ISSN 2036-3273 Numero 21 novembre 2009 /// www.architetti.com Hemeroscopium House, Madrid – Antón García-Abril – Ensamble Studio Struttura Editoriale Struttural_mente di Marcello Balzani “La struttura rimanda al conflitto delle forze che la generano e la conservano”. René Thom Non so se è corretto affermarlo (visto anche il contesto semiologico in cui il tema si può trascinare) ma penso che il termine struttura possa essere definito un particolare significante fluttuante. Rapino una geniale argomentazione di Lévi-Strauss per indurre un ossimoro: struttura apre alla mente immagini razionali, funzionali, determinate e svelate, mentre l’analogia che impongo rimanda a un’evanescenza linguistica che nessun approccio, significato, uso metaforico, può costringere o bloccare. Perché? Perché credo che ormai (dato il complesso wayfinding nel continuum informativo) struttura significhi ben poco in sé, mentre appare sempre più netto come per altri simbionti o trance-feriti, essa risulti un potente, potentissimo, tras-duttore di molti codici. Insomma struttura è una di quelle parole che, diversamente dall’imprinting di fabbrica, conduce ad aprire tante porte nel lungo corridoio dei temi e dei tematismi culturali e non solo. La struttura, che può essere al contempo concettuale, informativa, edilizia, urbana ed intima, appare sul palco del linguaggio, con la definizione di “insieme di relazioni razionali e interdipendenti”. L’espressione rende evidente il valore “aperto” del termine, dato che implica un’interna molteplicità, che non è tuttavia banale, trattandosi di una molteplicità di relazioni. Ecco svelata la potenza adattativa: in architettura, come nel linguaggio, i rapporti tra realizzazioni e strutture sono variabili, ma sono sempre le strutture che rendono stabili e, si potrebbe dire, comprensibili le realizzazioni. In un momento, non troppo lontano da questo vagito di nuovo Millennio in cui ci troviamo, si congetturò lo strutturalismo, una teoria che poneva le basi di uno straordinario razionalismo localistico (Pomian), inteso come esigenza di “località”, ovvero come accettazione o ammissione di cittadinanza ad una molteplicità di teorie che trattano ognuna un oggetto ben delimitato: per Saussure erano parole e lingua, per Jakobson suoni e fonemi, per Hjelmslev sostanza e forma, per Lévi-Strauss sistemi di parentela e correlate strutture elementari, per Chomsky performance e competenza, per Thom morfologie empiriche e sistemi sottostanti. Fu un momento di ricerca e di sperimentazione che permise di gettare le fondazioni di altri e diversificati percorsi culturali. Allora si dichiarò che “l’unico modo per afferrare il significato della nozione di struttura è comprendere che essa si manifesta all’interno di un discorso scientifico e che deve il suo senso unicamente alle funzioni assunte all’interno di questo discorso” (Boudon). Quindi si diede (finalmente!) valore ai dati, ai caratteri rilevabili, agli elementi misurabili di un oggetto; sia esso il linguaggio di Striscia la notizia, un mito greco, il sistema economico di Malta, la morfologia di un ornitorinco o il grattacielo Pirelli, la cosa importante è che “ogni struttura è struttura di qualcosa di determinato (...) e che per dimostrare la realtà della struttura si devono guardare i dati di un oggetto di cui la struttura è modello”. Fin qui tutto bene, anzi, forse anche troppo! Dato che l’approccio strutturalista venne applicato oltre l’applicabile e a volte senza essere compreso, generando distrazioni e distorsioni. Ma l’ossimoro è sulla soglia, aspetta di entrare. E mi serve richiamare la logotecnica, con cui Françoise Choay identificava una povertà di linguaggio strumentalmente finalizzata alla conservazione del potere tecnico, per sottolineare con più evidenza come struttura sia, esemplificatamene, sinonimo di edificio (struttura alberghiera, ricettiva, polifunzionale, ecc.) e al contempo un elemento portante di fondazione per trasmettere i carichi orizzontali dalla (si ripete R. Magritte, L’universe demasque, 1931 K. Malevitch, Beta, 1926 Villard de Honnecourt il termine in altro rapporto di contesto) struttura architettonica al terreno. Per non parlare del rapporto tra struttura e tipologia e tipologia strutturale, che non sempre fonda i propri metodi descrittivi su coerenti e condivise “basi di dati”, che si vorrebbero ben delimitate. Se poi si tenta di comprendere la struttura urbana (sistema di relazione tra attività umane e ambiente), mi piace ricordare l’interpretazione strutturale-funzionale di Foley, Webber e Wheaton che tentavano un’interpretazione comportamentista e flessibile forse oggi più utilizzabile nella nostra contemporaneità in cui l’estensione metropolitana modifica incessantemente i metodi di lettura. Scriveva allora Paolo Ceccarelli nell’introduzione all’edizione italiana delle loro riflessioni: “l’idea di una struttura fisica elastica, globale, prodotta dal combinarsi di strutture spaziali, con gradi differenti di definizione e di rigidezza non è Manoscritto del XV secolo concettualmente negata; appare soltanto impossibile in termini pratici e difficile da immaginare”. Ci sono solo voluti quarant’anni di ri-strutturazioni e de-strutturazioni e ce l’abbiamo fatta! La struttura è fluttuante! Direttore responsabile Paolo Maggioli Direttore Federica Maietti Pub Publimaggioli (Davvero) 25-05-2006 9:55 Page 1 C M Y CM MY CY CMY K Vicedirettore Mirco Vacchi Redazione Roberto Meschini, Igor Pilla, Valentina Valente, Roberto Malvezzi, Andrea Cantini, Angelica Chondrogiannis, Giacomo Sacchetti, Luca Rossato, Simona Ferrioli, Alessandra Gola Product manager Tania Turchi Progetto grafico Christian Rodero Spirale logaritmica È vietata la riproduzione, anche parziale, degli articoli pubblicati, senza l’autorizzazione dell’autore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti sul tali contenuti. Le immagini pubblicate sono tratte da siti internet privi di copyright. L. Samaras, Untitled, 1964 Registrazione n. 14 /2008 del 1.8.2008 - Tribunale di Rimini Pubblicità Publimaggioli Concessionaria di pubblicità del Gruppo Maggioli S.p.A. Via Del Carpino, 8 - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Tel. 0541 628439 Fax 0541-624887 E-mail: [email protected] Sito web: www.publimaggioli.it Bologna, tipologia edilizia Assioma dell’incompletezza. “Una città è un insieme che deve restare indefinitivamente, strutturalmente non saturabile, aperto alla propria trasformazione, a delle aggiunte che alterano o dislocano per quanto poco possibile la memoria del suo patrimonio. Una città deve restare aperta al fatto che essa sa che non sa ancora che cosa sarà: bisogna iscrivere, e come un tema, il rispetto di questo non-sapere nella scienza e nella competenza architettonica o urbanistica”. Struttura urbana e ambiente fisico, D. Foley, 1968 Jacques Deridda Amministrazione e diffusione: Maggioli Editore presso c.p.o. Rimini via Coriano, 58 – 47900 Rimini tel. 0541 628111 fax 0541 622100 Maggioli Editore è un marchio Maggioli Spa Filiali: Milano – via F. Albani, 21 – 20149 Milano tel. 02 48545811 fax 02 48517108 Bologna – via Caprarie, 1 – 40124 Bologna tel. 051 229439-228676 fax 051 262036 Roma – via Volturno, 2/c – 00153 Roma tel. 06 55896600-58301292 fax 06 5882342 Napoli – via A. Diaz, 8 – 80134 Napoli tel. 081 5522271 fax 081 5516578 Maggioli Spa Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2000 Iscritta al registro operatori della comunicazione Registrazione presso il Tribunale di Rimini 23 gennaio 2007, n. 2/2007 con i Dirigenictia Amministrazio della Pubbl i ionisti Tecnic con i Profess Per promuovere i tuoi prodotti o servizi su Architetti.com contatta Concessionaria di pubblicità del Gruppo Maggioli Via del Carpino, 8 • 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) • tel. 0541 628439/27 • fax 0541 624887 e-mail: [email protected] • www.publimaggioli.it Composite www.architetti.com - [email protected] tel. 0541 628439 [email protected] www.publimaggioli.it The Ramses Square Interchange Plateaux Cairo: i nuovi livelli di interscambio della piazza Ramses per un nuovo modello di polarità urbana di Riccardo Mayr “È necessario dividere per ritrovare l’unità” Deleuze I processi di globalizzazione stanno indebolendo le identità locali, compressioni spazio-temporali si cristallizzano in nuove urbanizzazioni che fatalmente conducono a soluzioni ibride. Un processo neoidentitario che rimodelli il centro cittadino del Cairo è necessario. I flyover che attraversano la città sono territori multiplanari in cui la velocità dei flussi veicolari riduce la percezione dello spazio urbano ad una sequenza di scenari urbani in rapido mutamento. La velocità della vita moderna sta alterando radicalmente la percezione dello spazio cittadino livellandolo sul piano del sempre crescente valore dell’istantaneità e della simultaneità. La velocità è il nuovo protagonista indiscusso del nostro tempo. P. Virilio in “The Speed of Liberation” sottolinea il processo cronofago perpetrato dallo sviluppo tecnologico, giustapposto alla sempre crescente percezione sociale di mancanza di tempo. L’individuo non può realizzare tutte le possibilità offertegli dalla società contemporanea in un presente che ingloba il futuro in un’accelerazione nel vuoto che conduce fatalmente ad una società insoddisfatta. Pensando alla trasformazione della percezione di spazio e di tempo nelle città contemporanee, la modernità si è sviluppata all’interno di un’endemica mancanza di tempo e ed esperienze ambientali, limitando inevitabilmente le emozioni e la sensibilità dell’individuo. Il traffico al Cairo segue percorsi quasi extraterritoriali all’interno di un irrisolta sovrapposizione di modelli antichi e moderni causata da decenni di interventi infrastrutturali non legati a una pianificazione urbana su grande scala e sul lungo periodo, ma al contrario ad una sequenza paratattica di soluzioni locali apparentemente provvisorie. Ciò è evidente non solo nella zona profondamente stratificata dell’area relativa a piazza Ramses, ma anche lungo il 6th October Flyover fino alla piazza Abdel Moneim Riad. Il nostro progetto per piazza Ramses e le zone lungo il 6th October Flyover pone le condizioni attraverso una serie di proposte urbane strutturalmente sostenibili, per una rottura completa dei collegamenti sensitivo-motori che inducono l’individuo a vivere e percepire il centro del Cairo quasi esclusivamente come un ininterrotto flusso di traffico congestionato e non organizzato. Può il bassorilievo egiziano essere preso come punto di partenza per la riorganizzazione dell’area di pertinenza della piazza Ramses? Alois Riegl lo ha definito in questo modo: “[…] Il bassorilievo opera la più rigorosa connessione tra l’occhio e la mano, perché ha per elemento la superficie piana; questa consente all’occhio di procedere in modo simile al tatto, anzi, gli assegna, gli prescrive una funzione tattile, o Ramses Square e 6th of October Flyover 4 piuttosto aptica; assicura, dunque, all’interno della “volontà artistica” egizia, la riunificazione dei due sensi, il tatto e la vista, come il suolo e l’orizzonte. È una vista frontale e ravvicinata ad assumere tale funzione aptica, in quanto la forma e il fondo sono sullo stesso piano della superficie, al medesimo livello, oltre che alla stessa distanza rispetto a noi che guardiamo. Ciò che insieme separa e unisce la forma e il fondo è il contorno come loro limite comune.” È pertanto una geometria del piano, della linea e dell’essenza a ispirare il bassorilievo egizio, a cui ci ricolleghiamo nell’organizzare per livelli la nuova area di pertinenza della piazza Ramses. L’essenza funzionale di un gruppo di necessità infrastrutturali ritrova qui una riorganizzazione su differenti livelli. I nuovi livelli di interscambio della piazza Ramses, riallacciandosi alle radici storiche egiziane, ricalcano le proporzioni della piramide di Cheope, anche se l’altezza della medesima è solo simbolicamente evocata. Questo nuovo landmark cittadino, realizzato Ramses Square interamente in cemento armato pigmentato e avvolto in una doppia pelle metallica, si sviluppa su sei nuovi livelli, riorganizzando il punto nevralgico del sistema trasportistico cittadino. La rimozione della statua di Ramses dalla relativa piazza, il 25 agosto 2006, è profondamente eloquente. Il luogo caotico ed altamente inquinato è diventato inadeguato per ospitare l’antico faraone; quasi ad indicare che un medesimo spazio non può essere votato contemporaneamente ai cittadini ed al re. “Architetturalizzare” questo concetto significa invertire la piramide: il potere elitario del sovrano lascia il vertice al potere democratico dei cittadini. La nuova piazza Ramses è quindi strutturata partendo dall’antico ed eterno archetipo architettonico egiziano, la piramide, da cui la molteplicità delle contingenze della vita cittadina sono generate ed organizzate. Il nuovo spazio urbano è multiplanare e percorribile per livelli, orizzontalmente e verticalmente, con la stessa logica visiva dell’antico bassorilievo egiziano. Il significato della costruzione è composto dalle diverse funzioni che esso contiene: Piano terra dell’Interchange Plateaux e della nuova stazione ferroviaria 5 come la lingua/bassorilievo, ha un significato soltanto quando un singolo simbolo/significato è collegato ad un altro per formare un nuovo significato. Il significato, il consenso, l’assurdità, l’errore: qui non si discute la dicotomia fra verità e falsità, qui, attraverso una nuova interpretazione dei codici storici tradizionali del paese, si rende manifesta una nuova strategia contemporanea. Proporzionato e girato sottosopra come la costruzione piramidale in cui è incluso, il profilo del faraone modella la facciata della piramide. Questa pelle è una interpretazione contemporanea della tipica grata egiziana denominata mashrabiya: una maglia metallica con funzione di protezione dal sole e ventilazione dei diversi piani. Ai livelli superiori la facciata si sdoppia per ospitare le rampe pedonali che collegano la piazza, le attività commerciali, le aree di parcheggio e le zone di transito poste a quote differenti. La fisiognomica definisce il carattere e la personalità di una persona dalla sua apparenza esterna, nel nostro caso il profilo dell’anziano faraone modella il carattere funzionale di questo nuovo landmark urbano. Ogni piano della piramide, muovendosi verso i piani superiori, si arricchisce di un valore urbano supplementare, che spinge al raggiungimento della nuova piazza Ramses. Muovendosi attraverso i piani dell’edificio l’attenzione dell’individuo è riportata alla propria dimensione temporanea quotidiana. Il concetto risponde alla necessità di ricreare un luogo esente da condizionamenti esterni (il rumore, il traffico, lo smog), che permetta all’individuo di riappropriarsi dello spazio pubblico e della socialità. La nuova piazza Ramses è un spazio pedonale coronato da negozi commerciali di piccole dimensioni che offrono una vista insolita del Cairo e un legame metaforico con altri landmark cittadini, quali la piana di Giza e la cittadella. Si tratta di 26.000 metri quadrati caratterizzati da un pattern a forma di stella islamica a otto punte (Khatim) ripetuto in una maglia 7x7; sette stelle funzionano come prese di luce e ventilazione per i piani sottostanti, mentre le restanti sono aiuole e sedute con palme ed altre tipiche piante locali. Il progetto di piazza Ramses ha come obiettivo il ridisegno di un luogo di condivisione e socialità, una piattaforma urbana in cui il tempo dell’uomo e dell’automobile vengono organizzati e ristabiliti. Questa nuova polarità urbana è una grande macchina capace di regolare i flussi e i molteplici scambi tra mezzi di trasporto e cittadini, permettendo alle persone di trovare, in un nuovo sorprendente landmark urbano, uno spazio comune attento alla dimensione del pedone e alla diversificata vita sociale contemporanea. Pianta dell’ultimo livello: Ramses Square Veduta della Moschea da Ramses Square Ramses Square icona contemporanea 6 Rampa pedonale di accesso alla piazza sopraelevata Spaccato assonometrico dell’intervento Veduta del Cairo da Ramses Square 7 Rampa pedonale di accesso alla piazza sopraelevata 8 SCHEDA PROGETTO Progetto The Ramses Square Interchange Plateaux Concorso Internazionale di Progettazione Urban harmony competition – a new identity for Cairo city center Siti internet Portfolio Riccardo Mayr: http://ec2.it/riccardomayr Sito ufficiale del Concorso: www.urbanharmony.org/ Immagini degli autori Localizzazione: Cairo (Egitto) Tipologia di intervento Riqualificazione di Ramses Square e della viabilità delle aree limitrofe Gruppo di progettazione Capigruppo: Riccardo Mayr e Marino Fei Collaboratori: Fabiana Aneghini, Stefano Nolletti, Alberto Croce, Roberto Trebo, Letizia Pesci, Mariachiara Bonora, Francesco Marchetti Sezione degli edifici e del nuovo assetto viario del 6th of October Flyover Percorso pedonale di collegamento tra la quota stradale e il nuovo livello di Ramses Square 9 Hemeroscopium House Abitazione a Las Rozas, Madrid Antón García-Abril – Ensamble Studio a cura di Federica Maietti Per i greci, l’Hemeroscopium è il luogo in cui il sole tramonta. Un’allusione a un luogo che esiste solo nella nostra mente, nei nostri sensi, costantemente mutevole, ma, nonostante ciò, reale. Esso è circoscritto dai limiti dell’orizzonte, dai limiti fisici, definiti dalla luce e dallo scorrere del tempo. La Hemeroscopium House a Madrid racchiude uno spazio domestico e un orizzonte lontano; questa dimensione ambivalente è ottenuta giocando con le strutture collocate in un equilibrio apparentemente instabile e che realizzano uno spazio per vivere consentendo allo stesso tempo la sensazione di infinito, di fuga, attraverso strutture massicce e fortemente caratterizzate, disposte in modo da indurre la gravità a muovere lo spazio. E in questo modo definendo gli spazi. Il modo in cui queste strutture si ergono genera un’elica che scaturisce da un supporto fisso e stabile, la trave principale, e si sviluppa verso l’alto in una sequenza di elementi che diventano sempre più leggeri mano a mano che la struttura sale, chiudendosi in un punto che rappresenta il culmine del sistema di equilibrio. Questo sistema è costituito complessivamente da sette elementi. Il progetto dei loro nodi di connessione corrisponde alla loro natura costruttiva, alla loro forza, e le loro spinte esprimono la sollecitazione cui sono sottoposte. La struttura è così configurata e, in questo modo, la casa diventa aerea, leggera, trasparente, e lo spazio racchiuso Vista della Hemeroscopium House, Las Rozas, Madrid. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio 10 all’interno fuoriesce con forza ed energia vitale. L’apparente semplicità dei nodi della struttura ha richiesto in realtà complessi studi finalizzati al calcolo dell’armatura, alla precompressione e alla post-tensione dei tondini di acciaio che costituiscono la gabbia delle travi. È occorso un anno per calcolare la struttura e solamente sette giorni per realizzarla, grazie alla totale prefabbricazione dei diversi elementi e a un perfetto ritmo di coordinazione nella fase di assemblaggio. Tutti gli sforzi sono stati orientati allo sviluppo della tecnologia che avrebbe consentito di creare questo particolare spazio e, perciò, un nuovo stupefacente linguaggio è stato inventato, dove le forme scompaiono dando vita allo spazio nudo, libero. La Hemeroscopium House materializza il picco di questo equilibrio, che lo Studio Ensamble chiama ironicamente “Punto G”, venti tonnellate di granito espressione della forza di gravità e contrappeso fisico a tutta la struttura. Testo originale di Antón García-Abril Sito internet www.ensamble.info Le strutture sono collocate in un equilibrio apparentemente instabile. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio Tutta la struttura si sviluppa a partire dalla trave principale. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio 11 SCHEDA PROGETTO Progetto Hemeroscopium House Localizzazione Las Rozas – Madrid, Spagna Progettisti Antón García-Abril Ensamble Studio Collaboratori Elena Pérez Débora Mesa Marina Otero Ricardo Sanz Jorge Consuegra Cronologia Progetto: 2005 Realizzazione: 2008 Vista dello spazio esterno coperto e del sistema di appoggi della struttura. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio 12 Fasi del cantiere. La struttura è stata realizzata in soli sette giorni grazie alla totale prefabbricazione dei diversi elementi e del ritmo di coordinazione nella fase di assemblaggio. Photo Credit Ensamble Studio 13 Fasi di realizzazione dell’abitazione mediante la posa in opera degli elementi prefabbricati. Photo Credit Ensamble Studio Tutti gli sforzi sono stati orientati allo sviluppo della tecnologia che avrebbe consentito di creare questo particolare spazio. Photo Credit Ensamble Studio L’apparente semplicità dei nodi della struttura ha richiesto in realtà complessi studi finalizzati al calcolo dell’armatura. Photo Credit Ensamble Studio 14 “Car Experience” Museo dell’Automobile a Nanchino, Cina 3GATTI Architecture Studio di Francesco Gatti “Car Experience” è il progetto per un edificio incentrato sull’automobile; l’automobile come oggetto del desiderio, mondo da esplorare, tecnologia da studiare, oggetto da esporre e mezzo grazie al quale navigare attraverso l’edificio. Qui il mondo dell’automobile e della macchina si interseca con il mondo dell’umano e dell’organico creando una nuova tettonica con sistemi diversi da quelli usuali formati da spazi piani, squadrati ed a misura d’uomo. Qui tutto è a misura di automobile, qui la macchina è il sistema di riferimento. Non ci saranno più piani e scale, muri ed ascensori, ma rampe, che sinuose salgono gradualmente creando uno spazio fluido, dove i flussi di auto si possano muovere liberamente e raggiungere i vari livelli dell’edificio. Nella grande scala lo spazio ricorderà tettonicamente quello stradale, avendo una struttura simile ad un autodotto o ad un parcheggio, ma nella piccola scala sarà complesso, ergonomico e sofisticato come quello degli interni di un’autovettura. La struttura principale dell’edificio sarà una rampa a spirale divisa da una vetrata in una parte interna ed una esterna. Nella parte interna, riservata ai pedoni, la pendenza sarà dolce e graduale, in quella esterna dove la pendenza sarà più brusca ed estrema ci sarà la circolazione delle automobili. La tipologia dell’edificio si sviluppa in un percorso sequenziale, simile alla struttura di un film, dove la protagonista indiscussa è l’automobile. Il progetto si propone di diventare un punto di riferimento internazionale nel mondo dell’automobile ed un landmark inconfondibile nel territorio di Nanchino 15 Il visitatore, come lo spettatore di un film, è costretto, frame dopo frame, a seguire il percorso spaziale e narrativo imposto dall’architettura del museo. Il visitatore entrerà nel museo con la propria automobile iniziando il percorso espositivo come in un safari, salendo la spirale esterna in uno spazio stradale “estremo”, formato da salite e discese che creeranno una superficie ondulata per esporre le automobili in diverse angolazioni e poterle osservare alternativamente dal basso e dall’alto. Questo movimento alternato e funzione ludicofunzionale creerà un conseguente movimento nella facciata dell’edificio, che si presenterà come un foglio di cartone ripiegato e “spieghettato” più volte, dove ogni piega sarà la scusa per esporre, in un’inclinazione adeguata, le automobili agganciate al pavimento inclinato. Il percorso espositivo del visitatore automunito partirà quindi dal piano terra per salire attraverso la rampa a spirale fino al soffitto dell’edificio. Qui potrà parcheggiare la macchina ed entrare all’interno del museo per scendere a piedi nel percorso espositivo sulla spirale con inclinazione più dolce e tornare al pian terreno. Dal piano terra, grazie ad un ascensore, potrà tornare sul soffitto a prendere la macchina o in caso possieda macchina con autista potrà andare direttamente via dal parcheggio temporaneo all’uscita del pian terreno. In questo modo il percorso espositivo sarà diviso in due tipi di esperienze. La prima sarà un’esperienza a salire, all’interno della propria automobile. La salita si svilupperà in un percorso cronologico che parte dalle auto più moderne in basso per arrivare alle auto d’epoca sul livello più alto. In questo percorso si partirà da un livello di rappresentanza dove il soffitto sarà alto 9 metri per arrivare gradualmente in alto alla fine della spirale dove il soffitto sarà di soli 4,5 metri di altezza. La rampa carrabile sarà discontinua creando, con brusche salite e discese, il continuo cambiamento del punto di vista dell’osservatore e l’inclinazione delle autovetture esposte, generando un esperienza diversificata e ricca di stimoli visivi e percettivi. La seconda sarà un esperienza a scendere a piedi. La discesa al contrario dell’esperienza precedente Il visitatore entrerà nel museo con la propria automobile iniziando il percorso espositivo come in un safari Il masterplan del museo Schema di analisi dei flussi di circolazione. Il percorso espositivo del visitatore automunito partirà dal piano terra per salire attraverso la rampa a spirale fino al soffitto dell’edificio 16 partirà cronologicamente dall’esposizione delle auto d’epoca fino ad arrivare alle auto più moderne al pian terreno. La rampa a spirale a scendere avrà un’inclinazione che si alterna dolcemente da 0 a 7%, quindi sarà un pavimento inclinato in maniera impercettibile che come uno scivolo porterà il visitatore fino al pian terreno con il minimo sforzo. In questo modo si fará godere a pieno la passeggiata per non distrarre la concentrazione del visitatore con gradini, ascensori ed altri ostacoli nel movimento, in modo che lo sguardo possa essere sempre libero nella percezione fluida dell’esposizione. La superficie della rampa sarà costellata di “scatole” di vetro che emergeranno dal pavimento e dal soffitto raggiungendo diverse altezze a seconda delle funzioni che racchiudono. Ogni prisma di vetro racchiuderà una funzione diversa. L’intensità di questi volumi sarà alternativamente minore o maggiore a seconda se lo spazio sarà adibito a funzioni in open space, o a funzioni che richiedano maggiore privacy come uffici, sale riunioni, sale per conferenze, laboratori, bagni e cucine. La facciata dell’edificio sarà completamente permeabile alla vista e svelerà immediatamente il gioco dei piani e la fluidità della spirale interna ed esterna. L’edificio si presenterà come un espositore di automobili a scala urbana, con le sue pieghe accattivanti cariche di scintillanti autovetture. Questo progetto si propone di diventare un punto di riferimento internazionale nel mondo dell’automobile ed un landmark inconfondibile nel territorio di Nanchino, immediatamente riconoscibile da chiunque percorra le strade circostanti ma anche visibile dal cielo e perché no anche dal satellite da dove sempre maggiori internetnauti esplorano le bellezze del globo. SCHEDA PROGETTO Progetto Museo dell’Automobile Primo Premio Concorso Internazionale ad inviti Localizzazione Jiangning area, high-tech zone, Nanchino, Cina Progettisti 3GATTI Architecture Studio Chief architect: Francesco Gatti Project manager: Summer Nie Collaboratori: Nicole Ni, Muavii Sun, Jimmy Chu, Luca Spreafico, Damiano Fossati, Kelly Han Committente Jiangsu Head Investment group CO., LTD Cronologia Progetto: Maggio 2008 Realizzazione (prevista): 2009 Vista aerea. L’edificio si presenterà come un espositore di automobili a scala urbana, con le sue pieghe accattivanti cariche di scintillanti autovetture Sito internet www.3gatti.com Immagini e disegni di 3GATTI Architecture Studio Il percorso espositivo interno riservato ai pedoni 17 Sezione B-B Prospetto Nord-Est Sezione C-C Prospetto Nord-Ovest Sezione D-D Prospetto Sud-Est Sezione E-E Prospetto Sud-Ovest 18 Origami concept 19 Origami concept 20 Schemi strutturali. Il mondo dell’automobile e della macchina si intersecano con il mondo dell’umano e dell’organico, originando una nuova tettonica “a misura di automobile” Vista notturna. La facciata dell’edificio sarà completamente permeabile alla vista e svelerà immediatamente il gioco dei piani e la fluidità della spirale interna ed esterna 21 Raising of a bunker Studi per artisti, Francoforte INDEX Architekten a cura di Federica Maietti Vista del bunker nell’area adiacente l’Osthafen, a Francoforte, trasformato in un centro culturale La riorganizzazione dell’Ostahfen, il molo est aperto per la prima volta nel 1912, costituisce uno dei più grande interventi, e una delle più grandi sfide, che la città di Francoforte intende effettuare nei prossimi anni per quanto riguarda la pianificazione urbana. Tutto il distretto che circonda il Großmarkthalle, il vecchio mercato di frutta e verdura, sta tuttora subendo un processo di cambiamento strutturale. Sono già in atto disposizioni finalizzate alla ricostruzione della zona ovest della città, lungo il margine del molo est in cui si erge l’edificio della European Central Bank, ma, nonostante queste strategie di pianificazione urbana in corso di realizzazione, nell’area adiacente l’Osthafen ci si trova immersi in un vero e proprio mondo a parte: una terra di nessuno tra cumuli di ghiaia e montagne di macerie, cataste di prodotti riciclati e containers che aspettano il trasporto. In una delle strade diritte e polverose della zona, nascosto tra gli edifici residenziali, si trova un bunker della Seconda Guerra Mondiale. La continua ricerca di fabbricati da utilizzare come contenitori a basso costo atti a soddisfare le esigenze degli artisti ha fornito ai progettisti l’idea di trasformare il bunker in un domicilio culturale che avesse anche la funzione di motore per le future trasformazioni di tutta la zona. La giustificazione dell’intervento era il cedimento del fianco del tetto che avrebbe necessitato riparazioni piuttosto dispendiose; l’eventuale demolizione dell’edificio era stata comunque esclusa per motivi economici, poiché si sarebbe trattato di un’operazione ancora più dispendiosa. Il bunker è stato così trasformato in un grande 22 Schizzo di studio del progetto di trasformazione del bunker cantiere e il centro culturale è stato completato nel 2005. Come una sorta di montagna che si eleva nel centro cittadino, è stata collocata una scatola di legno, economica per quanto riguarda sia il materiale che la realizzazione, ingabbiata in una struttura in metallo al fine di ospitare studi per artisti e l’Istituto di New Media. All’interno del preesistente massiccio nucleo centrale in cemento armato sono state collocate sale prove e stanze in cui i musicisti possono esercitarsi. Il blocco in legno chiaro, la cui forma e materiali si ispirano allo stile degli edifici circostanti l’area del dock, è circondato da una galleria con le zone comuni all’esterno, che dialogano apertamente con la città e allo stesso tempo assolvono il compito di uscite d’emergenza per gli studi. Le pareti che tagliano la facciata non solo regolano l’incidenza dei raggi del sole, costituendo una schermatura agli ambienti, ma hanno anche la funzione di animare la facciata stessa. Sito internet www.index-architekten.de Immagini degli autori Vista aerea della zona dell’Ostahfen a Francoforte, attualmente oggetto di forti trasformazioni, e localizzazione del bunker Il progetto Raising of a Bunker è tra le opere realizzate da professionisti segnalate alla sesta edizione del Premio Internazionale Architettura Sostenibile 2009 durante la premiazione avvenuta lo scorso 27 maggio presso Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara. Vista laterale dell’edificio. È visibile la galleria esterna in cui sono collocate le zone comuni del centro culturale 23 SCHEDA PROGETTO Progetto Culture bunker Localizzazione Ostahfen, Francoforte Committente Department for Sience and Art, Francoforte Progetto INDEX Architects, BDA Project management Structural Engineering Department of the City of Frankfurt Tipologia Studi per artisti/Institut for New Medias INM Volume complessivo 3.470 mc Superficie utile 595 mq Realizzazione 2005 In una delle strade diritte e polverose della zona, nascosto tra gli edifici residenziali, si trova il bunker della Seconda Guerra Mondiale trasformato in domicilio culturale, motore per le future trasformazioni della zona Sezione longitudinale: nel nucleo centrale sono collocate le sale prove per i musicisti, nella scatola lignea, studi per artisti e l’Istituto di New Media Vista della scatola di legno ingabbiata nella struttura metallica collocata al di sopra del preesistente massiccio nucleo centrale in cemento armato Il blocco in legno chiaro, la cui forma e materiali si ispirano allo stile degli edifici circostanti l’area del dock, è circondato da una galleria con le zone comuni all’esterno 24 Dettaglio della “gabbia metallica”, involucro della nuova struttura lignea Vista notturna dell’edificio Vista notturna dell’edificio. Dettaglio della galleria esterna 25 MAXXI: un campus per la cultura Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma Zaha Hadid Architects* di Mirco Vacchi “An interesting thing about the museum in Rome is that is no longer an object, but rather a field, which implies that many programs could be attached to the museum. It’s no longer a museum, but a center. Here we are weaving a dense texture of interior and exterior spaces. It’s an intriguing mixture of permanent, temporary and commercial galleries, irrigating a large urban field with linear display surfaces. It could be a library; there are so many buildings that are not standing next to, but are intertwined and superimposed over, one another. This means that, through the organizational diagram, you could weave other programs into the whole idea of gallery spaces. You can make connections between architecture and art – the bridges can connect the and make them into one exhibition. That gives you the interesting possibility of having an exhibition across the field. You can walk through a whole segment of a city to view spaces. In Rome, the organization will allow you to have exhibitions across the field, but they can also be very compressed, so you have a great variety”. Zaha Hadid Il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo è il primo museo pubblico nazionale dedicato alla creatività contemporanea. È un’istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali che sarà gestita da una nuova fondazione presieduta dall’architetto Pio Baldi, il dirigente del MiBAC che ha seguito il progetto in ogni sua fase. La sua sede definitiva, progettata dall’architetto Zaha Hadid (vincitrice del concorso internazionale del 1999), è in via di ultimazione nel quartiere Flaminio di Roma, nell’area dell’ex caserma Montello dove, dal 2003, un grande cantiere di sperimentazione e innovazione sta progressivamente dando vita al nuovo, avveniristico museo, che sarà inaugurato nella primavera del 2010. Il complesso ospita due istituzioni: MAXXI Arte (direttore Anna Mattirolo) e MAXXI Architettura (direttore Margherita Guccione), volte a promuovere l’arte e l’architettura attraverso la raccolta, la conservazione, lo studio e la diffusione dei linguaggi più attuali. Ad oggi, fanno parte della collezione del MAXXI Arte oltre 300 opere, tra cui quelle di Boetti, Clemente, Kapoor, Kentridge, Merz, Penone, Pintaldi, Richter, Warhol e molti altri di altrettanto rilievo. Il MAXXI Architettura comprende gli archivi dei disegni di Carlo Scarpa, Aldo Rossi, Pierluigi Nervi ed altri, oltre ai progetti di autori contemporanei come Toyo Ito, Italo Rota e Giancarlo De Carlo, e alle collezioni di fotografia dei progetti atlante italiano e cantiere d’autore. Pensato come vero e proprio campus delle arti e della cultura, pluridisciplinare e polifunzionale, il MAXXI crea per la città un luogo urbano fruibile da tutti, rifiutando l’idea di edificio “chiuso” per lasciare Il percorso pedonale che attraversa il campus scivola al di sotto degli elementi in aggetto dell’edificio ripristinando un collegamento urbano interrotto per quasi un secolo dal precedente impianto militare. Image Courtesy MAXXI 26 il posto ad una dimensione più ampia, che investe tanto gli spazi interni quanto quelli esterni, aperti al quartiere. Nei suoi circa 27mila mq, il MAXXI comprende – oltre ai due musei – un auditorium, una biblioteca e mediateca, un bookshop ed una caffetteria, spazi per esposizioni temporanee e spazi all’aperto per eventi dal vivo, attività commerciali, laboratori, luoghi per lo studio e lo svago. Un nuovo importante punto di riferimento per le istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero, così come per gli artisti, gli architetti e il pubblico più vasto. Il MAXXI si relaziona al contesto di insediamento riproponendo lo sviluppo orizzontale delle caserme preesistenti, contrapposto agli edifici residenziali più alti che la circondano. Lo schema geometrico del progetto si allinea con le due griglie che regolano la struttura urbanistica dell’area e la reinterpretazione di questi due schemi geometrici all’interno della proposta genera la sorprendente complessità geometrica del campus. Le due direttrici urbane sono mediate da linee sinuose che armonizzano lo schema e facilitano il flusso interno al sito. Il percorso pedonale che attraversa il campus segue la morbida sagoma del museo, scivolando al di sotto degli elementi in aggetto dell’edificio e ripristinando un collegamento urbano, interrotto per quasi un secolo dal precedente impianto militare. L’idea principale che informa il progetto è direttamente legata alla finalità dell’edificio come espositore di arti visive. Il sito è “solcato” da spazi espositivi, le pareti che attraversano lo spazio, la cui intersezione definisce spazio interno ed esterno. Questo sistema agisce su tre livelli, di cui il secondo è il più complesso e ricco di connessioni con vari ponti che collegano edifici e gallerie. Il visitatore è invitato quindi a tuffarsi in un denso spazio continuo piuttosto che confrontarsi al volume compatto di un edificio isolato. A fronte del segno architettonico deciso che predomina negli spazi aperti e nell’atrio, una spazialità sobria caratterizza le gallerie destinate a ospitare le collezioni dei due musei – MAXXI Arte e MAXXI Architettura –, disposti attorno ad una grande hall a tutta altezza dalla quale si accede agli spazi espositivi delle collezioni permanenti e alle mostre temporanee, all’auditorium, ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e al bookshop. Le forme fluide e sinuose, il variare e l’intrecciarsi delle quote determinano – anche grazie all’uso modulato della luce naturale – una trama spaziale e funzionale di grande complessità, offrendo itinerari di visita sempre differenti e inaspettati, dall’interno dell’edificio agli spazi aperti. Gli spazi interni, definiti dalle pareti espositive, sono coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio di luce naturale, filtrata da schiere di travetti di copertura che enfatizzano la linearità del sistema spaziale e favoriscono la lettura del complesso sistema di direzioni, sovrapposizioni e biforcazioni nel sistema delle gallerie. La linearità levigata delle pareti facilita la circolazione attraverso il campus e all’interno delle gallerie e tra gli oggetti in esposizione. Materiali come vetro (coperture), acciaio (scale e pilastri) e cemento (pareti) conferiscono allo spazio museale un aspetto neutro; pannelli mobili garantiscono la flessibilità degli allestimenti. Il sistema di copertura accoglie tutti i dispositivi tecnologici richiesti dalle funzioni museali: vi sono integrati serramenti, strumenti di filtro della luce solare, dispositivi per l’illuminazione artificiale e per il controllo ambientale. Gli spazi interni sono coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio di luce naturale, filtrata da schiere di travetti che enfatizzano la linearità del sistema spaziale. Image Courtesy MAXXI Siti internet www.maxxi.beniculturali.it www.zaha-hadid.com Il progetto di Zaha Hadid si integra nel tessuto della città con una soluzione architettonica articolata intorno all’idea di campus urbano fruibile da tutti. Image Courtesy MAXXI 27 Il campus MAXXI. Planimetrie dei livelli. Image Courtesy MAXXI La sorprendente complessità dello schema geometrico si basa sulla reinterpretazione delle due griglie che regolano la struttura urbanistica dell’area. Image Courtesy MAXXI 28 Le forme fluide e sinuose determinano una trama spaziale di grande complessità, offrendo itinerari di visita sempre differenti e inaspettati. Image Courtesy MAXXI Il sito è “solcato” pareti espositive che attraversano lo spazio, la cui intersezione definisce spazio interno ed esterno. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05) 29 Il MAXXI si relaziona al contesto di insediamento riproponendo lo sviluppo orizzontale delle caserme preesistenti, contrapposto agli edifici residenziali più alti che la circondano. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05) 30 Materiali come vetro (coperture), acciaio (scale e pilastri) e cemento (pareti) conferiscono allo spazio espositivo un aspetto neutro. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05) Gli spazi interni sono coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio di luce naturale, filtrata da schiere di travetti che enfatizzano la linearità del sistema spaziale. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05) 31 * Zaha Hadid è un architetto che costantemente sfida i limiti finora conosciuti nell’ambito dell’architettura, dell’urbanistica e del design. Con il suo lavoro di ricerca, Zaha Hadid persegue una continua esplorazione volta a definire nuovi concetti spaziali. Nel 2004 Zaha Hadid è stata insignita del Pritzker Prize, considerato il Premio Nobel dell’architettura, ed è internazionalmente conosciuta per il suo contributo in campo accademico. Fondamentale per Zaha Hadid è il rapporto tra architettura e paesaggio che, combinandosi assieme, portano a risultati inaspettati in termini di dinamismo delle forme. Tra le opere più importanti ricordiamo il Phaeno Science Center a Wolfsburg, Germania, che rappresenta appieno il risultato della ricerca di Zaha Hadid verso la definizione di complesse forme di spazio caratterizzate da dinamismo e fluidità. Altre opere come il Rosenthal Center for Contemporary Arts in Cincinnati, USA, e il Central Building dello stabilimento BMW di Lipsia in Germania, vengono acclamate come esempi di un’architettura che trasforma l’idea di futuro attraverso inesplorati concetti spaziali e forme visionarie. Al momento, Zaha Hadid sta lavorando ad un vasto numero di progetti tra i quali: l’Aquatic Centre per le Olimpiadi di Londra del 2012; le Signature Towers a Dubai; il Performing Arts Centre ad Abu Dhabi; il Teatro dell’Opera a Guangzhou, Cina; residenze private negli Stati Uniti e in Russia; masterplans in Spagna, Istanbul e Medio Oriente. In Italia, Zaha Hadid sta lavorando al progetto CityLife nell’ambito della riqualificazione dell’area della vecchia Fiera di Milano; al Museo di Arte Nuragica e Contemporanea di Cagliari; al nuovo Terminal marittimo del porto di Salerno; alla nuova Stazione Ferroviaria di Napoli-Afragola; oltre naturalmente al MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, che aprirà a Roma nel 2009. Il lavoro e le opere di Zaha Hadid sono stati oggetto di numerose mostre in tutto il mondo tra cui una retrospettiva nel 2006 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e nel 2007 al Design Museum di Londra. I NUMERI DEL MAXXI SCHEDA PROGETTO Dimensioni Superficie totale del lotto: 29.000 mq Spazi esterni: 19.640 mq Spazi interni: 21.200 mq Superficie espositiva: 10.000 mq Servizi (auditorium, bibliomediateca, caffeteria, ristorante, ecc.): 6.000 mq MAXXI arte: 4.077 mq MAXXI architettura: 1.935 mq Volume totale: 113.000 mc Altezza massima: 22,90 mt Dati della costruzione Demolizioni preesistenze: 100.000 mc Acciaio per le strutture: 6.000.000 kg Acciaio per le carpenterie della copertura: 700.000 kg Calcestruzzo gettato in opera per la realizzazione delle strutture: 50.000 mc Superficie di cassero: 40.000 mq (di cui 20.000 mq a faccia vista) Superfici vetrate lucernai: 2.600 mq Occupati nel cantiere MAXXI: 100 persone in media al giorno (tecnici e operai) per 1500 giorni Ore di lavoro nel cantiere: 1.250.000 Costo dell’opera: 150 milioni di euro Visitatori previsti: tra 200 e 400mila l’anno Progetto MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo Localizzazione Roma Progettisti Progettisti Zaha Hadid e Patrik Schumacher Capoprogetto Gianluca Racana [Zaha Hadid Limited] Team di progetto Paolo Matteuzzi, Anja Simons, Fabio Ceci, Mario Mattia, Maurizio Meossi, Paolo Zilli, Luca Peralta, Maria Velceva, Matteo Grimaldi, Ana M.Cajiao, Barbara Pfenningstorff, Dillon Lin, Kenneth Bostock, Raza Zahid, Lars Teichmann, Adriano De Gioannis, Amin Taha, Caroline Voet, Gianluca Ruggeri, Luca Segarelli, ABT David Sabatello e Giancarlo Rampini Strutture Anthony Hunt Associates, OK Design Group Impianti Max Fordham and Partners, OK Design Group Illuminotecnica Equation Lighting Acustica Paul Gilleron Acoustic Committenza Ministero per i Beni e le Attività culturali Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee Direttore generale Francesco Prosperetti Presidente Fondazione MAXXI Pio Baldi Direttore MAXXI Architettura Margherita Guccione Direttore MAXXI Arte Anna Mattirolo Segreteria tecnica Francesca Fabiani Architetti di staff Carlo Birrozzi, Francesca Fabiani, Alessandra Fassio, Alessandra Mele, Esmeralda Valente, Alessandra Vittorini, Elisabetta Virdia Cronologia 1998 Il Ministero della Difesa cede l’area delle ex caserme Montello al MiBAC che programma la realizzazione di un Centro nazionale per le arti contemporanee 1999 Concorso internazionale di progettazione. Arrivano 273 proposte, tra cui la giuria Seleziona 15 finalisti. Il progetto vincitore è quello di Zaha Hadid 2000 Avvio della progettazione preliminare 2001 Il MiBAC istituisce la DARC, la Direzione generale per l’architettura e l’arte contemporanee 2002 Viene bandita la gara d’appalto integrato per la progettazione e realizzazione, vinta dall’ATI MAXXI 2006 (ITALIANA COSTRUZIONI SpA e SAC - Società Appalti Costruzioni SpA) 2003 Inizio delle demolizioni e, il 20 marzo, avvio ufficiale al cantiere con la cerimonia di posa della prima pietra 2004 Il cantiere procede con sbancamenti, demolizioni e realizzazione delle fondazioni 2005 Realizzazione piano interrato e inizio posa delle strutture in elevazione 2006 Costruzione di strutture in elevazione, solai e setti in cemento armato a faccia vista 2007 Inizio montaggio copertura, chiusura strutture in elevazione a faccia vista 2008 Chiusura delle coperture, sistemazioni esterne 2009 Finiture interne e allestimenti 2010 Allestimento collezioni e inaugurazione ufficiale entro la primavera 32 Nei suoi circa 27mila mq, il MAXXI comprende – oltre i due musei – auditorium, biblioteca e mediateca, bookshop e caffetteria, spazi espositivi temporanei e spazi all’aperto per eventi dal vivo, attività commerciali, laboratori, luoghi per lo studio e lo svago. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05) 33 Cantiere MAXXI: un’eccellenza italiana a cura di MAXXI 2006 s.c.ar.l Il cantiere del MAXXI visto dall’alto. Image Courtesy MAXXI La sfida della qualità posta dal MAXXI, progetto fuori dai canoni standard dell’edilizia per caratteri costruttivi e prestazionali, è stata vinta anche grazie al contributo fondamentale di architetti, ingegneri, tecnici e maestranze italiani, facenti capo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, al Ministero delle Infrastrutture e alle due imprese del Consorzio MAXXI 2006: ITALIANA COSTRUZIONI S.p.A. del gruppo Navarra, in qualità di capo gruppo mandataria, e SAC – Società Appalti Costruzioni S.p.A. del gruppo Cerasi, in qualità di mandante. Cantiere “italiano”, dunque, ma nel contempo internazionale: per il confronto costante con i progettisti dello studio Hadid, presenti in fase esecutiva come Direzione Artistica, e la necessità di relazionarsi con i mercati internazionali di prodotti per l’edilizia più evoluti e all’avanguardia. La committenza ha affidato al consorzio d’imprese appaltatrici, nel quadro di un contratto di appalto integrato, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dell’opera (design and build). Il consorzio Maxxi2006, in qualità di contractor, è stato il referente responsabile, in fase esecutiva, della gestione di un organigramma operativo complesso, connotato dal carattere sperimentale delle lavorazioni, articolato principalmente in quattro settori: produzione, ufficio tecnico, ufficio acquisti e settore amministrativo. Il processo di “design and build ” del MAXXI La realizzabilità dell’edificio non poteva essere confinata nel circuito delle consuetudini del cantiere tradizionale ed un obiettivo così ambizioso si è reso raggiungibile solo attingendo ad un’eccellenza imprenditoriale. Soluzioni costruttive integrate, sperimentazione su materiali ed applicazioni sitespecific, ottimizzazione della gestione logistica di cantiere, apertura di nuovi mercati internazionali di prodotti per l’industria delle costruzioni rappresentano alcune chiavi di lettura della complessità della commessa Maxxi. Soluzioni costruttive integrate. La progettazione esecutiva dell’appaltatore ha fornito, fin dalle proposte tecniche migliorative presentate in fase di gara, soluzioni costruttive integrate con il contributo diretto dei settori impegnati nella realizzazione dei componenti. La presa in carico delle richieste delle prestazioni architettoniche del progetto, occultamento del dettaglio tecnologico all’interno degli allineamenti dell’involucro e minimizzazione dei giunti costruttivi dei materiali a favore di una lettura unitaria dei campi e l’esigenza di assicurare una precisa corrispondenza della forma ai materiali ed ai metodi costruttivi, ha richiesto lo sviluppo di linee produttive ad hoc per la commessa, in cui l’industrializzazione si è espressa con margini di artigianalità molto evoluti. Il sistema cassero e la copertura sono tra le espressioni più rilevanti di questo transfert di qualità on demand dalla progettazione all’industria di componenti: – Il sistema copertura. La configurazione parametrica mistilinea di tutti i componenti in opera, la cui matrice di assemblaggio, con un sistema di tolleranze non proprie ad un manufatto industriale, va a coincidere con le linee di forza del progetto, ha reso necessario attivare linee di produzione di pezzi speciali fuori catalogo sperimentando la fattibilità di applicazioni sitespecific. La necessità di ottenere conforto su scala reale delle previsioni progettuali ha reso indispensabile l’esecuzione di un prototipo che, secondo una logica operativa ben più complessa della semplice campionatura, in scala reale, riproponesse l’intero sistema di copertura pensato per le suite. È stata pertanto ricostruita, presso gli stabilimenti del fornitore – Lorenzon Techmec System S.p.A. – una significativa porzione di galleria in scala reale (12.5m x 1.6m x 4.5m), completa di tutti i previsti sistemi portanti (carpenterie metalliche: travi principali e travi secondarie a lamella) e portati 34 (serramentistica, gusci in GRC, tende filtranti e oscuranti, diffusori, corpi illuminanti, impianto di lavaggio specchiature vetrate, ecc.) con lo scopo di verificare, in rapporto ai requisiti attesi di carattere architettonico e strutturale e stante l’unicità del sistema, l’eventuale presenza di “conflitti” non prevedibili in sede progettuale. – I casseri del Maxxi. Le prestazioni architettoniche di continuità, omogeneità e compattezza di texture richieste alle superfici in scc (self compacting concrete) gettate in opera hanno rappresentato uno degli input più vincolanti del processo. Operativamente il coordinamento delle linee guida delle fasi di getto emesse della Direzione Artistica (Zaha Hadid ltd), si è interfacciato con la progettazione strutturale delle armature e carpenterie (curata per il consorzio dal prof. Giorgio Croci e dall’architetto Aymen Herzalla), il progetto e la realizzazione delle casseforme fuori standard (PERI che ha prodotto 2200 elaborati), il mix design della miscela (consulente prof. ing. Mario Collepardi, fornitore Calcestruzzi s.p.a) e le criticità della posa in opera del calcestruzzo in relazione al ritiro, viscosità, deformabilità delle centine curate direttamente dalla direzione di cantiere. Il controllo del posizionamento dei giunti di ripresa, la divisione in conci di notevole dimensione, il fitting della matrice costruttiva del faccia vista con le geometrie di progetto, l’inserimento delle predisposizioni per l’integrazione di sottosistemi costruttivi all’interno dell’involucro (impianti, carpenterie, dispositivi antisismici, etc.) si sono tradotti nella progettazione e la realizzazione di un sistema di casseforme modulari fuori catalogo, la cui geometria corrisponde al negativo della forma architettonica. Sperimentazione su materiali ed applicazioni site specific. La costruzione del MAXXI si sottrae all’imperativo dell’ottimizzazione economica, il carattere identificativo dell’opera travalica il tempo di esecuzione: entrano in gioco le variabili della sperimentazione, della prototipazione di parti costruttive per la messa a punto di tecnologie innovative. Alcune delle sperimentazioni portate avanti nel Maxxi aggiungono conoscenze significative nel campo delle applicazioni tecnologiche dell’architettura contemporanea. Ne è un esempio rilevante la speciale miscela di cemento autocompattante messa a punto dalla ENCO del prof. Collepardi per il Maxxi, 3SCC, che presentava una serie di problematiche legate al controllo dell’elemento finito e alla messa a punto di una procedura standardizzabile in termini di previsione di tempi e costi. La miscela è stata oggetto di numerose pubblicazioni specialistiche. Logistica ed organizzazione di cantiere. La cantierizzazione, fase a valle del processo, non ha semplicemente applicato parametri consolidati da conoscenze tecniche, gestionali ed operative standard ma ha inventato, ex-novo, nuovi canoni di produttività che potranno servire a costruire opere a carattere sperimentale e prototipale similari al MAXXI. La verifica della fattibilità tecnica e della sostenibilità economica delle lavorazioni, il coordinamento della tempistica di costruzione, le specificità della cantierizzazione di sistemi che non fanno riferimento ad uno schema tipologico ripetitivo, ha reso l’esperienza della cantierizzazione un sistema aperto alla ricerca, continua, di metodologie per il rendimento delle fasi operative del cantiere. La presa in carico delle particolarità costruttive del calcestruzzo armato ha determinato un aumento delle difficoltà logistiche di gestione di tutti gli aspetti operativi correlati al getto: movimentazione di casseforme di grande dimensione, posa in opera di banchinaggi, gestione all’interno del cantiere di una centrale di betonaggio per la produzione in-site della miscela di SCC. Apertura di nuovi mercati di prodotti. Le qualità formali del progetto architettonico, espresse nel quadro di vincoli prestazionali, ha portato alla ricerca di materiali disponibili sul mercato con la necessità di relazionarsi con realtà internazionali di prodotti per l’edilizia più evoluti e all’avanguardia, alcuni di questi sono: – dalla Germania provengono i casseri ed i vetri del lucernaio di copertura – dalla Svizzera i prodotti per l’isolamento termico – dalla Francia i teli polimerici traslucidi dei 35 controsoffitti e le lastre termoformabili per la realizzazione degli arredi fissi – dall’Austria i corpi illuminanti. Il progetto esecutivo strutturale Lo sviluppo del progetto esecutivo delle strutture in c.a. condotto, per conto dell’Appaltatore, dal prof. Giorgio Croci e dall’arch. Aymen Herzalla ha richiesto un grande impegno di ingegneria strutturale; per la redazione del progetto è stato necessaria la partecipazione di un work-group di 38 professionisti, tra ingegneri ed architetti. L’intero impianto architettonico si basa sul paradigma strutturale e costruttivo del setto portante in calcestruzzo armato faccia vista; la matrice statica dell’edificio è rappresentata dalle forme fluide e dinamiche che si snodano come un nastro nello spazio, sospesa nel vuoto con pochi e irregolari appoggi che, tra l’altro, devono tener conto degli effetti sismici e termici su lunghezze proprie più dei ponti che non degli edifici. La complessità dei problemi incontrati riguarda tutte le fasi progettuali-costruttive. La concezione strutturale ha in primo luogo ottimizzato la distribuzione dei vincoli in modo da favorire il flusso delle forze dall’elevazione alle fondazioni, ridurre gli effetti torsionali, consentire le dilatazioni termiche. I vincoli, inoltre, sono stati progettati in modo da diventare “rigidi” sotto l’effetto del sisma, utilizzando speciali apparecchi (shock- transmitter) che consentono appunto di far lavorare la struttura come se fosse continua sotto l’effetto delle azioni dinamiche. La verifica del progetto strutturale si è sviluppata con il supporto di programmi specifici di calcolo, alcuni inediti, considerando in ogni fase più di 70 combinazioni di carico, compresa la deformabilità del suolo. Le armature sono state determinate con un programma che ha consentito l’ottimizzazione della distribuzione e delle quantità. I materiali. Si è impiegato calcestruzzo di elevate caratteristiche meccaniche e lavorabilità tale da restare a vista sulle superfici delle pareti. L’uso dell’acciaio è stato limitato alle scale, ad alcune zone specifiche e alle coperture, ove leggere travi metalliche consentono il passaggio della luce, filtrata da un sistema di diffusori regolabili. La realizzazione. Le fasi costruttive hanno seguito procedure rigorose in relazione al ritiro, viscosità, deformabilità delle centine e così via. Nelle zone più delicate è stato messo in opera un sistema di martinetti e un monitoraggio idraulico in modo da regolarizzare deformazioni e forze in una struttura altamente iperstatica. Siti internet www.italianacostruzionispa.it www.sacspa.com Dove non diversamente indicato, Foto di visionet (www.flickr.com/photos/visionet-art). Immagini dei lavori di ampliamento del Maxxi di Roma, opera di Zaha Hadid. Cantiere aperto in occasione del Roma Art Weekend – 10 ottobre 2008. I DATI COSTRUTTIVI DEL PROGETTO Opere in cls – Opere provvisionali, banchinaggi, ponteggi e casseforme, per un valore di 14.000.000 euro (il cantiere europeo più grande della Peri S.p.A.) – Cassaforme per un totale di 30.000 mq di cui: 22.000 mq rettilinei 2.700 mq curvilinei verticali 2.500 mq rettilinei inclinati 2.900 mq curvilinei inclinati tra questi 16.000 mq di cassaforma per a faccia vista – Calcestruzzo SCC gettato in opera 30.000 mc – Acciaio impiegato per le strutture 6.000.000 Kg – 2.400 elaborati PERI per la progettazione costruttiva della cassaforme e dei banchinaggi Copertura – Pannelli vetrati per 3.000 mq – Acciaio per le carpenterie di copertura 700.000 Kg – Lamelle 2.100 ml di cui: 1.300 ml lineari 800 ml curve – Gusci in GRC 4.200 ml – 650 elaborati per la progettazione costruttiva della copertura – Prototipi realizzati in stabilimento: 1 prototipo architettonico 1 prototipo strutturale 1 prototipo impiantistico 1 prototipo illuminotecnica Vetrate verticali – Superfici di vetro stratificato 1.000 mq – Superfici di vetro REI con omologhe speciali 200 mq Scale – Carpenteria per le strutture 360.000 Kg – Carter di lamiera di acciaio per rivestimento 100.000 Kg – Telo traslucido per box luminosi 370 mq 36 37 Chao Phraya River Memorial, Tailandia Fars Studio* a cura di Mirco Vacchi La Municipalità di Nakorn Sawan e l’Associazione degli Architetti Siamesi, con il Patrocinio Reale (ASA), hanno indetto un concorso internazionale per la progettazione di un landmark commemorativo dedicato alla storia del fiume Chao Phraya, la più importante arteria fluviale della Tailandia, scegliendo come area di intervento il punto in cui esso nasce e prende forma, in corrispondenza della confluenza tra i quattro tributari Ping, Wang, Yom e Naan. Il contesto prescelto presenta caratteristiche assolutamente straordinarie, prima fra tutte la sorprendente variazione di oltre 9 metri tra i livelli di alta e di bassa marea durante la stagione delle piogge. La parte settentrionale del fiume è contraddistinta da una colorazione verde, mentre quella meridionale è di colore rosso. Oltre il punto di unione con i quattro affluenti, il verde e il rosso permangono lungo il Chao Phraya, creando una variopinta fascia di risonanza. L’importanza di questo luogo, abbandonato da molto tempo proprio a causa del fenomeno delle piene, non è tuttavia legata soltanto ai particolari fenomeni naturali, ma anche in virtù del suo profondo legame con la storia del Regno. Il progetto vincitore del concorso, a firma dello studio tailandese Fars Studio, è stato concepito per essere posizionato sull’estremità dell’isola coincidente con il punto di confluenza tra i corsi d’acqua, allo scopo di rivitalizzare l’area attirando sia i cittadini del 38 posto che turisti di diversa provenienza. Partendo dal presupposto che lo stesso sito è già di per sé un potenziale landmark, necessitando solamente di un elemento aggiuntivo capace di sottolineare in maniera “modesta” le sue peculiarità, la proposta ha l’obiettivo di riflettere la storia del fiume, la sua tradizione e una concezione di qualità della vita all’interno della città che può svilupparsi solo a particolari condizioni. Prima di tutto, nel contesto dell’isola Yom, la nuova architettura assumerà il ruolo di complemento della natura; niente può spiegare la bellezza della natura meglio del fiume stesso. Lungo un asse parallelo alla fascia di risonanza del fiume, si collocheranno una serie di nuovi spazi, strategicamente sopraelevati per offrire punti di osservazione privilegiati dell’ambiente fluviale e collegati da un unico percorso che guiderà i visitatori alla scoperta dei punti di maggiore interesse, come ad esempio quello in cui è possibile osservare contemporaneamente due fiumi, oppure quello in cui si può ammirare l’intera città che circonda il sito, fino al luogo in cui si può contemplare lo straordinario scenario prodotto dalla confluenza tra tutti i corsi d’acqua. In secondo luogo, percepita da lontano, esternamente all’isola, l’architettura si trasformerà in simbolo del fiume, sottoforma di fasce ondulate. Il nuovo edificio-ponte accentuerà la connessione visiva tra le rive del fiume, essendo visibile anche durante i periodi di piena, creando al contempo una relazione fisica tra le due parti ed invitando i visitatori ad oltrepassarlo. “L’essenza dell’architettura tradizionale Tailandese risiede nell’attenzione per la scala umana. – spiegano i progettisti – Per questo abbiamo generato una forma capace di soddisfare le due condizioni sopraccitate, senza dimenticare gli elementi tipici della produzione artistica ed architettonica locale. Sempre considerando la tradizione costruttiva del luogo e le particolari condizioni ambientali dovute alle elevate variazioni del livello del fiume, abbiamo deciso di utilizzare il cemento per la parte di struttura direttamente interessata dal fenomeno delle piene, l’acciaio per le parti restanti. Il rivestimento delle fasce ondulate è ottenuto dalla combinazione tra pannelli in rame ed elementi in legno”. *Fars Studio Co., Ltd or Far (Satapanik) Studio è stato fondato nel 2009 in Tailandia, dopo aver vinto il prestigioso concorso di progettazione per la realizzazione del Chao Phraya River Memorial. L’arte è stata creata per arricchire la vita delle persone. Lo stesso vale per l’architettura. Crediamo che l’estetica dell’architettura debba essere sostanziale. Detto questo, poiché ogni giorno una grande quantità di informazioni si muove rapidamente attraverso il mondo, una progettazione architettonica di qualità non dovrebbe limitarsi a soddisfare le esigenze della committenza, rappresentando ogni volta un’occasione per mostrarsi al mondo intero. Per questo cerchiamo costantemente idee che vadano al di là dei limiti della nostra conoscenza, per conferire unicità al nostro progetto, confrontandoci sia con il contesto, la cultura, l’ambiente, l’economia e le tecnologie costruttive locali, sia con i bisogni del cliente, in termini fisici ed estetici. Studio di progettazione multidisciplinare con base in Tailandia, Fars Studio è specializzato in architettura, interior design, grafica, con particolare interesse per le tipologie museali/commemorative. Allo scopo di soddisfare gli standard mondiali, ci teniamo costantemente aggiornati partecipando a numerosi concorsi. Come piccolo team composto da 6 membri, arricchiti da esperienze lavorative presso gli studi Skidmore, Owings and Merrill LLP (New York), e A49 Bangkok, (Thailand), abbiamo lavorato a numerosi progetti in diverse nazioni, tra cui India, Cina, Vietnam e USA. Sito internet www.farsstudio.com/ Immagini e testo originale di Fars Studio 39 SCHEDA PROGETTO Progetto Pasaan Localizzazione Koh-Yom, Nakorn Sawan, Tailandia Progettisti Fars Studio Co., Ltd. (Far (Satapanik) Studio) Project Team: Patchara Wongboonsin, Kraipop Tohtubtiang, Pirun Sittivichaporn, Nop Leetavorn, Ornnicha Duriyaprapan, Sasivimol Kositnapadej Committente Nakorn Sawan Municipality e Association of Siamese Architects under Royal Patronage Tipologia Museum/ Memorial Cronologia Progetto: 2008 40 41 42 43 44 Tokyo Apartment Project Complessità urbana a piccola scala di strutture de-oggettualizzate e visionarie Sou Fujimoto Architects* di Andrea Cantini “Se una piccola casa viene vista come una città, potrebbe essere interessante scoprirne l’infinita complessità. E se una città è vista come una grande casa, la scala enorme può dar luogo ad una nuova percezione dello spazio architettonico. Ad esempio, uno spazio urbano può essere immaginato come una stanza di un milione di metri cubi. Si tratta di una nuova immagine della città, distante della città tradizionale”. Sou Fujimoto A prima vista, questo progetto per un multi-family residence in un’area al centro di Tokyo sembra essere un insieme di 13 scatole a forma di “casa” accatastate alla rinfusa e disposte disordinatamente: un ammasso di forme primitive in equilibrio precario, quasi una raccolta di pedine di plastica del Monopoli. Il progetto sembra davvero impossibile e sorprendente, ma non è solo concettuale: ricorda un gioco di costruzioni dell’infanzia, ma al contempo si sottrae alle tradizionali disposizioni costruttive delle case di legno, approdando ad una eccezionale celebrazione di una complessa semplicità. Tokyo Apartment è un progetto di alloggio collettivo in cui l’archetipo di “casa” gioca un ruolo fondamentale e supera il puro elemento geometrico, costituendo la base per una libertà compositiva strana ed emozionante: una complessità urbana a piccola scala, dove gli appartamenti sono impilati e contrapposti tra loro formando un contenitore collettivo che assomiglia di più ad un villaggio verticale che ad un condominio. Un progetto che riflette propriamente il carattere organico-urbano di Tokyo, basato sulla dicotomia “città come casa”/“casa come città”. L’idea è un voluto ribaltamento del concetto di Vista del plastico delle “tredici scatole” che costituiscono il progetto Tokyo Apartmente, multi-family residence (fonte www.sou-fujimoto.com) 45 Infraurbanism. © JMA Studio “giardino zen”, nel quale si tenta di mantenere il rumore e il caos della città al di fuori della sfera privata. L’architetto Sou Fujimoto si rivolge esattamente dalla parte opposta e fornisce una svolta interessante, lasciando che il dentro si fonda con il fuori ed abbracciando realmente il super-urbanismo di Tokyo, la città che Fujimoto chiama casa. “Ho chiamato il progetto ‘Tokyo Apartment’, perché questo progetto si ispira a Tokyo ed al concetto di città: penso che rappresenti l’ordine emergente di questa città così complessa. Una città che è allo stesso tempo molto artificiale e molto naturale. Questa casa collettiva ne è la miniatura. Ho voluto creare un luogo ricco di infinito che rispecchia perfettamente la natura dell’uomo. Tutta la città, Vitra Campus. © Herzog De Meuron affollata e disordinata, sarà vissuta come casa propria. Si può dire che se si vive in questa casa, allora sei il proprietario di una piccola città. La Tokyo che non esiste ha ottenuto una forma” (1). In questo caso Fujimoto ha elaborato una personale progettazione dello spazio, sviluppando la semplicità del concetto con rigore e notevole capacità di soluzione del rapporto tra spazio ed artificio. Come in questo progetto, tutte le creazioni di Sou Fujimoto mostrano il suo forte interesse per la relatività spaziale e un nuovo senso delle distanze, in forte contrasto con le regole convenzionali dell’architettura. Egli disegna (1) Traduzione da Julian Worrall, I want to make a primitive architecture, www.iconeye.com. strutture de-oggettualizzate, visionarie, modellate sulle evoluzioni degli elementi in natura: l’elemento umano riempie le architetture cambiandone il senso, mettendone in discussione le coordinate funzionali, ribaltando l’apparenza delle gerarchie strutturali. L’architetto attinge, mescola e fonde numerosi elementi quotidiani con una serie di nuovi paradigmi, mettendo alla prova concetti come privacy e utilizzo. Il concetto di fondo è molto chiaro: accumulare volumi di case, assemblando l’aspetto collettivo sia in senso programmatico che formale, mantenendo però intatta la forma elementare dell’archetipo. Il nucleo residenziale è costituito da cinque unità abitative compresa quella del proprietario. Alcuni degli appartamenti si trovano separati su più livelli collegati da una scala esterna. Ogni unità è progettata in relazione al rapporto tra l’esperienza della città e l’intimità di due o tre stanze. Per Fujimoto in questo modo è possibile vivere la città in tutti i suoi aspetti tridimensionali: quando si salgono le scale esterne, si avrà un’esperienza analoga al salire su una montagna grande come una città e per tornare a casa sarà necessario camminare sopra i tetti, sopra la città. Per Fujimoto la densità è un principio dell’architettura e deve essere creata con il vuoto. Così ogni casa è confusa con le altre in modo tale che gli unici spazi realmente creati sono quelli interstiziali tra i vari cluster di volumi, mentre a livello complessivo la forma continua ad essere reiterata. Il risultato è una spazialità che viene percepita in modo estremamente 46 soggettivo, secondo la propria posizione nello spazio: tutto è definito dal modo in cui l’utente si adatta alla struttura, la famosa triade “forma – funzione – costruzione” diventa un unico elemento. Ma è a questo punto che interviene un altro parametro chiave: l’assenza di ogni rapporto, la complessità non si basa su una regola, ma segue regole di crescita vicine a quelle degli elementi naturali. Nonostante il suo interesse per gli ordini molteplici, Fujimoto, cercando di penetrare la “scatola nera” della complessità, assume una posizione di concreto scetticismo verso gli algoritmi e le formule. “è raro che in architettura la complessità non abbia alcuna relazione con qualcosa di esterno. Al contrario, penso che in questo progetto trovi spazio una complessità declinata in nuovo tipo di continuità: una realtà molto complessa e disordinata è restituita in una forma semplice senza alcun rapporto con un ordine o una regola. O meglio, penso che ci sia una sola regola: “nessuna regola”. In altre parole si può chiamare disordine organico, quasi come per una foresta. Per me gli algoritmi sono piuttosto noiosi: sono come dei libri di ricette per la cucina architettonica. Sono troppo automatici. La combinazione di regole semplici che generano forme molto complesse è ovviamente una soluzione spesso emozionante. Ma questo tipo di complessità non è così complicata per me. Con gli algoritmi, le regole spesso sono molto più importanti del risultato, che alla fine non è fondamentale” (2). Dotato di un senso particolare dello spazio, ammiratore di Le Corbusier, Louis Kahn e Mies van der Rohe, Fujimoto si dedica a nuove esplorazioni concettuali allo scopo di creare un modo completamente nuovo di concepire l’architettura, incentrando il proprio lavoro sulla declinazione contemporanea dell’abitare, profondamente influenzata dalla natura e dagli aspetti fisici del nostro mondo. Questa nuova architettura di Fujimoto ha un carattere sperimentale proiettato verso nuove possibilità esperienziali dello spazio. Superando il concetto di artificiale, conferma la sua fluidità, secondo uno schema che mostra l’ampiezza del suo linguaggio. La parola “nuovo” è in comune con i pionieri modernisti di un secolo fa: l’obiettivo ultimo di Fujimoto è niente di (2) Traduzione da Julian Worrall, I want to make a primitive architecture, www.iconeye.com. meno che una nuova concezione di base di architettura, una teoria generale del territorio della relazionalità. Ma a differenza dei modernisti non vi è una chiamata alle armi generazionale: piuttosto una imperscrutabile essenza “giapponese” che ha per modello la scienza, e non l’arte: si scopre invece di creare. Per Fujimoto, il nuovo è sempre stato lì, tra le cose che aspettano solo di essere trovate. Siti internet www.sou-fujimoto.com SCHEDA PROGETTO Progettista Sou Fujimoto Architects – Tokio, Giappone Consulente Jun Sato Structural Engineer Localizzazione Tokyo, Giappone Destinazione d’uso Residenza multifamiliare Materiale Legno Cronologia Progettazione: 2006 Costruzione: entro 2009 Superficie del lotto 143.48 mq Area costruita 92.94 mq Superficie calpestabile 211.15 mq Volume complessivo 68 mc Vista del plastico del progetto Tokyo Apartment (fonte www.sou-fujimoto.com) *Sosuke (Sou) Fujimoto Architetto, è uno dei più innovativi rappresentanti dell’architettura nipponica contemporanea. Nato a Hokkaido, nella parte settentrionale del Giappone, il 4 agosto 1971, si è laureato nel 1994 presso il Dipartimento di Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Tokyo. Ha stabilito il suo studio di architettura a Tokyo, dove vive. È docente universitario a Kyoto ed ha insegnato presso diverse università giapponesi. Nel 2005 è stato insignito del Premio JIA per il migliore architetto dell’anno in Giappone e nel 2006 è stato vincitore a Londra del premio Architectural Review – AR Awards for Emerging Architecture, nel quale ha ottenuto ancora una menzione speciale l’anno successivo. Con la “Final Wooden House” ha vinto nel 2008 il World Architecture Festival (WAF) di Barcellona nella categoria “Private House” e nel 2009 del Wallpaper Design Awards nella categoria “Best new private house”. Oltre all’attività di progettista, scrive per riviste internazionali, quali A+U, ed è autore del libro “Primitive Future”, Inax Publishing, 2008. 47 Pianta del primo livello (fonte www.moazine.com) Pianta del terzo livello (fonte www.moazine.com) Pianta del secondo livello (fonte www.moazine.com) Pianta del quarto livello (fonte www.moazine.com) 48 Schema di prospetto del progetto di alloggio collettivo (fonte www.sou-fujimoto.com) Prospetto del complesso (fonte www.moazine.com) 49 Vista del plastico di progetto. Gli appartamenti sono impilati e contrapposti tra loro formando un contenitore collettivo che assomiglia di più ad un villaggio verticale che ad un condominio (fonte www.sou-fujimoto.com) 50 Il plastico del plastico esibito (fonte www.parallax.aminus3.com, foto © Alfredo J. Martiz J) 51 Steel wall Autorimessa ad Arma di Taggia, Imperia mag. MA architetture a cura di Federica Maietti L’intervento dell’autorimessa interrata è parte di un più ampio progetto teso ad una revisione generale degli accessi al paese e alla completa pedonalizzazione del centro storico e della limitrofa zona costiera, e che prevede di fermare il traffico veicolare nei due accessi, da est e da ovest, verso la zona storica sviluppata sul lungomare rendendo più sicura e gradevole la fruizione del paese e delle spiagge. Il progetto ha visto il coinvolgimento della società committente che gestisce le aree dei 24 Km di tracciato ferroviario lungocosta dismesso dopo lo spostamento della linea ferroviaria a monte, del Comune di S. Stefano al Mare, della Regione Liguria e della Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali della Liguria. L’autorimessa a due piani interrati da 105 posti auto si inserisce a ridosso del piccolo centro storico in una fascia di costa schiacciata verso il mare dalla ex ferrovia, ora pista ciclabile, dove il tessuto edilizio comincia a diradarsi. Il tracciato ferroviario in questo punto passa ad una quota maggiore del lungomare ed è caratterizzato da alti muri di sostegno, scarpate e un sottopasso attraverso il quale il traffico veicolare proveniente dalla strada statale raggiunge quella litoranea. La nuova struttura costituirà uno dei punti di fermata delle auto, nella zona di accesso ovest al paese, per coloro che saranno diretti al centro storico e alle spiagge. Sono stati realizzati due livelli interrati: il primo ospita i parcheggi a rotazione per i fruitori occasionali, mentre il secondo livello è riservato ai garage di proprietà privata destinati ai residenti. La struttura dell’autorimessa è stata realizzata con l’utilizzo del cemento armato sia prefabbricato che gettato in opera. Il punto critico del progetto era rappresentato dal lungo fronte di 85 m per un’altezza media di 6 m, visibile dal mare per tratti significativi, in cui occorreva inserire le aerazioni antincendio. La grande superficie è stata rivestita in pietra nelle parti opache e lasciata in cemento a vista in corrispondenza delle aerazioni; è stata quindi sovrapposta una maglia in elementi d’acciaio a protezione delle aperture e che si trasforma in parapetto a livello della copertura. La maglia in acciaio caratterizza anche i piccoli volumi dei due blocchi scale che fuoriescono sulla copertura, a livello della pista ciclabile. Dato l’alto fronte di scavo, la prima fase operativa ha visto la creazione di una palificata a monte dell’intervento; si è proceduto quindi alle escavazioni e alla realizzazione della struttura in cemento armato, completata con i rivestimenti di facciata, le opere di finitura interna e la realizzazione degli impianti. La funzione e l’utilità dell’autorimessa interrata sono legate alla volontà di restituire il vecchio centro storico alla costa e al mare consentendo ai fruitori l’utilizzo dei suoi spazi in libertà e sicurezza. Un intervento che ha una valenza prettamente funzionale, essendo “interrato”, può comunque divenire occasione per relazionarsi con il contesto anche attraverso la realizzazione di un “semplice muro” e una riflessione sulla possibilità Il piccolo volume dell’uscita pedonale sulla copertura, livello della pista ciclabile, è trattato nello stesso modo del fronte in modo da conferire unitarietà di linguaggio all’intervento 52 di caratterizzare architettonicamente le poche parti emergenti. Il progetto avrà raggiunto il suo scopo se il suo inserimento nel contesto risulterà gradevole e riconoscibile senza aver modificato gli equilibri naturali del luogo in cui è inserito. La struttura metallica potrà diventare, ad esempio, una parete verde, che attraverso l’utilizzo di diverse tipologie di rampicanti acquisisce movimento di colore e consistenza con il mutare delle stagioni. Schizzo di studio della facciata metallica Sito internet www.mag-ma.it Immagini degli autori Particolare della struttura metallica che riquadra le parti opache rivestite in pietra Sezione-prospetto. Il fronte dell’autorimessa, immediatamente a ridosso dei fabbricati è lungo 85 m ed ha un’altezza media di 6 metri 53 SCHEDA PROGETTO Progetto Steel Wall Localizzazione Arma di Taggia, Imperia Progettisti Marco Roggeri, Alessia Rosso, Gianpiero Peirano Referente del progetto Marco Roggeri Collaboratori Luca Siccardi Ente proponente Area 24 s.p.a. Ditte e Imprese esecutrici Fratelli Negro s.p.a. Cronologia Progettazione: 2006/2007 Realizzazione: 2007/2008 Il progetto è vincitore del Premio Innovazione e Qualità Urbana 2009 per la categoria “Mobilità – Opere realizzate”, organizzato da Maggioli Editore nell’ambito di Euro-PA 2009, il Salone delle Autonomie Locali – Prodotti, tecnologie e servizi per le Pubbliche Amministrazioni. Vista generale. Il lungo fronte metallico con il susseguirsi dei suoi vuoti e pieni 54 Dettaglio del fronte. Particolare della bucatura per l’aerazione antincendio protetta dal disegno della struttura metallica Particolare della parte sommitale dove la maglia si infittisce e si trasforma in parapetto Il parapetto sporgendo verso l’interno e limitando la scansione orizzontale alla sola parte esterna impedisce ai fruitori più giovani di arrampicarsi 55 Vista da ovest. Il lungo fronte viene scandito dal disegno della maglia metallica che ha anche la funzione di proteggere le bucature dell’aerazione antincendio Vista da ovest, notturno. Nelle ore notturne la luce fuoriesce dalle bucature dell’aerazione ripetendone la scansione seriale 56 Royal Ontario Museum Daniel Libeskind di Giacomo Sacchetti Cinque elementi di forma prismatica, autoportanti, connessi fra loro e collegati alla struttura museale esistente, geometrie di cristalli nate da sedimentazione e successiva gemmazione. Nel 2002 l’architetto Daniel Libeskind e il suo studio vincono la corsa per la realizzazione dell’estensione del Royal Ontario Museum a Toronto, aperta al pubblico nel 2007, e il risultato è sorprendente. Libeskind racconta che proprio un cristallo esposto all’interno del museo storico l’ha ispirato nella progettazione. Il museo storico già in loco è l’asse lungo il quale si organizza l’intervento; il prisma si tende in avanti fino alla facciata dell’edificio preesistente, è imponente e allo stesso tempo non omogeneo, in linea con la volontà del direttore del museo William Thorsell di creare un’esposizione ricca e variegata contenente dipinti, tessuti, minerali, manufatti di popoli indigeni. Complessità e stabilità si ritrovano nella struttura reticolare del cristallo e, appunto, di questo edificio. La scelta dei materiali risponde pienamente alle funzioni cui i differenti elementi devono assolvere all’interno della costruzione: l’acciaio è stato scelto per le parti autoportanti delle grandi facciate, e assicura robustezza per le ampie vetrate, mentre l’alluminio è stato utilizzato solo per le parti di rivestimento e non autoportanti. Lo spazio interno, unico, è delimitato da pareti inclinate e dominato dalla “Spirit House”, il cuore vuoto dell’edificio. Siti internet www.rom.on.ca www.daniel-libeskind.com SCHEDA PROGETTO Progetto Royal Ontario Museum Localizzazione Toronto, Canada Progettisti Daniel Libeskind Committente Royal Ontario Museum Cronologia Concorso di progettazione: 2002 Realizzazione: 2007 L’ingresso del Royal Ontario Museum. Foto © Antoine Cadotte 57 Una struttura spigolosa e complessa. Foto © Staka Una struttura spigolosa e complessa. Foto © Staka Il Royal Ontario Museum e Bloor Street West. Foto © Eric Mutrie 58 Cinque elementi di forma prismatica, autoportanti, connessi fra loro e collegati alla struttura museale esistente. Immagine di Aviad2001 59