http://www.exchang er4science.it/ Lo scompenso cardiaco è una patologia sistemica dovuta a insufficienza cardiaca non compensata. È caratterizzato da una netta diminuzione della portata circolatoria, rallentamento della velocità di circolo, tendenza alla stasi sanguigna, aumento della pressione venosa a livello dei capillari e facile insorgenza di edemi, ossia accumulo di acqua ed elettroliti negli spazi interstiziali. Vi è un’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti, in condizioni di normale pressione di riempimento e ritorno venoso. Lo scompenso cardiaco viene classificato in sistolico e diastolico. Lo scompenso sistolico è caratterizzato da una compromissione della funzione sistolica ed è principalmente imputabile alla cardiopatia ischemica, all’ipertensione arteriosa, alla cardiomiopatia primitiva e ad alcune disfunzioni delle valvole mitroaortiche. Nello scompenso diastolico è alterata la fase di riempimento e questo avviene più frequentemente negli anziani, specie di sesso femminile, affetti da ipertensione arteriosa o diabete mellito. Spesso coesiste una disfunzione sia della fase sistolica che della diastolica. In una minoranza di casi lo scompenso cardiaco è imputabile a un’aumentata richiesta metabolica dei tessuti, secondaria a condizioni quali tireotossicosi, anemia severa, carenza di tiamina, fistola arterovenosa. In questi stati morbosi la portata cardiaca è aumentata. Lo scompenso cardiaco è conseguenza di altre malattie o condizioni che indeboliscono il cuore e rendono le sue camere troppo rigide per riempirsi di sangue e pomparlo in circolo in modo adeguato. A seconda della modalità di insorgenza, esistono due tipologie di scompenso cardiaco: Immagine al microscopio ottico a fluorescenza di miocardiociti isolate con disorganizzazione complete del sarcomero. http://www.exchanger4science.i § acuto - può comparire all’improvviso, ad esempio in risposta a un infarto o a una crisi ipertensiva § cronico - è il risultato dell’accumulo di danni di varia natura a carico del cuore che avviene nell’arco di un lungo periodo di tempo. Lo scompenso cardiaco può distinguersi anche in: § destro, caratterizzato dall’incapacità del ventricolo destro di pompare sangue venoso nel circolo polmonare e dal conseguente accumulo di fluidi in particolare a livello delle gambe e del fegato § sinistro, caratterizzato dall’incapacità del ventricolo sinistro di pompare sangue nella circolazione sistemica e del conseguente accumulo di fluidi nel circolo polmonare, cioè nella rete di vasi sanguigni che raggiunge i polmoni e ossigena il sangue. CAUSE Le cause più frequenti di scompenso cardiaco sono: • coronaropatie • un precedente attacco di cuore (infarto del miocardio) • pressione sanguigna alta (ipertensione) • disfunzioni delle valvole cardiache • cardiopatie congenite (difetti presenti alla nascita) • cardiomiopatia (ingrossamento del cuore) • endocardite • miocardite (infezione del miocardio) Immagine al microscopio ottico di una sezione istologica di miocardio umano in condizioni fisiologiche, in cui si possono osservare I diversi miocardoiociti normali per forma e dimensioni. http://www.exchanger4science.it/ IPERTENSIONE La pressione sanguigna elevata (ipertensione) modifica sia la funzione che la struttura dei vasi ematici e sopratutto quella delle piccole arterie muscolari e delle arteriole. La pressione sanguigna elevata costituisce un problema medico di grande rilevanza in quanto è molto diffusa, le conseguenze sono molteplici e talvolta invalidanti e rimane asintomatica fino a stadi tardivi del suo decorso. L’ipertensione viene considerata come uno dei più importanti fattori di rischio sia nella malattia coronarica che negli accidenti cerebrovascolari; essa può provocare inoltre, direttamente insufficienza cardiaca congestizia (cardiopatia ipertensiva), dissezione aortica ed insufficienza renale cronica. Gli effetti deleteri della pressione del sangue si accentuano parallelamente all’aumento della stessa: non esiste, però, un valore rigidamente predefinito della pressione ematica, in grado di identificare i soggetti a rischio di complicanze ipertensive o quelli immuni da tali patologie. Ciò nonostante, per ipertensione si intende una pressione diastolica costantemente al di sopra di 90 mmHg o una pressione sistolica sempre superiore ai 140 mmHg. In base a questi criteri, la prevalenza della malattia ipertensiva nella popolazione generale è risultata pari al 25% delle persone incluse nei programmi di screening. La prevalenza aumenta con l’età. Le popolazioni di colore sono colpite con una frequenza all’incirca doppia rispetto a quella bianca ed è apparentemente più vulnerabile alle complicanz. La riduzione della pressione sanguigna ha effetti diretti sull’incidenza e sulla percentuale di mortalità per malattia cardiaca ischemica, insufficienza cardiaca e ictus. Nel 90-95% dei casi l’ipertensione è idiopatica ed apparentemente primitiva (ipertensione essenziale). Nel rimanente 5-10% è secondaria a malattie renali o, meno frequentemente a stenosi dell’arteria renale, in genere di natura aterosclerotica (ipertensione renovascolare). Più raramente l’ieprtensione secondaria consegue a malattie delle ghiandole surrenali, come l’iperaldosteronismo primitivo, la sindrome Cushing ed il feocromocitoma o altre affezioni. Nella maggior parte dei casi l’ipertensione rimane contenuta entro livelli moderati ed ha un decorso piuttosto stabile, per anni o decenni ed è compatibile con una lunga sopravvivenza, salvo che non si instauri un infarto miocardico, un’insufficienza cardiaca o un insulto cerebrovascolare. In circa il 5% dei soggetti ipertesi, la pressione ematica si eleva rapidamente e, se non trattata, porta a morte nel giro di uno o due anni. Con un termine abbastanza appropriato, questa forma è definita ipertensione accelerata o maligna. Il quadro clinico manifesto dell’ipertensione maligna è costituito da ipertensione severa (con pressione diastolica superiore a 120 mmHg), insufficienza renale, emorragie ed essudati retinici, con o senza edema papillare. Questa forma di ipertensione può svilupparsi in persone precedentemente normotese, ma, più frequentemente si sovrappone ad un’ipertensione pre-esistente, sia essenziale che secondaria. La pressione sanguigna in ciascun individuo è un carattere complesso, determinato dall’interazione di molti fattori genetici, ambientali e demografici. Non bisogna quindi stupirsi se meccanismi multipli sono implicati nell’ipertensione. Tali meccanismi costituiscono L’immagine al Tem mostra la presenza di mitocondri disomogenei e aumentati nel numero, condizione tipica della cardiomiopatia ipertrofica. L'alterazione microscopica più caratteristica è il disarray delle fibre miocardiche, che perdono la loro peculiare distribuzione ordinata e divengono incrociate. http://www.exchanger4science.it/ CARDIOMIOPATIE Le cardiomiopatie sono dei processi morbosi che colpiscono elettivamente il muscolo cardiaco e non sono la conseguenza di altre affezioni cardiovascolari, quali l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica, le valvulopatie e le cardiopatie congenite. Le cardiomiopatie primitive sono malattie del muscolo cardiaco da causa sconosciuta. Le cardiomiopatie secondarie, invece, sono malattie del miocardio da causa nota o associata a malattie che coinvolgono altri apparati. Le principali forme cliniche sono la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomiopatia restrittiva e la cardiomiopatia dilatativa. La cardiomiopatia ipertrofica è caratterizzata da un’importante ipertrofia del ventricolo sinistro, che non è associata a dilatazione (la cavità ventricolare è anzi piccola) e non è associata alle condizioni che notoriamente producono ipertrofia ventricolare sinistra, come l’ipertensione arteriosa o la stenosi aortica. Differisce dalle forme di ipertrofia secondaria in quanto interessa soprattutto il setto interventricolare e talvolta la parete anterolaterale, con cospicua differenza tra spessore del setto e della parete posteriore. E’ inoltre caratterizzata da una bizzarra forma di ipertrofia delle cellule miocardiche, con anomalie della struttura, dell’orientamento e della distribuzione, un disarrangiamento (disarray), soprattutto a carico del setto interventricolare. In circa il 90% dei pazienti l’ipertrofia coinvolge sproporzionalmente il setto interventricolare (Ipertrofia Settale Asimmetrica). Vi è un accentuata contrattilità ventricolare, con una frazione d’eiezione del ventricolo sinistro superiore al normale. La cardiomiopatia restrittiva è più rara rispetto alle forme ipertrofica e dilatativa. In generale si definisce restrittiva una malattia del miocardio caratterizzata da alterata distensibilità dei ventricoli, che sono di normali dimensioni e con funzione sistolica normale o poco alterata. La cardiomiopatia dilatativa è una malattia del miocardio caratterizzata da dilatazione e depressa funzione sistolica del ventricolo sinistro. Può essere secondaria a numerose malattie sistemiche. Si manifesta anche in associazione a malattie valvolari, ipertensione arteriosa o cardiopatia ischemica. L’eziologia della cardiomiopatia dilatativa nella maggior parte dei casi è ignota, per cui viene definita idiopatica. In circa un quarto dei pazienti si presenta come malattia familiare, dimostrata dalla presenza di più soggetti con le stesse caratteristiche della malattia nella stessa famiglia o sospetta anamnesticamente. La modalità con cui viene ereditata è prevalentemente di tipo autosomico Immagine di un RX con mezzo di contrasto in emodinamica, che raffigura una diastole e una systole caratteristiche di cardiomiopatia diolatativa da deficienza Gh-IGF1 dopo 6 mesi di trattamento con GH ricombinante. http://www.exchanger4science.it/ Immagine di un RX con mezzo di contrasto in emodinamica, che raffigura una diastole e una systole con frazione di eiezione EF22 caratteristiche di cardiomiopatia dilatativa in miocardite a cellule. http://www.exchanger4science.it/ ENDOCARDITE Il termine endocardite indica un’infiammazione dell’endocardio che può interessare soprattutto, ma non esclusivamente, i lembi valvolari, le cause dell’infiammazione possono essere infettive, immunologiche, o direttamente rappresentate da traumatismi esercitati dalla corrente sanguigna sull’endocardio. L’endocardite infettiva rappresenta un’entità clinica autonoma, nel senso che è causata da un agente infettivo mentre le rimanenti endocarditi si inseriscono nel quadro clinico di altre malattie, nelle quali rappresenta un caso particolare dell’interessamento di vari organi e apparati. Il termine endocardite infettiva è più appropriato di quello, pure impiegato frequentemente, di endocardite batterica, perché anche se i batteri costituiscono gli agenti eziologici più comunemente implicati in questa malattia, il processo morboso può essere determinato anche da miceti. L’endocardite infettiva è caratterizzata appunto per essere localizzata a livello dell’endocardio, e per lo più sui lembi valvolari, di microrganismi, che anche se di per sé poco patogeni, non possono essere eliminati dal sistema immunitario dell’ospite. Per questo motivo si ha un danno alle strutture valvolari e la persistente immissione in circolo di microrganismi, con prolungata stimolazione del sistema immunitario; questa stimolazione è responsabile di molti dei sintomi e dei segni propri della malattia, che se non adeguatamente trattata diventa mortale. C’è da dire però che anche se i soggetti potenzialmente suscettibili all’endocardite infettiva sono molti, la malattia è relativamente rara. Una classificazione tradizionale distingue due forme di endocardite infettiva: acuta e subacuta. L’endocardite infettiva subacuta è provocata da microrganismi poco virulenti e non invasivi, che praticamente si fissano solo su valvole cardiache già lese da precedenti processi patologici. A causa della scarsa virulenza dei microrganismi, la loro immissione in circolo difficilmente dà luogo a focolai infettivi metastatici, mentre prevalgono gli effetti della prolungata stimolazione del sistema immunitario. La durata della malattia, senza terapia, va da alcuni mesi fino a 1-2 anni, mentre con una terapia appropriata si ha una frequenza elevata di guarigione. La distinzione tra acuta e subacuta non corrisponde più alla realtà clinica comune, in quanto l’impiego precoce di antibiotici, se pure non a dosi sufficienti per una terapia efficace dell’endocardite infettiva, fa sì che, anche quando sono presenti microrganismi virulenti e invasivi, il quadro della malattia sia spostato verso la forma subacuta. Perciò oggi quest’ultima è la variante di endocardite di gran lunga più frequente, anche se esistono casi nei quali la malattia ha un’espressione che si trova a metà tra i due quadri tipici. Una classificazione più appropriata dell’endocardite infettiva perciò si basa piuttosto sull’agente eziologico che l’ha prodotta. L’endocardite infettiva può essere provocata da numerosi microrganismi che sono per lo più derivati dal cavo orale e dalle alte vie aeree, dalla cute, dal colon, dall’apparato urogenitale. Il loro passaggio in circolazione è favorito da manovre, quali interventi odontoiatrici anche modesti, traumatismi cutanei anche banali (come nel caso di drogati da aghi per iniezione usati con scarsi accorgimenti igienici, o nella pratica medica da cateteri venosi mantenuti troppo a lungo in sede), indagini endoscopiche a livello del retto o del colon, cateterismi delle vie urinarie, raschiamenti uterini, inserimento di contraccettivi del tipo degli IUD (Intra Uterine Devices). Tuttavia, nella maggioranza dei casi di endocardite infettiva non si riesce ad individuare un fattore esogeno determinante la batteriemia (la stessa masticazione può provocare batteriemia in condizioni difettose di igiene del cavo orale). Schema rappresentante il grafico dell’andamento, sotto forma di una curva, di una febbre remittente come nell’endocardite batterica subacuta. http://www.exchanger4science.it/ Per quanto la lista sia lunga, si può vedere che nel 60-80% dei casi sono implicati degli streptococchi poco patogeni, nel periodo preantibiotico gli agenti eziologici erano, nella grande maggioranza dei casi, rappresentati da streptococchi del tipo viridans (ossia œemolitici), di solito provenienti dal cavo orale o dalla faringe. Oggi la prevalenza di queste infezioni è diminuita e viene ritenuta inferiore al 50% di tutti i casi di endocardite infettiva, mentre sono aumentate le endocarditi da altri streptococchi come lo S. faecalis (enterococco) e lo S. bovis, provenienti più spesso dall’intestino, dalle vie urinarie e dalle vie genitali femminili. Questi microrganismi hanno attitudine ad infettare le valvole cardiache già precedentemente lese. Gli stafilococchi vengono al secondo posto come causa di endocardite infettiva e la loro provenienza è solitamente dalla cute (perciò sono una comune causa di endocardite nei drogati). Affinché si verifichi una tale condizione, occorre che i microrganismi si attacchino all’endocardio, solo i microrganismi più virulenti possono farlo direttamente su cellule endoteliali integre, mentre quelli meno virulenti possono farlo solo se trovano delle circostanze favorevoli come nel caso un cui le cellule endoteliali vengono danneggiate e, in conseguenza di questo danneggiamento, si ha la deposizione sull’endocardio di piastrine con o senza fibrina. I pazienti con endocardite infettiva presentano uno stato febbrile, di entità più o meno elevata, che risulta persistente e poco sensibile (o influenzato solo transitoriamente) da eventuali terapie antibiotiche condotte “alla cieca” in dosaggi convenzionali. Il sintomo che accompagna più frequentemente la febbre è rappresentato dalle artralgie, che possono spesso interessare uno o poche delle grandi articolazioni e talora assumere l’aspetto dell’artrite migrante. I pazienti più giovani dichiarano spesso di avere sofferto di malattia reumatica nell’infanzia o di aver sofferto di molte tonsilliti febbrili (e magari di essere stati tonsillectomizzati per questo), o di essere stati riconosciuti portatori di un “soffio” cardiaco. In altri casi il paziente è consapevole di essere portatore di un vizio congenito di cuore o di una protesi valvolare o di prolasso della mitrale. Nei pazienti più anziani questi dati anamnestici spesso mancano, visto che il fattore favorente l’endocardite è per lo più rappresentato da lesioni valvolari degenerative, spesso non rilevate o sottovalutate. In una minoranza dei casi, nell’anamnesi viene enumerato qualche intervento odontoiatrico o qualche altra pratica strumentale favorente la batteriemi.