Parrocchia di S. Jacopino – 14 gennaio 2005 Tomas Michel S. J. Il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani. Perché è nato l'Islam dopo ebraismo e cristianesimo È veramente possibile avere il dialogo con i Musulmani? Un vero dialogo è possibile? Io vorrei dire di sì, ma vorrei spiegare il cammino della mia vita. Sono sacerdote da 36 anni e il mio cammino è stato un cammino di dialogo e soprattutto con i musulmani: questo cammino è stato per me un'esperienza e una vera Grazia. Sono stato ordinato nel 1967 nella mia città, Saint Louis, negli U.S.A., e poco dopo il mio Vescovo mi ha inviato in Indonesia, perché c'era bisogno di qualcuno che insegnasse inglese: lì, per la prima volta ho incontrato dei musulmani. Siccome io volevo rimanere là, il mio Ve scovo mi chiese di entrare in un ordine religioso, per potermi dedicare all'apostolato. Così sono entrato nella Compagnia di Gesù. Allora insegnavo inglese a studenti cristiani, cattolici e protestanti, buddisti e molti musulmani; qualcuno di questi ultimi mi ha chiesto: perché non studi l'Islam, così potrai fare da ponte e parlare dell'Islam ai cristiani e del cristianesimo ai musulmani. Così, da trenta anni, per metà del tempo insegno studi islamici nelle scuole cristiane e per l'altra metà teologia cristiana nelle scuole dei musulmani, in Indonesia e nel Medio Oriente. Per trovare contatti con i musulmani mi sono dato da fare entrando nelle moschee e partecipando a ogni dibattito o conferenza in cui parlassero dei musulmani. Questo per nove-dieci mesi. Loro sono sempre stati gentili, mi hanno accolto, ma non mi hanno mai invitato a tornare. Ero un po' deluso, perché non sembravano interessati. Forse, pensavo, non mi accettano perché sono americano, o forse perché sono un prete cattolico, o magari perché ho fatto studi islamici e pensano che sia polemico nei loro confronti, oppure perché i musulmani non sono interessati al dialogo. Poi è iniziato il Ramadan. Durante il Ramadan, oltre al digiuno, i musulmani devono leggere il Corano, che loro credono sia stato rivelato proprio durante quel mese. Così dappertutto ci sono conferenze sul Corano. E mi hanno invitato per dare un'interpretazione cristiana del Corano. Dopo mi hanno ringraziato, e poi mi hanno invitato a incontrare un gruppo di studenti, e poi a visitare una scuola coranica, e così via: quando sono partito dall'Indonesia, potevo passare tutto il mio tempo con i musulmani. Perché ho raccontato questo? Durante quel primo anno, pensavo che non sarebbe successo niente ed ero deluso. Invece succedeva molto: mi stavano osservando e quando hanno deciso che potevano fidarsi di me, da quel momento era sorprendente vedere quanto desideravano il dialogo e la vita insieme. Dico questo perché secondo me la ragione principale per cui il dialogo fallisce è che non abbiamo pazienza. Il problema fondamentale è una mancanza di fiducia: noi non abbiamo fiducia in loro e loro non hanno fiducia in noi. È difficile costruire la fiducia; ma quando c'è, possiamo fare tanto dialogo. Prima di continuare, devo dire che cosa significa dialogo per la Chiesa1, perché spesso ne abbiamo un'idea molto ristretta. Prima di tutto si parla di una condivisione della vita (condividere chi siamo); questo tipo di dialogo non è per gli studiosi, ma per tutti. Il Papa 2 ha detto che il dialogo è un dovere per ogni cristiano. Dobbiamo tutti vivere la nostra fede cristiana con un'apertura agli altri, così come sono. Un esempio è quello dei miei confratelli gesuiti in Algeria, che sono là senza istituzioni: non hanno scuole, non hanno ospedali; semplicemente, vivono: uno insegna ai sordi, uno ha una piccola biblioteca nel quartiere. Vivono da cristiani manifestando il loro amore per i musulmani. Questo è il dialogo della vita. Un altro livello di dialogo è quello del fare insieme. Per esempio, in febbraio, in Thailandia, insieme con un'organizzazione musulmana, faremo un corso di tre settimane su come costruire la pace, come 1 trasformare i conflitti. Vorremmo avere un gruppo in ogni Paese asiatico, che possa intervenire quando ci sono delle tensioni. Un altro tipo di dialogo, un terzo livello, è quello che si ha quando studiamo insieme. Per esempio, noi cristiani abbiamo il concetto di democrazia; i musulmani forse hanno le loro idee: questa è una cosa da discutere insieme. Un'altra, è che cosa possiamo fa re per combattere l'AIDS in Africa, o per l'ecologia, o riguardo al ruolo della donna nella società. Ci sono tante idee che possiamo condividere e studiare insieme. Il quarto livello di dialogo di cui parla la Chiesa è quello costituito dalla condivisione dell'esperienza spirituale, l'esperienza di Dio: chi è Dio per noi? Come agisce nella nostra vita? Che cosa significa per noi fare la volontà di Dio, che cosa significa per loro? In che modo Dio ha agito nella vita dei cristiani e in quella dei musulmani? Secondo me, il mondo dei cristiani e quello dei musulmani devono essere in dialogo, noi abbiamo tanto da dire a loro e loro hanno tanto da dire a noi. La fede cristiana e l'Islam sono come due mari che si incontrano . Questa infatti è una frase del Corano: dialogo è quel punto dove i due mari si incontrano 3 . Nel 1981 sono stato chiamato in Vaticano per lavorare nel Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ufficio per l'Islam, dove sono rimasto fino al 1994. Nel 1986, il Rettore dell'Università di Ankara ha chiesto un professore di teologia cristiana per i suoi studenti musulmani nella Facoltà di teologia musulmana. Era una cosa un po' nuova. Poiché non si trovava nessuno, sono andato io. 500 studenti, tutti musulmani. L'anno dopo mi hanno invitato di nuovo, a Smirne, e l'anno dopo a Iconio, poi a Cesarea... In Turchia era molto diverso che in Indonesia, dove la sera tornavo in seminario. In Turchia ero in genere l'unico cristiano delle città dove insegnavo. È stata un'esperienza molto ricca. I veri musulmani sono persone che incontrano Dio cinque volte al giorno ; bello: io non lo faccio. Se incontri Dio cinque volte al giorno, sette giorni alla settimana, anno dopo anno, diventi una persona che conosce Dio, hai un'esperienza veramente spirituale. Io non voglio parlare molto, stasera, dei terroristi. Noi pensiamo molto ai terroristi, perché siamo preoccupati. Certo: con i terroristi non si può avere dialogo. Dobbiamo catturarli e metterli in carcere. Ma il 99% dei musulmani non sono terroristi, non hanno nessuna esperienza della violenza, dalla nascita fino alla morte. Fanno una vita tranquilla, come la nostra. Con questi bravi musulmani, possiamo avere dialogo e io credo che dobbiamo averlo. Potrei raccontare migliaia di casi nei quali ho avuto esperienza della volontà di dialogo di tantissimi musulmani, di ogni età e condizione sociale. Perché è nato l'Islam dopo giudaismo e cristianesimo. È una domanda importante. Ci sono due scuole di pensiero principali, secondo me. Una si può chiamare la 'corrente inglese' e l'altra la 'corrente tedesca'. Nella prima ci sono studiosi come Patricia Kron, Michel Cook: dicono che non disponiamo di fonti dirette affidabili, perché nessuna di quelle che abbiamo è contemporanea a Maometto e sono tutte 'retrovisioni' posteriori. Il problema di questo approccio è che non possiamo dire niente, né in positivo né in negativo. Dunque non si può parlare. Secondo me, è più proficua la corrente tedesca. Hans Küng ha appena scritto un libro sull'Islam, di 800 pagine, che ancora no n è stato tradotto (lo sarà quest'anno). Lui non è uno specialista, ma ripete quello che dicono gli studiosi tedeschi. Per loro, molto importante è la tradizione ebraico-cristiana; ricordiamo che dal I secolo circolava un vangelo apocrifo, il Vangelo secondo gli Ebrei, di una setta, o movimento, ebreo-cristiano, che aveva accettato Gesù come profeta. Sostenevano che anche i cristiani devono seguire la legge ebraica – ricordiamo dagli Atti che anche S. Paolo spesso 'litigava' con i giudeizzanti. Per loro, Gesù era un profeta e un taumaturgo, non è morto sulla croce, ma Dio l'ha portato in cielo, per cui è vivo e tornerà prima della fine dei tempi, eccetera. Gli studiosi tedeschi pensano che questo movimento, un po' tra ebraismo e cristianità, sia esistito per molti secoli nel Medio Oriente. La Chiesa in genere non l'ha accettato bene; quando ne hanno avuto la possibilità ne hanno bruciati i libri, per cui non sappiamo molto di loro, ma qualcosa sì. Ebbene, i tedeschi pensano che Maometto fosse un 2 esponente arabo di questo movimento e in effetti, quando vediamo la presentazione di Gesù fatta nel Corano, troviamo molti punti di somiglianza con le tesi degli ebrei cristiani. Infatti, Gesù, nel Corano, è visto come un profeta, il profeta più grande dopo Maometto: faceva i miracoli di guarigione, insegnava, non è morto sulla croce, ma Dio l'ha portato in cielo e aspettano che ritorni; si deve seguire la legge ebraica (abluzioni, dieta ecc.). Ma chi era Maometto? È nato in Arabia, nel 570, alla Mecca, città importante ancora oggi. Ha avuto una vita piuttosto difficile. Suo padre, 'Abdullah, è morto prima che nascesse, la madre, Amina, morta quando aveva circa due anni; ha vissuto con il nonno, che è morto quando lui aveva circa sette anni; poi ha vissuto con lo zio, Abu Talib, che ha sempre educato e protetto Maometto, ma non è diventato mai musulmano. Quando Maometto aveva circa 12 anni ha cominciato ha lavorare per le carovane che andavano al nord. Mecca è sulla via delle carovane che andavano a nord verso Damasco, o a sud verso quello che oggi è lo Yemen. A quel tempo, entrambe queste regioni erano cristiane. Maometto non aveva una educazione, era un ummi, un analfabeta. Ha lavorato per sette anni nelle carovane. A 19 anni ha assunto un nuovo impegno, come responsabile delle carovane di una ricca vedova, Khadija. Dopo tre anni si sono sposati e la vita di Maometto è molto migliorata. È divenuto un rispettato uomo d'affari. Ma a 40 anni ha avuto una crisi spirituale: non poteva più credere nella religione pagana che aveva il suo centro nella Ka'ba, alla Mecca (la Ka'ba è una struttura cubica di 20 metri di lato, che i pagani utilizzavano come un magazzino per tutti gli strumenti dei loro culti: statue, strumenti musicali e per i sacrifici ecc.). Maometto e altri arabi pensavano che questi culti fossero indegni, perché gli dei e le dee ospitati nella Ka'ba non erano migliori degli uomini: tradivano, uccidevano, si rubavano le mogli… e pensavano che Dio non potesse essere così. Ma quali alternative avevano? C'erano i 'popoli del libro', cioè gli ebrei e i cristiani. Gli arabi li hanno sempre rispettati, perché loro avevano un libro, un messaggio proveniente da Dio; credevano in un unico Dio, buono e che aveva una volontà morale per gli uomini. Pochi arabi, tuttavia, sono diventati ebrei o cristiani, perché non potevano leggere i libri sacri, scritti in lingue che non conoscevano (siriaco ed etiope quelli dei cristiani o ebraico). Perciò solo pochi si sono avvicinati a queste religioni (qualcuno sì, però: vi è ancora oggi una piccolissima tribù araba, cristiana dai tempi precedenti a Maometto, che conta circa 70 persone). C'erano poi anche gli hanîf, monoteisti arabi, che rifiutavano il politeismo. Privi di religione formale e di luoghi di culto, si riunivano nelle case private, adoravano l'unico Dio e aspettavano un profeta arabo che portasse anche a loro un libro rivelato, in arabo. Maometto cominciò a frequentare gli hanîf : lasciò gli affari e si ritirò a meditare in una grotta, vicino alla Mecca. Lì, per la prima volta, sentì una frase. Ebbe paura, perché non capiva da dove venisse. Inizialmente, non ne parlò a nessuno; poi lo raccontò alla moglie Khadija. Neanche lei sapeva interpretare il fatto, ma aveva uno zio, che sapeva qualcosa del cristianesimo. Allora andarono da lu i e lui disse che sì, quello che aveva parlato doveva essere lo stesso Dio dei cristiani e degli ebrei. Dopo quella prima volta, Maometto continuò a sentire altre frasi e circa sei mesi più tardi cominciò a predicare al popolo della Mecca. I punti centrali di questa sua predicazione sono due: 1. C'è solo un Dio: tutti gli dei e le dee della Ka'ba non esistono. 2. Questo Dio è buono, ha un alto valore etico e una morale per gli uomini, e vuole che gli uomini la seguano. Gli arabi non volevano accettare questo messaggio; la loro vita, a contatto con il deserto era piuttosto difficile: breve, priva di piaceri. Maometto diceva di adorare un solo Dio e di comportarsi secondo la sua morale. Ma loro si chiedevano: perché? Un giorno moriremo e sarà uguale se siamo vissuti da buoni o da cattivi… A questa obiezione, Maometto rispose che non era vero: ci sarà un giorno del giudizio e in quel giorno, Dio chiederà conto a ciascuno di come ha vissuto e questo deciderà il suo destino eterno, all'inferno o in Cielo. Ecco perché nei primi passi del Corano è centrale il tema del giudizio: perché dà la base morale alla vita umana. 3 Maometto continuò a predicare per dodici anni; alcuni cominciarono a seguirlo, soprattutto le persone appartenenti i settori deboli della società: schiavi, donne e stranieri, quelli cioè che vivevano al di fuori delle tribù ed erano quindi privi di ogni protezione. Ma la maggior parte della gente non si convertì. Dopo dodici anni, Maometto ebbe la possibilità di andare a Medina, circa 240 kilometri a no rd della Mecca, dove cercavano un giudice indipendente, non legato a nessuna delle tribù della zona. Nel primo anno che trascorse a Medina, Maometto ricevette un'altra rivelazione: «la guerra è terribile, ma ancora peggio è accettare l'ingiustizia senza reagire». Dunque, da questo momento i musulmani non sono più un movimento pacifista: lo sono stati alla Mecca, dove non hanno fatto mai violenza a nessuno, non lo sono più a Medina. Inizia allora con i pagani della Mecca una guerra che durerà otto anni, al termine della quale Maometto torna trionfatore alla Mecca, pulisce la Ka'ba da tutti gli idoli pagani e la ri-dedica al culto di Dio. La ri-dedica perché, secondo il suo insegnamento, la Ka'ba era stata costruita da Abramo e da suo figlio Ismaele, e rappresenta il primo edificio del mondo dedicato al culto di Dio. Questo è il motivo per cui anche adesso i musulmani quando pregano si rivolgono alla Ka'ba: essa è un simbolo potente, di unità nello spazio, geografica: perché tutti i musulmani del mondo pregano diretti verso di lei, dovunque si trovino; ma anche di un'unità di tempo, storica: perché, così facendo, si sentono uniti con tutti coloro che hanno adorato Dio dal tempo di Abramo. ….. alcune domande Ci sono molti cristiani e come vivono in Turchia (ora e nel passato)? Le sette chiese dell'Apocalisse e tutte le città di cui parla S. Paolo nelle sue epistole sono in Turchia; nel VII secolo, i musulmani hanno conquistato una metà della Turchia, la metà orientale (Anatolia). I cristiani che abitavano lì si sono dunque trovati a vivere in un impero musulmano, ma non era male: le forme di cristianesimo non ortodosse (cristiani siriaci, armeni, caldei) potevano sopravvivere, perché dal punto di vista dei turchi erano tutti cristiani; quando invece erano sotto Bisanzio c'era solo una chiesa dominante e gli altri erano tutti eretici. I musulmani, d'altra parte, all'inizio non erano interessati tanto alle conversioni: volevano potere, ricchezze. Anzi, nei primi tempi era vietato convertire i non arabi (in seguito le cose sono cambiate). Fino al '900 i cristiani in Turchia erano circa il 25-30%; poi ci sono state la grande guerra, le espulsioni dei Turchi dai Balcani, il grande scambio delle popolazioni nel 1926 – quando quasi tutti i cristiani si trasferirono in Grecia e i musulmani in Turchia – e adesso i cristiani, in Turchia, sono forse l'1% della popolazione. Attualmente ci sono 3 diocesi (Istambul, Smirne, Antiochia), ma si concentrano soprattutto a Istambul e Smirne. Se la Turchia entra nell'Unione europea, probabilmente, altri cristiani verranno ad abitarvi, ed è con questa speranza che i vescovi mantengono alcune chiese. Se Maometto era analfabeta, chi ha scritto il Corano? Non sappiamo di sicuro se Maometto era analfabeta. In arabo la parola è ummi, che può avere due significati: «analfabeta» è quello più comune e se Maometto lo era in questo senso, non poteva leggere né scrivere in nessuna lingua; non sarebbe strano, perché a quel tempo in Arabia non c'erano scuole, né carta e quasi tutti erano analfabeti assoluti. Ma ummi può anche voler dire «che sa leggere e scrivere solo in arabo». In ogni caso, Maometto non ha mai preteso di aver scritto il Corano. Lui ha sempre detto di aver ricevuto le rivelazioni oralmente e di averle memorizzate (nelle culture orali la memoria è sempre più viva) e poi trasmesse ai discepoli. Il Corano non è stato scritto durante la vita di Maometto: esisteva solo nella memoria e nelle menti dei musulmani. Quando Maometto era anziano, alcuni, quelli che sapevano scrivere, hanno cominciato a scriverne i versetti che conoscevano e sono nate piccole raccolte: chi ne aveva 34, chi 85, chi solo 8, un altro 200. Ricordiamo che non c'era la carta: c'era il papiro egiziano, ma costava molto e potevano permetterselo solo i ricchi; c'erano foglie di banano e 4 c'era la pelle di cammello, di asino; c'erano le pietre… Maometto è morto nel 632; più o meno 15 anni dopo, il terzo califfo(I), Uthman, ha riunito tutti quelli che avevano raccolto i versetti e quelli che avevano memorizzato una parte o tutto il Corano. Dobbiamo notare che – all'opposto di quanto facciamo noi, che utilizziamo il testo scritto per controllare i ricordi orali – i primi musulmani controllarono i versetti scritti con quanto era stato memorizzato. Si arrivò così a un testo definitivo e tutti gli altri frammenti esistenti furono distrutti. Una volta, a una conferenza, un uomo ha osservato: «ho letto che la Bibbia cristiana ha 1471 variazioni nei diversi codici; come potete avere fiducia in un testo che ha così tante varianti?». Io risposi che noi siamo contenti che ci siano tante varianti e che i nostri esperti possano studiare i diversi codici e dare un'opinione su quale sia il testo corretto originale; ma i musulmani devono affidarsi alla memoria umana e io credo che anche quando questa è buona, può fallire in qualche parola e loro non hanno più nessun testo per controllare e verificare. C'è una relazione fra il livello culturale di un popolo e la presa che fa su di esso il Corano? Sì, penso che si possa dire di sì. L'Islam è forse la religione più vicina a un testo: il Corano è veramente centrale per i musulmani. In un certo senso, il Corano svolge per loro il ruolo che Gesù Cristo ha nella fede cristiana. Per noi, Gesù è la rivelazione di Dio: è l'uomo in cui incontriamo Dio. Per i musulmani, Dio non si auto -rivela: rivela la sua parola nel Corano, che è pertanto la rivelazione di Dio perfetta, finale, completa. Anche nei Paesi dove non si parla l'arabo, fin da bambini i musulmani memorizzano i versetti del Corano. Che significato ha memorizzare ciò che non si capisce? Significa che queste sono le parole di Dio; è un po' come per noi quando riceviamo la Comunione: noi riceviamo Cristo in noi, che si fa cibo, nutrimento; lo stesso accade per i musulmani: quando memorizzano le parole di Dio, queste entrano nel loro cervello, nella loro memoria e risiedono lì: c'è un tipo di presenza - immanenza della parola di Dio. Questo è importante per loro. Il Corano è solo in arabo? Sì. Cioè, un bambino lo impara a memoria e non sa che cosa vuol dire? Proprio così! Gli arabi sono circa il 18% dei musulmani del mondo. Il centro demografico dell'Islam è in Asia: più della metà dei musulmani vive in quattro Paesi: Indonesia (200 milioni), Pakistan (135 milioni), India (120 milioni) e Bangladesh (circa 110 milioni), nessuno dei quali è arabofono. C'è un aspetto missionario nell'Islam? All'inizio no, non c'era; in seguito alle grandi conquiste, qualcuno divenne musulmano, ma non vi furono molte conversioni di non arabi fino al XIII secolo. Poi, fra il 1400 e il 1600, si assiste a conversioni di massa in Africa e in Asia. Questo fu causato dai sufi, che erano gli unici con questa intenzione missionaria. E sono andati in altri Paesi per predicare l'Islam, o hanno accompagnato i mercanti. Mi scuso per questa domanda un po' polemica, ma che vuole esserlo. Vorrei ricordare tre fatti e chiederle un'opinione in merito. 1. Ho piacere che ci siano suoi confratelli impegnati nel dialogo in Algeria, ma non bisogna dimenticare che tra la fine degli anni '80 e il 2000 c'è stata in quel Paese una grossa spinta, non ostacolata dal governo, perché gli ordini religiosi cristiani presenti – cattolici, protestanti ecc. – se ne andassero. Sono stati sollecitati, invitati, aiutati e alla fine buttati fuori senza tanti complimenti. Credo che questo vada ricordato anche per rispetto a certi fatti che si sono verificati: e mi riferisco ai sette padri trappisti che avevano sviluppato un certo tipo di dialogo con le persone e sono stati uccisi dagli estremisti islamici (vedi il libro Al di là dell'odio e della pietà); 2. Non so se sono stato informato bene, ma mi sembrava che un momento di dialogo interessante tra l'Islam e la situazione cattolica, visto che il fatto si è svolto a Roma, potesse essere l'inaugurazione 5 della grande moschea, alla quale sono stati invitati tutti: i cardinali, i vescovi, i rappresentanti di tutte le comunità religiose presenti… e mi risulta che sia stato fatto un discorso in arabo. Sono stati distribuiti i fogli con tutte le traduzioni, ma mi consta che chi ha fatto il discorso abbia poi detto tutt'altro, sostenendo in sostanza: «adesso siamo qui, a Roma, da qui si comincia la nostra espansione in Europa». Forse, è stata persa un'occasione per poter vivere un momento di dialogo interessante. 3. I nostri missionari, che vivono in situazioni di minoranza, cristiana, cattolica, sono un po' preoccupati, per non dire un po' tanto, della presenza degli islamici e trovano grandi difficoltà a vivere il dialogo interreligioso con loro. 1. Io conoscevo quei padri trappisti; sono stati uccisi dai terroristi. Persone terribili. La loro uccisione è stata condannata da quasi ogni gruppo musulmano, in Algeria e fuori. C'è un principio per i musulmani, che è un principio legale: se tutti i musulmani sono d'accordo su qualcosa, questo ha il valore di legge. Ho visto che l'omicidio dei monaci ha trovato una condanna così unanime da formare un consenso di questo tipo. Dunque, entrambi gli aspetti sono veri: alcuni musulmani, coinvolti in una guerra civile brutale, hanno ucciso queste persone – santi, secondo me - ma è vero anche che la stragrande maggioranza dei musulmani ha condannato fermamente questa uccisione. 2. Ero presente all'inaugurazione della moschea di Roma. L'imam ha parlato bene. Ma più importante per me è che, se io fossi un musulmano, non sarei contento della moschea di Roma. È grande, prestigiosa, così ambiziosa che non possono mantenerla. Ci sono già erbacce dappertutto. Vedi il contrasto con i testimoni di Geova, a Roma; loro hanno costruito piccole sale di preghiera, vicino alla stazione Termini, in via Casilina, le zone dei poveri, e predicano nei quartieri. Oggi, ogni quartiere ha una sala di preghiera e i testimoni di Geova crescono rapidamente a Roma. Se i musulmani veramente mirassero a convertire l'Europa all'Islam, avrebbero costruito tante piccole moschee vicino alla stazione Termini o in altri posti, ma non è così. In tutta Roma, io credo che ci siano soltanto quattro o cinque posti dove si possono fare le preghiere del venerdì, e questo per 85000 musulmani. Questo vuol dire che i musulmani ricchi, i diplomatici, hanno voluto costruire un posto bello, di rappresentanza; ma per i poveri marocchini, che vivono vicino alla stazione Termini, è difficilissimo and are alla moschea con i mezzi pubblici. Ecco perché, se fossi musulmano, non sarei contento di questa moschea; ma non credo che l'intenzione sia quella di convertire l'Europa. 3. Sì, conosco molti missionari che non si trovano bene con i musulmani. Io credo che, in un certo senso, ci siano due tipi di missionari. Un tipo va in Missione per servire i cristiani e si identifica con i cristiani locali; spesso, per loro, i musulmani sono un problema: sono gli impiegati negli uffici statali da cui devono avere i permessi che non vogliono dare… Conosco però altri missionari, che hanno una preparazione sull'Islam, che conoscono personalmente i musulmani,… Credo che dobbiamo essere impressionati, perché sono persone di Dio. Secondo me è la cosa più naturale del mondo che cristiani e musulmani siano in dialogo tra loro. Questa non è una cosa che porta i cristiani 'fuori strada', perché io non ho detto niente, stasera, che il Papa non dica ogni volta che parla dei musulmani: lui incoraggia il dialogo con i musulmani; ha detto che il dialogo non è solo una questione di relazioni pubbliche, di dimostrare che siamo aperti; lo facciamo perché crediamo, è una parte della nostra fede. Se vogliamo veramente adorare Dio, che agisce con forza in questo mondo, dobbiamo riconoscere che Egli agisce dovunque, anche nella vita dei bravi musulmani. Una parte del nostro di rendere lode a Dio è riconoscere il suo lavoro nella vita dei bravi musulmani. Certo, non tutti i musulmani sono bravi, non tutti sono giusti con i cristiani. Nella mente di molti musulmani, i missionari stranieri sono connessi con i poteri coloniali; come in Algeria: ci sono andati con i francesi, che li ha nno protetti, e i musulmani del posto non hanno potuto dire niente, hanno dovuto accettarli; come ora accade con gli evangelici in Irak, che vanno dappertutto, protetti dall'esercito degli Stati Uniti, senza che i musulmani possano dire niente; allora, quando ne hanno la possibilità, li mandano via: è vero; ma non è un grande sorpresa. In Turchia, io non ho avuto nessun problema, credo per due ragioni: primo, sono stato invitato; secondo, la Turchia non è mai stata colonizzata e i musulmani turchi non hanno nessun complesso di inferiorità: e questo aiuta le relazioni umane. 6 1) 2) 3) I) Il riferimento è al documento Dialogo ed annuncio , del 1991, che al numero 42 suggerisce quattro forme di dialogo: il “dialogo della vita”, il “dialogo delle opere”, il “dialogo degli scambi teologici” e il “dialogo dell'esperienza religiosa”. Redemptoris Missio, 57 “Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma”. Corano, 18:60 “Non fermerò il mio passo fino a quando non avrò raggiunto la confluenza dei due mari”. I «califfi», in arabo Khalifa, sono i successori di Maometto, eletti a maggioranza dai musulmani. * americano – del Missouri – gesuita, ricopre l’incarico di Segretario per il dialogo interreligioso della Compagnia di Gesù. Dopo aver conseguito il dottorato in teologia islamica presso l’Università di Chicago, ha insegnato per molti anni all’Università Sanata Dharma di Yogyakarta, Indonesia. Per 13 anni ha lavorato presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso del Vaticano come Capo Ufficio per l’Islam. Ha insegnato teologia cristiana nelle Facoltà di teologia islamica di diverse università della Turchia. È anche segretario dell’Ufficio Ecumenico e Interreligioso dei vescovi cattolici dell’Asia. 7