Contributo allo studio delle piante medicinali. Il Giusquiamo di Sicilia

Contributo allo studio delle piante medicinali. Il Giusquiamo di Sicilia
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE PIANTE MEDICINALI
IL GIUSQUIAMO DI SICILIA (HYOSCYAMUS ALBUS L.)
Nota del Dr. Francesco Monforte presentata dal Socio Gaetano Vinci (Seduta del 17 Agosto
1984-XIII)
Da alcuni anni è stato iniziato in Italia un movimento tendente alla razionale valorizzazione delle
nostre piante medicinali ed a questo scopo molto opportunamente sono stati istituiti dal
Governo Nazionale degli organi cui è affidato il coordinamento delle attività dirette allo studio,
alla coltivazione, al controllo ed al commercio delle piante medicinali.
Questi studi infatti vanno ogni giorno più estendendosi e contribuiscono sempre meglio ad una
più larga conoscenza e più proficua utilizzazione di piante e droghe nostrane, delle quali spesso
a torto si è mantenuta l'importazione dall'estero.
Recentemente il Prof. Mameli (1) in una comunicazione fatta al 3° Congresso internazionale di
erboristeria così si esprimeva:
"L'attività erboristica odierna va estendendosi in superficie ed in profondità. Da una parte la
terapia e la clinica tendono oggi a preferire ai principi attivi isolati, le droghe ed i loro preparati
galenici, e ciò per un cumulo di ragioni ormai largamente discusse ed accettate dalla grande
maggioranza dei farmacologi, tanto che si è affermato che la base della farmacia galenica, se
aspira a carattere scientifico, è la chimica delle piante medicinali (Tschirch). Dall'altra le
conoscenze più diffuse, l'industrializzazione e la standardizzazione delle preparazioni
farmaceutiche, anche galeniche, conferisce all'erboristeria un campo di azione che sorpassa gli
interessi nazionali e diviene ogni giorno più largo e più importante sia sul lato economico, come
dal lato scientifico".
Il laboratorio di Farmacologia della R. U. di Messina si occupa da anni dello studio delle piante
medicinali e parecchi contributi ha già portato in questo importantissimo campo con ricerche
sulla liquirizia, sull'atractylis gummifera, sullo strofanto, sulla belladonna, ecc., e si è ritenuto
pertanto non privo di interesse lo studio del Giusquiamo che cresce abbondantemente in Sicilia.
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Fra le piante officinali il Giusquiamo occupa un posto di primaria importanza per la marcata
azione farmacologica dovuta ai principi attivi alcaloidei in esso contenuti e fin dai tempi remoti
viene largamente usato in terapia.
L'impiego è limitato alle foglie che vengono usate come tali, intiere od in polvere, o sotto forme
medicamentose galeniche varie quali estratto acquoso od idroalcoolico, tintura, olio, ecc. La
Farmacopea italiana e quelle degli altri stati prescrivono il Giusquiamo nero (Hyoscyamus niger
L.) ed ugualmente i trattati di botanica farmaceutica e di farmacognosia riportano come
officinale solo questa specie, e considerano sostituzione non ammessa se non sofisticazione
addirittura l'impiego dell'Hyoscyamus albus L. e dell'Hyoscyamus muticus.
Però queste due specie di Giusquiamo meritano di essere prese in considerazione per il
contenuto in alcaloidi che pur variando per le condizioni di clima e di coltivazione, arriva talvolta
ad eguagliare se non a superare addirittura il contenuto del Giusquiamo nero, unica specie
ritenuta oggi officinale. A tal proposito ricorderò che P. Rom in un suo recentissimo lavoro (2)
riferisce sulla coltivazione in Ungheria del Hyoscyamus muticus già accolto nella farmacopea
svizzera Va ed. e riporta i risultati ottenuti nella determinazione della giusquiamina che sono
stati oltremodo favorevoli, avendo ottenuto dalla pianta sino al 1.23 % di alcaloide.
E pertanto io ho creduto opportuno studiare il Giusquiamo che cresce spontaneamente e
diffusamente in Sicilia, allo scopo di conoscere il contenuto in principi attivi alcaloidei ed, ove
questi risultassero inferiori alla quantità prescritta per la droga officinale, tentare di migliorarne il
contenuto con opportuna e razionale coltivazione.
Nelle campagne siciliane, per quanto è a mia conoscenza, raramente si riscontra l'Hyoscyamus
niger; l'Hyoscyamus albus invece è molto diffuso e cresce abbondantemente e senza alcuna
coltivazione nei terreni di natura calcarea. Dai contadini è conosciuto sotto il nome di "erba
grassa".
Le mie ricerche sono state eseguite su materiale proveniente da piante spontaneamente
cresciute e raccolte all'epoca della fioritura nel territorio di Alì (Messina) a circa 50 metri di
altitudine e nel territorio di Castanea (Messina) a circa 800 metri. Mi son proposto di studiare i
caratteri botanici e farmacognostici con osservazioni macroscopiche e microscopiche al fine di
mettere in evidenza eventuali dati anatomici differenziali e di eseguire le ricerche chimiche
necessarie per stabilire la localizzazione degli alcaloidi nelle diverse parti della pianta, e per la
identificazione e la determinazione di ciascuno di essi.
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Caratteri botanici
L'Hyoscyamus albus L. è una pianta bienne (fig. 1) che incomincia a fiorire fin dal primo anno
(fig. 2), di colore verde scuro, pelosa, quasi lanata, con peli bianchi che conferiscono alla
superfici fogliari un colorito verde glauco, orizzontali, disuguali, alcuni più corti aventi all'apice
una piccolissima glandola giallognola. I peli sono più sviluppati sulle nervature. La radice è a
fittoni, ramosa, quasi carnosa, di colore biancogiallognolo, alquanto approfondita nel terreno.
Il fusto varia di altezza da 30 a 70 cm. circa ed è più piccolo che nel Giusquiamo nero; è quasi
ramoso con i rami eretto-patenti, cilindrico, verdognolo, peloso, dapprima nutante all'apice nella
fiorituira, diritto quando porta i frutti.
Le foglie diminuiscono in grandezza dalla base all'apice e possono avere dimensioni in
lunghezza da 4 a 12 cm.; sono carnosette, patenti, alterne e variamente distanziate fra loro;
quelle del mezzo del fusto sono ovate, cordate, ottuse, il margine è sinuoso, con lobi ottusi,
talvolta con qualche piccolo dente nei lobi; le superiori sono ovate, un pò ristrette alla base, con
grossi denti ottusi o acuti. Le florali inferiori hanno dei denti ottusi, le florali superiori sono intere
e raramente si notano piccoli denti ottusi.
Tutte le foglie sono di un verde scuro nella pagina superiore (fig. 3) con solchi leggeri giallicci
corrispondenti ai nervi, di un verde un pò meno scuro nella pagina inferiore (fig. 4) e con un
nervo longitudinale rilevato, da cui partono dei nervi laterali, anche rilevati, curvi e ramosi che si
uniscono ad arco tra loro; sono più o meno pelose in entrambi le facce e fornite di un picciuolo,
il quale nelle foglie inferiori è più lungo della foglia, nelle successive è più corto e diminuisce
man mano che si procede dalla parte media alla parte terminale della pianta.
Il picciuolo è quasi piano di sopra, convesso di sotto, giallognolo, strettamente alato nel margine
per lo scorrere della lamina della foglia, peloso.
I fiori sono solitarii all'ascella delle foglie di mezzo e superiori, e si trovano disposti in una lunga
e fitta spiga unilaterale (fig. 5), sono quasi sessili o con un peduncolo gradatamente più lungo
nei fiori inferiori, però sempre più corto del fiore, cilindrico, verdognolo e peloso, che si raddrizza
dopo la fioritura in modo che il suo frutto è eretto.
Il calice è gamosepalo tubuloso-campanulato, verde, peloso di fuori, glabro di dentro, eccetto
verso l'alto, con dieci nervi longitudinali un pò sporgenti a guisa di angoli, cinque più corti che
vanno ai seni e cinque più lunghi che vanno all'apice dei denti: ha cinque denti larghi,
triangolari, acuti.
La corolla è quasi il doppio più lunga del calice, infundibuliforme, con una fessura longitudinale
nel lembo di sotto, che giunge fino alla parto superiore dei tubo. Questo è più lungo del calice,
peloso di fuori, quasi cilindrico, che va slargandosi verso l'alto, verdognolo di fuori con cinque
righe porporino-scure verso l'alto, che giungono fino ai seni dei lobi del lembo: questo ha cinque
lobi, tre superiori un pò più grandi dei due inferiori, con il margine rivolto indietro e quasi
smarginati, tutti ottusissimi all'apice e quasi troncati: tale corolla è di un giallo pallido e in parte
verdognola con la gola porporino-scura.
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Gli stami sono cinque, disuguali fra loro, un pò più lunghi della corolla, inseriti nella parte
inferiore del tubo di questa.
I filamenti sono cilindrici, un pò curvi, bianchicci e pelosi in basso, di color violetto e glabri in
alto.
Le antere sono ovali bislunghe, appena smarginate all'apice, bilobe alla base, dorsofisse,
introrse, biloculari, aprentisi longitudinalmente, bianchicce, glabre.
Il pistillo è lungo quasi quanto gli stami più lunghi.
L'ovario è piccolo, ovato, bianchiccio, pelosetto, biloculare, con molti ovuli quasi tondi, inseriti
sopra una placenta sporgente in ciascuna loggia.
Lo stilo è un pò curvo in alto, cilindrico, un pò più lungo dell'ovario, appena puberulo in basso,
glabro nel resto, di color violetto-chiaro.
Lo stimma è in capolino, papilloso, peloso, dello stesso colore dello stilo.
Il frutto è una capsula (pisside) racchiusa strettamente nel fondo del calice persistente,
ingrossato, indurato e poi per l'età ridotto secco e schelitrito; però si vede il suo apice
guardando di dentro del calice; è ovale-tonda, verdognola, glabra, si apre circolarmente nel
terzo superiore per un coperchio, il quale porta seco una parte del setto.
I semi sono quasi ovati, angolati, cinericci, un pò scuri, areolati. L'odore particolare viroso si
sente molto meno che nel Guisquiamo nero.
Caratteri istologici
La foglia in sezione trasversa (fig. 6) mostra come caratteri particolari numerosi peli sulle due
pagine, di più su quella inferiore specialmente in corrispondenza delle nervature.
I peli sono protettori e ghiandolari e di grandezza varia: i primi si presentano conici, costituiti per
lo più da 2-3 cellule, a pareti lisce, seriate, sull'ultima cellula appuntita, in qualcuno smussa; i
secondi sono meno numerosi, costituiti ordinariamente di 2-3 cellule di cui l'ultima portante alla
estremità una ghiandola unicellulare.
In numerose sezioni osservate non mi è stato possibile mettere in evidenza peli ghiandolari a
capocchia pluricellulare.
Il mesofillo comprende l'epidermide superiore (ep. s.), un tessuto a palizzata (t. p.) costituito da
una sola fila di cellule allungate, un tessuto lacunoso (t. l.) formato da tre assise di cellule
irregolarmente poligonali, alcune contenenti cristalli prismatici di ossalato di calcio c. cr.), e
un'epidermide inferiore (ep. i.).
Le epidermidi delle due pagine (fig. 7) risultano costituite da cellule sinuose e stomi racchiudenti
granuli di clorofilla: ogni stoma è circondato costantemente da tre cellule.
La radice in sezione trasversa (fig. 8) presenta esternamente una epidermide e al di sotto un
libro costituito da cellule disposte in senso radiale, cui segue un legno con vasi e raggi midollari.
Ricerche microchimiche
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Trattando per qualche tempo la sezione con soluzione iodo-iodurata (R. di Bouchardat) diluita,
si osserva un precipitato brunastro nel tessuto a palizzata ed in quello lacunoso nelle foglie ed
in corrispondenza del parenchima corticale e del tessuto liberiano nelle radici.
Ricerche chimiche
Per l'estrazione e la determinazione dei principi attivi ho utilizzato separatamente le varie parti
della droga lavorando su quantità rilevanti, nell'intento di riuscire ad ottenere gli alcaloidi in uno
stato di purezza tale da poter eseguire la determinazione direttamente per pesata e di poter
arrivare alla identificazione d ciascuno di essi.
Per la scelta del metodo di estrazione e di determinazione, ho tenuto conto delle considerazioni
e dei rilievi fatti da numerosi autori sui vari metodi fin oggi proposti.
Girault in un recentissimo lavoro critico sui dosaggi degli alcaloidi nelle preparazioni
farmaceutiche (3) discute tutti i metodi noti ed osserva che il metodo per pesata, generalmente
ritenuto il più preciso, presenta numerosi inconvenienti dovuti alla scelta dell'alcali, del solvente,
dell'acido, alla difficoltà di purificazione del residuo ed alla possibilità di perdite durante
l'evaporazione del solvente.
Circa il dosaggio acidimetrico fa rilevare la facilità di errori dovuti sia alla scelta dell'indicatore,
sia al fatto che data la notevole diluizione delle soluzioni adoperate, è difficile cogliere il viraggio
dell'indicatore. Ritiene che i reattivi generali, malgrado la loro grande sensibilità preziosa dal
punto di vista qualitativo, per il fatto che non danno con gli alcaloidi combinazioni ben definite,
mal si prestano alle determinazioni nelle quali viene richiesta una notevole esattezza nei
risultati. Dopo avere scartato i metodi fisici arriva alla conclusione che il metodo da preferire
perchè fornisce risultati esatti, è quello basato sulla determinazione dell'azoto, secondo
Kjeldahl.
De Cecco (4) esegue uno studio di controllo sui vari metodi di determinazione degli alcaloidi
nelle solanacee con particolare riguardoa quello riportato dalla nostra Farmacopea per l'estratto
di giusquiamo e di belladonna ed agli altri riportati dalle farmacopee inglese, americana,
tedesca e francese per gli estratti e per le droghe direttamente, e, dopo avere ammesso che i
metodi prescritti per la determinazione negli estratti possono venire utilizzati per le droghe solo
dopo opportune modifiche, conclude col dare la preferenza per l'esattezza dei risultati ai metodi
riportati dalle Farmacopee americana ed inglese.
Peyer e Gstirner (5) seguono per la determinazione degli alcaloidi nelle solanacee il classico
metodo di Fromme, basato sull'esaurimento della droga con etere in presenza di ammoniaca,
sull'estrazione mediante acido cloridrico dell'alcaloide che viene di nuovo messo in libertà con
ammoniaca, estratto con cloroformio e titolato con acido cloridrico decinormale in presenza di
rosso di metile. Di tale metodo gli autori propongono una semplificazione che lo rende di più
facile esecuzione.
Th. Boehm (6) consiglia un metodo di determinazione che pur differendo nella tecnica si basa
sullo stesso principio.
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Rom (7) per la determinazione dell'iosciamina nell'Hyoscyamus muticus coltivato in Ungheria
preferisce lo stesso metodo Keller-Fromme.
Pouschaud (8) riafferma l'opportunità di preferire il metodo volumetrico nel caso di droghe
contenenti un solo alcaloide o più alcaloidi isomeri o a peso molecolare uguale, come nel caso
delle Solanacee.
Caines ed Evers (9) che hanno fatto uno studio comparativo sui metodi di dosaggio degli
alcaloidi della belladonna, dimostrano come sia da preferirsi il metodo della Farmacopea
inglese.
Marangoni, in un recente studio sui contenuto in principi attivi dell'atropa belladonna (10),
analizza e discute i vari metodi di determinazione degli alcaloidi e conclude col dare la
preferenza al metodo della Farmacopea inglese.
Carbonaro, che in un suo recente pregevole lavoro (11) riferisce i risultati di uno studio condotto
sulla belladonna della Calabria, per determinare gli alcaloidi in detta droga segue due metodi:
quello riportato da Ogier (12) nel suo "Trattato di Chimica Tossicologica" e l'altro prescritto dalle
Farmacopee inglese ed americana, ottenendo con entrambi risultati concordanti.
Di guisa che, tenuto conto delle osservazioni fatte dai precedenti sperimentatori e dei risultati da
essi ottenuti, ho voluto preferire anch'io per la determinazione volumetrica della quantità totale
di alcaloidi il metodo prescritto per le solanacee (belladonna, giusquamo, ecc.) dalle
Farmacopee inglese ed americana. Successivamente nell'intento di poter isolare gli alcaloidi,
separarli e possibilmente caratterizzarli ho lavorato su notevoli quantità di materiale seguendo
per l'estrazione il metodo consigliato da Ogier (12).
I dosaggi sono stati fatti sulle varie parti della droga raccolta all'epoca della fioritura. Le foglie
private del picciuolo, venivano subito pesate e poi disposte su graticci all'ombra ed in ambienti
ben aerati per l'essiccazione spontanea all'aria libera, rimovendole di tanto in tanto.
Analogo procedimento di essiccazione è stato seguito per i rami e per le radici. Con
l'essiccamento si è avuto nelle foglie una perdita di 4/5, nei rami e nelle radici una perdita di 2/3
del loro peso allo stato verde.
Per la determinazione nei semi mi son servito di materiale fatto maturare sulla pianta stessa e
raccolto quando già era ben disseccato; l'ho sottoposto ai vari trattamenti dopo averlo ben
triturato per rompere i grani e per favorire l'attacco da parte dei solventi.
Descrizione della tecnica eseguita
1. metodo (Farmacopea inglese) - 10 gr. di foglie finemente polverizzate vengono introdotti in
un separatore in fondo al quale viene adattato un lieve strato di cotone compresso. Si
aggiungono 50 cc. di una miscela etereo-cloroformica, (un volume di cloroformio e tre di etere)
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e dopo avere agitato accuratamente si lascia in riposo per 10 minuti, quindi si versano 2 cc. di
ammoniaca diluiti con 3 cc. di acqua, si agita frequentemente per un'ora e si lascia riposare; si
copre l'apertura superiore con un pò di cotone e si fa percolare lentamente in un altro
separatore. Quando il liquido è tutto separato si esaurisce la polvere con 50 cc. ancora di
miscela etereocloroformica continuando in seguito ad aggiungere in piccole porzioni fino a
quando, lasciando evaporare qualche cc. del solvente e riprendendo il residuo con due gocce di
acido solforico diluito, non si forma alcun intorbidamento per trattamento con il reattivo di
Mayer. Indi nel liquido filtrato si versano 10 cc. di acido solforico al 10 %, si agita bene la
mescolanza e si lascia separare lo strato acquoso da quello etereocloroformico. Infine si
raccoglie il liquido acido in un terzo separatore, ripetendo l'operazione varie volte, fino a quando
alcune gocce del liquido, saggiato con il reattivo di Mayer, non indicano presenza di alcaloidi.
Alcalinizzando quindi con ammoniaca la soluzione acquosa acida, si estraggono gli alcaloidi
con cloroformio, usandone 10 cc. per volta; l'ammoniaca sposta così gli alcaloidi che passano
nel cloroformio, il quale viene raccolto in capsula. Il cloroformio si lascia evaporare
spontaneamente a temperatura ordinaria, evitando il riscaldamento, che, data l'estrema
sensibilità verso il calore degli alcaloidi del gruppo dell'atropina importerebbe sicuramente delle
perdite. Il residuo dell'evaporazione del cloroformio si scioglie in 3 cc. di alcool assoluto, che a
sua volta si fa evaporare fino a secchezza, in modo da fare eliminare con l'evaporazione le
ultime tracce di cloroformio e di ammoniaca trasportate dai solventi e quindi si procede alla
titolazione. A tal fine il residuo si scioglie in 20 cc. di H2S04 N/10, il quale, essendo in eccesso,
salifica gli alcaloidi presenti, e successivamente si titola con NaOH N/10, adoperando come
indicatore il rosso di metile. Moltiplicando per 0,02893 quantità in gr. di alcaloidi corrispondente
ad 1 cc. di acido N/10, il numero di cc. di acido che sono occorsi per salificare gli alcaloidi
(calcolato per differenza tra la quantità complessiva di acido adoperato: 20 cc. e il numero di cc.
di idrato sodico consumati nella titolazione), si ottiene la quantità di alcaloidi contenuta nei 10
gr. di droga e moltiplicando ancora per 10 si ottiene la quantità percentuale.
2. metodo (rif. da Ogier) - Gr. 1200 di foglie disseccate e grossolanamente polverizzate
vengono esaurite a freddo in percolatore con alcool a 85° adoperando 25 cc. di alcool per ogni
50 gr. di droga. Si separa il solvente dopo 24 ore e si aggiunge uguale quantità di alcool,
praticando dopo 12 ore nuova separazione e ripetendo in seguito lo stesso trattamento a 12 ore
di intervallo l'uno dall'altro, fino ad esaurimento completo della droga accertato con le reazioni
negative date dai reattivi di Meyer e Bouchardat e con la reazione pupillare sull'occhio di gatto.
Le ultime porzioni di liquido alcoolico aderente alla droga, vengono asportate per macerazione
di questa con acqua, separando poi il liquido acquoso che viene mescolato ai primitivi liquidi
alcoolici.
La soluzione idroalcoolica, carica di clorofilla e di tutte le sostanze estratte dai solventi
adoperati, viene acidificata con acido tartarico ed abbandonata in ampie capsule per facilitare
l'evaporazione spontanea dell'alcool, avendo cura di evitare anche il più lieve riscaldamento e
ciò per impedire la eventuale decomposizione degli alcaloidi atropinici e le conseguenti perdite.
Dopo avere accertato con bicromato di potassio ed acido solforico l'assenza dell'alcool nel
liquido acquoso rimasto, si agita lungamente quest'ultimo ed a più riprese con etere di petrolio e
dopo ancora con etere solforico per eliminare la maggior parte delle materie coloranti in esso
disciolte.
Separato completamente l'etere si alcalinizza con ammoniaca e si agita con cloroformio in più
riprese, rinnovando quest'ultimo sino a quando il liquido da estrarre non dà più reazione positiva
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con i reattivi di Mayer e Bouchardat. Le varie porzioni di cloroformio riunite si fanno evaporare
spontaneamente, evitando per le ragioni già dette il riscaldamento, e si ottiene il residuo sul
quale si fanno le determinazioni quantitative e le reazioni di controllo.
Seguendo quest'ultimo metodo di estrazione, che ho modificato soltanto nella parte che
riguarda l'eliminazione dei solventi adoperati, allo scopo di evitare le eventuali perdite dovute al
riscaldamento, ho ottenuto un residuo piuttosto abbondante, data la notevole quantità del
materiale di partenza, però, per quanto abbia cercato di depurarlo, non son riuscito ad ottenerlo
perfettamente incolore e cristallizzato per le grandi difficoltà che si incontrano per eliminare le
ultime tracce di impurezze che i solventi trascinano con sè. È noto poi, e lo stesso Ogier (13) lo
ricorda, che "l'iosciamina C17H23N03 cristallizza assai difficilmente". Di modo che non ho
potuto praticare sul residuo la determinazione ponderale della quantità totale di alcaloidi e la
separazione per frazionamento di ciascunodli essi, ma ho dovuto limitarmi alle reazioni
qualitative ed alla determinazione volumetrica.
A tal fine ho sciolto il residuo in eccesso di acido solforico decinormale. In una parte aliquota ho
determinato l'eccesso di acido incombinato con soluzione di idrato sodico di ugual titolo
(indicatore rosso metile), tenendo conto, come nel precedente metodo, che ad un cc. di acido
decinormale consumato corrisponde gr. 0,02893 di alcaloidi; in un'altra porzione ho eseguito
deerminazioni di controllo mediante una soluzione di Mayer, precedentemente titolata con una
soluzione campione di solfato di atropina; nel rimanente della soluzione solforica del residuo ho
eseguito le reazioni qualitative generali e speciali.
Gli stessi procedimenti che ho qui descritto e che ho utilizzato per le determinazioni degli
alcaloidi nelle foglie del Giusquiamo raccolto nel territorio di Alì, ho seguito nelle identiche
condizioni per un nuovo quantitativo di foglie della droga raccolta nel territorio di Castanea, e
sui rami, sulle radici, sui semi dello stesso Giusquiamo di Alì. Per ciascuna parte della pianta
riferisco i risultati medi delle varie determinazioni eseguite con i due metodi.
Reazioni qualitative
Il residuo ottenuto dall'evaporazione del cloroformio delle varie estrazioni, si presenta appena
colorato in giallognolo e manifesta un leggerissimo odore aromatico caratteristico, che si
percepisce meglio nella soluzione solforica e che diventa più marcato, quasi viroso, allorquando
si alcalinizza con ammoniaca. Ripreso con acido solforico diluito ha manifestato per trattamento
su vetrini di orologio con i reattivi generali degli alcaloidi il seguente comportamento:
1) xol reattivo di Mayer (soluzione di iodo-mercurato di potassio) precipitato bianco lattescente;
2) col reattivo di Bouchardat (soluzione acquosa di iodio in ioduro di potassio) precipitato rosso
scuro;
3) col reattivo di Dragendorff (soluzione di ioduro di bismuto o di potassio) precipitato aranciato;
4) col reattivo di Sceibler (acido fosfotungstico) precipitato bianco;
5) con acido tannico precipitato bianco;
6) con acido picrico precipitato giallognolo;
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7) con cloruro d'oro precipitato giallastro;
8) reazione del Vitali (caratteristica per l'atropina e la giusquiamina): una piccolissima quantità
del residuo dell'estrazione cloroformica, bagnata con poche gocce di acido nitrico fumante ed
evaporata a secco su b. m., appare colorata in giallastro, ed, inumidita con una o due gocce di
soluzione alcoolica di idrato potassico, assume intensa colorazione violetta;
9) reazione della giusquiamina (14): una piccola quantità del residuo di estrazione cloroformica,
trattata con 5 gocce di furfurolo ed acido solforico e riscaldata con precauzione, dà luogo ad
una stabile ed intensa colorazione violetta.
Considerazioni generali
Dalle osservazioni fatte e dalle ricerche eseguite si possono rilevare varie considerazioni.
Mediante l'esame botanico si possono facilmente mettere in evidenza i caratteri differenziali che
servono a distinguere l'Hyoscyamus albus di Sicilia, da me studiato, dall'Hyoscyamus niger
officinale. Nei primo infatti le foglie hanno il picciuolo molto sviluppato, al punto che nelle
inferiori è addirittura più lungo della foglia, nell'altro invece le foglie basilari sono brevemente
picciuolate e quelle del caule sessili, semiamplessicaule, alterne e con grandi denti quasi
regolari.
Differenze ancora si notano nella ramificazione del fusto e nei caratteri della corolla, che non
presenta nella parte inferiore la colorazione violacea intensa dell'Hyoscyamus niger.
Per la identificazione degli alcaloidi mi son servito delle note reazioni qualitative comunemente
utilizzate in queste ricerche, ottenendo sempre dei risultati nettamente positivi per gli alcaloidi
del gruppo dell'atropina. Non è stata possibile la separazione dell'atropina dalla iosciamina
poichè queste due sostanze isomere si trasformano con grande facilità l'una nell'altra e durante
il procedimento di estrazione dalla droga è inevitabile che la quasi totalità della iosciamina, che
dell'alcaloide C17H23N03 rappresenta la forma labile, si trasformi nell'isomero atropina che
costituisce la forma stabile. Le reazioni qualitative di ricerca d'altra parte, compresa quella del
Vitali che è la più sensibile, sono comuni alle due sostanze; tuttavia si può ammettere che il
Giusquiamo bianco contenga iosciamina ed atropina con forte prevalenza della prima, che però
durante i processi di estrazione gradatamente si trasforma nel suo isomero atropina.
Per il dosaggio degli alcaloidi ho utilizzato i due metodi ritenuti migliori, quello della Farmacopea
inglese ed americana e quello riportato da Ogier ottenendo sempre risultati concordanti, e la
quantità di alcaloidi totali è tale da far ritenere che l'Hyoscyamus albus possa venire senza
pregiudizio sostituito all'Hyoscyamus niger in tutti gli usi farmaceutici.
Relativamente al contenuto in alcaloide (l-iosciamina) la Farmacopea italiana Va edizione non
prescrive in quali proporzioni esso debba trovarsi nel Giusquiamo e di conseguenza non
suggerisce alcun metodo per il dosaggio.
Nei trattati si notano notevoli discordanze nelle indicazioni riportate in proposito ed i limiti
assegnati al contenuto di detto principio attivo sono spesso assai larghi.
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Tschirch (15) nel suo classico trattato di Farmacognosia, che è ancora oggi ritenuto il più
completo, scrive che il contenuto in l-iosciamina delle foglie di Hyoscyamus niger oscilla fra
0,0169 e 0,290 %; le foglie del primo anno contengono in media 0,064-0,070 % e quelle del
secondo anno 0,059-0,069 %, il picciuolo contiene 0,363-0,305 %, i fusti 0,276-0,286 %.
Riporta Tschirch che Schmidt ha trovato nelle foglie prive del peduncolo fino a 0,276 % di
alcaloide, Carr e Reynolds 0,06-0,021 %, Patch 0,063-0,102 % ed aggiunge che il contenuto
medio della droga di uso farmaceutico è di 0,03-0,06 %. I semi contengono 0,057-0,160 % e le
radici rappresentano la parte più ricca della pianta in alcaloidi.
In Medicamenta (16) è riportato che secondo Dausse le foglio di un anno del Hyoscyamus niger
contengono 0,004-0,07 % di alcaloidi, le foglie di due anni 0,059-0,069 % , le radici 0,155-0,179
%, i semi 0,059 %.
I risultati delle analisi da me eseguite dimostrano che il contenuto in principi attivi
dell'Hyoscyamus albus che cresce in Sicilia, differisce pochissimo dalle percentuali ammesse
per le diverse parti della pianta dai vari autori e rientra nei limiti segnati per la droga officinale.
La parte più ricca in alcaloide è rappresentata dalle radici, cui seguono in ordine decrescente le
foglie, i semi ed i rami. Si deve però ammettere che questi dati non possono ritenersi come
assolati in quanto che è naturale che essi vengano influenzati dalla natura del terreno, dal
clima, dalla coltivazione, dall'età della pianta e dall'epoca della raccolta.
Conclusioni
Riepilogando i risultati delle ricerche si può concludere:
1) L'Hyoscyamus albus che cresce in Sicilia si differisce dall'Hyoscyamus niger officinale per
alcuni caratteri esteriori facilmente apprezzabili.
2) Il contenuto in alcaloidi delle foglie e delle altre parti della pianta è molto vicino a quello
dell'Hyoscyamus niger.
Di conseguenza l'Hyoscyamus albus può vantaggiosamente sostituire l'Hyoscyamus niger
officinale nella pratica farmaceutica.
Note
1) "L'Officina" II, 197, (1929).
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Contributo allo studio delle piante medicinali. Il Giusquiamo di Sicilia
2) Pharrnazeutische Monatshefte 15, 40-42, 1934.
3) "Journ. Ph. et Ch." - 8. XIX 536 e segg. (1934).
4) "L'Officina" - III pa.g. 335 (1930).
5) "Pharmaz. Ztg." - 76: 1440-42 (1932).
6) "Apoth. Ztg." - (1931).
7) Loc. Cit.
8) Rif. Da Masotti - "La Farmacia Galenica" VoI. I - (1927).
9) The Pharmac. -- "Journal Pharmacist." - (1926).
10) "La Scienza del Farmaco" - Serie II anno I, 193 - (1933).
11) "Atti della R. Accad. Peloritana " - XXXV 187 - (1933).
12) OGIER-KOHN ABREST -- Chimie toxicologiqee - t. II, p. 302 e segg. G. Doin Ed., Paris,
(1924).
13) OGIER - loc. cit., - pag. 304.
14) VALENTIN "Apoth. Ztg." 41, 752.
15) TSCHIRCH - Handbuch der Pharmakognosie - Leipzig, (1923).
16) MEDICAMENTA IV Ed. Milano, pag. 1982 (1933).
Dagli Istituti di Farmacologia e di Chimica Farmaceutica della R. Università, Messina.
fonte: Atti della Reale Accademia Peloritana di Messina, vol. 36, pp. 183-203, 1934
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