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NO
vuol dire
NO!
La violenza sessuale all’interno
della coppia
Vocabolario della lingua italiana
Treccani
violènza s. f. [dal lat. violentia, der. di violentus «violento»]. –
1. Con riferimento a persona, la caratteristica, il fatto di essere
violento, soprattutto come tendenza abituale a usare la forza
fisica in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a
mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di
costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di
azione sia di pensiero e di espressione, o anche soltanto come
modo incontrollato di sfogare i proprî moti istintivi e passionali
violènto (ant. o raro violènte) agg. [dal lat. violentus, affine a
vis «violenza» e a violare «violare»]
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione
e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne
e la violenza domestica
(Istanbul, 11.V.2011)
• …Riconoscendo che la violenza contro le
donne è una manifestazione dei rapporti di
forza storicamente diseguali tra i sessi,
che hanno portato alla dominazione sulle
donne e alla discriminazione nei loro
confronti da parte degli uomini e impedito
la loro piena emancipazione….
• Quell’avverbio, storicamente, è stato utilizzato, non a
caso, nel testo della Convenzione, per sottolineare come
la violenza sulle donne, declinata nel tempo con
modalità e tipologie assai diverse, sembri appartenere,
alla storia stessa del genere umano.
• Quella sessuale all’interno della coppia, altrettanto
antica, pare oggi, almeno agli occhi del mondo
occidentale, ancora più intollerabile, proprio in
considerazione del contesto all’interno del quale si
consuma, a prima vista il più improbabile e il meno
adatto per il manifestarsi di comportamenti di
sopraffazione.
Nell’immaginario collettivo
queste immagini esprimono il
senso profondo dell’essere
coppia
…E anche queste…
…ma
anche
quest’altre
…
…queste…
NO!!!!!!!
…e neanche queste….
…non
ci fanno ridere
per niente….
Paolo Apostolo, Lettera ai Corinzi,2.7
«Per il pericolo
dell’incontinenza ciascuno
abbia la propria moglie e
ogni donna il proprio marito.
Il marito compia il suo
dovere verso la moglie,
ugualmente la moglie verso
il marito. La moglie non è
arbitra del proprio corpo, ma
lo è il marito, allo stesso
modo anche il marito non è
arbitro del proprio corpo, ma
lo è la moglie».
Stefano Rodotà, Diritto e Amore, lectio magistralis,
Modena 14/09/2013
• In questo reciproco possesso
era fondata l’eguaglianza tra i
coniugi, che morale religiosa e
regola giuridica poi
tenacemente contrasteranno, in
un contesto fatto di diffidenze,
se non di ostilità, di limiti
imposti dal buon costume e
dall’ordine pubblico, con
barriere invalicabili per un diritto
riconducibile all’amore…
• …nell’esperienza storica il diritto si è fortemente
impadronito dell’amore. Con l’istituzione del
matrimonio l’amore è stato recintato in un
perimetro all’interno del quale è stata operata
una seconda riduzione di esso: il rapporto tra
coniugi è stato ricondotto a uno schema tipico
del rapporto patrimoniale in cui vige la logica del
cosiddetto “debito coniugale” di natura sia
economica che sessuale, che sancisce una
sorta di diritto di proprietà nei confronti
dell’altro…
• Il corpo «giuridificato» della donna,
avrebbe così trovato, nel diritto e nella
morale religiosa, un ulteriore strumento di
sottomissione alle logiche della potestas
maschile e il debitum coniugale preteso
dal marito, anche con la violenza, sarebbe
diventato dovere per eccellenza,
contrapposto ad un piacere/diritto
sconosciuto ed inaccessibile per le donne,
obbligo insieme giuridico e morale.
San Giovanni Crisostomo, dottore della Chiesa
(345-407)
• “La donna è male sopra ogni
male, serpe e veleno contro il
quale nessuna medicina va bene.
Le donne servono soprattutto a
soddisfare la libidine degli
uomini…Dio assegnò a ciascun
sesso le sue funzioni, cosicchè la
parte più utile e necessaria
toccasse all’uomo, e la minore e
inferiore alla femmina; e quegli
divenisse degno d’onore per il
ruolo suo eminente, questa
invece per gli uffici suoi più vili
non pensasse ad alzare la cresta
contro il coniuge…”
Ivo di Chartres, canonista
(1040-1115)
• “…Al marito spetta
domarla…come
l’anima doma il
corpo e l’uomo
doma l’animale.
Prima essa passa
sotto la tutela del
suo signore e
padrone meglio è”
GEORGE DUBY, Medioevo maschio, amore e
matrimonio, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 33.
•
•
•
•
Alla contessa du Perche, che gli chiedeva dubbiosa quale fosse
l’ammontare del debitum, Adamo, abate di Perseigne, alla fine del XII
secolo, rispondeva:
Ci sono nella persona umana l’anima e il corpo. Dio è padrone dell’una e
dell’altro. Ma, per la legge del matrimonio che egli stesso ha istituito
concede al marito […] il diritto che ha sul corpo della donna (il marito entra
così in possesso di questo corpo, ne diventa il gestore, autorizzato a
servirsene, a sfruttarlo, a farlo fruttificare) […] la contessa du Perche non
deve dimenticarlo: ella ha, in realtà due sposi che deve servire equamente:
l’uno è investito del diritto di usare del suo corpo, l’altro è padrone assoluto
della sua anima […] la violazione del diritto si verificherebbe se […]
incapace di vincere le sue ripugnanze, la sposa non assolvesse il suo
debito.
• George Duby, nel ricostruire le vicende dell’istituto
matrimoniale nel Medioevo, sottolinea come
•
• mai Adamo di Perseigne prende in considerazione la
possibilità che la donna abbia delle esigenze, che anche
lei – ed è tuttavia ciò che dice il diritto canonico – sia in
possesso del corpo del marito, in diritto di reclamare ciò
che le è dovuto, tacendo, da uomo di chiesa, sulla
reciprocità della relazione.
S. Alfonso M. De’ Liguori, dottore della
Chiesa, sec. XVII.
«Per quelli che sono i
peccati commessi nel
matrimonio chiedete
solo alle mogli se
hanno osservato il loro
dovere coniugale, per
il resto, restate in
silenzio»
Giovanni Finazzi, Il confessore diretto secondo la
dottrina dei Santi… (1847)
• Si domandi alle mogli se han provocati i mariti a
bestemmiare, e se han renduto il debito
coniugale; per lo più si dimandi ciò alle mogli,
perché molte si dannano per questo capo, e son
cagione che si dannano anche i mariti, i quali
vedendosi negato il debito, fanno mille
scelleraggini
Il primo codice civile italiano si mostrava
assai ossequioso verso il Code
Napoléon, che nella nostra Penisola
aveva trovato buona accoglienza ed era
stato “metabolizzato” dai giuristi
attraverso la mediazione delle
codificazioni preunitarie.
Il codice Pisanelli del 1865, tuttavia,
sembrava radicalizzare certi orientamenti
espressi dal suo più celebre archetipo.
A questo proposito Stefano Rodotà ha osservato
che il modello codicistico napoleonico,
che si diffonderà oltre i confini francesi, troverà
accoglienza nella legislazione italiana, “con una
minuzia di prescrizioni che allargherà ancora di più
il fossato tra amore e diritto”.
Obbedienza e subordinazione, logica autoritaria e
patrimonialistica, senza spazio per gli affetti
sarebbero state caratteristiche salienti delle nuove
regole in ambito matrimoniale e familiare.
• Si ricordi che il primo codice civile italiano tendeva ad
accentuare la posizione preminente dell’uomo all’interno
della famiglia, individuandolo esplicitamente come
“capo” della medesima. Peraltro, si ripercorreva la scelta
del legislatore d’oltralpe introducendo nell’ordinamento
italiano l’autorizzazione maritale. L’art. 134 disponeva,
infatti: «La moglie non può donare, alienare beni
immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o
riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o
stare in giudizio relativamente a tali atti, senza
l’autorizzazione del marito. Il marito può con atto
pubblico dare alla moglie l’autorizzazione in genere per
tutti o per alcuni dei detti atti, salvo a lui il diritto di
rivocarla».
Tali circostanze non dovevano passare inosservate
ad uno sparuto gruppo di donne sensibili al tema
della necessità di un profondo rinnovamento che,
tenendo anche conto del supporto che le donne
italiane avevano fornito alla causa della costruzione
dello Stato unitario, riconoscesse loro un diverso e
più adeguato ruolo all’interno della società .
Ben avventuroso fu l’istante in cui voi effettuaste il
nobile progetto di pubblicare un Giornale che avesse
per iscopo di propugnare e tutelare i diritti della
donna, molto più che il nuovo codice civile del Regno
d’Italia lascia tuttavia molto a desiderare perché la
donna giunga al posto assegnatole dal progresso
sociale.
Così scriveva nel 1866, a nome della Società
Patriottica femminile di Milano, Angelina Foldi a
Giovanna Bertola Garcea, direttrice del foglio
parmense La voce delle donne, evidenziando il
disappunto per le novità che la codificazione unitaria
aveva introdotto, sostanziatesi in una vera e propria
reformatio in pejus, almeno per le donne di quei
territori che, avendo a lungo fatto parte
dell’ordinamento austriaco, come il LombardoVeneto.
Contro quelle regole evidentemente
discriminatorie si levava la voce di Anna Maria
Mozzoni , instancabile attivista nella battaglia
per il riconoscimento del suffragio femminile,
che, provocatoriamente scriveva
Come ognun vede, la donna in qualunque
regime matrimoniale, è schiava o minore. Per
avere un diritto materno, ella non dovrebbe
essere madre che di prole illegittima, e per
avere reale possesso di se stessa e delle cose
sue, mai non dovrebbe piegare il collo al giogo
del matrimonio .
Le dure invettive della Mozzoni non
risparmiavano neanche il codice penale
Zanardelli, promulgato nel 1889,
Che punisce l’adulterio e la relazione
adulterina della moglie e invece colpisce con
sanzione il marito soltanto in caso di
concubinato,
considerando attenuanti i delitti di omicidio e di
lesioni personali se commessi dal coniuge
• Così la mia persona piegava al volere del
Sibilla
Aleramo,
Una donna,
marito
[…] chiudevo
gli occhi, m’impedivo
di pensare e restavo come in letargo […]
penso che m’amasse un po’ come cosa
sua, una proprietà […] Rivedo me stessa
gettata a terra, allontanata col piede come
un oggetto immondo, e risento un flutto di
parole infami, liquido e bollente come il
piombo […] Ed ho il confuso senso della
disperata ira che mi assalse quando,
dopo una notte inenarrabile in cui il mio
viso ricevette a volta a volta sputi e baci,
e il mio corpo divenne null’altro che un
povero involucro inanimato, mi sentii
proporre una simulazione di suicidio.
•
1906
• F. Loffredo, Politica della famiglia, 1938
• La donna fascista, “sposa e madre esemplare” deve
ritornare “sotto la sudditanza assoluta dell’uomo: padre
e marito; sudditanza e quindi inferiorità: spirituale,
culturale ed economica”
N.Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943. Le veline del Minculpop
per orientare l’informazione, Bompiani, Milano 2005, p. 168
.
• “Si proiettava sulla lavoratrice, sull’emancipata, sulla cosiddetta
“donna crisi”, l’ansia della denatalità che aveva ben altre radici,
soprattutto la crisi economica che spingeva le donne a controllare
con ogni mezzo le nascite e quindi a non aderire alla campagna
demografica lanciata dal regime. Si susseguivano le inutili «veline»
da parte del Minculpop, come questa del 29.7.1932:
• […] E’ stato fatto un richiamo a un giornale di Roma per un disegno
rappresentante una donna eccessivamente magra. Data la
suggestione che tali disegni esercitano sulle donne non magre e la
ripercussione che i dimagramenti forzati hanno nella prolificità e
quindi nella efficienza demografica, è bene che tali disegni non
compaiano più”.
• Il fascismo invita gli uomini
italiani a difendere le loro
donne dall”uomo nero”, dal
pericolo che viene da
fuori….ma chi le difenderà
dalle pratiche coercitive, dallo
ius corrigendi, dalla
sopraffazione fisica,
economica, psicologica
esercitate dai mariti nei loro
confronti?
p. 315.
Ulteriori problematiche emergevano, tuttavia,
nel
confronto fra il dettato della carta costituzionale del
1948
• e il codice del 1942, in particolare, proprio con
riferimento all’istituto familiare, laddove il principio della
«uguaglianza morale e giuridica dei coniugi», sancito
dai costituenti, risultava essere «di segno opposto
rispetto a quello dei codici» e, segnatamente, di quello
civile nel quale si evidenziavano «due diversi
orientamenti: da un lato si mira[va] ad aggiornare le
regole che l’Ottocento aveva consacrato; dall’altro a
mantenere saldi i poteri in mano del marito-padre» .
Ed infatti, ponendosi in continuità rispetto alla
tradizione ottocentesca, quel testo normativo ripete
all’art. 144: «Il marito è il capo della famiglia; la moglie
segue la condizione civile di lui. Ne assume il cognome
ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede
opportuno di fissare la sua residenza».
• L’evidente discrasia fra codice e costituzione, in realtà,
risultava minimizzata dai limiti che lo stesso art. 29 della
carta costituzionale prevede al secondo comma: «Il
matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a
garanzia dell’unità familiare».
• In tal modo il principio autoritario e gerarchico che
informava le norme sulla famiglia operando, al pari di
quelle sull’onore del codice penale, un’evidente disparità
fra uomini e donne, potevano convivere con la
costituzione democratica e garantista e con il principio
generale dell’uguaglianza dei cittadini e dei coniugi
all’interno del matrimonio, posti appunto i limiti che la
stessa costituzione prevedeva «a garanzia dell’unità»
dell’istituto familiare.
• Va sottolineato che, anche su impulso di
decisivi rilievi critici mossi da una parte
della dottrina», la Corte di Cassazione,
con sentenza del 22 febbraio 1956 aveva
decisamente cambiato rotta, «pur con
taluni tentennamenti protrattasi almeno
fino alla riforma del diritto di famiglia del
1975», negando che si potesse
configurare, in capo al marito lo ius
corrigendi sulla moglie.
Ius corrigendi
• Questa formula designa il diritto all’uso di mezzi di
correzione o disciplina riconosciuto a coloro che
esercitano essendone titolari un diritto di supremazia su
altre persone.
• Tale diritto, come si evince dal dettato dell’art. 571 c.p. è
noto alla nostra legislazione.
• La citata norma, infatti, incriminando l’abuso dei mezzi di
correzione, implicitamente ammette che l’uso degli stessi
debba ritenersi legittimo.
P. Camassa, Addio autorità maritale! (1958)
• La gerarchia è in sé nel matrimonio civile e in quello cristiano. Non
perché la moglie sia succube (chi obbedisce per amore non è
succube, è parte di un ingranaggio sociale) ma perché la famiglia …
ha bisogno di un capo, sia pure primus inter pares. Una sgridata alla
mogliettina giovane che ama troppe passeggiate mattutine per
l’inutile aperitivo delle 10, il rimprovero per una madre troppo debole
con i figli discoli o per …il conto della sarta eccessivo…sono diritti
minimi per un marito e per una famiglia che voglia chiamarsi tale
…Come si sgretolerebbero migliaia di famiglie per un marito debole
e per una moglie che si facesse forte di norme femministe! Accade
già tanto spesso! «io sono indipendente! Lavoro come te e faccio i
miei comodi! Con questa frase…è l’inizio della fine. Ma dove
vogliamo arrivare? …L’uomo è il capo, la guida prediletta e naturale
per legge divina e fisiologica!
• Tale situazione doveva permanere
inalterata fino a metà degli anni
Settanta, quando il mutato clima
politico e sociale imponeva al
legislatore italiano una riformulazione
di quelle norme, punto di arrivo di un
lungo e complesso dibattito
parlamentare e dell’esplodere di una
nuova coscienza civile e sociale.
• «Soprattutto nei primi anni dopo
l’entrata in vigore della costituzione più
che il principio hanno operato i limiti; la
norma del codice che attribuiva al
marito il potere all’interno della
famiglia è rimasta vigente e non è
stata poi cancellata da una sentenza
della Corte costituzionale, ma in
occasione della riforma del diritto di
famiglia»
• Venivano così ridisegnate le coordinate del diritto di famiglia
secondo logiche che, partendo dal dettato dell’art. 29 della
costituzione, per la prima volta, nella storia del diritto italiano,
guardavano all’istituto familiare come comunione di affetti
sottolineandone l’elemento personale a svantaggio di quello
patrimoniale. Un cambiamento che si percepisce anche nel lessico
utilizzato.
• La riforma del diritto di famiglia del 1975 parla, infatti, di
collaborazione, di decisioni condivise, di scelte maturate in comune,
proponendo, attraverso l’uso di un linguaggio “rivoluzionario”
l’immagine di una famiglia che si muove, per la prima volta, in senso
“orizzontale”, nella quale rileva la dignità della persona e la delicata
sfera dei sentimenti.
• Stefano Rodotà ha sottolineato che la riforma del diritto
di famiglia
• sostituisce il modello gerarchico con quello paritario,
fondato sugli affetti, e riconosce i diritti dei figli nati fuori
del matrimonio. Al posto della norma costrittiva troviamo
la volontà delle persone, libere di costruire la loro vita e
l’insieme delle relazioni, non più chiuse nel perimetro
obbligato del matrimonio. Scompaiono l’impropria
identificazione tra peccato e reato e il peso di una
morale di cui il diritto si faceva custode, in una visione
pubblicistica che vincolava le persone non alla
realizzazione dei sentimenti, ma alla stabilità sociale e
alla continuazione della specie.
In un contesto nel quale, per la prima volta, si
parlava di sentimenti e di rapporti paritari,
comportamenti violenti e sopraffattori
cominciavano ad essere percepiti sempre più
come inconcepibili e la circostanza che, fino a
quel momento, il giudice penale avesse ritenuto
che il reato di violenza carnale tra coniugi
potesse configurarsi solo se il marito avesse
agito “con violenza e contro natura” nei confronti
della moglie appariva intollerabile.
Non doveva trascorrere molto tempo dalla
promulgazione della legge n. 151/1975 che,
dunque, un altro duro colpo veniva ad infrangere
assetti ed equilibri giuridici e sociali tradizionali.
Il 16 febbraio 1976, la sezione penale della
Corte di Cassazione pronunciava una sentenza
che si può definire di portata storica, il cui
dispositivo recitava:
“Il
consenso che i coniugi si scambiano con l’atto di
matrimonio non si deve intendere come quella
prestazione che unilateralmente, brutalmente ed
impietosamente si possa imporre all’altro senza il suo
piacimento, ma quella in cui si rifletta una comunione
esistenziale fondata sull’accordo dei sentimenti e
volontà e perciò di comune intendimento….Il coniuge
non si priva incondizionatamente nei confronti
dell’altro coniuge del potere di disporre del proprio
corpo, né perde la naturale libertà di negare la
prestazione sessuali”. (Cassazione Penale 16
febbraio 1976, RP, 1977, 281)
si è chiarito che
•
• “Il concetto di violenza sessuale, nella
oggettività della tutela apprestata dalla
previsione normativa, ha una sua
sostanziale ed immodificabile unitarietà
che non consente di distinguere tra
violenza sessuale consumata tra estranei
e violenza sessuale consumata all’interno
di un rapporto coniugale …”
•
ed ancora che
•
• “…in tema di violenza sessuale, l’esistenza di un rapporto di
coniugio accompagnato da effettiva convivenza non esclude, di per
sé la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto
stabilito all’art. 143 cod. civ. in materia di diritti e doveri dei coniugi,
che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di
atti sessuali come mero sfogo dell’istinto sessuale anche contro la
volontà dell’altro coniuge, tanto più in un contesto di sopraffazioni,
infedeltà, violenze, ponendosi queste in contrapposizione rispetto ai
sentimenti di rispetto, affiatamento e vicendevole aiuto e solidarietà
fra le cui espressioni deve ricomprendersi anche il rapporto
sessuale () Cass. Pen., III sez., 26 marzo 2004, n. 14789. In quella
circostanza la suprema corte ha ribadito che «la qualità di coniuge è
del tutto sterile ai fini dell’apprezzamento della condotta vietata. Non
esiste una quantità di violenza sessuale tollerabile fra coniugi e non
pure fra estranei”.
se alla donna non vada attribuita una parte
non lieve del male sociale. Come può un
uomo che abbia avuto una buona madre
divenir crudele verso i deboli, sleale verso
una donna a cui dà il suo amore, tiranno
verso i suoi figli […] e come può diventare
una donna, se i parenti la danno ignara,
debole, incompleta, a un uomo che non la
riceve come sua eguale, ne usa come d’un
oggetto di proprietà, le dà dei figli coi quali
l’abbandona sola, mentr’egli compie i suoi
doveri sociali, affinché continui a baloccarsi
come nell’infanzia
Carlo Cassola, L’antagonista (1976)
• “La mia [moglie] vorrebbe che la lasciassi in pace.
Quando siamo al dunque mi dice di sbrigarmi”
• -Le mogli non provano piacere.
• -Non lo devono provare –intervenne un giovanotto[…]
• -Che differenza credete che ci sia fra una donna onesta
e una del villino rosa?
Vitaliano Brancati, Il bell’Antonio (1949)
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“Il rumore di quello scandalo fu avvertito da
tutta Catania come un boato dell’Etna.
Antonio Magnano…, il bellissimo
giovane,Antonio, sì, proprio lui … ebbene
Antonio con la moglie…niente!
“E in questi tre anni che le ha fatto il
marito”?
“Le ha cacciato le mosche”.
“Possibile, possibile”?
“E’ così”!
“Ma come, il figlio di Alfio non ha denti per il
pane fresco”?
“Non ne ha”.
“Ma che dite? Ma che cosa m’incucchiati”?
“Privo della vista degli occhi, è così! La
prima notte si coricarono e…e…niente!”
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“Ma come fu”?
“Come fu?...fu! Nun c’era iu, cumpari!”
“Ma allura, catinazzu”?
“Catinazzu fermu, cumpari!”
“Per tre anni sempre catenaccio?”
“Sempre catenaccio!”
“Ogni notte catenaccio?”
“Ogni notte catenaccio!”
“Diciticcillu o’ Padreternu, ca è iddu
ch’’e fa, ‘sti cosi!”
“Ma io capirei una volta, due volte, tre
volte…voglio essere largo: cinque
volte! Chi di noi non ha fatto
catenaccio?”
“Vi devo dire la verità, compare: io non
l’ho fatto mai!”
“Mai?”
“Mai!”
• “Il Signore mi deve far morire prima di mandarmi una disgrazia
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simile! E che ne ha uno della vita, se gli levano anche quello?
Davvero che mi butterei nella cisternna!”
“E chi ci campa a fari!”
“Megghiu mortu”
“Megghiu mortu milli voti!”
“Che diciti, milli voti? Megghiu mortu centu miliuni di voti”.
“E io mi dovrei vedere ridotto in quello stato? Ma meglio cento metri
sottoterra, come dite voi, meglio in fondo al mare in bocca ai
pesci!...Vi dico di più: meglio, condannato all’ergastolo, piedi e mani
incatenati come a Cristo, ma perdio col mio onore d’uomo, degno di
commiserazione magari per essermi bagnato le mani nel sangue del
prossimo, ma non oggetto di risatine e toccatine di gomito quando
passo per la strada, perché se qualcuno s’azzarda di ridere o di
sporgere il gomito verso il suo compagno, io gli posso sempre
gridare: Che cosa ridi, faccia di minchia? Mandami tua sorella,
piuttosto o tua moglie che allora ridiamo per davvero!
• E chi può darvi torto?...Padre, Figlio e Spirito santo! E iu m’havissi a
sumpurtari ‘dda cosa disutili appinnuta davanti? Ma quant’è veru Diu
c’’a ma scippu e a’ ‘ettu ‘ cani! L’ha detto anche Nostro Signore
d’altronde: Se uno dei tuoi membri pecca, strappalo e gettalo via!
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