MALTRATTAMENTO, ABUSO E FALLIMENTI A SCUOLA Roberto Miletto 1 Maria Rosa Fucci 2 Daniela Andropoli 2 Introduzione La nostra unità operativa di neuropsichiatria infantile a Pomezia ha costruito nel corso degli anni, e sono ormai decenni, buone cooperazioni con le scuole del territorio, certamente utili anche per cercare di intercettare nella popolazione scolastica le sofferenze solitamente sommerse. Pensando alle difficoltà scolastiche, che costituiscono il più ricorrente tra i motivi di consultazione per il nostro ambulatorio, e la cui fonte di segnalazione preminente è la scuola stessa, c’è da tener presente che su questo problema convergono, come sostiene Gabriel Levi (2011a), perlomeno tre ordini di fattori: ci sono in primo luogo i disturbi neuropsicologici in sé, ma poi accanto sono da considerare le varie problematiche affettive così come le dinamiche microsociali. Il primo dei compiti del clinico è allora cercare di stabilire, in ciascun caso, il peso relativo e la successione patogenetica di questi fattori. Dunque, quando il disturbo di apprendimento non è clinicamente inquadrabile come di tipo specifico (dislessia-disortografia, discalculia) e non è nemmeno secondario a cause certe, le cose in un certo senso si complicano: c’è da capire se si può cogliere quel sommerso che eventualmente sostiene la punta dell’iceberg, così ben espressa dal fallimento scolastico; c’è perciò da cercare di individuare quel motore dell’insuccesso, e magari persino più d’uno, esplorando in campi più ampi, anche in profondità. 1 Neuropsichiatra infantile. 2Psicologa,psicoterapeuta. Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile (U.O.NPI), ASL Roma H, Distretto di Pomezia. Gruppo di ricerca EllePi del Litorale Pontino. Considerando le segnalazioni scolastiche, chi più preme con richieste di consulenze e, soprattutto, di aiuti integrativi (azioni di sostegno, assistenze educative) è la scuola primaria e ciò non può granché sorprendere, se si tiene presente lo specifico momento di sviluppo. Nel cosiddetto periodo di latenza, tra i sei ed i dieci anni, i bambini sono chiamati a compiti evolutivi di crescente mentalizzazione ed un malessere, con radici affondanti anche in momenti evolutivi pregressi, può proprio in tal periodo trovare più manifeste espressività cliniche. Se pensiamo a sofferenze prolungate nel tempo, ai traumi cronici, alle condizioni di incuria, conflittualità e violenza assistita, a maltrattamenti ed a qualsivoglia abuso, qui da intendersi nell’accezione più estensiva, eventi vissuti spesso anche in condizione di povertà, vuoi economica vuoi sociale e culturale, ebbene va tenuto conto che tutto ciò, così emarginante, é poi tutt’altro che marginale, oggi, nella popolazione in età evolutiva che ha disturbi psicopatologici, se risulta nelle casistiche epidemiologiche di fatto riguardare addirittura più di un caso su due (Levi, 2011b). Dunque, maltrattamenti ed abusi tanto sono rappresentati nella nostra popolazione psicopatologica infantile, ma rimangono spesso traumi silenziosi, delle sofferenze sconosciute, di cui i bambini non parlano, e su cui neppure possono pensare: il disagio, se si esprime, trova altri canali. In questo contributo allora vogliamo porre l’accento su uno di questi, poco studiato e peraltro canale molto frequentato, il fallimento scolastico. Qualche considerazione preliminare su attaccamento ed apprendimento In una ricerca recente nella scuola del nostro gruppo di lavoro (Miletto ed al., 2009), centrata sull’individuazione di correlazioni eventuali tra l’insuccesso scolastico ed i diversi tipi di attaccamento, abbiamo rilevato in primo luogo l’opportunità di considerare i noti pattern (il sicuro, l’insicuroevitante, l’insicuro-ambivalente, il disorganizzato) come livelli differenti di un continuum, che parte dal funzionale per eventualmente scendere fino a toccare, nel caso, la massima disfunzionalità. Sull’attaccamento di tipo sicuro e la sua correlazione con la funzionalità c’è poco dibattito anche in letteratura, mentre ci pare siano ancora piuttosto incerte le posizioni intorno agli altri pattern. In ogni tipo di attaccamento c’è uno sfondo comune, certamente, ma qui bisogna saper cogliere anche delle sfumature, che possono modificare, e molto, il quadro, essendo più variabili quelle che entrano in gioco, e finiscono per rendere differenti tra loro le storie di ciascuno. Per rendere l’idea di quanto si sta sostenendo, consideriamo allora il bambino che presenta un attaccamento di tipo insicuro-evitante; lo si descrive variamente, ma in sostanza è un bambino come arroccato in difesa, diciamo che tende a stare e fare un po’ per conto suo, anche in considerazione dello stile di accudimento dell’adulto che si prende cura di lui, descritto abitualmente come un care-giver distanziante; ebbene, fa differenza l’intensità del disagio di questo arroccamento costretto e come da questa sofferenza ci si difende. Per le esigenze della descrizione, noi usiamo un registro un po’ immaginifico che, anche in questo caso, propone un continuum che va dal bambino che si copre con l’impermeabile, sentendosi come indegno dell’affetto degli altri e nulla valendo per il mondo, al bambino che sale sulla mongolfiera, rigidamente difeso nell’autoconvinzione di poter fare tutto da solo. Sono poli dello stesso tipo di attaccamento, sostenuti da modi differenti di difendersi e poi certo ci sono tra l’uno e l’altro tante sfumature intermedie: che possono pertanto far stare il bambino nell’ambito della salute o in quello della malattia, a seconda di tante cose, dall’intensità della sofferenza di base agli interventi del contesto per aspetti protettivi o vicarianti le disfunzioni relazionali di partenza. Con esiti dunque svariati nei vari ambiti, ci può essere una possibile evoluzione psicopatologica, in forme più centrate sull’impotenza se il bambino si costringe dentro l’impermeabile, sull’onnipotenza se sale in mongolfiera. Nel primo caso, si può sviluppare un Sé affettivo e cognitivo depresso e ciò potrebbe comportare un disturbo di apprendimento non specifico (DANS), su base emozionale, ed un disinvestimento sull’oggetto epistemico: la conoscenza, gli studi, i compiti vissuti come Altro da Sé, e dunque una separatezza che li rende ben lontani. Nel secondo caso, l’evoluzione può portare ad un Sé cognitivo addirittura euforico, che coltiva l’illusione di sapere già tutto, con conseguente svalutazione delle proposte di insegnamento. In entrambi i casi, l’esito può essere peraltro comune, ed è l’insuccesso scolastico. Sfaccettature tanto differenti, pertanto, e che sono una ragione forte, a nostro parere, anche delle valutazioni così oscillanti in letteratura tra normalità e patologia. Considerazioni nella sostanza analoghe ma contrarie si possono fare per l’altro tipo di attaccamento insicuro, quello ambivalente, in quanto il bambino fa esperienze con dei care-givers che sono sì presenti ma assai problematici per la loro imprevedibilità, ed è pertanto costretto a distogliere molte energie dal proprio Sé per investirle difensivamente nel controllo esterno delle figure che contano, al fine di orientarle il più possibile su di sé. Anche in questo modello abbiamo individuato un vulnerabile bambino senza coperte, nudo nel mondo, assai dipendente e sottomesso, lamentoso per cercare di tenere così sotto scacco l’adulto, in una modalità passivoaggressiva, all’altro estremo del più attivamente difeso bambino che sale sul trono, capriccioso, richiestivo e prepotente, capace di un ipercontrollo perfino dispotico sull’adulto, con un’aggressività più esplicitamente attiva. Conta anche qui l’aspetto dimensionale, e decisivi per la salute appaiono i fattori compensativi e vicarianti le disfunzioni; in caso di malattia, i destini psicopatologici possono risultare anche molto compromessi; e, per quanto concerne i disturbi dell’apprendimento, c’è una difficoltà nella conoscenza metacognitiva, connessa all’ambivalenza delle rappresentazioni sull’Altro, che è vissuto a tratti vicino, anche troppo, a tratti lontano, così costruendosi confusione sul mondo ed anche sul proprio Sé; ciò può comportare conseguentemente uno sviluppo deficitario della teoria della mente, decisivo per la comparsa del DANS. In ogni caso, c’è la costanza di sentimenti di ostile diffidenza, che ostacolano il costituirsi di una relazione di fiduciosità tra il bambino e l’adulto, l’insegnante, qualità di rapporto basilare entro il quale si può usufruire del nutrimento della mente. La letteratura ritrova invece maggiori accordi sul destino dell’alunno con un attaccamento di tipo disorganizzato, il bambino che vive in contesti più sregolati, incoerenti, segnati spesso dal maltrattamento o da irrisolte psicopatologie nelle figure di accudimento: le iniziali difficoltà di apprendimento entrano in circolo vizioso con una carente conoscenza verso Sé, e reciprocamente si rinforzano. Sempre tenendo conto degli aspetti dimensionali, in caso di livello significativamente disfunzionale, si può pensare ad un bambino disorientato che un po’ si costruisce ed un po’ anche si disfa, si espande e si ritira, da bambino-blob che ha difficoltà a definire e riconoscere i propri confini, confusi con il Sé genitoriale; usando altra immagine, diciamo un bambino camaleonte che si modifica secondo l’ambiente, e condannato a non vivere pienamente il suo Sé reale ma quello che il contesto di volta in volta richiede, fino ad essere un bambino senza midollo, costretto a rinunciare alla propria struttura interna, per aderire ad un’esterna in un compiacimento costante. Questa condizione interferisce sul processo di “personalizzazione” del bambino, che non riesce a costruire il suo Sé autentico ma impara, e precocemente, a funzionare con un Sé alieno, falso. Variamente descritti dalla letteratura fin da piccoli, diciamo qui che sono bambini che hanno a che fare con figure di accudimento che riescono a suscitare paura: sia perché sono effettivamente minacciose, sia perché, al contrario, sono esse stesse persone impaurite, da un qualcosa che il bambino certo non sa; di fatto, sono bambini che non trovano soluzione alla situazione paradossale di temere il genitore nel quale si cerca rifugio. Dunque, si può pensare che i bambini disorganizzati lo siano per mancanza di strategie, specie nell’affrontare il momento di stress: con comportamenti apparentemente privi di scopo, di intenzionalità, di progettazione. L’espressività clinica in questi casi può risultare abbastanza precoce, e spesso sono alunni già segnalati nella scuola dell’infanzia per processi evolutivi disfunzionali diversi. Nei casi di maltrattamenti od abusi, fatti patologici spesso precoci e cronici, con l’evento interno di una conflittuale distruzione delle immagini genitoriali, in sostanza inconsapevolmente si rompe l’archetipo familiare, l’età piccola stessa di questi bambini può non consentire facile accesso alla mentalizzazione, ed allora tutto questo mondo emozionale così tragico non può essere raccontato. Come dice Levi (2011b), le emozioni non hanno racconto, e tra fatti, agiti, pensieri e rappresentazioni non esiste un vocabolario comune sulle emozioni: è allora il teatro del corpo, con i suoi percepiti ed i suoi agiti, che sostituisce il bisogno di raccontarsi. Note cliniche da un campione di minori afferente al nostro servizio di neuropsichiatria infantile Il contributo che qui si presenta è riferito ad una casistica di minori che sono stati accolti presso la struttura residenziale “Chiara e Francesco”, Casa Famiglia di Torvaianica ma, a diverso titolo, clinicamente esaminati dal nostro ambulatorio specialistico. Il gruppo di bambini studiati è costituito da 18 minori, vittime di maltrattamenti e/o abusi. Suddivisi in due sottogruppi, se ne rileva un primo, composto da 10 minori, oggetto di maltrattamenti fisici e/o psicologici, o esposto a condizioni di patologia delle cure (solamente l’incuria), ed un secondo gruppo, composto da 8 minori, in cui si è riscontrata una storia familiare segnata da abusi sessuali sia di tipo intrafamiliare che extrafamiliare. In particolare, per le piccole vittime di abusi sessuali si è osservata una preminenza di tipologia di abuso solo intrafamiliare (5 minori), e nel gruppo di minori vittime di abuso in ambito extrafamiliare (3 minori), solamente uno ha subito abusi esclusivamente fuori dal nucleo. Al momento della prima consultazione presso il nostro servizio per l’età evolutiva, i due gruppi di minori presentavano delle fasce di età piuttosto ampie, comprese fra 1 anno e 12 anni, con delle differenze minime nell’età media di accesso alla valutazione, ovvero di circa 6 anni per i bambini vittime di maltrattamenti ed incuria, e di circa 7 anni per le vittime di abuso. Dall’osservazione dei dati emerge in modo inequivocabile, e lo vogliamo subito rilevare perché ci pare un’importante osservazione clinica, l’alta specializzazione delle agenzie scolastiche per la segnalazione degli alunni al nostro servizio, soprattutto per quei minori potenzialmente vittime di abuso, come si può cogliere nella Tabella. Tabella 1 FONTE DI INVIO Scuola Maltrattamenti/Incuria (M/I) Abusi (A) Istituzioni 8 (Servizi Sociali, Tribunale per i Minorenni, Casa Famiglia) 5 (SS 3; TM 1; CF 1) 0 12 5 4 Spontanea 1 0 1 Si tratta di generiche segnalazioni di “problematicità” a scuola, e solamente in 2 casi (sugli otto minori abusati) si è trattato di resoconti di osservazioni e sospetti di esposizione dell’alunno ad abusi sessuali: ciò è accaduto laddove le condotte sono state chiaramente di natura sessualizzata ed incoerente per l’età anagrafica del minore. E’ piuttosto comprensibile che quando il quadro sintomatologico riporta indici di trauma più sfumati tali segnalazioni di sospetto sono infrequenti. Si può affermare che, nella maggior parte degli invii scolastici, si nota ancora oggi un’inesatta “centratura del problema”: tornando al nostro campione, è il caso del minore che, ogni lunedì mattina, “rivelava” alle insegnanti il proprio dolore nell’assistere passivamente alle violenze domestiche che il compagno della madre agiva su di lei, mentre solamente in un’indagine ben successiva è poi riuscito a descrivere le vere rivelazioni, ovvero quelle degli abusi sessuali che proprio lui subiva dal convivente della madre. Nella nostra casistica si riscontra che l’osservazione delle insegnanti per l’invio poggia più spesso sulla presenza di sintomi tipici di una clinica cosiddetta esternalizzante, agita (disturbi delle condotte, disturbi da deficit di attenzione con iperattività, disturbi oppositivo-provocatori); mentre nelle situazioni in cui la clinica è caratterizzata da sintomi di internalizzazione (iperansietà, disturbi dell’umore, difficoltà nel sonno e nel comportamento alimentare, difficoltà scolastiche generiche ed inibizione del pensiero), la segnalazione scolastica è ovviamente più infrequente. Inoltre, dai dati emerge che nei casi di maltrattamento ed incuria la segnalazione appare eterogenea, coinvolgendo anche altre istituzioni (Servizio Sociale, Tribunale per i Minorenni, Casa Famiglia). La motivazione della segnalazione scolastica al servizio territoriale di neuropsichiatrica infantile della ASL appare essenzialmente collegata alla richiesta di fornire un’assistenza specialistica scolastica, finalizzata alla regolazione, al contenimento, alla gestione nel gruppo di alunni con difficoltà comportamentali e disturbi di inattenzione ed iperattività (disturbi di esternalizzazione, dunque); si tratta di alunni che risultano problematici in classe magari per condotte dirompenti, o sono provocatori ed oppositivi verso i sistemi di regole, con aggressività sia auto- sia eterodiretta, con livelli di agitazione motoria non contenibili nell’ambito del gruppo e/o con prestazioni attentive che rendono fallimentare qualsivoglia percorso di apprendimento, anche se modulato su obiettivi semplificati e personalizzati. In misura un po’ inferiore la consulenza viene richiesta per quegli alunni che presentano evidenti carenze nel sistema di cure familiari, per cui il bambino arriva a scuola molto trascurato nell’igiene personale, nella cura della salute, nell’adeguatezza dell’abbigliamento ai contesti climatici correnti e, più raramente, nella cura del materiale scolastico. Infine, un’altra richiesta rivolta dalle insegnanti è quella dell’attivazione della risorsa didattica delle azioni di sostegno, sulla base del riscontro di marcate difficoltà di apprendimento. Constatazione per noi scontata, e su cui già abbiamo proposto qualche riflessione clinica (Miletto ed al., 2006): in effetti, nella misura in cui il sistema di accudimenti del minore é significativamente compromesso, se non francamente patologico, le capacità di investimento del pensiero del bambino sulla conoscenza della realtà si riducono, c’é pertanto una carenza grave della pulsione epistemofilica, e questo comporta anche un marcato deficit prestazionale. Tutti i minori sono stati inseriti in Casa Famiglia, con un percorso legato a segnalazioni e decreti del Tribunale per i Minorenni, motivati più frequentemente dalla rilevazione di patologie del sistema delle cure da parte della famiglia e secondariamente dall’osservazione di maltrattamenti fisici e/o psicologici, come si osserva nella Tabella 2. Un’attenzione particolare riveste la motivazione istituzionale dell’allontanamento a seguito di “sospetto abuso sessuale”, con segnalazione prodotta dal servizio sociale o dalla nostra unità operativa. Questo dato sembrerebbe dimostrare come, per la rilevazione dei sintomi traumatici dell’abuso, sia ancora necessario l’intervento di una struttura altamente specializzata che sappia mettere in correlazione la clinica presente con l’esposizione ad esperienze traumatiche. Infatti, dal nostro campione si può apprezzare quanto sia piuttosto esigua la percentuale di sospetti abusi sessuali (2), soprattutto se messa a confronto con le segnalazioni avvenute per maltrattamenti (16). Si potrebbe osservare che, sia per le segnalazioni scolastiche sia per le motivazioni di inserimento nella struttura residenziale, è difficile riscontrare una sintomatologia chiaramente correlata al trauma dell’abuso sessuale, mentre sembrerebbe piuttosto la presenza di disturbi delle condotte, con connotazioni sessualizzate incongrue per l’età, il reale motore del sospetto di abuso sessuale: ciò a conferma dell’attuale incertezza sugli indici comportamentali ed emotivi patognomonici dell’abuso sessuale (Miletto&Murrone, 2007). Tabella 2 MOTIVO DI INSERIMENTO IN CF Maltrattamento Maltrattamento Incuria fisico psicologico M/I A 1 3 2 1 7 2 Sospetto abuso sessuale 0 2 4 3 9 2 Nella pratica clinica, invece, vogliamo far notare un aspetto che ci sembra opportuno focalizzare: il fatto che sia spesso necessario un periodo di allontanamento dalla famiglia per permettere ai minori di stabilire quei nuovi sistemi di attaccamento sufficientemente protettivi e sani, tali da favorire l’emergere della rivelazione del “segreto familiare”. Infatti, é nella permanenza in Casa Famiglia che si è osservato lo sviluppo - e solo nel tempo - di un legame di attaccamento sufficientemente fiducioso: in particolare, abbiamo notato come ciò accadesse in un tempo mediamente non proprio celere, intorno ai quattro mesi dall’ingresso nella struttura. Il tema della percezione del cosiddetto “Sé accademico” e, connesso a questo, del rendimento scolastico riveste uno spazio di particolare importanza nel nostro contributo in quanto, come si è sostenuto, l’esperienza dell’insuccesso a scuola, del fallimento, è assai comune nei nostri minori. La strutturazione di un Disturbo dell’Apprendimento Non Specifico (DANS) è una condizione clinica di frequente riscontro in alunni che abbiano subito esperienze di vita così profondamente traumatiche. La possibilità che questa clinica degli apprendimenti venga associata ad uno sfondo emozionale notevolmente destrutturante per i processi di pensiero appare confermato dai dati emersi dall’analisi attuale, come si evince dalla Tabella 3. Tabella 3 TIPOLOGIA DI DISTURBO NON SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO M/I A Disturbi della Sfera Emozionale Borderline Cognitivo Disturbo di Personalità in strutturazione No DANS clinico 5 4 0 1 1 2 4 1 9 1 3 5 La presenza di disturbi delle condotte e di disfunzionali processi di controllo dell’azione e dell’attenzione appare, allora, contaminata dalla potente interferenza di sviluppo rappresentata dal disturbo emozionale conseguente il trauma, anche quando questo si presenta con il corteo sintomatologico tipico del Disturbo Post-Traumatico da Stress (riscontrato in 3 minori abusati). Meno rappresentata nella nostra casistica appare la categoria delle difficoltà scolastiche agganciata ad un carente funzionamento dei processi cognitivi e metacognitivi, come si osserva tipicamente nelle condizioni del Borderline Cognitivo, in cui le possibilità di accesso ad un’adeguata flessibilità del pensiero subiscono l’influenza di un diverso sviluppo neuropsicologico delle intelligenze. Sicuramente, invece, la presenza di un Disturbo di Personalità in strutturazione ha un impatto deflagrante sulle possibilità del minore di investire la realtà di stabili processi di pensiero, finalizzati a favorire la comprensione delle situazioni di vita e l’attribuzione di significati coerenti con un adeguato esame della realtà stessa, troppo dolorosa e disorientante nel suo essere assurda: ciò appare ancora più significativo se il quadro clinico sembra conseguente il trauma sessuale subito, come in due minori del nostro campione. Tuttavia, osservando i dati della tabella, va rilevato che una parte dei nostri minori non sembra avere riportato influenze negative e stabilmente consolidate sugli apprendimenti, mostrando una minore probabilità di incorrere nell’insuccesso didattico: un fatto che si può valutare forse più comprensibile alla luce di migliori capacità personali di resilienza, oltre che per la tipologia di trauma subito. La resilienza va considerata, come è noto, la capacità della persona che é esposta ad un evento potenzialmente disturbante di mantenere livelli relativamente stabili di funzionamento psicologico e fisico, ed è certo variabile da bambino a bambino (Bonanno, 2004, tra gli altri). Nei minori della nostra casistica vittime di maltrattamenti, si è osservata nella struttura di personalità la presenza di alcuni fattori protettivi, rappresentati a) dalla capacità di richiedere aiuto ad altri, ed anche agli specialisti, b) dalla possibilità di stabilire relazioni basate su una salutare dipendenza, c) dal ricorso ad obiettivi di vita realistici, d) da una certa quota di tolleranza dell’ansia. Inoltre, la precocissima età di esposizione all’evento traumatico per alcuni di loro, essendo coinciso con un allontanamento immediato dal sistema familiare vittimizzante, ha presumibilmente favorito la ristrutturazione e ricostruzione di stili di attaccamento con figure di riferimento più valide ed affidabili. Le possibilità di elaborazione dell’esperienza traumatica e di ricostruzione di riferimenti affettivi validi hanno determinato una fase di ripresa da parte dei minori, col recupero di una qualità di vita aderente alle aspettative evolutive del periodo storico vissuto. Più in particolare, è sembrato necessario un lasso di tempo discreto, di almeno un anno, per poter rilevare dei miglioramenti di vita significativi, intesi come recupero della stabilità nelle relazioni interpersonali e come consolidamento degli apprendimenti scolastici. Il bisogno di tornare a re-investire di significati le esperienze attuali di vita ha caratterizzato il percorso di crescita di buona parte dei minori di entrambi i sottogruppi. L’unico caso di fallimento della fase di recupero sembra determinato dalla drammatica complessità della situazione di vita di un minore vittima di maltrattamenti ed incuria, in cui l’appartenenza ad un contesto di vita multiproblematico ha favorito l’emergere di un Disturbo di Personalità in strutturazione, con una clinica resistente a molteplici ed integrati interventi di sostegno psicologico, didattico e sociale. Il termometro della reale complessità della fase di recupero si osserva anche nelle difficoltà incontrate da 3 minori vittime di abuso sessuale. Queste situazioni assumono le caratteristiche di recuperi “oscillanti”, in cui a fasi di sana ripresa con apparente buona integrazione nel tessuto relazionale, scolastico e professionale, seguono fasi di fallimento nel mantenimento di legami stabili. Chiaramente, qui si tratta di minori con gravi esperienze di fallimento nella costruzione di sistemi di attaccamento affidabili, sottoposti a frequenti perturbazioni nella costruzione di un Sé solido e costante, frequentemente esposti anche a minacce di riavvicinamenti da parte dei familiari abusanti. La presenza anche in questi minori di un Disturbo di Personalità in strutturazione ha impedito loro la possibilità di considerare sufficientemente affidabili i percorsi di affido in nuclei familiari sani. Infatti, la fragilità del percorso di costruzione della loro identità non ha favorito l’avvio del percorso di affidamento, come invece è accaduto a diversi altri minori: ben 4 minori abusati, infatti, sono tornati a vivere oggi in una nuova cornice familiare affettivamente valida. Se si considerasse la “ripresa” in termini di disponibilità del minore a favorire il successo del percorso di “affido ad un nuovo nucleo familiare”, si potrebbe pertanto osservare che ciò è possibile solamente laddove le capacità del minore di dipendere dall’altro e di costruire delle aspettative sul proprio futuro sono solidamente radicate in lui. Inoltre, nella nostra casistica si osserva che, solamente se il minore recupera una prospettiva di investimento nel futuro affettivo, può avvenire un reale recupero degli investimenti epistemofilici: dei 4 minori abusati che sono stabilmente affidati a famiglie accudenti, ben 2 hanno rapidamente mostrato segnali significativi di recupero delle capacità cognitive e metacognitive di apprendimento, ovvero di saper strutturare un pensiero intorno alla realtà della propria esperienza di vita, passata in una costruzione di progettualità future condivise con adulti significativi. Discussione Sulle caratteristiche del trauma Eric Berne, già mezzo secolo fa, sulla struttura delle personalità psicopatologiche segnate dal trauma forniva un modello immaginifico e di buona immediatezza, seppur un po’ semplicistico, attraverso delle pile differenti di monete, proprio come riportato nella Figura. Immagini che noi riutilizziamo oggi, magari parzialmente, per introdurre il ragionamento clinico. Lasciamo stare il perfetto impilamento ideale di un’esperienza, assai teorica, senza traumi (a), per considerare il trauma singolo e precoce dell’esperienza b), con la moneta difettosa a rappresentare il momento disfunzionale, che, se capita presto nella costruzione della pila, fa sì che la colonna pericolosamente si inclina, con il rischio di far cadere anche le tante buone monete sopra aggiunte nel tempo; Ancora più facile è il crollo nell’esperienza c), tra l’altro la più ricorrente nel nostro campione, con tante monete difettose dello stesso trauma: qui sembrerebbe, come si può osservare, proprio assai difficile rimanere in piedi. Un destino non così inevitabile invece nell’esperienza d), con una pila che ha anche più monete difettose ma diverse tra loro perché differenti sono le interferenze di sviluppo; è uno star su che dipende molto dai tipi di trauma e da dove si collocano nella scala evolutiva della costruzione: l’instabilità è intrinseca e grande ma un esito di crollo non può dirsi proprio scontato. I diversi destini dei nostri soggetti suggeriscono peraltro una maggior complessità nell’evoluzione psicopatologica: perché c’è chi recupera gradualmente, e chi oscilla, come anche chi resiste peraltro ad ogni progresso. E le variabili da prendere in considerazione non sono certo poche. Già si è voluto dire subito sulle tipologie di attaccamento, che rendono bene un’idea di vulnerabilità maggiore o minore in relazione al livello di organizzazione dei modelli operativi interni di ciascun bambino esposto al trauma. Poi, come anche Berne rappresenta, la precocità, la ripetitività cumulativa, l’intensità drammatica, il prolungarsi nel tempo dei fatti traumatici, e il ritardo delle cure incidono pesantemente sugli esiti. Figura 1 Le strutture diverse delle personalità psicopatologiche: le pile di monete di Eric Berne. Da Analisi Transazionale e Psicoterapia, Casa Ed.Astrolabio, parzialmente elaborata. Sulla precocità del trauma, ci sono idee abbastanza chiare: prima succede e peggio è; il bambino in dipendenza massima per gli accudimenti non ha equipaggiamento cognitivo sufficiente per strategie difensive da abbozzare, magari non ha nemmeno le parole per una narrazione, e poi si tratterebbe anche di provare a raccontare fuori dal teatro familiare dove così spesso si consuma la tragedia: è tutto molto difficile, dunque.. La non rappresentabilità significa che il bambino rimane “segnato” comunque (come è falsa l’idea che “è troppo piccolo per ricordare!”), in quanto l’esperienza si inscrive drammaticamente nel corpo che ne mostra i sintomi senza parole; il sistema di attaccamento è stravolto, e si ha poi a che fare con bambini tanto disorganizzati: che potrebbero essere, peraltro, individuati anche presto come bambini genericamente in disagio; é un disagio magari poco comprensibile agli osservatori, ma marcato. Se pensiamo al senso di traumi cumulativi e prolungati nel tempo, si può facilmente ipotizzare come tutto ciò contribuisca nella vittima alla costruzione di percezioni generalizzate (e pertanto anche distorte) di un mondo esterno persecutorio, da cui variamente difendersi. Il prolungarsi dell’esposizione dei fatti nocivi fin dentro al periodo di latenza merita però una riflessione integrativa a parte, che qui di seguito si propone. Sul periodo critico della latenza Partiamo da una prima osservazione sul fatto che è proprio in questo momento dello sviluppo, nel periodo della scolarità primaria, in cui si è chiamati a compiti evolutivi complessi, che parecchi bambini con attaccamenti disfunzionali giungono a segnalazione ambulatoriale: per comunque aspecifiche e svariate espressioni di interesse psicopatologico e/o neuropsicologico. Qui si vuole brevemente considerare la specificità del momento evolutivo, nella cosiddetta età di latenza, un periodo tra l’altro mal denominato: latenza come un tempo di sospensione da quella pulsionalità che ha imperversato nello sviluppo prescolare con la sua intensa complessualità edipica; sarebbe connotabile questo tempo come una sorta di fase di “glaciazione istintuale”. Questa impostazione della “calma piatta”, però, non è affatto corretta, se si pensa alle tante vicissitudini di questo momento di sviluppo, contraddistinto anche da una crescita grande dei processi di mentalizzazione, che guidano le azioni sempre più intenzionalmente e responsabilmente. Il pensiero comincia, infatti, a mostrare meglio una qualità plastica eccellente, la reversibilità, che permette di fare dei collegamenti tra il passato vissuto, il presente ed il futuro anticipato nella mente; è in questa fase evolutiva che si vivono più coscientemente le esperienze, e si può esserne influenzati mantenendo la propria integrità ed individualità. Una più matura consapevolezza cresce gradualmente ed é estesa a tutti i vissuti: non esclusi quelli traumatici, pure se non si sa raccontarli. Il trauma può essere affrontato con sistemi difensivi meglio organizzati, attivando meccanismi di vario tipo, e le esperienze nocive possono essere negate, rimosse, scisse. I bambini cominciano a guardarsi indietro così come a pensare sul loro futuro prossimo, tenendosi coesi per quel che possono; e sanno anche valutare meglio le proprie abilità e competenze, senza ricorrere sistematicamente al rispecchiamento dell’adulto, come prima. In avvio di un periodo più richiestivo come la scolarizzazione primaria, per tornare sulla criticità del momento evolutivo, va considerato che ci si può presentare alla partenza, diciamo, con una condizione precaria, poco e mal equipaggiati, per una dismaturità sostenuta da ragioni svariate, e sono tante le interferenze di sviluppo possibili, deprivazioni, svantaggi, traumi cumulativi, disarmonie evolutive, ed altro ancora. In questi mesi d’avvio, una difficoltà netta nei primi apprendimenti di letto-scrittura e calcolo solitamente si osserva in modo imprevisto, in un certo senso, anche improvviso. Questo fatto richiede un adattamento pronto: non solo da parte dell’alunno apprendista, che come principiante avrebbe bisogno di giusta cura e conforto, ma pure da parte della famiglia. Ed allora, se i sistemi di accudimento ed attaccamento sono disfunzionali, diciamo pure poco sani, è più facile che ci sia un insuccesso scolastico che tende a stabilizzarsi nel tempo. Periodo, pertanto, questo della latenza, attraversato da un grande vento trasformativo, di maturazione, che soffia su più ambiti, da quello cognitivo a quello affettivo-relazionale, ed anche sul rapporto tra esperienze consce ed inconsce, relativamente alla costruzione dei confini, dei limiti. Un’interferenza traumatica di sviluppo può comportare un irrigidimento dei confini, che diventano come barriere impenetrabili, oppure salta la frontiera tra le esperienze consce e quelle inconsce. Nel primo caso, si può pensare ad una disfunzionalità nella mentalizzazione. Ci può essere un eccesso, con fughe in fantasia prolungate, che poi comportano un deficit della simbolizzazione ed un’ipoevoluzione nell’organizzazione del ragionamento. Ci può essere un difetto di mentalizzazione, con incapacità a rappresentare affetti troppo ansiogeni, che poi comporta lo sviluppo di rituali compulsivi, per mantenere difensivamente la continuità del Sé, rinunciando però al pensiero immaginifico e creativo, con la mente bloccata nel presente ripetitivo, senza poter ripensare al passato e guardare al futuro. Nel secondo caso, quando salta la frontiera, c’è il rischio perfino di una strutturazione psicotica di personalità. Le integrazioni del Sé così variamente difettose, dunque, comportano in latenza un’espressività clinica polimorfa, che tende a manifestarsi in disfunzioni prestazionali, intercettabili anche prontamente dalla scuola come insuccessi negli apprendimenti. Sulla precocità degli interventi Compito proprio decisivo per gli educatori e per i tecnici dell’età evolutiva, che può essere eventualmente anche condiviso, risulta pertanto il riuscire a cogliere presto, nel bambino esposto a maltrattamenti ed abusi, quel nucleo profondo di sofferenza: sapendo di avere il più delle volte a disposizione, perlomeno nelle prime osservazioni, solo delle spie accese piuttosto aspecifiche, dei segnali di superficie che non focalizzano attenzione e preoccupazione sul trauma. E con il sopraggiungere dell’età di latenza, la spia accesa dell’insuccesso scolastico è tra le indicazioni più nitide, come dimostra anche la nostra casistica. Ma il nostro campione ci consente anche un’altra riflessione, sull’ indispensabilità dell’intervento correttivo precoce per l’efficacia: non bisogna superare il periodo della latenza. Come si è su scritto, è proprio a queste età che l’apparato psichico procede tumultuosamente attraverso successive integrazioni nei diversi ambiti, ed allora è qui, in una realtà psichica così plastica, che meglio si calano i correttivi compensativi delle esperienze drammatiche vissute. Se ciò non accade, se troppo si attende, nella personalità del minore c’é il rischio che si organizzi un danno strutturale, cristallizzato e profondo, inaccessibile alle trasformazioni. L’intervento precoce garantisce la possibilità di operare su danni funzionali, reattivi al momento traumatico, ma suscettibili di cambiamenti. A sostegno di ciò, riportiamo il destino diverso di due fratelli del nostro campione, il maschio preadolescente e la femmina in prima latenza, entrambi sottoposti alla comune terribile esperienza di incuria grave e di abusi sessuali cumulativi e prolungati nel tempo, attuati sia dalla scellerata coppia genitoriale sia dalla comitiva dei loro amici, nei fine settimana. Il ragazzo fu a suo tempo inviato al nostro ambulatorio per fallimenti scolastici ripetuti e per un disturbo delle condotte di tipo esplosivodirompente con turpiloquio insistito. La bambina venne segnalata per ritardi di letto-scrittura e, nella descrizione di presentazione delle maestre, secondariamente veniva riferita una condotta talora di esibizionismo erotizzato ed un abbigliamento incongruo per l’età e per il contesto (mostrava in classe spogliarelli sensuali). La nostra indagine socioambientale evidenziò nel nucleo una condizione di incuria così rilevante da suggerire l’allontanamento immediato e l’inserimento nella casa famiglia. Solamente dopo quattro mesi di permanenza nella struttura di accoglienza emersero le narrazioni terrificanti dei giochi sessuali praticati su di loro dalla coppia allargata agli amici di famiglia. I due fratelli allora sono stati immediatamente sottoposti a cura psicoterapeutica, ma ovviamente con un avvio in tempi diversi del loro sviluppo. Il ragazzo che ha ricevuto un buon aiuto ma tardivo, in preadolescenza, non ha potuto compensare efficacemente i danni subiti, se non superficialmente, riducendo i comportamenti dirompenti, ma rimanendo un alunno fallimentare, con insistiti tentativi di dispersione scolastica. Solo tramite il tutoring assiduo di un educatore della casa famiglia ha frequentato una scuola professionale, con un piano formativo personalizzato che ha previsto una frequenza parziale, alternata ad un faticoso apprendistato esterno in un’officina cooperante nel progetto. A tutt’oggi è un adolescente che non si assume stabili responsabilità, incostante negli investimenti ed il funzionamento della sua mente necessita sempre di un’impalcatura adulta esterna, cioè un Io ausiliario compensante le disfunzioni strutturali, che rendono il ragazzo refrattario ad una riorganizzazione profonda per un funzionamento autonomo. Ed infatti vive ancora nella casa famiglia, essendo falliti i diversi tentativi di affidamento familiare, a causa delle sue condotte inaffidabili, impulsive e menzognere. La sorella, trattata dall’età dei sette anni circa, ha ricevuto nella sostanza gli stessi interventi correttivi psicoterapici ma l’esito è stato differente per efficacia, in quanto si sono inseriti nella plasticità delle integrazioni cognitive, affettive, relazionali proprie della età della latenza. E’ diventata presto un’alunna con una buona riuscita scolastica, le condotte esibizionistiche si sono riassorbite, ha manifestato una soddisfacente socialità con i pari nei vari ambiti ed ha sperimentato l’inclusione in una famiglia affidataria, con la quale ha sviluppato legami validi e significativi. Considerazioni conclusive Qualche tempo fa proponemmo, in cooperazione con le maestre, delle fiabe in alcune scuole del nostro territorio, per un’indagine sulla costruzione del giudizio morale nei bambini in relazione al loro differente momento evolutivo. Quando si trattò di giudicare i genitori di Pollicino, che abbandonarono lui ed i suoi fratellini nel bosco non avendo più di che sfamarli, i piccoli della scuola dell’infanzia tendevano ad evidenziare una mancanza di distanziamento critico (“…hanno fatto bene… se dice così mamma e papà… sì, tocca ubbidire!...”) mentre i bambini di scuola primaria condannavano la condotta abbandonica dei genitori (“…non si fa così!... non è giusto lasciare i bambini nel bosco… Pollicino ha fatto proprio bene a disobbedire!...”). Pertanto, se nei bambini in età prescolare il personaggio cattivo finisce per essere Pollicino, perché non fa quello che i genitori richiedono, per i bambini in latenza il giudizio morale negativo si sposta ovviamente su questi due adulti assolutamente non protettivi. Dunque, i bambini piccoli che subiscono maltrattamenti ed abusi, e più spesso ciò accade da parte di persone a loro molto ben note, si trovano in una enorme difficoltà, quella del racconto dei fatti. Una difficoltà determinata da più cose, è certo infatti che non sanno narrare, e magari hanno anche paura, ma poi il problema è cosa narrare, dato che sono così appiattiti ancora sul sistema di valori dei genitori, perfino di quelli che risultano proprio la fonte dell’agire nocivo o perverso. E’ da tempo che si sostiene in letteratura quanto contino nei bambini piccoli le figure di accudimento maltrattanti o abusanti: questi scellerati care-givers possono riuscire a costruire degli attaccamenti patologicamente disorganizzati e, a questo proposito, si rimanda il lettore che vuole approfondire alla letteratura specifica, in parte riportata anche nei Riferimenti bibliografici che seguono. Un bambino con attaccamento disorganizzato deve quindi sempre sollecitare nei tecnici l’opportunità di farsi un’idea anche sulla qualità genitoriale. Quel che è certo è che i bambini piccoli maltrattati o abusati fanno trapelare con modalità solitamente troppo velate le loro sofferenze indicibili. Questa difficile operazione di “svelamento” è una mission di straordinaria importanza clinica per tutti noi addetti a questi lavori. Ed in questo contributo abbiamo voluto porre l’accento su uno spazio e su un tempo definiti. E non sempre sufficientemente presi in considerazione. Lo spazio é la scuola, una sponda che va più valorizzata, anche perché è lì che si può cercare di intercettare il malessere, individuandolo anche attraverso la spia che meglio si riesce a vedere quando si accende: le difficoltà di apprendimento. Il tempo, ed è quello massimo, è proprio l’età scolare della latenza, anche per un collocamento nuovo in ambienti sufficientemente buoni e riparativi, tenendo ben a mente che nel fuori tempo massimo tutto diventa davvero più difficile. Riferimenti bibliografici Berne E. (1961), Transactional Analysis. A Systematic Individual and Social Psychiatry. Trad. it., Astrolabio - Ubaldini Ed., Roma,1971. Bonanno G.A. (2004), Loss, trauma and human resilience: have we understimated the human capacity to thrive after extremely adverse events? American Psychologist, 59:20-28. Carlson, V., Cicchetti, D., Barnett, D., & Braunwald, K. (1989), Finding order in disorganization: Lessons from research in maltreated infants’ attachments to their caregivers. In D. 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