da Il Gattopardo

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GIUSEPPE TOMASI
da Il Gattopardo
G U I D A
f.d.: uno spunto di riflessione
Diversa è la funzione del latino e
dei latinismi nella prosa
lampedusiana. Vi troviamo non solo
quello della liturgia ma anche
dediche, motti araldici e formule
giuridiche (F.D. Ferdinandus dedit);
in alcuni casi l’uso del latino ha
addentellati ironici (pater familias,
vulgus).
Tomasi non disdegna neppure l’uso
di termini altisonanti latini o
latineggianti, per designare azioni
quotidiane o ristrette all’ambito
familiare; per esempio, il Principe
che scodella la minestra esercita le
mansioni altrici del pater familias.
Dopo la recita del Rosario, il Principe, preceduto da Bendicò,
discese la breve scala che conduceva al giardino.
Il giardino della villa non era bello da vedere, anzi aveva un
aspetto cimiteriale e mostrava i segni del disfacimento, ma l’odorato poteva trarre da esso un piacere forte benché non delicato.
La mezz’ora tra il Rosario e la cena era per Don Fabrizio
uno dei momenti meno invitanti della giornata.
All’ora di cena la famiglia Corbera si ritrovava unita attorno al
grande tavolo. E come quello della recita del Rosario anche questo era uno dei momenti più importanti della giornata nel quale
rivivevano le usanze patriarcali della grande nobiltà siciliana.
La cena a villa Salina era servita con l’ostentazione di una
grandezza che mostrava chiaramente i segni di decadenza della
famiglia.
Il numero dei commensali, quattordici fra le persone di famiglia, governanti e precettori, conferiva di per sé solennità alla
tavola che era ricoperta da una rappezzata tovaglia di ottima qualità ed era apparecchiata con posaterie e vasellame d’argento e
luminosi bicchieri di cristallo di Boemia.
Quando Don Fabrizio entrò nella sala da pranzo, tutti erano
già riuniti intorno al grande tavolo, ciascuno in piedi dietro alla
propria sedia, soltanto la Principessa era già seduta.
Il Principe, da buon pater familias, versava la minestra nei
piatti. Quella sera, poiché il figlio sedicenne, Francesco Paolo, si
era attardato nel prender posto a tavola, si udì il risuonare del
mestolo contro la parete dell’enorme zuppiera d’argento, segno
di collera del capofamiglia che però fu indulgente e non rimproverò il ragazzo. Mentre si mangiava, il Principe osservava i figli
uno per uno e pensava che la sua era una bella famiglia e che i
volti delle ragazze erano contrassegnati da uno sguardo altero,
quasi avessero impresso l’orma degli antenati (marchio atavico).
Durante la cena si rattristò pensando al secondogenito, Giovanni, che da due anni si era stabilito a Londra per spirito di
indipendenza. La moglie, Maria Stella, vedendolo malinconico
gli accarezzò la mano, suscitando la sua irritazione per il compatimento e risvegliando in lui il sensuale ricordo della prostituta
Mariannina, dalla quale decise immediatamente di recarsi,
facendosi accompagnare da padre Pirrone. La Principessa venne
colta da una crisi isterica.
Guardando la moglie, i cui occhi erano diventati improvvisamente freddi e disperati, si pentì di quanto aveva ordinato, ma
era impossibile per il Gattopardo revocare l’ordine già dato.
stemma ligneo di fine secolo xvii
col gattopardo
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T 230
La cena
Regno delle Due Sicilie: nel 1860 il Regno
delle Due Sicilie comprendeva i due regni,
distinti fino al 1815, di Napoli e di Sicilia.
Tale unificazione era avvenuta sotto Ferdinando IV di Borbone.
2 “carsella”: forma dialettale per “lucerna a
olio”; il suo nome deriva dall’inventore J.B.
Carsel.
3 simulanti dei bassorilievi: le pitture delle
sovrapporte sembrano sculture.
4 Capodimonte: quartiere della zona Nord
di Napoli, celebre per la famosa fabbrica di
porcellana installata nel 1743 da Carlo III.
5 ogni cosa in scala: tutto intorno al Principe
doveva essere importante e grande, proporzionato alla sua grandezza.
6 eccetto la moglie: la moglie soltanto era
piccolina.
7 si slargavano: si allargavano, aumentavano
di grandezza.
8 Gattopardo: l’insegna araldica della dinastia nobiliare dei Salina.
9 tinnire: dall’analogo verbo latino «tintinnare, risuonare».
10 padre Pirrone: il cappellano di casa Salina.
1
\A
NALISI DEL TESTO\
{1} fasto sbrecciato: è un ossimoro, cioè
un accostamento di due termini di significato opposto. Sbrecciare significa «rompere facendo breccia» derivato di breccia
«apertura, spaccatura». La prosa lampedusiana è ricca di ossimori veri e propri:
«artificiosamente semplice, fastosamente
mediocre, disperata euforia» e così via.
{2} bugnati di Boemia: i bicchieri di cristallo erano stati donati alla famiglia dal
re Ferdinando II, morto il 22 maggio
1859, come indicano le cifre F.D. incise
sul medaglione nella zona molata, tra le
bugne della coppa. La Boemia è una regione della Cecoslovacchia, famosa per la
lavorazione del vetro.
{3} mansioni ... familias: il Principe distribuiva lui stesso la minestra quasi a
simboleggiare, con il suo gesto, che era il
capo della casa, pater familias e come tale
aveva l’obbligo di nutrire i componenti
del nucleo familiare; altrici è un aggettivo
che deriva dal verbo latino alere che significa «nutrire».
L
a cena a villa Salina era servita con il fasto sbrecciato {1}
che allora era lo stile del Regno delle Due Sicilie1. Il
numero dei commensali (quattordici erano fra padroni di
casa, figli, governanti e precettori) bastava da solo a conferire
imponenza alla tavola. Ricoperta da una rattoppata tovaglia
finissima, essa splendeva sotto la luce di una potente “carsella”2
precariamente appesa sotto la “ninfa,” sotto il lampadario di
Murano. Dalle finestre entrava ancora luce ma le figure bianche
sul fondo scuro delle sovrapporte, simulanti dei bassorilievi3, si
perdevano già nell’ombra. Massiccia l’argenteria e splendidi i
bicchieri recanti sul medaglione liscio fra i bugnati di Boemia
{2} le cifre F.D. (Fèrdinandus dedit) in ricordo di una munificenza regale, ma i piatti, ciascuno segnato da una sigla illustre,
non erano che dei superstiti delle stragi compiute dagli sguatteri
e provenivano da servizi disparati. Quelli di formato più grande, Capodimonte4 vaghissimi con la larga bordura verdemandorla segnata da ancorette dorate, erano riservati al Principe cui
piaceva avere intorno a sé ogni cosa in scala5, eccetto la moglie6.
Quando entrò in sala da pranzo tutti erano già riuniti, la Principessa soltanto seduta, gli altri in piedi dietro alle loro sedie.
Davanti al suo posto, fiancheggiati da una colonna di piatti, si
slargavano7 i fianchi argentei dell'enorme zuppiera col coperchio sormontato dal Gattopardo8 danzante. Il Principe scodellava lui stesso la minestra, fatica grata simbolo delle mansioni
altrici del pater familias {3}. Quella sera però, come non era
avvenuto da tempo, si udì minaccioso il tinnire9 del mescolo
contro la parete della zuppiera: segno di collera grande ancor
contenuta, uno dei rumori più spaventevoli che esistessero;
come diceva ancora quarant’anni dopo un figlio sopravvissuto:
il Principe si era accorto che il sedicenne Francesco Paolo non
era al proprio posto. Il ragazzo entrò subito (“scusatemi, papà”)
e sedette. Non subì rimprovero ma padre Pirrone10 che aveva
più o meno le funzioni di cane da mandria, chinò il capo e si
raccomandò a Dio. La bomba non era esplosa ma il vento del
suo passaggio aveva raggelato la tavola e la cena era rovinata lo
stesso. Mentre si mangiava in silenzio, gli occhi azzurri del Principe, un po’ ristretti fra le palpebre semichiuse, fissavano i figli
uno per uno e li ammutolivano di timore.
Invece! “Bella famiglia” pensava. Le femmine grassoccie, fiorenti di salute, con le loro fossette maliziose e, fra la fronte e il
naso, quel tale cipiglio, quel marchio atavico dei Salina. I
maschi sottili ma forti maneggiavano le posate con sorvegliata
violenza. Uno di essi mancava da due anni, quel Giovanni, il
secondogenito, il più amato, il più scontroso. Un bel giorno era
scomparso da casa e di lui non si erano avute notizie per due
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GIUSEPPE TOMASI
11 città
eretica: perché la maggioranza dei
londinesi è di religione anglicana. Eresia,
da cui deriva l’aggettivo eretico, è una dottrina contraria ai dogmi che la Chiesa propone ai fedeli come verità.
12 bai: sono cavalli dal mantello rosso scuro,
con la criniera e la coda nere.
13 coupé: carrozza chiusa.
14 in quei ... disordini: si allude a quei movimenti più o meno clandestini che cominciavano a farsi sentire e che portavano
scompiglio nella società palermitana sonnacchiosa e restia ad ogni innovazione.
\A
mesi. Finché non giunse una rispettosa e fredda lettera da Londra nella quale si chiedeva scusa per le ansie causate, si rassicurava sulla propria salute e si affermava, stranamente, di preferire la
modesta vita di commesso in una ditta di carboni anziché l’esistenza “troppo curata” (leggi: incatenata) fra gli agi palermitani.
Il ricordo, l’ansietà per il giovinetto errante nella nebbia fumosa
di quella città eretica11, pizzicarono malvagiamente il cuore del
Principe che soffrì molto. S’incupì ancora di più.
S’incupì tanto che la Principessa seduta accanto a lui tese la
mano infantile e carezzò la potente zampaccia che riposava sulla
tovaglia. Gesto improvvido che scatenò una serie di sensazioni:
irritazione per esser compianto, sensualità risvegliata ma non
più diretta verso chi l’aveva ridestata. In un lampo al Principe
apparì l'immagine di Mariannina con la testa affondata nel
guanciale. Alzò seccamente la voce: “Domenico” disse a un servitore “vai a dire a don Antonino di attaccare i bai 12 al coupé 13;
scendo a Palermo subito dopo cena.” Guardando gli occhi della
moglie che si erano fatti vitrei si pentì di quanto aveva ordinato,
ma poiché era impensabile il ritiro di una disposizione già data,
insistette, unendo anzi la beffa alla crudeltà: “Padre Pirrone,
venga con me, saremo di ritorno alle undici; potrà passare due
ore a Casa Professa {4} con i suoi amici.”
Andare a Palermo la sera, ed in quei tempi di disordini 14,
NALISI DEL TESTO\
{4} Casa Professa: casa dell’ordine religioso dei Gesuiti, a cui apparteneva padre Pirrone. Non è un vero convento ma
quasi un luogo di convegno dove si possono incontrare i confratelli e i superiori.
La casa Professa di Palermo fu eretta tra il
1564 e il 1636 accanto alla Chiesa del
Gesù ed è un tipico esempio di stile
barocco siciliano.
un angolo della sala da pranzo di palazzo lampedusa
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1400
da Il Gattopardo
15 canna:
antica unità di lunghezza che corrispondeva a due metri.
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NALISI DEL TESTO\
{5} Lampedusa descrive la situazione e
gli ambienti in modo che il lettore si
trova immerso in un’atmosfera satura
d’impressioni sensoriali. Quasi sempre
i sostantivi sono accompagnati da un
aggettivo che precisa, dilata e sottolinea
i loro significati.
Questa parte del primo capitolo comprende alcune pagine fra le migliori del
romanzo per scioltezza di descrizione e
puntualità d’osservazione. La corsa notturna verso Palermo (qui omessa), l’apparizione della città a quell’ora di notte,
i pensieri che cose e luoghi suscitano
nell’animo di don Fabrizio sono tradotti dall’autore in uno stile semplice e
suggestivo, soffuso di quella cupa tristezza, che è tipica in tutto il romanzo.
appariva manifestamente senza scopo, se si eccettuasse quello di
un’avventura galante di basso rango: il prendere poi come compagno l’ecclesiastico di casa era offensiva prepotenza. Almeno padre
Pirrone lo sentì così, e se ne offese; ma, naturalmente, cedette.
L’ultima nespola era stata appena ingoiata che già si udiva il
rotolare della vettura sotto l’androne; mentre in sala un cameriere porgeva la tuba a don Fabrizio e il tricorno al Gesuita, la
Principessa ormai con le lagrime agli occhi, fece un ultimo tentativo, quanto mai vano: “Ma, Fabrizio, di questi tempi... con le
strade piene di soldati, piene di malandrini... può succedere un
guaio.” Lui ridacchiò. “Sciocchezze, Stella, sciocchezze; cosa
vuoi che succeda; mi conoscono tutti: uomini alti una canna15
ce ne sono pochi a Palermo. Addio. “E baciò frettolosamente la
fronte ancor liscia che era al livello del suo mento. Però, sia che
l’odore della pelle della Principessa avesse richiamato teneri
ricordi, sia che dietro di lui il passo penitenziale di padre Pirrone avesse destato ammonimenti pii, quando giunse dinanzi al
coupé si trovò di nuovo sul punto di disdire la gita. In quel
momento, mentre apriva la bocca per dire di rientrare in scuderia, un grido subitaneo “Fabrizio, Fabrizio mio!” giunse dalla
finestra di sopra, seguito da strida acutissime. La Principessa
aveva una delle sue crisi isteriche {5}.
C O N S E G N E
T 230 1. Descrivi il comportamento del Principe di Salina durante la cena.
2. Spiega perché il Principe distribuiva lui stesso la minestra.
3. Indica che cosa pensava della propria famiglia e dei figli.
4. Riferisci perché il Principe si rattrista durante la cena.
5. Spiega anche perché la principessa Maria Stella suscita la sua irritazione.
6. Chiarisci il motivo per cui padre Pirrone si offende, quando il Principe gli ordina di accompagnarlo a Palermo.
7. Rintraccia nel brano le sensazioni che vi sono annotate.
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