dal verso di percorrenza della curva C:
Z
Z
F · dr = −
F · dr
−C
C
Convenzionalmente, per cammini C aperti si definisce come orientazione positiva quella descritta da valori crescenti del parametro t. Nel caso di percorsi
chiusi, invece, si assume come orientazione positiva quella antioraria e l’integrale
di linea viene anche definito circuitazione. In generale il calcolo degli integrali di
linea è possibile su qualunque curva regolare; nel caso in cui la curva sia regolare
a tratti, esso è definito dalla somma di tutti i contributi relativi a ciascun tratto.
65
66
A.2
APPENDICE A. OPERAZIONI SUI CAMPI VETTORIALI
Integrali di superficie
Data una funzione scalare f (x(u, v), y(u, v), z(u, v)) = f (r(u, v)), continua in
una regione contenente una superficie S, descritta dalla funzione vettoriale
r(u, v) con u, v ∈ D, si può definire l’integrale di superficie di f lungo S come:
ZZ
ZZ
f (x, y, z)dS =
f (r(u, v)) |ru ×rv | dA
S
D
L’espressione vettoriale di un integrale di superficie richiede l’introduzione
di un vettore superficiale S di modulo pari alla superficie considerata, direzione
normale ad essa e orientamento opportunamente definito: se si considera una
superficie S regolare, aperta, assegnata dall’equazione parametrica r(u, v) il verso positivo del vettore superficiale in un dato punto coincide con l’orientazione
del versore normale
ru ×rv
n=
|ru ×rv |
Se S è una superficie chiusa, ossia è la frontiera di una regione solida V , si
scieglie convenzionalmente come orientazione positiva quella secondo la quale il
versore normale è uscente dal volume V .
Se F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ è un campo vettoriale continuo definito su una
superficie orientata di equazione parametrica r(u, v), con versore normale n, si
definisce integrale di superficie (o flusso) di F su S la quantità
ZZ
ZZ
ZZ
F · dS =
F · ndS =
F · (ru ×rv ) dA
S
S
D
dove D è il dominio dei parametri. Come evidente, se si considera una superficie
orientata secondo la direzione negativa −n, l’integrale di flusso corrispondente
risulterà di segno opposto. In generale il calcolo degli integrali di superficie è
possibile su qualunque superficie regolare; nel caso in cui la superficie sia regolare
a tratti, esso è definito dalla somma di tutti i contributi relativi a ciascun tratto.
Appendice B
Operatori differenziali
B.1
Vettore Gradiente
Data una funzione scalare f (x, y, z) il suo gradiente è un campo vettoriale su
<3 dato da:
∂f
∂f
∂f
∇f =
î +
ĵ +
k̂
∂x
∂y
∂z
B.2
Vettore Rotore
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su <3 , se esistono le derivate
parziali prime di Fx , Fy e Fz è possibile definire il rotore di F come un vettore
la cui componente nella direzione del versore n, normale alla superficie S di cui
il cammino chiuso C è il contorno, soddisfi l’equazione:
1
rotF · n = lim
S→0 S
⇒
rotF =
I
F · ds
C
∂Fz
∂Fy
∂Fx
∂Fz
∂Fy
∂Fx
−
î +
−
ĵ +
−
k̂
∂y
∂z
∂z
∂x
∂x
∂y
Dal punto di vista formale il rotore pu essere definito come il prodotto vettoriale
dell’operatore ∇ con il campo vettoriale F :
î
∂
rotF = ∇×F = ∂x
F
x
ĵ
∂
∂y
Fy
k̂ ∂ ∂z Fz Un campo F tale che rotF = 0 si definisce conservativo o irrotazionale.
67
68
APPENDICE B. OPERATORI DIFFERENZIALI
B.3
Divergenza
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su <3 , se esistono le derivate
parziali prime di Fx , Fy e Fz è possibile definire la divergenza di F come la
funzione scalare in tre variabili data da:
I
∂Fx
∂Fy
∂Fz
1
F · dA =
+
+
divF = lim
V →0 V
∂x
∂y
∂z
S
dove V rappresenta il volume racchiuso dalla superficie S. Dal punto di vista
formale la divergenza pu essere definita come il prodotto scalare dell’operatore
∇ con il campo vettoriale F :
divF = ∇·F
Un campo F tale che divF = 0 si definisce solenoidale o incomprimibile.
B.4
Laplaciano
Data una funzione scalare f (x, y, z) il suo Laplaciano è una funzione scalare
definita come:
∂2f
∂2f
∂2f
∇2f =
+
+
∂x2
∂y 2
∂z 2
L’operatore Laplaciano pu essere esteso anche a campi vettoriali F = Fx î +
Fy ĵ + Fz k̂ su <3 e, in tal caso, esso opera su ciascuna componente:
∇2F = ∇2Fx î + ∇2Fy ĵ + ∇2Fz k̂
Dal punto di vista formale il Laplaciano pu essere definito come divergenza di
un gradiente:
∇2f = div(∇f ) = ∇·∇f
B.5
Proprietà degli operatori differenziali
Dette ψ, ψ1 e ψ2 funzioni scalari qualsiasi e F , F1 e F2 funzioni vettoriali
valgono le seguenti proprietà degli operatori differenziali:
• Gradiente
1. ∇(ψ1 + ψ2 ) = ∇ψ1 + ∇ψ2
2. ∇(ψ1 ψ2 ) = ψ2 ∇ψ1 + ψ1 ∇ψ2
3. ∇(F1 · F2 ) = (F1 · ∇)F2 + (F2 · ∇)F1 + F1 ×∇×F2 + F2 ×∇×F1
• Divergenza
1. ∇·(F1 + F2 ) = ∇·F1 + ∇·F2
B.6. COMBINAZIONI DI OPERATORI DIFFERENZIALI
69
2. ∇·(ψF ) = F ∇ψ + ψ∇·F
3. ∇·(F1 ×F2 ) = F2 · (∇×F1 ) − F1 · (∇×F2 )
• Rotore
1. ∇×(F1 + F2 ) = ∇×F1 + ∇×F2
2. ∇×(ψF ) = ψ∇×F + ∇ψ×F
3. ∇×(F1 ×F2 ) = F1 · ∇·F2 − F2 ∇·F1 + (F2 · ∇)F1 − (F1 · ∇)F2
B.6
Combinazioni di operatori differenziali
B.6.1
Rotore di un gradiente
Data una funzione scalare f (x, y, z) con derivate parziali seconde continue vale
la relazione:
rot(∇f ) = ∇×∇f = 0
♣ Dimostrazione
î
ĵ
k̂ ∂
∂ ∂
∇×∇f = ∂x ∂y ∂z =
∂f ∂f ∂f ∂x ∂y ∂z 2
2
2
∂ f
∂2f
∂ f
∂2f
∂ f
∂2f
=
−
î +
−
ĵ +
−
k̂ =
∂y∂z
∂z∂y
∂z∂x ∂x∂z
∂x∂y ∂y∂x
= 0î + 0ĵ + 0k̂ = 0
2
(per il teorema di Clairaut)
Il teorema sopra enunciato permette quindi di concludere che, se il campo vettoriale F = ∇f , allora F è conservativo.
B.6.2
Divergenza di un rotore
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su <3 , tale che Fx , Fy e Fz
ammettano derivate parziali seconde continue vale la relazione:
div(rotF ) = ∇·(∇×F ) = 0
♣ Dimostrazione
∂
∇·(∇×F ) =
∂x
=
∂Fz
∂Fy
−
∂y
∂z
∂
+
∂y
∂Fx
∂Fz
−
∂z
∂x
∂
+
∂z
∂Fy
∂Fx
−
∂x
∂y
∂ 2 Fz
∂ 2 Fy
∂ 2 Fx
∂ 2 Fz
∂ 2 Fy
∂ 2 Fx
−
+
−
+
−
=0
∂x∂y ∂x∂z
∂y∂z
∂y∂x ∂z∂x ∂z∂y
=
70
APPENDICE B. OPERATORI DIFFERENZIALI
(per il teorema di Clairaut)
2
Il teorema sopra enunciato permette quindi di concludere che, se il campo vettoriale F = ∇×C, allora F è solenoidale.
B.6.3
Rotore di un rotore
Dato un campo vettoriale F = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ su <3 , tale che Fx , Fy e Fz
ammettano derivate parziali seconde continue vale la relazione:
rot (rotF ) = ∇×(∇×F ) = ∇(∇·F ) − ∇2F
La dimostrazione è immediata svolgendo le opportune operazioni di calcolo,
sulla base delle definizioni date degli operatori.
Appendice C
Teoremi sui campi vettoriali
C.1
Teorema fondamentale del calcolo
Data C una curva regolare assegnata tramite la funzione a valori vettoriali r(t)
(a ≤ t ≤ b) e f (x, y, z) una funzione scalare differenziabile il cui gradiente ∇f è
continuo su C, allora
Z
∇f · dr = f (r(b)) − f (r(a))
c
Il teorema enunciato permette di concludere che se un campo vettoriale F è
definito come gradiente di una funzione scalare data F = ∇f , l’integrale di linea
relativo ad una curva C qualsiasi può essere valutato semplicemente conoscendo
i valori assunti da f agli estremi della curva stessa. L’integrale di linea di
∇f corrisponde quindi alla variazione totale della funzione f stessa. Alla luce
del teorema considerato possiamo ricavare due importanti proprietà dei campi
definiti da un gradiente (F = ∇f ):
• Fissati due punti A e B l’integrale di linea di F relativo ad una qualsiasi curva C congiungente i due punti fornisce sempre lo stesso valore
indipendentemente dal cammino considerato (indipendenza dal cammino):
Z
Z
F · dr =
F · dr = f (B) − f (A)
C1
C1
per ogni coppia di curve C1 e C2 congiungenti i punti A e B.
• Considerando un qualsiasi percorso chiuso (tale che i punti estremi coincidono A ≡ B) l’integrale di linea di F è identicamente nullo qualunque
sia la curva C considerata:
I B≡A
F · dr = 0
A
Le due proprietà sono strettamente collegate tra loro: un’integrale di linea è
indipendente dal cammino se e solo se l’integrale di circuitazione è nullo su
qualsiasi cammino chiuso C.
71
72
APPENDICE C. TEOREMI SUI CAMPI VETTORIALI
Se F è un campo vettoriale continuo in una regione D aperta (tale da non
contenere punti di frontiera) e connessa (tale per cui due punti qualsiasi di D
possano essere congiunti da un cammino interamente contenuto in D stesso)
e se l’integrale di linea di F è indipendente dal cammino in D, allora F è un
campo vettoriale conservativo in D, cioè esiste una funzione f tale che F = ∇f .
C.2
Teorema di Stokes
Detta S una superficie regolare a tratti la cui frontiera è una curva C = ∂S
semplice, chiusa, regolare a tratti con orientamento positivo, se F è un campo
vettoriale le cui componenti abbiano derivate parziali continue in una regione
aperta di <3 , contenente S, allora
I
ZZ
F · dr =
(∇×F ) · dS
C
S
La relazione rappresentata dal teorema di Stokes afferma essenzialmente la possibilità di calcolare un integrale di linea di un campo F lungo una curva chiusa
C mediante l’integrale di flusso di ∇×F relativamente ad una qualsiasi superficie
S di cui C sia il contorno.
C.3
Teorema della divergenza
Sia V uan regione semplice solida e S la sua superficie, assunta con orientazione
positiva (uscente). Dato un campo vettoriale F , le cui funzioni componenti
hanno derivate parziali continue su una regione aperta contenente V , allora
IZ
ZZZ
F · dS =
(∇·F ) · dV
S
V
Il teorema enunciato afferma essenzialmente che l’integrale di flusso di un campo
vettoriale F attraverso la superficie chiusa S corrisponde all’integrale di volume
di ∇·F relativo alla regione delimitata da S.
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