ISSN 2036-3273
Numero 21 novembre 2009 /// www.architetti.com
Hemeroscopium House, Madrid – Antón García-Abril – Ensamble Studio
Struttura
Editoriale
Struttural_mente
di Marcello Balzani
“La struttura rimanda al conflitto delle forze
che la generano e la conservano”.
René Thom
Non so se è corretto affermarlo (visto anche il contesto
semiologico in cui il tema si può trascinare) ma
penso che il termine struttura possa essere definito
un particolare significante fluttuante. Rapino una
geniale argomentazione di Lévi-Strauss per indurre un
ossimoro: struttura apre alla mente immagini razionali,
funzionali, determinate e svelate, mentre l’analogia
che impongo rimanda a un’evanescenza linguistica
che nessun approccio, significato, uso metaforico, può
costringere o bloccare. Perché?
Perché credo che ormai (dato il complesso
wayfinding nel continuum informativo) struttura
significhi ben poco in sé, mentre appare sempre più
netto come per altri simbionti o trance-feriti, essa
risulti un potente, potentissimo, tras-duttore di molti
codici. Insomma struttura è una di quelle parole che,
diversamente dall’imprinting di fabbrica, conduce ad
aprire tante porte nel lungo corridoio dei temi e dei
tematismi culturali e non solo.
La struttura, che può essere al contempo
concettuale, informativa, edilizia, urbana ed intima,
appare sul palco del linguaggio, con la definizione
di “insieme di relazioni razionali e interdipendenti”.
L’espressione rende evidente il valore “aperto” del
termine, dato che implica un’interna molteplicità, che
non è tuttavia banale, trattandosi di una molteplicità
di relazioni. Ecco svelata la potenza adattativa:
in architettura, come nel linguaggio, i rapporti tra
realizzazioni e strutture sono variabili, ma sono
sempre le strutture che rendono stabili e, si potrebbe
dire, comprensibili le realizzazioni.
In un momento, non troppo lontano da questo vagito
di nuovo Millennio in cui ci troviamo, si congetturò
lo strutturalismo, una teoria che poneva le basi di
uno straordinario razionalismo localistico (Pomian),
inteso come esigenza di “località”, ovvero come
accettazione o ammissione di cittadinanza ad una
molteplicità di teorie che trattano ognuna un oggetto
ben delimitato: per Saussure erano parole e lingua,
per Jakobson suoni e fonemi, per Hjelmslev sostanza
e forma, per Lévi-Strauss sistemi di parentela
e correlate strutture elementari, per Chomsky
performance e competenza, per Thom morfologie
empiriche e sistemi sottostanti. Fu un momento di
ricerca e di sperimentazione che permise di gettare
le fondazioni di altri e diversificati percorsi culturali.
Allora si dichiarò che “l’unico modo per afferrare il
significato della nozione di struttura è comprendere
che essa si manifesta all’interno di un discorso
scientifico e che deve il suo senso unicamente alle
funzioni assunte all’interno di questo discorso”
(Boudon). Quindi si diede (finalmente!) valore ai dati,
ai caratteri rilevabili, agli elementi misurabili di un
oggetto; sia esso il linguaggio di Striscia la notizia,
un mito greco, il sistema economico di Malta, la
morfologia di un ornitorinco o il grattacielo Pirelli, la
cosa importante è che “ogni struttura è struttura di
qualcosa di determinato (...) e che per dimostrare la
realtà della struttura si devono guardare i dati di un
oggetto di cui la struttura è modello”.
Fin qui tutto bene, anzi, forse anche troppo! Dato
che l’approccio strutturalista venne applicato oltre
l’applicabile e a volte senza essere compreso,
generando distrazioni e distorsioni.
Ma l’ossimoro è sulla soglia, aspetta di entrare.
E mi serve richiamare la logotecnica, con
cui Françoise Choay identificava una povertà
di linguaggio strumentalmente finalizzata
alla conservazione del potere tecnico, per
sottolineare con più evidenza come struttura sia,
esemplificatamene, sinonimo di edificio (struttura
alberghiera, ricettiva, polifunzionale, ecc.) e al
contempo un elemento portante di fondazione
per trasmettere i carichi orizzontali dalla (si ripete
R. Magritte, L’universe demasque, 1931
K. Malevitch, Beta, 1926
Villard de Honnecourt
il termine in altro rapporto di contesto) struttura
architettonica al terreno. Per non parlare del rapporto
tra struttura e tipologia e tipologia strutturale, che
non sempre fonda i propri metodi descrittivi su
coerenti e condivise “basi di dati”, che si vorrebbero
ben delimitate. Se poi si tenta di comprendere
la struttura urbana (sistema di relazione tra
attività umane e ambiente), mi piace ricordare
l’interpretazione strutturale-funzionale di Foley,
Webber e Wheaton che tentavano un’interpretazione
comportamentista e flessibile forse oggi più
utilizzabile nella nostra contemporaneità in cui
l’estensione metropolitana modifica incessantemente
i metodi di lettura. Scriveva allora Paolo Ceccarelli
nell’introduzione all’edizione italiana delle loro
riflessioni: “l’idea di una struttura fisica elastica,
globale, prodotta dal combinarsi di strutture spaziali,
con gradi differenti di definizione e di rigidezza non è
Manoscritto del XV secolo
concettualmente negata; appare soltanto impossibile
in termini pratici e difficile da immaginare”.
Ci sono solo voluti quarant’anni di ri-strutturazioni e
de-strutturazioni e ce l’abbiamo fatta! La struttura è
fluttuante!
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Bologna, tipologia edilizia
Assioma dell’incompletezza. “Una città è un insieme
che deve restare indefinitivamente, strutturalmente
non saturabile, aperto alla propria trasformazione, a
delle aggiunte che alterano o dislocano per quanto
poco possibile la memoria del suo patrimonio. Una
città deve restare aperta al fatto che essa sa che non
sa ancora che cosa sarà: bisogna iscrivere, e come un
tema, il rispetto di questo non-sapere nella scienza e
nella competenza architettonica o urbanistica”.
Struttura urbana e ambiente fisico, D. Foley, 1968
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The Ramses Square
Interchange Plateaux
Cairo: i nuovi livelli di interscambio della piazza
Ramses per un nuovo modello di polarità urbana
di Riccardo Mayr
“È necessario dividere per ritrovare l’unità”
Deleuze
I processi di globalizzazione stanno indebolendo
le identità locali, compressioni spazio-temporali si
cristallizzano in nuove urbanizzazioni che fatalmente
conducono a soluzioni ibride. Un processo neoidentitario che rimodelli il centro cittadino del Cairo
è necessario. I flyover che attraversano la città
sono territori multiplanari in cui la velocità dei flussi
veicolari riduce la percezione dello spazio urbano ad
una sequenza di scenari urbani in rapido mutamento.
La velocità della vita moderna sta alterando
radicalmente la percezione dello spazio cittadino
livellandolo sul piano del sempre crescente valore
dell’istantaneità e della simultaneità. La velocità è il
nuovo protagonista indiscusso del nostro tempo.
P. Virilio in “The Speed of Liberation” sottolinea
il processo cronofago perpetrato dallo sviluppo
tecnologico, giustapposto alla sempre crescente
percezione sociale di mancanza di tempo. L’individuo
non può realizzare tutte le possibilità offertegli dalla
società contemporanea in un presente che ingloba
il futuro in un’accelerazione nel vuoto che conduce
fatalmente ad una società insoddisfatta.
Pensando alla trasformazione della percezione di
spazio e di tempo nelle città contemporanee, la
modernità si è sviluppata all’interno di un’endemica
mancanza di tempo e ed esperienze ambientali,
limitando inevitabilmente le emozioni e la sensibilità
dell’individuo. Il traffico al Cairo segue percorsi
quasi extraterritoriali all’interno di un irrisolta
sovrapposizione di modelli antichi e moderni causata
da decenni di interventi infrastrutturali non legati
a una pianificazione urbana su grande scala e sul
lungo periodo, ma al contrario ad una sequenza
paratattica di soluzioni locali apparentemente
provvisorie. Ciò è evidente non solo nella zona
profondamente stratificata dell’area relativa a piazza
Ramses, ma anche lungo il 6th October Flyover fino
alla piazza Abdel Moneim Riad.
Il nostro progetto per piazza Ramses e le zone lungo
il 6th October Flyover pone le condizioni attraverso
una serie di proposte urbane strutturalmente
sostenibili, per una rottura completa dei collegamenti
sensitivo-motori che inducono l’individuo a vivere e
percepire il centro del Cairo quasi esclusivamente
come un ininterrotto flusso di traffico congestionato
e non organizzato.
Può il bassorilievo egiziano essere preso come
punto di partenza per la riorganizzazione dell’area di
pertinenza della piazza Ramses?
Alois Riegl lo ha definito in questo modo:
“[…] Il bassorilievo opera la più rigorosa
connessione tra l’occhio e la mano, perché ha per
elemento la superficie piana; questa consente
all’occhio di procedere in modo simile al tatto, anzi,
gli assegna, gli prescrive una funzione tattile, o
Ramses Square e 6th of October Flyover
4
piuttosto aptica; assicura, dunque, all’interno della
“volontà artistica” egizia, la riunificazione dei due
sensi, il tatto e la vista, come il suolo e l’orizzonte.
È una vista frontale e ravvicinata ad assumere tale
funzione aptica, in quanto la forma e il fondo sono
sullo stesso piano della superficie, al medesimo
livello, oltre che alla stessa distanza rispetto a noi che
guardiamo. Ciò che insieme separa e unisce la forma
e il fondo è il contorno come loro limite comune.”
È pertanto una geometria del piano, della linea e
dell’essenza a ispirare il bassorilievo egizio, a cui
ci ricolleghiamo nell’organizzare per livelli la nuova
area di pertinenza della piazza Ramses.
L’essenza funzionale di un gruppo di necessità
infrastrutturali ritrova qui una riorganizzazione su
differenti livelli.
I nuovi livelli di interscambio della piazza Ramses,
riallacciandosi alle radici storiche egiziane, ricalcano
le proporzioni della piramide di Cheope, anche se
l’altezza della medesima è solo simbolicamente
evocata.
Questo nuovo landmark cittadino, realizzato
Ramses Square
interamente in cemento armato pigmentato e avvolto
in una doppia pelle metallica, si sviluppa su sei nuovi
livelli, riorganizzando il punto nevralgico del sistema
trasportistico cittadino.
La rimozione della statua di Ramses dalla relativa
piazza, il 25 agosto 2006, è profondamente
eloquente. Il luogo caotico ed altamente inquinato è
diventato inadeguato per ospitare l’antico faraone;
quasi ad indicare che un medesimo spazio non può
essere votato contemporaneamente ai cittadini ed
al re. “Architetturalizzare” questo concetto significa
invertire la piramide: il potere elitario del sovrano
lascia il vertice al potere democratico dei cittadini. La
nuova piazza Ramses è quindi strutturata partendo
dall’antico ed eterno archetipo architettonico
egiziano, la piramide, da cui la molteplicità delle
contingenze della vita cittadina sono generate ed
organizzate. Il nuovo spazio urbano è multiplanare
e percorribile per livelli, orizzontalmente e
verticalmente, con la stessa logica visiva dell’antico
bassorilievo egiziano. Il significato della costruzione
è composto dalle diverse funzioni che esso contiene:
Piano terra dell’Interchange Plateaux e della nuova stazione ferroviaria
5
come la lingua/bassorilievo, ha un significato
soltanto quando un singolo simbolo/significato
è collegato ad un altro per formare un nuovo
significato. Il significato, il consenso, l’assurdità,
l’errore: qui non si discute la dicotomia fra verità
e falsità, qui, attraverso una nuova interpretazione
dei codici storici tradizionali del paese, si rende
manifesta una nuova strategia contemporanea.
Proporzionato e girato sottosopra come la
costruzione piramidale in cui è incluso, il profilo del
faraone modella la facciata della piramide. Questa
pelle è una interpretazione contemporanea della
tipica grata egiziana denominata mashrabiya: una
maglia metallica con funzione di protezione dal sole
e ventilazione dei diversi piani. Ai livelli superiori la
facciata si sdoppia per ospitare le rampe pedonali
che collegano la piazza, le attività commerciali, le
aree di parcheggio e le zone di transito poste a quote
differenti. La fisiognomica definisce il carattere e
la personalità di una persona dalla sua apparenza
esterna, nel nostro caso il profilo dell’anziano
faraone modella il carattere funzionale di questo
nuovo landmark urbano.
Ogni piano della piramide, muovendosi verso i
piani superiori, si arricchisce di un valore urbano
supplementare, che spinge al raggiungimento della
nuova piazza Ramses. Muovendosi attraverso i piani
dell’edificio l’attenzione dell’individuo è riportata
alla propria dimensione temporanea quotidiana.
Il concetto risponde alla necessità di ricreare un
luogo esente da condizionamenti esterni (il rumore,
il traffico, lo smog), che permetta all’individuo
di riappropriarsi dello spazio pubblico e della
socialità. La nuova piazza Ramses è un spazio
pedonale coronato da negozi commerciali di piccole
dimensioni che offrono una vista insolita del Cairo e
un legame metaforico con altri landmark cittadini,
quali la piana di Giza e la cittadella. Si tratta di
26.000 metri quadrati caratterizzati da un pattern a
forma di stella islamica a otto punte (Khatim) ripetuto
in una maglia 7x7; sette stelle funzionano come
prese di luce e ventilazione per i piani sottostanti,
mentre le restanti sono aiuole e sedute con palme
ed altre tipiche piante locali. Il progetto di piazza
Ramses ha come obiettivo il ridisegno di un luogo
di condivisione e socialità, una piattaforma urbana
in cui il tempo dell’uomo e dell’automobile vengono
organizzati e ristabiliti. Questa nuova polarità
urbana è una grande macchina capace di regolare
i flussi e i molteplici scambi tra mezzi di trasporto e
cittadini, permettendo alle persone di trovare, in un
nuovo sorprendente landmark urbano, uno spazio
comune attento alla dimensione del pedone e alla
diversificata vita sociale contemporanea.
Pianta dell’ultimo livello: Ramses Square
Veduta della Moschea da Ramses Square
Ramses Square icona contemporanea
6
Rampa pedonale di accesso alla piazza sopraelevata
Spaccato assonometrico dell’intervento
Veduta del Cairo da Ramses Square
7
Rampa pedonale di accesso alla piazza sopraelevata
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SCHEDA PROGETTO
Progetto
The Ramses Square Interchange Plateaux
Concorso Internazionale di Progettazione
Urban harmony competition – a new identity for
Cairo city center
Siti internet
Portfolio Riccardo Mayr:
http://ec2.it/riccardomayr
Sito ufficiale del Concorso:
www.urbanharmony.org/
Immagini degli autori
Localizzazione: Cairo (Egitto)
Tipologia di intervento
Riqualificazione di Ramses Square e della
viabilità delle aree limitrofe
Gruppo di progettazione
Capigruppo: Riccardo Mayr e Marino Fei
Collaboratori: Fabiana Aneghini, Stefano Nolletti,
Alberto Croce, Roberto Trebo, Letizia Pesci,
Mariachiara Bonora, Francesco Marchetti
Sezione degli edifici e del nuovo assetto viario del 6th of October Flyover
Percorso pedonale di collegamento tra la quota stradale e il nuovo livello di Ramses Square
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Hemeroscopium House
Abitazione a Las Rozas, Madrid
Antón García-Abril – Ensamble Studio
a cura di Federica Maietti
Per i greci, l’Hemeroscopium è il luogo in cui il sole
tramonta. Un’allusione a un luogo che esiste solo
nella nostra mente, nei nostri sensi, costantemente
mutevole, ma, nonostante ciò, reale. Esso è
circoscritto dai limiti dell’orizzonte, dai limiti fisici,
definiti dalla luce e dallo scorrere del tempo.
La Hemeroscopium House a Madrid racchiude uno
spazio domestico e un orizzonte lontano; questa
dimensione ambivalente è ottenuta giocando con le
strutture collocate in un equilibrio apparentemente
instabile e che realizzano uno spazio per vivere
consentendo allo stesso tempo la sensazione di
infinito, di fuga, attraverso strutture massicce e
fortemente caratterizzate, disposte in modo da
indurre la gravità a muovere lo spazio. E in questo
modo definendo gli spazi.
Il modo in cui queste strutture si ergono genera
un’elica che scaturisce da un supporto fisso e
stabile, la trave principale, e si sviluppa verso l’alto
in una sequenza di elementi che diventano sempre
più leggeri mano a mano che la struttura sale,
chiudendosi in un punto che rappresenta il culmine
del sistema di equilibrio.
Questo sistema è costituito complessivamente
da sette elementi. Il progetto dei loro nodi di
connessione corrisponde alla loro natura costruttiva,
alla loro forza, e le loro spinte esprimono la
sollecitazione cui sono sottoposte. La struttura è
così configurata e, in questo modo, la casa diventa
aerea, leggera, trasparente, e lo spazio racchiuso
Vista della Hemeroscopium House, Las Rozas, Madrid. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio
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all’interno fuoriesce con forza ed energia vitale.
L’apparente semplicità dei nodi della struttura ha
richiesto in realtà complessi studi finalizzati al
calcolo dell’armatura, alla precompressione e alla
post-tensione dei tondini di acciaio che costituiscono
la gabbia delle travi.
È occorso un anno per calcolare la struttura e
solamente sette giorni per realizzarla, grazie alla
totale prefabbricazione dei diversi elementi e a
un perfetto ritmo di coordinazione nella fase di
assemblaggio. Tutti gli sforzi sono stati orientati allo
sviluppo della tecnologia che avrebbe consentito di
creare questo particolare spazio e, perciò, un nuovo
stupefacente linguaggio è stato inventato, dove
le forme scompaiono dando vita allo spazio nudo,
libero.
La Hemeroscopium House materializza il picco di
questo equilibrio, che lo Studio Ensamble chiama
ironicamente “Punto G”, venti tonnellate di granito
espressione della forza di gravità e contrappeso
fisico a tutta la struttura.
Testo originale di Antón García-Abril
Sito internet
www.ensamble.info
Le strutture sono collocate in un equilibrio apparentemente instabile. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio
Tutta la struttura si sviluppa a partire dalla trave principale. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio
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SCHEDA PROGETTO
Progetto
Hemeroscopium House
Localizzazione
Las Rozas – Madrid, Spagna
Progettisti
Antón García-Abril
Ensamble Studio
Collaboratori
Elena Pérez
Débora Mesa
Marina Otero
Ricardo Sanz
Jorge Consuegra
Cronologia
Progetto: 2005
Realizzazione: 2008
Vista dello spazio esterno coperto e del sistema di appoggi della struttura. Photo Credit Débora Mesa – Ensamble Studio
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Fasi del cantiere. La struttura è stata realizzata in soli sette giorni grazie alla totale prefabbricazione dei diversi elementi e del ritmo di coordinazione nella fase di assemblaggio. Photo Credit Ensamble Studio
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Fasi di realizzazione dell’abitazione mediante la posa in opera degli elementi prefabbricati. Photo Credit Ensamble Studio
Tutti gli sforzi sono stati orientati allo sviluppo della tecnologia che avrebbe consentito di creare questo particolare spazio.
Photo Credit Ensamble Studio
L’apparente semplicità dei nodi della struttura ha richiesto in realtà complessi studi finalizzati al calcolo dell’armatura.
Photo Credit Ensamble Studio
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“Car Experience”
Museo dell’Automobile a Nanchino, Cina
3GATTI Architecture Studio
di Francesco Gatti
“Car Experience” è il progetto per un edificio
incentrato sull’automobile; l’automobile come
oggetto del desiderio, mondo da esplorare,
tecnologia da studiare, oggetto da esporre e mezzo
grazie al quale navigare attraverso l’edificio.
Qui il mondo dell’automobile e della macchina si
interseca con il mondo dell’umano e dell’organico
creando una nuova tettonica con sistemi diversi da
quelli usuali formati da spazi piani, squadrati ed a
misura d’uomo. Qui tutto è a misura di automobile,
qui la macchina è il sistema di riferimento.
Non ci saranno più piani e scale, muri ed ascensori, ma
rampe, che sinuose salgono gradualmente creando uno
spazio fluido, dove i flussi di auto si possano muovere
liberamente e raggiungere i vari livelli dell’edificio.
Nella grande scala lo spazio ricorderà tettonicamente
quello stradale, avendo una struttura simile ad un
autodotto o ad un parcheggio, ma nella piccola scala
sarà complesso, ergonomico e sofisticato come
quello degli interni di un’autovettura.
La struttura principale dell’edificio sarà una rampa a
spirale divisa da una vetrata in una parte interna ed
una esterna.
Nella parte interna, riservata ai pedoni, la pendenza
sarà dolce e graduale, in quella esterna dove la
pendenza sarà più brusca ed estrema ci sarà la
circolazione delle automobili.
La tipologia dell’edificio si sviluppa in un percorso
sequenziale, simile alla struttura di un film, dove la
protagonista indiscussa è l’automobile.
Il progetto si propone di diventare un punto di riferimento internazionale nel mondo dell’automobile ed un landmark inconfondibile nel territorio di Nanchino
15
Il visitatore, come lo spettatore di un film, è costretto,
frame dopo frame, a seguire il percorso spaziale e
narrativo imposto dall’architettura del museo.
Il visitatore entrerà nel museo con la propria
automobile iniziando il percorso espositivo come in
un safari, salendo la spirale esterna in uno spazio
stradale “estremo”, formato da salite e discese che
creeranno una superficie ondulata per esporre le
automobili in diverse angolazioni e poterle osservare
alternativamente dal basso e dall’alto.
Questo movimento alternato e funzione ludicofunzionale creerà un conseguente movimento
nella facciata dell’edificio, che si presenterà come
un foglio di cartone ripiegato e “spieghettato” più
volte, dove ogni piega sarà la scusa per esporre, in
un’inclinazione adeguata, le automobili agganciate al
pavimento inclinato.
Il percorso espositivo del visitatore automunito
partirà quindi dal piano terra per salire attraverso la
rampa a spirale fino al soffitto dell’edificio.
Qui potrà parcheggiare la macchina ed entrare
all’interno del museo per scendere a piedi nel
percorso espositivo sulla spirale con inclinazione
più dolce e tornare al pian terreno. Dal piano terra,
grazie ad un ascensore, potrà tornare sul soffitto a
prendere la macchina o in caso possieda macchina
con autista potrà andare direttamente via dal
parcheggio temporaneo all’uscita del pian terreno.
In questo modo il percorso espositivo sarà diviso in
due tipi di esperienze.
La prima sarà un’esperienza a salire, all’interno della
propria automobile.
La salita si svilupperà in un percorso cronologico che
parte dalle auto più moderne in basso per arrivare
alle auto d’epoca sul livello più alto.
In questo percorso si partirà da un livello di
rappresentanza dove il soffitto sarà alto 9 metri per
arrivare gradualmente in alto alla fine della spirale
dove il soffitto sarà di soli 4,5 metri di altezza.
La rampa carrabile sarà discontinua creando, con
brusche salite e discese, il continuo cambiamento
del punto di vista dell’osservatore e l’inclinazione
delle autovetture esposte, generando un esperienza
diversificata e ricca di stimoli visivi e percettivi.
La seconda sarà un esperienza a scendere a piedi.
La discesa al contrario dell’esperienza precedente
Il visitatore entrerà nel museo con la propria automobile
iniziando il percorso espositivo come in un safari
Il masterplan del museo
Schema di analisi dei flussi di circolazione. Il percorso espositivo del visitatore automunito partirà dal piano terra per salire
attraverso la rampa a spirale fino al soffitto dell’edificio
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partirà cronologicamente dall’esposizione delle auto
d’epoca fino ad arrivare alle auto più moderne al
pian terreno.
La rampa a spirale a scendere avrà un’inclinazione
che si alterna dolcemente da 0 a 7%, quindi sarà un
pavimento inclinato in maniera impercettibile che
come uno scivolo porterà il visitatore fino al pian
terreno con il minimo sforzo. In questo modo si fará
godere a pieno la passeggiata per non distrarre la
concentrazione del visitatore con gradini, ascensori
ed altri ostacoli nel movimento, in modo che lo
sguardo possa essere sempre libero nella percezione
fluida dell’esposizione.
La superficie della rampa sarà costellata di “scatole”
di vetro che emergeranno dal pavimento e dal
soffitto raggiungendo diverse altezze a seconda
delle funzioni che racchiudono. Ogni prisma di vetro
racchiuderà una funzione diversa.
L’intensità di questi volumi sarà alternativamente
minore o maggiore a seconda se lo spazio sarà
adibito a funzioni in open space, o a funzioni che
richiedano maggiore privacy come uffici, sale
riunioni, sale per conferenze, laboratori, bagni e
cucine.
La facciata dell’edificio sarà completamente
permeabile alla vista e svelerà immediatamente il
gioco dei piani e la fluidità della spirale interna ed
esterna.
L’edificio si presenterà come un espositore di
automobili a scala urbana, con le sue pieghe
accattivanti cariche di scintillanti autovetture.
Questo progetto si propone di diventare un punto di
riferimento internazionale nel mondo dell’automobile
ed un landmark inconfondibile nel territorio di
Nanchino, immediatamente riconoscibile da
chiunque percorra le strade circostanti ma anche
visibile dal cielo e perché no anche dal satellite da
dove sempre maggiori internetnauti esplorano le
bellezze del globo.
SCHEDA PROGETTO
Progetto
Museo dell’Automobile
Primo Premio Concorso Internazionale ad inviti
Localizzazione
Jiangning area, high-tech zone, Nanchino, Cina
Progettisti
3GATTI Architecture Studio
Chief architect: Francesco Gatti
Project manager: Summer Nie
Collaboratori: Nicole Ni, Muavii Sun, Jimmy Chu,
Luca Spreafico, Damiano Fossati, Kelly Han
Committente
Jiangsu Head Investment group CO., LTD
Cronologia
Progetto: Maggio 2008
Realizzazione (prevista): 2009
Vista aerea. L’edificio si presenterà come un espositore di automobili a scala urbana, con le sue pieghe accattivanti
cariche di scintillanti autovetture
Sito internet
www.3gatti.com
Immagini e disegni di 3GATTI Architecture Studio
Il percorso espositivo interno riservato ai pedoni
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Sezione B-B
Prospetto Nord-Est
Sezione C-C
Prospetto Nord-Ovest
Sezione D-D
Prospetto Sud-Est
Sezione E-E
Prospetto Sud-Ovest
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Origami concept
19
Origami concept
20
Schemi strutturali. Il mondo dell’automobile e della macchina si intersecano con il mondo dell’umano e dell’organico, originando una nuova tettonica “a misura di automobile”
Vista notturna. La facciata dell’edificio sarà completamente permeabile alla vista e svelerà immediatamente il gioco dei piani e la fluidità della spirale interna ed esterna
21
Raising of a bunker
Studi per artisti, Francoforte
INDEX Architekten
a cura di Federica Maietti
Vista del bunker nell’area adiacente l’Osthafen, a Francoforte, trasformato in un centro culturale
La riorganizzazione dell’Ostahfen, il molo est aperto
per la prima volta nel 1912, costituisce uno dei più
grande interventi, e una delle più grandi sfide, che
la città di Francoforte intende effettuare nei prossimi
anni per quanto riguarda la pianificazione urbana.
Tutto il distretto che circonda il Großmarkthalle,
il vecchio mercato di frutta e verdura, sta tuttora
subendo un processo di cambiamento strutturale.
Sono già in atto disposizioni finalizzate alla
ricostruzione della zona ovest della città, lungo
il margine del molo est in cui si erge l’edificio
della European Central Bank, ma, nonostante
queste strategie di pianificazione urbana in corso
di realizzazione, nell’area adiacente l’Osthafen
ci si trova immersi in un vero e proprio mondo a
parte: una terra di nessuno tra cumuli di ghiaia e
montagne di macerie, cataste di prodotti riciclati e
containers che aspettano il trasporto. In una delle
strade diritte e polverose della zona, nascosto tra gli
edifici residenziali, si trova un bunker della Seconda
Guerra Mondiale. La continua ricerca di fabbricati
da utilizzare come contenitori a basso costo atti
a soddisfare le esigenze degli artisti ha fornito
ai progettisti l’idea di trasformare il bunker in un
domicilio culturale che avesse anche la funzione di
motore per le future trasformazioni di tutta la zona.
La giustificazione dell’intervento era il cedimento del
fianco del tetto che avrebbe necessitato riparazioni
piuttosto dispendiose; l’eventuale demolizione
dell’edificio era stata comunque esclusa per
motivi economici, poiché si sarebbe trattato di
un’operazione ancora più dispendiosa.
Il bunker è stato così trasformato in un grande
22
Schizzo di studio del progetto di trasformazione del bunker
cantiere e il centro culturale è stato completato
nel 2005. Come una sorta di montagna che si
eleva nel centro cittadino, è stata collocata una
scatola di legno, economica per quanto riguarda
sia il materiale che la realizzazione, ingabbiata in
una struttura in metallo al fine di ospitare studi
per artisti e l’Istituto di New Media. All’interno del
preesistente massiccio nucleo centrale in cemento
armato sono state collocate sale prove e stanze in
cui i musicisti possono esercitarsi. Il blocco in legno
chiaro, la cui forma e materiali si ispirano allo stile
degli edifici circostanti l’area del dock, è circondato
da una galleria con le zone comuni all’esterno, che
dialogano apertamente con la città e allo stesso
tempo assolvono il compito di uscite d’emergenza
per gli studi.
Le pareti che tagliano la facciata non solo regolano
l’incidenza dei raggi del sole, costituendo una
schermatura agli ambienti, ma hanno anche la
funzione di animare la facciata stessa.
Sito internet
www.index-architekten.de
Immagini degli autori
Vista aerea della zona dell’Ostahfen a Francoforte,
attualmente oggetto di forti trasformazioni, e localizzazione
del bunker
Il progetto Raising of a Bunker è tra le opere
realizzate da professionisti segnalate alla sesta
edizione del Premio Internazionale Architettura
Sostenibile 2009 durante la premiazione
avvenuta lo scorso 27 maggio presso Facoltà di
Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara.
Vista laterale dell’edificio. È visibile la galleria esterna in cui sono collocate le zone comuni del centro culturale
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SCHEDA PROGETTO
Progetto
Culture bunker
Localizzazione
Ostahfen, Francoforte
Committente
Department for Sience and Art, Francoforte
Progetto
INDEX Architects, BDA
Project management
Structural Engineering Department of the City of
Frankfurt
Tipologia
Studi per artisti/Institut for New Medias INM
Volume complessivo
3.470 mc
Superficie utile
595 mq
Realizzazione
2005
In una delle strade diritte e polverose della zona, nascosto
tra gli edifici residenziali, si trova il bunker della Seconda
Guerra Mondiale trasformato in domicilio culturale, motore
per le future trasformazioni della zona
Sezione longitudinale: nel nucleo centrale sono collocate le sale prove per i musicisti, nella scatola lignea, studi per artisti
e l’Istituto di New Media
Vista della scatola di legno ingabbiata nella struttura metallica collocata al di sopra del preesistente massiccio nucleo
centrale in cemento armato
Il blocco in legno chiaro, la cui forma e materiali si ispirano allo stile degli edifici circostanti l’area del dock, è circondato
da una galleria con le zone comuni all’esterno
24
Dettaglio della “gabbia metallica”, involucro della nuova struttura lignea
Vista notturna dell’edificio
Vista notturna dell’edificio. Dettaglio della galleria esterna
25
MAXXI:
un campus per la cultura
Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma
Zaha Hadid Architects*
di Mirco Vacchi
“An interesting thing about the museum in Rome is
that is no longer an object, but rather a field, which
implies that many programs could be attached to the
museum. It’s no longer a museum, but a center.
Here we are weaving a dense texture of interior
and exterior spaces. It’s an intriguing mixture of
permanent, temporary and commercial galleries,
irrigating a large urban field with linear display
surfaces. It could be a library; there are so many
buildings that are not standing next to, but are
intertwined and superimposed over, one another.
This means that, through the organizational diagram,
you could weave other programs into the whole
idea of gallery spaces. You can make connections
between architecture and art – the bridges can
connect the and make them into one exhibition. That
gives you the interesting possibility of having an
exhibition across the field. You can walk through a
whole segment of a city to view spaces. In Rome, the
organization will allow you to have exhibitions across
the field, but they can also be very compressed, so
you have a great variety”.
Zaha Hadid
Il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
è il primo museo pubblico nazionale dedicato
alla creatività contemporanea. È un’istituzione
del Ministero per i beni e le attività culturali che
sarà gestita da una nuova fondazione presieduta
dall’architetto Pio Baldi, il dirigente del MiBAC che ha
seguito il progetto in ogni sua fase.
La sua sede definitiva, progettata dall’architetto Zaha
Hadid (vincitrice del concorso internazionale del
1999), è in via di ultimazione nel quartiere Flaminio
di Roma, nell’area dell’ex caserma Montello dove,
dal 2003, un grande cantiere di sperimentazione
e innovazione sta progressivamente dando vita al
nuovo, avveniristico museo, che sarà inaugurato
nella primavera del 2010.
Il complesso ospita due istituzioni: MAXXI Arte
(direttore Anna Mattirolo) e MAXXI Architettura
(direttore Margherita Guccione), volte a promuovere
l’arte e l’architettura attraverso la raccolta, la
conservazione, lo studio e la diffusione dei linguaggi
più attuali. Ad oggi, fanno parte della collezione del
MAXXI Arte oltre 300 opere, tra cui quelle di Boetti,
Clemente, Kapoor, Kentridge, Merz, Penone, Pintaldi,
Richter, Warhol e molti altri di altrettanto rilievo. Il
MAXXI Architettura comprende gli archivi dei disegni
di Carlo Scarpa, Aldo Rossi, Pierluigi Nervi ed altri,
oltre ai progetti di autori contemporanei come Toyo
Ito, Italo Rota e Giancarlo De Carlo, e alle collezioni
di fotografia dei progetti atlante italiano e cantiere
d’autore.
Pensato come vero e proprio campus delle arti e
della cultura, pluridisciplinare e polifunzionale, il
MAXXI crea per la città un luogo urbano fruibile da
tutti, rifiutando l’idea di edificio “chiuso” per lasciare
Il percorso pedonale che attraversa il campus scivola al di sotto degli elementi in aggetto dell’edificio ripristinando
un collegamento urbano interrotto per quasi un secolo dal precedente impianto militare. Image Courtesy MAXXI
26
il posto ad una dimensione più ampia, che investe
tanto gli spazi interni quanto quelli esterni, aperti al
quartiere.
Nei suoi circa 27mila mq, il MAXXI comprende –
oltre ai due musei – un auditorium, una biblioteca
e mediateca, un bookshop ed una caffetteria, spazi
per esposizioni temporanee e spazi all’aperto per
eventi dal vivo, attività commerciali, laboratori, luoghi
per lo studio e lo svago. Un nuovo importante punto
di riferimento per le istituzioni pubbliche e private
in Italia e all’estero, così come per gli artisti, gli
architetti e il pubblico più vasto.
Il MAXXI si relaziona al contesto di insediamento
riproponendo lo sviluppo orizzontale delle caserme
preesistenti, contrapposto agli edifici residenziali più
alti che la circondano. Lo schema geometrico del
progetto si allinea con le due griglie che regolano la
struttura urbanistica dell’area e la reinterpretazione
di questi due schemi geometrici all’interno della
proposta genera la sorprendente complessità
geometrica del campus. Le due direttrici urbane
sono mediate da linee sinuose che armonizzano
lo schema e facilitano il flusso interno al sito. Il
percorso pedonale che attraversa il campus segue
la morbida sagoma del museo, scivolando al di sotto
degli elementi in aggetto dell’edificio e ripristinando
un collegamento urbano, interrotto per quasi un
secolo dal precedente impianto militare.
L’idea principale che informa il progetto è
direttamente legata alla finalità dell’edificio come
espositore di arti visive. Il sito è “solcato” da spazi
espositivi, le pareti che attraversano lo spazio, la
cui intersezione definisce spazio interno ed esterno.
Questo sistema agisce su tre livelli, di cui il secondo
è il più complesso e ricco di connessioni con vari
ponti che collegano edifici e gallerie. Il visitatore è
invitato quindi a tuffarsi in un denso spazio continuo
piuttosto che confrontarsi al volume compatto di un
edificio isolato.
A fronte del segno architettonico deciso che
predomina negli spazi aperti e nell’atrio, una
spazialità sobria caratterizza le gallerie destinate a
ospitare le collezioni dei due musei – MAXXI Arte e
MAXXI Architettura –, disposti attorno ad una grande
hall a tutta altezza dalla quale si accede agli spazi
espositivi delle collezioni permanenti e alle mostre
temporanee, all’auditorium, ai servizi di accoglienza,
alla caffetteria e al bookshop.
Le forme fluide e sinuose, il variare e l’intrecciarsi
delle quote determinano – anche grazie all’uso
modulato della luce naturale – una trama spaziale e
funzionale di grande complessità, offrendo itinerari
di visita sempre differenti e inaspettati, dall’interno
dell’edificio agli spazi aperti.
Gli spazi interni, definiti dalle pareti espositive, sono
coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio
di luce naturale, filtrata da schiere di travetti di
copertura che enfatizzano la linearità del sistema
spaziale e favoriscono la lettura del complesso
sistema di direzioni, sovrapposizioni e biforcazioni
nel sistema delle gallerie. La linearità levigata
delle pareti facilita la circolazione attraverso il
campus e all’interno delle gallerie e tra gli oggetti in
esposizione.
Materiali come vetro (coperture), acciaio (scale
e pilastri) e cemento (pareti) conferiscono allo
spazio museale un aspetto neutro; pannelli mobili
garantiscono la flessibilità degli allestimenti. Il
sistema di copertura accoglie tutti i dispositivi
tecnologici richiesti dalle funzioni museali: vi sono
integrati serramenti, strumenti di filtro della luce
solare, dispositivi per l’illuminazione artificiale e per
il controllo ambientale.
Gli spazi interni sono coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio di luce naturale, filtrata da schiere di travetti che
enfatizzano la linearità del sistema spaziale. Image Courtesy MAXXI
Siti internet
www.maxxi.beniculturali.it
www.zaha-hadid.com
Il progetto di Zaha Hadid si integra nel tessuto della città con una soluzione architettonica articolata intorno all’idea di
campus urbano fruibile da tutti. Image Courtesy MAXXI
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Il campus MAXXI. Planimetrie dei livelli. Image Courtesy MAXXI
La sorprendente complessità dello schema geometrico si basa sulla reinterpretazione delle due griglie che regolano la
struttura urbanistica dell’area. Image Courtesy MAXXI
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Le forme fluide e sinuose determinano una trama spaziale di grande complessità, offrendo itinerari di visita sempre differenti e inaspettati. Image Courtesy MAXXI
Il sito è “solcato” pareti espositive che attraversano lo spazio, la cui intersezione definisce spazio interno ed esterno. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05)
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Il MAXXI si relaziona al contesto di insediamento riproponendo lo sviluppo orizzontale delle caserme preesistenti, contrapposto agli edifici residenziali più alti che la circondano. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05)
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Materiali come vetro (coperture), acciaio (scale e pilastri) e cemento (pareti) conferiscono allo spazio espositivo un aspetto neutro. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05)
Gli spazi interni sono coperti da un tetto in vetro che inonda lo spazio di luce naturale, filtrata da schiere di travetti che enfatizzano la linearità del sistema spaziale. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05)
31
* Zaha Hadid è un architetto che costantemente
sfida i limiti finora conosciuti nell’ambito
dell’architettura, dell’urbanistica e del design.
Con il suo lavoro di ricerca, Zaha Hadid persegue
una continua esplorazione volta a definire nuovi
concetti spaziali.
Nel 2004 Zaha Hadid è stata insignita del Pritzker
Prize, considerato il Premio Nobel dell’architettura,
ed è internazionalmente conosciuta per il suo
contributo in campo accademico. Fondamentale per
Zaha Hadid è il rapporto tra architettura e paesaggio
che, combinandosi assieme, portano a risultati
inaspettati in termini di dinamismo delle forme.
Tra le opere più importanti ricordiamo il Phaeno
Science Center a Wolfsburg, Germania, che
rappresenta appieno il risultato della ricerca di Zaha
Hadid verso la definizione di complesse forme di
spazio caratterizzate da dinamismo e fluidità.
Altre opere come il Rosenthal Center for
Contemporary Arts in Cincinnati, USA, e il Central
Building dello stabilimento BMW di Lipsia in Germania,
vengono acclamate come esempi di un’architettura
che trasforma l’idea di futuro attraverso inesplorati
concetti spaziali e forme visionarie.
Al momento, Zaha Hadid sta lavorando ad un vasto
numero di progetti tra i quali: l’Aquatic Centre per le
Olimpiadi di Londra del 2012; le Signature Towers
a Dubai; il Performing Arts Centre ad Abu Dhabi;
il Teatro dell’Opera a Guangzhou, Cina; residenze
private negli Stati Uniti e in Russia; masterplans in
Spagna, Istanbul e Medio Oriente.
In Italia, Zaha Hadid sta lavorando al progetto CityLife
nell’ambito della riqualificazione dell’area della
vecchia Fiera di Milano; al Museo di Arte Nuragica
e Contemporanea di Cagliari; al nuovo Terminal
marittimo del porto di Salerno; alla nuova Stazione
Ferroviaria di Napoli-Afragola; oltre naturalmente al
MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo,
che aprirà a Roma nel 2009.
Il lavoro e le opere di Zaha Hadid sono stati oggetto
di numerose mostre in tutto il mondo tra cui una
retrospettiva nel 2006 al Solomon R. Guggenheim
Museum di New York e nel 2007 al Design Museum
di Londra.
I NUMERI DEL MAXXI
SCHEDA PROGETTO
Dimensioni
Superficie totale del lotto: 29.000 mq
Spazi esterni: 19.640 mq
Spazi interni: 21.200 mq
Superficie espositiva: 10.000 mq
Servizi (auditorium, bibliomediateca,
caffeteria, ristorante, ecc.): 6.000 mq
MAXXI arte: 4.077 mq
MAXXI architettura: 1.935 mq
Volume totale: 113.000 mc
Altezza massima: 22,90 mt
Dati della costruzione
Demolizioni preesistenze: 100.000 mc
Acciaio per le strutture: 6.000.000 kg
Acciaio per le carpenterie della copertura:
700.000 kg
Calcestruzzo gettato in opera per la
realizzazione delle strutture: 50.000 mc
Superficie di cassero: 40.000 mq (di cui 20.000
mq a faccia vista)
Superfici vetrate lucernai: 2.600 mq
Occupati nel cantiere MAXXI: 100 persone in
media al giorno (tecnici e operai) per 1500 giorni
Ore di lavoro nel cantiere: 1.250.000
Costo dell’opera: 150 milioni di euro
Visitatori previsti: tra 200 e 400mila l’anno
Progetto
MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo
Localizzazione
Roma
Progettisti
Progettisti Zaha Hadid e Patrik Schumacher
Capoprogetto Gianluca Racana [Zaha Hadid
Limited]
Team di progetto Paolo Matteuzzi, Anja Simons,
Fabio Ceci, Mario Mattia, Maurizio Meossi, Paolo
Zilli, Luca Peralta, Maria Velceva, Matteo Grimaldi,
Ana M.Cajiao, Barbara Pfenningstorff, Dillon Lin,
Kenneth Bostock, Raza Zahid, Lars Teichmann,
Adriano De Gioannis, Amin Taha, Caroline Voet,
Gianluca Ruggeri, Luca Segarelli, ABT David
Sabatello e Giancarlo Rampini
Strutture Anthony Hunt Associates, OK Design
Group
Impianti Max Fordham and Partners, OK Design
Group
Illuminotecnica Equation Lighting
Acustica Paul Gilleron Acoustic
Committenza
Ministero per i Beni e le Attività culturali
Direzione generale per la qualità e la tutela del
paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee
Direttore generale Francesco Prosperetti
Presidente Fondazione MAXXI Pio Baldi
Direttore MAXXI Architettura Margherita Guccione
Direttore MAXXI Arte Anna Mattirolo
Segreteria tecnica Francesca Fabiani
Architetti di staff Carlo Birrozzi, Francesca Fabiani,
Alessandra Fassio, Alessandra Mele, Esmeralda
Valente, Alessandra Vittorini, Elisabetta Virdia
Cronologia
1998 Il Ministero della Difesa cede l’area delle
ex caserme Montello al MiBAC che
programma la realizzazione di un Centro
nazionale per le arti contemporanee
1999 Concorso internazionale di progettazione.
Arrivano 273 proposte, tra cui la giuria
Seleziona 15 finalisti. Il progetto vincitore
è quello di Zaha Hadid
2000 Avvio della progettazione preliminare
2001 Il MiBAC istituisce la DARC, la Direzione
generale per l’architettura e l’arte
contemporanee
2002 Viene bandita la gara d’appalto integrato
per la progettazione e realizzazione, vinta
dall’ATI MAXXI 2006 (ITALIANA
COSTRUZIONI SpA e SAC - Società
Appalti Costruzioni SpA)
2003 Inizio delle demolizioni e, il 20 marzo,
avvio ufficiale al cantiere con la
cerimonia di posa della prima pietra
2004 Il cantiere procede con sbancamenti,
demolizioni e realizzazione
delle fondazioni
2005 Realizzazione piano interrato e inizio
posa delle strutture in elevazione
2006 Costruzione di strutture in elevazione,
solai e setti in cemento armato a faccia vista
2007 Inizio montaggio copertura, chiusura
strutture in elevazione a faccia vista
2008 Chiusura delle coperture, sistemazioni
esterne
2009 Finiture interne e allestimenti
2010 Allestimento collezioni e inaugurazione
ufficiale entro la primavera
32
Nei suoi circa 27mila mq, il MAXXI comprende – oltre i due musei – auditorium, biblioteca e mediateca, bookshop e caffetteria, spazi espositivi temporanei e spazi all’aperto per eventi dal vivo, attività commerciali, laboratori, luoghi per lo studio e lo
svago. Immagine di PaoloFM (www.flickr.com/photos/44584053@N05)
33
Cantiere MAXXI:
un’eccellenza italiana
a cura di MAXXI 2006 s.c.ar.l
Il cantiere del MAXXI visto dall’alto. Image Courtesy MAXXI
La sfida della qualità posta dal MAXXI, progetto
fuori dai canoni standard dell’edilizia per caratteri
costruttivi e prestazionali, è stata vinta anche
grazie al contributo fondamentale di architetti,
ingegneri, tecnici e maestranze italiani, facenti
capo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, al
Ministero delle Infrastrutture e alle due imprese del
Consorzio MAXXI 2006: ITALIANA COSTRUZIONI
S.p.A. del gruppo Navarra, in qualità di capo
gruppo mandataria, e SAC – Società Appalti
Costruzioni S.p.A. del gruppo Cerasi, in qualità
di mandante. Cantiere “italiano”, dunque, ma nel
contempo internazionale: per il confronto costante
con i progettisti dello studio Hadid, presenti in fase
esecutiva come Direzione Artistica, e la necessità di
relazionarsi con i mercati internazionali di prodotti
per l’edilizia più evoluti e all’avanguardia.
La committenza ha affidato al consorzio d’imprese
appaltatrici, nel quadro di un contratto di appalto
integrato, la progettazione esecutiva e l’esecuzione
dell’opera (design and build). Il consorzio Maxxi2006,
in qualità di contractor, è stato il referente
responsabile, in fase esecutiva, della gestione di un
organigramma operativo complesso, connotato dal
carattere sperimentale delle lavorazioni, articolato
principalmente in quattro settori: produzione, ufficio
tecnico, ufficio acquisti e settore amministrativo.
Il processo di “design and build ” del MAXXI
La realizzabilità dell’edificio non poteva essere
confinata nel circuito delle consuetudini del cantiere
tradizionale ed un obiettivo così ambizioso si è
reso raggiungibile solo attingendo ad un’eccellenza
imprenditoriale. Soluzioni costruttive integrate,
sperimentazione su materiali ed applicazioni
sitespecific, ottimizzazione della gestione logistica
di cantiere, apertura di nuovi mercati internazionali
di prodotti per l’industria delle costruzioni
rappresentano alcune chiavi di lettura della
complessità della commessa Maxxi.
Soluzioni costruttive integrate. La progettazione
esecutiva dell’appaltatore ha fornito, fin dalle
proposte tecniche migliorative presentate in fase di
gara, soluzioni costruttive integrate con il contributo
diretto dei settori impegnati nella realizzazione
dei componenti. La presa in carico delle richieste
delle prestazioni architettoniche del progetto,
occultamento del dettaglio tecnologico all’interno
degli allineamenti dell’involucro e minimizzazione
dei giunti costruttivi dei materiali a favore di una
lettura unitaria dei campi e l’esigenza di assicurare
una precisa corrispondenza della forma ai materiali
ed ai metodi costruttivi, ha richiesto lo sviluppo di
linee produttive ad hoc per la commessa, in cui
l’industrializzazione si è espressa con margini di
artigianalità molto evoluti. Il sistema cassero e
la copertura sono tra le espressioni più rilevanti
di questo transfert di qualità on demand dalla
progettazione all’industria di componenti:
– Il sistema copertura. La configurazione
parametrica mistilinea di tutti i componenti in
opera, la cui matrice di assemblaggio, con un
sistema di tolleranze non proprie ad un manufatto
industriale, va a coincidere con le linee di forza
del progetto, ha reso necessario attivare linee
di produzione di pezzi speciali fuori catalogo
sperimentando la fattibilità di applicazioni
sitespecific.
La necessità di ottenere conforto su scala reale
delle previsioni progettuali ha reso indispensabile
l’esecuzione di un prototipo che, secondo una
logica operativa ben più complessa della semplice
campionatura, in scala reale, riproponesse l’intero
sistema di copertura pensato per le suite. È stata
pertanto ricostruita, presso gli stabilimenti del
fornitore – Lorenzon Techmec System S.p.A. –
una significativa porzione di galleria in scala reale
(12.5m x 1.6m x 4.5m), completa di tutti i previsti
sistemi portanti (carpenterie metalliche: travi
principali e travi secondarie a lamella) e portati
34
(serramentistica, gusci in GRC, tende filtranti e
oscuranti, diffusori, corpi illuminanti, impianto
di lavaggio specchiature vetrate, ecc.) con lo
scopo di verificare, in rapporto ai requisiti attesi
di carattere architettonico e strutturale e stante
l’unicità del sistema, l’eventuale presenza di
“conflitti” non prevedibili in sede progettuale.
– I casseri del Maxxi. Le prestazioni architettoniche
di continuità, omogeneità e compattezza di texture
richieste alle superfici in scc (self compacting
concrete) gettate in opera hanno rappresentato
uno degli input più vincolanti del processo.
Operativamente il coordinamento delle linee
guida delle fasi di getto emesse della Direzione
Artistica (Zaha Hadid ltd), si è interfacciato con
la progettazione strutturale delle armature e
carpenterie (curata per il consorzio dal prof. Giorgio
Croci e dall’architetto Aymen Herzalla), il progetto
e la realizzazione delle casseforme fuori standard
(PERI che ha prodotto 2200 elaborati), il mix design
della miscela (consulente prof. ing. Mario Collepardi,
fornitore Calcestruzzi s.p.a) e le criticità della posa in
opera del calcestruzzo in relazione al ritiro, viscosità,
deformabilità delle centine curate direttamente dalla
direzione di cantiere. Il controllo del posizionamento
dei giunti di ripresa, la divisione in conci di notevole
dimensione, il fitting della matrice costruttiva
del faccia vista con le geometrie di progetto,
l’inserimento delle predisposizioni per l’integrazione
di sottosistemi costruttivi all’interno dell’involucro
(impianti, carpenterie, dispositivi antisismici, etc.) si
sono tradotti nella progettazione e la realizzazione di
un sistema di casseforme modulari fuori catalogo,
la cui geometria corrisponde al negativo della forma
architettonica.
Sperimentazione su materiali ed applicazioni
site specific. La costruzione del MAXXI si sottrae
all’imperativo dell’ottimizzazione economica, il
carattere identificativo dell’opera travalica il tempo
di esecuzione: entrano in gioco le variabili della
sperimentazione, della prototipazione di parti
costruttive per la messa a punto di tecnologie
innovative.
Alcune delle sperimentazioni portate avanti nel Maxxi
aggiungono conoscenze significative nel campo
delle applicazioni tecnologiche dell’architettura
contemporanea.
Ne è un esempio rilevante la speciale miscela di
cemento autocompattante messa a punto dalla
ENCO del prof. Collepardi per il Maxxi, 3SCC, che
presentava una serie di problematiche legate al
controllo dell’elemento finito e alla messa a punto
di una procedura standardizzabile in termini di
previsione di tempi e costi. La miscela è stata
oggetto di numerose pubblicazioni specialistiche.
Logistica ed organizzazione di cantiere. La
cantierizzazione, fase a valle del processo, non ha
semplicemente applicato parametri consolidati
da conoscenze tecniche, gestionali ed operative
standard ma ha inventato, ex-novo, nuovi canoni
di produttività che potranno servire a costruire
opere a carattere sperimentale e prototipale similari
al MAXXI. La verifica della fattibilità tecnica e
della sostenibilità economica delle lavorazioni, il
coordinamento della tempistica di costruzione, le
specificità della cantierizzazione di sistemi che non
fanno riferimento ad uno schema tipologico ripetitivo,
ha reso l’esperienza della cantierizzazione un
sistema aperto alla ricerca, continua, di metodologie
per il rendimento delle fasi operative del cantiere.
La presa in carico delle particolarità costruttive del
calcestruzzo armato ha determinato un aumento
delle difficoltà logistiche di gestione di tutti gli
aspetti operativi correlati al getto: movimentazione di
casseforme di grande dimensione, posa in opera di
banchinaggi, gestione all’interno del cantiere di una
centrale di betonaggio per la produzione in-site
della miscela di SCC.
Apertura di nuovi mercati di prodotti. Le qualità
formali del progetto architettonico, espresse nel
quadro di vincoli prestazionali, ha portato alla ricerca
di materiali disponibili sul mercato con la necessità
di relazionarsi con realtà internazionali di prodotti
per l’edilizia più evoluti e all’avanguardia, alcuni di
questi sono:
– dalla Germania provengono i casseri ed i vetri del
lucernaio di copertura
– dalla Svizzera i prodotti per l’isolamento termico
– dalla Francia i teli polimerici traslucidi dei
35
controsoffitti e le lastre termoformabili per la
realizzazione degli arredi fissi
– dall’Austria i corpi illuminanti.
Il progetto esecutivo strutturale
Lo sviluppo del progetto esecutivo delle strutture in
c.a. condotto, per conto dell’Appaltatore, dal prof.
Giorgio Croci e dall’arch. Aymen Herzalla ha richiesto
un grande impegno di ingegneria strutturale; per
la redazione del progetto è stato necessaria la
partecipazione di un work-group di 38 professionisti,
tra ingegneri ed architetti. L’intero impianto
architettonico si basa sul paradigma strutturale
e costruttivo del setto portante in calcestruzzo
armato faccia vista; la matrice statica dell’edificio è
rappresentata dalle forme fluide e dinamiche che si
snodano come un nastro nello spazio, sospesa nel
vuoto con pochi e irregolari appoggi che, tra l’altro,
devono tener conto degli effetti sismici e termici su
lunghezze proprie più dei ponti che non degli edifici.
La complessità dei problemi incontrati riguarda tutte
le fasi progettuali-costruttive.
La concezione strutturale ha in primo luogo ottimizzato
la distribuzione dei vincoli in modo da favorire il flusso
delle forze dall’elevazione alle fondazioni, ridurre gli
effetti torsionali, consentire le dilatazioni termiche.
I vincoli, inoltre, sono stati progettati in modo da
diventare “rigidi” sotto l’effetto del sisma, utilizzando
speciali apparecchi (shock- transmitter) che consentono
appunto di far lavorare la struttura come se fosse
continua sotto l’effetto delle azioni dinamiche.
La verifica del progetto strutturale si è sviluppata
con il supporto di programmi specifici di calcolo,
alcuni inediti, considerando in ogni fase più di 70
combinazioni di carico, compresa la deformabilità
del suolo. Le armature sono state determinate con
un programma che ha consentito l’ottimizzazione
della distribuzione e delle quantità.
I materiali. Si è impiegato calcestruzzo di elevate
caratteristiche meccaniche e lavorabilità tale da
restare a vista sulle superfici delle pareti. L’uso
dell’acciaio è stato limitato alle scale, ad alcune
zone specifiche e alle coperture, ove leggere travi
metalliche consentono il passaggio della luce, filtrata
da un sistema di diffusori regolabili.
La realizzazione. Le fasi costruttive hanno seguito
procedure rigorose in relazione al ritiro, viscosità,
deformabilità delle centine e così via. Nelle zone
più delicate è stato messo in opera un sistema di
martinetti e un monitoraggio idraulico in modo da
regolarizzare deformazioni e forze in una struttura
altamente iperstatica.
Siti internet
www.italianacostruzionispa.it
www.sacspa.com
Dove non diversamente indicato, Foto di visionet
(www.flickr.com/photos/visionet-art). Immagini dei
lavori di ampliamento del Maxxi di Roma, opera di
Zaha Hadid. Cantiere aperto in occasione del Roma
Art Weekend – 10 ottobre 2008.
I DATI COSTRUTTIVI DEL PROGETTO
Opere in cls
– Opere provvisionali, banchinaggi, ponteggi e
casseforme, per un valore di 14.000.000 euro
(il cantiere europeo più grande della Peri S.p.A.)
– Cassaforme per un totale di 30.000 mq di cui:
22.000 mq rettilinei
2.700 mq curvilinei verticali
2.500 mq rettilinei inclinati
2.900 mq curvilinei inclinati
tra questi 16.000 mq di cassaforma per a faccia vista
– Calcestruzzo SCC gettato in opera 30.000 mc
– Acciaio impiegato per le strutture 6.000.000 Kg
– 2.400 elaborati PERI per la progettazione
costruttiva della cassaforme e dei banchinaggi
Copertura
– Pannelli vetrati per 3.000 mq
– Acciaio per le carpenterie di copertura 700.000 Kg
– Lamelle 2.100 ml di cui:
1.300 ml lineari
800 ml curve
– Gusci in GRC 4.200 ml
– 650 elaborati per la progettazione costruttiva
della copertura
– Prototipi realizzati in stabilimento:
1 prototipo architettonico
1 prototipo strutturale
1 prototipo impiantistico
1 prototipo illuminotecnica
Vetrate verticali
– Superfici di vetro stratificato 1.000 mq
– Superfici di vetro REI con omologhe speciali
200 mq
Scale
– Carpenteria per le strutture 360.000 Kg
– Carter di lamiera di acciaio per
rivestimento 100.000 Kg
– Telo traslucido per box luminosi 370 mq
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37
Chao Phraya River Memorial, Tailandia
Fars Studio*
a cura di Mirco Vacchi
La Municipalità di Nakorn Sawan e l’Associazione
degli Architetti Siamesi, con il Patrocinio Reale
(ASA), hanno indetto un concorso internazionale per
la progettazione di un landmark commemorativo
dedicato alla storia del fiume Chao Phraya, la più
importante arteria fluviale della Tailandia, scegliendo
come area di intervento il punto in cui esso nasce e
prende forma, in corrispondenza della confluenza tra
i quattro tributari Ping, Wang, Yom e Naan.
Il contesto prescelto presenta caratteristiche
assolutamente straordinarie, prima fra tutte la
sorprendente variazione di oltre 9 metri tra i
livelli di alta e di bassa marea durante la stagione
delle piogge. La parte settentrionale del fiume è
contraddistinta da una colorazione verde, mentre
quella meridionale è di colore rosso. Oltre il punto
di unione con i quattro affluenti, il verde e il rosso
permangono lungo il Chao Phraya, creando una
variopinta fascia di risonanza.
L’importanza di questo luogo, abbandonato da molto
tempo proprio a causa del fenomeno delle piene,
non è tuttavia legata soltanto ai particolari fenomeni
naturali, ma anche in virtù del suo profondo legame
con la storia del Regno.
Il progetto vincitore del concorso, a firma dello studio
tailandese Fars Studio, è stato concepito per essere
posizionato sull’estremità dell’isola coincidente con
il punto di confluenza tra i corsi d’acqua, allo scopo
di rivitalizzare l’area attirando sia i cittadini del
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posto che turisti di diversa provenienza. Partendo
dal presupposto che lo stesso sito è già di per sé
un potenziale landmark, necessitando solamente
di un elemento aggiuntivo capace di sottolineare in
maniera “modesta” le sue peculiarità, la proposta
ha l’obiettivo di riflettere la storia del fiume, la sua
tradizione e una concezione di qualità della vita
all’interno della città che può svilupparsi solo a
particolari condizioni.
Prima di tutto, nel contesto dell’isola Yom, la nuova
architettura assumerà il ruolo di complemento della
natura; niente può spiegare la bellezza della natura
meglio del fiume stesso. Lungo un asse parallelo alla
fascia di risonanza del fiume, si collocheranno una
serie di nuovi spazi, strategicamente sopraelevati per
offrire punti di osservazione privilegiati dell’ambiente
fluviale e collegati da un unico percorso che
guiderà i visitatori alla scoperta dei punti di
maggiore interesse, come ad esempio quello in cui
è possibile osservare contemporaneamente due
fiumi, oppure quello in cui si può ammirare l’intera
città che circonda il sito, fino al luogo in cui si può
contemplare lo straordinario scenario prodotto dalla
confluenza tra tutti i corsi d’acqua.
In secondo luogo, percepita da lontano,
esternamente all’isola, l’architettura si trasformerà
in simbolo del fiume, sottoforma di fasce ondulate.
Il nuovo edificio-ponte accentuerà la connessione
visiva tra le rive del fiume, essendo visibile anche
durante i periodi di piena, creando al contempo
una relazione fisica tra le due parti ed invitando i
visitatori ad oltrepassarlo.
“L’essenza dell’architettura tradizionale Tailandese
risiede nell’attenzione per la scala umana. –
spiegano i progettisti – Per questo abbiamo generato
una forma capace di soddisfare le due condizioni
sopraccitate, senza dimenticare gli elementi tipici
della produzione artistica ed architettonica locale.
Sempre considerando la tradizione costruttiva
del luogo e le particolari condizioni ambientali
dovute alle elevate variazioni del livello del fiume,
abbiamo deciso di utilizzare il cemento per la
parte di struttura direttamente interessata dal
fenomeno delle piene, l’acciaio per le parti restanti.
Il rivestimento delle fasce ondulate è ottenuto dalla
combinazione tra pannelli in rame ed elementi in
legno”.
*Fars Studio Co., Ltd or Far (Satapanik) Studio
è stato fondato nel 2009 in Tailandia, dopo aver
vinto il prestigioso concorso di progettazione per la
realizzazione del Chao Phraya River Memorial.
L’arte è stata creata per arricchire la vita delle
persone. Lo stesso vale per l’architettura. Crediamo
che l’estetica dell’architettura debba essere
sostanziale. Detto questo, poiché ogni giorno
una grande quantità di informazioni si muove
rapidamente attraverso il mondo, una progettazione
architettonica di qualità non dovrebbe limitarsi
a soddisfare le esigenze della committenza,
rappresentando ogni volta un’occasione per
mostrarsi al mondo intero. Per questo cerchiamo
costantemente idee che vadano al di là dei limiti
della nostra conoscenza, per conferire unicità al
nostro progetto, confrontandoci sia con il contesto,
la cultura, l’ambiente, l’economia e le tecnologie
costruttive locali, sia con i bisogni del cliente, in
termini fisici ed estetici.
Studio di progettazione multidisciplinare con
base in Tailandia, Fars Studio è specializzato in
architettura, interior design, grafica, con particolare
interesse per le tipologie museali/commemorative.
Allo scopo di soddisfare gli standard mondiali, ci
teniamo costantemente aggiornati partecipando a
numerosi concorsi. Come piccolo team composto da
6 membri, arricchiti da esperienze lavorative presso
gli studi Skidmore, Owings and Merrill LLP (New
York), e A49 Bangkok, (Thailand), abbiamo lavorato
a numerosi progetti in diverse nazioni, tra cui India,
Cina, Vietnam e USA.
Sito internet
www.farsstudio.com/
Immagini e testo originale di Fars Studio
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SCHEDA PROGETTO
Progetto
Pasaan
Localizzazione
Koh-Yom, Nakorn Sawan, Tailandia
Progettisti
Fars Studio Co., Ltd. (Far (Satapanik) Studio)
Project Team: Patchara Wongboonsin, Kraipop
Tohtubtiang, Pirun Sittivichaporn, Nop Leetavorn,
Ornnicha Duriyaprapan, Sasivimol Kositnapadej
Committente
Nakorn Sawan Municipality e Association of
Siamese Architects under Royal Patronage
Tipologia
Museum/ Memorial
Cronologia
Progetto: 2008
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Tokyo Apartment Project
Complessità urbana a piccola scala di strutture
de-oggettualizzate e visionarie
Sou Fujimoto Architects*
di Andrea Cantini
“Se una piccola casa viene vista come
una città, potrebbe essere interessante
scoprirne l’infinita complessità.
E se una città è vista come una grande
casa, la scala enorme può dar luogo
ad una nuova percezione dello spazio
architettonico. Ad esempio, uno spazio
urbano può essere immaginato come una
stanza di un milione di metri cubi.
Si tratta di una nuova immagine della città,
distante della città tradizionale”.
Sou Fujimoto
A prima vista, questo progetto per un multi-family
residence in un’area al centro di Tokyo sembra
essere un insieme di 13 scatole a forma di “casa”
accatastate alla rinfusa e disposte disordinatamente:
un ammasso di forme primitive in equilibrio
precario, quasi una raccolta di pedine di plastica del
Monopoli. Il progetto sembra davvero impossibile
e sorprendente, ma non è solo concettuale:
ricorda un gioco di costruzioni dell’infanzia, ma al
contempo si sottrae alle tradizionali disposizioni
costruttive delle case di legno, approdando ad
una eccezionale celebrazione di una complessa
semplicità. Tokyo Apartment è un progetto di alloggio
collettivo in cui l’archetipo di “casa” gioca un ruolo
fondamentale e supera il puro elemento geometrico,
costituendo la base per una libertà compositiva
strana ed emozionante: una complessità urbana a
piccola scala, dove gli appartamenti sono impilati
e contrapposti tra loro formando un contenitore
collettivo che assomiglia di più ad un villaggio
verticale che ad un condominio. Un progetto che
riflette propriamente il carattere organico-urbano
di Tokyo, basato sulla dicotomia “città come
casa”/“casa come città”.
L’idea è un voluto ribaltamento del concetto di
Vista del plastico delle “tredici scatole” che costituiscono il progetto Tokyo Apartmente, multi-family residence
(fonte www.sou-fujimoto.com)
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Infraurbanism. © JMA Studio
“giardino zen”, nel quale si tenta di mantenere
il rumore e il caos della città al di fuori della
sfera privata. L’architetto Sou Fujimoto si rivolge
esattamente dalla parte opposta e fornisce una svolta
interessante, lasciando che il dentro si fonda con il
fuori ed abbracciando realmente il super-urbanismo di
Tokyo, la città che Fujimoto chiama casa.
“Ho chiamato il progetto ‘Tokyo Apartment’, perché
questo progetto si ispira a Tokyo ed al concetto di
città: penso che rappresenti l’ordine emergente di
questa città così complessa. Una città che è allo
stesso tempo molto artificiale e molto naturale.
Questa casa collettiva ne è la miniatura. Ho voluto
creare un luogo ricco di infinito che rispecchia
perfettamente la natura dell’uomo. Tutta la città,
Vitra Campus. © Herzog De Meuron
affollata e disordinata, sarà vissuta come casa
propria. Si può dire che se si vive in questa casa,
allora sei il proprietario di una piccola città. La Tokyo
che non esiste ha ottenuto una forma” (1).
In questo caso Fujimoto ha elaborato una
personale progettazione dello spazio, sviluppando
la semplicità del concetto con rigore e notevole
capacità di soluzione del rapporto tra spazio
ed artificio. Come in questo progetto, tutte le
creazioni di Sou Fujimoto mostrano il suo forte
interesse per la relatività spaziale e un nuovo
senso delle distanze, in forte contrasto con le
regole convenzionali dell’architettura. Egli disegna
(1) Traduzione da Julian Worrall, I want to make a primitive
architecture, www.iconeye.com.
strutture de-oggettualizzate, visionarie, modellate
sulle evoluzioni degli elementi in natura: l’elemento
umano riempie le architetture cambiandone il senso,
mettendone in discussione le coordinate funzionali,
ribaltando l’apparenza delle gerarchie strutturali.
L’architetto attinge, mescola e fonde numerosi
elementi quotidiani con una serie di nuovi paradigmi,
mettendo alla prova concetti come privacy e utilizzo.
Il concetto di fondo è molto chiaro: accumulare
volumi di case, assemblando l’aspetto collettivo sia
in senso programmatico che formale, mantenendo
però intatta la forma elementare dell’archetipo.
Il nucleo residenziale è costituito da cinque unità
abitative compresa quella del proprietario. Alcuni
degli appartamenti si trovano separati su più livelli
collegati da una scala esterna. Ogni unità è progettata
in relazione al rapporto tra l’esperienza della città e
l’intimità di due o tre stanze. Per Fujimoto in questo
modo è possibile vivere la città in tutti i suoi aspetti
tridimensionali: quando si salgono le scale esterne, si
avrà un’esperienza analoga al salire su una montagna
grande come una città e per tornare a casa sarà
necessario camminare sopra i tetti, sopra la città. Per
Fujimoto la densità è un principio dell’architettura
e deve essere creata con il vuoto. Così ogni casa è
confusa con le altre in modo tale che gli unici spazi
realmente creati sono quelli interstiziali tra i vari
cluster di volumi, mentre a livello complessivo la
forma continua ad essere reiterata. Il risultato è una
spazialità che viene percepita in modo estremamente
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soggettivo, secondo la propria posizione nello spazio:
tutto è definito dal modo in cui l’utente si adatta
alla struttura, la famosa triade “forma – funzione
– costruzione” diventa un unico elemento. Ma è
a questo punto che interviene un altro parametro
chiave: l’assenza di ogni rapporto, la complessità
non si basa su una regola, ma segue regole di
crescita vicine a quelle degli elementi naturali.
Nonostante il suo interesse per gli ordini molteplici,
Fujimoto, cercando di penetrare la “scatola nera”
della complessità, assume una posizione di concreto
scetticismo verso gli algoritmi e le formule.
“è raro che in architettura la complessità non
abbia alcuna relazione con qualcosa di esterno.
Al contrario, penso che in questo progetto trovi
spazio una complessità declinata in nuovo tipo di
continuità: una realtà molto complessa e disordinata
è restituita in una forma semplice senza alcun
rapporto con un ordine o una regola. O meglio, penso
che ci sia una sola regola: “nessuna regola”. In altre
parole si può chiamare disordine organico, quasi
come per una foresta. Per me gli algoritmi sono
piuttosto noiosi: sono come dei libri di ricette per la
cucina architettonica. Sono troppo automatici. La
combinazione di regole semplici che generano forme
molto complesse è ovviamente una soluzione spesso
emozionante. Ma questo tipo di complessità non è
così complicata per me. Con gli algoritmi, le regole
spesso sono molto più importanti del risultato, che
alla fine non è fondamentale” (2).
Dotato di un senso particolare dello spazio, ammiratore
di Le Corbusier, Louis Kahn e Mies van der Rohe,
Fujimoto si dedica a nuove esplorazioni concettuali
allo scopo di creare un modo completamente nuovo
di concepire l’architettura, incentrando il proprio
lavoro sulla declinazione contemporanea dell’abitare,
profondamente influenzata dalla natura e dagli aspetti
fisici del nostro mondo. Questa nuova architettura di
Fujimoto ha un carattere sperimentale proiettato verso
nuove possibilità esperienziali dello spazio. Superando il
concetto di artificiale, conferma la sua fluidità, secondo
uno schema che mostra l’ampiezza del suo linguaggio.
La parola “nuovo” è in comune con i pionieri modernisti
di un secolo fa: l’obiettivo ultimo di Fujimoto è niente di
(2) Traduzione da Julian Worrall, I want to make a primitive
architecture, www.iconeye.com.
meno che una nuova concezione di base di architettura,
una teoria generale del territorio della relazionalità.
Ma a differenza dei modernisti non vi è una chiamata
alle armi generazionale: piuttosto una imperscrutabile
essenza “giapponese” che ha per modello la scienza,
e non l’arte: si scopre invece di creare. Per Fujimoto, il
nuovo è sempre stato lì, tra le cose che aspettano solo
di essere trovate.
Siti internet
www.sou-fujimoto.com
SCHEDA PROGETTO
Progettista
Sou Fujimoto Architects – Tokio, Giappone
Consulente
Jun Sato Structural Engineer
Localizzazione
Tokyo, Giappone
Destinazione d’uso
Residenza multifamiliare
Materiale
Legno
Cronologia
Progettazione: 2006
Costruzione: entro 2009
Superficie del lotto
143.48 mq
Area costruita
92.94 mq
Superficie calpestabile
211.15 mq
Volume complessivo
68 mc
Vista del plastico del progetto Tokyo Apartment (fonte www.sou-fujimoto.com)
*Sosuke (Sou) Fujimoto
Architetto, è uno dei più innovativi rappresentanti
dell’architettura nipponica contemporanea.
Nato a Hokkaido, nella parte settentrionale del
Giappone, il 4 agosto 1971, si è laureato nel 1994
presso il Dipartimento di Architettura della Facoltà
di Ingegneria dell’Università di Tokyo. Ha stabilito
il suo studio di architettura a Tokyo, dove vive. È
docente universitario a Kyoto ed ha insegnato presso
diverse università giapponesi. Nel 2005 è stato
insignito del Premio JIA per il migliore architetto
dell’anno in Giappone e nel 2006 è stato vincitore a
Londra del premio Architectural Review – AR Awards
for Emerging Architecture, nel quale ha ottenuto
ancora una menzione speciale l’anno successivo.
Con la “Final Wooden House” ha vinto nel 2008 il
World Architecture Festival (WAF) di Barcellona nella
categoria “Private House” e nel 2009 del Wallpaper
Design Awards nella categoria “Best new private
house”. Oltre all’attività di progettista, scrive per
riviste internazionali, quali A+U, ed è autore del libro
“Primitive Future”, Inax Publishing, 2008.
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Pianta del primo livello (fonte www.moazine.com)
Pianta del terzo livello (fonte www.moazine.com)
Pianta del secondo livello (fonte www.moazine.com)
Pianta del quarto livello (fonte www.moazine.com)
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Schema di prospetto del progetto di alloggio collettivo
(fonte www.sou-fujimoto.com)
Prospetto del complesso (fonte www.moazine.com)
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Vista del plastico di progetto. Gli appartamenti sono impilati e contrapposti tra loro formando un contenitore collettivo che assomiglia di più ad un villaggio verticale che ad un condominio (fonte www.sou-fujimoto.com)
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Il plastico del plastico esibito (fonte www.parallax.aminus3.com, foto © Alfredo J. Martiz J)
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Steel wall
Autorimessa ad Arma di Taggia, Imperia
mag. MA architetture
a cura di Federica Maietti
L’intervento dell’autorimessa interrata è parte di un più
ampio progetto teso ad una revisione generale degli
accessi al paese e alla completa pedonalizzazione del
centro storico e della limitrofa zona costiera, e che
prevede di fermare il traffico veicolare nei due accessi,
da est e da ovest, verso la zona storica sviluppata
sul lungomare rendendo più sicura e gradevole la
fruizione del paese e delle spiagge. Il progetto ha visto il
coinvolgimento della società committente che gestisce
le aree dei 24 Km di tracciato ferroviario lungocosta
dismesso dopo lo spostamento della linea ferroviaria a
monte, del Comune di S. Stefano al Mare, della Regione
Liguria e della Soprintendenza ai Beni Architettonici ed
Ambientali della Liguria.
L’autorimessa a due piani interrati da 105 posti auto
si inserisce a ridosso del piccolo centro storico in
una fascia di costa schiacciata verso il mare dalla
ex ferrovia, ora pista ciclabile, dove il tessuto edilizio
comincia a diradarsi. Il tracciato ferroviario in questo
punto passa ad una quota maggiore del lungomare
ed è caratterizzato da alti muri di sostegno, scarpate
e un sottopasso attraverso il quale il traffico
veicolare proveniente dalla strada statale raggiunge
quella litoranea. La nuova struttura costituirà uno
dei punti di fermata delle auto, nella zona di accesso
ovest al paese, per coloro che saranno diretti al
centro storico e alle spiagge.
Sono stati realizzati due livelli interrati: il primo
ospita i parcheggi a rotazione per i fruitori
occasionali, mentre il secondo livello è riservato ai
garage di proprietà privata destinati ai residenti.
La struttura dell’autorimessa è stata realizzata
con l’utilizzo del cemento armato sia prefabbricato
che gettato in opera. Il punto critico del progetto
era rappresentato dal lungo fronte di 85 m per
un’altezza media di 6 m, visibile dal mare per tratti
significativi, in cui occorreva inserire le aerazioni
antincendio. La grande superficie è stata rivestita
in pietra nelle parti opache e lasciata in cemento
a vista in corrispondenza delle aerazioni; è stata
quindi sovrapposta una maglia in elementi d’acciaio
a protezione delle aperture e che si trasforma in
parapetto a livello della copertura. La maglia in
acciaio caratterizza anche i piccoli volumi dei due
blocchi scale che fuoriescono sulla copertura, a
livello della pista ciclabile.
Dato l’alto fronte di scavo, la prima fase operativa
ha visto la creazione di una palificata a monte
dell’intervento; si è proceduto quindi alle escavazioni
e alla realizzazione della struttura in cemento
armato, completata con i rivestimenti di facciata,
le opere di finitura interna e la realizzazione degli
impianti.
La funzione e l’utilità dell’autorimessa interrata
sono legate alla volontà di restituire il vecchio
centro storico alla costa e al mare consentendo
ai fruitori l’utilizzo dei suoi spazi in libertà e
sicurezza. Un intervento che ha una valenza
prettamente funzionale, essendo “interrato”, può
comunque divenire occasione per relazionarsi con
il contesto anche attraverso la realizzazione di un
“semplice muro” e una riflessione sulla possibilità
Il piccolo volume dell’uscita pedonale sulla copertura, livello della pista ciclabile, è trattato nello stesso modo del fronte in
modo da conferire unitarietà di linguaggio all’intervento
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di caratterizzare architettonicamente le poche parti
emergenti.
Il progetto avrà raggiunto il suo scopo se il suo
inserimento nel contesto risulterà gradevole e
riconoscibile senza aver modificato gli equilibri
naturali del luogo in cui è inserito. La struttura
metallica potrà diventare, ad esempio, una parete
verde, che attraverso l’utilizzo di diverse tipologie
di rampicanti acquisisce movimento di colore e
consistenza con il mutare delle stagioni.
Schizzo di studio della facciata metallica
Sito internet
www.mag-ma.it
Immagini degli autori
Particolare della struttura metallica che riquadra le parti opache rivestite in pietra
Sezione-prospetto. Il fronte dell’autorimessa, immediatamente a ridosso dei fabbricati è lungo 85 m ed ha un’altezza media di 6 metri
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SCHEDA PROGETTO
Progetto
Steel Wall
Localizzazione
Arma di Taggia, Imperia
Progettisti
Marco Roggeri, Alessia Rosso, Gianpiero Peirano
Referente del progetto
Marco Roggeri
Collaboratori
Luca Siccardi
Ente proponente
Area 24 s.p.a.
Ditte e Imprese esecutrici
Fratelli Negro s.p.a.
Cronologia
Progettazione: 2006/2007
Realizzazione: 2007/2008
Il progetto è vincitore del Premio Innovazione e
Qualità Urbana 2009 per la categoria “Mobilità
– Opere realizzate”, organizzato da Maggioli
Editore nell’ambito di Euro-PA 2009, il Salone
delle Autonomie Locali – Prodotti, tecnologie e
servizi per le Pubbliche Amministrazioni.
Vista generale. Il lungo fronte metallico con il susseguirsi dei suoi vuoti e pieni
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Dettaglio del fronte. Particolare della bucatura per l’aerazione antincendio protetta dal disegno della struttura metallica
Particolare della parte sommitale dove la maglia si infittisce e si trasforma in parapetto
Il parapetto sporgendo verso l’interno e limitando la scansione orizzontale alla sola parte esterna impedisce ai fruitori più
giovani di arrampicarsi
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Vista da ovest. Il lungo fronte viene scandito dal disegno della maglia metallica che ha anche la funzione di proteggere le
bucature dell’aerazione antincendio
Vista da ovest, notturno. Nelle ore notturne la luce fuoriesce dalle bucature dell’aerazione ripetendone la scansione seriale
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Royal Ontario Museum
Daniel Libeskind
di Giacomo Sacchetti
Cinque elementi di forma prismatica, autoportanti,
connessi fra loro e collegati alla struttura
museale esistente, geometrie di cristalli nate da
sedimentazione e successiva gemmazione. Nel 2002
l’architetto Daniel Libeskind e il suo studio vincono
la corsa per la realizzazione dell’estensione del
Royal Ontario Museum a Toronto, aperta al pubblico
nel 2007, e il risultato è sorprendente. Libeskind
racconta che proprio un cristallo esposto all’interno
del museo storico l’ha ispirato nella progettazione.
Il museo storico già in loco è l’asse lungo il quale
si organizza l’intervento; il prisma si tende in
avanti fino alla facciata dell’edificio preesistente, è
imponente e allo stesso tempo non omogeneo, in
linea con la volontà del direttore del museo William
Thorsell di creare un’esposizione ricca e variegata
contenente dipinti, tessuti, minerali, manufatti di
popoli indigeni. Complessità e stabilità si ritrovano
nella struttura reticolare del cristallo e, appunto, di
questo edificio.
La scelta dei materiali risponde pienamente alle
funzioni cui i differenti elementi devono assolvere
all’interno della costruzione: l’acciaio è stato scelto
per le parti autoportanti delle grandi facciate, e
assicura robustezza per le ampie vetrate, mentre
l’alluminio è stato utilizzato solo per le parti di
rivestimento e non autoportanti.
Lo spazio interno, unico, è delimitato da pareti
inclinate e dominato dalla “Spirit House”, il cuore
vuoto dell’edificio.
Siti internet
www.rom.on.ca
www.daniel-libeskind.com
SCHEDA PROGETTO
Progetto
Royal Ontario Museum
Localizzazione
Toronto, Canada
Progettisti
Daniel Libeskind
Committente
Royal Ontario Museum
Cronologia
Concorso di progettazione: 2002
Realizzazione: 2007
L’ingresso del Royal Ontario Museum. Foto © Antoine Cadotte
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Una struttura spigolosa e complessa. Foto © Staka
Una struttura spigolosa e complessa. Foto © Staka
Il Royal Ontario Museum e Bloor Street West. Foto © Eric Mutrie
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Cinque elementi di forma prismatica, autoportanti, connessi fra loro e collegati alla struttura museale esistente. Immagine di Aviad2001
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