Vol. 100, N. 10, Ottobre 2009 Pagg. 458-464 Case Records dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR Fondazione G. Monasterio - Regione Toscana “Comunicare meglio per curare meglio” Il respiro di Cheyne-Stokes in un paziente con scompenso cardiaco: implicazioni fisiopatologiche e cliniche Marianna Fontana1, Alberto Giannoni1,2, Roberta Poletti1, Alessandra Gabutti1, Giuseppe Vergaro1,2, Luigi Emilio Pastormerlo1,2, Michele Emdin1, Claudio Passino1,2 Riassunto. L’indagine sulla presenza del respiro di Cheyne-Stokes dovrebbe essere inclusa nel processo diagnostico di routine del paziente con scompenso cardiaco, per le sue implicazioni cliniche e prognostiche sulla base delle conoscenze attuali. Lo studio di questa alterazione del quadro respiratorio può contribuire, da una parte, a definirne il significato fisiopatologico, ancora non del tutto chiarito; dall’altra, potrà concorrere alla formulazione di trattamenti specifici, in un quadro generale di prognosi insoddisfacente del paziente con scompenso, nonostante il moderno trattamento farmacologico e con devices. Parole chiave. Respiro di Cheyne-Stokes, scompenso cardiaco. Summary. Cheyne-Stokes respiration and heart failure: pathophysiological and clinical implications. The search for the presence of Cheyne-Stokes respiration should be introduced into the routine diagnostic process in heart failure patients, owing to its clinical and prognostic implications. The analysis of this specific alteration of the respiratory pattern could contribute both to the understanding of its pathophysiological role, and to the discovery of specific treatments for heart failure patients, characterized by poor prognosis, despite optimal conventional treatment. Key words. Cheyne-Stokes respiration, heart failure. Introduzione Le più recenti acquisizioni hanno trasformato la definizione di scompenso cardiaco da malattia d’organo a malattia dei sistemi di regolazione neuroendocrina: le alterazioni emodinamiche conseguenti al danno d’organo provocano una riposta modulatoria in funzione di compenso del feedback barocettoriale e chemorecettoriale. Ne consegue un “imbalance” simpato-vagale e, a cascata, l’attivazione di altri sistemi adattativi tra cui, in particolare, il sistema renina-angiotensina-aldosterone, con predominanza sull’espressione cardiaca di ormoni natriuretici1 ed implicazioni non solo emodinamiche, ma anche a livello delle interazioni tra circolo ed attività respiratoria. È assai frequente il riconoscimento di un quadro respiratorio peculiare (respiro di Cheyne-Stokes) caratterizzato da alternanza di periodi di apnea e iperpnea centrale, presente non solo nel periodo notturno, ma durante la veglia e finanche durante l’esercizio. Questo fenomeno, descritto da Cheyne nel 1818 e da Stokes nel 1854 in pazienti con sintomi e segni dello scompenso, rimane di solito misconosciuto nonostante abbia importanti implicazioni cliniche e prognostiche. In particolare, la semplice presenza di respiro di Cheyne-Stokes al monitoraggio poligrafico diurno “breve”2 o una prevalenza oraria di apnee-ipopnee [Respiratory Disorder Index (RDI)] superiore a 30 al monitoraggio polisonnografico notturno3 sono predittive di morte cardiaca. 1UOC Medicina Cardiovascolare, Fondazione G. Monasterio CNR-Regione Toscana, Pisa; 2Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. Pervenuto il 14 settembre 2009. M. Fontana et al.: Respiro di Cheyne-Stokes e scompenso cardiaco: implicazioni fisiopatologiche e cliniche 459 Descrizione del caso Tra le valutazioni eziologiche venivano eseguiti prelievi ematici per esami virologici e reumatologici (risultati nella norma) e veniva effettuata indagine emodinamica che mostrava l’assenza di lesioni radiopercepibili dell’albero coronarico subepicardico (figura 1 e, f).Veniva dunque eseguita una risonanza magnetica cardiaca, che confermava la presenza di una severa disfunzione ventricolare sinistra (figura 2a), evidenziando – dopo somministrazione di gadolinio-chelati (“delayed enhancement”) – la presenza di una piccola area fibrotica alla giunzione setto-parete anteriore basale, che confermava un quadro compatibile con una eziologia non-ischemica e l’esiguità dell’estensione dell’area di fibrosi (figura 2b). Il paziente, maschio, di 50 anni, presentava come fattori di rischio cardiovascolare una storia di fumatore (22,5 pacchetti all’anno). È rimasto asintomatico fino al 2002, quando gli veniva diagnosticato un linfoma nonHodgkin follicolare di grado III, stadio IIIs, trattato con 6 cicli di CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) con una remissione completa, confermata nel novembre 2005 da esame PET e controllo ematologico. Non era stato impostato alcun follow-up di tipo cardiologico. Alla fine di dicembre dello stesso anno, il paziente iniziava ad avvertire dispnea da sforzo, associata a tosse e cardiopalmo, sintomi interpretati dal medico curante come secondari ad un quadro influenzale e trattati con terapia antibiotica e mucolitica. Per il peggioramento della sintomatologia dispnoica, il 30 dicembre il paziente si recava nel Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale di Pisa, dove, per il riscontro di un quadro di subedema polmonare, veniva ricoverato e trattato con terapia diuretica, con parziale miglioramento dei segni radiologici di edema interstiziale. In data 1 gennaio 2006 veniva trasferito presso la nostra Unità Operativa. L’esame obiettivo all’ingresso evidenziava un’azione cardiaca aritmica tachifrequente; soffio olosistolico 2/6 L sul focolaio mitralico, irradiato all’ascella, crepitii diffusi a tutti i campi polmonari, non edemi declivi. Pressione arteriosa 110/85mmHg. Agli esami bioumorali era evidente una significativa attivazione del sistema dei peptidi natriuretici (NT-proBNP, frazione amino terminale del brain natriuretic peptide, 1495 ng/l, v.n. sino a 157 ng/l), del sistema adrenergico (noradrenalina 1754 ng/L, v.n. <500), ed elevazione dei livelli di aldosterone (aldosterone 165 ng/L, v.n. 160), mentre gli altri esami risultavano nei limiti della norma. All’elettrocardiogramma veniva riscontrata una fibrillazione atriale con risposta ventricolare tachicardica 114 b.p.m., ed alterazioni diffuse della ripolarizzazione ventricolare (figura 1a). La radiografia del torace mostrava un’ombra cardiaca ingrandita, un aumento delle dimensioni del peduncolo vascolare e degli ili vascolari polmonari, segni di edema interstiziale, manicotti peribronchiali, versamento pleurico sinistro (figura 1b). L’ecocardiogramma basale mostrava una dilatazione dell’atrio (51 mm) e del ventricolo sinistro (diametro telediastolico 63 mm, telesistolico 50 mm), un’ipocinesia di tutti i segmenti, con funzione sistolica globale ventricolare sinistra ridotta [frazione di eiezione (FE) 25%], normale funzione del ventricolo destro e insufficienza mitralica di grado lieve (figura 1c). Il paziente veniva quindi ulteriormente trattato con furosemide in infusione, con progressivo miglioramento del quadro clinico (riduzione della dispnea, calo ponderale di circa 4 kg), del quadro radiografico di edema interstiziale e scomparsa del versamento pleurico, mentre – in relazione alla presenza di severa compromissione della funzione ventricolare sinistra – veniva iniziata e progressivamente titolata terapia con carvedilolo, candesartan e spironolattone. Dopo aver raggiunto la stabilità clinica ed in assenza di sintomatologia dispnoica, il paziente veniva sottoposto, previo ecocardiogramma transesofageo, a cardioversione elettrica, risultata efficace nel ripristino del ritmo sinusale, seppur caratterizzato all’elettrocardiogramma dinamico da elevata incidenza di extrasistoli atriali, 11320, con 135 extrasistoli ventricolari ed una coppia ventricolare. Alla cardioversione e all’iniziale titolazione farmacologica (carvedilolo 18,75 mg/die, candesartan 8 mg, spironolattone 25 mg, associati con furosemide 25 mg e profilassi amiodaronica ed anticoagulante) seguiva un relativo miglioramento della misura ecocardiografica della frazione di eiezione ventricolare sinistra (30%), una riduzione dei livelli plasmatici di NT-proBNP, 534 ng/L, con persistenza di attivazione adrenergica, seppur ridotta (noradrenalina plasmatica 1069 ng/L). Per il completamento dell’inquadramento funzionale e per l’impostazione di un programma domiciliare di training fisico aerobico, dopo una settimana di ricovero, in condizioni di stabilità clinica, veniva sottoposto a test da sforzo cardiopolmonare, che mostrava una limitazione funzionale di grado moderato [110 Watts, consumo di O2/kg al picco pari a 15,1 ml/kg/min VE/VCO2 slope (pendenza della relazione tra ventilazione e produzione di anidride carbonica) pari a 28] e veniva segnalata la presenza di respiro periodico (figura 3), evidenziato come oscillazioni cicliche del volume corrente rilevato durante la registrazione basale, non persistente durante sforzo. Per approfondire le alterazioni del quadro respiratorio riscontrate all’ergospirometria, oltre ad un test “breve” di osservazione poligrafica, risultato positivo, veniva effettuato un monitoraggio respiratorio circadiano (Somté, Medigas, Milano), che mostrava la presenza di respiro di Cheyne-Stokes, durante i periodi diurno e notturno, per un totale di 225 minuti (19 % della durata della registrazione), con valore minimo di saturazione venosa di ossigeno di 80%, RDI diurno di 8,1 e notturno di 21,9. Il paziente, inoltre, veniva indirizzato ad un programma di training fisico domiciliare su cyclette con periodiche (1, 3, 6, 9 mesi dalla dimissione) sedute intraospedaliere supervisionate da una fisioterapista esperta4, con carico di lavoro iniziale pari al 65% del valore di consumo di O2 al picco registrato nel test cardiopolmonare. Nei mesi successivi, il paziente rimaneva asintomatico, con passaggio stabile a classe NYHA I, ulteriore miglioramento della tolleranza allo sforzo (a tre mesi dalla dimissione, un test cardiopolmonare veniva interrotto al carico di 150 Watts x 1 min con consumo di O2/kg al picco pari a 20,2 ml/kg/min, VE/VCO2 slope pari a 18), mentre scompariva la presenza di respiro periodico durante l’ergospirometria, nel test “breve”, con una marcatissima riduzione del fenomeno al monitoraggio circadiano (RDI diurno di 1 e notturno di 5). Alla luce di questi risultati, veniva incrementato da 60 a 90 Watt il carico di lavoro per la prosecuzione dell’allenamento. Un esempio di rilevanza clinica e fisiopatologica di questo fenomeno emerge dal caso clinico qui esposto, in cui alla disfunzione cardiaca, con importante attivazione adrenergica e ormonale, si associa la presenza di respiro periodico asintomatico, rilevato attraverso indagini eseguite di routine nel nostro ospedale. 460 Recenti Progressi in Medicina, 100, 10, 2009 a b c d e f Figura 1. Esami strumentali eseguiti dal paziente nel corso del ricovero: (a) elettrocardiogramma basale con fibrillazione atriale tachicardica ed alterazioni della ripolarizzazione ventricolare; (b) radiografia del torace in due proiezioni con ingrandimento dell’ombra cardiaca, segni di edema interstiziale e versamento pleurico sinistro; (c) immagine ecocardiografica parasternale in asse lungo che mostra dilatazione atriale e ventricolare sinistra; (d) ventricolografia in telediastole (sinistra) e telesistole (destra) con riduzione della funzione sistolica ventricolare sinistra; (e,f) coronarografia con albero coronarico indenne da lesioni radiopercepibili. a b Figura 2. (a) Immagine telediastolica in 4-camere di cine MRI che evidenzia dilatazione atriale e ventricolare sinistra; (b) immagine in asse corto MRI dopo somministrazione di gadolinio che mostra aree di delayed-enhancement in sede giunzionale. M. Fontana et al.: Respiro di Cheyne-Stokes e scompenso cardiaco: implicazioni fisiopatologiche e cliniche 461 dura di ablazione della fibrillazione atriale, risultata efficace. Il paziente gode attualmente di relativo benessere (classe NYHA I), si sottopone regolarmente a periodici controlli ambulatoriali, conduce una vita attiva, continuando ad aderire al nostro programma di follow-up, di terapia farmacologica e di riabilitazione fisica di mantenimento. Discussione Il caso esposto mette in luce una condizione di frequente riscontro nei pazienti con scompenso cardiaco: la presenza di “respiro periodico” (RP) o di Cheyne-Stokes, caratterizzato da alterazioni cicliche del quadro respiratorio, con variazioni tipicamente in crescendo-decrescendo del volume corrente, alternate da fasi (superiori, secondo la definizione accettata, a 10 secondi) di apnea e ipopnea (riduzione, ma non completo arresto del respiro di almeno il 50% del normale, normalmente associata a desaturazione arteriosa). Figura 3. Test da sforzo cardiopolmonare con evidenza di respiro periodico durante la registrazione basale (B) e nel warmup (W), ma non nel corso dell’esercizio (E); la freccia indica la scomparsa del respiro periodico. VE: ventilazione; RQ: quoziente respiratorio. Questa alterazione respiratoria, descritta per la prima volta quasi due secoli fa da parte di Cheyne e Stokes, è stata riscoperta negli ultimi decenni, a partire dagli anni novanta, da diversi gruppi di ricerca che ne hanno sottolineato la rilevanza in termini di prevalenza, la distribuzione circadiana sia notturna che diurna (a sfatare la definizione di “sleep apnea sindrome”), la correlazione con la severità clinica e la prognosi, le implicazioni fisiopatologiche e terapeutiche2,3,5,6. Il dosaggio dell’NT-proBNP risultava costantemente ridotto sino a valori normali (figura 4), come anche le concentrazioni di catecolamine; un ecocardiogramma eseguito a nove mesi dalla dimissione rilevava un notevole miglioramento della diametria e funzione ventricolare sinistra (FE 49%, diametro telediastolico e telesistolico 60 e 45 mm), associato a persistenza di lieve dilatazione dell’atrio sinistro e ad insufficienza mitralica di grado lieve. Per la comparsa di tireotossicosi e la recidiva di fibrillazione atriale, la terapia amiodaronica veniva sospesa e, una volta in eutiroidismo stabile, il paziente veniva sottoposto a una proce- 60 FE (%) 1500 linfoma/ chemioterapia 1495 50 No Sintomi 20.2 40 24.3 VO2 max (mg/Kg/min) 1000 15.1 EPA 30 534 NT-proBNP (ng/L) 500 20 ricovero 120 79 54 10 2002 2003 dicembre 2005gennaio 2006 2006 aprile 2007 ottobre 2007 marzo candesartan carvedilolo furosemide spironolattone warfarin ASA amiodarone training Figura 4. Andamento temporale dei principali parametri clinici, bioumorali (NT-proBNP) e strumentali (FE, VO2peak) e della terapia assunta dal paziente. È possibile osservare un progressivo recupero della funzione sistolica ventricolare sinistra e del VO2peak ed una contestuale riduzione dei livelli plasmatici di NT-proBNP sino a valori normali entro un anno dal ricovero. I dati epidemiologici mostrano una prevalenza dal 50% (nell’era pre-introduzione della terapia beta-bloccante e della resincronizzazione cardiaca)5,6 al 40% odierno2 del RP nell’insufficienza cardiaca, non solo in pazienti con scompenso acuto o subacuto, ma anche in pazienti con scompenso cronico in classe funzionale sia avanzata che non2,5,6 e sottolineano come il respiro periodico non sia soltanto un fenomeno notturno, variando la prevalenza di questa condizione nelle ore diurne sino al 66%2,5,7. Il chiarimento dei meccanismi fisiopatologici suggerisce che la sindrome delle apnee centrali (altra possibile denominazione) sia una conseguenza piuttosto che causa dell’insufficienza cardiaca. Tuttavia, come vedremo, una volta presente, la sindrome può avere importanti ripercussioni sulla storia naturale di un cuore insufficiente. 462 Recenti Progressi in Medicina, 100, 10, 2009 Da un punto di vista fisiopatologico, la comparsa di questo fenomeno sembra derivare da un tentativo di adattamento dell’organismo in condizioni di improvvisa riduzione della portata cardiaca. Infatti, attraverso la riduzione della sensibilità barocettiva e attraverso l’incremento della sensibilità chemocettiva, l’organismo inizialmente tenta di garantire un incremento della perfusione periferica efficace (con sangue ossigenato). Tuttavia, con il tempo, soprattutto l’incremento della sensibilità chemocettiva7,8 in associazione ad un rallentato tempo di circolo9, determina la perdita della normale efficienza del controllo ventilatorio. Le variazioni della concentrazione dei gas (soprattutto della CO2) vengono di solito accompagnate da una risposta eccessiva e ritardata in termini ventilatori, con ventilazione e CO2 che cominciano ad oscillare in controfase, determinando la comparsa della periodicità sopra descritta. In una fase iniziale questa tipologia di respiro può avere effetti benefici, compensatori: infatti, durante la fase di iperpnea, che solitamente è più lunga della fase di apnea (e tanto più lunga quanto minore è la portata cardiaca), per un incremento del ritorno venoso si possono avere beneficî in termini di portata cardiaca. Però, nel lungo periodo, questo tipo di ventilazione risulta meno efficiente sia da un punto di vista energetico (fatica della muscolatura respiratoria) sia per la dinamica degli scambi a livello alveolare. Inoltre, la fase di apnea, soprattutto per la duplice stimolazione di chemocettori periferici e centrali dovuta alla presenza sincrona di ipossia ed ipercapnia nella zona di transizione tra la fine dell’apnea e l’inizio dell’iperpnea, può comportare un peggioramento del tono adrenergico con potenziali effetti proaritmici2,10. Questi effetti diventano evidenti nel momento in cui la condizione di scompenso diventa cronica. In tal caso, la presenza di respiro periodico sembra significativamente associata ad un impegno clinico più grave, a gradi più severi di disfunzione sistolica ventricolare sinistra e a maggiore compromissione della capacità funzionale2. Ed è in condizioni di scompenso cronico che la presenza di questa alterazione ventilatoria, soprattutto durante la veglia ovvero con elevati valori di RDI durante la notte, sembra associarsi ad una prognosi sfavorevole2,3,11. Minori evidenze sono state raccolte relativamente al significato clinico del respiro di CheyneStokes in fase acuta. È verosimile che, soprattutto in questo contesto clinico, la ridotta gittata cardiaca possa svolgere un ruolo, se non del tutto esclusivo, sicuramente preminente. Infatti, in fase acuta, il contributo della riduzione della portata in caso di disfunzione ventricolare sinistra si fa sentire non solo sul versante arterioso sistemico (incremento della sensibilità chemocettiva ed aumentato tempo di circolo con ritardo nel “sensing” chemorecettoriale), ma anche sulla pressione venosa polmonare per il sovraccarico di fluidi e la disfunzione diastolica concomitante, con conseguente sti- molazione dei recettori J polmonari ed ulteriore stimolazione del drive ventilatorio12. In questa fase, un eventuale miglioramento dell’emodinamica cardiaca soprattutto legato all’unloading mediante terapia diuretica (o, ad esempio, attraverso il semplice ripristino del ritmo sinusale in un paziente con fibrillazione atriale, come nel nostro caso) oppure con l’instaurazione di una terapia di antagonismo neurormonale, può garantire la scomparsa o la riduzione del respiro di CheyneStokes e quindi ridimensionarne la valenza clinica ed il significato in termini prognostici. Il caso descritto sembra ben rappresentare queste premesse fisiopatologiche sia nella comparsa del fenomeno sia nella sua scomparsa. La disfunzione ventricolare sinistra sistolica (FE 25%) con conseguente aumentato tempo di circolo, la congestione polmonare (evidenziata alla radiografia del torace) e la risposta compensatoria dell’organismo con l’attivazione del sistema adrenergico (documentata da elevati livelli di catecolamine plasmatiche), ormonale (attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone), associata ad una attivazione chemocettiva, rappresentano i presupposti fisiopatologici necessari per la perdita della normale efficienza del controllo ventilatorio e quindi per l’instaurarsi del respiro periodico. Nel corso dei mesi successivi al ricovero, il miglioramento emodinamico globale testimoniato da un quasi totale recupero della funzione sistolica ventricolare sinistra, associato a deattivazione del sistema adrenergico, con riequilibrio del bilancio simpato-vagale e neurormonale (grazie anche all’instaurazione di una terapia di antagonismo neurormonale13 ed al programma di training fisico aerobico) hanno determinato la scomparsa delle alterazioni del quadro respiratorio e l’interruzione del ruolo che il respiro periodico svolgeva nel contribuire ulteriormente all’attivazione adrenergica. Le rilevanti implicazioni fisiopatologiche della presenza del respiro periodico fanno emergere l’importanza della individuazione di tale condizione nei pazienti scompensati. Il sospetto clinico può derivare dalla presenza di un corteo di sintomi riconducibili alla frammentazione del sonno, secondaria alla presenza di apnee: sonnolenza, astenia, facile affaticabilità diurna; tuttavia questi sintomi sono presenti soltanto in una percentuale di pazienti. Ciò implica la necessità di mettere in atto le opportune procedure diagnostiche tese ad individuare obiettivamente le alterazioni del quadro respiratorio. Nel caso da noi descritto il primo riscontro della presenza di respiro periodico è avvenuto durante il test da sforzo cardiopolmonare. Questo test, infatti, come l’osservazione in terapia intensiva della traccia respiratoria e del tracciato ossimetrico e l’osservazione diretta del paziente, possono evidenziare alterazioni cicliche del volume corrente o della saturazione e porre il sospetto diagnostico della presenza di respiro periodico. M. Fontana et al.: Respiro di Cheyne-Stokes e scompenso cardiaco: implicazioni fisiopatologiche e cliniche Ma un approccio diagnostico specifico, con test di screening finalizzato ad evidenziare disturbi del respiro è raccomandabile e si avvale principalmente di tre sistemi di monitoraggio: il monitoraggio poligrafico breve, il monitoraggio cardio-respiratorio delle 24 ore e la polisonnografia, dove sono presenti, rispetto agli altri due sistemi di monitoraggio, anche tracce elettroencefalografiche, elettro-oculografiche ed elettromiografiche da cui sono derivabili gli effetti di destrutturazione dell’architettura del sonno, secondari alle alterazioni del pattern respiratorio. Nel monitoraggio respiratorio breve e delle 24 ore si utilizzano un segnale ECG, un segnale di flusso oro-nasale, segnali respiratorii derivanti da due bande a conduttanza (una toracica e una addominale), il capnogramma, e un segnale di saturazione di O2. La presenza simultanea di un segnale di flusso nelle vie aeree e di un segnale di movimento respiratorio derivante dalle bande toracica e addominale consente di differenziare l’apnea ostruttiva da quella centrale: nelle apnee centrali, infatti, durante la fase di apnea (assenza di flusso) non è presente alcun movimento toracico o addominale (manca infatti l’input centrale per i muscoli respiratori, figura 5), mentre nella apnea di tipo ostruttivo, nella fase di assenza di flusso (apnea), a livello del segnale della banda toracica e addominale è possibile vedere il tentativo dei muscoli respiratori di iniziare l’atto inspiratorio, inefficace per la presenza di ostruzione a livello delle vie aeree superiori. Il monitoraggio respiratorio breve ha, di solito, una durata di 10 minuti; il paziente viene lasciato respirare spontaneamente e la metodica viene in genere utilizzata come iniziale screening per valutare la presenza o l’assenza nei minuti di registrazione di respiro periodico. Il monitoraggio respiratorio delle 24 ore dà invece informazioni non solo sulla presenza di alterazioni del quadro respiratorio, ma quantifica il problema attraverso lo RDI, noto anche come AHI (Apnea Hypopnea Index), ne descrive la distribuzione notturna e diurna e dà utili informazioni sulla durata complessiva delle apnee, sul Figura 5. Monitoraggio cardiorespiratorio con andamento nel tempo del flusso aereo registrato da una cannula nasale, del segnale respiratorio combinato dalle fasce a conduttanza toracica e addominale e della saturazione di ossigeno in un caso di apnee centrali. Si osserva una contestuale riduzione del segnale proveniente dalla cannula e dalle fasce e, in controfase, una progressiva riduzione della saturazione di ossigeno. 463 grado di desaturazione raggiunto nelle fasi di apnea e sulle alterazioni indotte nella frequenza cardiaca e nel ritmo. Nel caso clinico da noi descritto, la presenza di respiro periodico è stata rilevata durante la registrazione basale che precede il test da sforzo cardiopolmonare e l’entità del problema è stata successivamente quantificata nel monitoraggio respiratorio delle 24 ore, che ha evidenziato un elevato RDI notturno ed ha, inoltre, mostrato la presenza significativa del disturbo nelle ore diurne. Rilevare un elevato numero di eventi apneici/ipopneici (RDI ≥ 30/ora) – essendo associato in maniera indipendente ad elevato rischio di morte cardiaca nel follow-up3 – rappresenta un altro utile parametro per stratificare prognosticamente i pazienti con scompenso cardiaco: nel nostro caso, infatti, l’RDI, al di sotto del cut-off di 30 in fase subacuta, prima di un congruo periodo di trattamento ottimale, classificava il paziente in un gruppo a basso rischio; e la completa scomparsa nel tempo di questo disturbo confermava tale andamento. Conclusioni La storia clinica del paziente, con ottimo recupero della funzione cardiaca, della capacità funzionale e riassetto dell’equilibrio neuro-ormonale costituisce un reperto raro nei pazienti con scompenso cardiaco, nei quali, generalmente, si assiste ad una progressione più o meno rapida della patologia di base. Nel quadro generale con destino prognostico insoddisfacente del paziente scompensato nonostante il moderno trattamento farmacologico e con devices, questa alterazione è stata quindi proposta come possibile bersaglio terapeutico. Gli interventi terapeutici, oltre all’ottimizzazione del trattamento dell’insufficienza cardiaca (farmacologico oppure con stimolazione biventricolare) possono essere suddivisi in quattro categorie: a) agenti farmacologici stimolanti (la teofillina, la acetazolamide); b) deprimenti il drive ventilatorio (benzodiazepine, oppioidi); c) supplementazione notturna di ossigeno; d) ventilazione meccanica non invasiva. Complessivamente, però, tali approcci, volti ad influenzare i meccanismi di origine del respiro periodico (tramite l’impiego di differenti farmaci) o ad annullare gli effetti della desaturazione periodica (tramite ventilazione meccanica non invasiva), sono risultati ancora poco soddisfacenti a lungo termine, in particolare per quanto riguarda gli effetti sulla prognosi nell’unico trial sinora portato a termine14. L’approccio clinico consigliato attualmente, non essendo dimostrato alcun beneficio prognostico, è il trattamento soltanto della quota di pazienti con RDI elevato e sintomatologia specifica correlabile alla presenza della sindrome delle apnee, con la finalità di determinare un miglioramento in termini di sintomatologia e qualità della vita. 464 Recenti Progressi in Medicina, 100, 10, 2009 L’implementazione del processo diagnostico nella routine del paziente con scompenso cardiaco di una valutazione di presenza e severità del respiro di Cheyne-Stokes, potrà contribuire, da una parte, a definirne il significato fisiopatologico (che, nello spettro di malattia, spazia, probabilmente da una risposta compensatoria favorevole in termini emodinamici nelle fasi di iperventilazione sino all’influenza negativa nella cascata ipossia-attivazione adrenergica-eventi aritmici-sofferenza d’organo); dall’altra, concorrerà allo sviluppo di nuovi interventi terapeutici che abbiano non soltanto un ruolo nella riduzione dei sintomi associati alle apnee, ma anche un impatto sulla storia naturale della patologia. 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